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Chi ha rubato la marmellata?
Esperienze e buone pratiche sul diritto al gioco
a cura di Maria Carla Rizzolo
2
Città di Torino
ITER - Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile
Presidente
Mariagrazia Pellerino
Assessora alle Politiche Educative
Direttore
Umberto Magnoni
Centri di Cultura per il Gioco
Responsabile pedagogico
Maria Carla Rizzolo
Cura redazionale
Rosella Fonsato
Progetto grafico
Giuseppe Filosa
Info
Centri di Cultura per il Gioco
via Fiesole 15 - 10151 Torino
telefono 011.4439400
centrigioco@comune.torino.it
www.comune.torino.it/iter
© Città di Torino, ITER - 2013
il volume è protetto dalle norme vigenti in tema di diritto d’autore e di proprietà intellettuale
edizione fuori commercio
pubblicazione a supporto dell’azione pedagogica dei docenti e libera consultazione degli allievi
e dei familiari
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Indice
Presentazione, Torino città in gioco
Mariagrazia Pellerino, Umberto Magnoni
Introduzione
Maria Carla Rizzolo
Prima parte
Capitolo 1 - Itinerari, progetti e percorsi in gioco
Maria Carla Rizzolo
Premessa
1. Spazio al gioco
2. Dare continuità a progetti e servizi
3. Differenti tipologie di servizi ludico-educativi
Riferimenti bibliografici
Capitolo 2 - Diritti e opportunità di gioco in Italia per grandi e piccoli
Riccardo Poli
Premessa
1. Alcuni dati sul gioco in Italia
2. Il diritto al gioco
3. Un’esperienza: indicatori per città “giuocose”
Conclusioni in stile “RockPolitic”
Riferimenti bibliografici
Capitolo 3 - Le buone prassi nelle città e nei piccoli comuni
Amilcare Acerbi
1. Gioco, giovani cittadini, amministratori
2. Da un’idea di sistema, al sistema interruptus della 285, allo sbracamento come sistema
3. Resistenza ludica
4. Cattive prassi e anticorpi timidi
4
Seconda parte
I contributi dei gruppi di lavoro
Presentazione, Maria Carla Rizzolo
Capitolo 4 - Gioco, spazio di avventura, creatività, movimento
Coordinamento a cura di Grazia Bisonni, Roberto Pompermaier
Riflessioni e lavoro di gruppo, Grazia Bisonni, Roberto Pompermaier
1. Il gioco e le attività motorie e sportive, Loretta Fabiani
2. Uno sport per tutti: l’Hit Ball, Michele Segreto
3. Libertà d’azione, sicurezza e responsabilità personale, Stefano Oletto
4. Giochi d’ingegno, Paolo Munini
5. Modellismo nelle scuole, Roberto Lattini
Considerazioni per non concludere, Grazia Bisonni
Capitolo 5 - Memoria e trasmissione nel gioco di tradizione popolare
Coordinamento a cura di Bruna Pangallo, Antonio Damasco
Riflessioni e lavoro di gruppo, Bruna Pangallo, Antonio Damasco
1. Giocare ancora ai giochi di ieri? Bruna Pangallo
2. Lavorare insieme costa di più, Antonio Damasco
3. L’ingegneria del buon sollazzo, Piero Santoni
4. Gioco delle bije, Giancarlo Tavella
5. Sport e giochi tradizionali in Sardegna, Maria Pina Casula
Considerazioni per non concludere, Bruna Pangallo
Capitolo 6 - Ludo-tecnica e edutainment: fattori negativi e valore aggiunto
Coordinamento a cura di Silvia Carbotti, Maria Battaglia
Riflessioni e lavoro di gruppo, Silvia Carbotti, Maria Battaglia
1. Sui videogiochi, Silvia Carbotti
2. Uno spazio per il videogioco in ludoteca: problematicità e prospettive, Maria Battaglia
3. Bambini e robot, Giusy Dompé, Laura Gullino, Lucia Papalia, Luisa Pezzuto
4. Collaborazione tra scuole primarie e università in attività con piccoli robot programmabili, Barbara Demo
5. Playful learning e Smart-us, Gustavo Evangelista
Considerazioni per non concludere, Maria Battaglia
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Capitolo 7- Dove si gioca oggi: i servizi per il gioco
Coordinamento a cura di Livia Papi, Roberto Maurizio
Riflessioni e lavoro di gruppo, Livia Papi, Roberto Maurizio
1. Ricerca sulle ludoteche in Sicilia, Irene Catalano Randò, Deborah Bontempo
2. Il laboratorio regionale Città dei Bambini e delle Bambine di San Giorgio a Cremano,
Francesco Langella
3. La ludoteca… la Carneade dei servizi per l’infanzia, Giorgio Bartolucci
Considerazioni per non concludere, Livia Papi
Capitolo 8 - Gioco, scuola ed extrascuola
Coordinamento a cura di Rosanna Clinco, Beniamino Sidoti
Riflessioni e lavoro di gruppo, Rosanna Clinco, Beniamino Sidoti
1. “OCApito” - Esempio di buona prassi in un piccolo Comune, Olivia Modica
2. Progetto “Amico di classe”, Martina Bracci
3. Percorsi di gioco in classe, Patrizia Di Lorenzo
4. Laboratorio sulle competenze socio-affettive, Caterina Di Chio
Considerazioni per non concludere, Rosanna Clinco
Capitolo 9 - Gioco e relazione nei contesti di difficoltà e di diversità
Coordinamento a cura di Renata Bronzino, Santo Cicco
Riflessioni e lavoro di gruppo, Renata Bronzino, Santo Cicco
1. Il gioco, strumento di relazione, Renata Bronzino
2. Un sorriso contro la paura, Santo Cicco
3. Giochiamo alla quotidianità? Rosita Deluigi
4. Associazione Babi-Xitter e il gioco, Gianni De Corral
5. La storia del gioco in ospedale a Parma, Corrado Vecchi
6. Tra la nebbia ed il deserto, Maria De Vita
Capitolo 10 - La formazione ludica compresa tra il sapere e il saper giocare
Coordinamento a cura di Tamara Lavina, Bernardetta Gallus
Riflessioni e lavoro di gruppo, Tamara Lavina, Bernardetta Gallus
1. Fare formazione per i servizi educativi, Luisa Norgia
2. La “Forma…Azione” ludica, Irene Catalano, Deborah Bontempo
3. Finisterrae: servizi e formazione, Simonetta Straccamore
Considerazioni per non concludere, Tamara Lavina
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Capitolo 11 - La Minestra sul Cortile: tracce per indagini visionarie alla scoperta dei ladri di “marmellata”
Andrea Mori
Per non concludere: pensieri in libertà
Maria Carla Rizzolo
Autrici e Autori
.
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Presentazione
Torino, città in gioco
Il tema della cultura ludica, del gioco e del piacere di giocare si intreccia naturalmente con la storia
educativa di Torino.
Intorno al gioco sono nati, infatti, già alla fine degli anni Settanta, numerosi progetti e luoghi destinati
sia a sostenere l’approccio ludico alla conoscenza, sia a recuperare e divulgare un patrimonio straordinario
di saperi e di cultura provenienti dalla tradizione del territorio e destinati all’incontro-scambio con altre
culture, altre storie, altre realtà.
All’interno dell’Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile, il gioco trova un terreno fertile
nelle molte attività dei Centri di Cultura che ne custodiscono la storia e la memoria, ne divulgano le infinite
esperienze, ne sostengono il valore e il ruolo fondamentale all’interno del processo formativo della persona,
ne promuovono la caratteristica fondamentale: giocare per il gusto di giocare.
Se è vero che buoni apprendimenti sono legati a buone emozioni, allora il gioco e il giocare sono
strumenti davvero preziosi per scoprire ed esplorare quello che ci circonda, per entrare in relazione con
l’altro, per operare con la realtà, ma anche per affrontare il dolore e, talvolta, per guarire. Le emozioni
positive legate al gioco e al giocare rappresentano quella dimensione speciale e necessaria che distingue
l’attività ludica da ogni altra attività umana e la connota come espressione libera e autonoma della persona,
a qualsiasi latitudine, in qualsiasi cultura.
Il valore del gioco come propulsore al dialogo e alla qualità delle relazioni umane è, in questo senso,
grande e attuale, ma ha bisogno di essere evocato, sostenuto, diffuso.
Per questo i Centri di Cultura, accanto alle specifiche attività di ricerca e di formazione, si propongono
sul territorio come testimoni della trasversalità del gioco rispetto ai diversi ambiti in cui la persona vive e
cresce, offrendo infinite opportunità di riscoprire e liberare l’homo ludens che abita in tutti noi.
Il Convegno nazionale Chi ha rubato la marmellata? Riflessioni intorno ai diritti e ai rovesci del gioco è
stato preceduto da altri appuntamenti che si sono svolti a Torino, quali il Convegno nazionale Bisogno di
gioco, bisogno di vita nel 1987, la 4a e la 5a Conferenza internazionale delle ludoteche nel 1988 e nel 1990 il
34° Congresso internazionale dei ludobus e l’8° Incontro nazionale delle ludoteche e dei ludobus Time To
Play nel 2005.
Si tratta di un percorso che ha visto la città di Torino diventare promotrice della ricerca continua nel
campo del gioco e dei giocattoli, perché non basta un enunciato stilato sulla carta perché questo diventi un
diritto reale, esigibile e tutelato. Infatti, l’art. 31 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza
riconosce al bambino il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e all’attività ricreativa propri
della sua età, oltre a partecipare da protagonista alla vita culturale ed artistica della società.
Eppure se esiste un diritto esiste anche un rovescio e lo conosciamo bene questo nodo cruciale che
vede da una parte una dichiarazione di intenti che si scontra con la realtà, variegata e complessa e di difficile
interpretazione.
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Alla fine dei lavori del convegno, nel lontano 1987, si evidenziò la difficoltà di promuovere
l’autonomia e quindi l’identità del soggetto rispetto ad un bisogno di sicurezza rispondente sia ad un clima
ansioso del nostro modo di vivere sia ad una ricerca di omogeneizzazione dei comportamenti che stride con
la ricerca di autonomia.
Gioco, giocattoli e sicurezza, un problema sempre più presente a tutti che chiede una risposta non
limitata alla applicazione delle norme che, proprio per la loro natura astratta, non sempre si possono riferire
a contesti dove la libertà, la spontaneità del soggetto sono il cardine dell’azione.
Nell’apertura del Convegno Play To Play si sottolineò la necessità di assicurare al gioco, un tempo e
uno spazio in città, valorizzando il lavoro di ludoteche e laboratori come luoghi di incontro per chi ha voglia
di giocare.
Oggi ci troviamo a confrontarci per capire meglio a che punto siano e per vedere, attraverso l’analisi
dei diversi mondi del gioco, in quale società viviamo.
Molta strada è stata fatta, pensiamo solo all’attenzione che ultimamente si sta orientando verso gli
adulti che giocano e che in questo convegno ha una propria sessione o agli impulsi che la Legge 285/97 ha
prestato nel confronto dell’attuazione di servizi che vedevano nel gioco il fulcro esistenziale.
Lo stesso sport viene esaminato per capire se possiamo parlare ancora di gioco a fronte di situazioni
che richiamano molto più un sistema imperniato sull’avere economico, rispetto al piacere del giocare. Senza
dimenticare l’impegno che alcune città hanno assunto aderendo alla rete GioNa.
Eppure sentiamo che qualcosa manca, percepiamo che quelle riflessioni e preoccupazioni dei tempi
lontani ancora permangono.
Sarà forse perché, ancora troppe volte, ci vengono chiesti interventi di ludotecari o operatori del
settore che poco hanno di educativo ma molto di intrattenimento, sarà perché le risorse economiche sono
sempre minori e la gemmazione maturata con la Legge 285/97 si sta velocemente inaridendo, sarà perché,
ancora una volta, facciamo fatica a capire dove sono le buone pratiche, i modelli in mancanza di una
formazione in grado di garantire operatori del settore che giocano e che propongono ai bambini o lasciano
che i bambini giochino e cercano di capire chi sono per garantire le loro autonomie.
Sarà forse perché, scusate, ci sta stretto quell’art. 31 che associa il gioco e il divertimento al tempo
libero, non è forse possibile giocare ed apprendere divertendosi? Occorre una netta separazione tra il
bambino/scolaro e il bambino che si diverte?
Non per forza il gioco deve essere visto come il tempo liberato dall’adulto, senza restrizioni. Può
essere presente anche quando si parla di apprendimento, trasformando o trasferendo l’aula in contesti
educativi in grado di stimolare l’interesse dei bambini e la loro voglia di aspettative.
Sarà forse perché quel rinascimento culturale che diede vita a Torino, alla fine degli anni Settanta, ai
diversi sistemi di laboratori e ludoteche sembra oggi sempre più in affanno, non solo per la mancanza di
risorse finanziarie ma anche per la difficoltà a coinvolgere preadolescenti e adolescenti che si muovono
sull’onda di una comunicazione massificata e che troppe volte privilegia la mancanza di relazione e di
impegno per un semplice consumo del tempo presente.
Non ultimo, sarà forse perché pian piano quelle persone che hanno progettato e realizzato servizi
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come le ludoteche e i punti gioco, partendo dalla convinzione che con il gioco si scopre la realtà unica del
soggetto che abbiamo davanti, è ormai al termine del proprio percorso lavorativo e al pensionamento e si
domanda a chi lascerà il testimone.
Occorre costruire ponti che colleghino le esperienze passate al futuro, attraverso corsi di formazione
professionali che consolidino gli apprendimenti appresi negli anni di studi e trasmettano un metodo che
possa essere oggetto di successive riflessioni ma che costituisca una base di partenza forte su cui contare.
Solo in questo modo l’educatore e l’operatore che si incontrano in ludoteca saranno in grado di fornire ai
bambini quelle competenze che li rendano capaci di essere quello che realmente vogliono e non ciò che il
mondo del consumo e della finzione vorrebbero che essi fossero.
Sappiamo bene che i messaggi che noi trasmettiamo resistono solo se troviamo conferma nel nostro
modo di comportarci, quindi abbiamo bisogno che chi si occupa di gioco provi il piacere di giocare e far
giocare e non solo far passare qualche parola d’ordine e qualche specifica abilità. Di certo sappiamo che il
gioco manca dell’attenzione che si meriterebbe sia per l’importanza che riveste per lo sviluppo del bambino
sia per il benessere psicofisico dell’adulto.
Nel contempo rileviamo che in Italia, solo facendo una veloce ricerca su internet, troviamo migliaia di
luoghi che si chiamano ludoteca ma non possiamo dire che abbiano tutti le stesse caratteristiche e svolgano
le stesse funzioni, ovvero sono accomunati da un nome ma non da una vera e propria identità comune.
L’Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile, con il convegno Chi ha rubato la marmellata?
Riflessioni intorno al diritto al gioco ha voluto coinvolgere gli oltre 400 addetti ai lavori non solo con
interventi e presentazioni di studi e ricerche scientifiche ma attraverso momenti di dialogo e di confronto in
gruppi di lavoro.
Ci auguriamo che il lavoro qui presentato possa costituire la base per un seguito, fatto di proposte e
sollecitazioni, ritenendo fondamentale l’impegno a garantire il diritto al gioco con attenzione ai mutamenti
non solo del mondo della scuola ma soprattutto a quelli socio-culturali che determinano la trasformazione
delle relazioni familiari, tra coetanei, tra generazioni diverse e tra culture differenti.
Mariagrazia Pellerino Assessora alle Politiche Educative
Umberto Magnoni Direttore ITER
Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile
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Introduzione
di Maria Carla Rizzolo
Sappiamo da tempo che è difficile definire in modo netto che cos’è il gioco, anche per chi lo agisce
quotidianamente nel lavoro, nelle ludoteche nei punti gioco, sui ludobus o in ogni altro contesto socio-
culturale.
Insigni studiosi ci hanno provato e ciascuno di loro ha trovato, nello specifico dei propri percorsi
storici, filosofici, sociologici, etnologici, pedagogici, il significato e le funzione del gioco nella vita dell’uomo.
Una raccolta di molteplici punti di vista che non arriva a definirlo completamente, ma che rimanda alle
caratteristiche che ne fanno inequivocabilmente, al di là delle diverse età dell’uomo, un’occasione
imprescindibile di esperienza di vita: libertà, gratuità, regola, innovazione e creatività.
L’occasione di un convegno nazionale vuole essere un momento di scambio in cui teoria e prassi si
sostengono, la raccolta degli atti ne caratterizza in modo chiaro l’intento formativo e documentale. La
particolare connotazione che è stata data al convegno, attraverso i gruppi di confronto, ha offerto spazio alla
discussione e all’apporto di contributi, non solo scelti e concordati, ma anche estemporanei e di cui
riteniamo sia importante lasciare una traccia.
Un incontro nazionale sul tema gioco e creatività, per la ricchezza dei significati possibili, si presenta
come un arduo compito, in prima battuta può aiutare il riferimento al titolo scelto: Chi ha rubato la
marmellata? che rimanda all’acume di Italo Calvino nella definizione della fantasia: “La fantasia è come la
marmellata se la mangi con il cucchiaio ti senti male per il troppo zucchero se la metti in una fetta di pane è
deliziosa… Insomma bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane se no rimane una cosa informe su
cui non si può costruire niente”1, e il gioco è certamente un’ottima fetta di pane integrale (ce lo auguriamo!)
su cui, in modo naturale, trova sostegno la fantasia, che a sua volta nutre il gioco in modo egregio. Ma non
solo, l’attinenza con il furto della marmellata ci riporta da un lato al gioco di furbizia della maroda2 di antica
memoria, un’esperienza della tradizione contadina che piace ancora ai bambini di tutte le età, dall’altro alla
consapevolezza che, in qualche circostanza, anche il gioco è un poco come la marmellata che qualcuno ha
rubato per conto del mercato, in nome della sicurezza, a favore di altre attività considerate educative per
eccellenza... chissà!
L’argomento è vasto, e le suggestioni da cui si è partiti, che hanno trovato riscontro nella riflessione,
sono molte. Per questo si è scelto di presentare questo lavoro in due volumi: il primo per presentare i
contributi teorici di ricercatori e studiosi che nella prima giornata sono stati una forte spinta per la
discussione; il secondo volume per presentare il pensiero ludico che attraversa coloro che nella pratica
quotidiana esercitano il gioco e il giocare a diverso titolo.
Gli interventi che sono stati riportati all’interno di questo secondo volume hanno la funzione di
mettere in relazione il lavoro dei due volumi e sono strettamente collegati alle questioni affrontate nel
1 Beseghi E., “La marmellata di Calvino”, in Pedagogia più Didattica, gennaio 2009, n.1, Erikson.
2 Maroda: termine di origine piemontese per indicare l’abilità dei ragazzini nel sottrarre la frutta ai contadini nei caldi pomeriggi
estivi o nelle lunghe notti stellate.
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dibattito:
quanto sono cambiati il tempo, lo spazio, il modo di giocare di bambini e ragazzi dal 1991, data della
ratifica italiana della Convenzione; ci interessa saperlo, e perché?
In un momento in cui pare abbia ripreso rilevanza culturale e storica la salvaguardia delle memoria,
al di là dell’evento folcloristico della festa di paese (senza su questo esprimere alcun giudizio di valore) in
quale dimensione si può ancora incontrare e reinventare il gioco di tradizione popolare?
Sul territorio nazionale come operano e quali sono i servizi sul gioco, oltre la L. 285/97 o dentro la L.
328/97, verso quale futuro si sta avviando il gioco?
Come si è modificata la formazione professionale dei ludotecari, i riferimenti regionali sono
comparabili, la formazione permanente è un’esigenza forte, e quali relazioni sono possibili in ambito
europeo per scambi e interconnessioni, chi sono gli operatori che si occupano di gioco in termini educativi?
Quale consapevolezza esiste tra gli operatori del gioco della variegata realtà italiana dei servizi, ma
soprattutto quali servizi possono essere impresa pur mantenendo qualità di proposte per bambini, famiglie e
giovani?
I servizi per il gioco sono un diritto per tutti i bambini (ma anche un salvagente per gli adulti), da chi
è diversamente abile a chi arriva da territori diversi con differenti culture, da chi si trova a dover affrontare
percorsi di vita difficili legati alla sofferenza e alla malattia a chi vive in luoghi deprivati in cui morte e
violenza sono all’ordine del giorno, insomma come rispondere in modo adeguato al bisogno e al diritto di
gioco di cui tutti questi soggetti sono portatori?
Come e dove giocano gli adulti oggi, quanto sono individuabili dai ragazzi come modelli positivi?
Nella complessa dimensione educativo-didattica, come può il gioco entrare nei programmi curricolari
della scuola se nei fatti non può occupare neppure i tempi dell’intervallo?
Cosa e come vivono il rapporto tra tecnologia e gioco i bambini di oggi, i “nativi digitali” che, secondo
Postman3, hanno già perso l’infanzia e si dirigono verso una lunga “baby adultità”: con l’infanzia è destinato
a scomparire anche il gioco in rapporto con la tecnologia, oppure, così come avviene per la scienza, il gioco
trova nella tecnologia un prezioso alleato?
Nella consapevolezza che non si può essere esaustivi su temi di tale portata, nel poco tempo reso
disponibile dal convegno, sono stati organizzati sette gruppi di lavoro, ogni gruppo si è concentrato solo su
alcune questioni, poi le sintesi delle discussioni sono state riportate all’attenzione di tutta la platea in un
momento conclusivo di scambio.
Quello che ha reso possibile la stesura di questo volume è, quindi, il contributo di esperienze
significative e le riflessioni corali che sono emerse, raccolte e presentate dai due coordinatori, che in ogni
gruppo hanno saputo valorizzare le peculiarità dei partecipanti e soprattutto hanno scelto di restituircele
con passione e originalità.
Per questo l’andamento del lavoro, se pure in una cornice riconoscibile, non è del tutto uniforme,
ogni capitolo presenta delle caratterizzazioni perché, così come per il gioco, le regole date devono poter
essere interpretate e concordate tra i giocatori per dare i migliori risultati.
3 Postman N., La scomparsa dell’Infanzia, Armando, Milano, 2005.
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Il volume si divide in due parti, nella prima parte la presentazione della variegata realtà dei servizi
torinesi sul gioco consente di cogliere l’esigenza propulsiva di confronto, che dà senso alla scelta di
realizzare il convegno come impegno formativo, utile a rispondere sempre meglio alla complessità delle
esigenze educative e sociali. Pertanto i significativi contributi di Riccardo Poli e Amilcare Acerbi si
presentano come due valide prospettive per comprendere la realtà italiana dopo la L. 285/97: dal punto di
vista dell’accurato esame dei dati portati dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e
l’adolescenza, nell’intervento di Poli; mentre la relazione di Acerbi attraversa la pluralità di servizi e, senza
esitazioni, entra nel merito del rapporto tra il gioco e le politiche, i territori, gli spazi, la memoria.
La seconda parte del volume raccoglie i lavori dei sette gruppi ed è presentata con una introduzione
dedicata.
Infine un significativo richiamo alla rilevante figura di Walter Ferrarotti4, a cui questo convegno
nazionale sul gioco è stato dedicato con la cerimonia di intitolazione del Centro per la Cultura Ludica alla sua
memoria. Il suo impegno di vita, il suo stile come educatore e come persona lo legano, non solo al gioco ma
a tutto il Sistema educativo della Città di Torino, di cui è stato artefice. Walter Ferrarotti si è inserito in
questo lavoro attraverso brevi contributi, fornendoci un ulteriore stimolo per la freschezza e l’innegabile
attualità che li contraddistinguono. Il brano che ho scelto di riportare di seguito, riferito alla capacità di
esercitare la dimensione creativa del gioco al di là del tempo e dello spazio, ne è un significativo esempio:
“Chi alimenta il gioco creativo apre la mente ad una dimensione in cui tutto è possibile tutto si
trasfigura e si trasforma. Non sto parlando di fantasticherie ad occhi aperti che estraniano dal
mondo e dalle quali si è richiamati più o meno energicamente dalle persone di buon senso che
ci circondano. Sto dicendo che si può usare ciò che fa parte del quotidiano per uscire dal
quotidiano: così la biro che ho in mano in questo momento cessa di scrivere e di disegnare per
farsi piccolo strumento musicale per una parentesi sonora. Basta lasciarsi andare con la
fantasia batterla toccarla e soffiarci dentro. Si va da questa ingenuità al piacere di costruzioni
grafiche dove ci si propongono problemi di matematica e geometria sempre più complessi,
problemi non imposti dalla necessità, ma solo dalla necessità di esplorare le proprie capacità di
inoltrarsi per una strada dove le regole del gioco sono rigorosissime e non si può fingere. Ma si
può giocare creativamente in cucina facendo scoprire al palato qualcosa di inedito, o per la
strada divertendosi a considerare quell’infinito repertorio di maschere che sono le facce dei
nostri simili. Si può passare tutta la vita ad elencare i materiali e le operazioni con i quali
trascorrere in modo inconsueto una parte della nostra esistenza. Uscire dalla routine vuol dire
liberarsi, sentire che la propria vita può espandersi indefinitamente senza l’aiuto di nessuno.
Questa bellezza del gioco creativo vale per me perché rinnova la mia esistenza, mi fa sentire
ricco perché possiedo il mondo con il quale gioco e non sono limitato da problemi di
autotassazione, di giudizi critici. Godo di vivere e basta!
4 Dirigente dei Servizi educativi del Comune di Torino, scomparso nel dicembre 2007, fondatore con il CIGI e con Giancarlo
Perempruner del Centro per la Cultura Ludica di Torino.
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Si incomincia a creare da bambini se si ha la fortuna di scoprire o di essere aiutati a scoprire
che il mondo è ricchissimo per tutti, non solo per chi ha un conto in banca. Non si diventa
necessariamente artisti giocando creativamente, ma si prova un gran desiderio di vivere perché
ogni giorno, in mezzo agli affanni possiamo trovare il nostro attimo di felicità e di libertà.”5
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5 Ferrarotti W., Introduzione agli Atti della I Biennale del Gioco e del Giocattolo, supplemento alla rivista Gioco tempo dell’uomo,
CIGI, 1988.
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Prima parte
I tempi delle grandi trasformazioni sono sempre molto lunghi
e nessuno di coloro che ne discutono saprà mai chi avrà avuto ragione,
ma il discuterne non è ozioso perché svela il nostro atteggiamento
verso la vita e verso la società, ciò che vogliamo e ciò che temiamo;
ci dice, in altri termini, verso quale direzione stiamo tendendo e quali sono
i nostri “reali” rapporti con gli altri al di là delle formule verbali
o degli atteggiamenti che possono essere smentiti
nei momenti in cui occorre prendere decisioni che contano per il futuro.
Forse anche questo può apparire ozioso se pensiamo che gli eventi
sono manifestazione di una realtà di cui noi siamo parte determinata
non diversamente dalle altre.
Io penso che almeno servirà a dichiarare ad ogni nostro interlocutore
quale responsabilità crediamo di avere vivendo. 6
Walter Ferrarotti
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6 Ferrarotti W., Il condizionamento dell’ambiente nella scelta del gioco e nell’orientamento dello sviluppo, Città di Torino, Quaderni
Centri di Documentazione, 1990.
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Capitolo 1
Itinerari, progetti e percorsi in gioco
di Maria Carla Rizzolo
Trent’anni di impegno sul territorio cittadino lasciano il segno nel quotidiano delle famiglie che lo
abitano, proprio i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze con la loro cerchia parentale sono da sempre
gli interlocutori privilegiati dei Centri di Cultura per il Gioco. Un arco di tempo importante, che segna anche
la disponibilità al cambiamento e l’attenzione di chi lavora nel cogliere istanze, nel saper leggere nuovi
desideri poggiati su antichi bisogni. Con il presente lavoro si vuole completare e arricchire il contributo del
primo volume, che presenta la realtà torinese: dalla storia dei servizi ludici alle scelte pedagogiche che
sostengono l’offerta educativa a scuola e famiglie. Il contributo che segue mira ad approfondire
maggiormente la presentazione dei servizi che compongono i Centri di Cultura per il Gioco, dando spazio
anche ai progetti in corso e all’impegno verso iniziative e collaborazioni per noi significative.
.
Premessa
I Servizi educativi della Città di Torino si occupano di luoghi dedicati al gioco da più di trent’anni anni,
quando ancora l’argomento non era di moda, in un epoca in cui risultava molto faticoso spiegare,
soprattutto a politici ed amministratori, l’importanza di istituire dei servizi che si occupassero del
divertimento di bambini e ragazzi, sostenendo il gioco quale esperienza collegata strettamente con
l’apprendere, una occasione per mettere in pratica il rapporto con il mondo, sia fisico che relazionale7.
Il modo di giocare, gli spazi di gioco, i giocattoli, come sappiamo, rispecchiano l’evoluzione sociale e
culturale di ogni Paese. In Italia, intorno agli anni ‘60, l’industria è riuscita ad implementare il mercato con
oggetti ludici accattivanti a costi molto contenuti, così i bambini hanno smesso di costruire giocattoli con i
loro padri o i loro nonni; il giocattolo di produzione industriale, che fino ad allora era riservato a pochi, è
diventato un oggetto di consumo alla portata di quasi tutte le famiglie.
Anche i cortili, le strade e i marciapiedi non sono più frequentati dal gioco: le trasformazioni sociali,
culturali e urbanistiche hanno determinato sostanziali modifiche degli spazi e dei tempi per il gioco.
Occorrono, sempre più spesso, luoghi in cui recuperare il piacere di stare con altri a giocare, facendo
esperienza diretta di relazioni: incontri, scontri, litigi e rappacificazioni; luoghi in cui sfidare le produzioni del
mercato industriale, attivando la propria capacità creativa per progettare e realizzare giocattoli con i
materiali più diversi. Tra questi luoghi si possono inserire i Centri di Cultura per il Gioco che propongono a
bambini, ragazzi e giovani, non stimoli ma occasioni d’incontro vero con le cose e tra le persone,
riconoscendo che è questo che produce conoscenza e di conseguenza creatività. È però necessario che non
siano esperienze estemporanee, è importante che possano diventare momenti significativi riconosciuti e
7 La storia e le trasformazioni di ludoteche, punti gioco, sale gioco in ospedale e del Centro per la Cultura Ludica torinesi, sono
descritte in Rizzolo M.C., Giocare in città, in Venera A. M., (a cura di) Garantire il diritto al gioco. Studi e ricerche sul diritto al gioco, Junior, Bergamo, 2011, pp. 183-186.
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praticati quotidianamente, come succede nelle ludoteche torinesi. Ma non basta: il ruolo dei Centri di
Cultura per Gioco, nella realtà locale (ma anche in quella nazionale e internazionale), trova significato nella
sua funzione di strumento di raccordo con altre realtà educative, sociali e culturali che si rivolgono al
bambino, non solo per ampliare le offerte, ma anche per costruire e condividere l’intervento pedagogico.
1. Spazio al gioco
Ancora oggi il gioco ha la funzione di sperimentare la scoperta e la conoscenza, di orientare al
cambiamento, di stimolare la ricerca, in tutte le età dell’uomo. Il bambino che gioca sarà un adulto che “si
metterà in gioco”, che saprà guardare alla realtà con spirito critico e, crescendo, sarà disponibile a trovare e
a sperimentare soluzioni divergenti.
Possiamo anche pensare il gioco come un modo di essere, una possibilità per avvicinarsi alla realtà o
un tentativo per comprenderla prendendone le distanze attraverso la sua rappresentazione. Il gioco,
funzione elementare della vita umana, appartiene alla natura e alla dimensione culturale dell’uomo, anche
se spesso si tende a considerarlo come un’allegra e divertente compensazione del lavoro e della vita seria.
La questione è molto più impegnativa, non solo i pedagogisti ma anche psicologi, etologi, filosofi,
sociologi hanno riscattato l’apparente futilità di questa esperienza, affrontando l’argomento con la massima
serietà, come dice Umberto Eco, nel tentativo mai completamente concluso di “…postulare quello che
ancora oggi spaventa e non pochi, eppure va postulato: che anche i fondamenti dei rapporti materiali di vita
vanno risolti in regole di gioco per capirne la natura e la meccanica”8.
Il gioco diventa occasione di conoscenza, di interiorizzazione e di esperienza della realtà; Piero
Bartolini, che alla riflessione sul gioco ha dedicato una buona parte del suo lavoro di ricerca, sottolinea
come il gioco abbia una funzione di conoscenza della realtà, ma contemporaneamente, quanto sia
un’esperienza fondamentale per conoscere se stessi e per riuscire a dominare la realtà.
“… chiunque operi in situazione di autentico gioco, sa bene quanto nell’attività del giocare si realizzi
quella corretta relazione tra l’oggetto e il soggetto che caratterizza e struttura qualsiasi attività dell’uomo …
un rapporto che dal punto di vista pedagogico permette di comprendere ancora meglio la duplice funzione
del gioco: una funzione di avvicinamento alla realtà e di una vera e propria presa di coscienza di essa da
parte del bambino; ed una funzione di stimolo ad una progressiva presa di coscienza di un sé capace di
muoversi, di trasformare, di manipolare, insomma di dominare questa stessa realtà”.9
Se è vero che i bambini giocherebbero ovunque e comunque, non è altrettanto vero che gli adulti lo
permettano e, soprattutto, che siano consapevoli di quanto sia importante giocare, pensiamo a frasi del tipo
“Pensi solo a giocare!” o “Giochi dopo, c’è tempo per...” o ancora “Perdi sempre tempo a giocare”. Ma chi
può o deve decidere quando si gioca e come si gioca? Gli studiosi del gioco ci insegnano che decide solo chi
gioca e non si può obbligare nessuno a giocare (anche se oggi esistono forti condizionamenti, verso un tipo
di gioco principalmente di fortuna, che troppo facilmente crea dipendenza). Purtroppo certi adulti,
responsabili delle scelte urbanistiche, commerciali e culturali, condizionano fortemente famiglie e ragazzi
8 Eco U., Saggio introduttivo, in Huizinga J., Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1998, p. XXVI.
9 Bartolini P., Diritto al Gioco come diritto allo studio, a cura di La Guardia, Lucchini, Centro Programmazione Editoriale, 1990, p. 52.
19
sulle opportunità, le tipologie e i contenuti del gioco. Il ritornello ricorrente è che i bambini non sono più
capaci di giocare. Difficilmente però gli adulti si chiedono quali reali possibilità di gioco vengano messe a
disposizione dei bambini, quali siano gli spazi e i tempi di autonomia concessi affinché il gioco sia “vero” e
non solo una riduttiva esercitazione ludico-guidata.
Lo spazio è una delle questioni educative aperta e strettamente collegata con la dimensione di libertà
che è insita nel gioco: serve uno spazio per giocare o si può giocare in ogni spazio? I bambini giocherebbero
ovunque, come sostiene Françoise Dolto, ma hanno bisogno di luoghi sicuri, non troppo presidiati, in cui si
possano fare esperienze di relazioni autentiche, in cui gli adulti possano evitare di esercitare un controllo
costante: “Per essere più chiari bisognerebbe creare nelle città e nelle strade luoghi di incontro riservati ai
bambini tra loro ... hanno bisogno di questo, di territori sistemati sommariamente, ma soprattutto
sistemabili da loro, con l’eventuale aiuto degli adulti” 10.
Lo spazio, nelle città, è una questione complessa, strettamente legata alla dimensione urbana, alla
percezione del senso di sicurezza, al progetto sociale di comunità, come mette bene in evidenza Zygmunt
Bauman in Fiducia e paura nella città (Bruno Mondadori, Milano, 2005).
Il traffico sempre più congestionato influenza la mobilità e gli spostamenti: oggi i veri padroni di
strade e piazze sono le automobili e il commercio; per bambini e ragazzi è sempre più difficile esercitare
l’autonomia misurandosi con le difficoltà per superarle.
La violenza diretta, ma ancora di più quella strutturale e culturale, hanno una forte influenza
(chiaramente comprensibile) sulle scelte delle famiglie e, conseguentemente, sulla possibilità di movimento
e di gioco aggregativo in spazi pubblici della città.
Due modi diversi di vedere il problema, pur andando nella stessa direzione, sono quello di Elisabetta
Forni (presentato nel testo La città di Batman): “… La crisi del modello urbano contemporaneo dovrebbe
essere affrontata con un progetto educativo che punti all’attivazione e alla valorizzazione non solo delle
capacità critiche, comunicative e relazionali dei bambini, ma anche delle loro capacità progettuali e
lavorative, appunto del loro bisogno di ‘fare cose’ giocando. E giocare anche a recuperare e mantenere in
vita i luoghi della convivenza sociale significa imparare a mettere in relazione identità personali, sociali ed
etiche che sono la potenziale e specifica risorsa della città.” 11
E quello, ancora più forte e provocatorio, della psicoterapeuta francese Francoise Dolto presente nel
testo Il bambino e la città: “… Nelle città non si sfruttano abbastanza gli spazi appartati, per esempio sotto i
ponti. Gli angoli sotto i ponti attraggono molto i bambini e hanno una sonorità strana… Sotto i ponti, ecco
un angolo della città che non è affatto usato. I bambini ci potrebbero creare un’orchestra di percussioni.
Bisognerebbe dire loro: ‘se volete andare a giocare là potete farlo’. Basterebbero dei ripari per lasciarci i
giocattoli che non si possono portare ogni volta”.12
Il contributo dei Centri di Cultura per il Gioco accoglie entrambe le suggestioni: da un lato l’impegno
concreto con la presenza come cantieri del gioco al Tavolo interassessorile del Laboratorio Città Sostenibile -
in questo caso l’azione consiste nella progettazione e nell’accompagnamento all’esperienza partecipata dei
10
Dolto F., Il bambino e la città, Mondadori, Milano, 2000, p. 18. 11
Forni E., La città di Batman, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. 13. 12
Dolto F., Il bambino e la città, cit., p. 18.
20
bambini delle scuole, sostenendo e collaborando all’iniziativa Cortili aperti, che prevede la possibilità per le
famiglie di utilizzare il cortile scolastico oltre il tempo scuola; dall’altro il valore dello spazio viene rimarcato
nella progettazione di eventi territoriali, come ad esempio iniziative di gioco in strada e feste in piazza, che
consentono non solo di conoscere lo spazio, ma di agire nello spazio attraverso la chiusura al traffico di
luoghi di vita quotidiana.
L’impegno di una grande città come Torino, che sta con grande sforzo recuperando le fabbriche per
un uso “altro” di carattere sociale e culturale, dal Lingotto alle OGR (Officine Grandi Riparazioni), che a breve
aprirà la prima ludoteca progettata con caratteristiche innovative nel campo della bioedilizia, è anche quello
di restituire al gioco un po’ di spazio urbano strappato al traffico.
La sfida educativa è proprio quella di portare fuori da spazi e tempi strutturati il gusto e l’esperienza
ludica, mettendola a disposizione di bambini, ragazzi e famiglie nel tempo quotidiano di ciascuno.
