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BOZZA NON CORRETTA

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CAMERA DEI DEPUTATI SENATO DELLA REPUBBLICA

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ

ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI

RESOCONTO STENOGRAFICO

MISSIONE A BENEVENTO E CASERTA

8 GIUGNO 2011

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GAETANO PECORELLA

Audizione dei rappresentanti della procura di Santa Maria Capua Vetere

La seduta inizia alle 16.50.

PRESIDENTE. La commissione è stata a Caserta nel maggio dello scorso anno. Siamo

particolarmente interessati a ciò che è accaduto da quel momento in poi. Ringrazio il procuratore

Corrado Lembo e la sua nutrita delegazione per la disponibilità.

Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico,

che sarà pubblicato sul sito Internet della Commissione e che, se vi sono notizie che devono restare

riservate, avvertirete la Commissione e la seduta sarà secretata.

Sono presenti il dottor Lembo, procuratore della Repubblica, la dottoressa Capasso,

procuratore aggiunto della Repubblica, il dottor Ceglie, sostituto procuratore della Repubblica,

referente della IV Sezione indagine, il professore ingegner Paolo Massarotti, professore associato di

Meccanica razionale alla Facoltà di ingegneria dell’Università «Federico II» di Napoli, il professor

ingegner Rodolfo Napoli, professore ordinario di Ingegneria sanitaria e ambientale alla facoltà di

Ingegneria dell’Università «Partenope», il professor Massimiliano Lega, professore aggregato di

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Ingegneria sanitaria e ambientale alla facoltà di Scienze e tecnologie dell’Università «Partenope», il

dottor Agostino Delle Femmine, direttore del Servizio territoriale dell’ARPAC di Caserta.

Possiamo dire che è una Commissione integrata nalla quale si mescolano culture tecniche e

giuridiche.

Cedo la parola al procuratore Corrado Lembo.

CORRADO LEMBO, Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. La ringrazio,

signor presidente. Se lei mi autorizza a usare il tempo distribuendo la parola ai colleghi che sono

intervenuti e anche ai docenti universitari e agli altri esperti che ci hanno aiutato nel fare le indagini

su diversi campi e in diversi settori, procederei in questa direzione.

PRESIDENTE. Lascio a lei la direzione.

CORRADO LEMBO, Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. La ringrazio

per questo invito che ci dà la possibilità di illustrare non tanto i contenuti delle indagini in corso, di

cui pure dirò, ma soprattutto un nuovo metodo di lavoro che abbiamo ritenuto di condividere per

affrontare in modo sistematico delle criticità che presentano profili di complessità, di

multidisciplinarietà e richiedono come assolutamente necessario un coordinamento tra diverse

competenze amministrative e giudiziarie insieme.

Per quanto concerne le indagini di scenario di cui ho parlato nella precedente audizione e, in

particolare, quelle relative alla raccolta, alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani nel

territorio provinciale, le indagini sono concluse.

Sono alla valutazione del magistrato titolare delle indagini le determinazioni del caso, sulle

quali non mi soffermo perché ho ritenuto di comunicare integralmente tutte le notizie ostensibili

senza opporre il segreto investigativo. Ritengo, infatti, in questa fase, in cui non è necessario

precisare i nomi e cognomi degli indagati né tanto meno l’oggetto specifico delle indagini, che

quello che occorre individuare sono i problemi che credo interessino questa onorevole

Commissione.

Per quanto concerne le indagini sui Regi Lagni, prima di dare la parola al professor

Massarotti, custode giudiziario degli impianti di depurazione sottoposti a sequestro conservativo a

seguito della richiesta del collega Ceglie nell’ambito del relativo procedimento, vorrei dire soltanto

che c’è un’interconnessione di sistemi di depurazione che attraversano tutta l’asta valliva dei Regi

Lagni e che sono posizionati in territori di province diverse.

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Questo crea dei problemi di coordinamento anche per quanto concerne le indagini

preliminari che attengono a questa materia. Abbiamo proceduto al sequestro di tre impianti di

depurazione. Sentirete dalla diretta voce del professor Massarotti che si è innestato un circuito

virtuoso: la custodia giudiziaria, che ha comportato la gestione degli impianti secondo criteri

diversi da quelli messi «sotto processo», ha determinato anche un effetto virtuoso sugli altri

impianti. Si è ritenuto, infatti, da parte degli organi amministrativi competenti, la regione e la stessa

Hydrogest, di affidare al professor Massarotti la soluzione dei problemi gestionali riguardanti gli

altri impianti ancorché questi non siano stati sottoposti a sequestro preventivo, una circostanza non

trascurabile in questa sede.

Fondamentale è che si sia avviato un processo di rifunzionalizzazione degli impianti, per cui

il processo penale questa volta è servito a qualche cosa; in secondo luogo, i fanghi di depurazione

che venivano smaltiti tal quali nei Regi Lagni, e quindi a mare, oggi vengono invece smaltiti

secondo criteri legali.

Parliamo di ben 50.000 tonnellate di fanghi che, se non ci fosse stato un intervento della

magistratura inquirente, tanto bistrattata in questi ultimi tempi, sarebbero stati sversati direttamente

nei Regi Lagni e dunque a mare. Ecco perché le acque del mare prospiciente la foce dei Regi Lagni

sono diventate più chiare: per questo semplice fatto fisico, ma non è solo questo il punto.

Purtroppo, c’è, infatti, anche l’altra faccia della medaglia: abbiamo ben 14 comuni sparsi tra

le province di Caserta e Napoli che sversano tal quali i loro reflui urbani nelle acque dei Regi

Lagni. Questo è un gravissimo problema che deve essere risolto attraverso collettamenti agli

impianti di depurazione, che ovviamente non appartengono alla competenza dell’autorità

giudiziaria, ma che diverranno sicuramente competenza dell’autorità giudiziaria nel momento in cui

nessuno si darà da fare per risolvere questo problema.

Ho il dovere di segnalare alla Commissione parlamentare questo dato che mi sembra di

importanza non trascurabile. Se mi consente, signor presidente, poiché ci sono dati tecnici

interessanti che saranno esemplificati opportunamente, darei in questo momento la parola al

professor Massarotti, se lei mi autorizza, che è il custode giudiziario, che vi dirà che cosa è stato

fatto specificamente sugli impianti di depurazione dei Regi Lagni.

PAOLO MASSAROTTI, Professore di Meccanica razionale Università Federico II di Napoli.

Naturalmente, saluto e ringrazio di quest’occasione voi tutti e in particolare il procuratore. Sono

stato nominato custode giudiziario e adesso cercherò molto sinteticamente di rappresentare quello

che è stato fatto nel periodo in cui sono stato nominato, cioè dall’aprile 2010 a tutt’oggi.

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Proprio per introdurre i fatti più salienti vi dico che parliamo, sostanzialmente, di cinque

impianti di depurazione nati in occasione del colera, realizzati dalla Cassa per il Mezzogiorno, con

un insieme di collettori, cioè fognature, che dovevano portare i reflui dei vari comuni a questi

impianti. Parliamo del 1974-80. Questi impianti, naturalmente, subiscono un naturale ma anche un

accidentale deterioramento. Si arriva al 2003, quando si decide di gestire attraverso questo nuovo

strumento di finanza, il project financing, un intervento sostanzialmente di restyling e di

adeguamento e rifunzionalizzazione degli impianti stessi. Precisamente, nel 2004 si indice una gara

di project financing, esperita e vinta dalla società Hydrogest Campania, costituita come

associazione temporanea di imprese dalla Termomeccanica Ecologia, dalla Cooperativa costruttori

e dalla Giustino costruzioni.

Per una serie di ricorsi effettuati da coloro che non avevano vinto, la consegna effettiva

degli impianti avviene del 2007. Si sviluppa il lavoro di questa società sotto il controllo della

regione fino all’8 aprile 2010, quando - a seguito delle contestazioni di disastro ambientale

promosse dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere - si ha il sequestro di tre dei cinque impianti:

Villa Literno, Marcianise e Napoli Nord. Gli impianti di Cuma e di Acerra, che ricadono viceversa

in territorio napoletano, non vengono sequestrati. Il GIP Santise sequestra questi impianti e mi

nomina custode giudiziario.

Per concludere gli aspetti squisitamente giuridici di questa vicenda, che è passata ad aspetti

più squisitamente tecnici e gestionali, nell’aprile 2010 la richiesta di dissequestro degli impianti da

parte della Hydrogest viene rigettata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Nel febbraio 2011

il tribunale di Napoli riconferma il sequestro e conferma anche la custodia giudiziaria.

Quando sono intervenuto come custode giudiziario c’era una concessione, forse non ben

gestita, ma comunque vigente, non denunciata da nessuno dei due contraenti, né dalla regione né

dalla Hydrogest. Innanzitutto, mi sono informato su cosa prevedesse questa concessione: era di

durata quindicennale e prevedeva la gestione dei cinque impianti di depurazione, di cui tre

sequestrati e due no; prevedeva, inoltre, la progettazione e l’esecuzione degli interventi di

rifunzionalizzazione – questi impianti erano ridotti in condizioni disastrose e andavano

rifunzionalizzzati e adeguati – una progettazione dei collettori e infine la gestione, la manutenzione

e così via.

Non potendo fare tutto, ci siamo incentrati sulla rifunzionalizzazione, ridando a questi

impianti l’originaria funzionalità. Molto sinteticamente, un impianto di depurazione è costituito da

un ingresso dei reflui, come vedete, che richiede una grigliatura perché quello che arriva attraverso

le fognature è impensabile – io non ne avevo proprio idea – poi questi reflui arrivano giù perché per

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la pendenza naturale delle fogne non arrivano in quota, e quindi ci vuole un sollevamento,

normalmente sviluppato con delle coclee. Si fanno poi dei trattamenti cosiddetti primari e si va al

trattamento principale, cuore, quello dell’ossidazione attraverso delle vasche; successivamente, si

sedimenta, poi si estrae il fango e si manda a discarica.

