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Adattamenti all’ambiente naturale
La specie umana è oltre che polimorfica e politipica anche ubiquista. Infatti grazie alle sue
capacità biologiche e culturali ha occupato gran parte della superficie terrestre nei suoi aspetti
climatici e geomorfologici più vari.
La più o meno lunga permanenza delle popolazioni in particolari situazioni ecologiche ha
consentito in diverso grado, anche se non sempre, l'azione della selezione naturale e degli altri
fattori evolutivi determinando condizionamenti biologici ed orientandone le risposte culturali.
Il clima: insolazione, temperatura, umidità, precipitazioni, altitudine, vento e
natura del suolo, calcolate in una certa area geografica per un periodo di tempo piuttosto lungo
(solitamente 30 anni), costituisce quell'insieme di fattori che condiziona la situazione di vita ed
a cui gli organismi si adattano per raggiungere le migliori condizioni possibili di
sopravvivenza e riproduzione.
Il termine clima non va confuso con il termine “tempo” o “meteo” che comunemente indicano lo
stato atmosferico di una zona in un ben preciso momento.
L'adattamento che la specie umana ha mostrato rispetto al clima è sia genetico (morfologico e
fisiologico) sia culturale.
I CARATTERI PIGMENTARI E TEGUMENTARI
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L’interesse suscitato dai caratteri pigmentari delle popolazioni umane deriva principalmente
dalla base genetica e dal possibile significato adattativo come per altri caratteri del
tegumento, come la forma dei capelli ed il grado di pelosità.
Homo ergaster è la prima specie del Genere Homo a disperdersi fuori dall'Africa1,8-1,6 milioni
Ma; identificato come H. georgicus nel Sudest asiatico ed H. erectus nell’Est asiatico. Le
attestazioni più antiche di H. ergaster vengono dall'Africa centro-occidentale, dove si era adattata
a vivere nelle vaste praterie della savana. Bramble e Lieberman (2004, Nature 432: 345-352)
ipotizzano che la perdita del pelo e l'evoluzione di efficienti ghiandole sudoripare si siano
verificate proprio in quell’ambiente, dove l’esposizione al calore solare avrebbe
rappresentato la principale fonte di stress: la selezione di ghiandole sudoripare più
numerose e progredite e la perdita del pelo avrebbero così aumentato il tasso di convezione
del calore, favorendo, insieme a diverse sostanziali modificazioni anatomiche, la corsa di
resistenza (endurance running) e dunque la possibilità di dispersione e la capacità di
predazione.
La pigmentazione cutanea
La determinazione antroposcopica della pigmentazione cutanea è soggetta alla discrezionalità
dell’osservatore, per ovviare a questo inconveniente sono state approntate delle scale
cromatiche (es. scala di Von Luschan a 36 tinte). Attualmente si utilizza lo spettrofotometro
a riflessione, tramite la misurazione della quantità di luce riflessa dalla pelle investita da raggi
di determinata lunghezza d’onda. Il rapporto tra quantità di luce riflessa e quella che
sarebbe riflessa da una superficie bianca standard, alle medesime condizioni, dà il fattore di
riflessione spettrale o riflettanza. Si possono ottenere curve di riflettanza per una stessa
superficie colorata in relazione alle diverse lunghezze d’onda impiegate (dall’ultravioletto
all’infrarosso).
I risultati che si ottengono con l’uso dello spettrofotometro rendono possibile una
valutazione quantitativa del colore della pelle trattandosi di un carattere a variazione
continua.
Il pigmento che maggiormente contribuisce alla normale pigmentazione cutanea è la
melanina, pigmento scuro (bruno-giallastro) prodotto da cellule (i melanociti) situate nello
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strato basale dell’epidermide (melanoblasti epidermici) che riversano le particelle di
pigmento nelle cellule malpighiane fino a diffondersi nello strato corneo dell’epidermide
stessa.
Nelle popolazioni umane le forme più frequenti di melanina sono la feomelanina, di colore rosso-giallo,
la eumelanina, di colore marrone-nero.
I popoli con pelli chiare producono per lo più feomelanina, mentre quelli con colori scuri più
eumelanina. Inoltre, gli individui differiscono nel numero e nella grandezza delle particelle di
melanina.
Feomelanina è un altro pigmento, rosso, che si trova anche nella pelle e nei capelli sia in
individui di pelle chiara sia scura. In generale le donne hanno più feomelanina degli
uomini, e, quindi, la loro pelle è generalmente più rosata. La molecola conferisce un
colore di tonalità dal rosa al rosso e, quindi, si trova in grandi quantità, in particolare
in soggetti dai capelli rossi. La feomelanina è particolarmente concentrata nelle mucose.
Chimicamente, la feomelanina differisce dall'eumelanina per la presenza nell'oligomero di
benzotiazina, invece di DHI e DHICA quando oltre alla tirosina è presente l'aminoacido L-
cisteina. Analogamente alla precedente, per la diversità dei legami polimerici possibili,
anche la feomelanina è presente in due tipi: rossa e gialla.
Eumelanina. La natura precisa della struttura molecolare della eumelanina è oggetto di
studio. fondamentalmente è però composta da polimeri del 5,6-diidrossiindolo (DHI) e
dell'acido 5,6-diidrossiindolo-2-carbossilico (DHICA). L'eumelanina esiste nei capelli di
colori grigio, nero, giallo, e marrone. Negli esseri umani, è più abbondante in persone
con pelle scura. Ci sono due tipi diversi di eumelanina, che si distinguono per il loro modo
di formare legami polimerici. I due tipi sono comunemente indicati come eumelanina nera
ed eumelanina marrone o bruna. In assenza di altre cause una piccola quantità di eumelanina
nera causa i capelli grigi, mentre una piccola quantità di eumelanina marrone rende i capelli
di colore giallo (biondo).
Neuromelanina è infine il pigmento scuro presente nei neuroni cerebrali, in quattro
nuclei facilmente visibili autopticamente, appunto per la loro colorazione scura: la
substantia nigra - pars compacta, il locus coeruleus, il nucleo motore dorsale del nervo vago
(nervo cranico X), e i nuclei mediani del rafe. Questi nuclei non sono pigmentati al
momento della nascita, ma sviluppano la pigmentazione nel corso della maturazione. Anche
se il carattere funzionale della neuromelanina non è del tutto noto, nel cervello, può essere
un sottoprodotto della sintesi di monoaminoneurotrasmettitori. La perdita di neuroni
pigmentati da specifici nuclei è stata vista in una varietà di malattie neurodegenerative come
il morbo di Parkinson e l'Alzheimer. La neuromelanina è stata osservata nei primati e nei
carnivori.
Nella cute (epidermide, derma e ipoderma) o pelle si individuano 5 pigmenti:
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- melanina (granulare)
- melanoide (diffuso)
- carotene (diffuso)
- emoglobina ossigenata
- emoglobina ridotta.
L’epidermide è suddivisa dallo strato più esterno a quello più interno in 5 strati:
- corneo
- lucido
- granuloso
- spinoso
- basale o germinativo
Il derma è lo strato intermedio della cute, compreso tra l'ipoderma e l'epidermide.
Il derma viene suddiviso in 2 strati:
- strato papillare (superiore)
- strato reticolare o sub papillare (inferiore).
La pigmentazione cutanea primaria non è uguale nei diversi distretti corporei, a
prescindere dalle variazioni causate dall’insolazione. In generale, le parti dorsali sono più
pigmentate di quelle ventrali, e più ancora le regioni genitali. Sono scarsamente pigmentate le
mucose, per cui traspare il colore rosso dell’emoglobina.
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Differenze di pigmentazione si osservano nei due sessi, essendo in genere più chiara la pelle
della donna. Nel periodo pre-puberale aumenterebbe la pigmentazione forse in relazione alla
produzione di ormoni sessuali che stimolano i melanociti. Con il passare degli anni si avrebbe
una diminuzione di pigmentazione, specialmente nel sesso femminile.
Variazioni accidentali e reversibili nella pigmentazione si hanno per effetto dei raggi UV, eccetto
che negli albini. Nel fenomeno dell’abbronzatura la melanina è il pigmento
maggiormente coinvolto, la cui produzione in eccesso a scopo protettivo
avviene per stimolazione dei melanociti da parte dei raggi UV.