Oltre alle questioni spinose dei tempi e degli spazi per il gioco, resta forte l’esigenza di costruire
collaborazioni per dare continuità ai servizi.
La scelta di ITER, che ha coinvolto in primo luogo i Centri di Cultura per il Gioco, si è sviluppata su due
fronti:
- predisponendo percorsi di formazione professionale per i giovani educatori, attraverso l’attivazione
di due corsi regionali (filone Mercato del Lavoro) per tecnico di laboratorio ludico, in collaborazione con
l’agenzia formativa CSEA;
- sperimentando, nella gestione dei servizi, l’affiancamento di personale educativo comunale, con
esperienza pluriennale nei servizi, a giovani educatori di cooperative, con l’obiettivo di valorizzare le
professionalità ma, contemporaneamente, di immettere nuove energie.13
Questa strada ha permesso di poter contare su un nucleo di educatori formati che lavorano nei
servizi, integrando il personale comunale, consentendo così un prolungamento dell’orario di apertura.
Il futuro del gioco nei centri urbani sarà sempre più legato alla capacità di sostenere e rinnovare spazi
diversi da casa e scuola ma inseriti nella quotidianità di bambini, ragazzi e giovani, (ludoteche e punti gioco
o altro ancora), in cui sia possibile una significativa esperienza di relazione e di incontro tra pari, ma anche
tra generazioni diverse, dove si possa esercitare quella mediazione che consente di giocare insieme, di
trasmettere conoscenze e trasferire competenze, di ridefinire le regole e i tempi del gioco. Luoghi in cui la
ricerca di soluzioni, la progettualità e l’invenzione diventino componenti indispensabili, dove si possa dare
senso al concetto di educazione alla cittadinanza sviluppandolo attraverso operazioni concrete e
responsabili, dove sia possibile fare esperienze, certamente non solo positive ma che, essendo reali, aiutano
a conoscere se stessi e gli altri.
+ spazio x il gioco, + tempo x te è un progetto che ha seguito questa direzione; il gioco, il tempo e
l’uso divergente dello spazio ne sono stati i protagonisti, con l’obiettivo di offrire esperienze significative
13
Attualmente sono impegnati nei Centri di Cultura per il Gioco 4 istruttori amministrativi, oltre 40 insegnanti comunali, a cui si aggiungono nel lavoro pomeridiano 16 educatori di cooperative. In media ogni sede (nove sul territorio cittadino) offre 200 aperture all’utenza libera, tra mattino e pomeriggio con una presenza complessiva media di circa 90.000 passaggi pomeridiani. Inoltre vengono attivati percorsi innovativi rivolti alle scuole (per lo più costruiti in forma di co-progettazione direttamente con gli insegnanti), a cui aderiscono più di 250 classi all’anno (dalla scuola per l’infanzia alla scuola secondaria di II grado ).
21
recuperando, nel tempo utilizzato per la spesa al mercato, uno spazio dedicato al fare e al giocare insieme.
L’idea è nata in un contesto favorevole e ha coinvolto un intero quartiere, in una ricerca tesa a migliorare i
tempi di vita delle famiglie che vi abitano; in questo lavoro sono stati coinvolti la Circoscrizione III, il Settore
Tempi e Orari della Città, la Compagnia di San Paolo e altre agenzie del territorio. Tra le molte proposte, è
stato possibile sperimentare un servizio aperto alle famiglie che utilizzavano il mercato di corso Racconigi
per la spesa nella giornata del sabato, in un periodo compreso tra maggio e settembre del 2009.
Sono stati utilizzati alcuni locali della scuola per l’infanzia comunale di via Moretta, dal giardino che
ha ospitato la maggior parte delle attività ad alcuni spazi interni in caso di mal tempo, e per quattordici
sabati si sono incontrati bambini di età diversa e famiglie di culture diverse. Ogni volta, per l’intera
mattinata, sono stati allestiti angoli-gioco attrezzati e laboratori rivolti ai bambini, con personale
specializzato per accoglierli e presentare le attività, che potevano poi essere svolte da adulti e bambini
insieme, o dai soli bambini. Quando la famiglia era presente veniva integrata nell’esperienza da condividere,
quando questo non era possibile i bambini trascorrevano il tempo con nuovi amici. Durante questi
appuntamenti settimanali l’esperienza è cresciuta proprio nella giusta dimensione: si è stabilito un rapporto
equilibrato tra regole e libera scelta, tra esplorazione ludica e costruzione di nuovi gruppi di amici, tra il
mettersi alla prova e i tentativi di sfidare l’adulto. In una situazione protetta, in cui gli educatori erano
propositori non invadenti e lo spazio del giardino consentiva di ricavare spazi sicuri di gioco, sono nate
avventure magiche, sono cresciute amicizie, è stato possibile esercitare i ruoli naturali di gregari per i più
piccoli e di condottieri per i più grandi.
La dimensione del gioco di avventura è stata quella più esercitata dai maschi, che hanno saputo
organizzare lo spazio e il gruppo trovando il modo di sottrarsi alla vista degli adulti (capaci di osservare a
distanza), usando i cespugli e gli alberi, ma anche recuperando il giusto compromesso per avere nel gruppo i
più piccoli, adibiti alle mansioni da sottoposti, mentre i più grandi prendevano le decisioni sull’andamento
del gioco. Per le bambine l’interesse si è rivolto in particolare agli attrezzi ludici: la palla, i coni per i percorsi
di abilità, la corda, le attività grafiche, dimostrando di gradire molto anche le diverse proposte di laboratorio
manuale che ogni sabato gli educatori presentavano. La questione della differenza di genere è emersa in
modo spontaneo e certamente resta uno dei campi aperti da approfondire nell’universo del gioco, una
dimensione che richiede una costante attenzione, perché l’influenza sociale e culturale incide fortemente
sulle scelte ludiche individuali. Ancor più oggi, in quanto la pluralità di culture e tradizioni che si intrecciano
modifica continuamente la relazione con i modelli di famiglia, di convivenza sociale, con i poteri economici e
culturali.
L’impegno dei Centri di Cultura per il Gioco in questa direzione si traduce in una stretta
collaborazione con l’Università, la Facoltà di Scienze della Formazione, che è iniziata alcuni anni fa
nell’ambito della ricerca condotta da Anna Venera e Paola Ricchiardi14, e che prosegue con nuovi
approfondimenti formativi finalizzati a costruire nuove progettualità educative.
14
Venera A.M., Ricchiardi P, Giochi da maschi, da femmine e…da tutti e due, Junior, Azzano San Paolo (Bg.), 2005.
22
2. Dare continuità a progetti e servizi
I Centri di Cultura per il Gioco offrono un variegato ventaglio di attività, la loro collocazione in luoghi
diversi, prevalentemente periferici, facilita il rapporto con il territorio; concorrono così, con le loro iniziative
e l’attiva partecipazione degli utenti, a vivacizzare l’offerta ludica:
- laboratori, animazione, documentazione e consulenze mirate vanno ad integrare gli interventi
territoriali e le iniziative che si svolgono al di fuori delle strutture, nelle vie o nelle piazze;
- collaborazioni ad eventi progettati dalla Città quali mostre, giornate dedicate, convegni, iniziative di
altri assessorati, che nel tempo si sono adeguate alle esigenze dei quartieri e alle trasformazioni dei diversi
Servizi della città.
Nella progettazione educativa e nelle proposte di attività si presta particolare attenzione alla ricerca
sulla tradizione ludica popolare, che rappresenta una costante nei contenuti del Centro per la Cultura
Ludica15, ma che trova spazio di riflessione anche in tutti i Centri di Cultura per il Gioco. La ricostruzione di
un patrimonio di giochi non sempre conosciuto, l’attenzione alla relazione fra radici antiche e modernità, il
rapporto fra generazioni e culture diverse, la relazione possibile tra i giochi di ieri e quelli di oggi, sono i
principali elementi che promuovono una nuova dimensione del “sapere” ludico oggi, valorizzando e
sostenendo l’impegno dell’UNESCO di inserire il gioco di tradizione popolare nel Patrimonio immateriale
dell’Umanità da salvaguardare.
Su questo tema è ormai consolidata la collaborazione con la Rete Italiana di Cultura Popolare, nata, a
Torino, per dare voce a quelle conoscenze che si trasmettono attraverso la comunicazione
intergenerazionale con la parola, il gesto, la musica. La Rete e i suoi organismi, “... Hanno come obiettivo
prevalente quello di creare le condizioni affinché si faciliti il passaggio dei saperi da una generazione
all’altra, ponendo un’attenzione particolare ai processi culturali che si distinguono nelle comunità
caratterizzate da un’omogeneità culturale.16 La ricca collezione di giocattoli artigianali della tradizione
popolare17 esposta presso il Centro per la Cultura Ludica Walter Ferrarotti costituisce il perno intorno al
quale si muove il lavoro di ricerca del gruppo di docenti, con l’obiettivo di affrontare non solo la dimensione
della testimonianza e della trasformazione del modo di giocare e dei giocattoli, ma con la precisa intenzione
di rilanciare il tema verso quelle che possono essere considerate oggi le forme ludiche di carattere popolare.
Nel tentativo di restituire al gioco e al giocare la sua funzione primaria e naturalmente educativa, chi
opera all’interno dei Centri di Cultura per il Gioco imposta le attività considerando il gioco come il libero e
naturale impulso dell’essere umano, specifico del bambino; ne coglie la dimensione privilegiata della
relazione educativa attraverso la quale è possibile acquisire, condividere e modificare le regole, tenendo
presente il desiderio di protagonismo di ciascuno e il proprio senso del limite e di appartenenza.
Un’esperienza che, attraverso il coinvolgimento del corpo, dei sensi, della mente e delle emozioni, produce
conoscenza in una condizione di esercizio di libertà, senso di responsabilità, condivisione del “ bene
15
Non è mai venuto meno l’impegno dei fondatori (il C.I.G.I, nella figura di Amilcare Acerbi, e i Servizi educativi del Comune di Torino, attraverso il dirigente Walter Ferrarotti) che ne hanno definito il modello e i contenuti, tutt’ora attuali. 16
Tratto dal sito della Rete Italiana di Cultura Popolare: www.reteitalianaculturapopolare.org. 17
La Collezione Perenpruner è composta da oltre duemila giocattoli e oggetti ludici e modi di giocare, documenti e fotografie, che si riferiscono al gioco della tradizione popolare italiana nella prima metà del 1900.
23
comune”.
L’impegno costante è quello di offrire, per quanto possibile, spazi e tempi adeguati per consentire ai
bambini e ai ragazzi l’opportunità di giocare liberamente e fuori da ogni impegno scolastico o agonistico, da
soli o con gli altri, alla scoperta del significato di comunità e del suo “senso” più profondo.
Le molte esperienze in corso nascono dalle competenze di coloro che operano nei Centri di Cultura
per il Gioco, dalla capacità di rispondere a istanze più o meno esplicite che arrivano, portate dalla scuola,
dalla famiglia, da altri operatori del sociale o dagli amministratori. Per la maggior parte si tratta di interventi
mirati, risposte progettuali specifiche, che consentono di costruire un percorso di lavoro condiviso e
coerente in cui il gioco resta il protagonista principale al servizio della storia, della matematica, della fisica,
della lingua parlata o scritta, della cooperazione. Si propende naturalmente verso quella che Gianfranco
Staccioli chiama “fiducia pedagogica nel valore gioco, nella sua ricchezza sul piano motorio, relazionale,
cognitivo, affettivo; nella sua importanza intrinseca per lo sviluppo del bambino, nella sua utilità funzionale,
nella sua specificità che lo rende al tempo stesso azione reale ed esperienza parallela al reale”18 e si cerca di
tradurla in una forma di ludo-didattica contagiosa per insegnanti ed educatori. Quello che ne deriva è una
forma di lavoro co-progettato che aiuta a crescere da entrambe le parti: la scuola si trova a riflettere sul
gioco e il giocare, mentre il confronto operativo per chi lavora nei Centri consente di trovare e percorrere
nuove strade.
Le sette ludoteche e il Centro per la Cultura Ludica Walter Ferrarotti, in un orario variabile dalle 8.30
fino alle 19.00, alternano molteplici attività: le mattine vengono dedicate prevalentemente ad accogliere
classi scolastiche di ogni ordine e grado, per attività scelte tra le proposte del Crescere in Città19 secondo un
calendario concordato e distribuito sull’intero anno scolastico; ma, in ludoteca, alcune mattine sono
dedicate alle famiglie con bambini al di sotto dei sei anni, a cui vengono proposte attività ludiche mirate:
manuali, motorie, espressive e di relazione, per consentire esperienze ludiche di interazione. Questo spazio
è importante non solo per i bambini ma anche per gli adulti che li accompagnano, che hanno così modo di
confrontarsi, raccontare e condividere esperienze, dando vita a momenti di solidarietà e di sostegno,
soprattutto nei confronti di giovani genitori.
I pomeriggi sono a disposizione di una utenza più territoriale che, provocatoriamente, va da 0 a 99
anni, ma che istituzionalmente consente di organizzare il servizio per bambini e ragazzi al di sotto dei 15
anni e per le loro famiglie. L’offerta è ampia e comprende spazi, materiali e attività che favoriscano il gioco
libero individuale e collettivo, i giochi della tradizione infantile; i giochi cantati: conte e filastrocche, i giochi
di imitazione; i giochi espressivo-simbolici (travestimenti, burattini...); i giochi di movimento e di cortile, i
giochi metropolitani, i giochi con i sensi, i giochi con materiali diversi; i giochi con giocattoli, i grandi giochi di
gruppo e di piazza, i giochi di abilità e rompicapo; i giochi di fortuna e di magia; i giochi sportivi. In periodi
particolari dell’anno si organizzano feste a tema, durante le quali le strutture si trasformano in grandi piazze
dove ci si incontra, si gioca, si mangia, si fa laboratorio, ci si scambia giocattoli... insomma ci si diverte.
18
Staccioli G., Il gioco e il giocare, Carrocci, Roma, 2007, p. 191. 19
Catalogo delle offerte educative che ITER e i Servizi educativi della Città di Torino offrono alle scuole, per saperne di più www.comune.torino.it/iter
24
Uno dei servizi che contraddistingue le ludoteche è senz’altro il prestito dei giocattoli. Ogni ludoteca
possiede un luogo attrezzato con giochi e giocattoli a disposizione che gli utenti possono prendere in
prestito. I bambini possono scegliere autonomamente senza l’intervento dell’adulto, a meno che questo non
sia esplicitamente richiesto; possono prima provare il giocattolo e poi decidere se richiederne il prestito. I
punti gioco, non avendo in dotazione giocattoli di produzione industriale, offrono alle scuole, alle
associazioni, agli utenti, la possibilità di avere in prestito giochi da kermesse (giochi da fiera) costruiti in
collaborazione tra insegnanti, genitori e ragazzi, divenuti ormai un ricco patrimonio delle strutture.
Il laboratorio è il luogo in cui si sviluppano molti dei progetti educativi dei Centri di Cultura per il
Gioco, è lo spazio in cui le capacità manuali vengono costantemente messe in opera per realizzare il
giocattolo che completi il gioco, o il giocattolo desiderato. Ciascuno può esprimere il proprio desiderio di
creatività scoprendo soluzioni e utilizzando materiali diversi, confrontandosi con i propri limiti, provando il
piacere di portare a casa il giocattolo costruito. In laboratorio sono coinvolti bambini e adulti, nella fase di
progettazione e nella costruzione dei giocattoli, che per la maggior parte si realizza con materiale di
recupero o con materiali facilmente reperibili. Il laboratorio viene generalmente gestito con tempi e orari
dedicati, ma le possibilità di creare occasioni per manipolare sono molte; in ludoteca, e ancora di più nei
punti gioco, si trovano spazi dedicati e attrezzati per lavorare con la stoffa, con il legno e il materiale di
recupero urbano, con il gesso, con la carta, il cartone e altri materiali simili.
Un riferimento particolare merita il rapporto di ludoteche e punti gioco con i soggetti diversamente
abili e con i gruppi che si occupano di loro: associazioni, cooperative o singoli ragazzi accompagnati da
volontari, educatori, giovani del Servizio Civile e genitori, in genere si tratta di realtà collegate con i servizi
socio-assistenziali della Città. Per questi ragazzi viene concordata la modalità di intervento più adatta, è
possibile predisporre specifici percorsi di gioco o di laboratorio, in stretta collaborazione con l’equipe che
segue i ragazzi, consapevoli che le problematiche relative alla disabilità devono essere affrontate con
attenzione e rigore, seguendo le indicazioni del personale competente.
Spesso chi è in difficoltà trova nella ludoteca un ambiente stimolante ed accogliente, perché esso è
pensato per valorizzare le singole competenze, prevede la compresenza di persone con età diverse, è un
luogo in cui tutti riescono facilmente a riconoscersi. Su richiesta dei servizi socio-assistenziali, ludoteche e
punti gioco diventano sede di incontri in “campo neutro” per tutti quei bambini soggetti a provvedimenti
del Tribunale dei minori. Qui, in presenza di un accompagnatore-educatore, i bambini incontrano i genitori,
e il gioco diventa il mezzo più immediato per ricostruire una relazione.
Già nello svolgere quotidianamente gli obiettivi del servizio, ludoteche e punti gioco tendono a
sostenere il rapporto tra genitori e figli, realizzando uno spazio dedicato e attrezzato, coadiuvato dalla
presenza di operatori ludici attenti e disponibili anche verso le richieste degli adulti. Questo contesto si
presenta, quindi, come particolarmente adatto per i progetti di integrazione familiare e sociale, secondo un
modello di educazione informale e di sostegno tra pari.
Nei Centri di Cultura per il Gioco si riconosce il diritto di tutti al gioco e al piacere del sano
divertimento, nello sforzo di vivere un tempo libero non troppo condizionato, in un significativo tentativo di
intervenire sulla qualità della vita individuale e collettiva: “…la ludoteca è diventata anche strumento per
25
l’affermazione del diritto al gioco di bambini e ragazzi; talvolta di più: testimonianza del diritto al gioco
dell’uomo.”20
Tra i progetti che coinvolgono tutti i Centri, merita un particolare riferimento la Giornata Mondiale
del Gioco21, un appuntamento annuale aperto a tutti per sostenere (e ancora serve sostenerlo!) il diritto al
gioco in una dimensione sociale e di partecipazione internazionale. Grazie all’impegno di GioNa22 e del CIL,23
questa giornata è diventata un importante evento nazionale. Ogni anno i Centri di Cultura per il Gioco
definiscono il programma, il tema da condividere con i bambini e le famiglie. Torino, da subito, ha dilatato la
GMG estendendone la durata, come è possibile fare solo nel gioco, rilanciando le attività in ludoteca, nei
punti gioco e in ospedale con diversi appuntamenti l’ultimo fine settimana di maggio, preparando per le
famiglie e per i cittadini una festa in piazza o in un parco, con il coinvolgimento di associazioni e cooperative
con cui già esistono collaborazioni.
Altra esperienza importante e trasversale è il percorso di formazione professionale per tecnico di
laboratorio del gioco. Un impegno che ha coinvolto, per due anni, un gruppo di insegnanti dei Centri di
Cultura per il Gioco, nel rilevante compito della formazione. I due corsi regionali24 sono nati dalla riflessione
interna del servizio, che ha evidenziato l’esigenza di poter integrare nella gestione dei servizi personale
esterno all’ente, in una logica di continuità e non di delega. Infatti già con le risorse della legge Turco (L.
285/97) era stato possibile inserire nelle ludoteche, nei punti gioco e nelle sale gioco in ospedale nuovi
educatori, con un grande sforzo di integrazione, indispensabile per garantire la condivisione delle linee
progettuali, metodologiche e organizzative. La possibilità di formare direttamente un nucleo di educatori sul
modello di servizio esistente ha costituito una vera sfida, ma è stata anche un’occasione per riflettere.
L’entusiasmo e la disponibilità con cui si è affrontata l’esperienza ha reso possibile trasformarla in uno
strumento di approfondimento e di confronto interno a tutto il collegio dei docenti, sia sui temi del gioco e
del giocare oggi, sia sulla figura dell’adulto/educatore. Il ruolo e la professionalità del ludotecario sono temi
che necessitano di costanti approfondimenti, perché sono calati in una dimensione ludica ricca e
multiforme, in cui le competenze richieste comprendono sia la capacità di giocare che quella di sapersi
allontanare dal gioco, di sapersi relazionare per “mettersi in gioco” con bambini e adulti, ma anche di essere
in grado di costruire un progetto di servizio educativo all’interno di un gruppo di lavoro.
L’impegno formativo ha permesso di costituire un nucleo di persone motivate e specializzate, utili ad
integrare le risorse educative comunali, che tutt’ora sono in servizio e consentono di ampliare l’offerta
educativa alle famiglie, proponendo un modello di servizio integrato che vede le due figure affiancate. Si
vuole così trasmettere alle nuove generazioni la storia e la competenza professionale fin qui maturata, ma
contemporaneamente ricevere una spinta innovativa per poter pensare al futuro, costruendo un presente
capace di far tesoro del passato.
20
Acerbi A., Ludoteche e dintorni, oggi. Una grande insopprimibile positiva sperimentazione nella nebbia, in Farnè R. (a cura di), Le case dei giochi. Ludoteca, ludobus e processi formativi, Guerini Studio, Milano, 1999, p. 29. 21
La Giornata Mondiale del Gioco si svolge ogni anno nell’ultimo fine settimana di maggio contemporaneamente in tutto il mondo. 22
Associazione delle città in gioco di cui Torino è tra i soci fondatori. 23
Centro Internazionale Ludoteche di Firenze che rappresenta l’Italia, tramite il suo direttore Giorgio Bartolucci, all’interno dell’ITLA (International Toy Librerie Association). 24
Entrambi i corsi di formazione professionale, realizzati con fondi regionali su finanziamento europeo, sono stati presentati in collaborazione con l’Agenzia formativa CSEA negli anni 2006/07 e 2007/08, con un impegno di 600 ore, di cui 240 di stage.
26
3. Differenti tipologie di servizi ludico-educativi
I Centri di Cultura per il Gioco costituiscono un insieme di servizi differenti (cinque Ludoteche, due
Punti gioco, il Gruppo Gioco Ospedale, il Centro per la Cultura Ludica) che hanno il comune intento di
praticare e promuovere il gioco nelle diverse realtà territoriali, riconoscendo la necessità di rivendicare per il
gioco uno spazio di diritto, che molto spesso è assorbito dai tempi e dai ritmi della vita metropolitana.
L’orientamento pedagogico dei Centri di Cultura per il Gioco è rivolto principalmente a rinsaldare la
dimensione del gioco libero alla caratteristica educativa che gli è propria.
Se il modello di ludoteca ha una storia consolidata anche a Torino, la prima ludoteca si aprì nei primi
anni ‘80, dalla riflessione torinese nasce l’esigenza di progettare anche modelli differenti. Le motivazioni
sono diverse e da ricondurre a considerazioni socio-culturali e pedagogiche.
Da un lato lo sviluppo urbanistico della città non permette a bambini e ragazzi di incontrarsi e
muoversi agevolmente, anche se sta crescendo la discussione e la ricerca, da parte degli adulti, di focalizzare
proposte che consentano di individuare luoghi di aggregazione adeguati, che rispondano a bisogni diversi e
che permettano di realizzare una pluralità di scelte. In una società sempre più omologata dallo sviluppo
economico, con difficoltà crescenti a creare sane relazioni, ancora troppo superficiale nell’analizzare la
crescita e l’influenza dei mezzi di comunicazione, diventa fondamentale poter offrire un modello di servizio
educativo critico nei confronti del mercato dei giocattoli. Per questo, all’inizio degli anni ‘90, sono nati i
punti gioco Aliossi e Cirimela, che non a caso portano i nomi di due giochi di tradizione popolare che si
possono giocare con strumenti semplici, che richiedono però un buon livello di abilità personali; con la sfida
di dare uno spazio maggiore al laboratorio per costruirsi il giocattolo in funzione del gioco che si sta
giocando. Il laboratorio consente di approfondire il tema della ricerca dei materiali, della loro conservazione
organizzata e sistematica. Un po’ alla volta si è costruita un’esperienza in cui la presenza degli adulti
(genitori, nonni ...) è diventata sempre più significativa, tanto da rendere necessario ritagliare un tempo
espressamente dedicato alle mamme25, per consentire, attraverso l’esercizio della creatività, di costruire
nuove relazioni positive tra adulti. Certo c’è ancora molto da fare per cogliere esigenze, desideri e bisogni in
costante cambiamento, ma è importante valorizzare ogni piccolo passo in questa direzione e la scelta di
dedicare nel presente convegno uno spazio di approfondimento ai luoghi del gioco vuole essere un ulteriore
arricchimento.
È parte di questa ricerca di servizi innovativi anche l’esperienza in ospedale, che si è consolidata con
la definizione del Gruppo Gioco Ospedale26: insegnanti specificatamente formate per offrire un servizio in
due ospedali cittadini. L’attività principale svolta è quella di proporre, in accordo con le diverse equipe
mediche, in spazi dedicati, animazioni, laboratori, occasioni di gioco, che entrano così nei reparti pediatrici.
La sala gioco diventa un luogo fisico che tutela il diritto al gioco anche in ospedale, un importante
25
Presso il punto gioco Cirimela una mattina a settimana, ormai da qualche anno, un gruppo di mamme si incontra sistematicamente per progettare e realizzare oggetti ludici. 26
Il servizio del Gruppo Gioco Ospedale è nato alla fine degli anni Ottanta nell’Ospedale Infantile Regina Margherita e si è esteso, dopo alcuni anni, anche all’Ospedale Martini nel reparto pediatrico.
27
collegamento con la vita quotidiana lasciata a casa, che sottolinea la possibilità di non rinunciare a un
mondo fatto anche di colori, di segni, di suoni… per una migliore qualità della vita in ospedale. Ma il gioco,
secondo le necessità, entra nelle stanze di degenza, raggiunge i letti dei bambini costretti a posizioni
obbligate, attraverso il paziente lavoro delle insegnanti. Da qualche tempo il gruppo si avvale anche della
collaborazione di educatrici di cooperative o di volontari delle associazioni impegnate in ambito ospedaliero,
delle quali, però, le insegnanti curano parte della formazione.
Nel tempo sono cambiate le condizioni di ricovero e i tempi di degenza, le sale gioco in reparto si
sono trasformate, le relazioni con il personale medico si sono consolidate e sempre più spesso viene
richiesta una collaborazione nei confronti della necessità di tradurre in modo semplice, ma efficace,
contenuti complessi come quelli che riguardano l’intervento chirurgico in generale, ma ancor più alcune
specifiche procedure spesso invasive, come la biopsia, l’introduzione del catetere venoso, la dialisi.
Dall’esperienza maturata nei reparti chirurgici, le insegnanti del Gruppo Gioco Ospedale hanno costruito, in
collaborazione con il personale sanitario delle due aziende ospedaliere, un percorso di riflessione e di studio
riguardante la preparazione del bambino all’intervento chirurgico. Si è trattato di riscrivere, senza
banalizzare, l’informazione su tempi, ritmi e procedure legate all’intervento chirurgico, per accompagnare i
bambini in questa difficile esperienza e aiutare i genitori ad affrontare la comunicazione con i figli su quello
che succederà loro in ospedale. In questa direzione sono nati, nell’Ospedale Infantile Regina Margherita
(O.I.R.M.), i progetti Operazione in Gioco, per i bambini tra i 3 e gli 8 anni e Play hospital, per i ragazzi dagli 8
ai 14 anni; analogamente, presso l’Ospedale Martini, l’attività GiocoOperando.
Bibliomouse è la prima biblioteca per ragazzi con sede in ospedale, realizzata nel 2001 presso
l’O.I.R.M., per rispondere al piacere dei bambini di ascoltare storie, lette o raccontate da un adulto. Topo
Ernesto, protagonista di una serie di avventure, la prima delle quali è nata con il contributo dello scrittore
torinese Massino Tallone, ne è diventata la mascotte. Bibliomouse è dotata di più di tremila libri e di un
carrello itinerante per raggiunge i diversi reparti, anche nei casi in cui il ricovero obblighi il paziente a
rimanere per lungo tempo a letto.
Nel corso di più di venti anni di servizio si è potuta realizzare una molteplicità di progetti che si sono
alternati alle proposte quotidiane di gioco e che hanno messo in relazione i ricoverati con gli eventi della
città: dal biblio-bus, in collaborazione con GTT (Gruppo Trasporti Torinese) in occasione del Salone
Internazionale del Libro di Torino, al passaggio della fiaccola delle Olimpiadi invernali del 2006; altri progetti
sono diventati ricorrenti, come La storia cancellapaura, percorso ludico-creativo sulla trasformazione di
materiali sanitari in oggetti di gioco, per renderli meno ostili e far assumere agli oggetti nuove identità con
l’aiuto della fantasia; il racconto dell’esperienza è contenuta in un video e in un libro27. L’esperienza di Un
mazzo di giochi, che ha l’obiettivo di creare una rete di raccolta e di condivisione dei giochi più diffusi e di
quelli poco conosciuti, con l’utilizzo del computer, in collaborazione con l’associazione Giochimpara e con gli
altri Centri di Cultura per il Gioco diffusi nella città, rappresenta una delle possibili forme per collegare il
“dentro” l’ospedale con altri luoghi.
27
La pubblicazione La storia cancellapaura, Editore Città di Torino - ITER, Torino, 2010, può essere richiesta alla segreteria dei Centri di Cultura per il Gioco - via Fiesole 15/a, centrigioco@comune.torino.it
28
Differente dai servizi fin qui descritti, il Centro per la Cultura Ludica Walter Ferrarotti merita un
discorso particolare: si configura come un luogo di ricerca-azione sul gioco, una piazza per sperimentare le
invenzioni degli appassionati, un volano di occasioni per approfondire e incontrare persone, un cantiere
ludico in movimento. Un’esposizione permanente abbraccia la storia del gioco, dagli antichi giochi della
senet o del duodecim scripta al videogioco e, attraverso gli oggetti in mostra, consente di reinventare
modalità e funzioni ludiche contemporanee. Nei laboratori si sperimentano nuovi contenuti da mettere in
mostra, dando vita al progetto Il Gioco in Mostra che, attualmente, dispone di sette mostre tematiche
itineranti28. Il patrimonio di testi e oggetti è disponibile per tutti i Centri di Cultura e fornisce costantemente
occasione di aggiornamento e approfondimento per tutto il collegio insegnanti, ma è anche ampiamente
utilizzato per ricerche e tesi universitarie.
È importante sottolineare come le finalità comuni, condivise nelle ludoteche e nei punti gioco, nel
Gruppo Gioco Ospedale e nel Centro per la Cultura Ludica, costituiscono una componente importante nella
progettazione e nel confronto collegiale che tiene conto sia degli ambiti di autonomia e di responsabilità
educativa a cui è chiamato chi opera sul campo, sia della fondamentale esigenza di caratterizzare il proprio
fare educativo coerentemente con le esigenze e i bisogni del territorio in cui si opera; a partire dalla
necessità di garantire che le diverse proposte ludiche, gli spazi e i tempi del gioco, non siano un’esperienza
estemporanea, episodi isolati, ma esperienze significative praticate quotidianamente.
L’obiettivo, come è bene ripetere, è ancora quello di garantire il diritto al gioco (secondo quanto
previsto dalla Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia art. 31, recepito in Italia nel 1991), con la
consapevolezza che rispondere con attenzione ai bisogni dei bambini consente di avvicinarsi ad un ulteriore
obiettivo: intervenire sulla qualità della vita, riassumendo in questo modo il valore di tutte le operazioni
educative, nel senso più ampio del termine, che si compiono nei Centri di Cultura per il Gioco e che li
connotano consapevolmente come territori educativi attenti alla cura, al sostegno, all’accompagnamento
non solo dei bambini e dei ragazzi, ma anche delle figure parentali che li circondano.
Ma non basta, il significato di riunire tutti i servizi del gioco all’interno dei Centri di Cultura per il
Gioco di ITER trova ulteriore conferma nell’impegno di confronto con altre realtà educative sociali e
culturali, per costruire una gestione integrata del servizio pubblico funzionale ad una migliore offerta
all’utenza. Fino ad ora la scelta sperimentale di lavorare gomito a gomito ha consentito di aumentare
l’offerta, senza perdere le caratteristiche peculiari di ogni sede, ma anche di migliorare la conoscenza tra i
diversi soggetti per costruire, non senza fatica, un progetto di lavoro comune. Una maggiore condivisione di
obiettivi e di strumenti si è potuta realizzare anche attraverso un confronto più ampio all’interno di
seminari, convegni, momenti formativi di portata nazionale e internazionale, intesi a qualificare sempre più
28
La mostra I percorsi della memoria: l’inverno e le altre stagioni propone un viaggio tra memoria e curiosità attraverso giochi, giocattoli e tradizioni del Piemonte e della Valle d’Aosta; Le culture in gioco offre uno spunto unico di educazione alla mondialità e alla diversità, con la sua raccolta di giochi e giocattoli dal mondo e le proposte di laboratorio; Sull’uovo e La bustina dello zucchero sono due mostre che, partendo da un oggetto da collezionare, sviluppano e arricchiscono il tema con approfondimenti ludico-creativi, scientifici, culturali; Da Roma per gioco percorre la storia del gioco nell’antico Impero Romano, con riproduzioni da reperti museali e pannelli esplicativi; Giochi di vento raccoglie e interpreta in modo ludico il tema dell’energia eolica con notazioni tecniche, curiosità e sviluppi creativi come proposte di laboratorio; Rêves d’Enfants, crescere giocando dal Marocco a qui riunisce più di 200 giocattoli auto-costruiti da bambini marocchini con materiali di recupero; prototipi provenienti dall’area marocchina dell’Anti Atlas, donati al Centro per la Cultura Ludica dall’antropologo belga Jean Pierre Rossie. Per ulteriori informazioni sulle mostre: Centro per la Cultura Ludica, tel. 011 4439400, labludica@comune.torino.it.
29
l’intervento pedagogico. Una dimostrazione concreta di disponibilità di questi servizi che, nella dimensione
di Centri di Cultura, aprono nuove prospettive all’esperienza ludica, coerenti alle esigenze sociali e culturali
contemporanee. Resta la spinta verso una speranza futura, da costruire nella quotidiana qualità educativa
non priva di difficoltà, ma carica di senso di responsabilità e di disponibilità all’innovazione.
Per chiudere prendo in prestito alcune righe di Antonio Erbetta: “Detto senza enfasi: qui prende
verità, in ultimo, il senso civile dell’impegno formativo a Torino. Laddove sono i volti dei ragazzi e delle
ragazze che li vivono dall’interno e quelli degli insegnanti, degli educatori e di quanti vi lavorano, a lasciar
intravedere il senso di un progetto di città futura. Certo: le luci e le ombre si accompagnano, così come ogni
esperienza educativa non si dà se non nell’orizzonte dei problemi irrisolti che la suscitano. Eppure resta il
segno di una continuità che si rinnova e che tramite ITER, sembra dunque segnare un percorso a venire.” 29
Riferimenti bibliografici
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Pollo M., Educazione come animazione, ElleDiCi, Torino Leumann, 1986
29
Erbetta A., Ascoltare, vedere, capire, in AA. VV., Lusso? No, grazie: democrazia, Tirrenia Stampatori, Torino, 2007, p. 15.
30
Rovatti P.A., Zoletto D., La scuola dei giochi, Bompiani, Milano, 2005
Singer D.G., Singer J.L., Nel regno del possibile, Giunti, Firenze, 1995
Vygotskij L., Il ruolo del gioco nello sviluppo, Bollati Boringhieri, Torino, 1987
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31
Capitolo 2
Diritti e opportunità di gioco in Italia per grandi e piccoli
di Riccardo Poli
Fammi giocare solo per gioco
Senza nient’altro, solo per poco
Senza capire, senza imparare Senza bisogno di socializzare
Solo un bambino con altri bambini Senza gli adulti sempre vicini
Senza progetto, senza giudizio Con una fine ma senza l’inizio
Con una coda ma senza la testa Solo per finta, solo per festa
Solo per fiamma che brucia per fuoco Fammi giocare per gioco
(Bruno TOGNOLINI - Filastrocca sul gioco)
Premessa
Il gioco è una componente fondamentale della vita umana, presente in modo diverso in tutte le
società, sia del passato che del presente. Ed esiste una certa variabilità nei tempi dedicati al gioco, nei luoghi
ad esso deputati, nelle modalità e negli strumenti che vengono utilizzati.
È noto come il gioco eserciti un ruolo fondamentale nelle fasi dello sviluppo infantile e
adolescenziale, rappresentando quasi una forma di apprendimento, di tirocinio, più o meno guidato, di
simulazione e accompagnamento alle regole e situazioni che nel mondo adulto poi verranno affrontate.
Una componente importante che muove il gioco è la sfida a cui è legato il suo esito finale che
determina vincenti e perdenti. Spesso le sfide prevedono una forma di premio per il vincitore, a volte solo
simbolico o di autogratificazione, o con l’attribuzione di ruoli specifici o forme di riconoscimento sociale,
altre volte con vincite in natura. Oggi sempre più spesso si tratta di premi in denaro, specie quando la sfida
non dipende dalle abilità esercitate, ma dall’imponderabilità della sorte, quando minime sono le effettive
probabilità di azzeccare la situazione vincente.
Il ruolo della funzione ludica in Italia si è modificato molto negli ultimi anni e pare sempre più in
questa direzione. L’esperienza del gioco e del giocare si è andata sempre più connotando, nella fascia di
popolazione giovanile e adulta, come binaria: del gioco si vive sempre più solo la chance, la possibilità di
vincere o di perdere, spinti e motivati dal desiderio di vincere o di perdere denaro assieme a quella di
passare il tempo. Il mix di passatempo, divertimento, competizione o sfida, di abilità fisiche o mentali, o di
resistenza, o della sorte, in gruppo, o individuale si è decisamente orientato verso la dimensione di alea -
dove conta l’imponderabile ruolo della fortuna - piuttosto che quella di agon, dove a contare sono le
capacità intellettuali, fisiche, di riflesso.
Il fenomeno è giunto all’attenzione anche del mondo della ricerca che da diverse prospettive ne ha
32
indagato consistenza, modalità fenomenologiche, conseguenze sociali e rilevanza economica.
Nel corso di questo intervento farò cenno ad alcune di tali indagini per dare una idea della sua
dimensione per poi soffermarmi sugli aspetti del gioco che riguardano più la fascia dei bambini e
adolescenti, nella quale si inquadra il ragionamento generale sul diritto al gioco. A questo riguardo farò
riferimento ad alcuni strumenti di politica sociale ed educativa che Stato ed Enti locali hanno posto in
campo per promuovere una cultura ludica attraverso interventi, progetti e servizi educativi e sociali, in un
quadro normativo generale che fa riferimento alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Cito poi in
conclusione un’esperienza che, partendo anche da quei riferimenti, ha cercato di promuovere concrete
politiche di diritto al gioco da realizzarsi a livello di singola città.