Anziché tediarvi con tutti e tre o con tutti e cinque gli impianti, prendiamo un impianto tipo,

quello di Villa Literno, peraltro chiamato anche di Foce Regi Lagni perché è proprio verso la foce

dei Regi Lagni. Abbiamo tentato di rifunzionalizzare questo impianto. È sembrata, infatti, una

pretesa assolutamente eccessiva quella di adeguare, abbiamo iniziato dal primo step, cioè la

rifunzionalizzazione. Un primo intervento ha riguardato le griglie di ingresso, che fermano tutti gli

aspetti grossolani, poi le coclee, poi il dissabbiatore, vasche e così via. Forse qualche slide dà più

evidenza delle cose che abbiamo fatto. Quelle che vedete in alto a sinistra sono le cosiddette coclee,

che sollevano i reflui. Erano state distrutte perché era arrivato lo scheletro di una motocicletta

attraverso la fognatura e se il sollevamento non c’è, i reflui vanno tutti nei Regi Lagni e a mare.

Purtroppo, questa problematica è insistita per un certo tempo: una delle prime cose che abbiamo

tentato di fare è stata queste e oggi le coclee funzionano da tempo.

Quelle che vedete sono delle griglie automatiche, cosiddette fini, che secernono il fluido e

tolgono fino a un centimetro di grandezza. Così abbiamo ripristinato la dissabbiatura e poi siamo

andati avanti con l’ossidazione: qui si dà ossigeno ai batteri per avere la funzione specifica. Quella

superiore era la funzionalità dell’impianto precedente, la turbina messa a mezz’aria buttava

ossigeno, ma risaliva al 1980 e la sua funzionalità era praticamente nulla. Adesso l’abbiamo

realizzata in questo modo: di quei piattelli che vedete sul fondo della vasca, ognuno dà luogo a un

flusso di aria, in quest’ultima fotografia si vede una diffusione dell’ossigeno sul refluo che dà luogo

a un ottimo funzionamento.

Queste sono ancora attività in corso. Stiamo, per esempio, realizzando un ulteriore edificio

perché uno dei grossi problemi di questi impianti sono gli aspetti elettromeccanici. È chiaro che la

movimentazione di fango, l’insufflazione e così via richiede grandi macchine che abbiamo

rifunzionalizzato e stiamo rifunzionalizzando.

Quando sono diventato custode nella concessione era previsto l’obbligo della

rifunzionalizzazione: ho chiesto se c’era il progetto, che è la prima cosa, e il progetto non c’era.

Allora, abbiamo istituito un tavolo di lavoro settimanale, ci siamo detti di escludere scritti,

convocazioni e così via. Ci si incontra ogni settimana, tutto quello che si fa è registrato e si va

avanti e così abbiamo approvato i cinque progetti esecutivi di rifunzionalizzazione. Come ha detto

il procuratore, inizialmente erano solo tre quelli di cui dovevamo interessarci, ma devo riconoscere

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anche alla regione e alla Hydrogest la disponibilità che hanno dato a estendere e quindi a occuparci

di tutti e cinque gli impianti.

In sintesi, oggi abbiamo i cinque progetti approvati per un importo globale di

rifunzionalizzazione, riportare all’efficienza originaria questi impianti, di 40 milioni di euro circa.

Ne abbiamo spesi a tutt’oggi tra i 20 e i 25. Abbiamo concretizzato con la Hydrogest un

cronoprogramma che al 31 ottobre di quest’anno deve portarci alla conclusione di tutte le opere di

rifunzionalizzazione dopodiché la regione dovrà provvedere e per un eventuale nuovo gestore e per

il cosiddetto adeguamento.

Questo è stato il primo intervento che abbiamo fatto. Poi abbiamo affrontato l’altro

problema della concessione, ossia la gestione che naturalmente si rifletteva su di noi. Non è molto

agevole a farsi. Abbiamo cercato di intensificare i controlli sull’impianto stesso, ma

fondamentalmente la gestione di un impianto del genere affidato a terzi va controllata attraverso il

risultato ultimo, come un’industria, in cui è il prodotto finale quello che conta, o meglio il rapporto

tra ingresso e uscita.

Il nostro lavoro sulla gestione può essere concluso prendendo uno degli elementi

caratteristici di questi impianti, i solidi sospesi. Ce ne sono vari. Vedete sono qui elencati, il BOD,

il COD, solidi sospesi, Escherichia. Questo è un diagramma: sulle ascisse troviamo i tempi, quella

linea che separa il diagramma rappresenta l’intervento della procura, il sequestro degli impianti.

Quelli che vedete sulla vostra sinistra sono i valori dei solidi sospesi, cioè del fango sospeso, del

refluo in uscita, quindi dopo il trattamento. Quelli sulla destra sono, viceversa, i valori successivi

all’intervento della procura. Tutto questo trova un riflesso in quello che già aveva accennato il

procuratore: se il refluo ha poco fango vuol dire che molto fango è stato estratto. In questo

diagramma la linea divide la data dell’intervento della procura dal precedente. Quello che vedete

precedentemente con una media di 445 tonnellate/mese per l’impianto di Villa Literno era

praticamente ciò che si mandava a discarica; quello che adesso mandiamo come media è su 1.200

tonnellate. Questo significa che il delta 1.200 meno 400 prima andava a finire in parte a mare, in

parte nell’impianto, alla fine a mare attraverso i Regi Lagni, ma un impianto pieno di fango non

può funzionare.

Questi sono ancora valori mensili e, in definitiva, arrivando a un valore globale annuale,

abbiamo un precedente di 37.000 tonnellate contro le 73.000 tonnellate di oggi, quindi con il delta

sicuramente dell’ordine di 50.000 tonnellate che non vanno a finire in un anno a mare, come ha

detto il procuratore, ma mandiamo fuori a discarica.

I fanghi sono uno degli elementi fondamentali. L’altro problema è come essere sicuri che

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questi vadano nel giusto posto. Abbiamo un controllo in uscita dei fanghi, il camion esce con una

bolletta che ne caratterizza quantità e qualità, entra in discarica autorizzata, sempre in territorio non

campano perché purtroppo in Campania non le abbiamo.

ALESSANDRO BRATTI. La richiesta era sapere dove vanno a finire.

PAOLO MASSAROTTI, Professore di Meccanica razionale Università Federico II di Napoli.

Vanno a finire, purtroppo, non in Campania perché sono oneri e, in fondo, anche lavoro che non

possiamo gestire. Naturalmente, deve esserci piena congruenza, e noi controlliamo, tra bollette in

uscita e in entrata oltre alla previsione di un controllo diretto sulle discariche autorizzate. Conta più

di tutto per fare sentire, come dicevamo, la presenza di un controllo su questo elemento

estremamente delicato.

L’efficienza di un impianto non può che essere misurata rilevando le caratteristiche del

refluo in ingresso – portate e caratteristiche fisico-chimiche – e le caratteristiche del refluo in

uscita. Certo, se arriva l’arsenico, non posso imputare alla gestione che esce l’arsenico.

Questo richiede un monitoraggio, che era compreso negli oneri della Hydrogest, ma che non

veniva effettuato. La regione Campania, l’ARPAC in particolare, ha istituito questo monitoraggio

con una centralina in ingresso che misura tutte le caratteristiche in continuo, mentre noi avevamo

rilievi discontinui e caratteristiche in uscita analoghe, giorno dopo giorno. Purtroppo, queste

centraline, pur montate da tempo, non erano ancora attivate.

Nella riunione della settimana scorsa promossa dal procuratore, alla quale ha partecipato il

direttore dell’ARPAC, finalmente credo – ce lo dirà il direttore – sia risolta la problematica di

queste centraline pronte, perfette, possibilmente funzionanti ma non attivate, il che ci dà veramente

un enorme aiuto nella determinazione della gestione.

Aggiungo un’ultima cosa: il problema dei collettamenti. Come ho detto, la concessione

prevedeva non solo l’adeguamento degli impianti, ma anche i collettamenti. Vi faccio un esempio

emblematico, peraltro riportato nell’ordinanza e rappresentato dai giudici: per problemi vari i reflui

di tre paesi rilevanti, Casapesenna, Casal di Principe e San Cipriano d’Aversa, vanno direttamente a

mare pur essendo programmato che doveva andare all’impianto di Foce Regi Lagni perché manca il

tronco di collegamento, che era previsto in concessione.

Innanzitutto, abbiamo fatto approvare un progetto esecutivo dei tronchi – senza progetto era

inutile parlare. Quello che vedete in rosso è proprio il tronco di collegamento mancante che

abbiamo approvato e che adesso la regione dovrà attivarsi per realizzare. Quello è tutto il

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complesso dei tre paesi.

Sempre nell’ottica di cui parlava il procuratore – cioè di questo intervento sinergico che

investe un po’ tutto – pure Acerra, un paese di una certa rilevanza, stiamo parlando di circa 100.000

persone, ha un impianto di depurazione. Tuttavia sempre per i problemi di cui vi ho detto, i reflui

per poter andare all’impianto hanno bisogno di essere sollevati. Acerra ha sei stazioni di

sollevamento, di queste solo due erano funzionanti, e adesso abbiamo quattro stazioni funzionanti

ed entro questo mese le ultime due saranno funzionanti, per cui tutti i reflui di Acerra finalmente

andranno in impianto e non andranno a mare direttamente.

Il collettamento permane un problema gravissimo, anche per le ASI presenti che molti di

questi continuano sversare, però questo sarà oggetto di altro.