Il colore della cute, pur essendo un carattere qualitativo a variazione continua, viene ricondotto
a 3 grandi classi: leucodermi (pelle “bianca”), xantodermi (pelle “gialla”), melanodermi
(pelle “nera”), le quali vanno intese non rigidamente, ma come tendenze a determinate
tonalità.
Variazioni del colore della cute http://it.wikipedia.org/wiki/Melanina
Nei Leucodermi la melanina è presente esclusivamente negli strati basali dell’epidermide (strato germinativo del Malpighi) e, data la sua scarsità relativa, il rosso dell’emoglobina del
sangue circolante nel derma traspare come colore roseo. Sono leucoderme le popolazioni
cosiddette europoidi (caucasiche) nelle quali si riscontra una grande varietà di toni:
bianco-roseo dei Nordici, bianco-brunetto dei Mediterranei, etc. Geograficamente si estendono
in tutta l’area delle popolazioni europee, sono presenti anche nell’Africa del Nord e
nell’Asia occidentale
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Negli Xantodermi, con più melanina e forse carotene, la melanina si estende anche negli
strati soprastanti quello germinativo, non sono comunque chiare le cause delle diverse tonalità
giallastre che li caratterizzano. Alcuni Autori ritengono che alla pigmentazione degli Xantodermi
contribuisca un certo grado di colemia fisiologica e cioè la presenza di pigmenti biliari nel sangue;
per altri il motivo sarebbe da ricercare nel maggiore spessore dello strato corneo dell’epidermide,
dove il carotene è concentrato, oppure ad una maggiore quantità del carotene nel pannicolo
adiposo sottocutaneo. Xantoderme sono le popolazioni mongoliche e di origine mongolica, la
cui distribuzione geografica interessa l’Asia centrale ed orientale e le popolazioni indigene
americane. Le tonalità variano dal giallo pallido dei Nord Mongolici, al bruno chiaro dei Sud
Mongolici, degli Eschimesi e di certi Amerindiani, si ha invece un giallo scuro nei Malesi ed in
alcuni gruppi americani.
Nei Melanodermi la melanina è abbondantemente distribuita in tutta l’epidermide e può
essere presente anche nel derma (melanoblasti dermici). Diverse tonalità di colorazione bruna
interessano tutta l’Africa, con l’eccezione delle regioni a Nord del Sahara. La
pigmentazione più intensa si ha nelle popolazioni delle savane (Senegalesi e Nilotici), mentre
verso Sud, nelle zone forestali (Pigmei ed anche Negri), i toni si fanno più chiari e diventano
giallastri nei Boscimani e negli Ottentotti. Popolazioni melanoderme si trovano anche nelle
regioni del Sud dell’India (Dravidi), nelle isole Andamane dove il colore è quasi nero,
nonché nelle regioni montuose e forestali delle penisole meridionali dell’Asia. Melanodermi
sono anche gli indigeni australiani (a cui viene attribuito un color cioccolato) ed i Melanesiani,
con toni molto scuri, mentre il resto dell’Oceania ha pigmentazione relativamente chiara,
particolarmente in Polinesia.
I Melanodermi dell’America sono, come noto, di origine africana sub-sahariana.
Effetti delle radiazioni solari
Il clima è dominato dall'azione del sole ed una delle principali caratteristiche dei gruppi
umani: la pigmentazione cutanea, è una conseguenza dell'effetto delle radiazioni solari. Ciò
era già noto prima ancora di venire dimostrato; così infatti scriveva Buffon: L'uomo, bianco in
Europa, nero in Africa, giallo in Asia, rosso in America, è sempre lo stesso uomo che cambia il
colore della pelle a seconda del clima.
Le radiazioni solari contengono i raggi ultravioletti che a forti dosi provocano distruzione delle
cellule, a dosi deboli sono indispensabili per l'organismo dato che permettono la sintesi della
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vitamina D, necessaria per il metabolismo del Calcio, per la sua assimilazione e per una normale
ossificazione.
I raggi UV provocano una risposta difensiva dei melanociti con produzione di melanina, la
densità di melanina varia di soggetto in soggetto in base al genoma.
Gloger (1833), riallacciandosi al concetto suddetto espresso da Buffon, formulò la più antica
legge dell'Ecologia animale: "la melanina è più abbondante nelle regioni più calde e più
umide". Gloger non si riferiva esplicitamente al sole ma al calore in quanto non poteva conoscere
l’azione dei raggi UV, mentre era ed è evidente osservare la connessione fra le regioni calde della
terra ed il colorito scuro della pelle degli uomini che vi abitano.
È ormai comunemente accettato che la pigmentazione cutanea sia in funzione delle
radiazioni UV-B, poiché lo strato di melanina protegge contro l'eccesso di UV, cioè assume
in buona sostanza il ruolo di filtro protettore.
L’interesse suscitato dai caratteri pigmentari delle popolazioni umane deriva principalmente
dalla base genetica e dal possibile significato adattativo come per altri caratteri del
tegumento, come la forma dei capelli ed il grado di pelosità.
Significato biologico della pigmentazione cutanea
Poiché la melanina gioca un ruolo fondamentale nel determinare il colore della pelle
nell’Uomo, si è cercato di individuare, soprattutto sulla base della particolare
distribuzione geografica delle popolazioni melanoderme, un eventuale significato adattativo
del pigmento stesso.
A questo riguardo si osserva che le popolazioni melanoderme vivono generalmente nelle
aree tropicali caldo-secche, dove è più intensa l’irradiazione dei raggi UV.
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Si pensa che il vantaggio del colore scuro nelle zone a forte insolazione sia dovuto al fatto
che la melanina protegge dalle radiazioni UV, prevenendo le ustioni causate
dall’esposizione ai raggi solari e la formazione di tumori cutanei, rari nei Melanodermi e
più frequenti nei Leucodermi, specialmente nelle regioni tropicali. Non è tuttavia chiara
l’importanza selettiva dei tumori cutanei, in quanto sono relativamente rari e di scarsa
malignità, inoltre si presentano, in genere, in età avanzata, quando si è già verificato
l’apporto riproduttivo. Comunque da notare che gli Americani di origine Europea
presenterebbero una probabilità 10 volte maggiore degli Afro-americani nel contrarre
melanomi.
Ricordiamo che la pigmentazione cutanea protegge dai raggi UV, ma non dal calore, poiché
la pelle nera assorbe una maggiore quantità di radiazioni luminose, nei Melanodermi la
temperatura cutanea non s’innalza perché esistono meccanismi più efficienti per la
dispersione del calore: maggiore quantità di ghiandole sudoripare, maggiore irrorazione
cutanea, scarsità di adipe sottocutaneo, maggior numero di atti respiratori.
La melanina interviene in un altro meccanismo di azione dei raggi UV-B. Infatti il loro
assorbimento è indispensabile per la sintesi della vitamina D, la quale a sua volta è
necessaria per fissare il calcio nelle ossa e quindi per conseguire un normale sviluppo
scheletrico. La vitamina D è sintetizzata per circa 80-90% nella pelle e nei reni, il restante
20-10% proviene dagli alimenti. Una quantità rilevante di melanina non crea problemi dove
l’irradiazione solare è forte, mentre potrebbe impedire il loro assorbimento dove è minore
l’intensità delle radiazioni solari, e cioè alle latitudini settentrionali. In queste regioni la scarsa
pigmentazione consente l’assorbimento dei raggi UV, per cui la selezione naturale avrebbe
favorito il colore chiaro della pelle. I primi gruppi di uomini anatomicamente moderni che
hanno popolato tali regioni, provenendo dalle regioni tropicali, erano presumibilmente di pelle
scura, per necessità di tipo adattativo si sarebbe attenuata nel tempo la pigmentazione nella loro
discendenza. Si può ipotizzare che lo “sbiancamento” della cute nelle regioni dove le
radiazioni UV sono più scarse, cioè nelle zone temperate e fredde, sia stato favorito dalla
selezione naturale, per consentire la produzione di livelli normali di vitamina D.
A questo riguardo va anche ricordato che la maggior frequenza di rachitismo negli
Afro-americani rispetto agli Africani sarebbe spiegabile con il fatto che vivono in un ambiente a
minore insolazione e quindi la melanina che funge da barriera ai raggi UV impedirebbe un
adeguato assorbimento per la sintesi della vitamina D.
Gli Eschimesi, pur vivendo in zone artiche, si nutrono largamente di pesce, il cui fegato è
particolarmente ricco di vitamina D, e quindi non avrebbero avuto bisogno di uno
“sbiancamento” cutaneo.