1. Alcuni dati sul gioco in Italia
Volendo farsi una idea di quale sia il posto che il gioco come attività ludica occupa nella vita
quotidiana delle persone, possiamo fare riferimento ad una indagine che l’Istat ha realizzato nel 2006
relativa all’utilizzo del tempo libero da parte dei cittadini italiani30.
L’indagine ha intervistato un campione di 19.921 famiglie per un totale di 50.569 individui ed è la
terza rilevazione della serie “I cittadini e il tempo libero”, iniziata nel 1995 e ripetuta nel 2000. Il suo scopo è
stato quello di descrivere in modo sistematico temi quali il tempo libero, il consumo culturale e mediale tra
le famiglie italiane.
L’indagine si è concentrata sulle concezioni, gli atteggiamenti e i comportamenti della popolazione
riconducibili alla sfera del tempo libero; nello specifico si è soffermata sui comportamenti e sulle attività
relative alla partecipazione culturale, alla pratica sportiva e alle attività più direttamente legate alla sfera del
sé e dell’autorealizzazione. Un capitolo del rapporto di ricerca è dedicato al tema dei videogiochi, dei giochi,
dei concorsi e delle scommesse.
Secondo l’Istat in Italia il 21,5 per cento della popolazione di 3 anni e più gioca con i videogiochi ma,
ovviamente, il dato è fortemente influenzato dall’età. Il dato è invariato rispetto al 2000, che vedeva una
quota del 20,7 per cento di persone che dichiaravano di giocare ai videogiochi.
I bambini, scrive l’Istat, cominciano prestissimo ad interessarsi ai videogiochi: infatti li utilizza ben il
25,9 per cento dei bambini di 3-5 anni. La percentuale di videogiocatori aumenta notevolmente tra le
persone dai 6 ai 10 anni (61,5 per cento, diminuita rispetto al 64,7 per cento del 2000), raggiunge il picco tra
le persone dagli 11 ai 14 anni (75,1 per cento) e si mantiene molto elevata fino ai 24 anni (superiore al 43
per cento) per poi decrescere rapidamente fino a raggiungere il 4,2 per cento tra le persone di 55-59 anni e
meno del 2 per cento tra gli ultrasessantacinquenni.
L’uso dei videogiochi è una prerogativa maschile: il 28,6 per cento dei maschi gioca con i videogiochi
rispetto al 14,8 per cento delle donne e tale prerogativa maschile è costante anche a parità di età. Giocano
con i videogiochi l’83,5 per cento dei ragazzi di 11-14 anni rispetto al 66,4 per cento delle coetanee.
30
Istat, Spettacoli, musica e altre attività del tempo libero - anno 2006. Indagine multiscopo sulle famiglie “I cittadini e il tempo libero”, Collana Informazioni n. 6, Roma, 2008. Reperibile sul sito web dell’Istat all’indirizzo http://www.istat.it/dati/catalogo/20081031_00/
33
Dal punto di vista territoriale l’uso dei videogiochi è leggermente più diffuso al Centro e nel Nord-
Ovest anche se le differenze sono ridotte. Le regioni in cui è maggiore la quota di persone che gioca con i
videogiochi sono il Lazio e la Lombardia (entrambe con il 23,5 per cento) seguite dal Trentino-Alto Adige
(22,7 per cento), Friuli-Venezia Giulia (17,3 per cento), Molise (18,7 per cento) e Puglia (18,8 per cento)
sono invece le regioni in cui tale pratica è meno diffusa.
L’uso dei videogiochi è più diffuso tra i diplomati (24,1 per cento) e tra le persone con la licenza media
(22,4 per cento) mentre è meno diffuso tra i laureati (18,3 per cento). Questo dato risente, però, dell’età. Se
consideriamo, infatti, le persone di 25-44 anni si evidenzia che i diplomati usano i videogiochi nel 25,9 per
cento dei casi seguiti dai laureati che li usano nel 23,4 per cento dei casi.
Considerando la frequenza d’uso si evidenzia che il 14,1 per cento di chi usa i videogiochi ci gioca tutti
i giorni, il 39,4 per cento ci gioca una o più volte a settimana, il 25,5 per cento qualche volta al mese e il 21,0
per cento qualche volta all’anno. I videogiocatori più assidui sono i maschi (18,2 per cento gioca tutti i giorni
rispetto al 6,5 per cento delle donne), i ragazzi dai 6 ai 17 anni (oltre il 20 per cento) e le persone con la
licenza elementare.
È la propria casa il luogo privilegiato in cui si gioca. L’82,0 per cento delle persone ci gioca a casa
propria, il 26,2 per cento a casa di amici o parenti, l’8,3 per cento nelle sale giochi e l’1,9 per cento altrove.
L’uso a casa è prevalente in tutte le classi d’età ma tra i ragazzi dagli 11 ai 24 anni l’uso a casa di amici o
parenti raggiunge dimensioni consistenti (oltre il 34 per cento). Infine, l’uso dei videogiochi nelle sale giochi
è diffuso soprattutto tra i giovani dai 17 ai 24 anni, tra gli ultrasessantacinquenni, in Italia centrale e
nell’Italia meridionale.
Per quanto riguarda i giochi di società, giochi di carte, cruciverba o simili e biliardo e bowling, si
registra un più alto coinvolgimento della popolazione. Si dedica ad almeno una delle attività considerate ben
oltre la metà della popolazione, il 58,7 per cento delle persone di 14 anni e più. Il dato è comunque in calo
rispetto alla rilevazione del 2000. Diminuzione registrata in tutti i tipi di attività.
La quota di giocatori è più elevata tra i maschi (63,2 per cento rispetto al 54,5 per cento) e tra i
giovani (oltre il 70 per cento tra le persone dai 14 ai 24 anni). Le differenze di genere, però, sono fortemente
influenzate dall’età. Tra le persone tra i 14 e i 24 anni, infatti, le differenze di genere sono minime e in alcuni
casi sono le donne a giocare più degli uomini. Tra le persone dai 55 anni in poi, invece, il divario tra uomini e
donne diventa molto consistente. Tra gli ultrasettantacinquenni, ad esempio, giocano il 54,4 per cento dei
maschi rispetto al 31,0 per cento delle coetanee.
Il gioco, come attività del tempo libero, è più diffuso al Nord (61 per cento circa) e in particolare in
Trentino-Alto Adige (68,6 per cento) rispetto al resto d’Italia.
Infine le attività di gioco sono praticate di più dai diplomati (65,7 per cento), seguiti dai laureati (63,0
per cento) e dalle persone con la licenza media (62,5 per cento). Le più svantaggiate sono le persone con la
licenza elementare che praticano attività di gioco solo nel 44,1 per cento dei casi.
Tali differenze, inoltre, restano sostanzialmente invariate anche considerando congiuntamente l’età e
il titolo di studio.
Il gioco di scommessa o per i concorsi a premio (totocalcio, totogol, totosei o totip, lotto e
34
superenalotto, corse animali, bingo, videopoker, concorsi a premi di vario tipo) riguarda, sempre secondo
l’Istat, il 40,2 per cento delle persone al di sopra di 14 anni che dichiarano di aver effettuato qualche tipo di
scommessa o aver partecipato a qualche gioco a premi nei 12 mesi precedenti l’intervista. Anche in questo
caso il dato è in calo rispetto alla rilevazione del 2000 in tutti i vari comparti di attività.
La quota di chi scommette è più alta tra gli uomini (49,4 per cento rispetto al 31,6 per cento) e tra le
persone tra i 20 e i 64 anni (oltre il 41 per cento).
La quota di persone che scommette è più elevata in Italia centrale e in Italia insulare (circa 41 per
cento) e soprattutto in Italia meridionale (45,1 per cento) mentre nel Nord dell’Italia è più contenuta (circa
36 per cento). Le attività più praticate sono il superenalotto (26,3 per cento), il lotto (25,1 per cento), il
totocalcio (17,4 per cento) e i concorsi a premi e/o le lotterie di vario tipo (12,3 per cento). Molto più
contenuta la quota di chi gioca al bingo (4,4 per cento), di chi effettua scommesse (2,8 per cento), di chi
gioca ai videopoker (2,0 per cento) e di chi gioca alle corse di cavalli, cani e/o al casinò (1,9 per cento). Le
attività considerate sono diffuse soprattutto in Italia meridionale dove, ad esempio, gioca al lotto il 31,6 per
cento delle persone di 14 anni e più rispetto al 19,5 per cento dell’Italia Nord-orientale.
Altre indagini sul gioco come comparto produttivo finalizzate a cogliere il suo significato economico e
sociale, sono state condotte da Censis ed Eurispes che hanno realizzato, nel corso del 2009, due studi per
rilevare la consistenza del mercato del gioco e quindi anche le modalità di consumo ad esso connesso.
Queste indagini hanno come unità di rilevazione la quantità di denaro speso nei giochi piuttosto che il
numero di giocatori e ci restituiscono una rappresentazione in parte diversa rispetto all’indagine multiscopo
dell’Istat, almeno per quanto riguarda la stima della popolazione coinvolta, la distribuzione territoriale del
gioco e l’evoluzione della domanda di gioco scommessa e intrattenimento negli ultimi anni. Un trend in
crescita quanto a volumi della raccolta che pare in parte contrastare con il dato di contenimento del numero
di persone coinvolte nei vari ambiti di gioco rilevato dall’Istat nelle due indagini del 2000 e 2006.
Gioco ergo sum31 è il titolo del volume realizzato dal Censis Servizi per l’Associazione Giochi e Società
in collaborazione con Confindustria - Servizi Innovativi e Tecnologici con il supporto di AS.TRO, ACMI, Acadi e
Federbingo. Si tratta di un rapporto di ricerca che si compone di due parti:
1. gioco ergo sum: l’indagine completa che illustra l’evoluzione e i nuovi trend del gioco in Italia
con un’attenzione anche al fenomeno delle ludopatie32 e alla dimensione del gioco illegale;
2. l’atlante del gioco in Italia: un’approfondita analisi territoriale (province italiane up down;
province italiane più e meno ‘fortunate’, volumi di gioco... ) del fenomeno.
L’Italia in gioco di Eurispes33 è una ricostruzione dei dati relativi al mercato dei giochi di scommessa e
intrattenimento in Italia dove ha assunto le caratteristiche di una vera industria. L’analisi del contesto
31
Censis Servizi, Gioco ergo sum, Roma, 2009. Consultabile sul sito web del Censis nella sezione Le ricerche (indirizzo http://www.censis.it/20?relational_resource_146=5768&resource_144=5768&relational_resource_400=5768&relational_resource_404=5768&relational_resource_147=5768&relational_resource_406=5768&relational_resource_407=5768&relational_resource_408=5768&relational_resource_409=5768&relational_resource_430=5768) 32
Del tema delle “ludopatie” e del rischio di dipendenza per i giocatori d’azzardo si è interessato anche il Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo) che nel 2008 ha condotto una indagine su 2750 persone in sette regioni d’Italia. Sintesi della ricerca è reperibile all’indirizzo http://centrostudi.gruppoabele.org/gambling/?q=node/205. 33
Eurispes, L’Italia in gioco. Percorsi e numeri dell’industria della fortuna, Roma, 2009. Consultabile sul sito web dell’Eurispes nella sezione ricerche al tema “lotterie e giochi a premio” (indirizzo http://www.eurispes.it/?option=com_content&view=article&id=274&Itemid=219&fontstyle=f-larger)
35
italiano è arricchita da alcuni confronti con la situazione dei principali paesi europei. Un percorso di analisi e
ricerca effettuato all’interno del complesso comparto del gioco letto attraverso le potenzialità, le
problematiche del gioco d’azzardo e illegale, le evoluzioni subite negli ultimi decenni e l’ascolto degli
operatori del settore. L’indagine è stata realizzata su un campione di 1.007 cittadini, stratificato per quote
proporzionali della popolazione italiana secondo le seguenti variabili: sesso, classi d’età, area territoriale
(Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole) ed ampiezza demografica del comune di residenza (piccolo,
medio e grande comune).
Con 35 milioni di italiani coinvolti (una stima assai diversa rispetto ai 24 milioni, pari al 40% della
popolazione, rilevata dall’Istat nel 2006), una spesa complessiva negli ultimi sei anni di 194 miliardi di euro,
il mercato dei giochi ha raggiunto proporzioni tali da poter essere considerato una vera e propria industria,
afferma il rapporto Eurispes.
Una industria che ha una capillare distribuzione. I negozi che mettono a disposizione il gioco
pubblico, tra rivendite tradizionali e nuovi punti vendita risultano così distribuiti: 14.000 punti vendita
(agenzie e corner) destinati alla raccolta delle scommesse ippiche e sportive, dove sono installate 31.000
slot; 228 sale bingo, che detengono circa 1.000 slot; oltre 100.000 esercizi pubblici, diversi dai punti vendita
menzionati, collegati da più tecnologie (Gprs, Adi e Rtg) per la rilevazione dei dati sul funzionamento delle
slot. Al maggio 2008 la rete distributiva delle slot comprende 59.000 bar (169.000 macchine), 1.500 sale
giochi (29.000, oltre a slot senza vincita in denaro), 2.200 ristoranti (5.600 macchine), 4.000 circoli privati
(12.200), 464 alberghi (1.000), 65 stabilimenti balneari (150); 515 banchi lotto.
La raccolta complessiva dei giochi in Italia nei primi nove mesi del 2009, secondo i dati Eurispes, ha
superato i 39 miliardi di euro (+14,4% rispetto ai primi nove mesi del 2008), con un valore medio di raccolta
mensile di 4,3 miliardi di euro e punte massime di 4,5 miliardi di euro registrati nei mesi di gennaio e marzo.
Una crescita che continua da sei anni, salita dai circa 15,5 miliardi di euro raccolti nel 2003 ai circa 47,5
miliardi di euro del 2008 e che pare destinata a proseguire anche per il 2010, raggiungendo, secondo le
previsioni dell’Istituto di ricerca, quota 58 miliardi di euro nel 2010.
Tale crescita non ha però interessato in maniera omogenea tutte le diverse tipologie di giochi -
prosegue il rapporto Eurispes - essendo viceversa il risultato del bilanciamento tra due diverse dinamiche:
la minore raccolta dei giochi a base ippica (da 1,79 a 1,5 miliardi di euro, -16%), del bingo (da
1,2 a 1 miliardo di euro, -13,9%) e del lotto (da 4,4 a 4,2 miliardi di euro, -4,5%), per i quali si
conferma quindi il ridimensionamento dei volumi di raccolta registrato negli ultimi anni;
la maggiore raccolta del superenalotto (da 1,4 a 2,5 miliardi di euro, +77,1%), degli
apparecchi da intrattenimento (da 15,8 a 17,9 miliardi di euro, +13,4%), dei giochi a base
sportiva ( da 2,7 a 3 miliardi di euro, +9%), delle lotterie (da 6,8 a 7 miliardi di euro, +3,8%) e
il successo dei giochi di abilità a distanza e poker on-line, la cui raccolta ha già superato 1,7
miliardi di euro, superando sia i giochi a base ippica, sia il bingo.
Rispetto alle varie tipologie di giochi i comportamenti di spesa si sono trasformati nel tempo. Nel
2003 circa metà della raccolta (44,8%) proveniva dal gioco del lotto, contro il 12,3% del 2008. Sorte analoga
per i giochi a base ippica, che nel 2003 rappresentavano circa il 19% della raccolta, contro il 4,8% del 2008 e
36
per il superenalotto, che nel 2003 garantiva circa il 13% della raccolta, contro il 5% circa del 2008.
I giocatori hanno favorito, quantomeno in termini di raccolta, gli apparecchi da intrattenimento, che
nel 2003 rappresentavano appena il 2,4% della raccolta, contro il 45,6% del 2008. In questo settore si
affermano le NewSlot progressivamente diventate la tipologia di gioco principale per raccolta di denaro,
arrivando nel 2008 a rappresentare il 45,6% delle entrate complessive del settore. Gli apparecchi da
intrattenimento in seguito alla regolamentazione, avvenuta alla fine del 2003, hanno fatto registrare
incrementi considerevoli passando dai 367 milioni di euro raccolti nel 2003 ai 21,68 miliardi di euro raccolti
nell’ultimo anno e 320.000 apparecchi installati in 120.000 punti vendita (bar, alberghi, sale giochi, ecc.).
Anche le lotterie, e in particolar modo i Gratta e vinci, hanno visto aumentare la propria quota di raccolta in
maniera esponenziale dall’1,8% del 2003 al 19,5% del 2008.
L’evoluzione del quadro di offerta dei prodotti da gioco trova conferme anche nel rapporto Censis.
Nel 1999 a prevalere erano pochi giochi dai grandi volumi (lotto, scommesse ippiche, concorsi pronostici). Il
mercato valeva 17,7 miliardi di euro, con tre prodotti leader capaci di concentrare l’85% delle giocate. La
netta separazione tra i profili skill (abilità) ed i profili luck (fortuna) riproduceva - tra i consumatori - una
nettissima propensione per la componente fortuna.
Su 100 euro giocati le poste si distribuivano per il 77% del valore nel IV quadrante (quello della
fortuna) e per il 23% nei quadranti I e II (quelli dell’abilità). Fig. 1. Quadro di offerta al 1999. Prodotti secondo il posizionamento fortuna vs abilità e giochi tradizionali vs nuovi giochi Fonte: Censis, Gioco ergo sum, op. cit. pag. 5
Nel periodo 2004-2008 si sviluppa in modo esponenziale la raccolta delle scommesse sportive
(+300%) e delle apparecchiature elettroniche (+580%) che insieme rappresentano il 55% del giocato. La
concomitante rivitalizzazione (attraverso un processo di forte segmentazione della gamma di offerta) delle
lotterie istantanee e la “congiuntura positiva” dei jackpot trascinano giocatori e volumi. In Italia il numero di
giocatori (almeno una volta l’anno) si attesta al 60% della popolazione. I volumi a loro volta crescono fino a
toccare il loro punto di massima nel 2008 con oltre 47,0 miliardi di euro.
37
Fig. 2. Quadro di offerta al
2008.
Prodotti secondo il posizionamento fortuna vs abilità e giochi tradizionali
vs nuovi giochi Fonte: Censis, Gioco ergo sum, op. cit. pag. 9
Il settore del gioco di scommessa e di intrattenimento fornisce grandi risorse anche alle casse
dell’Erario. Le entrare erariali, fa notare il rapporto Eurispes, derivanti dalla raccolta hanno subito un forte
incremento: da 3,5 miliardi di euro nel 2003 a 7,7 miliardi di euro nel 2008, con un tasso di crescita
complessivo del 121,1%.
Si tratta di una crescita che deriva prevalentemente dall’aumento della raccolta dei giochi registrato
nel corso degli ultimi anni piuttosto che dal regime fiscale cui i singoli giochi sono sottoposti. Infatti il
prelievo fiscale ha registrato tra il 2003 e il 2004 un incremento del 6% (da 23% a 29%) per poi ridursi negli
anni successivi, passando dal 29% al 19% tra il 2004 e il 2006 e dal 19% al 16% tra il 2006 e il 2008.
L’evoluzione degli ultimi sei anni delle entrate erariali per tipologia di gioco, che derivano da una
combinazione tra l’andamento della raccolta di ciascun gioco e le modifiche apportate al regime fiscale cui
ciascuno di essi è sottoposto, mostrano una forte crescita del gettito erariale derivante dagli apparecchi da
intrattenimento che, a fronte della crescita della raccolta di 21,3 miliardi di euro e del prelievo erariale del
3%, è passato da 33.000 euro nel 2003 a quasi 2,6 miliardi di euro nel 2008.
Rispetto alla geografia del gioco Eurispes rileva come oltre il 50% della raccolta dei giochi in Italia
(23,4 miliardi di euro) si concentri in quattro regioni.
Il primato spetta alla Lombardia (8,3 miliardi di euro, 19,9% del totale), al Lazio (4,6 miliardi di euro,
11% del totale) e alla Campania (4,2 miliardi di euro, 10,1% del totale), mentre tutte le altre regioni hanno
totalizzato nel 2007 una raccolta inferiore ai 4 miliardi di euro, con valori compresi tra i circa 3,3 miliardi di
euro dell’Emilia Romagna (7,8%) e i 90 milioni di euro della Valle d’Aosta (0,2%).
Il 50% circa della raccolta dei giochi in Italia si concentra in sole 18 province italiane, localizzate
prevalentemente nel Nord-Ovest (Milano, Torino, Bergamo, Brescia, Pavia, Varese, Genova) e nel Meridione
(Napoli, Bari, Palermo, Salerno, Caserta, Catania) e solo marginalmente nel Centro (Roma, Firenze) e nel
Nord-Est (Bologna, Venezia, Modena). Il primato spetta alle province di Milano (3,9 miliardi di euro di
raccolta, 8,3% del totale), Roma (3,4 miliardi di euro, 8,1%), Napoli (2,3 miliardi di euro, 5,7%), Torino (1,4
miliardi di euro, 3,5%) e Bari (1 miliardo di euro, 2,5%).
Questo dato nel rapporto del Censis è letto in relazione anche al numero di abitanti, poiché è
38
evidente che assunti in valore assoluto, i volumi di gioco siano destinati a privilegiare le province più
popolose, mentre l’indicatore volumi di gioco/popolazione (intesa come popolazione maggiore di 14 anni)
rappresenta con più efficacia la propensione al gioco in relazione al dato territoriale.
La classifica delle prime cinque province per giocato procapite si presenta molto diversa da quella che
fotografava la situazione al 1998, rileva il Censis. Tutto ciò è probabilmente dovuto alla straordinaria
accelerazione del giocato medio procapite che in Italia è passato dalle 631.000 mila lire del ‘98 (poco più di
326 euro) agli oltre 890 euro del 2008, di fatto quasi triplicando il valore.
La provincia di Roma, prima per giocato procapite nel 1998, scende ora al 22° posto ed è sostituita in
testa da Pavia che, con 1.364 euro di spesa procapite, rappresenta la provincia italiana top spender a
testimonianza che il gioco attecchisce maggiormente nelle aree ad alto reddito del Paese.
Seguono nelle altre posizioni le province di Pescara (l’unica presente nelle “Top Five” nel 1998 al 2°
posto), Rimini, Lodi e Teramo mentre, rispetto a dieci anni prima, retrocedono Milano (dal 3° al 14° posto),
Ascoli (dal 4° al 19° posto) e Pistoia (dal 5° al 26° posto).
Anche il dato regionale, se letto in relazione al rapporto con il numero di abitanti, cambia e vede
l’Abruzzo al primo posto precedere Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna. La Campania si colloca al 6° posto
mentre nelle ultime tre posizioni si trovano nell’ordine Veneto (18° posto), Basilicata e Calabria.
Tab. 1 Giocato pro-capite nel 2008 per regione (Val. in €)
39
Nel campione di persone intervistato da Eurispes emerge un giudizio tendenzialmente positivo del
gioco: il 29,8% degli italiani considera i giochi e le lotterie un divertimento allo stato puro, l’8,2% associa
invece scommesse e puntate all’adrenalina data dalla suspense. In parallelo, la posizione espressa da chi
spera di ottenere dal gioco un’integrazione al proprio reddito personale (9,2%), segnala che probabilmente
questo sistema sta diventando un rimedio alle difficoltà economiche di molte famiglie italiane.
I giocatori con un reddito annuale piuttosto basso, sperano più di altri che una grossa vincita possa
risollevare le loro finanze con l’opportunità di vivere una vita più agiata (28,4%). Essi, inoltre, mostrano una
maggiore propensione a giocare per mettere alla prova le proprie abilità (7,6%) e per portare avanti una
consuetudine familiare (5,6%). Chi percepisce un reddito compreso tra i 10.001 e i 20.000 euro si distingue,
poi, in misura maggiore di altri, perché trova nel gioco un modo per guadagnare facilmente (21,5%), per
passare il tempo libero (7,1%) o fare opere di bene (4%). La scelta di giocare semplicemente per divertirsi
(39%) o per assaporare il brivido del gioco (6,8%) è, invece, diffusa prevalentemente tra chi ha dichiarato
redditi più alti.
Per il 3,8% cimentarsi con il panorama dell’offerta ludica messa a disposizione dai gestori significa
principalmente mettere alla prova le proprie abilità e competenze. In alcuni casi, questa tendenza porta a
far diventare il gioco una costante della vita quotidiana (2,1%).
Poco più di un terzo dei cittadini (30,6%) ritiene invece che investire somme più o meno consistenti
nel tentativo di sfidare la dea bendata costituisca uno spreco di denaro e, per il 12,5%, questo
comportamento rappresenta un modo poco costruttivo di passare il tempo.
Gli uomini, in misura maggiore rispetto alle donne, considerano il gioco in denaro un puro
divertimento (30,7% vs 28,8%), sperano di ottenere giocando un’integrazione al proprio reddito mensile
(10,7% vs 7,6%) e sono più attratti delle emozioni che il gioco è in grado di dare (9,4% vs 7%). Al contrario, le
donne valutano, nel 33,4% dei casi (contro il 28,1% del dato maschile), il gioco come un inutile spreco di
denaro.
Nelle fasce più giovani di età si rileva un atteggiamento favorevole nei confronti del gioco in denaro:
per il 34% dei 18-24enni e per il 32,6% dei 25-34enni, esso è principalmente un divertimento. I più anziani
sono coloro i quali più di altri dichiarano di apprezzare l’aspetto emotivo legato all’universo dei giochi
(11,7%). Infine, la maggior parte degli italiani che gioca (o giocherebbe) per tentare di ottenere qualche
entrata extra allo scopo di arrotondare lo stipendio mensile appartiene alla classe d’età 35-44 anni (14,3%).
Gli italiani, prosegue il rapporto, incominciano a tentare la fortuna abbastanza presto: il 39% ha,
infatti, investito per la prima volta dei soldi per giocare tra i 18 e i 25 anni, mentre il 38,4% tra i 13 e i 17
anni (1.132.555 teen players).
2. Il diritto al gioco
Il diritto al gioco per bambini e ragazzi è riconosciuto espressamente da alcune carte internazionali
ratificate con legge dall’Italia, come la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989
(ratificata con legge n. 176/91, da ora in poi CRC) e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con
disabilità del 2006 (ratificata con legge 18/2009).
40
La prima riconosce espressamente il gioco, il riposo e lo svago come diritti di cui sono titolari tutti i
bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze (art. 31 CRC). L’art. 23 della CRC afferma inoltre il diritto dei
bambini con disabilità di avere una vita piena e decente che comprende l’accesso alle attività ricreative
(comma 3).
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 ribadisce l’importanza del diritto
al gioco per il bambino con disabilità impegnando gli Stati firmatari a prendere misure appropriate per
«assicurare che i bambini con disabilità abbiano pari accesso alla partecipazione ad attività ludiche,
ricreazionali, di tempo libero e sportive, comprese queste stesse attività qualora si svolgessero in ambiente
scolastico» (art. 30 comma 5 lett. d).
Per quanto sia riconosciuto come diritto fondamentale di bambini e ragazzi per garantire loro una
crescita armoniosa ed equilibrata, è tuttavia difficile che questo trovi applicazione concreta nel caso dei
bambini con disabilità.
Le difficoltà dell’agire, la scarsa motivazione, il deficit percettivo ed espressivo condizionano l’attività
spontanea di gioco in un’esistenza in cui viene data maggiore importanza ai processi riabilitativi, di cura ed
educativo-scolastici.
A queste limitazioni oggettive e culturali si sommano altre criticità che - come fa rilevare il Gruppo di
lavoro per la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia - riguardano:
«la mancanza di luoghi che stimolino e sensibilizzino i genitori all’importanza del gioco, non
solo come fattore di apprendimento, ma come momento ludico di piacere;
la mancanza di competenze degli operatori sulle modalità e approcci al gioco nelle diverse
disabilità;
la presenza di barriere architettoniche negli spazi gioco all’aperto; la scarsa diffusione di
tecnologie informatiche applicate al gioco;
la scarsa diffusione di ludoteche con particolare attenzione per bambini con bisogni speciali;
la scarsa progettazione di materiali, giocattoli e spazi idonei;
la scarsa capacità di sviluppare il gioco come momento di integrazione e inclusione sociale.
Limitazioni che - prosegue il rapporto - nel complesso determinano nel bambino con disabilità alcune
conseguenze importanti quali:
carenze nel processo di crescita affettivo, cognitivo e socio-relazionale;
scarse opportunità di socializzazione;
difficoltà nella relazione mamma-bambino e con le figure familiari;
solitudine e isolamento;
danni secondari alla patologia;
limitazione all’inclusione sociale»34.
Per quanto riguarda le politiche di intervento promosse a livello nazionale e locale è difficile indicare
34
Gruppo di lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. 3° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 2006-2007, Roma, 2007, pag. 81. Il Rapporto è consultabile sul sito http://www.gruppocrc.net . Nella sezione documenti è possibile scaricare tutti i rapporti prodotti dal Gruppo di lavoro da quando ha iniziato la sua attività nel 2001.
41
la quota dei bilanci che gli Enti pubblici hanno destinato alla promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e
dell'adolescenza.
Secondo quanto riportato nel rapporto Governativo all’ONU sull’attuazione della CRC, la spesa per
l’infanzia e l’adolescenza nel nostro Paese può essere ricondotta sostanzialmente a tre aree: la spesa
socioassistenziale, la spesa sanitaria, la spesa per l’educazione e l’istruzione. Nel complesso la dimensione
stimata della spesa pubblica a favore dei minori si può collocare intorno al 6,2-6,4% del Pil35.
Ancor più difficile risulta poter identificare la quota parte di spesa dedicata al settore della
formazione extrascolastica e della promozione di esperienze aggregative e ludiche nel tempo libero e alla
promozione di migliori e più ricche modalità di fruizione culturale.
A livello nazionale questo impegno è stato suscitato sicuramente dall’attuazione della L. 285/1997 che
ha reso disponibile un fondo di circa 150 milioni di euro per anno ripartito per il 70% fra le Regioni e
Province autonome e per il 30% fra 15 città cosiddette “riservatarie”, con il quale sono stati finanziati nei
due cicli di programmazione triennali oltre 7.000 progetti e interventi che per quanto riguarda il discorso sul
gioco hanno sostenuto azioni tese a:
favorire la cultura e la pratica del gioco, mediante iniziative rivolte soprattutto ai più piccoli,
che si concretizzano in proposte sia strutturate con la creazione di spazi sicuri e ambiti di
socializzazione controllata – centri ricreativi, ludoteche, ludobus – sia destrutturate,
finalizzate al recupero in chiave ludica di piazze, giardini, spazi pubblici;
sostenere e rivalutare la dimensione di protagonismo e di autonomia dei preadolescenti e
degli adolescenti, con la creazione di centri di aggregazione e di centri educativi che,
mettendo a loro disposizione spazi, strumenti e competenze, tendono a promuovere le
possibilità di espressione dei giovani;
rafforzare il rapporto minore-spazio urbano con interventi che si concretizzano sia in attività
di animazione, sia nel coinvolgimento attivo dei bambini e dei ragazzi in iniziative finalizzate
alla riappropriazione delle strade e delle piazze della loro città;
valorizzare il tempo libero estivo che stagionalmente assorbe gran parte del budget time dei
minori, mediante soggiorni marini e montani e campi solari.
Dal 2003 la legge riserva finanziamenti dedicati alle sole 15 città riservatarie mentre per le Regioni e
Province autonome la dotazione del fondo è confluita nel Fondo nazionale per le politiche sociali, che però
ha subito diversi tagli negli anni, andando a dimezzare la sua iniziale consistenza.
Per quanto riguarda le città riservatarie, con riferimento al 2008, risulta che:
sono stati finanziati almeno 46536 progetti;
210 di questi, il 45% del totale, dichiarano di avere come finalità la promozione anche del
diritto al gioco;
186 di questi, il 40% del totale, indicano come ambito di intervento prevalente il tempo libero
35
Diritti in crescita. Terzo-quarto rapporto alle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Istituto degli Innocenti di Firenze, Firenze, 2009, pag. 5. Consultabile sul sito www.minori.it nella sezione pubblicazioni, rapporti e relazioni all’indirizzo http://www.minori.it/?q=3-4-rapporto-onu-diritti-infanzia-adolescenza 36
Dato al 30 giugno 2009 tratto dalla Banca dati nazionale dei progetti 285 consultabile sul sito http://www.minori.it/banca-dati-citta-riservatarie
42
e il gioco.
Un’offerta di progetti e interventi che non riassume certamente tutta la gamma di esperienze ludiche
e di promozione del gioco che per spontanee iniziative degli Enti locali o di comitati e associazioni del terzo
settore si sono venute realizzando e che hanno anche carattere episodico, legate a manifestazioni, mostre,
rassegne di eventi a carattere ludico.
Tra le iniziative di rilievo a livello nazionale e locale si segnalano inoltre:
come ricorrente dal 2005 la celebrazione nel mese di maggio della giornata mondiale del
gioco, promossa in Italia dall’Associazione nazionale Città in gioco – GIONA. L’associazione,
nata nel 2002, riunisce oltre 20 amministrazioni locali (Comuni, Province e Comunità
montane) che, in tutta Italia, hanno messo al centro della propria attività politica l’attuazione
del diritto al gioco, in tutte le sue forme. La filosofia e lo spirito che animano l’associazione
sono contenuti nel Manifesto del gioco, che è scaricabile dal sito Internet www.ludens.it;
dal 2000 si tengono con cadenza più o meno annuale gli incontri nazionali dei ludobus e delle
ludoteche. Nel 2005 a Torino il tradizionale incontro ha assunto anche una veste
internazionale con il convegno “Time TO Play”, ospitando il 34° Congresso internazionale dei
ludobus e l’8° Incontro nazionale dei ludobus e delle ludoteche, al quale hanno preso parte
quasi 1.000 persone provenienti da tutte le parti d’Italia e da vari Paesi del mondo;
di rilievo per la promozione e il sostegno a iniziative degli Enti locali, nell’ambito della
progettazione di interventi per la promozione di una cultura ludica, del tempo libero e dei
diritti di cittadinanza dei bambini in chiave partecipativa, è il lavoro svolto da Camina (Città
amiche dell’infanzia e dell’adolescenza, www.camina.it) nata nel luglio 1999 sulla base di un
progetto pilota di Anci (Associazione nazionale Comuni d’Italia);
la continuazione della promozione dei “9 passi per le città amiche dei bambini”
(www.childfriendlycities.org e www.unicef.it);
la campagna annuale di ricerca “Ecosistema bambino” promossa da Legambiente
(www.legambiente.it);
l’inserimento del tema del gioco nelle proposte di Piano nazionale infanzia del Forum
nazionale del Terzo settore e la redazione del manifesto per l’infanzia elaborato dal Gruppo
infanzia del Forum, che contiene proposte per i LIVEAS per l’infanzia;
a livello locale, tra le altre, si segnalano l’edizione annuale della manifestazione “Tocatì”,
Festival internazionale dei giochi in strada che si svolte a Verona (www.tocati.it).
Il diritto al gioco trova riferimento, oltre che nel quadro di norme internazionali e nazionali, anche in
quelle emanate a livello regionale. Una prima ricognizione sulle leggi promulgate dalle Regioni con
riferimento al tema del diritto al gioco evidenzia due gruppi di norme:
leggi regionali di promozione di un sistema integrato di interventi comprensive anche di
quelli rivolti all’infanzia e all’adolescenza e quindi anche degli interventi ad esse rivolte con
riferimento al diritto al gioco;
leggi regionali di settore che disciplinano il funzionamento di alcuni servizi socioeducativi e
43
culturali, come ad esempio le ludoteche, o che promuovono il riconoscimento specifico della
cultura ludica.
Del primo gruppo fanno parte la legge regionali n. 6/2009 della Liguria e la n. 14/2008 dell’Emilia
Romagna.
La legge ligure n. 6 del 9/4/09 recante Promozione delle politiche per i minori e giovani, fa riferimento
al gioco rispetto alle tipologie di servizi socioeducativi: nido d’infanzia, servizi integrativi, servizi domiciliari,
servizi ricreativi (gioco occasionale ed estemporaneo in ambienti adeguati sotto la guida di animatori) e
nelle finalità: gioco e socializzazione nel tempo libero nell’ottica della prevenzione; promozione del gioco e
dell’approccio ludico come tipologia di interventi a sé stanti.
La L.R. Emilia Romagna 14 del 28/7/08 recante Norme in materia di politiche per le giovani
generazioni, nelle sue finalità dichiara di promuovere, tra gli altri, il diritto al gioco e al tempo libero. La
legge promuove la pratica del gioco quale strumento educativo che favorisce la relazione attiva,
l’aggregazione tra persone, l’integrazione, il rispetto reciproco e delle cose, la sperimentazione delle regole
e la gestione dei conflitti. Rispetto alle varie tipologie di servizio disciplinate dalla legge si fa riferimento in
particolare a quelle per i bambini in ospedale, prevedendo di riservare appositi spazi al gioco e
all’intrattenimento dei bambini ricoverati; ai centri estivi e agli spazi di aggregazione giovanile.
Del secondo raggruppamento invece fanno parte la legge regionale Marche n. 10/2009, la n. 18/2002
del Lazio, la n. 29/2000 del Molise e la n. 66/1997 dell’Abruzzo.
La regione Marche con la L.R. del 3/4/2009 n. 10, recante Norme per il riconoscimento del diritto al
gioco e per la promozione dello sport di cittadinanza, eroga contributi per comuni, enti di promozione
sportiva, Aps per la realizzazione di attività aventi finalità ludiche e sportive di cittadinanza. La Regione
riconosce altresì la funzione sociale del diritto al gioco e dello sport di cittadinanza durante tutto l’arco della
vita, finalizzata alla formazione ed alla integrazione sociale delle persone, allo sviluppo delle relazioni sociali,
al miglioramento degli stili di vita e alla tutela della salute. Favorisce inoltre:
lo sviluppo e la qualificazione degli spazi e delle aree per l’esercizio delle attività aventi
finalità ludiche e sportive di cittadinanza;
l’integrazione delle politiche del gioco e delle attività ludico-motorie con quelle sociali,
turistiche, culturali, promuovendo interventi per il miglioramento degli impianti, delle
attrezzature e dei servizi per la mobilità e il tempo libero.
Promuove infine l’attività di enti di promozione sportiva, delle associazioni sportive e di quelle di
promozione sociale che operano nell’ambito delle finalità di cui alla presente legge.
La Regione Lazio con L.R. 11/7/2002 n. 18 recante Tutela del gioco infantile e disciplina delle ludoteche
nelle sue finalità richiama l’articolo 31 della CRC al fine di tutelare l’inalienabile diritto al gioco del bambino
e promuove per questo l’istituzione e la realizzazione delle ludoteche, quale servizio culturale, ricreativo e
sociale, destinato a bambini e ragazzi.