CORRADO LEMBO, Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Incoraggiato

dai risultati eccellenti conseguiti dal professor Massarotti, anche la magistratura inquirente ha

allargato lo spettro d’azione nel senso che ha instaurato un’altra indagine che noi definiamo di

scenario, ormai questo è un termine a noi familiare, che riguarda tutti gli impianti di depurazione

delle acque reflue urbane di tutti i comuni della provincia di Caserta, nessuno escluso ed eccettuato.

Il risultato sorprendente dell’avvio di quest’indagine – che è già a buon punto – è stato

anzitutto che per gli scarichi diretti manca per quasi la totalità dei comuni l’autorizzazione ex

articolo 124 del decreto legislativo 152 del 1990. Non viene, cioè, attuato per questi scarichi nessun

trattamento. Per gli scarichi, invece, trattati mediante impianti di depurazione abbiamo accertato

che uno solo di detti impianti, quello di Falciano del Massico, un comune molto piccolo della

provincia di Caserta, è risultato in regola; tutti gli altri hanno evidenziato gravi carenze. Alcuni

depuratori sono addirittura bypassati. Questa è la situazione generale.

In più, ci siamo occupati e abbiamo accertato se fosse legittima l’imposizione dei canoni di

depurazione, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale dell’11 ottobre 2008, che ha

dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36

– qualche numero devo darlo perché è importante – nella parte in cui prevede che la quota di tariffa

riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui manchino gli impianti

di depurazione o siano temporaneamente inattivi. In seguito è intervenuta la legge, che giustamente

ha modificato questo meccanismo ed è previsto che gli oneri relativi all’attività di progettazione,

realizzazione, completamento degli impianti sono dovuti anche nei casi in cui manchino gli

impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi «a patto che i gestori abbiano già

avviato i progetti delle opere necessarie all’attivazione del servizio».

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Questo impone una verifica anche sul piano penale perché c’è una legge da osservare. Noi

ci siamo mossi in questa prospettiva. Per questo ho ritenuto doveroso non secretare queste

informazioni ancorché costituiscano l’oggetto doveroso di un’indagine che mi sembra del tutto

ovvia perché deve riguardare la legalità della gestione di questi impianti. È stato effettuato un

dissequestro con indicazioni, adottando un provvedimento che in dottrina è discusso – ma che è

stato condiviso dal GIP di Santa Maria Capua Vetere – e si è ottenuto il risultato importante che

alcuni comuni si sono attivati per la risoluzione delle problematiche evidenziate nel provvedimento

di sequestro e talora hanno adeguato gli impianti in questione. Mi riferisco, per esempio, a

Mondragone, che non è un comune secondario, a Calvi Risorta e a Cellole, e sono in procinto di

attivarsi nella stessa direzione anche altri comuni, come quello di Sessa Aurunca, che è un grosso

comune della provincia di Caserta.

Per quanto riguarda la corretta imposizione del canone di depurazione e quindi l’analisi

della legittimità dei comportamenti amministrativi su questo versante, abbiamo rilevato, per

esempio, che il comune di Alvignano ha avviato una procedura per la restituzione dei canoni di

depurazione non dovuti dalla cittadinanza. È un esempio di civiltà giuridica che, possiamo dire

orgogliosamente, ha promosso in qualche modo anche la procura della Repubblica di Santa Maria

in una sinergia istituzionale che sta producendo dei frutti sicuramente positivi. Va dato atto al

prefetto della provincia di Caserta, mi piace sottolinearlo in questa sede, che, accogliendo le istanze

della procura, ha messo in campo un tavolo di lavoro che costituisce l’attuazione del protocollo di

salvaguardia ambientale della provincia di Caserta, che non è semplicemente un foglio di carta

condiviso ma un programma di lavoro che sta producendo frutti. L’obiettivo è quello di mettere

insieme intorno allo stesso tavolo competenze e direi professionalità diverse in vista del

raggiungimento di un obiettivo comune in una strategia comune.

Dopo aver ricordato come flash che abbiamo avviato, conformemente anche alle indicazioni

che in qualche modo implicitamente ci venivano da codesta onorevole Commissione, un’indagine

conoscitiva in una prospettiva ovviamente penalistica su tutte le cave della provincia di Caserta per

avere un quadro preciso – c’è chi parla di 300 e chi di 400 cave, ma ancora non ci è stato

comunicato con precisione dall’ufficio competente, il Genio civile. Abbiamo dato indicazioni

molto precise e abbiamo affiancato al Genio civile la Guardia di finanza in modo da poter avere

uno schedario preciso della situazione di ogni cava: anche quelle dismesse e abbandonate, anche

quelle coltivate illegittimamente, anche quelle non ancora bonificate e che devono essere bonificate

per legge.

Venendo all’altro tema di questa audizione, quello dei corsi d’acqua naturali e artificiali

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della provincia di Caserta, è chiaro che il mare è inquinato perché questi sversano in mare.

Ovviamente, ci siamo occupati del corso d’acqua principale, il fiume Volturno, però abbiamo fatto

una scoperta cambiando il metodo di lavoro: anziché fare i prelievi sul campo direttamente,

abbiamo pensato di volare alto, come si suol dire, e abbiamo utilizzato delle apparecchiature di

avanguardia, di cui parleranno i professori Napoli e Lega e vi illustreranno il metodo di lavoro che

intendiamo perseguire per cercare di cogliere i punti su cui intervenire. Abbiamo una scoperta

molto importante: pensavamo che il Volturno fosse inquinato ex se, invece la principale fonte di

inquinamento del Volturno è un altro fiume, il Calore, che attraversa le province di Benevento e

Avellino.

Se il presidente mi autorizza, cederei la parola ai professori Napoli e Lega, che in

successione avranno non più di cinque o sei minuti a disposizione per illustrarle questo punto

specifico.

RODOLFO NAPOLI, Professore di Ingegneria Sanitaria Ambientale Università Parthenope.

L’incarico che ci è stato affidato di valutare lo stato di inquinamento del fiume Volturno ci ha posto

subito di fronte a una problematica da risolvere, parlo delle dimensioni del problema. Affrontare,

infatti, la valutazione dell’inquinamento di un tratto di fiume è certamente fattibile con i normali

mezzi di indagine, ma quando si tratta di un’asta fluviale di 183 chilometri, la situazione è

leggermente diversa.

Il problema sorge anche perché il fiume Volturno, e vedremo che questo problema si

enfatizza quando parliamo degli altri corpi idrici che attraversano la provincia di Caserta, parte

dalla provincia di Isernia, dove si sviluppa per circa 40 chilometri e quindi soltanto il resto

attraversa la provincia di Caserta.

Quando cominciamo a parlare degli affluenti del fiume Volturno, segnatamente il Calore

con i suoi due affluenti, il Tammaro e il Sabato, la situazione diventa ancora più grande perché alla

provincia di Caserta arriva tutto quello che viene scaricato in un reticolo che interessa ben quattro

province, Avellino, Benevento e Caserta e Isernia. Vediamo, inoltre, che per un rapporto di portate

ma anche di carichi inquinanti decisamente il fiume Calore è di gran lunga più importante e

preponderante rispetto al Volturno a se stante. Possiamo, quindi, dire che il problema

dell’inquinamento del Volturno coinvolge quasi per intero la regione Campania.

Se, poi, si tiene conto che la città di Benevento, questo è un dato comune, non si dice niente

che non si sappia, non è ancora dotata di un impianto di depurazione, è ben evidente che cosa

significhi, ma il problema non è della provincia di Benevento, ma del litorale domitio.

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Quanto agli altri corsi d’acqua che attraversano la provincia di Caserta, sono da est a ovest i

Regi Lagni, il Volturno, l’Aniene, il Savone e il Liri-Garigliano, e quindi tra le altre cose il

problema dell’inquinamento del litorale domitio comincia a partire dalla provincia di Latina, dalla

provincia di Frosinone, dalle tre province campane che abbiamo detto, dalla provincia di Isernia,

una piccola parte della provincia di Campobasso e arriviamo fino a un’appendice della provincia di

Foggia. Tutto questo si scarica su 47 chilometri di litorale.

Il carico antropico che abbiamo in termini di abitanti equivalenti su un tratto di litorale di 47

chilometri è di ben 10.840.000. Queste sono stime decisamente in difetto, non sono ancora attuali.

PRESIDENTE. Scusi, cosa significa equivalenti?

RODOLFO NAPOLI, Professore di Ingegneria Sanitaria Ambientale Università Parthenope. Si

riferisce al carico inquinante anche delle attività produttive trasformate in abitanti equivalenti: per

esempio, il carico inquinante di una bufala equivale a 8 abitanti equivalenti. Ci sono delle tabelle

che ci danno la traduzione in questi termini.

Il reticolo idrografico è di ben 2.192 chilometri. Si tratta di 10 province, 46 aree ASI e ben 6

sbocchi a mare. Per affrontare un problema del genere è ben evidente che ci voleva non solo un

coordinamento tra questa miriade di enti che hanno competenza nella gestione delle acque

superficiali, ma soprattutto bisognava stabilire, data la vasta area, un protocollo che potesse essere

adottato da tutti in maniera da avere risultati confrontabili e un quadro omogeneo di insieme.

Le criticità che abbiamo identificato e quindi le soluzioni che abbiamo adottato sono le

seguenti. Quanto alle criticità, ci sono le difficoltà di fusion di dati: abbiamo trovato che tutti questi

enti che hanno a che fare con la gestione della risorsa idrica – dalle autorità di bacino alle varie

province, dall’ARPAC alle autorità comunali e così via – hanno costruito un proprio database, un

proprio sistema informativo territoriale che quasi mai dialoga con gli altri. Abbiamo quindi una

serie di giacimenti di informazioni completamente “stagne”.