È stato anche suggerito che nelle regioni tropicali la pelle scura, oltre che proteggere dalle
ustioni, impedirebbe una sovrapproduzione di vitamina D in dosi tossiche, con conseguenti
depositi di calcio nei tessuti molli (es. calcoli renali). Tuttavia le condizioni di esposizione
alla luce solare tali da provocare simili effetti sarebbero estremamente rare.
La selezione contro i duplici danni del rachitismo, da una parte, e di dosi tossiche di
vitamina D, dall’altra, potrebbe spiegare la universale corrispondenza osservata tra
pigmentazione della pelle e vicinanza all’Equatore.
Secondo alcuni Autori la pigmentazione cutanea potrebbe avere un effetto mimetico, il
colore nero sarebbe vantaggioso in una giungla ed il bruno nel deserto.
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In sintesi, pur trattandosi di una questione ancora molto dibattuta, si accetta che la notevole
pigmentazione della pelle svolga un ruolo essenzialmente protettivo nelle zone a forte
irradiazione; mentre la sua diminuzione faciliti l’assorbimento dei raggi UV con effetto
antirachitico nelle regioni a bassa irradiazione ultravioletta.
La distribuzione della pigmentazione cutanea può dunque spiegarsi come un compromesso
tra pressioni selettive opposte: 1) protezione dal tumore della pelle e scottature solari, 2)
assorbimento di UV-B per la trasformazione del 7-deidrocolesterolo in vitamina D3
(colecalciferolo).
L'ipotesi della selezione naturale suggerisce che il colore della pelle più chiaro, rispetto a
quanto ipotizzabile per l'Africa tropicale, area d'origine di Homo sapiens, sia avvenuto per
ottimizzare la produzione di vitamina D. Alcuni autori hanno posto la questione se la carenza
di vitamina D comporti dei problemi di salute sufficienti perché possa agire come fattore
selettivo. Yuen e Jablonski (2010, Medical Hypotheses, 74: 39-44) sostengono che la carenza
di vitamina D abbia una sufficiente pressione selettiva per agire verso un colore della pelle
più chiaro in aree temperate e fredde. La carenza di vitamina D che si manifesta come
rachitismo e osteomalacia sarebbero sufficienti a mettere in pericolo il successo riproduttivo
per selezione sessuale, inoltre studi sugli animali e alcune osservazioni cliniche suggerirebbero
che la vitamina D possa avere un impatto diretto sulla fertilità umana. In più, la carenza di
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vitamina D determinerebbe tutta una serie di condizioni cliniche tali da mettere in pericolo la
salute così da aumentare i tassi di mortalità. Infatti può accrescere la suscettibilità alle
infezioni batteriche e virali; al rachitismo, osteomalacia e osteoporosi, con un aumento del
rischio di cadute e di fratture; aumento del rischio di tumori, ipertensione e malattie
cardiovascolari, diabete dell'adulto, malattie autoimmuni, come sclerosi multipla, artrite
reumatoide, malattia infiammatoria intestinale e il diabete di tipo 1, e malattie gengivali.
Yuen e Jablonski (2010) ribadiscono che a latitudini più alte, il colore della pelle più chiaro si
sia evoluto per facilitare la produzione di vitamina D in condizioni di basse radiazione UV-B,
al fine di evitare una pletora di cattiva salute, difficoltà riproduttive e mortalità precoce.
Da Libon et al. (2013) Skin Color Is Relevant to Vitamin D Synthesis. Dermatology.
Background: Whether dark skin produces less vitamin D after UVB radiation than fair skin remains
controversial. Objective: To compare 25-hydroxyvitamin D [25-(OH)-D] levels after a single UVB exposure
in fair (phototype II-III) and black-skinned (phototype VI) volunteers. Methods: Fair-skinned volunteers (n
= 20, 4 males/16 females, mean age: 23.2 years) and black-skinned (n = 11, 6 males/5 females, mean age:
23.8 years) received a single total body UVB exposure (0.022 J/cm2). The 25-(OH)-D levels were measured
on days 0, 2 and 6. Results: On day 0, all volunteers were severely vitamin D deficient. On day 2, 25-(OH)-
D levels of fair-skinned volunteers increased significantly (median: 11.9-13.3 ng/ml, p < 0.0001), but not in
black-skinned people (median: 8.60-8.55 ng/ml, p = 0.843). Again, on day 6, 25-(OH)-D levels of fair-
skinned volunteers increased significantly (median: 11.9-14.3 ng/ml, p < 0.0001), but not in black-skinned
people (median: 8.60-9.57 ng/ml, p = 0.375). Conclusion: This study suggests that skin pigmentation
negatively influences vitamin D synthesis
L’azione dei raggi ultravioletti
Il Sole, come ogni altra stella, emette energia sotto forma di onde o radiazioni elettromagnetiche. Tali radiazioni
ricoprono nel complesso un campo molto esteso di lunghezze d’onda e possono essere suddivise in onde radio,
microonde, radiazioni infrarosse, visibili, ultraviolette, raggi X e raggi . Dal punto di vista biologico le radiazioni
più importanti sono quelle con lunghezza d’onda inferiore al millimetro, cioè le radiazioni luminose che
comprendono infrarosso, visibile e ultravioletto.
I raggi ultravioletti o UV si estendono da 400 a circa 10 nm. Possiamo dividere i raggi ultravioletti a seconda della
lunghezza d’onda in UV-A (400-315 nm), UV-B (315-280 nm) e UV-C (280-100 nm). Il Sole emette luce
ultravioletta in tutte e tre le bande UV-A, UV-B e UV-C, ma a causa dell'assorbimento da parte dell'ozonosfera circa
il 99% degli ultravioletti che arrivano sulla superficie terrestre sono UV-A. Infatti praticamente il 100% degli UV-C e
il 95% degli UV-B viene assorbito dall'atmosfera terrestre.
Gli ultravioletti più penetranti sono i cosiddetti UV “lunghi” o raggi UV-A, usati per esempio nelle lampade
abbronzanti, corrispondono alla frazione di ultravioletto con tra 400 e 315 nm, agiscono sulla parte più profonda
della pelle provocando, per esposizioni prolungate, una disgregazione delle fibre elastiche del derma, comparsa di
rughe e un invecchiamento precoce della pelle.
Gli ultravioletti “corti” ( minore di 315 nm ) o UV-B sono meno penetranti, fermandosi all’epidermide, cioè la parte
più superficiale della pelle, dove possono indurre scottature ed eritemi.
I raggi ultravioletti hanno effetti sulla pelle che si ripercuotono sull’intero organismo e che possono essere nocivi o
benefici a seconda della lunghezza d’onda e del periodo di esposizione. Sono nocivi in quanto vengono assorbiti
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soprattutto dalle proteine, che possono alterarsi, inoltre perché sono mutageni, possono causare melanomi o epiteliomi.
Gli ultravioletti possono risultare, per contro, benefici in generale in quanto svolgono un’azione positiva su alcune
malattie della pelle come la psoriasi, gli eczemi e dermatiti varie.
I raggi UV-B inducono la reazione per la produzione di provitamina D3. D’altro canto sarebbero per l’appunto
soprattutto i raggi UV-B a determinare scottature e carcinogenesi (Bogh et al., 2010 - J Inv Derm 130, 546–553).
Le vitamine del gruppo D, in particolare la D2 e la D3, esercitano un ruolo fondamentale nel processo di
fissazione del calcio nelle ossa e quindi per il conseguimento di un normale sviluppo scheletrico. La vitamina D è
conosciuta anche come vitamina antirachitica, infatti carenze di tale vitamina provocano ritardi nella maturazione
scheletrica e quindi anche rachitismo. Le popolazioni che vivono nei climi temperati fanno uso di cibi che
contengono i precursori della vitamina D (cereali e vegetali), ma non la vitamina D, che per formarsi ha necessità
dell’irradiazione solare (raggi UV).
Pochi alimenti contengono quantità apprezzabili di vitamina D. Un alimento
particolarmente ricco è l'olio di fegato di merluzzo. Seguono, poi, i pesci con consistente
percentuale di acidi grassi Omega-3 (es.: salmoni e aringhe), il latte ed i suoi derivati, le
uova, il fegato e le verdure verdi.