La ludoteca è definita come uno spazio polifunzionale protetto, destinato ai minori di età compresa
fra i tre ed i diciassette anni, dove vengono svolte attività ludico-ricreative, educative e culturali, individuali
e di gruppo, ed ha lo scopo di favorire la socializzazione, la capacità creativa ed espressiva, l’educazione
44
all’autonomia ed alla libertà di scelta dei minori. Le attività devono essere articolate per fasce di età, devono
favorire lo sviluppo psicologico, relazionale e cognitivo dei minori tramite il gioco, l’animazione ludica, il
prestito ed il riciclo dei giocattoli, il laboratorio, i campi scuola ludico-ambientali, la ricerca delle tradizioni
popolari, l’educazione all’integrazione multiculturale.
Tra i compiti della Regione vi sono quelli della concessione di contributi (350mila euro nel 2006) per il
potenziamento di servizi per il gioco infantile, quali ludoteche e strutture per il gioco ricreativo all’aperto, al
Comune di Roma ed ai Comuni associati negli ambiti territoriali d’intervento previsti dalla legge 28 agosto
1997, n. 285 (Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza) ed
individuati dal piano socio-assistenziale regionale di cui alla legge regionale 9 settembre 1996, n. 38 e
successive modifiche.
La Regione Molise con L.R. 23/12/2004 n. 36 recante Modifiche alla legge regionale 14 aprile 2000, n.
29, ad oggetto: Tutela del diritto al gioco dei bambini e sviluppo delle ludoteche e la Regione Abruzzo con
L.R. 22/7/1997 recante Tutela del diritto al gioco dei bambini e promozione e sviluppo delle ludoteche
dispongono - in maniera analoga - norme rispetto al riconoscimento del significato sociale del gioco e
riguardo alle caratteristiche di funzionamento delle ludoteche.
Il gioco è considerato un diritto inalienabile delle bambine e dei bambini. Questi devono potervisi
dedicare in forma appropriata alla loro età e poter partecipare liberamente alla vita culturale della propria
comunità anche attraverso proprie espressioni dirette. I tratti caratteristici del gioco sono ritenuti la
spontaneità, la creatività e la libertà. Il gioco consente, poi, l’acquisizione da parte dei bambini di graduali
livelli di autosufficienza, il valore preparatorio attraverso cui l’individuo perfeziona le sue attitudini che si
realizzeranno a pieno nella sua vita adulta.
Per quanto riguarda i riferimenti al gioco nelle tipologie di intervento si fa riferimento alla ludoteca,
considerata un servizio educativo-culturale aperto a quanti intendono fare esperienze di gioco. La ludoteca
ha lo scopo di favorire la socializzazione, di educare all’autonomia ed alla libertà di scelta e di valorizzare le
capacità creative ed espressive di ogni bambina e bambino. Tra le attività della ludoteca vi sono, tra le altre,
l’animazione ludica con o senza giocattoli, il prestito di giocattoli, il laboratorio, i campi scuola ludico-
ambientali, la ricerca delle tradizioni popolari, il recupero e il riciclaggio dei giocattoli, il gemellaggio con le
altre ludoteche e con le scuole, la conoscenza delle diverse etnie, la formazione e informazione dei genitori.
Si precisa che è possibile prevedere, tenendo conto della realtà territoriale, la presenza di ludoteche
negli ospedali, negli istituti educativo-assistenziali per minori o in altri luoghi di attesa e di aggregazione in
locali messi a disposizione dai proprietari. La Regione eroga contributi pari al 40% dei costi per l’apertura
(costruzione, ristrutturazione) dei servizi. Prevede l’istituzione di un albo regionale delle ludoteche
pubbliche e private (attivato nel 2003 in Molise).
Infine, sempre nel quadro delle iniziative assunte a livello regionale, c’è da segnalare che la
Conferenza delle Regioni e Province autonome ha adottato il 29 ottobre 2009 il Nomenclatore
interregionale degli interventi e dei servizi sociali.
Nelle varie tipologie di interventi e servizi rivolti all’infanzia vi trovano riferimento anche quelle
relative al diritto al gioco:
45
centri di aggregazione sociale: centri di aggregazione per giovani e anziani nei quali
promuovere e coordinare attività ludicoricreative, sociali, educative, culturali e sportive, per
un corretto utilizzo del tempo libero;
strutture semiresidenziali: servizi integrativi per la prima infanzia. In questa categoria
rientrano i servizi previsti dall’art. 5 della legge 285/97 e i servizi educativi realizzati in
contesto familiare. In particolare: spazi gioco per bambini dai 18 ai 36 mesi (per max 5 ore);
centri per bambini e famiglie; servizi e interventi educativi in contesto domiciliare;
centri diurni estivi: centri organizzati per attività ricreative, sportive, educative che si
svolgono nel periodo estivo;
centri estivi o invernali con pernottamento: strutture comunitarie comprendenti le colonie, i
campeggi, i centri ricreativi a carattere stagionale, i soggiorni climatici o termali;
attività ricreative di socializzazione: interventi di utilizzo del tempo libero organizzati per
rispondere a bisogni di socializzazione e comunicazione delle persone in stato di disagio e per
promuovere occasioni di incontro e conoscenza tra italiani e stranieri. Vi è compresa
l’organizzazione di soggiorni climatici o termali rivolti in particolare ai soggetti fragili;
ludoteche/laboratori: le ludoteche sono centri di attività educative e ricreative rivolte a
bambini/ragazzi in età prescolare e di scuola dell’obbligo. I laboratori sono spazi attrezzati per
l’integrazione di disabili, anziani, bambini in difficoltà o persone con disagio.
La classificazione, sebbene non esaustiva delle modalità di intervento con le quali si può
concretamente esprimere tale diritto, specie con riferimento alle dimensioni del gioco libero e non
confinato in una struttura specializzata e organizzata, costituisce tuttavia una importante base di riferimento
comune - lessicale e concettuale - propedeutica all’adozione da parte dello Stato dei Livelli essenziali di
assistenza sociale e della possibilità di costruire un sistema di monitoraggio e rilevazione dell’offerta e della
domanda di servizi comune tra le varie Regioni.
3. Un’esperienza: indicatori per città “giuocose”
Arciragazzi Liguria ha sviluppato con la Regione Liguria (Assessorato ai Servizi Sociali) un progetto dal
titolo La città giuocosa che tra il 2007 e il 2008 ha realizzato uno studio articolato sulle caratteristiche
positive dei contesti urbani che possono favorire il gioco libero dei bambini e l’accoglienza per le famiglie e
quelle che, altresì, lo contrastano e lo limitano. Ciò al fine di promuovere una campagna di buone prassi per
e con gli Enti locali affinché si realizzino microiniziative di “facilitazione al gioco libero” (sicurezza,
regolamenti dei parchi, illuminazione, traffico, eccetera).
Operativamente il progetto ha visto la collaborazione con il Laboratorio CRAFTS dell’Università di
Genova al fine di predisporre un’indagine empirica finalizzata ad indagare le posizioni di esperti ed
amministratori pubblici in merito alle condizioni del gioco libero nelle nostre città, le opinioni, le posizioni e
le possibilità di mettere a punto degli indici e buone prassi sperimentabili con metodo rigoroso e
riproducibile anche in contesti territoriali differenti.
Il progetto ha definito un “dodecalogo” di indici di promozione urbana del diritto al gioco, decalogo a
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sua volta collegato a buone prassi e microazioni di sviluppo censite nell’ambito dei Comuni liguri. Le 12
famiglie di indici e le buone prassi per sviluppare la città “a misura di gioco dei bambini” sono le seguenti:
Accessibilità - mobilità sostenibile
Cura dei luoghi di gioco e di incontro
Attenzione ai giardini e cortili scolastici
Attenzione agli spazi condominiali
Regolamenti e divieti
Progetti di educazione al gioco degli adulti e sensibilizzazione nei confronti del diritto al gioco
Promozione della conoscenza degli spazi urbani
Promozione della cittadinanza attiva di bambini e famiglie
Accessibilità in sicurezza agli spazi fluviali ed agli arenili
Politiche dei tempi delle famiglie
Organizzazione amministrativa
Promozione della partecipazione
La ricerca e gli indici “per la città amica del gioco” costituiscono parte integrante di un Kit di
sperimentazione e un Vademecum dedicato agli Enti locali della Liguria, il quale contiene indicazioni e
suggerimenti concreti - a partire proprio dagli indici elaborati e dalle buone prassi individuate - per i Comuni
che vogliano intraprendere micro e macro azioni di trasformazione urbana a favore del gioco libero dei
bambini e delle bambine e dell’accessibilità della città per loro e per le loro famiglie. La sperimentazione,
avviata nel corso dell’anno 2008, è aperta a tutti gli Enti locali che vorranno cimentarsi con le iniziative
suggerite dal presente progetto. L’iniziativa “Città GiUocosa” dovrebbe evolversi, nelle attuali intenzioni
progettuali di Arciragazzi, nella promozione di un “Premio per le Città GiUocose” in Liguria, occasione di
diffusione della cultura del gioco e del gioco libero nei Comuni della Regione.
Conclusioni in stile “RockPolitik”
Al termine di questo intervento mi sia concesso un vezzo, un prendersi alla leggera, per riassumere in
forma di antinomie a ritmo di blues - sullo stile della fortunata trasmissione di Adriano Celentano del 2005 -
alcune convinzioni che dovrebbero sostenerci e animarci nel nostro impegno a garantire il diritto al gioco:
Giocare è rock, desiderare di giocare è rock. Consumare giocattoli, desiderare solo di
possedere gli oggetti del gioco è lento.
Avere tempo libero per giocare è rock. Giocare solo nel tempo programmato è lento.
Giocare liberi da soli o in compagnia di altri o soli in compagnia di se stessi è rock. Vivere il
tempo dell’otium è rock. Giocare con gli altri nei recinti del tempo libero programmato, preda
di forme di socialità iperprestativa, giocare solo per il risultato finale, per la chance di vincere
o perdere è lento. Vivere solo il tempo del negotium è lento.
Il gioco creativo e di fantasia, di abilità e di ruolo è rock. I giochi ricchi e fastosi, ma poveri di
contenuto e idee sono lenti.
Il gioco è un “decreto di libertà”, è apertura al possibile, al rischio e al piacere e per questo è
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rock. Le ludopatie, la dipendenza da gioco, dai suoi rischi e dai suoi piaceri è lenta.
Il gioco è una cosa seria. Avere il diritto di giocare e promuovere il diritto al gioco è rock. Non
prendere sul serio le cose dei piccoli, pensare che il gioco sia una seccatura, non garantire il
diritto al gioco è lento. Vietato giocare nei condomini, nelle piazze e nei giardini pubblici è
lentissimo.
La 285 è rock. Un piano d’azione per promuovere i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è
rock, anzi hard rock. Politiche per bambini e adolescenti di tipo residuale, che si fanno se ci
sono i fondi, se passa la crisi, fatti di tagli alle briciole, con una visione che non tiene insieme i
loro bisogni di tutela e i loro diritti di partecipazione sono lente.
Le regole del gioco sono rock. Una politica che si prende gioco delle regole è lenta, anzi
lentissima.
Riferimenti bibliografici
Censis Servizi, Gioco ergo sum, Roma, 2009 Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Il gioco, in Cittadini in crescita, n. 2/2006 Diritti in crescita. Terzo-quarto rapporto alle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Istituto degli Innocenti di Firenze, Firenze, 2009 Eurispes, L’Italia in gioco. Percorsi e numeri dell’industria della fortuna, Roma, 2009 Istat, Spettacoli, musica e altre attività del tempo libero anno 2006. Indagine multiscopo sulle famiglie “I cittadini e il tempo libero”, Collana Informazioni n. 6, Roma, 2008 Gruppo di lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. 3° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 2006-2007, Roma, 2007
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Capitolo 3
Le buone prassi nelle città e nei piccoli comuni
di Amilcare Acerbi
Le buone prassi costituiscono il tortuoso percorso nazionale di una moltitudine di servizi ludici, in prevalenza nati con i fondi L.285/97, che segna profondamente tempi, spazi e cultura del gioco. Il desiderio di dare continuità ai servizi per rispondere alle richieste dei cittadini e le difficoltà che segnano profondamente anche le amministrazioni virtuose. Ma il gioco resta un fattore fondamentale nelle relazioni tra culture e nella continua trasformazione dei territori, un fattore non sempre riconosciuto e non sempre sfruttato appieno, ma che vale sempre di più la pena sostenere e incentivare. Allora, anche questa puntuale analisi della realtà italiana, diventa strumento di confronto e di stimolo per la costruzione di una consapevole resistenza ludica.
1. Gioco, giovani cittadini, amministratori
Provo a declinare i termini del titolo di questo paragrafo iniziale.
Gioco. Il gioco come dimensione sociale, come mezzo di apprendimento, come esigenza umana,
giovanile e senile, è stato già talmente studiato e descritto che non mi sembra necessario qui procedere e
riprendere cose già dette. Comunque alla questione ho già dedicato molte pagine in cinque manualetti.37
Giovani cittadini. Mi interessa maggiormente richiamare il rapporto tra giovani e gioco. In questo caso
parlare di cittadini, rispetto al gioco risulta anche malizioso. I giovani attualmente non sono veri e propri
cittadini, ma “consumatori” o per meglio spiegare, eccezionali compratori, “bersaglio” per usare un termine
caro ai pubblicitari e ai comunicatori.
Oppure individui fastidiosi. Per gli amministratori, soprattutto.
Così come i viaggiatori sono stati trasformati nella retorica degli annunci delle stazioni ferroviarie in
“clienti”. E si sa che il cliente è facilmente preda di truffe e raggiri, se non è accorto. E se il commerciante è
un abile illusionista.
Ebbene, bambini e ragazzi sono preda costante di offerte, il più delle volte abilmente camuffate con
abbinamenti gioco/cibo - gioco/concorso - gioco/apprendimento - gioco/torneo.
Il gioco senza gadget, dunque secondo la sua storica e innata essenza, basato solo su regole
condivise, autogestite, rielaborate, serenamente gustate, non esiste quasi più. E neppure un gioco senza
arbitro si riesce più a concepire.
Poi per giocare e praticare uno sport in forma dilettantesca si deve essere “socio”, munirsi di una
“divisa”, essere “assicurato”.
Senza l’uno, l’altra e l’altra ancora si è “fuori” dalla società contemporanea; con molta somiglianza
con l’extracomunitario che “pretende” di utilizzare i parchi e i giardini pubblici per ritrovarsi con gli amici e
37
Acerbi A., Giuliani M., Martein D., Spazi ludici. 30 progetti per aree gioco in interni e all’aperto. Manuale per la progettazione e la gestione, Maggioli, Rimini, 1997; Acerbi A., Martein D., Il gioco è di più. Ludoteche e centri per il gioco e l’aggregazione, Junior, Bergamo, 2005; Acerbi A., Martein D., Musei, non-musei, territorio. Modelli per una pedagogia urbana e rurale, Franco Angeli, Milano, 2006; Acerbi A., Martein D., Città creaTTiva, Pironti, Napoli, 2004. In pubblicazione la rivista Italia Ludens, atlante dei protagonisti.
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fare pic-nic insieme, e addirittura occupare a lungo le panchine nei giorni festivi o alla sera, per riposarsi.
Sembrerebbe che i parchi siano un fatto “estetico” e tutt’al più vadano bene per spingerci il
passeggino alla domenica mattina o per portarci i cani due volte al giorno.
Si aggiunga che se in un giardino pubblico con aiuole e altalena (che già di per sé è considerabile
attrezzo infido) il bambino o il ragazzo non è “sorvegliato” da un adulto, automaticamente viene catalogato
come “individuo in pericolo”.
Amministratori. Agli amministratori delle imprese interessa poco il gioco, se non per il fatturato che
può produrre; certo, interessa anche la normativa, purché essa sia sufficientemente interpretabile e non
influisca troppo sui costi di produzione.
Anche i dirigenti scolastici possono essere annoverati tra gli amministratori, ora che le scuole sono
diventate “autonome”, così pure i presidenti delle molte società sportive e ricreative e le cooperative sociali;
spesso anche per loro vale di più il “bilancio” che le persone.
Agli amministratori pubblici invece interessa la società civile, il benessere dei cittadini. Ma a fronte
delle richieste di intervento nel settore dell’educazione e della cultura giovanile da venti e più anni gli
assessori purtroppo rispondono frequentemente che sono alle prese coi “tagli” dei bilanci. E ogni anno gli
interventi e i finanziamenti sono in forse.
Qualcuno si chiede se una simile preoccupazione emerga anche di fronte a parcheggi, rotatorie,
semafori intelligenti e istallazione di telecamere spione. Il più delle volte si tratta di maliziose insinuazioni.
Parlare di impegni di spesa relativi al gioco dei minori suscita nei consigli comunali e regionali reazioni
di fastidio acuto. E quegli sparuti assessori che hanno osato affermare che si potrebbe attribuire una delega
al gioco sono stati spesso sommersi di sorrisi di compatimento.
Nessuno si scandalizza, al momento del voto in consiglio comunale, di deliberare per investire in stadi
per il gioco del calcio professionistico, per parcheggi attorno agli impianti e per tutto ciò che possa tornare
utile alla squadra del cuore. Sindaci e assessori si danno facilmente appuntamento sulle tribune, durante i
loro mandati. Ma questa è un’altra storia.
2. Da un’idea di sistema, al sistema interruptus della 285, allo sbracamento come sistema
A cavallo degli anni ‘90 si è sviluppato un dibattito sociale e pedagogico attorno all’esigenza che le
varie agenzie educative, scuola, famiglie, associazioni ricreativo-sportive, si confrontassero e cercassero di
collegare i loro interventi a favore dei minori onde si producessero fatti e tempi educativi quotidiani utili a
far crescere armoniosamente i figli/alunni. Si impostarono scuole a tempo pieno, scuole “integrate” ovvero
con attività pomeridiane aggiuntive correlate a quelle curricolari, in parte a carico dei comuni e in parte a
spese dello Stato. I modelli messi a punto in quel periodo furono molteplici, graditi alle famiglie, talvolta
osteggiati dalla scuola statale, perché costringevano a pensare e progettare troppo in chiave educativa,
ovvero a rivedere metodi e aggiornare contenuti. Le resistenze, nonostante le spesso roboanti dichiarazioni
pubbliche, sono venute purtroppo anche dalle organizzazioni sindacali del settore, che invece hanno
assecondato un progressivo appesantimento burocratico dell’esercizio dell’insegnamento e indotto gli
insegnanti ad assumere atteggiamenti ostili nei confronti dei genitori.
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Gli insegnanti, anziché vivere i genitori come alleati, anch’essi alla ricerca del metodo migliore di
educazione “democratica” (e non più autoritaria), presero a vederli come controparti tutte le volte che essi
chiedevano qualcosa nei consigli di classe o di istituto, o esponevano le difficoltà dei propri figli.
Ora i genitori sono diventati la controparte, spesso integrata da un avvocato.
Sul piano metodologico gli importanti aspetti legati al coinvolgimento emozionale e affettivo degli
allievi non sono stati studiati, il lavoro in team è stato osteggiato, e scarsissima attenzione è stata riservata
al peso che ha l’educazione “non formale”. Nessuna strategia è stata elaborata per educare alla relazione coi
mass-media.
Un governo, dei tanti succedutisi, parve accorgersi dell’esigenza di affrontare la nuova società
giovanile. Peccato che non abbia realizzato un accordo “ragionato” tra ministro del welfare e ministro
dell’istruzione. Dal primo nacque la leggendaria “Legge 285”, dal secondo l’altrettanto avveniristica
“autonomia scolastica”. Entrambi gli interventi legislativi erano basati su esigenze realissime: gli enti locali
debbono farsi carico di interventi (diretti o di regia) nel processo educativo e gli insegnanti devono essere
valutati nel loro operare e le scuole adeguare i programmi anche alle esigenze territoriali.
Purtroppo la “285” portava in sé il seme della precarietà: fece nascere grandissime speranze in tutte
le giunte comunali italiane, del Nord e del Sud, consapevoli di dover fare qualcosa a favore dei minori e di
dover rispondere alle attese dei nuovi genitori. Correvano gli anni dell’approvazione della Convenzione dei
diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, le mamme ambivano tutte ad un lavoro fuori casa, le coppie giovani si
affrancavano dai genitori cercando casa altrove, il pendolarismo verso il lavoro si andava generalizzando. I
comuni assecondarono progetti e progettini elaborati, spesso confusamente, da associazioni e nuove
cooperative, scopiazzando progetti. Il tutto in assenza di un riordino delle normative regionali alla luce degli
obiettivi indicati dalla “285”. Non fu dunque questa una legge di riordino ma semplicemente di distribuzione
di fondi, assomigliando nella sua seconda edizione sempre più ad una precedente legge del ministro degli
interni, che affidava alle prefetture il vaglio dell’elargizione di fondi per interventi socio-culturali-ricreativi a
favore di giovani e giovanissimi.
Sul versante dell’istruzione, trasformati i Provveditorati scolastici in banali servizi ragionieristici (non
che precedentemente brillassero per iniziative in campo di istruzione, ma almeno aiutavano
nell’interpretazione delle circolari ministeriali e tenevano le fila a livello territoriale), ogni scuola avrebbe
dovuto gestirsi in autonomia (contando su fondi economici incerti e su organici di personale mutevoli).
Successe che i direttori e i presidi furono catapultati in cambio di aumenti di stipendio consistenti nel girone
dei dirigenti (leggasi manager), senza valutazione e selezione preventiva e neppure con formazione
adeguata, loro e dei docenti; si contò che bastasse la revisione del ruolo perché spontaneisticamente
fossero in grado di creare reti o, peggio ancora, di rapportarsi con i comuni e i soggetti esterni, per
impostare piani di offerta formativa (POF, acronimo dal suono così statico da far prefigurare improbabili
successi), adeguati alle esigenze dei territori. La valutazione e l’adeguamento delle capacità dei docenti
invece svanirono nel nulla.
Entrambi gli interventi, dunque, pur orientati a nuovi bisogni, nacquero senza i necessari
accompagnamenti.
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E le rappresentanze sindacali e professionali, sempre arroccate in difese corporative fuori dal tempo e
incomprensibili alla popolazione, le dirigenze e le segreterie delle scuole in gara tra loro a cercare iscritti per
non perdere cattedre: humus fertile terreno per la progressiva perdita di credibilità della scuola e del ruolo
degli insegnanti.
Nel frattempo, purtroppo, si è fatta agguerrita l’offerta di consumi culturali/comportamentali e
bambini, ragazzi, adolescenti sono diventati una eccezionale massa di consumatori da spremere.
La predisposizione all’accondiscendenza da parte dei genitori verso i propri figli ha trovato interessata
attenzione solo nei produttori di beni e narrazioni televisivo-ludiche e un muro “schizofrenico” dalla parte
della scuola e delle istituzioni locali.
I nuovi professionisti dell’educazione, ovvero gli animatori-educatori attirati dai finanziamenti
dispensati dalla legge “285”, si sono dovuti adattare a fare anche gli imprenditori di se stessi, inseguendo
gare d’appalto asfittiche, con le quali si chiedevano, a fronte di contratti misurati a mesi anziché ad anni,
roboanti contenuti e risultati educativi e culturali, offrendo in cambio compensi pari a un quinto di quanto
consegnato (in nero) a muratori e idraulici. Un bel sistema per impedire programmazioni serie e
aggiornamenti professionali.
Si è aperta così, con il beneplacito di tutti, la via (la chiamerei voragine!) della privatizzazione
dell’educazione… antesignana, comunque, ahimè, la mitica Reggio Emilia … che pensò bene di dare in
appalto i pre e post asilo e poi di porre sullo stesso piano servizi retti da cooperative (purché si allineassero
alle indicazioni comunali) e servizi condotti da personale comunale.
Ora migliaia di ex giovani sono “orfani della 285” e vagano da un comune all’altro alla ricerca di un
incarico, sono capaci, i più, di intrattenere culturalmente, creativamente, ludicamente bambini e ragazzi, ma
per sopravvivere debbono concorrere per servizi socio-assistenziali; infatti, con un colpo di genio finale il
dettato della legge “285” è stato fatto assorbire dalla legge n. “328”, ovvero quella che dovrebbe regolare i
servizi sociosanitari. Concezione bizzarra che introduce il principio che l’intervento pubblico nel settore del
gioco e della ricreazione vale solo se è terapeutico.
E in questa confusa deriva le cooperative di operatori, formatesi nei vari territori sulla base di
vocazioni e sensibilità spiccate, perdono appalti a favore di aggregazioni sempre più grandi e voraci.
Sul versante del privato, nel frattempo, si moltiplicano per infanzia e adolescenza le offerte televisive
a tutte le ore, il cellulare diventa una vera e propria “protesi” del corpo umano, che dispensa videogiochi e
messaggini, la discoteca sta in tasca (sotto forma di ipod, o di pasticca), veline e grande fratello diventano
motori di promozione sociale, senza neppure più dover imparare a ballare o calciare.
I finanziamenti per l’educazione e il gioco dei ragazzi diminuiscono di mese in mese e i fondi
disponibili vanno tutti nella realizzazione di centri storici lastricati in porfido, di rotonde pseudoartistiche,
tornelli per i campi di calcio, semafori intelligenti e parcheggi automatici.
Animatori no, poliziotti sì, al seguito domenicale di squadre di sfascisti.
È esagerato parlare di “sbracamento”?
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3. Resistenza ludica
A fronte dei numerosi esempi di buone pratiche sviluppatisi in Italia, a causa del citato “sbracamento”
si rischia di perdere non solo il patrimonio delle realizzazioni ma anche la memoria.
Per questo parlo di “resistenza ludica”.
Per meglio descriverla, anzi, per meglio disporre di modelli cui fare riferimento e quindi utilizzarli
come moltiplicatore di resistenza riunisco le buone pratiche in quattro categorie:
a. Iniziative permanenti.
b. Interventi itineranti.
c. Manifestazioni ricorrenti.
d. Circoli e associazioni di famiglie.
La “normalità ludica” si può raggiungere quando le quattro tipologie citate sono presenti nella stessa
comunità e i referenti, politici, sociali e culturali si sentono impegnati a diffonderle e consentire al massimo
della popolazione infantile di goderne. Pochissime sono le comunità italiane che usufruiscono già di una
normalità ludica.
La situazione privilegiata, a mio parere, è Torino, città di lunga tradizione di interventi a favore
dell’infanzia. Si sappia che ai primi del 1900 don Bosco vi inventò gli oratori (antesignani luoghi del gioco) e
parallelamente il comune si dotò di un impianto civico di scuole, a partire da quelle materne; nel 1975 avviò
la scuola integrata con laboratori scolastici diffusi in ogni sede e sostenne il Comitato Italiano per il Gioco
Infantile, sottoscrivendo con esso una convenzione durata sino al 1995 e grazie alla quale istituì il Centro per
la cultura ludica nel 1987 e promosse le prime manifestazioni ludico-pedagogiche nazionali; già alla fine
degli anni ‘80 attivò un Progetto giovani, le prime ludoteche, due ludobus; nel corso degli anni ‘90 aprì una
seconda serie di ludoteche, attrezzò nella massima sicurezza possibile e con impianti innovativi campi gioco
e cortili scolastici, garantì formazione ludica a tutto il suo personale educativo e alle insegnanti statali che lo
richiedessero, attraverso un gruppo di più di 80 educatori comunali altamente specializzati e competenti.
Nel 2001 istituì una rete di otto centri di cultura per l’infanzia e l’adolescenza, specializzati per campi
tematici, successivamente fatti confluire dal Comune in ITER38.
Iniziative permanenti
Ludoteche. Differenti modelli in varie città italiane.
Cosenza, la città si è dotata di un complesso di quattro palazzine immerse in un’area verde recintata:
una di esse è una ludoteca. L’insieme è denominato “Città dei ragazzi”. Lo considero uno dei migliori utilizzi
dei fondi “285” realizzati in Italia. Debbo però anche segnalare che le più recenti scelte amministrative
comunali (diversamente definibili come... confronti politici) ne hanno seriamente minato le prospettive.
Jesi, il Comune ha inserito biblioteca e ludoteca in un quartiere affollato di famiglie straniere o con
problemi sociali, onde utilizzarle per una normalizzazione delle relazioni e la attivazione di un processo
identitario positivo. La gestione, pur affidata in appalto, risente positivamente dell’indirizzo pedagogico
38
Acronimo di Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile. Ma richiama anche l’idea di una strada intrapresa la cui direzione dipende dal dialogo tra operatori e giovani cittadini.
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lungimirante dell’amministrazione, volto ad esaltarne la funzione socioculturale.
Omegna, Comune e Comunità montana hanno creato un insieme di risorse denominato “Parco della
fantasia”, ispirato a Gianni Rodari, insigne scrittore e pedagogista, originario di quei luoghi. La ludoteca è
parte fondamentale del progetto ed è intitolata e ispirata alla raccolta di racconti “Tante storie per giocare”.
La struttura ha assunto una duplice funzione, tanto a favore dei residenti quanto di attrazione turistica. Ha
un grande successo di pubblico.
Rovereto, il Comprensorio ha impostato un intervento strategico molto intelligente: nella vecchia
palazzina dell’ente del turismo ha creato una biblioteca con ludoteca e ludobus, onde poter soddisfare le
aspettative del territorio. La gestione è molto raffinata e di grande qualità pedagogica, a dimostrazione
dell’utilità dell’intreccio dei tre strumenti.
Firenze, il Comune si è dotato di una rete di ludoteche, ma soprattutto grazie alla convenzione con
l’Istituto degli Innocenti ha trasformato la storica ludoteca centrale in un nuovo servizio cittadino, un centro
di propulsione culturale che attraverso l’azione ludica, utilizzando i più moderni sistemi multimediali,
interagisce anche a distanza con i ragazzi.
Torino, di quanto la città svolge, ho già detto. Aggiungerei soltanto che ogni suo intervento è
caratterizzato da un forte impegno culturale, molta attenzione dunque alla relazione tradizione-modernità,
nonché territorio-mondo. La funzione di collante sociale del gioco deriva dall’azione culturale, non viceversa
e trattandosi di azioni verso i minori, l’impianto è strettamente connaturato con il settore dei servizi
educativi. Sono state superate le dicotomie nel campo dell’educazione ambientale; gli interventi sono
affidati al settore educazione e non più all’assessorato all’ambiente; più difficile il raccordo tra sezioni
didattiche museali e centri di cultura per l’infanzia, pur in presenza di strategie metodologiche coerenti. Il
Servizio educativo si sta impegnando molto nel coinvolgimento di bambini e ragazzi nella co-progettazione
degli spazi collettivi e nella conoscenza e uso dei luoghi della città storicamente significativi attraverso il
format denominato Adotta un monumento; tutto ciò allo scopo di far sentire ai ragazzi la città come propria,
impresa ancor più significativa trattandosi di una metropoli di quasi un milione di abitanti.
Musei del gioco e del giocattolo
Nel corso dell’ultimo decennio sono aumentati i luoghi dove è raccolta la memoria del gioco e del
giocattolo. Hanno contribuito molto i lasciti dei collezionisti e le ambizioni turistiche di alcune centri.
Tra le realizzazioni ne cito cinque, perché ritengo siano le più significative sul piano culturale e
pedagogico.
Torino possiede dal 1987 il Centro per la cultura ludica ove è raccolta tutta la storia italiana del gioco
e del giocattolo a partire dalle estreme esperienze di Roma antica. La formula è quella di collezioni
finalizzate alla diffusione dei saperi ludici, quindi ognuna delle sei sezioni è dotata di un laboratorio e dei
conseguenti percorsi, esperienziali per i bambini e formativi per gli adulti. Biblioteca, emeroteca e mostre
itineranti ne completano le dotazioni.
Santo Stefano Lodigiano ha accolto la più completa collezione italiana di giocattoli a partire
dall’Ottocento, realizzata da Paolo Franzini, grandissimo appassionato, colto, raffinato, che presentai
giocattoli raccontando come si è evoluto il modo culturale attorno al bambino e alla bambina. La cornice è
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quella di una villa di campagna dove alla piacevolezza del luogo si aggiunge anche una buona attività
laboratoriale e stimolanti approfondimenti iconici e artistici.
Bergantino, piccolo paese al confine tra la provincia di Rovigo e di Mantova, sulle rive del Po. Esso
detiene la storia della giostra e dello spettacolo viaggiante. Dai “luna park” Bergantino ha derivato la sua
vocazione, trasformandosi da luogo dell’agricoltura povera in centro industriale. Vi si narra mirabilmente
come dal mito e dalle tradizioni europee, russe e turche, che sancivano i momenti più importanti della vita
di uomini e donne, siano derivate le occasioni di svago e spensieratezza per ogni comunità locale,
inizialmente legate alle cadenze agrarie, poi via via collegate a date patronali, che tutt’ora persistono. Ora
alcuni impianti sono divenuti fissi, alimentando una transumanza periodica di famiglie intere.
Albano Lucano è un piccolo centro che sorge proprio di fronte alla cresta di montagne denominata
“Dolomiti lucane”, in Basilicata. La lungimiranza di un professore e artista, e di un sindaco, ha reso possibile
raccogliere un’ampia collezione di giocattoli della tradizione contadina, ponendoli accanto a quasi duecento
quadri e sculture che sviluppano il tema del gioco, alcune firmate dai maggiori artisti italiani contemporanei.
Un vero tesoro, intriso di sentimenti ed evocazioni. Il museo è collocato all’ultimo piano mansardato della
scuola. La piazzetta antistante da alcuni anni, in maggio, alla fine delle lezioni, si anima e gli alunni rievocano
il famoso dipinto che Brueghel dedicò al gioco.
Cigole. A questo paesino della pianura bresciana va il merito di aver realizzato l’ultimo museo del
gioco. In questo caso non vi sono collezioni, ma narrazioni ed evocazioni di varie forme di gioco, da quelle
più antiche sino alle tradizionali forme ludiche presenti nelle campagne, nelle osterie, sulle aie delle cascine.
Per avventurarsi nella storia dei giochi popolari ed aristocratici, di adulti e di bambini è stata escogitata una
modalità ludica. Inoltre a fianco dell’esposizione è possibile scoprire le antiche forme di produzione
artigianale e agricola locale, assaggiare specialità culinarie, sperimentare i giochi in cortile, acquistare
prototipi di giochi popolari. È un luogo adatto per trascorrere l’intera giornata, con famiglia, in comitiva
oppure in convegno o presentazioni di prodotti commerciali. Una grande villa di campagna, non più
utilizzata dai proprietari nobili per feste private, ma aperta ad un pubblico particolarmente curioso.
Centri e laboratori creativi
I tre esempi qui richiamati non sono solo luoghi ove intrattenersi giocando, rappresentano invece
strumenti dove la dimensione ludica, attraverso la semplicità di gesti e situazioni, crea le condizioni per
alimentare fantasia, creatività, svariati interessi, relazioni, autonomia, concretezza, manualità, in
controtendenza rispetto alle banalità televisive e alle prove spesso autistiche indotte dai videogiochi.
Fantasilandia, Città dei ragazzi, a Siano. Siano è una cittadina dell’Agro nocerino sarnese, a metà
strada tra Napoli e Salerno, nel versante verso il Vesuvio, che da un’economia agricola povera è divenuta
centro terziario. Ha forti tradizioni di impegno culturale, è sede di un Centro Studi denominato
Fantasilandia, che da più di venti anni promuove iniziative rivolte alla scrittura, alla lettura e allo sviluppo
della fantasia infantile; ispirandosi per lo più a Gianni Rodari. L’amministrazione comunale ha deciso di
realizzare un centro denominato “Città dei ragazzi”, in cui far confluire la biblioteca ragazzi, la ludoteca e una
serie di laboratori creativi, ispirati a Gianni Rodari e a Gian Battista Basile, scrittore campano, cui è attribuita
la prima raccolta di racconti orali popolari. Lo completerà un ampio parco impostato a tema. La struttura è
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in corso di realizzazione e provvisoriamente le attività si svolgono in un elegante edificio storico, ex scuola
materna.
Parco della Fantasia Gianni Rodari, a Omegna. Di questo centro già ho scritto. Aggiungerei che esso
ha come missione quella di portare l’attenzione sulla particolare pedagogia di Gianni Rodari, di come egli
abbia avvicinato i giovani lettori alla realtà, nelle sue contraddizioni e nelle sue durezze, oltre che nelle sue
sfaccettature, sempre narrando di persone e di relazioni; dell’importanza che egli ha attribuito alla parola e
di come il gioco dell’invenzione sia praticabile con rigore utilizzando una particolare “Grammatica della
fantasia”. Il Parco comprende nei suoi percorsi anche la scoperta della città, la navigazione sino all’isola di
San Giulio (quella del Barone Lamberto), la visita a una delle ultime fabbriche italiane di giocattoli e alla
Alessi, dunque rodarianamente un rapporto tra bambini - realtà - lavoro.
La lucertola, Centro gioco, natura, creatività, a Ravenna. Un laboratorio dove il gioco è al contempo
radice di ogni azione e interpretazione di come la tradizione ludica sia trasformabile in attività
contemporanea, godibile e appetibile. Gli aspetti estetici degli oggetti esposti e delle esperienze
laboratoriali proposte sono caratteristica intrinseca di ogni esperienza che bambini e adulti vi conducono.
Ha fatto scuola in tutta Italia su come si possano affrontare le problematiche naturalistiche e ambientali in
forma concreta, seppur giocosa. Mostre e laboratori itineranti ne completano il repertorio culturale.
Spazi verdi
Va detto che gli spazi all’aperto dedicati ai ragazzi lentamente sono cresciuti di numero e sono stati
dotati di attrezzature più sicure. Purtroppo i modelli collocati in essi non sempre rappresentano il meglio
della produzione sul mercato: chi provvede all’acquisto cerca di risparmiare e non sempre ha competenza
rispetto alle esigenze dell’infanzia.
C’è scarsa attenzione ad alcune età e pochissima propensione a sfruttare meglio i cortili scolastici.
Nell’uso dei giardini e degli spazi pubblici prevale il diritto dei cani rispetto a quello di bambini e
ragazzi, alimentando in questo modo i timori dei genitori che così preferiscono il metodo della reclusione
dei figli rispetto a quello della relazione con amici.
City farm e parco dei giochi popolari a Pavia. Nel corso degli anni la città ha sperimentato in varie
direzioni l’inserimento del gioco in contesti educativi diversi, la prima esperienza, ancora in corso, nacque
nel 1978 dedicando un’antica cascina agricola ai ragazzi (Bosco Grande - laboratori natura) e dove si iniziò a
svolgere educazione all’ambiente e all’agricoltura utilizzando il gioco e l’esplorazione sensoriale: fu la prima
city farm italiana (fattoria didattica). La seconda esperienza, molto più recente, è stata la realizzazione, negli
spazi adiacenti al campo di atletica (campo Coni), di una vasta area con istallazioni che richiamano i giochi
motori della tradizione popolare, liberamente accessibile al pubblico e teatro di prove preolimpiche, se così
si vogliono definire i giochi dimenticati.