Un altro problema da affrontare è la difficoltà di raggiungere le zone impervie. Quando il

Genio civile era ancora organizzato su base nazionale, c’erano le guardie fluviali che controllavano

il corpo idrico; oggi, invece, le guardie fluviali non ci sono o comunque non sono più attente e

proprio le zone impervie sono le più delicate ai fini degli sversamenti illeciti.

C’è, inoltre, la vastità del reticolo idrografico. Ci troviamo di fronte a un sistema da

affrontare, e quindi da indagare, che richiede una pluralità di soggetti. La linea di collegamento tra

tutto questo può essere un protocollo che possa essere adottato da tutti con mezzi, sistemi e

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tecnologie comunque disponibili, senza voler cercare qualcosa di difficile a trovarsi.

Le soluzioni che abbiamo prospettato sono per la difficoltà della fusion dei dati informatici,

lo sviluppo di un tool che possa mettere a colloquio, perché per tradurre tutte queste basi di dati in

un unico linguaggio ci vorrebbero sforzi incredibili e spese assolutamente non affrontabili. Per

quanto riguarda il resto, invece, avevamo proposto nuove tecnologie di monitoraggio che possono

consentire l’identificazione abbastanza rapida delle zone critiche, dove potere svolgere le azioni di

monitoraggio normale.

Prima di passare la parola al mio collega il professor Lega, che vi illustrerà le nuove

tecnologie che in parte abbiamo già messo in atto, mi preme ringraziare il procuratore Lembo e i

suoi colleghi perché con quest’indagine hanno dato un input allo sviluppo di una certa serie di

tecnologie e di ricerca sulle stesse veramente di grande livello.

MASSIMILIANO LEGA, Professore Ingegneria Sanitaria Ambientale Università Parthenope.

Cercherò di essere rapido pur rimarcando che tutto l’approfondimento tecnico degli argomenti che

tratterò è stato rilasciato in una nota di accompagnamento alle stesse slide che abbiamo allegato per

la Commissione.

Come diceva il professor Napoli, stiamo affrontando un problema molto complesso, per cui

abbiamo predisposto e anche in parte testato e vagliato con diverse forze dell’ordine un vero e

proprio protocollo operativo che comprende varie fasi che convergono su due: una è quella più

banale, di recupero da fonti informative tradizionali delle indicazioni sullo stato del territorio, ad

esenpio attraverso le centraline dell’ARPAC, i dati della provincia e quant’altro; l’altro è quello

proprio di andare sul campo e rilevare i dati direttamente.

La prima fase di quest’attività ha già svelato, ad esempio, il discorso che veniva fatto prima

del Calore: già osservando i dati semplicemente esposti dall’ARPAC nei loro annuari, si vedeva

che, seguendo le centraline, durante gli anni, lungo il Calore la qualità era pessima. Andando a

vedere nella parte prima della confluenza del Calore con il Volturno, invece, la qualità è buona:

dopo la confluenza si rivela che il dato inizia a riportare una qualità mediocre, che addirittura ha dei

picchi di nuovo pessimi intorno alle zone dei centri abitati vicino alla costa. Già iniziare a utilizzare

il dato come informazione porta a un nuovo dato.

Su questo faccio una piccola digressione prima di entrare nello specifico tecnico: come ha

detto il procuratore, è importante anche saper gestire in modo utile e intelligente le informazioni a

nostra disposizione. A questo proposito è partito un progetto del Centro italiano ricerche

aerospaziali per creare un tool software che possa raccogliere dati da più sorgenti e metterli insieme

BOZZA NON CORRETTA

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proprio per renderli utili in quanto informazione ricavata da database normalmente non predisposti

per fare questo. La procura e noi, avendo vinto questa partecipazione – noi come advisor e la

procura come end user, utilizzerà per la prima volta tale strumento proprio per elaborare al meglio

questi dati utili.

Veniamo all’azione di telerilevamento, che abbiamo condotto e realizzato grazie alla

profonda collaborazione con la Guardia costiera, che ha messa a disposizione alcuni dei mezzi, noi

alcune delle attrezzature, e insieme abbiamo condotto un’indagine su più quote, che sono andate da

quella di un aereo d’alta o media quota, come un ATR42, fino a un elicottero, e vedremo infine

l’utilizzo di un piccolo robot aereo.

Non entro nel dettaglio delle tecnologie adoperate, anche se le cito, come multispettrale e

termografico, quello che ci ha permesso effettivamente di evidenziare anomalie sul territorio sia

termiche – questa è la cosa un po’ più comune che si vede normalmente quando si usa questo

termine – ma anche di materiali. Da alcune delle immagini proiettate si iniziano a vedere già

sull’acqua delle ombre, quello che vedete in falsi colori, con bordi netti: sono chiazze di olio o di

altre sostanze presenti che, chiaramente, a occhio nudo non restituisco la stessa cosa.

Questo è uno degli esempi di tratta effettuata. L’aereo ha sorvolato il litorale, diviso in 6

tratte. Queste sono le immagini emerse da quest’analisi multispettrale. Per capire almeno

grossolanamente cosa significa vedere queste immagini, potete immaginare come se avessimo

versato un colorante, in questo caso il rosso, dentro i corpi idrici: quello che vedete come chiazze

rosse nel mare sono proprio l’impronta di questo corpo idrico sul mare, ma soprattutto sulla costa.

Scorrendo la costa si vede subito l’impatto già in T6 del depuratore, quella prima chiazza,

fino a seguire tutti i vari piccoli corpi idrici o zone diffuse dove ci sono centri abitati che non

dovrebbero assolutamente avere sbocchi verso il mare.

È interessante che il depuratore di Cuma ricade in un territorio a cura della provincia di

Napoli, ma purtroppo il suo effetto ricade sul territorio del litorale della provincia di Caserta.

Questo è un dettaglio del depuratore, nel visibile non si vede nulla, ma nel termografico vedete

subito l’impatto di tutto questo come ricade sulla costa.

La stessa cosa dicasi per il fiume Volturno quando ci avviciniamo al suolo, quindi

utilizziamo l’elicottero per avere un dato di dettaglio. Questi sono alcuni dei percorsi fatti lungo il

litorale e il fiume Volturno: iniziamo a cogliere dettagli assolutamente inediti. Questa è una

strisciata che compone con immagini ad alta risoluzione tutto il territorio esaminato. Iniziamo a

vedere – vi ho riportato la stessa immagine per farvi capire come aumenta il dettaglio – che lo

stesso depuratore che a occhio nudo non mostra l’effetto dell’impronta dello sversamento,

BOZZA NON CORRETTA

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termograficamente inizia a diventare talmente chiaro che la zona in verde che ho voluto amplificare

con un colore diverso è proprio l’impronta del rilascio. Le zone, che normalmente sono lidi che

stanno lì intorno, sono proprio colpiti in pieno tal quale da quello che esce dal corpo idrico.

Questi sono esempi analoghi fatti alle foci dell’Aniene, del Savone e del Volturno. Con

questa tecnica di indagine, quindi, abbiamo ricostruito tutto il profilo della costa ed è stato così

possibile individuare delle fonti di inquinamento per il mare, come anche all’interno dei corpi idrici

le aste fluviali come il Volturno, individuando quelli che potrebbero essere i colpevoli. È una vera e

propria analisi forense ma applicata all’ambiente.

Interessante è stato proprio questo angolo nell’entroterra di confluenza tra Volturno e

Colore. Giusto per farvi capire, il Volturno è l’asta principale, quella quasi verticale, il Calore è

quello che viene da destra – questa è una stupidissima immagine di Google che un po’ tutti

utilizziamo: notate che il Volturno prima della confluenza risulta quasi in secca perché subisce tre

sbarramenti a monte di questa confluenza, quindi già in realtà si può vedere che è il Calore a

proseguire dopo la confluenza più che il Volturno. L’immagine, però, abbiamo voluto vederla nella

storia. Poteva essere un caso di quella vista satellitare, dal 2000 al 2006, ma nel 2010 la condizione

rimane analoga.

Vedete che il ramo di destra rimane sempre con una quantità maggiore, è quello che in

realtà sta portando per quantità, e vedremo anche per qualità, ciò che arriva alla confluenza.

Questa è un’immagine di qualche settimana fa, ripresa da elicottero con questi nostri

sistemi: vedete come è il flusso che viene da destra che prosegue addirittura schiacciando il mistero

flusso che viene proprio dal Volturno. Ciò è stato valutato anche analiticamente e vedete, per

esempio, l’immagine della transizione dei fiumi, e quindi anche proprio la dimensione dei transetti

dovuti ai flussi dell’uno e dell’altro.

Se procediamo con l’analisi con lo strumento termografico, noteremo che lungo le due aste

variano la temperatura – e questo è il grafico per miscelarsi – e la consistenza. In verde sono le aree

di consistenza del quantitativo di inquinante, o comunque di sostanza che sta venendo dal fiume

Calore.

La terza fase di indagine, quella che avverrà nei prossimi giorni, è molto inedita. Forse la

procura di Santa Maria rappresenta con questa’azione una prima procura che vuole investire in

questa tecnologia: utilizzeremo i droni in campo ambientale, piccoli robot capaci di volare partendo

da piattaforma terrestre o navale e riprendere con lo stesso tipo di sensoristica queste zone di

indagine. È solamente un progetto, la piattaforma è già pronta, già allestita, in questi giorni stiamo

già facendo delle prime prove in volo, per cui realmente sarà utilizzata. Ringraziamo ancora una

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volta anche la Guardia costiera che ci ha fortemente appoggiato.

PRESIDENTE. Dal punto di vista finanziario da chi sono supportate tutte queste attività?