Ricordiamo inoltre che la vitamina D è un ormone secosteroide che ha come target >200
geni che regolano un’ampia varietà di tessuti (Yuen & Jablonski, 2010, Med Hypoth 74: 39-
44).
Selezione sessuale e colore della pelle
L’irradiazione solare non può essere stata l’unica forza selettiva ad avere determinato il colore della
pelle nelle popolazioni in quanto sia nel Nuovo Mondo sia nel Vecchio Mondo il gradiente del colore
della pelle e la latitudine non mostra una perfetta corrispondenza (Frost, 1994).
La non perfetta corrispondenza tra latitudine e pigmentazione ha fatto ipotizzare che la variazione
geografica del colore della pelle nelle popolazioni umane sia frutto di un compromesso selettivo tra
due forze controbilanciantesi:
selezione naturale, che ha favorito gli individui meno suscettibili al cancro della pelle, alle
scottature solari, al deficit di vitamina D, ed al surriscaldamento. Riguardo a quest’ultimo
punto ricordiamo che i melanodermi assorbono circa un 30% in più di irradiazione solare
rispetto ai leucodermi, e corrono pertanto soprattutto nei tropici dei rischi di
surriscaldamento. Inoltre un ulteriore supporto alla ipotesi della selezione per mortalità
differenziale da carenza da vitamina D proviene dalla constatazione che la carenza
aumenterebbe nelle diverse fasi della vita dell’individuo le probabilità di morte per malattie
da: suscettibilità alle infezioni batteriche e virali, rachitismo, osteomalacia ed osteoporosi,
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che aumenta il rischio di fratture, cancro, ipertensione e malattie cardiovascolari, diabete
Tipo 1 e 2, autoimmuni e sclerosi multipla, artrite reumatoide e infiammatorie (Yuen &
Jablonski, 2010, Med Hypoth 74: 39-44).
selezione sessuale, che avrebbe favorito nelle latitudine elevate una selezione sessuale in
favore delle femmine più chiare, mentre nell’Africa sub-Sahariana la selezione sessuale
sarebbe stata positiva per i maschi più scuri.
La teoria della selezione sessuale si basa sull’ipotesi:
1) che nelle zone artiche ci sia stato un surplus di femmine in seguito ad un’elevata mortalità
maschile attribuita ai rischi conseguenti alle modalità dell’attività di caccia (Frost, 1994,
Human Evolution, 9:141-153; 2007, AJPA, 133: 779-781). Inoltre, date le particolari condizioni
climatiche, ci sarebbe stato uno scarso contributo alla sussistenza da parte della raccolta
effettuata dalla componente femminile della comunità, il che avrebbe scoraggiato la
poligamia;
2) che nell’Africa sub-Sahariana in un regime matrimoniale di tipo poligamico ci sia stato un
surplus di maschi, per una ridotta mortalità maschile, pertanto i maschi con pigmentazione
più scura e pertanto maggiormente attrattivi sarebbero stati favoriti nella scelta sessuale. Ciò
giustificherebbe il fatto che le popolazioni africane sub-Sahariane siano più scure delle altre
popolazioni umane situate nei tropici (Frost, 1994).
La differenza nel pigmentazione cutanea tra popolazioni Europee ed Asiatiche rispetto a quelle
Africane viene spiegata anche come conseguenza di un effetto del fondatore sulle varianti del gene
mc1r (melanocortin 1 receptor), effetto della emigrazione dall’Africa di Homo sapiens, inoltre una
riduzione della fitness in Africa degli alleli non sinonimi che ivi avrebbero subito una selezione
negativa (Harding et al. 2000, Am. J. Hum. Genet. 66:1351–1361).
Synonymous and nonsynonymous variants: Point mutations in coding DNA that do not change the amino-
acid sequence are synonymous (S, silent) and those that do are known as nonsynonymous (NS).
Effetti della temperatura
La temperatura è un fattore ecologico fondamentale dato che un organismo vivente
funziona come una macchina termica. Inoltre la specie umana come tutti i mammiferi è
omeoterma, ciò significa che per mantenere l'omeotermia in situazioni di caldo e di freddo
presentiamo due reazioni adattative: la termogenesi e la termolisi.
La termogenesi consiste essenzialmente in una vasocostrizione della circolazione periferica che
comporta una diminuzione della perdita di calore.
La termolisi si esplica essenzialmente attraverso la vasodilatazione dei vasi sanguigni sottocutanei,
da cui deriva una perdita di calore.
Negli ambienti freddi è necessario aumentare la termogenesi e diminuire la termolisi.
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Nelle zone calde viceversa occorre perdere calore e quindi aumentare la termolisi per
irraggiamento (convenzione) e per evaporazione di sudore (traspirazione), oltre che
diminuire la termogenesi con una riduzione del metabolismo basale.
Poiché il volume e la massa del corpo crescono in ragione del cubo delle
dimensioni lineari del corpo, mentre la superficie cresce solo in ragione del
quadrato, ne deriva che il rapporto peso/superficie di un corpo è direttamente
proporzionale alle dimensioni di un individuo. La termolisi è facilitata nei
paesi caldi in individui di bassa statura, in quanto la superficie è maggiore
rispetto al peso. Tuttavia occorre tener ben presente che anche gli arti
contribuiscono sostanzialmente alla termolisi, in quanto il loro allungamento
accresce la superficie corporea. Cioè in sintesi sia la forma (dimensioni
corporee) e sia il formato (proporzioni corporee) di un individuo contribuiscono
alla termolisi.
Come esempio, si considerino 8 cubi di lato 2 cm. Una catasta di forma cubica avrà volume
uguale a 64 cm³ e superficie pari a 96 cm², mentre una catasta a base rettangolare avrà lo
stesso volume, ma una superficie di ben 112 cm². http://it.wikipedia.org/wiki/Regola_di_Allen
Schreider (1951) ha sintetizzato quanto detto da Bergmann (1847) ed Allen (1877): "nelle
razze o specie omeoterme affini, il valore relativo della superficie del corpo, rapportato al
volume o alla massa, aumenta nei climi che, almeno durante una parte dell'anno, forzano i
meccanismi termolitici. Invece nei climi che facilitano eccessivamente l'eliminazione di
calore si manifesta la tendenza inversa".
L'ipotesi di Schreider è che la termoregolazione possa realizzarsi sia in base a quanto scritto da
Bergmann (aumento della dimensione nei paesi caldi) sia secondo quanto proposto da Allen
(stiramento delle forme) sia in entrambi i modi contemporaneamente.
L'adattamento si realizzerebbe per il clima diurno nei paesi caldi, cioè per il calore del
giorno e non per il freddo della notte, per il clima caldo dell'estate e non per il freddo
dell'inverno. Ciò spiegherebbe le differenze morfologiche tra gli Africani delle zone
equatoriali, nelle quali la statura è bassa ed il tronco relativamente lungo, e le popolazioni
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viventi nella zona arida tropicale dell'Africa, che hanno statura elevata e tronco
relativamente corto.
Differenti morfologie corporee in relazione all’ambiente (rapporto cm2/kg)
L’elevato rapporto superficie/volume può essere conseguito sia con degli arti inferiori
relativamente lunghi (macroschelia delle popolazioni africane delle savane) o con una relativa
bassa statura con corpo “sottile” come i Pigmei delle foreste equatoriali, la bassa statura
comporta ovviamente anche una proporzionale riduzione del peso corporeo. Dunque per la
dispersione del calore abbiamo una risposta similare nel rapporto superficie/volume in
ambiente differenti, in cui la macroschelia risulta l’adattamento nelle aree calde e secche,
mentre la riduzione della taglia in ambienti caldi ed umidi.
Effetti dell'umidità
Nel 1923 Thomson e Buxton hanno rilevato, tramite un campione di 150 popolazioni, una
correlazione tra l'indice nasale ed il calore umido od il suo contrario il freddo secco.
L'indice nasale è dato dal rapporto tra larghezza (alare-alare) ed altezza del naso (nasion-
subnasion)
15
Indice nasale = (larghezza x 100)/altezza
con le classi (Facchini, 1995, p. 564):
La correlazione pari a r=0,60 per tutte le popolazioni considerate, si eleva a 0,71 se si esclude
dal campione le popolazioni del subcontinente indiano (Olivier, 1977).