Parchi gioco a tema, a Piacenza. La città ha realizzato nel corso di alcuni anni la revisione di tutti i
suoi spazi verdi, aggiungendovene di nuovi, in modo che risultassero tutti in sicurezza e sufficientemente
raggiungibili e accessibili da parte delle famiglie. Il criterio utilizzato è stato quello di dotarli di attrezzature
differenziate, potenziando in ognuno le caratteristiche del luogo e dedicandoli a temi differenti, per
esempio il parco dedicato allo sport, alla storia, al lavoro, all’arte, ecc. In ciascuno comunque garantendo
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quattro tipologie di attività (motricità, creatività, socialità, avventura) e prove per età diverse, a partire dai
più piccoli sino agli adolescenti. In alcuni sono stati realizzati piccoli fabbricati per attività al coperto,
sperimentando l’inserimento di “tate” che garantissero accoglienza, socialità, sorveglianza. Purtroppo
quest’ultima esperienza, molto gradita ai cittadini, ultimamente si è arenata, a causa della contagiosa
timidezza economica dell’amministrazione comunale.
Interventi itineranti: i ludobus
Una delle novità pedagogiche più interessanti dell’ultimo periodo è stata l’attivazione in Italia dei
Ludobus. Esperienza europea di matrice anglosassone, presente in Italia dagli anni Ottanta solo in Alto
Adige; dopo qualche faticoso tentativo a Torino e in Abruzzo ha preso a diffondersi, grazie ai finanziamenti
derivati dalla legge “285” (che lo ha indicato come strumento possibile) e al coraggio e all’intraprendenza
degli animatori che l’hanno scelto come professione. È uno strumento educativo molto interessante, di cui
ogni provincia e ogni città capoluogo dovrebbe dotarsi, per consentire nuovamente che gli spazi pubblici
vengano utilizzati da bambini e ragazzi e affinché la socialità delle comunità venga garantita attraverso
un’abitudine alla relazione acquisita e acquisibile nei primi anni di vita.
Fondamentalmente oggi ci sono tre modalità di gestione:
Pubblica. È il caso dell’ormai decennale esperienza dell’Amministrazione provinciale di Pesaro, che
garantisce a tutti i comuni che ne fanno richiesta un intervento qualificato di animazione ludica e del
Comune di Udine, che propone interessanti azioni che spaziano dai giochi, all’espressività, alla matematica,
dalle scuole, alle piazze del centro storico, alle situazioni di crisi sociale.
In associazione. Molti operatori hanno iniziato l’attività riunendosi in associazione, questo
soprattutto dove le opportunità economiche sono più ridotte, dove è più forte l’energia, il coraggio, la
speranza delle persone di quanto lo sia l’avvedutezza delle amministrazioni pubbliche.
Per tutti desidero citare il caso della Campania e di Napoli dove si sta registrando un eccezionale
attivismo, notevole per qualità delle proposte e non solo per la perseveranza.
In Cooperative. Altri operatori hanno potuto riunirsi in forma cooperativa, è il caso della storica
Cooperativa Progetto città, di Bari, che nel suo lungo ed eccezionale percorso si è dotata anche di un
ludobus, dopo aver creato ludoteche, interventi nelle scuole, un centro di cultura ludica, fornendo anche
ricerche, eventi, sperimentazioni d’arte con bambini e ragazzi. Ma altrettanto vanno citati il gruppo di
Rimini, con una capacità di intervento territoriale di notevole intensità, o i gruppi di Siena, di Vittorio
Veneto, di Torino, di Narni, che coniugano l’attività del ludobus con quella di gestione di ludoteche e di
servizi per la prima infanzia.
Non cito tutti, e un poco me ne dispiace, ma mi servo di alcuni esempi diffusi sul territorio nazionale
per dimostrare come lo strumento sia utilizzabile in contesti sociali ed economici molto diversi tra loro.
Ogni soggetto gestore ha messo a punto un repertorio, vi sono alcune costanti nelle proposte ludiche,
ma i più hanno inventato o adattato procedure e attrezzature a proprie vocazioni artistiche, espressive e
tecniche. Spesso l’attività del ludobus è intrecciata con la gestione di uno spazio ludoteca. Quando l’azione si
svolge nel medesimo territorio i programmi diventano complementari, generando ottimi risultati sociali. Se
le scuole del territorio sono sensibili e attente il livello di produttività educativa è massimo. A questo
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proposito vorrei qui ricordare l’esperienza del WKE di Bolzano, di cui dirò più oltre.
Manifestazioni ricorrenti o annuali
Si stanno diffondendo alcune tipologie di manifestazioni che richiamano bambini e adulti in spazi
pubblici, il più delle volte riproponendo forme di socialità ludica della tradizione o sperimentando il
collegamento tra feste popolari e attività di ricerca scolastica: interessante che aumentino gli insegnanti che
assumono il compito di dare spazio al gioco, non come tecnica per migliorare gli apprendimenti di alcune
materie, ma come occasione non casuale e saltuaria per imparare a “socializzare”, dunque un compito
nuovo in una scuola che si pone l’obiettivo di educare e non solo di istruire.
In alcune situazioni è emerso come il gioco aiuti nell’incontro tra bambini figli di genitori immigrati e
di genitori del luogo, in altri casi come il giocare in forme popolari, con strumenti semplici e materiali di
risulta, divenga una piacevole scoperta e novità, facilitando incontro e scambio tra nonni e nipoti.
Anche in questo caso cito degli esempi, derivati da Regioni diverse, attribuibili ad animatori sociali,
operatori culturali, insegnanti, preparati e sensibili.
I bambini del Mediterraneo, a Ostuni. Una manifestazione autunnale in provincia di Brindisi, che
coinvolge scuole e gruppi di una vasta porzione del Salento e che ospita ogni anno bambini e ragazzi
provenienti da altre nazioni del Mediterraneo.
Il carnevale di Saviano, in provincia di Napoli. È una manifestazione in cui confluiscono attività
ludiche popolari che si svolgono anche in altri periodi dell’anno, curate da un manipolo di cultori del gioco e
dell’arte, con livelli molto raffinati di espressività e di organizzazione dei giochi.
Il festival dei giochi tradizionali, di Massicelle, nel cuore del Cilento, in provincia di Salerno, dove
grazie ad alcune insegnanti ed a una brillante e ingegnosa organizzatrice culturale arrivano nel mese di
maggio alcune classi dall’Italia e dall’Europa, portando i propri giocattoli e arricchendo così il piccolo museo
del gioco tradizionale (ora è in un’aula scolastica, ma dovrebbe essere trasferito in tempi ragionevoli in un
antico frantoio in corso di ristrutturazione).
Per l’occasione i paesi sono in festa, i bambini si incontrano e si misurano con la costruzione di nuovi
giocattoli e scoprono sapori, forme, bellezze di una terra aspra e affascinante.
La città dei bambini. A Verbania, San Giorgio a Cremano, Fano, Cremona, Roma, Perugia, Settimo
torinese, Collegno e altre, grazie anche all’opera di riflessione e innovazione del CNR di Roma (vedi
Francesco Tonucci), hanno preso piede manifestazioni annuali dedicate a bambini e famiglie. L’elemento
unificante è la relazione con la scuola, l’obiettivo condiviso quello di riportare i giovani ad utilizzare gli spazi
pubblici; il collante per questi incontri è il gioco, di volta in volta miscelato e intrecciato con altre attività
proprie dei luoghi e dei gruppi organizzatori.
Le olimpiadi del gioco popolare, in Sardegna e in Calabria. Grazie a ricercatori locali, studiosi delle
forme di aggregazione e appassionati “ricostruttori” di oggetti e di abitudini, queste modalità di incontro
hanno conquistato il diritto a comparire nei programmi ufficiali delle manifestazioni regionali. Confronti -
incontri, definiti “olimpiadi”, dove ragazzi di età diverse si misurano con la costruzione e l’uso di attrezzi di
gioco. Va attribuito all’associazione Uisp il merito di questa pratica che si va diffondendo nei suoi vari circoli
locali. Così come va dato merito alla sezione marchigiana dell’Uisp di aver riportato l’attenzione
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sull’importanza di una correlazione tra gioco e sport, per contrastare la ottusa tendenza a spingere bambini
e bambine a pratiche sportive disciplinari troppo precoci e di aver ottenuto la prima legge regionale che
riconosce il diritto al gioco per tutti, bambini e adulti.
Il TocaTì, a Verona. Tra le manifestazioni di maggior successo di pubblico e di attenzione mediatica va
inserito il TocaTì, due giorni in cui il centro storico accoglie decine di migliaia di giocatori adulti, famiglie con
bambini, animatori, insegnanti, che scoprono quante pratiche ludiche sopravvivano in Italia e in Europa,
grazie alla passione di piccoli gruppi di cittadini: in Italia esistono quasi settanta esperienze e
raggruppamenti stabili!
Fra il 1990 e il 2000 Gradara, piccolo paese delle Marche, è stato il catalizzatore degli appassionati di
gioco, dell’incontro fra il gioco tradizionale e il videogioco; occasione per la legittimazione del gioco di ruolo
(che oggi annovera tantissimi giovani tra i suoi praticanti) in una cornice urbanistica che bene mischia il
virtuale e lo storico, sfumandone i confini.
È stata probabilmente una delle premesse ai festival del gioco che oggi si svolgono in alcune città
(Lucca, Modena, Mantova, Napoli, per esempio) e stanno attirando migliaia di cittadini: si tratta di kermesse
interessanti, ma rumorose, con la presenza e interesse di molti produttori del settore e fan- club
agguerritissimi. Forse troppo fiera merceologica e poco festa, con condivisione collettiva; rispetto agli altri
modelli citati il tasso di consumismo prevale su quello relazionale.
In Gradara Ludens ci si confrontava anche sui perché del gioco, sulle modalità, sul rapporto tra
turismo di massa e cultura: forse per questo la dialettica politica locale ha favorito la chiusura di
quell’esperienza. Ma forse non per sempre.
Circoli e associazioni di famiglie, in autogestione
Per tutti i soggetti impegnati nel nostro settore, a maggior ragione alla luce del Manifesto delle città
del gioco, redatto dai fondatori di GioNa e ricordando soprattutto che sono stati amministratori pubblici
quelli che lo hanno promulgato, ritengo utile e opportuno guardare con estrema attenzione ad alcuni
esempi italiani che si sono sviluppati grazie alla stretta relazione creatasi all’interno di nuclei di cittadini,
decisi a realizzare situazioni in cui il gioco fosse strettamente connaturato con altre manifestazioni ricreative
e intrecciato col vivere quotidiano.
Si tratta di tre esperienze, esempi per superare il provvisorio, il precario, il soggettivo, e costruire
invece risposte stabili e coerenti alle nuove aspirazioni dei cittadini, per una buona qualità della vita di
relazione e fisica.
Un non trascurabile contrasto e antidoto all’aridità e alla frenesia monomaniacale del consumismo
esasperato che caratterizza molte manifestazioni e prodotti per il tempo libero.
Cremona. Molte città italiane annoverano società ricreative, ora dedicate al tennis, ora al canottaggio
o alla nautica e i circoli del dopolavoro: retaggio di una visione elitaria, in alcuni casi, in altri scelta
paternalistica e inclusiva delle grandi imprese. Comunque positiva se questi si pensano come luoghi dello
svago, della relazione, della motricità.
Pochi sanno che Cremona è dotata di una serie di società ricreative che arrivano a contare come
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iscritti quasi la metà dei suoi abitanti e dove ciascuna, dalle più antiche alle più recenti, è totalmente
autofinanziata. Ognuna è dotata di impianti sportivi per il gioco del calcio, delle bocce, del tennis, del nuoto,
della pallavolo, con palestre e in un caso con le vasche per il canottaggio al coperto. Aree gioco per le
diverse età, prati ove correre, prendere il sole, fare pic-nic, vegetazione molto curata, bar, ristorante,
parcheggi; approdi fluviali dotati di barche varie, per quelle adiacenti al Po. Risorse per tutte le età. Il gioco
come fatto quotidiano.
Associazione VKE di Bolzano. Rispetto agli interventi a favore dell’infanzia e dell’adolescenza credo
che il modello più interessante sia quello dell’associazione VKE di Bolzano, che riesce a gestire ludobus,
ludoteche, piccoli centri gioco, feste periodiche nei parchi, avvalendosi di un costante aiuto economico da
parte dell’istituzione pubblica e del sostegno convinto dei genitori, che partecipano e contribuiscono
associandosi; si è così andata creando una rete territoriale stabile che comprende oltre a Bolzano
numerosissime cittadine dell’Alto Adige. Perfetto connubio tra privato e pubblico, che ha superato già
ampiamente i suoi primi venti anni di vita.
Fano, Il paese dei balocchi. In ogni paese o frazione dell’Italia c’è un santo da festeggiare. Attorno a
tali ricorrenze si sono realizzate delle feste, per lo più sono gestite dalle Pro Loco, associazioni quasi sempre
di benemeriti, che promuovono il proprio territorio valorizzando prodotti, ambienti e costumi, quasi sempre
non fasulli, ovvero con radici storiche accertate. Tutte sono diventate occasione di grandi abbuffate, mercati
di bancarelle ambulanti, balli serali che mischiano mazurche romagnole a valzer viennesi, tammuriate al
rock. In qualche caso vengono solcate da rievocazioni storiche in costume, laiche o religiose.
Vorrei a questo proposito richiamare l’attenzione su una esperienza molto recente, ma già solida e
affermata, quella che si svolge in uno dei quartieri di recente edificazione alla periferia di Fano, denominato
Bellocchi. Un gruppo di cittadini ha creato un’associazione denominatasi “Paese dei balocchi”, parafrasando
il nome del quartiere e da esso derivando poi una delle vocazioni portanti, quella della narrazione e
dell’attenzione all’infanzia. Le feste che qui si organizzano non sono solo cibo e ballo, ma vedono la presenza
di musici giovanissimi, teatranti provenienti dalle scuole locali, giochi per tutte le età, mostre d’arte, sfilate
di padroni di cani e di gatti, tendone della biblioteca, gazebo delle associazioni di volontariato, raccolta di
fondi per la solidarietà verso ospedali o comunità lontane. Tutto nato dalla voglia di giocare insieme e di
creare uno spazio a misura anche dei figli.
La domanda/provocazione che pongo a tutti i lettori: perché non cerchiamo di inserire in ogni luogo e
in ogni festa locale altrettanta attenzione all’infanzia e allo scambio culturale e sociale?
4. Cattive prassi e anticorpi timidi
Solo in forma leggera cito ora alcune questioni che meriterebbero approfondimenti, tanto
professionali che istituzionali. Un promemoria ad uso futuro, per innescare polemiche e riflessioni.
Ineludibile, se la dimensione ludica non è opzionale, nella società e per chi si va affrancando dalla fatica
fisica e dal lavoro, non più unica attività quotidiana.
Il gioco è in via di estinzione nelle scuole dell’infanzia
Pareva tutto chiaro, tanto nei programmi ministeriali che nei libri universitari: i più piccoli
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apprendono giocando, le esperienze sensoriali sono fondamentali, la motricità è base e prerequisito per
ogni apprendimento, l’educazione all’autonomia è obiettivo fondamentale. Però...
In cortile si va raramente: perché fa freddo, fa caldo, c’è nuvolo, c’è vento. Con la neve ci si bagna. Se
si corre troppo si rientra sudati. Ovvio che non si va fuori se piove.
Palette e secchielli? Non più, perché l’Asl non vuole che si usi la sabbia. Manipolare? Poco, perché i
bambini mettono tutto in bocca e soffocano. Materiali grezzi no, perché non sono a norma. Se si corre ci si
sbuccia e le mamme e i papà sporgono denuncia subito. Strumenti in mano ai bambini? Pericolosi; escluse
le forbici di plastica, che però non tagliano quasi nulla...
Tutto il resto è permesso, ovvero carta e pennarelli di tutti i colori. Anche i giocattoli vanno bene,
soprattutto quelli che richiamano i personaggi dei cartoni, perché con essi i bambini esercitano la fantasia.
Ovviamente a tavola tovaglie, piatti, bicchieri, posate, caraffe sono di plastica, così non c’è il rischio di
rompere le stoviglie e di farsi male coi coltelli. E la gestione costa meno.
Le razioni sono ben calcolate, uguali per tutti. Ciò che avanza si butta.
Riordino e pulizia sono a carico del personale ausiliario, che spesso prende servizio alla fine delle
lezioni.
I bambini sono serviti di tutto punto.
Pesi, consistenze, gesti, tempo delle azioni si imparano. Ma solo parlandone...
Compaiono finalmente nei cortili alcuni grandi giochi, per lo più ispirati ai piccoli attrezzi delle
gabbiette dei criceti e dei pappagallini.
Se il cortile è liscio ed elastico, meglio: si evita di imparare ad alzare i piedi prima di inciampare e
cadere.
A sei e sette anni bambini e bambine hanno già come gioco preferito i videogiochi e grazie alla
capacità intuitiva e istintiva sanno usare i cellulari meglio degli adulti.
Sono gli unici oggetti il cui uso è consentito in libertà!
L’intervallo negato della scuola dell’obbligo
Crescendo i pericoli aumentano, infatti gli allievi non sanno contenersi: vogliono correre, muoversi, si
urtano, parlano, creano confusione. Esigenze marziane.
Tutta la responsabilità dell’incolumità di ciascuno è sempre degli insegnanti!
Meglio allora se i ragazzi consumano la merenda in aula, seduti. La pipì, sì, è consentita, ma è
importante che i corridoi vengano presidiati per evitare che l’uscita dall’aula in direzione bagno riservi
traumi e sorprese. Meglio se le porte dei gabinetti sono senza serratura e senza chiusure interne. Se
qualcuno non fosse più in grado di riaprire oppure se vi si chiudesse dentro per un qualche strano
esperimento fisico?
In cortile non c’è tempo per andare e poi, tutti insieme, sarebbe un vero caos.
L’Asl raccomanda che nei bagni ci siano i distributori di sapone liquido, così si evitano i contagi e le
micosi. Bidelli e dirigenti preferiscono di no, perché ai ragazzi piace premere il pulsante, i consumi vano alle
stelle e i soldi disponibili sono sempre meno.
Quando suona la campana della fine dell’intervallo tutti gli insegnanti tirano un sospiro di sollievo.
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Molti si chiedono perché l’intervallo debba durare così a lungo. L’obesità infantile è pericolosamente in
aumento. Si dovrebbe incentivare l’educazione alimentare.
Le palestre scolastiche vengono messe a disposizione di associazioni che realizzano la “promozione
sportiva”. Per le femmine comunque è possibile anche l’iscrizione a corsi di danza, molto meglio se tutte si
presentano vestite come la famosissima Fracci, già dal primo incontro.
Il mercato del cartellino ovvero il lavoro minorile negli sport di massa
Tutto inizia dall’abbigliamento. Le scarpe. La lunga maglia della squadra del cuore. Poi vengono
berrettini, pantaloncini diversi per ogni tipo di azione motoria, caschi vari. Borsoni porta indumenti, griffati
o con il logo della società.
Il gesto atletico può anche venire dopo. Quello giocoso, imitativo, deve durare poco perché poi
l’istruttore … provvede a correggere l’impostazione. La selezione bravi/non bravi incomincia poco dopo. Il
cartellino … serve per garantire la copertura assicurativa. Se l’istruttore individua una qualche propensione
atletica incoraggia, plasma e incomincia a pensare di indirizzare il giovane verso una squadra di prima
categoria. Quasi tutte le squadre professionistiche di calcio, basket, ciclismo, pallavolo hanno società e
associazioni di riferimento che militano nei campionati di categoria inferiore. Inizialmente il costo del
cartellino, nello scambio tra squadre minori, è contenuto, tutt’al più tra l’una e l’altra ci sono degli incentivi
economici e dei premi agli istruttori. Presto comunque inizia la vendita degli atleti o il loro coinvolgimento
attraverso premi partita e rimborsi mensili. Si ha notizia che minorenni e ragazzi che hanno appena
superato i quattordici anni già vengano “legati” da contratti a società famose, che li alloggiano a proprie
spese anche lontano dalle rispettive famiglie, per meglio frequentare gli allenamenti.
I genitori sono orgogliosi che il proprio figlio venga comprato. E venduto.
In Italia il lavoro minorile è vietato.
I videogiochi sono fuori controllo
Più che far sorridere, propongo un appello.
Tutti i giocattoli che vengono posti in vendita sul territorio europeo devono avere un marchio di
sicurezza, apposto dai fabbricanti, che certifichi che sono costruiti secondo norme di legge.
I videogiochi, per ora, hanno una dicitura che, eventualmente, ne consiglia l’uso agli adulti. Si
possono acquistare, ritirandoli dagli scaffali senza chiedere alcunché, presso i grandi magazzini.
La possibilità di scaricare da internet o di duplicare col proprio pc consente di scambiare files in
quantità, con una diffusione generalizzata di qualsiasi prodotto.
Il dibattito culturale e psicologico è tutt’ora ancorato su “videogiochi sì - videogiochi no” senza
entrare nel merito delle numerose categorie e tipologie, correlate ai contenuti, ai meccanismi psicologici e
identificativi che li caratterizzano e li possono distinguere negli effetti.
Lo schermo, di qualsiasi dimensione sia, ha un grande fascino su tutti; ma soprattutto è la tastiera e la
possibilità di influire col proprio tocco su ciò che appare sullo schermo che dà l’ebbrezza dell’autonomia e
della libertà, la sensazione di poter influire e determinare qualsiasi effetto o cambiamento.
Esperienze, queste, che a causa delle proibizioni che accompagnano qualsiasi altro strumento
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meccanico o elettrico vengono costantemente scoraggiate nei bambini e nei ragazzi.
Urge una analisi critica dei molti prodotti in circolazione, la diffusione della critica attraverso i
periodici e le rubriche riservate a genitori ed educatori, l’accettazione del gioco elettronico nei contesti dove
se ne possa verificare il contenuto, indirizzarne l’uso, discuterne gli effetti coi ragazzi.
Comunque ci vorrebbe una normativa che regoli la vendita ai minori e che renda più avvertiti e
prudenti i produttori e i diffusori.
L’imbroglio dei nidi/ludoteca
La già richiamata legge “285” e le consuetudini comunali da essa derivate hanno di fatto liberalizzato
il mercato dell’assistenza alla prima infanzia. È facile incontrare insegne che pubblicizzano “centri gioco” e
“ludoteche” e che offrono ai genitori la gestione “a ore” dei figli, l’organizzazione di feste di compleanno,
minicorsi creativi. Nessuno vieta di pensare che tutti coloro che li gestiscono siano bravissimi, però stride il
fatto che per assistere bambini tra i tre mesi e i sei anni di età ci debbano essere, in asili nido e scuole
dell’infanzia, insegnanti con diploma quinquennale, ma ora anche laureati, e che per gli edifici si prevedano
standard specifici per ampiezza dei locali, cubature, esposizione alla luce, assenza di barriere
architettoniche, giardini esterni.
Nel caso dei nidi/ludoteca la problematica delle norme poco e male si pone; chiunque potrebbe
gestire le azioni ludiche.
Si sa che a queste età qualsiasi apprendimento passa attraverso forme ludiche, forte è il potere di
suggestione e di condizionamento; le relazioni tra bambini e tra adulti e bambini si debbono saper gestire,
soprattutto quando non le regola il vincolo e la relazione affettiva specifica del genitore, ma il semplice
rapporto strumentale che l’adulto sa istaurare con essi.
Se definire tali opportunità “ludoteca” è garanzia di un buon metodo di intrattenimento educativo,
altrettanto dovrebbe avvenire per le competenze e le responsabilità dell’adulto.
L’improvvisazione, o l’assecondamento delle mode di intrattenimento dettate dai produttori di
oggetti per l’infanzia, possono creare qualche guasto irreversibile. O no?
Il declino della formazione
Non posso affrontare adeguatamente in questa sede questo aspetto. Un percorso formativo ufficiale,
stabilito per legge, non esiste. Si sa che per acquisire padronanza di tecniche ludiche ed espressive ci vuole
molta pratica ed esercizio e che altrettanto necessario sia “saper essere” per gestire le relazioni tra persone
e la conduzione dei gruppi.
Per gli educatori sussiste la libertà di insegnamento, senza alcuna ombra di supervisione.
Purtroppo gli apprendimenti nei corsi degli istituti psicopedagogici e nelle università sono
principalmente teorici e i tempi previsti per i tirocinii sono irrisori (si sa che per imparare i molti giochi
possibili, per età differenti, non bastano le ore di un intero tempo di tirocinio. E il resto quando?).
Ma sta diventando molto aleatorio anche il tempo dedicato all’aggiornamento e allo scambio di
esperienze.
La pratica dei contratti brevissimi, anche di pochi mesi, nel settore socio educativo e soprattutto il
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basso livello dei compensi non incentivano e non consentono percorsi di aggiornamento professionale.
I comuni non investono, le singole cooperative e associazioni si autogestiscono, valorosamente, va
detto. Salvo quando divengono imprese vere e proprie e quindi assumono personale a tempo: in tal caso
per stare al prezzo di mercato e vincere gli appalti spesso non hanno margini economici che consentano la
formazione. E d’altra parte chi non ha prospettiva di impiego per un tempo ragionevole, dove trova la
ragione per aggiornarsi?
Gli orfani della 285
Come ho già affermato la legge “285” ha spinto ogni comune italiano a riconoscere che avrebbe
potuto realizzare qualcosa per i propri giovani cittadini. Una tale prospettiva ha determinato una forte
domanda di interventi cui hanno risposto alcune migliaia di giovani, felici di poter lavorare nel campo
dell’educazione e dell’espressività. Sono settori affascinanti e che corrispondono spesso a vocazioni giovanili
molto forti.
A quasi tutti questi giovani si è chiesto di diventare anche imprenditori, considerato che quasi nessun
ente locale, al tempo, poteva prevedere assunzioni, sia perché gli organici pubblici da quasi due decenni
vengono bloccati dalle ricorrenti leggi finanziarie, sia perché si è diffusa la pratica dell’affidamento esterno
in appalto, ritenendolo più economico.
Tutti o quasi hanno “fatto da sé”. La legge è stata finanziata per due tornate (dieci anni in tutto), già
prevedendosi che al termine le sue funzioni sarebbero state assorbite dalla legge di riordino dei servizi
sociosanitari. Così è stato, con la conseguenza che il sanitario e il socio assistenziale (portatori di disabilità
ed anziani), gestito da ciascuna Regione, si è via via mangiato le disponibilità economiche.
Qualche operatore dopo più di dieci anni di lavoro, professionalizzazione, sacrifici, ha abbandonato,
cambiando settore; molti però hanno resistito, adattandosi a queste altre tipologie di incarichi, comunque
sempre in un tempo di appalti a durata limitata.
Abilità, competenze, ingegno, passioni. Sprecate!
Di fronte allo sfarinamento sociale e morale, nella incertezza di fronte alle immigrazioni e al processo
di globalizzazione nel movimento di merci, capitali e persone, a fianco della crisi di ruolo del settore
scolastico, paiono dare più sicurezza le invocazioni volte ad avere più militari nelle strade.
A fronte di una moltitudine di cittadini e di giovani che crede sempre più che la qualità della vita
dipenda dalle conoscenze e dalle capacità di relazione, e che si alimenta, senza razzismi e preconcetti, di
musiche, cibi, letture, film provenienti da ogni parte del mondo, si vuol far credere sia meglio tornare ad
una società autoritaria e autarchica.
È una fortuna, una iattura o uno spreco che si sia creato un manipolo di assessori, amministratori
pubblici, che tengono in vita un’associazione che si denomina “GioNa” e che invoca “città del gioco”?
Se credete utile mandateci informazioni delle vostre imprese ludiche e fateci incontrare gli assessori
che vi chiedono di svolgere attività per le loro città. www.ludens.it
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Seconda parte
Noi abbiamo provato in questi giorni a riconquistare
la capacità di giocare o quantomeno di riflettere
su quelle che sono state le nostre capacità di giocare.
Abbiamo visto che tutto questo è assolutamente essenziale
al nostro rapporto corretto con il bambino che gioca.
Ecco la proposta concreta che vi faccio:
bisognerebbe che periodicamente voi vi ritrovaste a giocare
come adulti, per quella riscoperta della vostra capacità di giocare e di creare.
È sperabile che un giorno anche chi “sceglie” l’educazione di base,
capisca che il fenomeno gioco è fatto biologico non soltanto per l’uomo
e che diventi una materia di esperienza, di educazione, di sviluppo.
Nell’attesa, vedete voi, di fare le vostre scelte e (…)
continuate il dialogo che abbiamo cominciato insieme. 39
Walter Ferrarotti
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Ferrarotti W., Gioco movimento e sviluppo del bambino, a cura di Panfili O., Perego D., Brugnolli I., Trento, Provincia Autonoma di Trento, Assessorato Istruzione, 1981, pp. 70-71
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Presentazione
I contributi dei gruppi di lavoro
di Maria Carla Rizzolo
La seconda parte del volume raccoglie i lavori dei sette gruppi in cui si sono diligentemente suddivisi i
partecipanti. Una considerazione è d’obbligo: il gran numero di partecipanti, (circa 400 iscritti in totale al
convegno, 310 iscritti nei gruppi di lavoro), ma ancor più la significativa presenza di operatori di servizi ludici
provenienti da 18 diverse regioni, stanno a dimostrare l’interesse verso un’opportunità formativa e di
confronto nazionale di cui si sentiva l’esigenza e a cui il mondo ludico non ha voluto rinunciare.
L’impegno di documentare quanto si è svolto nei gruppi di lavoro vuole essere una restituzione e un
ringraziamento al contributo di ciascuno, ma intende anche scandire, attraverso le esperienze concrete
riportate, le questioni teoriche della prima giornata. Si configura così un breve ma significativo panorama
delle opportunità che la complessa tribù ludica italiana propone alla scuola, alle famiglie e ai ragazzi.
L’intenzione è di porre l’accento sulla varietà di esperienze portate, consapevoli che sono solo una minima
parte… quella minima parte che in una giornata di convegno poteva essere ascoltata, ma ogni intervento
può essere inteso come il sassolino i cui cerchi nell’acqua rimandano alle molte azioni in corso e a quelle
ancora da progettare.
Partendo dalle suggestioni teoriche si sono aperti dialoghi, si è dato spazio alla discussione, si sono
evidenziati nodi problematici, ma è cresciuto anche l’entusiasmo e l’autentica volontà di innovazione
educativa.
I capitoli del libro che vanno dal quarto al decimo si presentano come strade parallele ma
differentemente articolate, attraverso cui i coordinatori (due per ogni gruppo) ci accompagnano
presentandoci gli argomenti con brevi contributi iniziali, raccontandoci le modalità in cui si sono svolti i
lavori e le opportunità di scambio, riportando, infine, alcune impressioni… per non concludere, in linea con
le scelte di fondo del convegno.
Lo sforzo dei coordinatori è stato quello di farci entrare nei gruppi, sia attraverso argomentazioni
preliminari, ma ancor di più descrivendoci con attenzione scrupolosa come si è sviluppato il confronto. Le
differenti conduzioni dei lavoro, con cui i convegnisti sono stati chiamati a partecipare, offrono di per sé un
ulteriore arricchimento.
La difficoltà di avere avuto poco tempo a disposizione e per contro, la presenza di persone motivate,
con la voglia di portare il proprio contributo, ha reso il riordino del materiale non facile. Inoltre la scelta di
avere un coordinatore torinese (tendenzialmente interno ai Centri di Cultura per il Gioco) e uno di altre
realtà italiana, è stata certamente una ricchezza, ma in alcuni casi ha reso un poco più lungo il lavoro di
condivisione dei testi e degli elaborati.
Come si è già accennato nell’introduzione generale, la costruzione dei capitoli, seppure con una
connotazione simile, si presenta con un andamento autonomo, gli interventi iniziali rispecchiano la storia e
le differenti competenze dei coordinatori e questa leggera disomogeneità diventa arricchente, offrendo uno
svolgimento forse meno lineare, ma gradevole.
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Nel quarto capitolo i contributi ci riportano a riflettere sul gioco in relazione allo spazio, al
movimento, allo sport, riprendendo il contributo di Mario Pollo40 della prima giornata, quando sottolinea
come lo sport senza la dimensione ludica perda alcuni requisiti formativi fondanti per i ragazzi: dal senso di
responsabilità all’autonomia, dall’integrazione di pensiero e azione alla consapevolezza dell’autonomia.
Il ruolo dello sport, sempre di più, deve recuperare il piacere e il gusto ludico, anche nei fondamentali
momenti della competizione, come sottolineano sia Loretta Fabiani che Michele Segreto, segnando una
differenza tra lo sport delle Federazioni e il gioco sportivo spontaneo e libero. È un difficile rapporto quello
che si crea tra le aspettative, in particolare degli adulti, di scoprire o di formare i nuovi “campioni”, e il
desiderio dei bambini di mettersi alla prova senza troppe pressioni.
Nel gioco anche la dimensione creativa e progettuale e la questione della sicurezza assumono una
connotazione significativa e le relazioni di Stefano Oletto e di Roberto Lattini sottolineano con forza
l’esigenza di trovare una giusta dimensione tra il bisogno di fare esperienza con materiali e strumenti e una
corretta educazione alla sicurezza. Questa è certamente una questione spinosa che, sempre di più, crea
difficoltà a coloro che lavorano in campo ludico educativo, verso la quale si tende troppo sovente ad
adottare un atteggiamento di rinuncia, desistendo dal costruire esperienze concrete, abdicando così alla
responsabilità che sottende il lavoro educativo, nel tentativo di salvaguardare una tutela individuale.
A completare la riflessione di questo capitolo Paolo Munini evidenzia, con il progetto della festa del π
(pi greco), come anche lo sport della mente abbia un ruolo importante; il suo intervento punta l’attenzione
sulla promozione di questa festa, da estendere a tutti quelli che sono disposti ad accettare la sfida con la
matematica, facendola diventare sempre di più un’occasione di confronto nazionale, in cui corpo e mente si
completano.
Nelle considerazioni finali, utili a raccogliere i pensieri, vengono rilanciate due questioni
fondamentali: da un lato l’importanza di sostenere e stimolare nei bambini e nei ragazzi l’atteggiamento
curioso verso il mondo, dall’altro l’esigenza di tendere, nella formazione dell’individuo, al superamento della
frammentarietà educativa, se pure consapevoli della condizione di complessità plurale in cui stiamo
vivendo.
Il quinto capitolo tocca il vasto tema della cultura popolare, dalla memoria alla trasmissione,
partendo dalla tradizione intesa come cultura in costruzione e trasformazione, che prende forma attraverso
la ripetizione di gesti e di azioni condivisi dal gruppo. Antonio Damasco, in apertura, ne sottolinea la doppia
dimensione, di memoria ma anche di rivisitazione, utile a costruire nuove tradizioni contemporanee e
condivise che il Festival dell’Oralità Popolare rilancia annualmente, partendo da Torino per toccare molte
delle province italiane.
Ma la trasmissione, in particolare del gioco, ha bisogno di luoghi fisici in cui adulti e bambini possano
incontrarsi e Piero Santoni ce ne propone un lungo elenco, sospeso tra realizzazioni già sperimentate e
desideri progettuali.
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Pollo M., Lo sport è ancora un gioco? Provocazioni e proposte dell’animazione culturale, in Venera A.M, (a cura di), Garantire il diritto al gioco, Junior, Azzano San Paolo (BG), 2011, pp. 43-57.
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A rappresentare i giochi tradizionali è, uno per tutti, il gioco delle bije , che a Farigliano ha mantenuto
il suo carattere di gioco femminile, ma è stato anche portato nelle scuole, interpretato e proposto con
nuove regole. Giancarlo Tavella lo presenta con sentimento e competenza, dimostrando che, quando
un’autentica passione muove emozioni e curiosità, genera anche negli adulti la voglia di ricerca, il piacere
del gioco e della competizione, la disponibilità alla trasmissione.
In questo rapporto tra ricerca e reinvenzione i contributi di Anna Bondioli, che sottolinea il ruolo
importante della relazione tra adulti e bambini, e di Gianfranco Staccioli, con la sua puntuale analisi sui
giochi da tavoliere, offrono due ampie angolazioni in cui inserire la discussione.
Nella ricerca della Uisp Sardegna, presentata da Maria Pia Casula, il ricco mondo dei giochi
tradizionali di quella regione si apre al confronto, attraverso un lavoro accurato di interviste e di raccolta di
materiali che ha contribuito a fissare con la scrittura un tassello importante della tradizione ludico-sportiva
del secolo scorso.
Raccogliendo le suggestioni che sono emerse Bruna Pangallo ci ricorda che, a Torino, i Punti gioco
privilegiano, nei loro obiettivi educativi, proprio la salvaguardia della tradizione ludica; infatti sono
impegnati, insieme al Centro per la Cultura Ludica, nel promuovere nuove interpretazioni del gioco e del
giocare tradizionale, un’esperienza che non si genera da sé ma che ha bisogno di adulti attenti che sappiano
valorizzarne il grande potenziale ludico, tra ieri e oggi, verso il domani.
Oggi non è più possibile sorvolare sul variegato mondo di videogiochi e dintorni, sia perché sono
entrati a tutti gli effetti nel giocare quotidiano dei ragazzi, sia perché costituiscono un costante campo di
indagine sociale, pedagogica, psicologica e medica. Inoltre, come spesso succede con ciò che si conosce
meno, sono fonte di preoccupazione per genitori e docenti che, da un lato, ne intuiscono il potenziale
innovativo ma dall’altro ne sono sopraffatti (consapevoli dei propri limiti nei confronti dello strumento).
In questa direzione, nel sesto capitolo, si esprime un confronto che non è scontato, soprattutto se lo
si riconduce al gioco e al giocare, al piacere e al divertimento. Il tentativo è quello di sollecitare curiosità
negli adulti impegnati sul versante educativo, di aprire piste di ricerca per approfondirne le molte
implicazioni positive o meno, partendo dalla riflessione su come vivono il rapporto tra tecnologia e gioco i
bambini di oggi. Il contributo di Silvia Carbotti ci inquadra il tema del videogioco nella sua evoluzione, anche
in rapporto alle trasformazioni culturali e tecnologiche del nostro tempo. Si coglie l’invito, rivolto agli
educatori e ai genitori, a non sottovalutarne le potenzialità ma a guardare con attenzione al mondo del
videogioco, perché ci fornisce strumenti importanti per costruire competenze fondamentali nel prossimo
ventennio.
Nei servizi dedicati al gioco, quali le ludoteche o simili, la presenza del gioco tecnologico è ancora
troppo limitata: Maria Battaglia ci accompagna nella riflessione su quante e quali resistenze persistano, ma
sottolinea con passione anche le prospettive e le opportunità che i videogiochi possono offrire, le
implicazioni che derivano dalla scelta dei software, degli spazi in cui collocare le consolle o i computer.