CORRADO LEMBO, Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Non abbiamo

speso una lira, nel senso che delle attività che sarebbero state comunque compiute sono state

orientate secondo un piano di lavoro concertato a quel tavolo tecnico-esecutivo del protocollo di

salvaguardia ambientale – vedo qui il rapporto di Ecomafia 2001, a pagina 83 è pubblicato, bontà

loro – per dare anche un segno dell’economicità dell’intervento.

Devo ringraziare di questo anche e soprattutto la Guardia costiera, il Comando generale

capitanerie di porto, che ha messo a disposizione dei veicoli e, ovviamente, i piloti, che hanno

contribuito in modo rilevante anche all’inquadramento tecnico dell’intervento da effettuare, nonché

il Comando generale della Guardia di finanza e, segnatamente, il reparto di Pratica di Mare, reparto

aereo in collaborazione con la Seconda università di Napoli, facoltà di architettura, nella persona

del preside Gambardella, con il quale siamo convenzionati senza pagare una lira, per usufruire del

know how tecnico e della possibilità di effettuare analisi spettrografiche, termografiche,

magnetografiche e via discorrendo. Tutto ciò ci consentirà non di avere un quadro teorico della

situazione, ma come è evidente, di risalire lungo quella traccia visibile e documentata anche nel

modo che abbiamo visto per individuare i colpevoli.

Abbiamo visto degli scarichi e siamo in grado di individuare, nelle aree soprattutto

industriali, gli autori di questi scarichi abusivi. Le fotografie non ci sono, però possiamo

annunciarlo felicemente in questa sede e direi orgogliosamente. Questo è il quadro generale, ma

abbiamo anche il quadro particolare, ci sono fotografie, rilievi anche in movimento che ci

consentono di individuare quella traccia rossa che a volte non è visibile neppure con i rilievi

effettuati sul campo.

Abbiamo visto e abbiamo anche, credo, documentato in precedenti audizioni che vi sono

degli scarichi sotterranei che adducono i reflui, per esempio degli insediamenti bufalini,

direttamente nei corsi d’acqua anche nel Volturno attraverso canalizzazioni abusive sotterranee

invisibili e che addirittura si inoltrano nel letto del fiume. Attraverso questo sistema di rilevazione

veniamo a capo anche di queste situazioni, e quindi mi fa piacere la sua domanda perché la risposta

è appunto «gratis». Questo è un segno di efficienza delle istituzioni e mi piace sottolinearlo, non

della procura ma di tutti quelli che coadiuvano la procura in quest’azione.

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ALESSANDRO BRATTI. Può chiarirmi meglio in che senso «gratis»?

CORRADO LEMBO, Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Proprio per

chiarire la posizione dei professori presenti dal punto di vista giuridico la collega Raffaella Capasso

potrà chiarire.

RAFFAELLA CAPASSO, Procuratore aggiunto della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere.

Ricordo che i professori Napoli e Lega, che hanno che hanno concluso la loro relazione,

appartengono all’università «Partenope» che collabora con la procura di Santa Maria Capua Vetere

in virtù di una specifica consulenza tecnica affidata nell’ambito di un’indagine del Secondo

dipartimento, che io coordino, in particolare sul fiume Volturno. Pensiamo, però, eventualmente di

estenderla anche ad altri corsi d’acqua e canali.

Stiamo con loro sperimentando un metodo per vedere se possiamo farne un modello

investigativo da utilizzare anche sugli altri bacini e sul mare. È già stato detto tutto, ma mi preme

dire che questi telerilevamenti servono – parliamo di un bacino idrografico molto ampio –

essenzialmente a restringere il campo delle indagini. Nel momento in cui, lo dico in maniera rozza

rispetto al tecnicismo del professore, accertiamo che esiste un’anomalia termica, abbiamo una

buona probabilità che ci sia un problema serio di inquinamento dopodiché, ovviamente, ristretta

l’indagine, andiamo solo su quei punti segnalati da loro e attraverso la Polizia giudiziaria, prima

indicata anche dal procuratore, cioè il Comando generale delle capitanerie di porto, la Guardia

costiera e la Capitaneria di porto di Napoli, che accompagnano l’ARPAC, andiamo a vedere i

luoghi georeferenziati.

Da quelle immagini possiamo capire a quali punti sulla cartina geografica corrispondono in

base ai dati che avevamo e di cui parlava il professor Lega, dati rilevati dalle banche dati.

Sappiamo anche lì quali e quanti scarichi ci sono e riferibili a chi. Abbiamo, quindi, un

restringimento delle indagini, andiamo su quel punto con l’ARPAC a fare il prelievo di un

campione e a esaminarlo per vedere se effettivamente c’è un problema di inquinamento dopodiché,

se si rileva attraverso le analisi chimico-batteriologiche un problema di microrganismi inquinanti,

la possibilità che ci sia danneggiamento, contestiamo il reato di danneggiamento delle acque oltre

che, eventualmente, di discariche abusive, eventualmente anche disastro ambientale ove, grazie ad

altri accertamenti, dovessimo accertare che questo inquinamento ha dei possibili riflessi negativi

sull’equilibrio dell’ecosistema e della salute delle persone. Parlo, quindi, di indagini perché

abbiamo conferito un incarico di consulenza tecnica, abbiamo della Polizia giudiziaria che

BOZZA NON CORRETTA

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coadiuva i consulenti tecnici.

Per quanto riguarda, invece, le spese, forse sono il professor Napoli e il professor Lega

potranno chiariranno meglio.

RODOLFO NAPOLI, Professore di Ingegneria Sanitaria Ambientale Università Parthenope. Per

quanto riguarda le spese, come consulenti giudiziari ne percepiremo nell’ordine di qualche decina

di euro l’ora, non di più. Per quanto riguarda l’impiego del drone o delle altre apparecchiature, sono

di proprietà dell’università «Partenope» e attraverso una convenzione in fase di stipula con la

procura rappresenteranno un dono grazioso dell’università. Ovviamente, però, le apparecchiature

richiederanno eventualmente l’impiego di tecnici coadiutori. Certamente, infatti, non è un lavoro

per due persone. Oltretutto, ci sono anche problemi di età, certamente io non posso andare in zone

impervie ormai, ed è evidente che saranno chiaramente anche loro ricompensati sempre nell’ordine

di qualche decina di euro scarse, credo, secondo le tariffe vigenti.

Il problema ci ha affascinato perché è un’avventura, lo dicevo prima al procuratore: è stato

assolutamente emozionante, è la prima volta che si stabilisce una sinergia così forte tra le

amministrazioni, e quindi abbiamo ritenuto nostro dovere, ma anche nostro piacere, prestare la

nostra opera in quest’occasione.

CORRADO LEMBO, Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Presidente, se

me lo consente, aggiungerei a proposito di quello che ha detto la collega Capasso, sulle indagini,

che abbiamo ben chiara la linea di demarcazione tra l’amministrazione e la giurisdizione.

PRESIDENTE. Lei sa che è un nostro problema tradizionale quello del pubblico ministero che

cerca la notizia di reato, del pubblico ministero che ha la notizia di reato.

CORRADO LEMBO, Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. In questo caso

abbiamo tutte e due le cose: le notizie di reato sparpagliate, non sistemate a dovere, che provengono

da cittadini, enti, eccetera, ma che noi non apprezzavamo in passato con quell’attenzione

sistematica con la quale le apprezziamo oggi. Rischiavamo di essere sommersi da notizie di reato

insignificanti che inseguiamo doverosamente con le indagini, senza inquadrarle in un sistema.

Abbiamo, invece, capito, e credo che non abbiamo sbagliato, che volando alto, scusi la metafora

presuntuosa, ma parlo a nome dei miei colleghi perché sono loro che volano alto, riusciamo a

intravedere un orizzonte più vasto, nel quale collochiamo le singole notizie di reato sparse e ne

BOZZA NON CORRETTA

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individuiamo la carica di illegalità specifica in un quadro sistemico che cerchiamo di apprezzare in

tutta la sua valenza. Questa è un po’ l’idea nata a questo tavolo tecnico e propugnata fortemente

dalla procura della Repubblica.

Vorrei concludere questa cortesissima audizione con un ringraziamento all’avvocato De

Piscopo, direttore generale dell’ARPA, qui presente, il quale ha finalmente invertito la rotta

generale degli uffici pubblici che intorno a questo problema sono normalmente inerti. Se non c’è

una sollecitazione forte, non si muove nessuno. Noi non abbiamo minacciato nessuna azione

penale, ci siamo interessati di un problema. Le prerogative sono proprie dell’azione giudiziaria

penale, e quindi sono grato all’amministrazione attiva dello Stato che, per esempio, nel caso

specifico dell’avvocato De Piscopo, sta tentando di rimuovere un ostacolo alla funzionalizzazione

di quelle centraline, delle quali si sarebbe dovuta occupare inevitabilmente la magistratura penale.

Se si spendono, infatti, milioni per realizzare delle centraline e non c’è nessuno che le fa

funzionare, c’è un problema penale forse. Rimuovere, quindi, ostacoli al funzionamento di tutto il

sistema generale di controllo è un fatto sicuramente positivo e devo dire orgogliosamente che

questo fatto positivo l’ha promosso in qualche modo anche la procura della Repubblica di Santa

Maria.

Cedo la parola al dottor Delle Femmine, importante esponente dell’ARPAC, che ci

coadiuva spesso nelle indagini giudiziarie e che può offrirci una parola di speranza per quanto

riguarda le acque marine del litorale domitio. Tutto questo sistema che si sta muovendo per una

migliore depurazione delle acque si riflette, ovviamente, sulla qualità delle acque marine e il

dottore può dare delle buone notizie alla Commissione su questo specifico punto.

Concluderà il collega Ceglie con un breve intervento che credo possa dare un contributo

conoscitivo alla Commissione.