Comunque, l'umidità non è il solo fattore che interviene nella forma del naso, ed inoltre non tutte
le popolazioni attualmente viventi in una determinata area vi sono presenti da un tempo
sufficiente per l'adattamento. Se l'India determina una diminuzione della correlazione, ciò è
probabilmente dovuto alla presenza degli Arya che sono entrati nel Nord dell'India circa 2500
anni fa e si sono diffusi nel tempo lungo la penisola indiana (Olivier, 1977).
Inoltre occorre distinguere che la mucosa interna del naso ha due diverse funzioni:
- la parte superiore è completamente olfattiva;
- la regione inferiore esplica una duplice funzione:
1) dapprima riscalda ed umidifica l'aria inspirata prima che giunga ai polmoni;
2) successivamente durante l'espirazione elimina acqua con un meccanismo di termolisi
analogo alla traspirazione.
In sintesi comunque possiamo affermare che un naso alto e stretto umidifica l'aria inspirata
in un clima secco, la riscalda in un clima freddo. Un naso largo e basso facilita la termolisi
nelle zone calde.
Crognier (1981) in base ai valori dell’indice nasale relativi ad 82 popolazioni
maschili europee, dell’Africa del Nord e Medio orientali, rileva che l’indice
Categorie Valore dell’Indice Tipologia del naso
Leptorrinia ≤69,9 Nasi stretti
Mesorrinia 70,0-84,9 Nasi medi
Platirrinia ≥85,0 Nasi larghi
Nasion
Subnasion
16
risulta elevato nei climi caldi e secchi, mentre è basso se il clima è freddo e secco
o quando la temperatura presenta una notevole escursione.
http://www.focus.it/cultura/curiosita/forma-del-naso-adattamento-climatico-e-successo-sessuale
Effetti dell'altitudine
Il clima d'alta montagna, pur nella variabilità presentata nelle diverse zone, è caratterizzato
da temperatura fredda, forte irradiazione solare e soprattutto dalla riduzione della
pressione parziale di Ossigeno (rarefazione dell'aria), fattore a cui non è stato sinora possibile
opporre un adattamento culturale.
Passando dal livello del mare in cui la pressione è di 760 mm di Hg (21% di Ossigeno) ai 3000 m,
523 mm di Hg (14% di Ossigeno), si ha una carenza di Ossigeno nel sangue (ipossemia o ipossia).
Per colmare questo deficit intervengono delle reazioni fisiologiche di compensazione: respirazione
17
accelerata (polipnea), aumento del battito cardiaco (tachicardia), se la permanenza perdura si ha
un aumento del numero dei globuli rossi che da 5 milioni per millimetro cubo al livello del mare
passano a 6-8 milioni a circa 4000 m s.l.m. Questo aumento dei globuli rossi determina un
aumento del tasso di emoglobina e ciò provoca un miglioramento nella fissazione e nel
trasporto dell'Ossigeno. Tuttavia il plasma sanguigno non aumenta di volume e ciò crea una
maggiore viscosità del sangue e di conseguenza aumenta il lavoro del cuore, per facilitare la
circolazione del sangue è necessaria una dilatazione dei vasi capillari.
Le popolazioni che vivono permanentemente in alta montagna presentano un adattamento
di tipo fisiologico e morfologico all'ambiente di alta montagna.
Gli Sherpa (letteralmente: popolo dell’est), popolazione di alta montagna emigrata nel Nord-Est del
Nepal dal Tibet, parlano ancora tibetano e praticano il Buddismo tibetano, sono presenti anche
nell’Est Bengala (India). Uno studio sulle dimensioni corporee condotto da Gupta e Basu (1981) su
Sherpa di alta montagna: 3500-4500 m s.l.m., regione Upper Khumbu del Nepal e Sherpa viventi a
quote inferiori: 1000-1500 m s.l.m., regione Kalimpong dell’Est Bengala, ha evidenziato, per
entrambi i sessi, che gli Sherpa d’alta quota hanno mostrato dei valori maggiori, statisticamente
significativi, per una serie di variabili antropometriche, tra le quali citiamo: peso, statura da seduto,
diametro biacromiale, diametro bicrestiliaco, perimetro toracico in inspirazione e in espirazione; e
per una serie di indici, tra i quali citiamo: indice di massa corporea, rapporto torace su statura,
grasso corporeo, superficie totale rapportata al peso, indice nasale (per questi ultimi due indici il
minore valore è presentato da quelli d’alta montagna). Questi risultati supporterebbero le regole di
Bergmann e di Allen che postulano che la riduzione della superficie esposta e della lunghezza delle
estremità nelle popolazioni a clima freddo rispetto a quelle a clima caldo per ridurre la perdita di
calore.
Uno studio antropometrico condotto in un’area Himalayana, tra soggetti maschili in accrescimento
di una popolazione indiana d’alta quota (3000 m s.l.m.) e di un’altra residente a quota inferiore
(800 m s.l.m.) ha evidenziato che per tutte le classi d’età considerate (5-18 anni) quelli d’alta quota
presentano una lunghezza toracica maggiore, statisticamente significativa. Inoltre, la statura è
sempre inferiore in quelli d’alta montagna, mentre la circonferenza toracica, la larghezza toracica e
la capacità vitale sono generalmente maggiori. Questo differente andamento dell’accrescimento è
stato interpretato come conseguenza di un differente potenziale genetico per l’accrescimento e
dell’azione di fattori ambientali. La maggiore dimensione del torace e della capacità vitale farebbe
ipotizzare un adattamento alle condizioni ambientali presenti in alta montagna (Malhotra, 1986, p.
359).
Esaminando 4 popolazioni a differenti altitudine: Kirghizi del Pamir a 3200 m s.l.m., Kazakhi del
Tien Shan a 2100 m s.l.m., Kirghizi di Talas a 900 m s.l.m. e Uighur a 600 m s.l.m., è stato rilevato
che la statura risulta simile tra le popolazioni, sono brachischeliche, l’indice di massa corporea
diminuisce con l’aumentare della quota, e soprattutto interessante nelle popolazioni a maggiore
altitudine si rilevano i maggiore valori per l’emoglobina, gli eritrociti e l’ematocrito (Fiori et al.,
1997).
Da tempo è noto che le popolazioni andine d’alta quota presentano dei valori elevati di
concentrazione dell’emoglobina, la spiegazione data è che questo fenomeno sia conseguenza di una
risposta di adattamento genetico all’ipossia. Tuttavia il fatto che le popolazioni tibetane d’alta quota
presentino per la concentrazione di emoglobina dei valori inferiori rispetto a quelli andini, ed alle
18
volta simili a quelli di popolazioni di pianura, ha posto il problema se le risposte adattative possano
essere considerate universali (Beall et al. 1998, AJPA 106: 385-400). Studiando una popolazione
tibetana ed una andina (gli Aymara, Bolivia) d’alta quota, situate tra 3800-4065 m s.l.m., per la
concentrazione di emoglobina si è ottenuto per i maschi 15,6 g/dl nei Tibetani e 19,2 g/dl negli
Andini, per le femmine 14,2 g/dl per le Tibetane e 17,8 g/dl per le Andine. I valori presentati dai
Tibetani sono simili a quelli di popolazioni USA residenti a livello del mare, mentre gli Aymara
mostrano valori di 3-4 g/dl superiori. Comunque altri studi hanno dimostrato che i Tibetani hanno
un livello inferiore del 2-3% di SaO2 (percentuale di saturazione di ossigeno di emoglobina
arteriosa) rispetto agli Aymara, denotando per i Tibetani una maggiore ipossia arteriosa, d’altro
canto è stato rilevato che i Tibetani possiedono una ventilazione polmonare maggiore rispetto agli
Aymara. Dunque l’insieme di questi risultati suggerisce che la risposta adattativa alla
selezione da ipossia d’alta quota possa essere differente nelle varie popolazioni (Beall et al.,
1998 AJPA, 2007 PNAS USA 104: 8655-8660).
Confermano questa diversità della risposta adattativa Simonson et al. (2010, Science, 329: 72-
74):
The Tibetan highlands are one of the most extreme environments inhabited by humans. Many
present-day Tibetan populations are thought to be descendants of people who have occupied the
Tibetan Plateau since the mid-Holocene, between 7000 and 5000 years ago , and possibly since the
late Pleistocene, ~21,000 years ago. Compared with Andean populations living in similar high-
altitude conditions, Tibetans exhibit a distinct suite of physiologic traits: decreased arterial oxygen
content, increased resting ventilation, lack of hypoxic pulmonary vasoconstriction, lower incidence
of reduced birth weight, and reduced hemoglobin (Hb) concentration (on average, 3.6 g/dl less for
both males and females). Neighboring Han Chinese individuals and other nonadapted lowland
visitors to high-altitude regions develop increased Hb concentration to compensate for the hypoxic
high-altitude environment, and this response is associated with adverse effects. High-altitude
Tibetans maintain normal aerobic metabolism, despite profound arterial hypoxia, perhaps through
the existence of changes in the oxygen-transport system. For example, elevated circulating NO
levels increase vasodilation and blood flow, which, when combined with increased ventilation ,
may increase the availability of oxygen to cells. Collectively, these traits strongly suggest that
Tibetans have adapted uniquely to extreme high-altitude conditions.