Una collaborazione importante è quella tra il Politecnico di Torino e la scuola primaria raccontata a
due voci, da un lato Barbara Demo, docente di informatica al Politecnico, che delinea presupposti, sfondi
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culturali e scelte progettuali dell’esperienza in corso con la rete di scuole impegnate a sperimentare la
robotica, con assemblaggi, uso e programmazione di semplici robot; dall’altro il gruppo di insegnanti che
testimoniano il loro impegno di lavoro in classe presentandoci le attività e l’impianto metodologico, gli
obiettivi e i risultati fin qui ottenuti, attraverso un percorso di play learning che vede gli allievi coinvolti e
motivati nel lavoro di gruppo e gli insegnanti mediatori che accompagnano alla scoperta.
In ultimo un esempio ancora diverso che coinvolge una azienda finlandese, produttrice di giochi per
esterno, che da anni lavora in collaborazione con l’Università della Lapponia per realizzare innovazione. Il
gioco dello SmartUs che ci presenta Gustavo Evangelista, ne è un esempio significativo in quanto coniuga
movimento e azione con la progettazione informatica e il videogioco. L’invito è quello di scoprirlo, non solo
nella presentazione di questo volume, ma anche venendo a giocare al Centro per la Cultura Ludica.
Non è per nulla scontato oggi affrontare il tema dei luoghi in cui si gioca, dei servizi dedicati al gioco,
dell’impegno nel sostenere e incentivare tali servizi. Diventa significativo tentare di puntualizzare le
differenti funzioni, gli obiettivi comuni, le molteplici organizzazioni e gestioni di questi servizi, dall’impegno
dell’Ente pubblico al contributo del Privato verso le differenti e possibili gestioni integrate.
Il rischio è quello di restituire una bella marmellata ludica, ma Roberto Maurizio e Livia Papi, nel
costruire il settimo capitolo, hanno da subito inquadrato il problema e raccolto il confronto nel gruppo, con
una strategia organizzativa che punta a concentrare l’attenzione sulla complessità dell’argomento. La scelta
è stata quella di aprire subito il dibattito, dando modo ai presenti di intervenire, in prima battuta per
definire insieme di quali servizi ludici si stava parlando, per cercare poi di allargare il contraddittorio sulla
questione delle modalità e dei criteri di valutazione della qualità, cercando di individuare quegli elementi
che possono concorrere a definire il successo di un buon servizio ludico.
I contributi di Irene Catalano e Giorgio Bartolucci consentono di fare un confronto tra la realtà delle
ludoteche censite oggi in Sicilia (Catalano), con la situazione storica di due precedenti ricerche sul territorio
italiano nel 1991 e in Sardegna nel 2001 (Bartolucci). Proprio Bartolucci ci propone una visione più ampia di
questo servizio, ne delinea la storia e sottolinea come siano stati fondamentali i momenti formativi nella
costruzione di nuovi luoghi del gioco, con un occhio attento anche al panorama europeo. Uno stimolo
importante per riprendere l’impegno verso l’applicazione dei diritti dell’infanzia che ancora oggi devono
essere sostenuti con determinazione e costanza.
Come avviene a San Giorgio a Cremano, anche altri Comuni hanno aderito al progetto delle Città dei
Bambini e delle Bambine, dedicando risorse e impegno per costruire iniziative e interventi di qualità nel
territorio urbano. Langella ci presenta il Laboratorio Regionale della Campania e in particolare la Giornata
del Gioco, un’iniziativa interessante che dedica una intera giornata feriale al gioco e che può essere
agganciata alla Giornata Mondiale del Gioco, evento similare che si svolge in tutto il mondo, nell’ultimo fine
settimana di maggio di ogni anno. Senza nulla togliere alle due iniziative, entrambe rilevanti, si evidenzia la
difficoltà che stiamo vivendo e che rende difficile costruire una forza ludica nazionale.
Sicuramente ci sarebbe bisogno di una realtà condivisa che possa dare vigore alle iniziative, indicare
con chiarezza i contenuti di qualità che contraddistinguono una ludoteca da un altro tipo di servizio,
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sostenere l’impegno nel rivendicare norme e leggi a tutela di quel gioco sano e gratuito, indispensabile
elemento formativo della persona. Immaginare un futuro per questi servizi considerati “non essenziali” non
è cosa da poco, prevede un impegno progettuale per delineare prospettive fondate su serie innovazioni che
si costruiscono più facilmente partendo dall’analisi dell’esistente, per fissarne i requisiti imprescindibili, le
fondamenta.
L’intervento di Amilcare Acerbi, riportato nella prima parte del testo, può considerarsi uno dei piani di
riferimento alla discussione, sia per l’indicazione puntuale sulle trasformazioni del panorama ludico, sia per
la spinta a porsi domande anche scomode ma necessarie alla resilienza ludica. Quindi servizi dedicati al
gioco che richiamino chiari contenuti pedagogici e culturali, per contrastare uno spasmodico espandersi di
un gioco dissonante che crea dipendenza, che favorisce il formarsi di pensieri distorti che inducono a
costruire il proprio progetto di vita non sul lavoro e sulle differenti competenze professionali ma solo sulla
fortuna.
Questo gioco non ci interessa! Rappresenta quella dimensione di furto che è necessario contrastare.
Nell’ottavo capitolo si è affrontato il controverso rapporto gioco - scuola, un incontro che è ancora
molto difficile, seppure nel corso degli anni molte teorie afferenti alle aree psico-pedagogiche, sociologiche
e antropologiche abbiano messo in luce il valore formativo del gioco. Uno strumento educativo
naturalmente presente in molte specie animali che, attraverso i comportamenti ludici, imparano a vivere, a
procurarsi il cibo, a distinguere i nemici, a diventare autonomi: il gioco è scuola di vita. Nonostante ciò in
quasi tutte le realtà educative, il gioco resta un fanalino di coda, spesso sacrificato alla didattica o ancor
meglio sacrificato e basta.
Lo sottolineano con determinazione i due conduttori accompagnando la descrizione del lavoro di
gruppo con fondati commenti pedagogici. Lo sostengono i componenti del gruppo in un confronto articolato
e ricco di stimoli, anche gli stessi insegnanti se ne rendono conto: come si possono giustificare i giochi in
classe quando si deve seguire un rigido programma! Cosa si può dire ai genitori che si lagnano perché
“avete solo giocato”?
Bene, chi è curioso e desideroso di sapere, nelle parole di Beniamino Sidoti e di Rosanna Clinco
troverà elementi su cui riflettere, sollecitazioni e proposte. Merita ancora un accenno la conduzione ludico-
espressiva del gruppo, per suggerire ai lettori di prestare attenzione alla metodologia adottata, allo sforzo
comunicativo e di ascolto e alle strategie adottate. Un labirinto di questioni che si cerca di districare
passando tra i molti tempi della scuola, le difficoltà di riconoscimento del gioco quale componente dello
sviluppo della personalità di ciascuno, la complessità del sapersi mettere in gioco, il significato di essere
modelli educanti, il doversi confrontare sui temi della noia o della libertà o della strumentalizzazione e della
spontaneità… e molto altro ancora.
Un bell’esempio di come si possano ascoltare voci diverse facendole interagire e al contempo
sapendole sostenere. A voler essere critici le esperienze raccolte risentono in parte dell’impostazione
scolastica, sottolineando in modo prioritario obiettivi, metodologie, senza rendere giustizia alla dimensione
di piacere e di divertimento nella quale si sono svolti gli apprendimenti, quasi fosse una nota di demerito
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l’apprendere con piacere. Ma, al di là di questo, è importante sottolineare, nel caso dell’esperienza torinese
descritta da Patrizia Di Lorenzo, lo sforzo che ha consentito l’azione ludico- educativa, articolata in un
progetto pluriennale che si è snodato attraverso giochi di narrazione, di movimento, di cooperazione, e che
ha coinvolto con grande soddisfazione più classi e più docenti.
L’esperienza presentata da Olivia Modica, invece, pone l’accento sull’interazione ludoteca e scuola
che ha portato con grande soddisfazione a realizzare un gioco di percorso vero e proprio, sul tema dei diritti,
pubblicato e distribuito da una casa editrice.
Un accenno ancora alle considerazioni …per non concludere attraverso le quali Rosanna Clinco ci
propone i temi che hanno maggiormente coinvolto i componenti del gruppo e quelli che sono rimasti aperti,
che a causa del poco tempo sono stati solo accennati ma che meritano di trovare nuovi spazi di confronto,
in cui scuola ed extra scuola possano dialogare per lavorare insieme alla formazione di adulti responsabili e
ludici.
Il nono capitolo ci costringe ad avventurarci in un territorio che non ha confronti possibili, le emozioni
e le difficoltà che lo attraversano sono ineguagliabili. Eppure ci documenta come, per chi affronta la malattia
e il dolore, per chi vive in continua precarietà fisica o psicologica, il gioco possa essere una significativa
risorsa. In queste situazioni saltano le certezze del tempo quotidiano, cambiano i ritmi della giornata, la
frequentazione dei luoghi conosciuti, allora il gioco può rappresentare un filo che ancora tiene insieme la
vita del prima e quella del dopo.
Come ci sottolinea Cicco Santo anche giocare può aiutare a non sentire il terremoto, e l’impegno della
sua cooperativa nelle tendopoli in Abruzzo ne è la testimonianza.
Il quotidiano lavoro in ospedale è presentato da Renata Bronzino e da Corrado Vecchi con due esempi
diversi di presenza, in reparti pediatrici, di personale specializzato, dedicato al gioco e alla relazione ludica.
Un impegno che coinvolge il personale sanitario e medico, che offre strategie di comunicazione, che
sostiene le famiglie.
Proprio per le famiglie è pensato il servizio di Casa OZ di cui ci racconta Rosita DeLuigi, una esperienza
di collaborazione con l’Università che integra formazione e attività sul campo.
Mentre il sintetico, ma significativo, esempio portato da Gianni De Corral ci mette di fronte alla forza
di molte famiglie, che nell’impegno volontario cercano di costruire, anche per bambini diversamente abili,
opportunità di socializzazione e di crescita attraverso il gioco.
Questo è un problema vasto, che vede impegnate molte associazioni e gruppi di volontari, averlo
inserito nelle relazioni del gruppo rappresenta il tentativo, nel nostro piccolo, di non dimenticarcene. Anche
se esiste una Carta dei Diritti dei Bambini in Ospedale, non è ancora diffuso su tutto il territorio nazionale un
servizio continuativo di sostegno attraverso il gioco. Certo servono risorse e un impegno di qualità non
improvvisato, ma è facile cogliere l’importanza di esperienze come quelle raccontate, ed è difficile spiegare
come mai siano ancora così poco diffuse!
Un altro esempio è il gioco in movimento che ci portano le ludotecarie di Alessandria che, armate di
ludobus e di voglia di giocare, hanno affrontato un lungo viaggio per arrivare a Kasserine in Tunisia, e là
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lasciare una traccia ludica indelebile, che ha dato vita ad una ludoteca e ad un ludobus locale e ha
contaminato altre città e altre comunità.
Possono sembrare piccoli segni nella vastità di situazioni in cui c’è ancora bisogno di intervenire, ma
le testimonianze portate ci offrono un ottimo motivo per …non concludere, per costruire nuove proposte
andando incontro a bisogni e diritti ancora drammaticamente inascoltati e irrisolti.
Un tema spinoso, ma anche di grande interesse, è quello del decimo capitolo, basti sapere che questo
è stato uno dei gruppi più numerosi. Tamara Lavina e Bernardetta Gallus hanno affrontato l’argomento della
formazione, inquadrando due situazioni di partenza: una, di portata nazionale, legata alla proliferazione di
servizi finanziati dalla L.285/97, l’altra più circoscritta alla presentazione dell’impegno formativo in diverse
realtà regionali.
Ma, ancora meglio, nella conduzione dei lavori hanno tentato di far emergere le domande e le
contraddizioni che in campo ludico legano il bisogno riconosciuto di una formazione specifica con il mancato
riconoscimento di una figura professionale definita.
Sono molte le professioni educative che fanno del gioco il loro principale strumento, anche se, per
contro, il gioco è ancora poco presente proprio all’interno dei percorsi di formazione universitaria o
professionale, in campo educativo.
Le relazioni presentate, che hanno sostenuto la ricca e animata discussione, offrono l’opportunità di
confrontarsi con tre esperienze che, pur essendo singolari, contengono un filo comune che sottolinea con
forza, non solo la necessità di coerenza e di competenza professionale, ma anche l’esigenza di una
formazione permanente che consenta una crescita continua. Partendo dal Piemonte, con la presentazione
di Luisa Norgia, per arrivare in Sicilia, con i progetti del “Dado Magico” di Irene Catalano, passando per il
Lazio, con il contributo di Simona Straccamore, si percorrono territori formativi che aprono interessanti
orizzonti, anche in relazione alla formazione ludica in Europa che l’ITLA (International Toys Library
Association) al suo interno sta cercando di affrontare, non senza difficoltà, per tentare di costruire una
piattaforma comune europea.
Per lavorare in quella prospettiva diventa importante sostenere, in prima battuta nella realtà
regionale, e poi in quella nazionale, una normalizzazione e un riconoscimento della figura del ludotecario
(educatore ludico o come altro lo si voglia chiamare). Questo consentirebbe una migliore relazione interna
di condivisione di percorsi e di obiettivi; con i partner europei si faciliterebbe la possibilità di costruire
opportunità di accesso a contributi e a scambi. Un quadro formativo comune potrebbe anche essere un
passo significativo per definire il riconoscimento della ludoteca come servizio territoriale di qualità.
Infine le conclusioni costruite per lasciare aperte le strade della riflessione e del pensiero, ma ancor di
più del confronto, come efficace occasione di crescita. Andrea Mori, con competenza ed ironia, riassume in
qualità di detective l’indagine partita il primo giorno: Chi ha rubato la marmellata?
Per scoprire qual è la chiave del mistero e quale degli indiziati è il vero colpevole non resta altro da
fare che leggere tutto il volume.
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Capitolo 4
Gioco, spazio di avventura, creatività, movimento
Il tema: nello scandire un po’ caotico “dei tempi moderni” quanto è cambiato il tempo, lo spazio, il
modo di giocare di bambini e ragazzi dal 1991, data della ratifica italiana della Convenzione Onu sui diritti
del fanciullo? Quanto gli adulti sono oggi individuabili come modelli positivi? Gioco e sport sono ancora
mondi vicini?
Coordinamento a cura di: Roberto Pompermaier, Grazia Bisonni
Contributi di: Roberto Pompermaier (VKE Bolzano), Grazia Bisonni (ludoteca Avrah Kadabra - ITER),
Loretta Fabiani (CONI/FIGC), Michele Segreto (Federazione Italiana Hit Ball), Paolo Munini (Comune di
Udine), Stefano Oletto (Politecnico di Torino), Roberto Lattini (Gruppo Modellisti Michelin)
Riflessioni
Roberto Pompermaier
Mi occupo di gioco all’incirca dal 1978, inizialmente soprattutto nel settore dell’animazione teatrale e
dell’arte circense per bambini e ragazzi, poi, a partire dal 1980, come collaboratore del primo ludobus
italiano, il ludobus “Spielbus” del VKE di Bolzano (www.vke.it), in cui ho potuto mettere a frutto
l’esperienza accumulata nei miei primi anni “ludici” e allo stesso tempo fare la conoscenza di una modalità
e di un approccio al gioco a 360 gradi, molto diffusi nei paesi mitteleuropei. Il ludobus come idea e come
progetto aveva preso il via agli inizi degli anni ‘70, più o meno contemporaneamente e l’uno all’insaputa
dell’altro, in Germania (Berlino, Colonia e Monaco) ed in Inghilterra. Già alla fine degli anni ‘70 in Germania
si era sviluppato un “movimento” dei ludobus e nel 1979 si tenne il primo congresso “internazionale” con
partecipanti da Austria, Germania, Svizzera e Italia (Bolzano).
Nel 1992 i ludobus tedeschi dettero vita alla loro federazione nazionale, la BAG Spielmobile
(www.spielmobile.de ), cui aderirono anche ludobus austriaci ed un ludobus italiano (Bolzano). Dal 29
settembre al 3 ottobre 2010, nella regione tedesca della Ruhr, si terrà la 39ª edizione del congresso sul
tema “Infanzia trasformata” (www.spielmobilkongress.de, per adesso si trovano sul sito le informazioni sul
precedente congresso, il 38°, che si è svolto a Friburgo dal 4 all’8 novembre 2009).
In Inghilterra il “movimento” iniziò nel 1969 a Liverpool, ma si diffuse a macchia d’olio e rapidissimamente
in tutto il Regno Unito, tanto che già nel 1973 venne fondata la ‘National Playbus Association’
(www.playbus.org.uk).
In Italia il movimento dei ludobus ha una storia più recente ed è diventato tale solo a partire dal 1997, con
la famosa legge 285, che per prima finanziò progetti a favore dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel 1996 si
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tenne a Bressanone (Bolzano) il 27° Congresso internazionale e lì si ritrovò per la prima volta un gruppo di
operatrici e operatori che anche in Italia facevano concretamente attività di ludobus.
Nel 1998, in occasione del 1° Incontro nazionale dei ludobus italiani a Parma, venne fondata “ALI per
giocare”, l’associazione italiana dei ludobus e delle ludoteche (www.alipergiocare.org ), di cui sono stato il
primo presidente fino al 2003. Se si legge la pagina dedicata ai ludobus su wikipedia.de, e grazie alla
stringatezza delle informazioni wikipediane, si scopre che il ludobus “ha il compito di promuovere lo
sviluppo del movimento e della creatività, di creare spazi per il gioco, di migliorare le possibilità di gioco, di
realizzare luoghi di incontro e possibilità di comunicazione per bambini e ragazzi”.
Va poi ricordato l’impegno nel settore della pedagogia culturale - o vogliamo chiamarlo apprendimento
motivazionale? - che ha portato i pedagogisti e gli operatori dei ludobus ad inventare quello straordinario
laboratorio dell’apprendimento ludico meglio noto come “Città dei Ragazzi”, a partire dalla “madre” di tutti
i progetti che sono poi seguiti - Mini-München (www.mini-muenchen.info) – la cui prima edizione risale al
1979 (la 15ª si terrà dal 3 al 22 agosto 2010 a Monaco/Olympia-Park/Event Arena) per non finire a MiniBZ,
la “Città dei Ragazzi” di Bolzano (http://minibz.vke.it) di cui ho organizzato la prima edizione nel 1990 e poi
le altre fino al 2005 (la storia prosegue: 2007, 2009 - decima edizione, nel giugno 2011 la prossima). Tutte
queste attività, idee, progetti hanno in comune una “filosofia”: per tutti i bambini del mondo fra zero e
undici/dodici anni il gioco è un diritto perché è il loro “lavoro”, il loro modo specifico per apprendere e
appropriarsi del mondo stesso; quando i bambini fra quattro/cinque e undici/dodici anni non hanno la
possibilità di giocare liberamente, senza la “sorveglianza” degli adulti, crescono con un “deficit”
incolmabile, perché quello che non si impara giocando a quell’età non si impara mai più: è perso; tutto ciò è
più che sufficiente per impegnarsi con tutte le proprie forze come lobby per bambini e ragazzi a favore del
diritto al gioco, anche e soprattutto nello spazio pubblico.
Lavoro di gruppo
Roberto Pompermaier, Grazia Bisonni
Con queste premesse mi sono accinto al coordinamento del gruppo di lavoro nel convegno. Il nostro
obiettivo (mio e di Grazia che ha collaborato con me, che ringrazio qui, ed a cui sono dovuti tutti i resoconti
verbalizzati di quanto avvenuto nel gruppo di lavoro) era duplice: verificare lo stato dell’arte in Italia
rispetto ai temi indicati - questo grazie alla “lente di ingrandimento” fornita dalle relazioni introduttive al
gruppo di lavoro e individuare un certo numero di questioni aperte su cui è assolutamente necessario
concentrare le idee, le proposte e le attività di tutti coloro che si occupano di gioco in Italia.
Per raggiungere quanto ci eravamo proposti abbiamo convenuto di utilizzare il metodo “open space”
(http://it.wikipedia.org/wiki/Open_Space_Technology ). Abbiamo chiesto ai cinque relatori di indicare -
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scrivendole su cartelli da affiggere ai muri della sala - al gruppo, in plenaria e in massimo tre minuti, quali
erano le questioni “brucianti”, quelle che stavano loro più “a cuore” fra quelle affrontate nella loro
relazione:
Stefano Oletto: sono un architetto, di formazione, quindi in questa sede ho un punto di vista
probabilmente un po’ diverso. Da alcuni anni porto avanti un dottorato di ricerca su una serie di laboratori
di architettura con i bambini. Questo è un lavoro pratico che pone come condizione l’utilizzo di materiali
edili reali, di strumenti di lavoro reali, quindi materiali e strumenti di lavoro propri degli adulti; è un gioco e,
come nel gioco, ci sono delle regole che vengono sempre enunciate all’inizio, c’è un fine funzionale e
pratico che va raggiunto, c’è un test finale che verifica il funzionamento di questi prodotti che vengono
costruiti e, ovviamente, delle osservazioni che poi io riutilizzo per rinnovare questi giochi e inventarne di
nuovi.
Ascoltando le relazioni che sono state fatte in questi due giorni mi sono convinto dell’emergenza di un
tema che riguarda il rapporto tra gioco e lavoro, mi sembra di vedere una certa contrapposizione tra queste
due categorie, e quasi un’accezione positiva da una parte e negativa dall’altra. Questo vorrei approfondire
con voi, con chi vuole discutere di questo argomento.
Paolo Munini: attualmente sono referente del Dipartimento Politiche educative e culturali del
Comune di Udine. La proposta che io faccio è un po’ particolare: vorrei parlare della “festa del ”. Cosa
c’entra con il tema del gruppo? Non lo so, sicuramente è una bella avventura occuparsi della matematica in
maniera giocosa, di quello che può essere la matematica ricreativa. Vi propongo tre quesiti matematici di
cui non darò la soluzione, per cui, se volete conoscere la risposta di questi quesiti dovrete venire nel mio
gruppo.
Michele Segreto: mi occupo dell’Ufficio stampa della Federazione Italiana dell’hit ball. Il motivo per
cui sono qui rispecchia un po’ la domanda che sempre tutti si pongono: che cos’è l’hit ball? La problematica
è proprio quella della scarsa visibilità pubblica, soprattutto a livello istituzionale e mediatico, degli sport
minori, e non parlo di sport minori poco praticati ma proprio di quegli sport che hanno un seguito.
Questa scarsa visibilità, secondo me, può contribuire a determinare quella che è attualmente l’immagine
dello sport in generale per molte persone, e cioè soprattutto antagonismo, collezione di medaglie e cose
simili, dimenticando l’aspetto educativo dello sport, l’etica, quello che riguarda anche l’insegnamento di
valori ai ragazzi attraverso lo sport. Appunto in quest’ottica l’hit ball è uno sport che nasce proprio per i
ragazzi, è uno sport che nasce e viene praticato nelle scuole.
Loretta Fabiani: se si tocca la parola sport mi sento sempre chiamata in causa. Sono un’insegnante
di educazione fisica, sono laureata in Scienze motorie, da tanti anni mi occupo di formazione e consulenza
per le attività motorie e sportive, in particolar modo per la scuola dell’infanzia e primaria, in modo specifico
sono docente formatore CONI per l’area metodologia e didattica dell’insegnamento. Come si può
immaginare mi occupo di attività sportiva vista soprattutto con finalità educative e quindi anche come
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strumento giocoso, in particolar modo me ne sono occupata nell’ambito di attività di gioco-sport ad
esempio nel calcio.
I discorsi che sono stati sollecitati nell’incontro di ieri, in parte a parer mio anche in modo provocatorio,
evidenziano una contrapposizione fra ambito educativo e ambito di divertimento dei bambini. “Io imparo,
ma imparo molto di più se mi diverto”: questa è un’affermazione di cui sono fermamente convinta e quindi
mi farebbe davvero piacere confrontarmi con voi su questo binomio sport e gioco, in un ambito di
approfondimento, se volete, nel settore più critico, ma fertile, cioè quello delle attività scolastiche.
Roberto Lattini: sono modellista. Con Amilcare Acerbi abbiamo inventato un gioco con le scuole
medie di Caorso “Storie di fiume”. L’intervento comprende quattro fasi: partendo da un laboratorio di
modellismo all’interno della scuola, con la costruzione di un’imbarcazione e l’invenzione di un racconto,
prevede poi una fase di esplorazione del territorio che è situato sulla confluenza di tre fiumi (a piedi, in
bicicletta, con il battello…), per individuare elementi interessanti dell’ambiente, fotografarli e riprodurli
successivamente in un plastico, procurandosi contemporaneamente materiali naturali necessari per la
realizzazione del progetto.
Se vi piace questo è il mio argomento, il discorso che porto avanti nella scuola media per invogliarla a
metodi nuovi, che poi sono quelli dell’insegnamento delle “applicazioni tecniche”, che un tempo prevedeva
esperimenti reali e creazioni pratiche e che oggi invece si svolge solo in maniera teorica con fotocopie.
Le/i partecipanti al gruppo - in base a quanto era stato visualizzato - hanno poi raggiunto i relatori nel luogo
da loro precedentemente indicato. Nella seconda fase i sotto gruppi hanno approfondito le questioni
brucianti indicate inizialmente e dopo circa un’ora hanno riportato in plenaria le questioni che volevano
sottoporre alla discussione:
Paolo Munini: noi abbiamo lavorato sul tema proposto, intanto risolvendo i quesiti posti nel gruppo
iniziale, quindi abbiamo cercato di analizzare i meccanismi sottesi a quella che possiamo definire la
matematica ricreativa, prendendo in considerazione quei giochi sotto forma di rompicapi, paradossi, ecc.,
che appartengono alla sfera creativa.
Riprendendo le osservazioni iniziali della mattinata abbiamo condiviso l’idea che è una buona cosa uscire
dagli schemi, quindi usare un diverso punto di vista e anche utilizzare l’aspetto ludico; è forse la
metodologia più interessante per favorire un pensiero divergente, riteniamo anche che sia una qualità
necessaria per risolvere problemi di tipo matematico o comunque trovare soluzioni innovative.
Abbiamo ritenuto il gioco una metodologia corretta proprio nel momento in cui è veramente gioco, quindi
libero e volontario, non imposto e che potrebbe esserci un rischio di insuccesso in un contesto troppo
scolastico. Abbiamo convenuto quindi che il contesto è molto importante: per sviluppare questo tipo di
attività ci vuole un contesto non giudicante, come condizione essenziale perché questa attività venga
portata avanti con successo.
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Abbiamo anche ritenuto che ci debba essere la condizione per mettersi in gioco, quindi la volontà di
rischiare e di affrontare delle cose che escono dalle situazioni normali, che si discostano quindi proprio
dagli schemi. Ovviamente il punto di partenza era la “festa del ” per il fatto di utilizzare dei giochi propri
della matematica ricreativa, in cui abbiamo individuato e sottolineato l’aspetto ludico e l’aspetto del gioco
inteso anche come intrattenimento di molti.
Roberto Lattini: partendo da quello che era il progetto che ho presentato e la mia esperienza nella
scuola media di Caorso, abbiamo evidenziato le problematiche urgenti da sottoporre all’attenzione di tutti:
- la necessità di recuperare la manualità, la mobilità e il rapporto con la natura;
- il bisogno di recuperare lo spazio di gioco e di costruzione nella scuola attraverso le attività tecniche;
- il problema della sedentarietà dei ragazzi a scuola.
Stefano Oletto: mi collego direttamente a questo discorso nel senso che il nostro tema era quello
del lavoro, del rapporto gioco/lavoro, lavoro inteso come attività manuale.
Noi abbiamo individuato due filoni di discussione da approfondire:
il primo riguarda la sicurezza: siamo partiti parlando dei problemi della sicurezza, dagli spigoli vivi ai limiti
cui spesso gli operatori della scuola sono sottoposti, al crescente atteggiamento di diffidenza da parte delle
famiglie nei confronti delle istituzioni, e di come questo abbia innescato sempre di più un circolo vizioso per
il quale gli spazi deputati all’animazione sono sempre più rigidamente controllati, sono sempre più sicuri, i
bambini sempre più protetti.
I giocattoli, i giochi, tutto tende verso una direzione che è quella di una sicurezza totale; così come gli edifici
sono controllati in maniera molto sicura, i giochi sono molto sicuri e questo comporta avere dei giochi
sempre più preformati, freddi, in cui la creatività è ridotta, in cui tutta la giocabilità è differente, vincolata.
Quindi ci siamo chiesti: che fare in questa spirale di attenzione e di apprensione sempre maggiore? Una
risposta interessante è far partecipare i genitori, quindi creare una specie di percorso di comprensione
reciproca all’interno della scuola, sottolineando anche l’importanza fondamentale dell’aggiornamento degli
insegnanti e dell’educazione alla relazione.
Poi abbiamo ragionato sul prodotto del lavoro e sul percorso che si intraprende quando si fa un lavoro
manuale: il fine è qualcosa cui si tende e l’obiettivo finale del lavoro è parte del processo creativo, del
percorso del lavoro di gruppo, inteso come gioco sociale. Questo ci ha portato a discutere di un altro
problema secondo noi assolutamente fondamentale, che è la separazione fra le attività manuali e le attività
intellettuali, ovvero su come il gioco sia sempre immaginato come un’attività ricreativa e, anche quando
consideriamo servizi come la ludoteca o le attività di laboratorio, tendiamo a rafforzare l’idea che ci sia
un’attività più impegnata a scuola, e poi in secondo piano, un momento più di ricreazione, “liberi tutti”, per
le attività manuali, di costruzione e di animazione.
Secondo noi andrebbe ricavato uno spazio:
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1) all’interno della città, quindi in collegamento con quel mondo adulto e quel mondo del lavoro a cui
facevamo riferimento prima, un collegamento tra mondo adulto e mondo infantile;
2) all’interno della scuola, proprio per cercare di sanare questa frattura che si vede, tra quello che è gioco,
momento libero e ricreativo, e le attività serie, impegnative, per cercare di raggiungere una parificazione
tra attività manuali e attività intellettuali.
Loretta Fabiani: il nostro gruppo, al quale va il mio personale ringraziamento, è stato un gruppo
molto attivo e la discussione che è emersa è stata davvero interessante. Condividevamo questo “peso sullo
stomaco” per via del fatto che gioco e sport sembrano spesso viaggiare su due mondi solo paralleli e,
invece, ci siamo confrontati ed abbiamo constatato che sono due mondi assolutamente vicini; per precisare
tale concetto successivamente abbiamo delineato gli aspetti più importanti osservandoli dal punto di vista
della relazione, in particolare il gruppo l’ha legata all’ambito calcistico. Abbiamo scelto questo ambiente
proprio perché, per molti componenti del gruppo, sembrava la situazione più esasperata rispetto a quella
vista in altri sport, in quanto mette in gioco aspettative più forti.
Il gruppo ha sottolineato come, per prima cosa, quando si parla di sport con i bambini e i ragazzi si
dovrebbe puntare soprattutto all’impegno e alla realizzazione all’interno di una proposta e non puntare
solamente alla prestazione e al raggiungimento del risultato, visto in termini di vittoria o di sconfitta. È
un’ottica molto importante verso la quale si dirige la preparazione degli allenatori e dei tecnici in questo
settore.
Un altro aspetto comune tra gioco e sport, che sottolineiamo, è il divertimento e non l’addestramento, che
è invece connotato come una cosa noiosa e pesante. Abbiamo poi valutato in maniera positiva l’agonismo
inteso come “mi misuro con me stesso, con i miei limiti e mi misuro con l’altro” dove la lettura del limite e
delle possibilità non è solo riferita a se stessi, ma anche a chi gioca con me.
L’agonismo crea un contesto più stimolante per la partecipazione, ma per viverlo bene è necessario
lavorare su un altro importante aspetto: imparare ad accettare la sconfitta, imparare a superare la
frustrazione e a cercare delle strategie che sollecitino la motivazione ad apprendere, anche nel gioco.
Ci siamo infine interrogati sull’importanza della collaborazione fra i servizi e le famiglie, sia per quanto
riguarda l’ambiente scolastico sia per quanto riguarda le società sportive.
Michele Segreto: si può dire che abbiamo trovato molti punti in comune nel valutare alcune scelte
in senso educativo. Noi abbiamo preso in considerazione come i ragazzi vedono lo sport e abbiamo fatto
alcune ipotesi su come lo stesso vede l’allenatore. Quindi abbiamo affrontato l’argomento “come si gioca
uno sport”, le linee fondamentali che servono per capire il vero spirito di uno sport, concordando
sull’importanza di riscoprire come si gioca nello sport e di una presa di coscienza degli allenatori come
educatori.
Tutto questo mette in evidenza un altro aspetto importante, e cioè che il divertimento è nel processo, nel
percorso e non nel risultato finale, e ci riconduce a quello che era il tema iniziale dell’importanza di dare
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maggiore visibilità agli sport minori e di sottolineare e pubblicizzare il divertimento nello sport. Questo
potrebbe comportare una presa di coscienza da parte delle istituzioni stesse nel dare più spazio a tutti gli
sport e un’attenzione per lo sport a 360 gradi, garantendo così una reale possibilità di scelta ai ragazzi.
A conclusione delle presentazioni, la decisione su quali delle questioni approfondire ulteriormente insieme
è stata presa a maggioranza dalla plenaria stessa: ognuna/o aveva tre voti da assegnare (insieme o separati)
ad una, due o tre delle questioni emerse dalla discussione dei piccoli gruppi. La discussione è così
proseguita sui seguenti temi:
1. Recupero della mobilità, della manualità e del rapporto con la natura
2. Uscire dagli schemi
3. Presa di coscienza degli allenatori come educatori.
Nel corso dei seguenti sessanta minuti insieme si è definito su quali temi è assolutamente necessario
concentrare le idee, le proposte e le attività di tutti coloro che si occupano di gioco in Italia, da presentare
in plenaria.
1. Il gioco e le attività motorie e sportive
Loretta Fabiani41
Il gioco è una delle attività che attraversa tutte le fasi e le età della vita di un individuo, mutando di volta in
volta le modalità e gli obiettivi con i quali viene svolta. Riconosciuto come fondamentale per lo sviluppo
integrale del bambino, e per questo eletto come momento privilegiato della didattica, il gioco è un’attività
che produce esperienze significative ed è pertanto una fonte di apprendimento insostituibile che
accompagna la crescita della persona.
Il gioco ha una profonda funzione educativa perché tocca e investe il profondo dell’esperienza umana e si
radica nei più specifici bisogni della persona: è il denominatore comune dell’apprendimento e del
benessere del bambino e dell’adolescente.
Il gioco riveste un ruolo unico e determinante: garantisce a chi insegna la realizzazione di un
apprendimento duraturo, che si consolida proprio in azioni di tipo motorio, ed assicura a chi impara
l’opportunità di “imparare divertendosi”.
Con il gioco si può strutturare una serie illimitata di proposte didattiche ed educative, per stabilire le
migliori condizioni di partenza per lo sviluppo di capacità motorie e soprattutto per la realizzazione di un
percorso didattico mirato ed efficace, che possa realizzarsi rispettando le capacità e i tempi di ciascuno.
41
Docente di Educazione fisica - Laureata in Scienze motorie e sportive - Docente Formatore di Metodologia dell’insegnamento sportivo della Scuola regionale dello sport del Piemonte - CONI- Formatore nazionale della FIGC - Esperta nei processi educativi in adolescenza e nella gestione delle difficoltà di relazione, di integrazione culturale e di apprendimento.
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L’Educazione motoria, nelle sue molteplici proposte ludiche, consente di veicolare concetti, esperienze,
significati, di attivare processi mentali che in modo astratto sarebbero acquisiti in tempi molto più lunghi o
a volte non lo sarebbero affatto.
Per queste ragioni il gioco è considerato un punto focale dell’apprendimento: è un linguaggio capace di
dare espressione all’affettività, all’emotività e a tutte le espressioni spontanee dei bambini, offrendo ai
docenti l’opportunità di vederle in azione, di capirle, di valutarle e, se necessario, di contenerle o di
alimentarle.
Anche la dimensione sociale può essere positivamente coinvolta dalle attività di gioco e di sport,
soprattutto con i ragazzi preadolescenti ed adolescenti: buona parte delle attività ludiche e sportive si
realizzano in gruppo, pongono delle sfide, aprono allo scambio, al confronto diretto tra pari. Ciò che
caratterizza questo genere di attività sono dunque la relazione e la comunicazione, perché il linguaggio è
molto significativo, non solo da un punto di vista verbale e corporeo, ma soprattutto quando si lega al
vissuto.
Fondamentale, quindi, il carattere di mediatore sociale che il gioco assume là dove riesce a stemperare, ad
attenuare le tensioni, a scaricare l’aggressività e a potenziare invece la relazione con l’altro, con il
compagno di squadra, con l’avversario e a divenire strumento di forte integrazione.
Il confronto nel lavoro di gruppo
Nel gruppo di lavoro proposto dai conduttori Roberto Pompermaier e Grazia Bisonni, il mio intervento è
stato quello di condurre uno dei sottogruppi sul tema del gioco e dello sport.
L’obiettivo che c’era stato assegnato era quello di aprire un dialogo ed un confronto su questa specifica
domanda: gioco e sport sono mondi ancora vicini?
Il gruppo, dopo aver espresso le motivazioni alla scelta di questo sottogruppo, è partito dalla riflessione che
il gioco è una delle attività che attraversa tutte le fasi della vita di un individuo, mutando di volta in volta le
modalità e gli obiettivi con i quali viene svolta. Riconosciuto come fondamentale per lo sviluppo integrale
del bambino, e per questo eletto come momento privilegiato della didattica, il gioco è un’attività che
produce esperienze significative ed è pertanto una fonte di apprendimento insostituibile che accompagna
la crescita della persona. Quindi giocare garantisce a chi insegna la realizzazione di un apprendimento
duraturo, che si consolida soprattutto in azioni di tipo motorio, ed assicura a chi impara l’opportunità di
“imparare divertendosi”.
Il gruppo ha sottolineato un punto cruciale: le attività sportive per i bambini dovrebbero puntare
all’impegno e non al risultato, quindi vertere sul compito e non sulla prestazione.
81
Sostenere l’impegno nel gioco, soprattutto nelle sport, favorisce la spinta motivazionale e appoggia le
scelte del bambino nei momenti critici: gli permette di vedere oltre la sconfitta del momento, gli offre la
possibilità di riprovare e di ritentare altre esperienze.
Il gruppo ha puntato il dito sulla parola AGONISMO che potrebbe segnare l’allontanamento dello sport dal
gioco ma, dal confronto costruttivo e dall’intervento di molti partecipanti, è emersa una riflessione
importante: l’agonismo, distribuito nello sport in “buone dosi”, diventa positivo e significativo, perché
connotato come sfida e confronto con l’altro, come modalità per mettersi in gioco definisce i limiti e le
capacità di ciascuno, in un’ottica di confronto spontaneo, pertanto leale e mai esasperato.
Per questa ragione si è sottolineato il concetto che nell’ambito educativo, in quello sportivo e in quello
esclusivamente ludico è importante che si stabilisca un filo conduttore comune che passi dal gioco allo sport
attraverso la valorizzazione degli aspetti emotivi, affettivi e relazionali.