AGOSTINO DELLE FEMMINE, Direttore Servizio territoriale ARPAC Caserta. Ad ARPAC,

dipartimento di Caserta, è stato richiesto di mostrare in maniera visibile, quindi con l’uso di

cartografie, il risultato di tutti questi anni di attività congiunta con le Forze dell’ordine presenti sul

territorio, in particolare col NOE di Caserta, con la Guardia di finanza, col Corpo Forestale, sempre

sotto la guida della procura, attività che si possono riassumere in centinaia di sopralluoghi fatti per

controllare scarichi, abusivi o autorizzati, che hanno prodotto qualche risultato e lo stanno

producendo con un miglioramento della qualità delle acque di balneazione.

Vediamo la prima cartografia che mostra il territorio della costa del casertano: sono riportati

i corsi d’acqua principali, che partono dal nord con il Garigliano a seguire col fiume Savone, con il

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canale Aniene, poi il fiume Volturno e alla fine i Regi Lagni. Il colore rosso sta a indicare quella

che nel 2010 era tutta la costa non balneabile, mentre il colore azzurro chiaro era la zona

balneabile. In effetti, avevamo circa il 60 per cento di costa non balneabile per motivi dovuti

all’inquinamento, un breve tratto di costa, un paio di chilometri scarsi, di costa non balneabile per

motivi diversi dall’inquinamento, ossia darsene e porti, e le attività alla fine hanno portato a questo

risultato.

Prima di tutto, c’è stato l’intervento anche legislativo che ha portato un po’ a modificare il

tipo di monitoraggio che veniva effettuato sulle acque di balneazione, con il risultato che i comuni

che hanno effettuato miglioramenti sui propri scarichi, in particolare Castelvolturno e Mondragone,

hanno chiesto un riesame dei cosiddetti articoli 7, che erano stati classificati con una delibera

regionale pubblicata all’inizio dell’anno nel mese di gennaio. Per questi articoli l’ARPAC ha

effettuato un doppio controllo nei mesi di aprile e maggio e in precedenza aveva effettuato, sempre

su richiesta della procura, un controllo su tutto il litorale. Questi controlli hanno portato a far sì che

in effetti su 20 chilometri più o meno di costa, per i quali era stata richiesta la verifica, 16

chilometri sono tornati completamente balneabili con una riduzione della percentuale di costa non

balneabile dal 60 circa per cento a un 23 per cento. Attualmente, quindi, abbiamo oltre 30

chilometri di costa balneabile.

Voglio mostrarvi le altre due cartografie che rappresentano quanto vi ho detto: qui abbiamo

esattamente quello che risultava dalla classificazione ai sensi del decreto legislativo 116; la

differenza rispetto alla precedente è che vedete in giallo dei chilometri di costa che negli ultimi 4

anni avevano dato buoni risultati come qualità delle acque, e quindi erano stati classificati da

sufficiente ad eccellente, che però continuavano a risultare non balneabili in quanto vecchi articoli

7, cioè erano chilometri per i quali i comuni dovevano dimostrare che qualcosa era stato fatto per

migliorare la qualità delle acque sversate sulla costa.

Le analisi hanno portato a far sì che di tutti questi chilometri che vedete in giallo gran parte

è diventata azzurra, quindi ritornerà balneabile da questa stagione.

Vedete che permangono delle criticità alle foci dei corsi d’acqua in rosso, soprattutto per

l’Aniene e i Regi Lagni. Anche il primo tratto di foce a nord della Campania che si trova vicino al

Garigliano come qualità sarebbe idonea alla balneazione, però non è stata riammessa in quanto il

comune di Sessa Aurunca non ha effettuato nessuna opera per migliorare definitivamente la qualità

dei propri scarichi e non ha fatto richiesta alla regione.

DONATO CEGLIE, Sostituto procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere.

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Concludo questa carrellata di comunicazioni come in qualche altra audizione è avvenuto, che in

qualche maniera abbiamo anticipato alla Commissione alcune indagini, nate o da notizie di reato o

da informative delle forze dell’ordine o da denunce specifiche di singoli cittadino o da associazioni

di categoria. Penso, ad esempio, ai gestori dei lidi balneari o a imprenditori che subivano l’azione

di altri soggetti attraverso lo smaltimento illegale e incontrollato di rifiuti.

Non vi è stata una matrice ambientale che non abbia formato oggetto di un’indagine di

scenario presso la procura di Santa Maria: cave, ciclo illecito del cemento, costruzioni abusive. Nel

novembre 2010 abbiamo richiesto e ottenuto il sequestro preventivo di 180 palazzine nel comune di

Orta di Atella, sequestro che ha retto al giudizio del riesame in quanto realizzate su permessi a

costruire totalmente illegittimi.

Come sapete, abbiamo puntato sul bene acqua, e quindi al tema dei corsi d’acqua, dei fiumi

e dei canali. L’immagine che mi viene da portare a questa autorevole Commissione è quella che si è

messa in moto a latere all’azione investigativa e giudiziaria, che ha portato a provvedimenti

cautelari di natura personale e reale.

Con me ho portato, e penso che possa essere un utile contributo, la decisione del riesame di

Santa Maria Capua Vetere, che ha rigettato l’istanza dell’Hydrogest tendente a ottenere il

dissequestro dei depuratori avallando l’ipotesi del disastro innominato ambientale proposto dalla

procura di Santa Maria attraverso una serie di argomentazioni nelle quali, in particolare, si è

configurato il disastro ambientale collegandolo direttamente con il pessimo funzionamento degli

impianti di depurazione, che è un po’ la tesi, come avrete assolutamente intuito, della procura della

Repubblica. Gli impianti, cioè, contribuiscono con il loro pessimo funzionamento alla

perpetrazione del delitto di cui all’articolo 434.

Noi puntiamo sempre di più su questa fattispecie perché il pericolo per la pubblica

incolumità oramai fa parte della nostra prospettiva investigativa e dibattimentale. Su sollecitazione

del presidente, la nostra azione è quella della prospettiva dibattimentale della prova, tant’è che

quando andiamo nelle udienze preliminari, alle udienze del riesame, in dibattimento, chiediamo al

presidente di poter fornire una presentazione multimediale. Se si contesta, infatti, uno scarico

abusivo, noi lo mostriamo, accertato dal Corpo forestale o dalla Guardia di finanza, e spieghiamo

che la tombatura e la rimozione di questi rifiuti hanno consentito, attraverso il sequestro, di far sì

che il reato non sia portato a ulteriori conseguenze, dopodiché comunichiamo se l’indagato o, in

surroga dello stesso, altri soggetti individuati dalla legge, si sono prodigati per i doverosi interventi

di bonifica.

La bonifica è un po’ il tema che mi permetto di anticipare a questa autorevole

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Commissione: quindi, cave, immissioni nell’aria, ciclo illecito del cemento, rifiuti, acque e impianti

connessi, bonifiche, che è la nuova prospettiva di scenario verso la quale noi andiamo.

Mi permetto di ricordare due aspetti: in virtù del protocollo di salvaguardia ambientale e

grazie alla sinergia, in particolare, con la prefettura di Caserta, è stato istituito il servizio dei registri

dei tumori in provincia di Caserta, che non c’era. Esisteva un ufficio di indagine epidemiologica. Il

tavolo permanente, l’immagine che propongo è quella di una conferenza di servizi permanente, ha

fatto sì che fosse istituito il servizio per il registro dei tumori attraverso la realizzazione di indagini

epidemiologiche, in particolare nei territori maggiormente esposti a smaltimento illecito di rifiuti, a

emissioni nell’aria e a scarichi di acque.

Concludo con un’immagine: questa era quella dei Regi Lagni dal 2006 al 2008, che ha

portato alle indagini stesse e alle richieste di misure cautelari che, come sapete, erano personali e

reali. Grazie all’azione dei custodi giudiziari, all’intervento della regione, dell’ARPAC, attraverso

un sorvolo del 2010 abbiamo potuto rilevare, grazie anche al recupero di rifiuti da sotto,

un’immagine del 2010 che ci può dire anche dal punto di vista cromatico il miglioramento delle

acque visivo proprio del litorale domitio.

In molti hanno detto che non vedevano questo fronte mare grazie a un intervento in chiave

giudiziaria, ma che ha messo in moto un meccanismo virtuoso intra-istituzionale.

VINCENZO DE LUCA. Per l’ennesimo rapporto che ieri Legambiente ha presentato, purtroppo, la

Campania continua a essere prima in graduatoria in assoluto per reati ambientali e, in particolar

modo, per le questioni che avete citato. Rispetto allo scorso anno, quale è stato il rapporto di

incidenza della situazione legata alla criminalità organizzata, in particolar modo sul tema del ciclo

integrato dei rifiuti? Riconosco che in modo assolutamente apprezzabile da tutti i punti di vista

avete anche trattato, come diceva il collega Bratti, il ciclo integrato delle acque, ma facciamo

riferimento un attimo al ciclo integrato dei rifiuti per avere un quadro di conoscenza anche per il

ruolo di questa Commissione.

Inoltre, gradiremmo anche solo un opinione anche in riferimento al fatto che nel passato su

questo c’è stata una sinergia di lavoro istituzionale con il procuratore Ceglie sul piano delle

responsabilità. Questa domanda scaturisce proprio da una riflessione che ha fatto il procuratore

Lembo facendo riferimento a un riassetto di riordino sull’ambiente, ma fa riferimento anche

purtroppo, ahimè, a questa vicenda, non solo campana ma anche un po’ più ampia delle cave. Le

cave abbandonate e dismesse nella regione Campania purtroppo sono tantissime, sono oltre mille.