Patologia climatica
Paludismo
Le popolazioni che vivono da molto tempo in aree dove esiste od esisteva la malaria in forma
endemica sono portatrici di varianti emoglobiniche (falcemia, talassemia) o enzimatiche
(deficit di G-6-PD), per mutazione recessiva, che conferiscono all'eterozigote un vantaggio
selettivo per una maggiore resistenza all'infezione del plasmodio, il parassita causa della
sintomatologia della "malaria". In Sardegna il parassita responsabile della forma
maggiormente virulenta della malaria (terzana maligna) era il Plasmodium falciparum
(protozoo parassita, Regno Protista) il cui vettore era la zanzara femmina del Genere
Anopheles, in particolare A. labranchiae.
19
Gruppo sanguigno Duffy e la malaria: un esempio di selezione naturale in favore dell’omozigote
recessivo
Nelle emazie (o eritrociti o globuli rossi) umane sono contenute nella membrana esterna
particolari sostanze: glicolipidiche o glicoprotidiche (alcool solubili), dette agglutinogeni (che si
comportano come antigeni) che qualora vengano in contatto con specifici anticorpi del siero
(agglutinine) reagiscono determinando l’agglutinazione dei globuli rossi. Ricordiamo i sistemi:
AB0, MNSs, Rh (Rh+ e Rh-), P (pk , p1k e p), Kell (K e k). Il gene del gruppo sanguigno Duffy,
cromosoma 1, è costituito da 3 alleli codominanti: Fya, che codifica per l’antigene a; Fyb, che
codifica per l’antigene b; e Fy0, che codifica per l’assenza dell’antigene Duffy. Il gruppo
sanguigno Duffy è un sito recettore per l’ingresso nell’eritrocita di alcuni tipi di parassiti della
malaria. Gli omozigoti per Fy0(Fy0Fy0) non possono essere infettate dal Plasmodium vivax che
causa la malaria da vivax. L’allele Duffy-0 è stato trovato con frequenze elevatissime in Africa
centrale e meridionale, dove ha raggiunto un valore di 1,0 (100%) in numerose popolazioni. È
stato trovato anche con frequenze da moderate ad elevate in Nord Africa e in Medio Oriente e a
basse frequenze in alcune regioni dell’India, mentre le sue frequenze sono quasi o uguali a zero in
altre parti del mondo. Il fatto che un allele vari da 0 ad 1nelle popolazioni, mostrando la massima
variazione possibile in una specie, indicherebbe che ci sia l’azione della selezione in ambienti
diversi (Relethford, 2013, pp. 214-215).
Gruppi sanguigni e vaiolo
I portatori del gruppo sanguigno A1 ed N sarebbero soggetti ad una maggiore mortalità da vaiolo.
La peste sarebbe anti 0 ed anti A1.
Tubercolosi
La tubercolosi polmonare si stima che nel secolo scorso fosse causa di circa un terzo dei decessi
degli adulti di una città. I malati di tubercolosi polmonare presentavano longilinia, perimetro
toracico ridotto, e magrezza. La selezione attraverso la tubercolosi agiva a favore dei brevilinei,
tuttavia poiché la mortalità infantile colpisce soprattutto i neonati piccoli , la selezione ha avuto
un effetto stabilizzante nel senso della forma d'azione della selezione e nel senso del mantenimento
di una statura media.
La tubercolosi avrebbe favorito anche la brachicefalizzazione. Se la fecondità differenziale
favorisce i dolicocefali, la mortalità differenziale agisce contro di loro favorendo in primis i
mesocefali e secondariamente i brachicefali. Infatti è stato rilevato che mentre da un lato i
20
dolicocefali presentano mediamente delle fratrie più numerose, quindi sarebbero favoriti da
una fecondità differenziale, d'altro canto la sopravvivenza sarebbe maggiore nei mesocefali
soprattutto (selezione stabilizzante) e nei brachicefali secondariamente.
La brachicefalizzazione secolare è soprattutto un fenomeno connesso all'allargamento del cranio
più che ad un suo accorciamento. Con la scomparsa della mortalità da tubercolosi anche la
tendenza alla brachicefalizzazione ha perso un fattore selettivo vantaggioso.
Infatti, in base alle caratteristiche di 1000 crani esumati a Lisbona nel 1880 di cui si conosceva il
sesso, la professione e la causa di morte, i soggetti di sesso maschile che erano stati eliminati per
aver contratto la tubercolosi, circa 1/3 del campione maschile (Olivier et al., 1979), presentavano
in media una testa più allungata, la faccia più allungata e più stretta ed erano anche
probabilmente di statura alta (Olivier e De Castro e Almeida, 1972; Olivier et al., 1979); inoltre
erano in genere più giovani e più spesso non sposati (Olivier et al., 1979). I soggetti morti per
peste e per vaiolo presentavano delle caratteristiche craniche similari (Olivier et al., 1979). Con
la quasi scomparsa della mortalità per tubercolosi e delle epidemie viene di fatto a mancare
questo svantaggio selettivo e s'innesta pertanto un processo di controtendenza. Occorre
comunque considerare che la debrachicefalizzazione può trovare spiegazione anche nelle modi-
ficazioni secolari attualmente in atto se consideriamo la stretta relazione che sussiste fra forma del
capo e dimensioni corporee.
Caratteristiche fisiche delle popolazioni umane di macroaree geografiche
Aree circumpolari
Le aree circumpolari si estendono nel Nord dell'Europa, dell'Asia e dell'America, dove termina la
foresta boreale e si ha la tundra, dai 50-60 gradi fino ai 70° di latitudine Nord. La temperatura
raggiunge d'Inverno dei valori molto bassi, sempre al di sotto di 0 gradi centigradi, l'Estate è
piuttosto fresca, pur avendosi in qualche zona particolare, giorni estivi caldi; l'umidità è scarsa.
Le popolazioni che vi abitano sono: Lapponi, popolazioni nord-siberiane ed Eschimesi.
Sami o Lapponi Inuit o Eschimesi
21
La loro origine è diversa, i primi hanno probabilmente avuto origine da dei cacciatori
paleolitici di matrice alpina, la seconda da cacciatori paleolitici di matrice mongolica e gli
Eschimesi da popolazioni siberiane. Tutti comunque vi si sono insediati dopo il ritiro dei
grandi ghiacciai quaternari. Occorre quindi rilevare che benché la selezione sia stata
certamente severa ha agito per un periodo di tempo relativamente breve. Non va inoltre
dimenticato che queste popolazioni proprio per la natura stessa dell'ambiente sono state soggette
fin dalle prime fasi del loro insediamento a fenomeni di isolamento con conseguente endogamia
ed effetti di deriva genetica. Prova delle condizioni ambientali particolarmente avverse è senza
dubbio il fatto che la durata media della vita in Groenlandia nel 1946-51 fosse di 32 anni nei
maschi e di 37 nelle femmine. Nel 1966-70 è variata a 57 anni nei maschi e 67 anni nelle femmine,
nel 2007 sarebbe pari a 66,7 nei maschi e 73,9 nelle femmine. Da notare che per la Sardegna la
speranza di vita alla nascita o età media nel 2007 risulta pari a 78,0 nei maschi e 84,7 nelle
femmine.
Dal punto di vista somatico queste popolazioni sono caratterizzate da una tendenza alle
stature basse, al torace ampio ed all'accorciamento degli arti inferiori e superiori; la faccia è
appiattita con pannicolo adiposo a livello dei seni mascellari; presentano frequentemente una
quantità di grasso corporeo superiore alla media. Tutte queste caratteristiche tendono a
diminuire la dispersione del calore, in particolare attraverso la diminuzione della superficie
corporea in relazione alla massa.