Ciascun componente del gruppo ha voluto rimarcare il concetto di vicinanza tra gioco e sport, anche
raccontando il proprio vissuto positivo nei confronti dell’attività sportiva che, nell’esperienza di ciascuno,
ha sempre avuto una sfumatura molto piacevole e molto positiva. Le esperienze motorie permettono a
ciascuno di noi di conoscere meglio se stessi, il proprio corpo, uno dei valori fondamentali nella crescita e
nell’educazione dei bambini è proprio lo sviluppo della corporeità, perché pone l’individuo in continua
relazione con l’ambiente e con gli altri.
Il gioco, che in palestra gradualmente e nei modi opportuni si trasforma in attività sportiva, permette di
attivare le strategie per conoscere se stessi, il contesto, per comunicare e per “diventare grandi”.
Parere del gruppo è che queste riflessioni attente e costruttive a volte rimangono solo nella teoria e non
sempre sono attivate in concreto da parte di chi opera nei differenti ambienti educativi, per superficialità o
per carenza di strumenti.
Il gioco e lo sport non sono mondi separati e lontani se, a cominciare dai contesti dove si educa, si riesce a
rendere sfumati i contorni tra il gioco e lo sport, attraverso proposte formative e didattiche che sappiano
valorizzare lo sviluppo del bambino sotto ogni punto di vista: emotivo, affettivo, relazionale e cognitivo.
La chiave del successo di un lavoro educativo che proceda in questa direzione sta proprio nella capacità di
“unire i due mondi” del gioco d e dello sport aprendo all’uno i valori dell’altro.
Per questa ragione la richiesta forte emersa dal gruppo è stata quella di incentivare ed aprire spazi di
confronto significativi tra chi insegna il gioco e chi insegna lo sport: tra educatori e allenatori, tra docenti e
istruttori, ed è proprio su quest’ultimo binomio che è nata spontaneamente la richiesta di progettare degli
spazi di formazione e informazione tra chi opera nelle ludoteche, nelle scuole dell’infanzia. È in queste
realtà educative che prende l’avvio il rapporto significativo che deve esserci tra gioco e sport perché l’uno
sia il punto di forza dell’altro, perché si possano stabilire le migliori condizioni di partenza per lo sviluppo di
capacità motorie e, soprattutto, per la realizzazione di un percorso didattico mirato ed efficace.
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Creare dei momenti di formazione “incrociata” tra figure educative del mondo dello sport e di quello del
gioco, tra la scuola che “insegna a giocare” e la palestra che “insegna a muoversi”, permetterebbe di creare
delle sinergie finalizzate a potenziare lo sviluppo di capacità cognitive, motorie, affettive e relazionali, nel
rispetto delle capacità e dei tempi di crescita e di sviluppo di ciascun bambino: che bella sfida educativa!
Le attività motorie, come le attività di gioco, nei loro molteplici aspetti consentono di veicolare valori,
concetti, esperienze, significati, di attivare processi mentali che in modo astratto sarebbero acquisiti in
tempi molto più lunghi o, a volte, non lo sarebbero affatto.
Per queste ragioni il gioco è considerato un punto focale dell’apprendimento e rimane in stretta
connessione con lo sport: è un linguaggio capace di dare espressione all’affettività, all’emotività e a tutte le
espressioni spontanee dei bambini, offrendo nel contempo ai docenti l’opportunità di vederle in azione, di
capirle, di valutarle e, se necessario, di contenerle o di alimentarle.
Anche la dimensione sociale può essere positivamente coinvolta dalle attività di gioco e di sport,
soprattutto con i ragazzi preadolescenti ed adolescenti: buona parte delle attività ludiche e sportive si
realizzano in gruppo, pongono delle sfide, aprono allo scambio, al confronto diretto tra pari.
La mia esperienza come docente e come formatore
La mia lunga esperienza personale come docente formatore nell’area delle attività motorie, ludiche e
sportive, in una fascia di età compresa tra i tre e i diciotto anni, conferma pienamente il valore insostituibile
delle attività di movimento e di sport nella crescita e nello sviluppo di un soggetto. Ma tale sviluppo vede la
sua migliore e più efficace realizzazione se legato strettamente al gioco. Il gioco diventa non solo uno
strumento per condurre e gestire attività motorie, ma si trasforma in parte integrante dell’attività. Il gioco
insegna il limite dato dalla regola, il rispetto degli altri, permette la definizione dello spazio e del tempo
nelle azioni da svolgere, fissa gli obiettivi e stabilisce i contenuti delle proposte educative: è un alleato
insostituibile della didattica e dei processi di apprendimento. Il gioco si inserisce nello sport e lo sport si
inserisce nel gioco e ciò potrà succedere ogni volta che un bambino potrà accedervi in qualsiasi momento,
potrà divertirsi nel raggiungimento di un obiettivo, potrà imparare e crescere insieme agli altri.
Per questa ragione quando mi occupo di Formazione, ad esempio con gli allenatori delle diverse
Federazioni, insisto che la metodologia dell’Insegnamento preveda, soprattutto per i bambini, una
metodologia a carattere ludico, far “vivere” lo sport ai bambini, farli avvicinare a questa ricca e meravigliosa
esperienza attraverso proposte ludico-motorie può valorizzare molto gli interventi che gli allenatori
saranno chiamati a fare.
Persino l’esperienza come docente di educazione fisica da diversi anni, mi ha insegnato che anche gli
adolescenti imparano di più e con maggior motivazione se spinti ad affrontare le attività sportive anche con
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delle sfumature di sfida, di gara non sempre legata alla sola prestazione, ma soprattutto connessa alla
gratificazione ed al divertimento che nasce dal confronto con l’avversario.
Anche l’aspetto dello sviluppo cognitivo risente positivamente dell’interazione tra attività motorie ed
attività ludiche, perché nei bambini come negli adolescenti, la necessità di risolvere problemi, di trovare
strategie, di mettere alla prova non solo le proprie abilità, ma anche la creatività e l’originalità delle proprie
scelte, porta a stimolare lo sviluppo non solo del corpo, ma soprattutto della mente.
Personalmente credo molto nella mia scelta come Formatore, perché penso che sia molto importante
stimolare, aggiornare, “formare” i docenti, gli allenatori, gli educatori e tutti coloro che a titolo diverso si
occupano di Educazione, perché si possono conoscere ed imparare delle strategie, delle metodologie di
lavoro davvero molto importanti nell’ambito dell’apprendimento.
Nella mia esperienza ho avuto l’occasione anche di insegnare una lingua straniera (l’Inglese) in una scuola
dell’infanzia e ho scelto di farlo proprio attraverso le attività di gioco e di movimento e l’esperienza ha
avuto un grande successo, ha coinvolto moltissimo non solo i bambini, ma anche i loro insegnanti, che
hanno avuto modo di vedere e confrontarsi con una metodologia diversa da quelle usuali.
Conclusioni
Il gioco e lo sport sono due mondi molto vicini, così vicini che spesso si intersecano.
Sono due mondi che si possono fondere uno nell’altro se parliamo di sport che EDUCA, se consideriamo il
gioco nei suoi aspetti educativi e formativi, nelle sue implicite caratteristiche motivazionali.
Il gioco e lo sport non saranno mai mondi separati se concederanno ad ogni bambino la possibilità di
esprimere al massimo il proprio potenziale, come scrisse Vygotskij “il gioco è una fonte di sviluppo
potenziale, nel gioco il bambino è sempre al di sopra del suo abituale comportamento quotidiano, nel gioco
egli è in qualche modo una testa più alto di se stesso”.
George Bernard Shaw scrisse
“Noi non smettiamo di giocare perché diventiamo grandi;
noi diventiamo grandi perché smettiamo di giocare”
84
2. Uno sport per tutti: l’Hit Ball
Michele Segreto42
Dal 1978 ad oggi abbiamo lavorato nel settore sportivo scolastico ed associazionistico mantenendo come
principio ispiratore di tutte le nostre iniziative la ferma volontà di educare attraverso lo sport.
Non sta a noi giudicare se siamo riusciti o meno nell’intento e l’eventuale bontà e valenza del nostro
operato ma di sicuro confidiamo di poter dare legittimamente il nostro contributo di idee e proposte in
virtù dell’esperienza maturata, delle competenze acquisite e delle opinioni maturate dal nostro
personalissimo osservatorio sportivo e culturale.
L’hit ball trae le sue origini da un progetto sperimentale scolastico, iniziato nel corso dell’anno scolastico
1978/1979 presso il locale interrato adibito a palestra della scuola media statale Gramsci di Settimo
Torinese.
L’attività ludico motoria che ha originato il progetto si chiamava allora “baraonda” (sì, proprio come la
società sportiva affiliata di Chieri militante in A2). La baraonda era una variante del calcio svedese (più
conosciuto come calcio seduto), attività ludico-motoria utilizzata per il potenziamento degli arti superiori
con spostamenti in quadrupedia.
Squadre già separate all’epoca con i tre difensori in ginocchio sui tappeti e gli attaccanti seduti e/o in
quadrupedia. Pallone sempre colpito o respinto con tuffi in difesa e colpi prevalentemente con le mani in
difesa e con mani e piedi in attacco. Pareti che già allora facevano parte integrante del campo di gioco
sostituendo le linee laterali e consentendo la continuità del gioco. Nel dicembre del 1978 i giocatori
recuperarono la stazione eretta e da allora è ufficialmente nato il nostro sport.
Luigi Gigante, insegnante di educazione fisica torinese, cominciò la sperimentazione (1981-1985) e nel 1986
depositò alla SIAE una pubblicazione con il regolamento di gioco. Successivamente vennero depositati i
brevetti relativi all’attrezzatura di gioco e agli impianti gioco (strutture fisse e gonfiabili). Dal 1987 al 1992
l’hit ball venne presentato nella maggior parte delle scuole di ogni ordine e grado della provincia di Torino.
L’iniziativa raccolse consensi da parte degli studenti e dei professori. Nel 1989 venne costituita la prima
società sportiva che iniziò l’attività di avviamento alla pratica agonistica. Da questa nacquero le prime
squadre giovanili (Prima Promo, Absolute Beginners, ecc.). Nel 1991 venne organizzato a Torino il primo
campionato, al quale parteciparono quattro squadre con vittoria della formazione dell’Hit Ball Somme
guidata dal professore Silvio Benati presso la Scuola Sommelier. Il 26 marzo 1992 si costituì a Torino la
Federazione Italiana Hit Ball che, da allora, ha regolarmente organizzato edizioni annuali dei Campionati
Italiani e dei Giochi Sportivi Studenteschi.
42
Rappresentante della Federazione Italiana Hit Ball.
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Nato nella scuola per la scuola, ha avuto un notevole successo nella provincia di origine anche in ambito
extra-scolastico, grazie alle numerose iniziative della Federazione Italiana Hit Ball, per poi diffondersi in
altre regioni. Attualmente si sta diffondendo in Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Valle d’Aosta e sta
varcando i confini nazionali facendosi conoscere e apprezzare come sport made in Italy (dal sito ufficiale
della FIHB, www.hitball.it).
Con un certo orgoglio abbiamo spesso posto in evidenza le origini nazionali della nostra disciplina, pur
senza pretendere condizioni di favore ma solamente pari dignità e pari opportunità, che spesso ci sono
state negate. Il quadro che emerge è a tinte purtroppo prevalentemente scure.
L’educazione attraverso lo sport e la cultura sportiva nel nostro Paese, a mio parere, sono temi poco
dibattuti e poco considerati. In seguito ad una prima sommaria e superficiale analisi della questione si
potrebbe chiudere il discorso dicendo che ci sono argomenti e priorità più importanti per i cittadini e per le
famiglie. Questa considerazione, soprattutto in tempi di crisi come i nostri, è sicuramente vera, per
esempio temi come la sanità e la salute pubblica, il lavoro, le infrastrutture pubbliche ecc.. Ma, ancora una
volta, come spesso accade l’apparenza inganna e proveremo a dimostrarlo. Nel nostro Paese la sanità è un
pozzo senza fondo e un business per una casta e un gruppo di potere. L’interesse dominante non è quello
della salute degli utenti ma, spesso, quello prevalente della “filiera della salute” (dai produttori di medicine
ai medici fino ai dirigenti). Ciò è sotto gli occhi di tutti, ormai accertato e comprovato dai sempre più
numerosi casi accertati.
Nelle azioni di prevenzione l’attività motoria e sportiva non solo non è adeguatamente sostenuta, ma
appare deliberatamente e paradossalmente esclusa come strategia di prevenzione, a favore della vendita
delle medicine che è vista come unica soluzione.
In un Paese in cui l’obesità infantile è un problema molto serio (peggio di noi soltanto la Grecia in Europa,
dato che non ci fa certamente onore e in ogni caso non è un indicatore di qualità delle Amministrazioni
pubbliche e, più in generale, della nostra Nazionale), al punto da risultare una vera e propria emergenza.
Senza considerare poi la principale causa di mortalità in Italia: le malattie cardiocircolatorie. Da anni si
attende un’inversione di tendenza ma le specifiche di bilancio alla voce Sanità e alla voce Prevenzione
(anche e soprattutto spese per attività ludico-motorie e sportive in ambito scolastico e associazionistico)
continuano ad andare nella direzione sbagliata…
Un altro pozzo senza fondo nel nostro Paese è la “filiera del cemento” e delle costruzioni pubbliche e
private e delle infrastrutture. Apparentemente lo sport non c’entra e invece anche qui mi permetto di
dissentire.
Prima di tutto perché anche i pochi impianti sportivi che vengono costruiti sono progettati per rispondere
alle esigenze dei costruttori e non alle reali necessità dei cittadini, con logiche molto discutibili e ciò appare
evidente dagli esempi delle cosiddette “cattedrali nel deserto”, strutture che vengono costruite ma che
restano troppo spesso inutilizzate o sottoutilizzate.
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Gli amministratori potrebbero almeno “sfruttare” maggiormente il loro potere in termini di scambio,
quando concedono permessi edilizi alle ditte costruttrici, per favorire la restituzione alla cittadinanza e in
particolare alle nuove generazioni (private del gioco libero ormai da anni) di impianti sportivi di grandi
dimensioni e di aree gioco polivalenti e giardini pubblici, mentre ci si accontenta troppo spesso di aree di
piccola superficie e di conseguente utilità pubblica limitata.
Nel nostro Paese c’è poi un’altra caratteristica evidente nel settore sportivo, ossia il totale e incontrastato
dominio del calcio rispetto agli altri sport (aspetto che ci distingue ancora una volta da molti altri Paesi
d’Europa). Una vera e propria tirannia e una vera e propria monocultura. Fin qui poco male. Si potrebbe
concludere la questione dicendo che si tratta di un dominio dovuto ai gusti del pubblico sovrano e che
quindi, democraticamente, occorre semplicemente prenderne atto. Peccato che il movimento sportivo
dominante nel nostro Paese abbia ormai abdicato rispetto al suo ruolo educativo e che quest’ultimo non sia
più neanche considerato, a favore del business a tutti i costi. Regole costantemente disattese e non
rispettate, truffe, inganni, scandali vari e assortiti, simulazioni, atteggiamenti aggressivi incontrollati,
provocazioni, falli sistematici, risse, gomitate, sputi, doping, tifo contro e violenza sugli spalti e fuori dagli
stadi sono quanto di peggio si può vedere sui campi di gioco.
Il tutto alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno si assuma delle responsabilità. Si assiste
al solito scaricabarile quando accade qualcosa di grave per poi ricominciare a peggiorare subito dopo, con
buona pace di tutti. L’aspetto peggiore di questa diseducazione di massa è che l’ambiente calcistico (tutti i
suoi protagonisti indistintamente, compresi i commentatori televisivi che potrebbero invece educare e
stigmatizzare non dovendo esser di parte) propone come “furbizia” e “esperienza” situazioni di mancato
rispetto delle regole (segnare con le mani, falli tattici, simulazioni), facendo passare per furbi coloro che
non rispettano le regole e per fessi coloro che invece le regole del gioco si ostinano a rispettarle nonostante
tutto e chissà mai perché…
L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Il calcio “oppio dei popoli” è stato oggetto e argomento di studi e di
numerose pubblicazioni e gli studiosi concordano nel ritenere tipico di società poco evolute avere un
passatempo nazionale capace di distrarre il popolino rispetto a temi più importanti, che così passano in
secondo piano. Siccome abbiamo dichiarato guerra all’ipocrisia e alla rassegnazione concludiamo dicendo
che la partitocrazia ha fatto il suo tempo, con le sue logiche di consenso, di appartenenza e di clientela. I
cittadini eletti devono dare chiara prova di discontinuità rispetto ad un passato assai discutibile e devono
distinguersi invece dando prova di voler mettere al centro la Costituzione, la meritocrazia, il comune
interesse e la pubblica utilità. Ripartire dalla scuola, dall’educazione alla cittadinanza e alla partecipazione
alla vita “veramente” democratica del nostro Paese anche attraverso lo sport.
Lo sport è cultura e in altri Paesi questo è un dato di fatto consolidato e indiscusso (vedi centri culturali
francesi che comprendono piscine e palestre), mentre da noi c’è un ritardo culturale da colmare nella
Unione europea, che mette per fortuna a nudo ritardi, differenze e manchevolezze varie, in una
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competizione virtuosa che può essere la nostra salvezza se sapremo essere pienamente consapevoli e
sufficientemente umili nei prossimi anni.
Tra l’altro è ormai dimostrato (vedi contributi offerti con successo in ambito aziendale e industriale da
parte di dirigenti sportivi di chiara fama come Velasco e Montali) che le dinamiche di gruppo e di squadra,
sperimentate con successo in ambito sportivo, possono dare ottimi risultati anche nell’ambito dei gruppi di
lavoro di altra natura (industria, marketing, ecc.). È arrivato il momento di trasferire queste esperienze di
gestione dallo sport di squadra cosiddetto “minore” ai tavoli amministrativi pubblici, partendo dal più
piccolo comune o quartiere fino ad arrivare al Parlamento, per rimettere al centro l’interesse di tutti a
danno del profitto prevalente di piccoli gruppi di potere in lotta e/o in combutta tra di loro.
Un altro motivo di ottimismo e di speranza è indubbiamente il lavoro sempre più incisivo, proficuo e utile,
del mondo associazionistico (laboratori di quartiere, comitati, cooperative sociali, associazioni sportive e
culturali, ecc.) che si spera in futuro possano avere sempre maggiore potere, in modo da favorire la
partecipazione dei cittadini e in modo da contrastare ulteriormente il meccanismo di delega illimitata ai
partiti.
3. Libertà d’azione, sicurezza e responsabilità personale
Stefano Oletto43
La profonda trasformazione socio-culturale del nostro paese avviata nel secondo dopoguerra coinvolse la
sfera dell’educazione in modo fisiologico e naturale, accompagnando la trasformazione dello stile di vita
delle masse inurbate. Questa graduale trasformazione coinvolge naturalmente la cultura dell’infanzia ed il
modo di concepire la fanciullezza e l’esperienza ludica, ed è una tendenza che perdura tuttora.
La fanciullezza era considerata una fase provvisoria nel percorso di realizzazione di un individuo, e per
questa ragione il gioco fu a lungo considerato poco meritevole di attenzione di per se stesso e tanto meno
in funzione educativa.
Oggi la società tributa quasi una fissazione per il gioco in termini generali e più specificamente per il
giocattolo (specie per le sue ramificazioni nel sistema dell’entertainment) ed in generale coltiva una
specificità dell’offerta che un tempo era sconosciuta alle masse.
L’attenzione nei confronti dell’esperienza ludica ha quindi conosciuto una notevole implementazione sia in
termini di impegno sia in termini di spesa da parte delle famiglie. Non è banale stabilire se questo maggiore
investimento contribuisca ad un effettivo incremento della qualità del gioco. Perché non è soltanto
l’applicazione nel gioco e l’uso dell’intrattenimento a creare automaticamente una occasione di gioco e di
43
Architetto, Dottore di ricerca in Teoria e costruzione dell’architettura - Politecnico di Torino.
88
crescita, ma anche il contesto familiare entro il quale i bambini esprimono da soli od in gruppo la loro
attitudine ludica.
Una condizione di minor sensibilità ed attenzione (iperprotettività) degli adulti nei confronti dell’attività
ludica si accompagna ad uno stimolo alla auto-organizzazione del tempo e delle modalità del gioco da parte
dei piccoli. È una riflessione su cui possiamo operare interessanti comparazioni tra famiglie italiane ed
immigrate, che sembrano concedere un più ampio campo d’azione ed una maggiore libertà di aggregazione
in virtù di una diversa presenza degli adulti. In questo quadro anche il giocattolo come oggetto preformato
(progettato e standardizzato) lascia il posto agli oggetti ed alle situazioni disponibili nella realtà quotidiana:
Forzando un po’ la mano si può affermare che in mancanza di giocattoli è necessario giocare con la fantasia.
La categoria merceologica del giocattolo di massa - anche in funzione delle spinte emulative che provoca -
non può che agire in controtendenza rispetto a questo principio di auto-organizzazione.
Sicurezza
Dall’incremento tendenziale dei contenziosi relativi al problema della sicurezza delle strutture scolastiche
desumiamo un dato di crescente sensibilizzazione rispetto ai diritti ed alla tutela dell’infanzia. Da questo
deriva, a tutela del corpo insegnante, che l’attività ludica deve necessariamente essere sicura. Rimuovendo
per quanto possibile le occasioni di rischio.
Su questo fronte il giocattolo industriale rappresenta anche un ottimo investimento, essendo progettato e
testato per essere sicuro dal punto di vista infortunistico.
La responsabilità del rischio è dunque gradualmente spostata di soggetto in soggetto, con obiettivi che
hanno a che fare con necessità legali più che educative.
Tutto va quindi nella direzione di favorire un intrattenimento passivo (e facilmente inquadrabile dal punto
di vista legale) che eluda quelle componenti di imprevedibilità connaturate al gioco attivo e libero. La
contropartita di questo atteggiamento sta nella perdita dei valori educativi dell’esperienza diretta: quanto
più allontaniamo il verificarsi di un rischio tanto meno forniremo gli elementi per prepararsi a quella
situazione rischiosa. In questo senso occorre ragionare sulla necessità di una omeopatia del rischio:
sottoporre il bambino a situazioni di rischio controllato che consentano di rischiare in sicurezza (un
ossimoro?).
Nella nostra esperienza di laboratori di costruzione di architettura per l’infanzia un elemento che spesso si
presenta in tutta la sua forza è proprio il rapporto inestricabile tra sicurezza del gioco, imprevedibilità del
progetto, fatica nel lavoro e assunzione di responsabilità personale.
Occorre naturalmente un concreto sforzo organizzativo per considerare i rischi del lavoro di costruzione,
ma il risultato, dal punto di vista dei contenuti educativi, ripaga dello sforzo.
89
Questa pratica contiene diversi valori: la creazione di oggetti di grandi dimensioni, la loro permanenza nel
tempo e, per finire, l’utilizzo ludico dell’esito progettuale, ma l’aspetto che più di tutto affascina i bambini è
proprio la possibilità di utilizzare strumenti di lavoro reali confrontandosi - in tal modo - con il mondo degli
adulti. Per fare questo occorre insegnare il senso di responsabilità.
Il lavoro
La dimensione manuale del gioco-lavoro porta con sé un altro esito specifico: la risoluzione di una
dicotomia tra mondo adulto e bambino attraverso la pratica del lavoro.
Gli adulti proiettano nel mondo dei bambini valori verso cui sentono una particolare affezione e che
maggiormente si contrappongono a quelli che rappresentano la loro dimensione di adulti. Si vengono così a
creare due dimensioni in opposizione: da una parte si trovano i bambini e la presunta leggerezza del gioco;
dall’altra c’è l’adulto, con la seriosità del suo impegno nel lavoro.
Così, nell’ottica degli adulti, il gioco sublima e diventa necessariamente leggero, creativo, libero e senza
scopo. Quest’ottica va depurando il gioco da tutti i caratteri di cimento e di fatica, che in fondo gli sono
propri e connaturati. In realtà il gioco - specie quello di gruppo - è sempre un’esperienza regolata, in cui gli
attori si confrontano con ostacoli e difficoltà fittizie. I bambini fingono di essere adulti, si allenano mediante
il gioco alla condizione adulta, mettendo in scena dinamiche complesse. Se si potesse osservare in modo
disincantato alle dinamiche del gioco infantile si potrebbe forse riconsiderare questa rigida
contrapposizione: le due caratteristiche cui facevamo riferimento sopra (la difficoltà ed il rischio) sono due
componenti pervasive del lavoro e della vita sociale. Allenarsi a riconoscerle ed a cimentarsi con esse
significa costruire l’indipendenza e la responsabilità nell’individuo. Questo processo risulta tanto più utile
quanto più è impostato in modo omeopatico e graduale.
Il ruolo dell’adulto
“…la fantasia è come la marmellata, se la mangi con il cucchiaio ti senti male per il troppo zucchero, ma se
la metti in una fetta di pane è deliziosa, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane se no rimane
una cosa informe su cui non si può costruire niente!…” La riflessione di Italo Calvino è dunque molto
calzante alla dimensione della libertà nel gioco. Il gioco necessita di regole, sennò viene a mancare il make
believe tipico dell’astrazione ludica; è dunque importante non lasciare soli i bambini nel momento della
loro immedesimazione in una realtà fittizia. Questa affermazione è solo apparentemente in contraddizione
con quanto descritto all’inizio sul tema del gioco auto-organizzato: Il gioco deve essere inventato, rischiato,
effettuato lontano dal controllo degli adulti, in un luogo speciale in cui vigono regole speciali. L’adulto è
parte integrante di quelle che potrebbero essere definite le “condizioni al contorno” dell’esperienza ludica,
ovvero le regole, il luogo, la durata, gli strumenti ed i materiali. Come tale deve rivestire un ruolo di garante
90
senza eliminare del tutto le possibili fonti di rischio. L’approccio prescrittivo tenta di moderare il rischio e,
facendo ciò, conforma strettamente le modalità del gioco. Occorre pertanto proporre in alternativa un
metodo basato sulla responsabilità personale, che insegni ai bambini a sperimentare liberamente facendo
costantemente i conti con il rischio.
Spielraum - Room to play: un progetto per esemplificare.
La parola Spielraum indica lo spazio del gioco, ma anche la possibilità di giocare. Raum significa spazio,
stanza, buca, vano. Lo spazio del gioco è un luogo dove adulti e bambini si incontrano per realizzare dei
progetti. La nostra proposta consiste in un ciclo di laboratori di costruzione con i bambini.
Presupposti e Finalità - Un bambino creativo diventerà un adulto, una persona libera, una persona
pericolosa (Bruno Munari)
Questo progetto nasce come una ricerca di dottorato su una metodologia per la progettazione partecipata.
Il metodo impiegato in tale ricerca fa riferimento alla pratica della ricerca-azione, ed ha pertanto una
connotazione sperimentale. Tematiche e finalità del progetto compongono un insieme non scindibile di
azioni ed osservazioni.
Il termine progettazione è inteso nell’accezione più ampia, nell’accezione del termine anglosassone design
riferito in generale al fare, creare, immaginare, costruire e trasformare.
Il mezzo per raggiungere questo scopo è l’invenzione di una serie di giochi di costruzione da mettere in atto
con bambini. Tale esperienza ludica diviene un modo per decodificare e trasformare l’ambiente costruito,
imparare gli strumenti del progetto, esercitarsi in un lavoro di squadra e realizzare esperienze formative
giocando.
Il territorio e la democrazia
L’architettura e l’ambiente costruito sono il quadro di riferimento per tutte le attività umane. L’ambiente
costruito è a tutti gli effetti la più evidente espressione del sistema culturale, sociale, istituzionale,
economico e simbolico di una collettività. Ciò accade perché l’ambiente costruito subisce la modellazione
lenta e continua dei suoi attori socio - economici e ne influenza a sua volta le scelte e le inclinazioni in
maniera inevitabile. Il territorio italiano rappresenta un esempio pervasivo di antropizzazione, essendo un
continuum inestricabile di infrastrutture e paesaggio.
Secondo le linee guida del congresso mondiale degli architetti per l’educazione all’ambiente costruito44 la
creazione dell’architettura è un esercizio di immaginazione, che si basa sulla cultura, sulla storia,
sull’ambiente e sulla comprensione critica di ciò che esiste ma anche un processo che implica tenacia,
lunghe attese e determinazione. La qualità del nostro ambiente sarà determinata dall’educazione dei
cittadini di domani. La loro capacità di prendere decisioni come cittadini dipenderà dalle conoscenze e
44
UIA - Unione Internazionale Architetti BEE (Built Environment Education).
91
dall’abilità ricevuta nel corso della loro istruzione. Comprendendo in maniera critica l’architettura e
l’ambiente costruito di oggi i cittadini adulti saranno in grado di partecipare in maniera efficace alla
creazione di architettura di qualità, sostenibile e rispettosa del suo contesto. Fornire questo tipo di
educazione è un dovere di architetti, scuole, genitori, autorità scolastiche ed in ultima istanza delle
istituzioni.
Le potenzialità espressive ma anche investigative del mondo dell’infanzia sono note da tempo, ma un
interesse per il ruolo attivo dell’infanzia si sviluppa in Occidente in tempi piuttosto recenti45. Prima di allora
esisteva solo l’idea del bambino come un essere da proteggere, curare ed educare: il riconoscimento di una
capacità e di un diritto al pensiero ed al progetto è la differenza fondamentale tra Agenda 21 e la Carta dei
diritti dell’infanzia dell’89 (e quelle del fanciullo, del 1924 e del 1959).
Nel contesto della progettazione partecipata con i bambini, Torino è un Comune all’avanguardia e vanta un
elevato numero di ristrutturazioni di cortili scolastici su tutto il territorio comunale, l’impegno da parte
delle istituzioni a prendersi carico di un iter procedurale di questa portata è segnale di un contesto ricettivo
ed avanzato. A partire da questo contesto di educazione alla cittadinanza attiva, il nostro progetto si
propone di veicolare una serie di valori educativi legati ad aree di interesse molto differenti ed a volte
strettamente interrelate.
Comprensione dello spazio / educazione ambientale
Modificare l’ambiente circostante è uno degli istinti che contraddistinguono la nostra specie e che
naturalmente si ricoprono di significati culturali e simbolici. Robinson che costruisce il proprio rifugio è
l’esempio di un essere in pieno equilibrio con l’ambiente che lo ospita. Una condizione che è metafora non
solo delle società primitive ma anche di quelle che ci hanno preceduto nello sviluppo tecnologico. La fatica
e quindi la fattibilità, la reperibilità di materiali e la realizzazione degli scopi sono un insieme di condizioni al
contorno che finiscono per determinare la forma dell’ambiente costruito di una collettività. Dal momento
che da sempre l’uomo si adatta al proprio ambiente trasformandolo, è dunque importante insegnare
questa consapevolezza e responsabilità con l’educazione ambientale, ed al fine di rendersi conto della
propria impronta sull’ambiente. Per questo i nostri laboratori sono improntati alla comprensione di aspetti
dinamici, e sono improntati alla comprensione di diversi aspetti della realtà. Osservare un gruppo che gioca
alla scoperta dello spazio significa entrare nei meccanismi stessi dell’apprendimento, della scoperta dello
spazio e della sua natura sociale. Significa comprendere i principi antropologici dell’abitare e del costruire.
Significa reinterpretare le proprie considerazioni sulla formulazione dei giochi, ed inventare nuove regole
del progettare e del costruire.
45
Il primo atto formale a livello globale su questo argomento fu il capitolo 25 di Agenda 21, presentata nel 1992 a Rio de Janeiro, che riconosce i bambini come soggetti aventi diritto ad un ruolo attivo nella cittadinanza.
92
Cultura tecnica, progettuale e ludica
La cultura progettuale in senso lato, vista come quella attitudine ad affrontare le criticità attraverso uno
scatto di immaginazione, viene qui applicata alla progettazione di oggetti e dello spazio. Essa si configura
anche come una capacità tecnica di tradurre in realtà le proprie volontà ed il proprio pensiero astratto. Tale
attitudine è l’obiettivo fondamentale dell’insegnamento della progettazione nelle Facoltà di architettura e
design, ed utilizza sistemi didattici completamente differenti da quelli frontali degli altri insegnamenti. Si
potrebbe dire che il sistema didattico del laboratorio, in cui ci si confronta su dei problemi e sui metodi per
risolverli, sia in tutto e per tutto uguale a quello da noi impiegato per la realizzazione dei nostri laboratori. Il
tema della creatività dei bambini è quindi un ponte per indagare il tema della creatività nella progettazione
in generale: una creatività che media ed è stimolata da aspetti di utilità e funzione, e che per questo è
essenzialmente diversa da quella delle altre arti. Pertanto il nostro obiettivo finale è quello di perseguire
un’esperienza di sintesi tra le esercitazioni progettuali degli studenti della Facoltà di architettura e quelle, di
natura non dissimile, che vengono presentate come gioco ai bambini delle scuole elementari e medie.
Per questo non è assolutamente necessario riferire la didattica progettuale ad un contesto meramente
produttivo (edilizio o di design industriale), e siamo quindi persuasi che esista un livello zero della
progettualità, un’abilità non finalizzata che si declina successivamente con le occasioni di progetto. Per
questa ragione una regola didattica può avere natura provvisoria ed inventata: perché deve proporsi di
stimolare la funzione progettuale, e non una specifica competenza tecnica.
La cultura tecnica istintiva del costruire come gioco collettivo possiede dei ritmi e delle regole proprie,
provvisorie ed istantanee. Come in un contesto ludico, anche in quello universitario la simulazione del
laboratorio è dominata da regole provvisorie, che non hanno finalità pratica apparente, se non quella di
allenare ad un ragionamento progettuale complesso.
Anche il gioco per i bambini rappresenta una costruzione fantastica che decodifica per approssimazione gli
aspetti più incomprensibili della realtà. La finzione del gioco si basa su regole provvisorie che ricostruiscono
un quadro di riferimento cui ci si deve accostare per comunicare, ovvero giocare insieme. Make believe,
cioè la finzione del gioco, è l’impalcatura ideale cui ci si deve riferire seriamente e in maniera scrupolosa
per ottenere l’attenzione dei bambini e coinvolgerli nel gioco. La simulazione progettuale di un laboratorio
di progettazione utilizza la medesima modalità.
Da un punto di vista specificamente tecnico, questo tipo di giochi consente di esprimere la propria
creatività mediante la sperimentazione di strumenti e tecniche che si apprendono man mano. Costruire con
strumenti veri, alla scala reale, oggetti che hanno una funzione ed un obiettivo ben preciso, è
un’operazione che ha un valore educativo e pratico che trascende quello degli oggetti realizzati e il valore
del gioco in sé.
93
Educazione, socialità e azione
Il lavoro di squadra implica responsabilità, coesione, partecipazione, comprensione delle regole del vivere
comune ma anche comprensione del proprio ruolo nella collettività.
Il lavoro creativo è efficace quanto lo sport a sviluppare questa attitudine. L’intraprendenza e la tenacia nel
perseguire un obiettivo hanno un effetto di risonanza tra i membri di un team, ed un profondo valore
educativo nell’ambito della peer education: la responsabilità che ci si prende nei confronti del gruppo funge
da collante nei confronti del fine comune, ed il laboratorio diventa così un modo per coalizzarsi e
comprendere le regole del vivere comune. Dal punto di vista sociale e socio-culturale è poi interessante
osservare come i giochi dei bambini mettano in scena una serie di comportamenti sociali e dinamiche di
gruppo ben osservabili (differenze etniche, cooperazione, territorialità, espressioni di disagio, differenze tra
maschi e femmine, ecc.). L’individuazione di questi elementi rende possibile isolare le tematiche ed
indirizzare il gioco verso di esse, con l’idea di esplorarle più in profondità. Ad esempio, sarebbe possibile
comprendere di più sulla condizione abitativa delle famiglie degli immigrati attraverso il lavoro scolastico
dei bambini. Tramite un gioco di progettazione della propria casa ideale si potrebbe sicuramente
comprendere moltissimo della condizione e delle aspirazioni dei nuovi cittadini. Costruire è un’azione che
insegna a misurare le proprie forze e nei confronti di un obiettivo, confidando mano a mano sui propri
mezzi e considerando se stessi come attori di un processo e non semplici spettatori. Costruire fornisce la
coscienza delle proprie capacità e rafforza la speranza nella propria riuscita. Il lavoro manuale è così
affascinante per i bambini proprio per la sua qualità di essere una cosa “da grandi”. Per questo gli utensili
giocattolo perdono sempre nel confronto con quelli reali. Nei nostri laboratori utilizziamo strumenti e
materiali “veri” con lo scopo di combinare questo maggior interesse per il mondo degli adulti con un alto
grado di responsabilizzazione personale.
Sicurezza sul lavoro
Il grado di civilizzazione di una società si misura anche con il grado di sicurezza cui essa aspira. La rimozione
del rischio, e quindi della sofferenza, è un parametro che accompagna la diffusa sedentarietà di una
società, dapprima a livello simbolico e poi a livello reale.
Il rischio e la sua esperienza sensibile costituiscono però un binomio inscindibile nella fase della
formazione: la coscienza del rischio si sviluppa con l’esperienza. Senza questa esperienza “controllata” i
bambini non sono dotati di quegli strumenti concettuali istintivi mediante i quali possono affrontare i rischi
di tutti i giorni. Per questa ragione le esperienze dei nostri laboratori iniziano con un mini corso di sicurezza
sul lavoro, e sempre per la stessa ragione nei nostri laboratori ci si equipaggia con i dispositivi di protezione
individuale richiesti dalla normativa.
94
In tempi in cui la sicurezza sul lavoro è un argomento di cronaca quasi quotidiana, crediamo sia importante
diffondere un concetto di lavoro responsabile, cominciando proprio dalla conoscenza e dalla confidenza
con gli strumenti del lavoro e con la prassi dell’antinfortunistica.
I concetti base dell’antinfortunistica riguardano i movimenti semplici come trasportare dei pesi, stare in
equilibrio, fare attenzione alla presenza di pericoli per altre persone, maneggiare strumenti potenzialmente
pericolosi. Tali concetti non attengono solo al lavoro nelle costruzioni, ma sono invece una componente
essenziale nella vita di tutti i giorni e nell’attitudine a qualsiasi lavoro che implichi qualche tipo di rischio e
che richieda quindi un’attenzione particolare.
Valori cinetici e fisici
I valori cinetici e fisici del lavoro rivestono un significato ancora più importante nel contesto della socialità e
della ludicità moderna che, appoggiandosi sempre più a reti e mezzi virtuali, è carente di contatti e relazioni
fisiche. I bambini giocano e si incontrano sempre più di frequente di fronte al monitor, o con il medium di
telefoni e posta elettronica: la società ha idealmente barattato il coinvolgimento fisico per un alto
coefficiente di sicurezza.