Al di là delle bonifiche che devono avvenire e meritevoli, all’inizio di quest’anno, proprio nella

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crisi rispetto all’emergenza rifiuti, per dare una risposta transitoria, il Parlamento con l’assenso del

Governo nell’ultimo decreto 196 ha votato un emendamento per risanare questo territorio e a

tutt’ora rispetto a quelle che abbiamo visitato nelle ore in cui siamo stati qui, la crisi rischia di

emergere di nuovo: a vostra conoscenza, perché tutto questo non avviene? Perché questa legge oggi

in vigore non si attua?

Quello delle bonifiche, ovviamente, è un altro tema centrale perché ne va anche della

credibilità dello Stato rispetto ai territori. Spesso, infatti, nel momento in cui non vengono ristorati i

territori, si perde credibilità e vediamo questi rifiuti disseminati. Ovviamente, noi abbiamo lavorato

in sintonia, ma voglio dare anche io una notizia: esiste un’attività di riordino – questa purtroppo è

una materia concorrente tra Stato e regioni e crea molta delle volte incomprensione – e quella legge

quadro sta in fase conclusiva all’ambiente. Se non va avanti vi dico che dovete prendervela col

senatore Coronella, che ne è il relatore, per cui dobbiamo accelerare per un riordino normativo.

STEFANO GRAZIANO. Vorrei fare i complimenti alla procura perché mettere insieme tante

professionalità per un problema complesso e trovare anche delle soluzioni articolate è importante

ed è un esempio in positivo di come può essere risolto un grave con la collaborazione delle

istituzioni.

Rispetto all’anno scorso, quali e quanti sono i comuni che sversano ancora direttamente nei

Regi Lagni? C’è stata una variazione? Relativamente al tavolo permanente istituzionale, c’è

un’azione anche rispetto a questa condizione? Appare, infatti, ormai chiarissimo dallo studio che

questo problema, che riguarda il Calore e comuni che sversano andando direttamente al depuratore,

è molto serio.

ALESSANDRO BRATTI. Credo che abbiate fatto un lavoro straordinario e sopperito alla

mancanza di azione di altri organismi che, soprattutto riguardo alle conoscenze generali, un quadro,

magari non delle tecnologie così sofisticate, avrebbero dovuto in qualche modo costruirlo. Mi

chiedo, infatti, se rispetto, ad esempio, al lavoro dell’autorità di bacino non svolgete un ruolo di

coordinamento di tutti gli enti che svolgono i lavori all’interno del bacino. Normalmente, si tratta di

un lavoro che in alcune parti di questo Paese, la Lombardia, l’Emilia, il Piemonte, insieme

all’autorità di bacino si costruisce e il risultato è un quadro conoscitivo generale sulla qualità idrica

dei fiumi, le portate, eventuali problemi, che consente di monitorare puntualmente la situazione del

bacino e, di fronte alla presenza di anomalie, capire se sono stati commessi dei reati.

Mi sembra anche di capire che vi sostituite a organismi che probabilmente non hanno svolto

BOZZA NON CORRETTA

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il loro mestiere. Mi interessa capire se questa omissione si può tradurre, eventualmente, in

un’azione penale da parte della procura.

Inoltre, dove sono smaltiti i fanghi di depurazione?

Infine vorrei capire quale è la situazione complessiva del ciclo dei rifiuti, se ci sono indagini

in corso e preoccupazione riguardo al noto collegamento tra malavita, rifiuti e clan camorristici.

CORRADO LEMBO, Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Anzitutto, sulla

questione del rapporto tra criminalità organizzata e ciclo integrato dei rifiuti, mi sembra di aver

fatto nel corso delle precedenti audizioni una funesta profezia. Pur non essendo distrettuale, la

procura di Santa Maria Capua Vetere ha ben presente che dietro la questione dei rifiuti è presente

quella della criminalità organizzata.

Si era posto il problema, e ci furono domande specifiche in questa direzione, se sarebbe

stato il caso di affidare o continuare ad affidare in via provvisoria ai comuni la gestione della

raccolta e della messa a discarica dei rifiuti solidi urbani. Io diedi una risposta molto chiara su

questo punto perché, forte dell’esperienza acquisita presso la procura nazionale antimafia e di

quella acquisita sul campo a Santa Maria, a diretto contatto con una realtà che presenta dei

connotati ben noti a codesta Commissione, mi ero permesso di osservare che in alcuni comuni,

direi una buona parte, del casertano, accanto al sindaco, come autorità di governo, esiste un’altra

autorità, una sorta di convitato di pietra occulto, ma ben presente e che tira le fila del discorso

affaristico locale. Questo è un dato di fatto. Non lo dimostrano soltanto le indagini della procura

distrettuale antimafia. Vi sono diversi segnali, non tutti apprezzabili dal punto di vista penale, ma

che depongono univocamente in questa direzione.

Ho posto anche alcuni interrogativi riguardo alla gestione concreta del ciclo integrato dei

rifiuti nell’ultima fase, cioè quella del passaggio tra la gestione consortile o pluriconsortile –

avevamo ben quattro Consorzi che insistevano sulla provincia di Caserta e di Napoli – alla gestione

unificata. È stato un vero e proprio travestimento di carte perché è mutato l’assetto, ma la sostanza

è rimasta inalterata, i problemi sono sempre gli stessi.

C’era la prospettiva di voltare pagina, cioè di passare da una gestione diversa, provinciale,

quindi centralizzata, con una società di gestione che a mio parere poteva anche non essere – ma

queste sono scelte della politica, adesso ci sono le società miste e va bene così – però questo non si

è fatto, è rimasto tutto come prima, in una fase emergenziale infinita, che non cessa mai perché la

legge ha stabilito un termine finale che è stato prorogato.

Medio tempore i problemi si sono aggravati perché ce n’è uno molto grave nella provincia

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di Caserta. Dico cose che non appartengono strettamente al giudiziario, ma a quei dati conoscitivi

che acquisiamo continuamente per il monitoraggio continuo del fenomeno, strettamente collegato a

fenomeni criminali, falso in atto pubblico, frode in pubbliche forniture e via discorrendo.

Tra l’altro, con la nuova gestione politica della provincia, lo dico senza alcuna remora, c’è

un continuo flusso di informazioni, è come se la procura della Repubblica fosse diventata un po’

impropriamente una sorta di terminale informativo di una serie di situazioni di rischiano di

implodere o di esplodere da un momento all’altro. La prima e fondamentale questione è quella

relativa, a mio parere, alle risorse: ci sono, e noi l’abbiamo documentato in una precedente

audizione molto dettagliatamente, addirittura non dico all’euro, alla lira, come si diceva una volta,

in molto approssimativo ma abbastanza fedele; ancora oggi i comuni non pagano al Consorzio, che

adesso ancora fa le veci della provincia, con varie scuse. Il servizio viene prestato attualmente, però

ci sono dei contenziosi che risalgono al passato e che vengono non dico strumentalizzati –

sicuramente i comuni avranno le loro buone ragioni – ma oggi ne hanno meno di prima perché il

servizio viene prestato.

Se non corrispondono il dovuto al Consorzio, è evidente che va in crisi il ciclo perché non ci

sarà più la possibilità di provvedere alla raccolta. Dietro tutto questo, mi chiedo – non dico vi

chiedo perché sarebbe improprio – non può esserci qualcosa di diverso da una mera anomalia

amministrativa? Non può esserci qualcuno che ha interesse a perpetuare, come già abbiamo visto in

passato, una situazione di criticità che si allunga all’infinito con proroghe normative che,

ovviamente, non fanno altro che prendere atto di una situazione irresolubile e che alla fine favorirà

sempre le stesse persone? Se rimane un sistema emergenziale sempre, è evidente che

nell’emergenza si può fare tutto. Non ho bisogno di dirlo a questa Commissione.

Per quanto riguarda i dettagli, ovviamente dovete chiederli alla procura distrettuale. Noi

abbiamo la consapevolezza dello scenario investigativo nel quale caliamo le nostre indagini, ma la

competenza, come è ovvio, è distrettuale. Noi segnaliamo doverosamente alla procura distrettuale

tutti i casi di possibile contiguità.

Per quanto concerne le cave, abbiamo avviato un monitoraggio non voglio dire nella

prospettiva da voi considerata, che è la prospettiva di una soluzione politico-amministrativa del

problema, estranea alla nostra visione delle cose, però non è estranea alla nostra visione delle cose

un problema che si è posto in passato. In passato il commissario per l’emergenza rifiuti è venuto

presso la procura di Santa Maria Capua Vetere a chiedere se potevano depositare altri rifiuti

provenienti da Napoli in una discarica che era «sotto inchiesta» perché in passato si erano verificate

situazioni anomale che avevano determinato percolato, danneggiamento delle falde idriche e una

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situazione di disastro ambientale. Ci siamo in qualche modo premuniti. Questa indagine conoscitiva

mira ad acquisire dei dati che non so quando arriveranno perché il Genio civile non dipende dalla

procura e so che hanno anche difficoltà di organico per fornire queste informazioni. Perciò sono

stati affiancati dalla Guardia di finanza, ma questa indagine è stata avviata proprio per verificare

quei dati che pure mi sono stati chiesti, e cioè sono state avviate le bonifiche ambientali.

In una nota che ho allegato alla relazione è richiesto, tra l’altro, anche se le persone fisiche,

titolari di imprese individuali, organismi societari che hanno la responsabilità della gestione,

abbiano omesso le attività di ripristino ambientale cui facevo cenno. Ci siamo occupati di questo

problema in una prospettiva penalistica, ma devo dire e confessare sinceramente – non credo di

aver commesso nessun abuso, nessun reato – sono consapevole che prima o poi si dovrà ricorrere

alle cave perché non c’è altro luogo dove depositare provvisoriamente, in attesa che si creino altri

termovalorizzatori.