Il naso è alto e stretto, tramite la sua forma consente una protezione dell'ipotalamo e dei
polmoni dall'aria fredda, grazie al riscaldamento ed umidificazione che subisce l'aria attraverso un
più lungo percorso a contatto con le mucose nasali.
Il colore della pelle è chiaro nei Lapponi, con notevole capacità di abbronzarsi. Gli Eschimesi e i
Siberiani hanno un colorito più scuro. La dieta essenzialmente a base di pesce ha probabilmente
consentito un apporto tale di vitamina D da non dover ricorrere all'assorbimento delle radiazioni
ultraviolette.
La pelosità è scarsa e la sudorazione ridotta rispetto ai cosiddetti Europoidi.
Gli adattamenti fisiologici comportano una maggiore resistenza al freddo per aumento del
metabolismo basale che tuttavia potrebbe essere in relazione alla dieta eminentemente
proteica.
Presentano un maggior flusso sanguigno nelle aree cutanee più esposte.
La velocità di crescita è più lenta e la pubertà femminile intorno ai 14 anni.
Queste popolazioni hanno mostrato inoltre un grande adattamento culturale alle avverse
condizioni naturali come la tendenza alla cooperazione, all'aiuto reciproco ed alla scarsa
aggressività (Martuzzi Veronesi, in: Facchini, 1995).
22
Inuit che costruiscono un Igloo
Ambiente di alta montagna
Si considera come tali le aree abitate stabilmente, poste ad un livello superiore dei 2500 m
s.l.m., livello al quale comincia ad essere sensibile la riduzione della pressione parziale di
Ossigeno. L'altitudine di per se non crea una uniforme situazione ecologica, in quanto la
temperatura, l'umidità e le radiazioni naturali possono presentare, a parità di quota, delle
differenze sostanziali.
Resta il fatto che la riduzione parziale della pressione di Ossigeno è il solo fattore
proporzionale all'altitudine s.l.m. ed è anche l'unico, che l'Uomo sia stato incapace di
modificare ed al quale deve necessariamente adattarsi se vuole sopravvivere.
Le popolazioni considerate sono quelle delle:
- regioni andine,
- alcune zone dell'Africa,
23
- le regioni circum-himalayane in Asia.
L'ambiente proprio di tutte queste aree è caratterizzato, oltre che dall'alta quota, da
temperature basse e da una forte intensità delle radiazioni solari.
Dal punto di vista somatico queste popolazioni sono caratterizzate da una bassa statura,
riduzione della lunghezza degli arti, riduzione del peso rispetto alla statura, torace
voluminoso.
L'adattamento fisiologico ha comportato maggiore concentrazione di emoglobina,
policitemia, aumento della frequenza respiratoria e della ventilazione polmonare,
adattamenti conseguenti alla diminuita parziale pressione di Ossigeno.
La pubertà è tarda, l'accrescimento lento, la fertilità ridotta, la mortalità infantile è alta.
Queste due ultime caratteristiche sembrerebbero da collegarsi non tanto alle condizioni
socio-economiche quanto all'altitudine. L'adattamento culturale a questo fenomeno
sarebbe diretto a compensarlo tramite comportamenti familiari e matrimoniali che
agiscono in favore della natalità (Martuzzi Veronesi, in: Facchini, 1995).
Pur nelle oggettive difficoltà di adattamento che presenta l'ambiente d'alta montagna offre
anche aspetti positivi: l'aumento delle radiazioni ultraviolette rende molto rari, a parità di
condizioni socio-economiche ed igieniche, i casi di rachitismo; le stesse radiazioni, il freddo e
l'aria asciutta limiterebbero l'insorgenza e la diffusione delle malattie infettive (Martuzzi
Veronesi, in: Facchini, 1995).
In generale si rileva in queste popolazioni un isolamento genetico, favorito dalle condizioni naturali
e culturali per cui tendono a frammentarsi in tante subpopolazioni ad elevato grado di
consanguineità e con evidenti manifestazioni di deriva genetica.
Andini Tibetani
Ambiente desertico
Si considera l'ambiente proprio del deserto del Sahara, del Calahari ed australiano
nonché le aree ai loro margini.
Le caratteristiche ambientali comuni sono riassumibili in: grande aridità (meno di 250 mm di
pioggia all'anno), l'alta temperatura media e la grande escursione termica giornaliera.
Vi abitano principalmente i Berberi del Sahara, I Boscimani del Calahari ed in Australia dei
particolari gruppi di Aborigeni.
Dal punto di vista somatico queste popolazioni sono caratterizzate dalla tendenza ad un certo
sviluppo corporeo rispetto al peso, sono infatti magri, anche se non alti, presentando così il
tipico adattamento ad un ambiente caldo secco, in quanto questa struttura tende a
24
minimizzare sia la necessità che la perdita d'acqua. Lo spessore del pannicolo adiposo è
maggiore negli abitanti del Sahara e negli aborigeni australiani che nei Boscimani
L'adattamento fisiologico al caldo ed alle variazioni di temperatura caratterizzano Berberi e
Boscimani per una temperatura corporea alquanto bassa e nel contempo da forte
sudorazione, la quale esigenza se può sembrare non facile da soddisfare in un ambiente così
povero d'acqua, è comunque da ritenersi legato alla necessità di mantenere bassa la
temperatura corporea (Martuzzi Veronesi, in: Facchini, 1995).
Gli Australiani presentano anch'essi una notevole sudorazione e la capacità d'arrestarla se
si trovano in un ambiente caldo umido. Esposti al freddo notturno non aumentano il loro
metabolismo, come invece fanno i Boscimani, ma diminuiscono l'irrorazione superficiale e la
temperatura (17 °C nei piedi), essendo così minori le esigenze energetiche. Gli Australiani
sembrerebbero dunque ben adattati a sopportare sia le alte sia le basse temperature.
I Boscimani hanno la pressione arteriosa piuttosto bassa e lenta frequenza cardiaca.
Tuareg Boscimani
Ambiente tropicale di savana e semiarido
Le aree presentanti questo tipo di ambiente sono caratterizzate da due periodi di piogge alternati a
stagioni secche. La temperatura media annua è intorno ai 25°C con scarsa escursione termica
giornaliera e stagionale. Tali territori si estendono tra i 5-10 e 15-20 gradi di latitudine, sia a Nord
che a Sud, prevalentemente in Africa e America. Si hanno foreste a galleria lungo i corsi
d'acqua, ma la formazione caratteristica è la savana con erbe alte e folte e qualche albero
particolare (baobab, acacia) (Martuzzi-Veronesi, in: Facchini, 1995).
Probabilmente questo è l'ambiente originario della specie umana, quello perlomeno a cui
sembrerebbe biologicamente più adattato. Tale adattamento è evidenziabile soprattutto nelle
popolazioni africane, piuttosto che nelle popolazioni indigene del Sud America, probabilmente per
il fatto che su questi ultimi la selezione non ha avuto tempi lunghissimi di azione.
I popoli africani che vivono in questo ambiente sono caratterizzati da alta statura e
proporzioni fortemente longilinee, particolarmente adatte a scambi termici con l'ambiente
25
presentando un'ampia superficie rispetto alla massa corporea. Questa complessione corporea
longilinea, con arti inferiori e superiori particolarmente allungati ottimizza la dispersione
del calore. Nei climi caldi infatti è determinante la capacità di eliminare attraverso una
migliorata termolisi l'eccesso di calorie prodotte dai processi metabolici; cosicché la statura tende
ad aumentare con l'aumento della temperatura ed a diminuire con l'aumento dell'umidità.
Queste popolazioni sono caratterizzate anche da uno scarsissimo pannicolo adiposo, hanno
generalmente pelle assai scura, probabilmente in relazione alla forte intensità delle
radiazioni ultraviolette (Martuzzi-Veronesi, in: Facchini, 1995).
Dal punto di vista dell'adattamento fisiologico presentano un maggiore risparmio salino,
evidenziando, rispetto ai cosiddetti Europoidi, un minor contenuto di cloruri nel sudore,
sudorazione in genere più rapida e meglio distribuita nella superficie corporea, maggiore
flusso sanguigno nella cute, particolarmente nelle parti più esterne del corpo, minore
frequenza cardiaca. Hanno bassa capacità vitale e presentano molta aria residua, ciò viene
interpretato come un vantaggio selettivo in quanto i polmoni sarebbero così meno esposti
all'influenza disidratante dell'aria calda e secca inspirata.