Del resto, il collega Ceglie, esperto della materia, in passato aveva indicato proprio le cave

dismesse, abbandonate, opportunamente bonificate, come siti possibili di stoccaggio provvisorio

dei rifiuti da destinare altrove.

Per quanto riguarda la questione dei depuratori, ci sono ancora comuni che sversano

direttamente, non è stato fatto assolutamente niente. Ben 14 comuni tuttora sversano direttamente

nei Regi Lagni i loro reflui urbani, comuni anche di 100.000 abitanti, è stato già detto. Alla data

della comunicazione della Guardia di finanza che ho allegato alla relazione i comuni sono i

seguenti: Pomigliano, popolosissimo comune della provincia di Napoli, Marigliano, Casoria,

100.000 abitanti e più, Afragola, Casalnuovo, Acerra, Caivano, nella provincia di Napoli; nella

provincia di Caserta, Casaluce, Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano d’Aversa, Santa

Maria La Fossa, Grazzanise, che pure è un comune importante, e Castelvolturno.

Fin quando non si realizzeranno quegli impianti di collettamento, quei canali di adduzione

agli impianti di depurazione, avremo sempre una certa situazione. Non spetta alla procura

provvedere, questo mi pare pacifico, noi però vigileremo perché il fatto è noto ormai, è stato messo

in moto un meccanismo di sinergia istituzionale che dovrà necessariamente produrre frutti, nessuno

potrà far finta di niente. Vigileremo, questo posso assicurarlo.

Per quanto riguarda la questione dell’autorità di bacino sollevata dall’onorevole Bratti, devo

dire subito che la procura della Repubblica, che ha promosso il protocollo di salvaguardia

ambientale e il tavolo tecnico di lavoro, ovviamente agisce nella sua prospettiva, può mobilitare

energie, risorse, anche materiali come abbiamo visto, però nella prospettiva del giudiziario, ma con

l’obbligo di riversare successivamente i dati acquisiti, che sono importanti anche quantitativamente,

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in un contenitore informatico comune. Questo è un po’ l’obiettivo del tavolo di lavoro.

La conoscenza, quindi, è importante, per intervenire bisogna conoscere. Adesso facciamo in

modo che questo tavolo di lavoro promuova anche una conoscenza istituzionale interna, ma anche

esterna. All’ultimo tavolo di lavoro ho ritenuto opportuno, vincendo quel direi naturale riserbo

connesso alla funzione giudiziaria, fare una conferenza stampa congiunta con il prefetto, autorità di

Governo, e gli altri componenti e abbiamo comunicato questi dati. Nessuno può chiamarsi fuori.

Sappiamo benissimo che sono problemi annosi, ma bisogna avviarli a soluzione.

Ripeto che il professor Massarotti non ha detto di aver risolto il problema dei depuratori, ha

avviato un processo di rifunzionalizzazione degli impianti che sta producendo ottimi risultati,

figuriamoci quando sarà completato questo processo.

Sul punto dei fanghi da depurazione gli cederei la parola, presidente, perché può dirci

esattamente dove vanno a finire per rispondere pienamente alla domanda dell’onorevole Bratti.

PAOLO MASSAROTTI, Professore di Meccanica razionale Università di Napoli. I fanghi di

depurazione vanno a finire prevalentemente in discariche nella regione Puglia, in Toscana e in

Umbria, anche qualcosa in Campania. Abbiamo un elenco di tutte le discariche autorizzate a

ricevere questi reflui e le controlliamo anche perché queste autorizzazioni non hanno, naturalmente,

durata illimitata, possono anche essere revocate.

Abbiamo avuto, per esempio, un problema in Puglia, che per un certo periodo

probabilmente non confermava l’autorizzazione a ricevere questi fanghi. Richiediamo sempre alla

Hydrogest l’elenco di tutte le discariche autorizzate e i quantitativi di fango portati alla discarica.

Effettuiamo il controllo, come già vi ho detto, attraverso bolletta in uscita e in ingresso e così più o

meno la cosa va avanti.

Attenzione, gli oneri di queste discariche sono elevati. Una tonnellata di fango costa tra i

150 e i 200 euro. Parliamo di quantitativi dell’ordine globale, i 50 sono il delta, quello che prima

non si mandava a discarica. A questo dobbiamo aggiungere quello che si mandava e siamo

sull’ordine di 80.000 tonnellate, che vanno moltiplicate per 150 o per 200 euro. Purtroppo, la

concessione prevedeva che nell’adeguamento dell’impianto ci fosse anche il trattamento dei fanghi,

però questo non è stato fatto. In fondo, il vero intervento della procura c’è stato perché la

concessione non ha avuto attuazione nei tre anni e mezzo da quando è partita.

A mio avviso, era ben concepita, prevedeva un unico soggetto responsabile di tutto, ivi

compresa la gestione delle reti dei comuni, per cui dovevo stabilire, se mi arrivava lo zinco, da

dove arrivasse dal momento che l’impianto non è fatto per trattare lo zinco. Tutto questo non ha

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avuto attuazione per tre anni e mezzo; successivamente, è intervenuta la procura.

DONATO CEGLIE, Sostituto procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Vorrei

aggiungere un’osservazione sulle cave, ma devo fare un passo indietro. Spesso ho detto alcune cose

in tempo non sospetto, però ho condizionato le cose che dicevo all’individuazione come possibile

soluzione di una parte della questione rifiuti. Dicevo che non si può puntare a nessuna felice

soluzione se il ciclo non diventa virtuoso e se a base del tentativo di soluzione non si pone il tema

della differenziata.

Non si può, infatti, individuare una soluzione, ma continuare a ragionare in termini di tutto

da portare in quella soluzione. La differenziata continua a essere un problema in regione Campania,

in provincia di Caserta in particolare, perché le percentuali sono ancora bassissime non solo di

raccolta differenziata. Come il procuratore ebbe a dire in altre audizioni, ci siamo preoccupati

anche di seguire il cassonetto e il sacchetto e abbiamo visto che, anche in presenza di una raccolta

differenziata, c’è una gestione che successivamente diventa indifferenziata. Se tutto è da gestire,

diventa difficile ipotizzare anche una soluzione, una possibile risposta attraverso le cave, quindi mi

avvicino al tema cave con una precisazione ulteriore.

Lei ha sottolineato che il rapporto Ecomafia spiega sostanzialmente che la regione

Campania continua a essere maglia nera tranne che, mi sembra di capire, in una sola statistica,

quella relativa al ciclo del cemento, dove avrebbe lasciato la maglia nera alla regione Calabria. Mi

permetto di fornire anche una chiave di lettura da questo punto di vista: l’azione sinergica di tutte le

procure del distretto sotto l’egida dalla procura generale in attuazione di un protocollo condiviso

circa le demolizioni dei manufatti abusivi ha dato comunque una risposta da questo punto di vista.

Mi sono permesso di dirlo in altre occasioni: l’effetto riflesso delle demolizioni fa da

deterrente rispetto alla realizzazione di ulteriori manufatti abusivi, ma anche in relazione

all’autodemolizione che molti condannati fanno precedendo l’azione della magistratura. È un dato

statistico che a ogni demolizione di manufatto abusivo oggetto di una sentenza passata in giudicato

abbiamo immediatamente un centinaio di richieste di autodemolizioni.

Mi permetto di dire che a ogni annuncio di possibile condono edilizio o di sanatoria è un

dato statistico che abbiamo un’impennata di sequestri di manufatti abusivi, dato scevro da qualsiasi

valutazione.

Quanto alle cave, lei sa, senatore, che, passato il periodo emergenziale, dove si era

individuata una struttura emergenziale commissariale di Governo per ogni problema ambientale, ce

n’era una anche solo per le cave, che quindi si accavallava a quella per le bonifiche, che pure aveva

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una parziale competenza per le cave. È stato istituito un ente regionale, denominato ARCADIS, che

dovrebbe sulla carta della legge regionale gestire le oltre mille cave abusive dismesse e

abbandonate. Ha fatto suo il piano che era delle commissariato di Governo per le bonifiche, ma in

realtà non ha fatto nessun ulteriore passaggio nel censimento, nel recupero dei fondi che i cavaioli

avrebbero dovuto depositare attraverso le fideiussioni, e questo è un altro problema.

Concludo dicendo che in un territorio così ristretto, sostanzialmente come è la conurbazione

napoletana-casertana, a fortissima presenza antropica, con tutti i problemi che sappiamo di

inquinamento e di grandi tensioni, io penso che, se non si individua un certo numero di cave da

inserire in un ciclo virtuoso, non fosse altro che per utilizzare la FOS, la frazione organica

stabilizzata o una parte dell’umido, che potrebbe essere compatibile con determinati territori, non

se ne esce. L’ho detto da dieci anni a questa parte. Il clima deve essere possibilmente di

condivisione, di informazione, ma diversamente non se ne esce.

RAFFAELLA CAPASSO, Procuratore aggiunto della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere.

Mi scusi, vorrei solo specificare che l’indagine sul Volturno nasce, e in generale cerca di cogliere

tutti i punti del Volturno che presentano criticità, da una specifica denuncia in relazione a uno

specifico scarico che abbiamo accertato di un’azienda bufalina e successivamente l’indagine è stata

ampliata.

Inoltre, ho dimenticato di comunicare a proposito del Calore e del suo grosso carico

inquinante, che deriva essenzialmente soprattutto dalla città di Benevento la quale ha 26 punti di

scarico e non ha alcun depuratore ed è la causa principale dell’inquinamento, ma non la sola, del

Calore, che poi si riversa sul Volturno.

PRESIDENTE. Vi ringrazio e dichiaro conclusa l’audizione.

La seduta termina alle 18.35.

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