Presentano un'alta incidenza di talassemia e sicklemia (Martuzzi-Veronesi, in: Facchini, 1995).
Donna Masai Donna Turkana
Ambiente di foresta equatoriale
Questo tipo di ambiente è caratterizzato da una temperatura media elevata (circa 25°C) con
scarsa escursione termica giornaliera e stagionale. L'umidità è elevatissima, le piogge abbondanti in
ogni stagione.
Questo ambiente è compreso, in genere, tra i 10 gradi di latitudine Nord e i 5 gradi di latitudine
Sud, può tuttavia variare nei diversi continenti in conseguenza di fattori locali: Africa, Asia
(arcipelago della Sonda), America meridionale ed Oceania.
La formazione vegetale caratteristica è la foresta pluviale tropicale, in tale areale sono
presenti i Pigmei d'Africa, ancora cacciatori e raccoglitori, ma anche altre popolazioni ad economia
agricola. La più grande foresta pluviale del mondo è quella dell'Amazzonia, nell'America del Sud. Essa copre un
territorio di circa 7 milioni di chilometri quadrati (pari a circa venti volte l'Italia). La seconda foresta
pluviale per estensione si trova in Africa Centrale e ricopre il bacino del fiume Congo.
Morfologicamente le popolazioni di questo ambiente sono caratterizzati da statura bassa,
soprattutto per accorciamento degli arti inferiori:
26
- Pigmei della Nuova Guinea (147 cm circa),
- Pigmei africani (150 cm circa),
- Yanomami dell’Amazzonia (153 cm circa).
Testa, faccia, naso e spalle sono più larghi rispetto alle popolazioni di ambiente più aperto, le
labbra più sottili, le anche più strette, il pannicolo adiposo è scarsissimo.
Il colore della pelle tende, perlomeno in Africa, a diventare meno scuro passando dalla
savana alla foresta.
Il metabolismo basale è basso così come la pressione sanguigna.
Il menarca è particolarmente tardivo, nei Pigmei della Nuova Guinea sarebbe intorno ai 17 anni.
Pigmei
27
Aree temperate europee e mediterranee
L'Europa e le aree mediterranee sono caratterizzate da clima temperato, eccetto le regioni
dell'estremo Nord, dove si ha clima rigido, ed ai confini col Sahara dove l'ambiente tende a divenire
desertico. Anche le aree montane stabilmente abitate non raggiungono altitudini molto elevate e
quindi situazioni ecologiche estreme. Vi sono tuttavia, in conseguenza della grande estensione nel
senso della latitudine, variazioni di temperatura ed umidità, che caratterizzano singole regioni ed
alle quali le popolazioni si sono adattate (Martuzzi-Veronesi, in: Facchini, 1995).
Crognier (1981) in una analisi delle relazioni fra caratteristiche fisiche ed ambiente climatico in
Europa e nelle aree circum-mediterranee trova che con l'aumentare della temperatura dell'aria
corrisponde una diminuzione della statura che tende a diventare più bassa con il diminuire della
umidità. Comunque queste ipotesi sembrano venir meno quando le condizioni diventano estreme
come nel caso dei Lapponi. Lo stesso andamento sembra avere il peso che appare mostrare una
correlazione più elevata, soprattutto con il diminuire della umidità. Si verificherebbe dunque
anche in questo ambiente la relazione fra aumento della superficie corporea e necessità di
disperdere il calore. Le popolazioni mediterranee a clima più caldo avrebbero infatti una
superficie corporea relativamente maggiore rispetto al volume nei confronti delle popolazioni
settentrionali.
Anche la forma del naso sembrerebbe essere in rapporto con il clima, soprattutto l'altezza,
più l'aria e fredda e secca e maggiormente il naso risulterebbe alto e stretto, per cui nelle
popolazioni alpine ed in quelle settentrionali l'indice nasale è basso.
La relazione tra latitudine e pigmentazione troverebbe conferma anche in Europa e nel
bacino del mediterraneo, in quanto andando dal Nord verso il Sud si nota una progressivo
aumento della pigmentazione della pelle, degli occhi e dei capelli. Anche per queste
corrispondenze si avrebbe nei Lapponi un'eccezione essendo meno chiari delle popolazioni
limitrofe nordiche e baltiche.
Alcune popolazioni europee e mediterranee mostrano strette relazioni con l'ambiente un tempo
malarico evidenziando un polimorfismo bilanciato per alcune patologie emoglobiniche: talassemia,
deficit di G-6-PD.
Pastore sardo
Adattamenti all'ambiente culturale
28
I differenti aspetti della cultura umana, le organizzazioni sociali e le tecnologie realizzano
un ambiente "culturale" che agisce sulle popolazioni determinando un adattamento sia di
tipo fenotipico sia genotipico. Attualmente questo tipo di ambiente assume un'importanza
maggiore di quello naturale nel determinare la variabilità tra e all'interno delle popolazioni.
Ibridazione
L'ibridazione è l'incrocio di individui appartenenti ai maggiori raggruppamenti umani o
all’interno di uno di essi tra sottogruppi. Secondo Olivier (1977) questo particolare tipo di
unione sarebbe il fattore che avrebbe maggiormente modificato le frequenze alleliche e quindi
l'aspetto delle popolazioni. L'ibridazione tra individui appartenenti ai maggiori raggruppamenti
umani è spesso la conseguenza di flussi migratori che comportano un flusso genico da una
popolazione ad un'altra, solitamente non si tratta di nuovi geni ma di frequenze differenti.
L'ibridazione è il risultato di un esogamia spinta al limite estremo. Dal punto di vista genetico
l'ibridazione tra individui appartenenti ai maggiori raggruppamenti umani comporterebbe
l'accumulo di fattori eterozigoti e la diminuzione degli omozigoti.
I figli nati da unioni tra individui appartenenti ai maggiori raggruppamenti umani presenterebbero
una statura vicina a quella del gruppo parentale più alto. Inoltre sembrerebbe che a parità di
condizioni socio-economiche e di alimentazione presentino fenomeni di eterosi.
L'eterosi o esuberanza degli ibridi è un termine inizialmente utilizzato in botanica ed in
zoologia che indica, negli ibridi, una maggiore resistenza, oppure uno sviluppo vegetativo
maggiore, oppure una maggiore fecondità o, talvolta, le tre caratteristiche insieme. Queste
proprietà si limitano, in genere, alla prima generazione e comunque non sarebbero generali e
neppure costanti (Olivier, 1977). L’effetto eterotico comunque non è stato rilevato in campioni
sardi di figli di matrimoni endogamici ed esogamici (Sanna et al., 2002, 2003, 2010).
Chakraborty et al. (1992), in base ai dati relativi a 15 loci (52 alleli, di cui 18 unici per la
popolazione afro-amaricana e 5 unici per i Nord-americani di origine Europea), stimano in
circa il 25% la proporzione di geni “caucasoidi” nel patrimonio genetico degli Afro-
americani. Comunque va sottolineato che esistono stime differenti, inferiori o anche superiori
a quanto proposto da Chakraborty et al. (1992), stime condizionate dai polimorfismi
analizzati e dalle popolazioni campionate. Inoltre sottolineiamo che le proporzioni di
admixture di una popolazione non necessariamente corrispondono a quelle di ogni individuo
che la compone (Relethford, 2013, Genetica delle popolazioni umane, pp. 295-298. Casa
Editrice Ambrosiana: Milano.)
Per non dimenticare teniamo in considerazione che nella tratta degli schiavi dall’Africa alle
Americhe, dal XV al XIX secolo, alcuni stimano una deportazione di 15 milioni di individui. Nel
corso del XVIII secolo gli schiavi africani trasbordati oltre Atlantico sono stati stimati in sei milioni
di individui, di cui due milioni e mezzo ad opera di navi del Regno Unito.
Si stima che il 15% degli africani morivano in mare, il tasso di mortalità inoltre risulta
sensibilmente più alto nella stessa Africa nelle fasi di cattura e trasporto dei popoli alle navi
La tratta inoltre non ha avuto impatto uniforme sul continente africano: a essere coinvolte
maggiormente sono state le coste occidentali dell'Africa - più vicine alle Americhe – quali:
Sudan occidentale, Costa d'Oro (Ghana), Sierra Leone, Liberia e Guinea. http://it.wikipedia.org/wiki/Tratta_atlantica_degli_schiavi_africani
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