La gestualità e la tecnica si trasformano con le abitudini ed il grado di civilizzazione di una collettività, e la
sedentarietà ha influssi negativi specialmente negli stadi evolutivi della crescita. La capacità di compiere
correttamente gesti coordinati (prassìa) e diretti alla realizzazione dei movimenti si sviluppa con
l’esperienza, assemblando ed immagazzinando in memoria le sequenze motorie. Con la pratica ogni
sequenza si consolida e diviene automatica: quando il gesto è abituale non deve essere pensato e
monitorato. Se il gesto è nuovo la sequenza degli atti che lo compongono deve essere in qualche modo
progettata: il progetto dell’azione deve essere immaginato e monitorato in maniera iterativa nell’atto della
realizzazione. Il lavoro da noi richiesto (esempio: costruire una struttura di legno che innalzi una persona ad
un minimo di altezza di un metro) corrisponde ad una azione di problem solving. Come tale il sistema di
azioni impiegate per realizzare le lavorazioni necessarie rappresentano un progetto nel progetto,
organizzato gerarchicamente in priorità.
Le dinamiche inedite cui i bambini sono sottoposti all’interno di un ambiente sociale noto (quello della
classe e della presenza delle maestre), possono anche favorire il mutamento dei rapporti di forza tra le
persone (i più ed i meno bravi a scuola), e dare così un impulso nuovo per affrontare la dimensione
dell’apprendimento in generale. La novità del problema (ovvero il costruire) favorisce un livellamento tra le
capacità dei membri di una classe, che sono costretti a prescindere da conoscenze pregresse. Per finire, noi
richiediamo un atto di elaborazione del gioco adatto (come il disegno) a rivalutare in maniera grafica le
scoperte fatte nel campo della spazialità e della dimensione fisica degli oggetti costruiti. Nel riepilogo delle
esperienze condotte presso le scuole di Settimo Torinese, ci è stato fatto notare come le azioni attuate
durante i laboratori di costruzione abbiano stimolato atteggiamenti inattesi ed incoraggianti proprio sotto il
95
profilo della motricità e della spazialità (ovvero della comprensione e misurazione dello spazio). Tali
atteggiamenti si sono palesati anche durante la normale attività didattica che è seguita ai laboratori.
Conclusioni
Il monitoraggio e la rielaborazione delle azioni messe in pratica con l’aiuto di esperti nel campo della
neuropsichiatria infantile, psicologia e psicoterapia infantile e della psicomotricità, hanno il significato
fondamentale di unificare differenti prassi e diverse azioni educative e terapeutiche sotto l’azione del
gioco.
Questo è secondo noi importante anche per diffondere l’intenzione di abbattere le barriere tra gioco ed
apprendimento. Le differenti componenti che abbiamo delineato nel frontespizio del nostro progetto
intendono analizzare i diversi aspetti e punti di vista di una pratica di gioco complessa ma fortemente
comunicativa, non con l’idea di esaurire l’argomento ma di presentarlo nella maniera più esaustiva
possibile.
4. Giochi d’ingegno (per non parlar di matematica46)
Paolo Munini47
Un giornalista una volta chiese ad Albert Einstein, di spiegare la formula del suo successo.
Dopo una breve riflessione rispose:
«Se A è il successo, direi che la formula è: A=X+Y+Z, laddove X rappresenta il lavoro e Y il gioco».
«E Z cosa rappresenta?» chiese il giornalista.
«Tenere la bocca chiusa», replicò lui.
Quando Maria Carla Rizzolo e lo staff dei Centri di Cultura per il Gioco del Comune di Torino mi rivolsero
l’invito a partecipare al convegno Chi ha rubato la marmellata?, ho accettato volentieri offrendomi di
esporre, nei gruppi di lavoro collaterali all’evento principale, l’esperienza del Comune di Udine con
particolare riferimento alla Festa del Pi greco. Allorché si trattò di convincere gli iscritti al convegno a
partecipare al mio workshop, mi tornò utile il consiglio di Furio Honsell48 che ebbe a dire: “Il pubblico ha
46
C’è ancora un forte pregiudizio legato alla parola stessa “matematica”, termine che per la maggior parte della gente possiede connotazioni negative e suscita sentimenti sgradevoli quali paura, nausea e noia, che spesso trovano spiegazione in spiacevoli esperienze scolastiche. Sono pronto a scommettere che questo articolo avrebbe più lettori se nel titolo non comparisse il vocabolo “matematica”. Cosa ben presente a editori e divulgatori: avete mai notato che i titoli principali dei libri di matematica ricreativa non contengono (quasi) mai il nome-che-non-deve-essere-nominato? 47
Comune di Udine - Dipartimento Politiche sociali, educative e culturali, Servizi educativi e sportivi Unità Operativa Ludobus paolo.munini@comune.udine.it - www.comune.udine.it. 48
Matematico e Sindaco di Udine.
96
sete non tanto di quiz, quanto di problemi”. Proposi quindi ai presenti alcuni quesiti tratti dal repertorio
classico della matematica ricreativa e che di solito utilizzo negli interventi ludico-educativi nelle scuole
(sono riportati nel testo che segue).
Alla fine si formò un bel gruppo di lavoro che sviluppò un’interessante discussione sull’utilizzo dei giochi
d’ingegno nella pratica educativa.
Il lato divertente della matematica
Può la matematica non essere noiosa e risultare addirittura divertente? Ne è assolutamente convinto Furio
Honsell, matematico e Sindaco di Udine, che, in qualità di amministratore, è fortemente impegnato nel
promuovere la cultura scientifica privilegiando un approccio ludico in grado di coinvolgere tutti i cittadini.
“La matematica è allo stesso tempo uno strumento, un linguaggio e un metodo rigoroso per accrescere la
nostra consapevolezza del mondo e dei limiti della conoscenza, - sostiene Honsell - il lato divertente e
quotidiano della matematica offre lo spunto per far riflettere su questa disciplina soprattutto in modo
attivo e partecipativo”. Purtroppo gli attuali programmi scolastici ministeriali puntano a una competenza
che è meramente esecutiva, quindi non aiutano a far amare la matematica, che invece è logica e intuizione,
creatività e bellezza.
Quattro problemi... per cominciare
Una delle caratteristiche della pratica matematica è ricercare soluzioni (possibilmente eleganti) ai problemi.
Ecco allora alcuni quesiti (più o meno classici) che apparentemente hanno poco a che fare con la
matematica: cercate di risolverli da soli (o in buona compagnia) senza leggere le soluzioni che potete
comunque trovare al termine della relazione.
Pierino va in Paradiso
Pierino muore e va in Paradiso. Al suo arrivo trova di fronte a sé tutti i personaggi della Bibbia completamente nudi, ad eccezione delle parti intime. Come riconosce Adamo ed Eva?
Pomodori secchi
100 kg di pomodori sono composti dal 95% di acqua. Dopo 3 giorni di esposizione al sole, la percentuale d’acqua scende al 90%. Quanto pesano ora i pomodori?
Un orso
Un orso si avvicina ad una casa i cui muri sono tutti rivolti a sud. Di che colore è l’orso?
La mamma di Pierino
97
Il padre di Pierino ha 30 anni più del figlio. Tra due anni, la sua età sarà 25 volte quella di Pierino.
Dove si trova in questo momento la madre di Pierino?
La materia prima della matematica ricreativa è rappresentata da giochi di logica, giochi d’ingegno,
paradossi, rompicapo, indovinelli ed enigmi, la cui esistenza è testimoniata fin dai primordi della storia
umana. Risale infatti al 1650 a.C. circa il primo problema di matematica ricreativa conosciuto, che è
contenuto nel cosiddetto Papiro di Rhind, compilato dallo scriba Ahmes:
Problema 79
Ci sono sette case, in ogni casa ci sono sette gatti, ogni gatto mangia sette topi, ogni topo mangia sette spighe, ogni spiga produce sette hekat [unità di misura per i volumi] di grano, quanti sono in tutto?
49
L’elegante espediente
Un problema è interessante se ci costringe a ragionare in maniera originale, a cercare relazioni nascoste, a
scoprire soluzioni inattese, eleganti e (a posteriori) semplici. Ricordate l’uovo di Colombo? “Questa è
matematica come arte, non routine: matematica fatta di pensiero e abilità, non formule e ricette.” 50
Martin Gardner, popolare autore di matematica ricreativa, ha scritto: “Cosa è la matematica, dopo tutto, se
non la soluzione di un indovinello? E cosa è la scienza se non uno sforzo sistematico per ottenere sempre
migliori risposte agli indovinelli posti dalla natura?”51. E aggiunge: “Non vi è molta differenza fra il piacere
provato da un dilettante nel risolvere un abile rompicapo ed il piacere che un matematico prova nel
dominare un problema più difficile”52.
Cos’è l’intelligenza?
Matematica e intelligenza vanno a braccetto, si sa. Ma non ci riferiamo all’intelligenza dei famigerati test di
Q.I., piuttosto a quella che possiede le seguenti caratteristiche essenziali:53
reagire in modo molto flessibile alle varie situazioni;
trarre vantaggio da circostanze fortuite;
ricavare un senso da messaggi ambigui e contradditori;
riconoscere l’importanza relativa dei diversi elementi di una situazione;
trovare somiglianze tra situazioni diverse nonostante le differenze;
trovare differenze tra situazioni diverse nonostante le somiglianze che possano unirle;
sintetizzare nuovi concetti prendendo concetti vecchi e collegandoli in modi nuovi;
produrre idee nuove.
49
Se vi piace vincere facile, la soluzione è: 19.607. 50
Golan J., Introduzione a: Birenboim A.,Pazzi pazzi numeri, Sonzogno, 2001, p. 5. 51
Gardner M., Enigmi e giochi matematici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2003, p. VIII. 52
Ibid., p. VII. 53
Hofstadter Douglas R., Godel, Escher, Bach, un’Eterna Ghirlanda Brillante, Adelphi, Milano, 2005, p. 28.
98
Logico, no?
Piccolo intermezzo ludico con due storielle divertenti che i matematici si raccontano quando si trovano al
bar.
[1] Una volta, un figlio disse al padre:
“Papà, oggi non voglio andare a scuola; ti darò tre buone ragioni: la prima, che ho sonno; la seconda, che mi annoio; la
terza, che i bambini ridono di me.”
Al che, il padre rispose:
“Allora anch’io ti darò tre buone ragioni perché tu vada: la prima, che è tardi; la seconda, che hai 45 anni; la terza, che
sei il preside54
.”
[2] “Fammi male” dice il masochista. “No” risponde il sadico.
La matematica è fondamentale per il nostro stile di vita
“Non c’è aspetto della nostra vita che non sia influenzato, in misura maggiore o minore, dalla matematica,
perché gli schemi astratti sono la vera essenza del pensiero, della comunicazione, del calcolo, della società
e della vita stessa”.55
Il matematico, oltre ad essere, secondo Paul Erdős, una macchina che converte caffè in teoremi, è anche
sicuramente un individuo in grado di cogliere il lato matematico delle cose che ci circondano e di dare
un’interpretazione logica a fenomeni apparentemente inspiegabili. La matematica è presente nelle nostre
azioni quotidiane, per esempio quando facciamo il nodo alla cravatta o allacciamo le scarpe; quando ci
chiediamo se sotto la pioggia sia meglio correre o camminare o perché mai gli autobus arrivino spesso
insieme due alla volta; quando dobbiamo decidere qual è il modo migliore di tagliare una torta o se
conviene tentare la fortuna giocando al lotto. Da qui l’importanza di saper riconoscere la matematica
nascosta nella vita quotidiana e di scoprire quanto possa essere affascinante, divertente e, perché no, utile,
una lettura scientifica e consapevole della realtà.
Il ruolo dell’ente locale per una città educativa
Per questi motivi l’Amministrazione comunale del capoluogo friulano è decisamente impegnata a
promuovere la matematica privilegiando un approccio ludico e coinvolgente rivolto a tutti i cittadini.
Quest’azione trova riscontro nell’appuntamento annuale della Festa del Pi greco, di cui il Comune di Udine
e l’Associazione nazionale delle Città di Gioco (GioNa) sono convinti sostenitori e promotori a livello
nazionale affinché diventi una grande festa della matematica da svolgersi nelle piazze italiane.“C’è sempre
più bisogno di cittadini consapevoli e capaci di usare gli strumenti del pensiero scientifico e matematico. A
54
Mataix M., Ozi matematici, RBA, Milano, 2008, p. 7. 55
Devlin K., Il linguaggio della matematica, Rendere visibile l’invisibile, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. 23.
99
Udine abbiamo scelto di coinvolgere nell’iniziativa tutta la cittadinanza” ha dichiarato Furio Honsell, che è
anche l’attuale Presidente di GioNa.Tale impegno trova supporto e strumento anche nell’attività svolta dal
Ludobus, sottolineando la funzione e l’importanza delle attività ludiche nei processi educativi e formativi,
del ruolo del gioco nello sviluppo delle capacità creative, del rapporto tra cultura ludica e qualità della vita.
Un’esperienza significativa : Festa del pi greco
Cos’è il pi greco?
Il pi greco (indicato con il simbolo π) è una costante matematica che è definita come il rapporto tra la
lunghezza della circonferenza e il suo diametro.
È un numero trascendente, con infinite cifre decimali non periodiche.
Le prime tre cifre con cui il pi greco è universalmente conosciuto sono 3,14.
Breve storia del pi greco
“π è il numero più famoso della matematica. Per le altre costanti naturali non c’è speranza: π sarà sempre il
primo della lista. Se esistesse l’Oscar per i numeri, π lo vincerebbe ogni anno56”.
Già nel 2000 a.C. i Babilonesi osservarono che la lunghezza della circonferenza di un cerchio era uguale a
circa il triplo del suo diametro.
Attraverso il Papiro di Rhind (1650 a.C.) sappiamo che gli Egiziani consideravano il valore di π
corrispondente a (16/9)2, pari a circa 3,1605. Nel XII secolo a.C. i Cinesi usavano nei loro calcoli il valore di π
= 3. La lettura della Bibbia, nell’Antico Testamento, ci conferma che anche gli Ebrei conoscevano il rapporto
(considerato pari a 3) tra la lunghezza della circonferenza e il suo diametro. Nel 225 a.C. Archimede di
Siracusa indicò il valore di π compreso tra 223/71 e 22/7, approssimativamente 3,1419. Nel 1706 il
matematico gallese William Jones introdusse per la prima volta il simbolo π (corrispondente alla lettera
greca iniziale di Pitagora); successivamente Leonhard Euler (Eulero) lo adottò e contribuì alla sua diffusione.
Nel 1761 Johann Lambert dimostrò che π è un numero irrazionale, cioè non può essere scritto come
56
Crilly T., 50 grandi idee di matematica, Dedalo, Bari, 2009, p. 20.
100
quoziente di due numeri interi. Il suo sviluppo decimale è infinito e non presenta una regolarità definibile.
Nel 1882 il matematico tedesco Carl Louis Ferdinand von Lindemann dimostrò che π è trascendente, cioè non
può costituire soluzione di un’equazione algebrica (un’equazione in cui compaiono solo potenze intere di x).
Dalla dimostrazione di Lindemann consegue l’impossibilità della “quadratura del cerchio”, cioè della
costruzione di un quadrato con la stessa area del cerchio con il solo uso di una riga e di un compasso.
In anni più recenti, grazie alla potenza di calcolo dei moderni computer, si è arrivati a trovare le prime
1.241.100.000.000 cifre decimali di pi greco.
Pi greco è una costante che compare ovunque e nei modi più inaspettati nella matematica.
Per esempio, il valore di pi greco può essere determinato con l’accuratezza desiderata mediante la serie: π
= 4 (1-1/3+1/5-1/7+1/9-1/11+…).
Si chiama identità di Eulero ed è considerata la più bella formula della matematica: eiπ + 1 = 0
Pi day
Il pi greco ha da sempre suscitato un grande fascino tra gli studiosi e gli appassionati di matematica. Nel
1988, all’Exploratorium, il celebre Museo della Scienza di San Francisco, per iniziativa del fisico Larry Shaw,
si tenne la prima celebrazione del pi greco. Non a caso fu scelta la data del 14 marzo (3.14 nella notazione
anglosassone, che richiama l’approssimazione con tre cifre di pi greco).
Da allora la celebrazione si ripete ogni anno in numerose scuole, università e istituzioni scientifiche di tutto
il mondo.
Il pi greco viene festeggiato con giochi, musiche, cortei, banchetti, conferenze, gare e altre iniziative tutte
ispirate alla costante matematica. In Italia la promozione e diffusione del giorno del pi greco nelle scuole si
deve soprattutto all’impegno del Politecnico di Torino, che da alcuni anni organizza in tale data importanti
iniziative a cura del Progetto Polymath.
Il 14 marzo 2009 anche il Comune di Udine ha organizzato la Festa del pi greco, promuovendo un
appuntamento pomeridiano nel centro cittadino con giochi d’ingegno a cura del Ludobus e una gara di Pi
greco a memoria (sfida all’ultima cifra). Si è trattato della prima iniziativa del genere in Italia organizzata
direttamente da un ente locale.
Il 12 marzo 2009 la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America ha approvato la Risoluzione H.
Res. 224, con la quale sostiene la designazione del Pi Day e la sua celebrazione in tutto il mondo, allo scopo
di promuovere e incoraggiare lo studio della matematica. Il 14 marzo è anche l’anniversario della nascita di
Albert Einstein (1879-1955): un motivo in più per festeggiare questa data.
101
Festa del pi greco
Nella convinzione che la matematica rivesta un ruolo di primaria importanza nella vita di tutti i giorni e che
la conoscenza scientifica rappresenti un’esigenza strategica nella società attuale, il Comune di Udine,
assieme all’Associazione Nazionale Città in Gioco (GioNa), invita tutte le Amministrazioni locali a indire la
Festa del Pi greco il giorno 14 marzo. In tale data si possono organizzare iniziative pubbliche, in
collaborazione con le scuole e gli istituti scientifici, allo scopo di avvicinare alla conoscenza della
matematica e delle scienze in generale la maggior parte dei cittadini, promuovendo un approccio festoso e
divertente attraverso giochi, conferenze e altre iniziative, affinché tale data diventi una grande festa della
matematica.
La Festa del Pi greco è stata presentata ufficialmente venerdì 25 settembre 2009 a Verona al Festival
Internazionale dei Giochi di Strada Tocatì, presente il Sindaco di Udine prof. Furio Honsell, già Magnifico
Rettore dell’Università friulana. Nel 2010 il 14 marzo cadrà di domenica. Motivo in più, a scuole chiuse, per
celebrare la Festa del Pi greco nelle piazze delle città italiane.
Vademecum per l’organizzazione di attività57
Si forniscono di seguito, ad uso di enti, associazioni e scuole, alcuni suggerimenti e consigli per realizzare al
meglio la Festa del Pi greco e rendere più divertente l’evento.
La data per organizzare la Festa del Pi greco è convenzionalmente stabilita il 14 marzo (3.14 nella notazione
anglosassone, che richiama l’approssimazione con tre cifre di pi greco). Poiché le prime cifre decimali del pi
greco sono 14 15, l’appuntamento può essere fissato alle ore 15. Buon compleanno, Albert! Il 14 marzo è
anche l’anniversario della nascita di Albert Einstein (1879-1955): un motivo in più per festeggiare questa
data.
Sfida all’ultima cifra, gara mnemonica di Pi greco: attività classica dove vince chi recita correttamente il
maggior numero di cifre decimali di pi greco a memoria.
Come memorizzare pi greco, concorso per la migliore frase o filastrocca per ricordare le cifre decimali di pi
greco (formata da vocaboli con un numero di lettere corrispondente alla sequenza delle cifre del pi greco);
ad esempio:
Che n’ ebbe d’ utile Archimede da ustori vetri sua somma scoperta?
3 1 4 1 5 9 2 6 5 3 5 8
57
Sono graditi commenti sulle attività proposte e contributi con suggerimenti e consigli, da inviare a: Comune di Udine - Dipartimento Politiche sociali, educative e culturali, Servizi Educativi e Sportivi Unità Operativa Ludobus, via Lionello 1 - 33100 Udine (UD), tel. 0432 271677-756, fax. 0432 271687 http://www.comune.udine.it/, e-mail: paolo.munini@comune.udine.it.
102
o, in inglese:
How I want a drink, alcoholic of course, after the heavy chapters involving quantum mechanics!
3 1 4 1 5 9 2 6 5 3 5 8 9 7 9
Per i Facebook-dipendenti iscriversi al gruppo “Festa del Pi greco - Pi Day” per condividere notizie,
commenti, foto, video, eventi, ecc.
Pi greco puzzle, rompicapo, formato da sei pezzi, con cui ricostruire il simbolo del pi greco.
Probabilità e pi greco, proporre l’esperimento di Buffon (1707-1788): lancio di un ago di lunghezza l su un
piano con linee parallele a distanza l; qual è la probabilità p che l’ago intersechi una linea? Risposta: p = 2/π;
da cui ricavare il calcolo sperimentale di pi greco. Come? Fate cadere l’ago un numero qualsiasi Nv di volte;
contate il numero Nl di volte in cui l’ago incrocia una linea; Calcolate la probabilità p = Nl/Nv; quindi
calcolate π = 2/p.
Pi greco a piedi, marcia non competitiva su un percorso di lunghezza pari a 3,14 km.
Pi fashion, collane o braccialetti con perline di dieci colori diversi, ciascuno corrispondente alle cifre da 0 a
9, a comporre la sequenza 3,14159265…
Pi tattoo trucco del viso e tatuaggi (rigorosamente temporanei!) con il simbolo di pi greco e/o ispirati a temi
matematici.
Conferenze, incontri e conferenze per le scuole e/o per la cittadinanza su argomenti di interesse
matematico.
Catena umana, corteo o girotondo di persone che vestono una maglietta numerata (con cifre da 0 a 9) a
comporre la sequenza 3,14159265…
The Pi-Search Page, divertirsi a ricercare nella sequenza dei decimali di pi greco la data di nascita delle
persone che partecipano all’evento, utilizzando il Pi Searcher all’indirizzo:
http://www.angio.net/pi/piquery
Pi greco in cucina, preparazione e assaggio di cibi dolci e salati ispirati a pi greco: pizze, torte, ecc.
Grande schermo, proiezione o rassegna di film ad argomento matematico, ad esempio:
Pi - Il teorema del delirio (1998)
A Beautiful Mind (2001)
Morte di un matematico napoletano (1992)
103
In ludoteca, ludoteca con giochi da tavolo di strategia astratti (dama, scacchi, othello, blokus, go, quarto!),
con giochi di logica e d’ingegno (rompicapo, tangram, indovinelli, sudoku, ecc.) e giochi enigmistici.
Pi greco in musica, canzoni e musiche ispirate al pi greco. Visita il sito:
http://www.avoision.com/experiments/pi10k/index.php
Grafica-disegno, concorso ispirato al simbolo pi greco.
In biblioteca e libreria, rassegne bibliografiche con testi di matematica ricreativa e divulgativa e letture di
testi di argomento matematico quale, ad esempio, Il mago dei numeri di H. Magnus Enzensberger.
Land Art, installazioni e/o performance ispirate al pi greco.
Soluzioni dei giochi
Pierino va in Paradiso
Poiché Adamo ed Eva sono gli unici a non essere nati in modo regolare, ossia da un normale parto, sono gli unici a non
mostrare un ombelico.
Pomodori secchi
All’inizio i pomodori contengono 5 kg (pari al 5% di 100 kg) di sostanza non acquosa (chiamiamola per comodità
polpa). Dopo 3 giorni di esposizione al sole, la percentuale di polpa non varia. Se la percentuale d’acqua è scesa al
90%, questo significa che la percentuale di polpa è pari al 10%. 5 kg sono il 10% di 50 kg. Pertanto i pomodori pesano
ora 50 kg (45 kg di acqua e 5 kg di polpa).
Un orso
L’unico luogo sulla Terra dove è possibile costruire una casa i cui muri sono tutti rivolti a sud è il Polo Nord.
L’orso quindi è di colore bianco.
La mamma di Pierino
Sia x l’età (in anni) di Pierino; l’età di suo padre è 30+x. Tra due anni l’età di Pierino sarà x+2, mentre quella di suo padre
sarà 32+x. Dall’enunciato del problema ricaviamo l’equazione 32+x=25(x+2) che ammette la soluzione x=-3/4. L’età di
Pierino è quindi -9 mesi: ossia i suoi genitori lo stanno concependo. Si presume che la mamma di Pierino sia a letto!
Riferimenti bibliografici
Birenboim A., Pazzi pazzi numeri, Milano, Sonzogno, 2001
Crilly T., 50 grandi idee di matematica, Dedalo, Milano, 2009
Devlin K., Il linguaggio della matematica, Rendere visibile l’invisibile, Bollati Boringhieri, Torino, 2002
Gardner M., Enigmi e giochi matematici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2003
Hofstadter Douglas R., Gödel, Escher, Bach, Un’Eterna Ghirlanda Brillante, Adelphi, Milano, 1984
Honsell F., L’algoritmo del parcheggio, Mondadori, Milano, 2007
Mataix M., Ozi matematici, RBA, Milano, 2008.
104
5. Modellismo nelle scuole
Roberto Lattini 58
Il convegno Chi ha rubato la marmellata, è stato per me un’esperienza molto positiva, visto l’interesse
mostrato dai partecipanti alla sessione, tutti molto coinvolti, ma anche per le numerose domande che mi
sono state poste durante e dopo l’intervento, e persino nei corridoi del centro congressi.
Innanzitutto mi presento: sono un modellista, responsabile della sezione di modellismo del Michelin Sport
Club di Torino e Cuneo. Ricercatore navale presso il Laboratorio Italiano di Archeologia Sperimentale di
Torino (L.I.A.S.T.). Ho collaborato con il Centro per la Cultura Ludica di Torino come consulente delle
sezione di modellismo dal 1987, sia per la realizzazione di mostre a tema, sia all’interno di corsi didattici.
Oggi in collaborazione con Amilcare Acerbi organizzo mostre didattiche e laboratori per docenti e studenti
di scuole elementari e medie. Costruisco modelli in scala per scuole e musei, il mio campo specifico è la
storia delle imbarcazioni, dalla preistoria sino al 1800; realizzo mostre didattiche corredandole di
documentazioni tratte da testi specialistici di tipo storico, antropologico, ingegneristico.
Il progetto che qui illustrerò riguarda un’esperienza in corso di svolgimento, condotta con Acerbi presso
una scuola media di Caorso, nel Piacentino; il titolo è “Storie e scene di fiume” e prende l’avvio da una
mostra di “Zattere e piroghe preistoriche e primitive” allestita nella biblioteca del paese. L’iniziativa è stata
proposta nell’ambito di Favoleinfesta, manifestazione tesa a promuovere il territorio e farne meglio
conoscere le risorse produttive e ambientali. Il Sindaco di Caorso, poi, ha richiesto esplicitamente di
valorizzare la zona adiacente al fiume Po che scorre nel territorio. Si è scelta la scuola media anche per
mettere a punto un modello di intervento per un’età spesso considerata problematica e restia al
coinvolgimento. Il concorso, di cui si riporta il testo in calce a questa relazione, prevede un’attività da
svolgere per l’intero anno, da soli o in piccolo gruppo, in classe oppure a casa, con o senza l’aiuto di genitori
e altri parenti.
Il senso pedagogico della proposta sta nel miscelare aspetti diversi in contemporanea: aspetti mitologici
(imbarcazioni preistoriche), ambienti reali e spesso non più esplorati perché se ne è persa la consuetudine
o se ne ha paura (il fiume, i campi, i boschi); aspetti di lavoro manuale (con l’uso di semplici seghetti del
traforo e materiali naturali come legno, foglie, erbe oppure di strumenti più sofisticati come seghetti
termici, silicone, polistirolo, dai pennelli alle macchine fotografiche digitali); impegno a narrare (con la
tridimensionalità colorata, materica, sensoriale così come con la scrittura) utilizzando elementi linguistici
58
Responsabile della sezione modellismo del Michelin Sport Club di Torino e Cuneo. Ricercatore navale presso il Laboratorio Italiano di Archeologia Sperimentale di Torino (L.I.A.S.T.). Consulente di modellismo dal 1987 presso il Centro per la Cultura Ludica di Torino, collaboratore con Giancarlo Perempruner e Maria Carla Rizzolo per corsi didattici e mostre di modellismo.
105
tratti dal proprio ambiente di vita ed elementi tratti dall’immaginario derivato dalle narrazioni video;
operando in gruppo.
Altro aspetto pedagogico significativo è dato dall’intervento degli adulti: non si tratta di un vero e proprio
corso, ma solo della presentazione di esempi e modelli che fanno leva sulle abilità e sulla creatività del
gruppo che si è formato, gli insegnanti e i genitori e parenti possono entrare nella lavorazione, se richiesti
dai ragazzi; le scadenze sono poche e diluite nel tempo di un anno scolastico, dunque a sollecitare una
presa in carico della responsabilità, la scuola accetta la proposta, la accoglie all’interno, un’insegnante si fa
carico di essere il tramite e il terminale delle iscrizioni. La proposta prevedeva le seguenti fasi59:
a. presentazione a tutte le classi, riunite a due per volta di alcuni modelli di imbarcazioni primitive, la illustrazione del concorso, la presentazione di materiali e attrezzature necessarie per costruire imbarcazioni, l’invito a iscriversi e l’invito a ritornare nel pomeriggio per iniziare alcune lavorazioni esemplificative;
b. un secondo appuntamento a distanza di due mesi, sempre a tutte le classi, per presentare alcuni modelli di scenografie e plastici; la verifica degli elaborati realizzati dai ragazzi; l’invito a partecipare nel pomeriggio alla costruzione dei primi prototipi di scenografia, verificando direttamente strumenti, materiali e tecniche;
c. un terzo appuntamento per verificare le realizzazioni dei vari gruppi (inizialmente si sono iscritti 45 ragazzi e ragazze; la partecipazione reale è stata alla fine dell’anno di 33 allievi, pari al 25% dei frequentanti la scuola);
d. un quarto incontro in cui sono esposti gli elaborati, in scuola, onde tutti gli insegnanti e i genitori le vedano, successivamente una mostra durante la Festa del Pescatore, nella frazione di Roncarolo, perché la popolazione possa apprezzare l’impegno dei ragazzi60.
L’elaborato finale doveva comprendere la costruzione di un natante preistorico (di massima una zattera), la
creazione di un diorama “fluviale” in cui inserire il natante, una serie di fotografie relative ai luoghi
rivieraschi utilizzati per ispirare il diorama; un breve racconto che avesse e protagonista quanto inserito nel
diorama. Tutto ciò per stimolare l’attività di gruppo, l’esplorazione d’ambiente, il dialogo e il
coinvolgimento dei genitori. Che in effetti c’è stato, considerato che i lavori sono stati realizzati quasi
completamente al di fuori degli orari scolastici.
Per riuscire a riprodurre con la massima fedeltà gli ambienti i ragazzi sono infatti partiti con la scelta di un
angolo di natura fluviale reale, da fotografare e studiare in tutti i suoi dettagli. Il tutto condito con un po’ di
“pepe e sale”come è d’uso nell’ambiente ludico, facendo tesoro di tutto il materiale che la natura stessa
può mettere gratuitamente a disposizione, infatti la prima suggestione è stata quella di spronare i ragazzi
ad immergersi nel territorio dotati di zaino a tracolla e di un utile corredo di sacchetti e di borse, per
raccogliere terra, sabbia, pietre, foglie, rami di ogni tipo e dimensione.
La ricerca si è poi ampliata in una falegnameria, tra i materiali di recupero: per scegliere una tavola di
dimensioni utili a realizzare il progetto del diorama; raccogliere vari tipi di segatura da usare naturali o da
59
La stesura della relazione definitiva è avvenuta in giugno, quindi le notizie riportate riguardano già i risultati del percorso illustrato nell’ambito del convegno. 60
L’iniziativa si è svolta con la collaborazione del Comune di Caorso e dell’ANSPI di Roncarolo, associazione promotrice di iniziative di festa in cui i ragazzi da sempre hanno un ruolo attivo.
106
colorare in seguito; reperire polistirolo residuo di imballaggi e quant’altro poteva essere utile all’attività. Il
lavoro è stato svolto dai ragazzi, soli o con l’aiuto dei genitori, del proprio insegnante, o in gruppo con
diversi compagni di scuola e in questo caso avendo la possibilità di dividere i compiti per realizzare il
progetto: qualcuno si dedica alla zattera, altri alla ricerca fotografica, altri ancora al diorama e allo
svolgimento del racconto. Il percorso didattico interattivo così impostato ha consentito di mettere in azione
sia la manualità e il movimento, sia l’approfondimento letterario e scientifico, attraverso le diverse
competenze che sono chiamate ad attivarsi per la realizzazione: matematica, geometria, storia,disegno,
geografia eccetera.
Il laboratorio didattico di Caorso
Il laboratorio di modellistica è stato realizzato nel grande atrio/anfiteatro della scuola. La prima lezione con
la presenza di 132 studenti, divisi in due prime, due seconde e due terze, con i rispettivi insegnanti. Per
prima cosa ho spiegato le qualità e lo scopo dell’attrezzatura e dei vari oggetti che avevo portato: modelli,
utensili e svariati materiali, cercando di interessare i ragazzi all’argomento.
Per rompere il ghiaccio ho fatto circolare tra i ragazzi i modelli di zattere e piroghe che avevo a
disposizione, affinché si rendessero conto in che cosa consistesse un modello. Naturalmente ho notato una
certa apprensione negli insegnanti, ma li ho tranquillizzati subito: i ragazzi avrebbero avuto sicuramente
rispetto per i modelli e gli oggetti cosa che poi puntualmente è avvenuta. Questo gesto di fiducia verso di
loro ha dato subito i suoi frutti, ed è stato ampiamente ricambiato dall’interesse dimostrato in seguito e
dalle numerose domande che via via mi venivano rivolte.
La spiegazione successiva ha riguardato la costruzione di una zattera con l’uso di cinque tondini di legno da
un centimetro, da unire tra loro con uno spago; l’aspetto stimolante per attirare la loro attenzione è stato il
tipo di nodo che era necessario per fare le legature: un nodo senza il quale non è possibile tenere assieme il
legno. Con un minimo di provocazione ho chiesto se qualcuno dei presenti fosse in grado di effettuare una
legatura capace di non sciogliersi indebitamente, e come immaginavo nessuno dei ragazzi (né dei docenti)
sapeva farlo. Ho chiesto se conoscevano il “nodo dell’impiccato”, e mi hanno guardato tutti piuttosto
perplessi: allora ho eseguito, sotto i loro occhi, il nodo scorsoio, quello cioè utile per legare i tronchi. A
questo punto tutti, studenti ed insegnanti, hanno avuto un pezzo di cima e hanno cominciato a lavorare su
quel nodo sino a che tutti non lo hanno ben memorizzato, dopo di che abbiamo visto come metterlo in uso
per realizzare la piccola zattera. Il tempo è trascorso in fretta; ci siamo dati appuntamento con chi era
interessato a sviluppare l’argomento nel pomeriggio, in un luogo attrezzato come laboratorio.
Qui la lezione pomeridiana, che doveva durare una sola ora, si è protratta per ben tre ore, con sommo
piacere mio e degli studenti che si sono presentati nei locali messi a disposizione dal parroco di Roncarolo,
dove avevo allestito un laboratorio con il mio materiale, e dove un lungo tavolo è diventato una efficace
107
base di lavoro: Loredana, Gianluca, Michele, Edoardo, Aldo, Daniele, Damiano, Alessandro sono stati i miei
primi allievi del laboratorio sperimentale di modellismo e i loro primissimi modellini sono serviti come
“richiamo” per i compagni di classe.
La volta successiva la lezione è ripresa dal famoso nodo, in modo da impararlo meglio per poi passare alla
spiegazione di come si usa l’archetto da traforo: come si monta e si aggancia la lama, mostrando in pratica
come questa non sia affatto pericolosa per le mani, (direttamente passandoci sopra un dito) perché la lama
da traforo se usata con cura taglia solo il legno. Ho insegnato come piazzare la tavoletta di sostegno e
montarla sul tavolo con il morsetto, per non danneggiare il mobile quando si usa l’archetto. A questo punto
ho consegnato ai ragazzi un tondino di legno lungo un metro con il compito di trasformarlo in una zattera di
cinque tondini di lunghezza uguale e li ho messi al lavoro.
Posso dire che ciò che ho visto nei loro occhi è stato un entusiasmo che non mi accadeva di vedere da molti
anni; la voglia di creare qualcosa, di poter usare degli utensili che purtroppo nelle scuole sono ormai
banditi. Tutto questo mi ha ricordato il mio passato di ragazzo, quando mi ingegnavo a realizzare, con il
legno delle cassette della frutta, spade, pugnali ed altri giocattoli, con lo stesso eccitamento e la stessa
espressione di felicità che ora leggevo sui loro volti.
Al termine della lezione che, come ho già detto, si è protratta più del dovuto, li ho lasciati con il compito di
costruire per l’incontro successivo una zattera con listelli a scalare usando un tondino da un metro da me
regalato ad ognuno. Dopo circa due mesi dal primo incontro, ho preparato un nuovo laboratorio nell’atrio
della scuola. Gli oggetti che servivano alla lezione, oltre a due archetti da traforo, erano contenuti in scatole
trasparenti, sacchetti e scatoloni; c’era anche un certo numero di modelli nuovi: zattere, barche egizie,
mesopotamiche e del lago Titicaca.
Un astrolabio polinesiano appeso ad un traliccio ha suscitato molta curiosità, così come una “carta nautica
eschimese” costituita da un tronchetto tutto sagomato e intagliato sui lati. Barattoli trasparenti di plastica
(quelli dei cioccolatini) contenevano essenze utili allo svolgimento della lezione, inoltre ramoscelli di ogni
genere e lunghezza, saggina delle scope, listelli di faggio, pioppo, noce, matasse di spago di diverse
sanzioni, e polistirolo come materia prima, in abbondanza, oltre a strumenti solo taglierini “opinel”, forbici
e un archetto termico per lavorare il polistirolo.
Non mancava la colla vinilica, l’unica che uso e faccio usare senza pericolo di intossicazioni, mentre ci vuole
molta attenzione quando è necessario l’uso di altre colle, magari a base di benzolo, o resine, a causa della
loro tossicità.
Come nella lezione precedente ho iniziato presentando le varie essenze che andavo mostrando, facevo
passare di mano in mano i barattoli ed i sacchetti chiedendo ai ragazzi di indicare il contenuto: sabbia,
terra, ghiaia, pietre, foglie tritate o intere, segatura di vario tipo con colorazione naturale a seconda del tipo
di legno, ma anche di quella colorata artificialmente in giallo, verde, rosso, eccetera. Passato il primo
108
momento di distrazione con l’esame delle essenze, è iniziata la spiegazione di come si costruisce un
diorama.
In primo luogo mi sono fatto mostrare da quelli che avevano costruito una zattera a casa la loro opera e ho
notato con piacere che tra essi, oltre a quelli che avevano partecipato alla prima lezione a Roncarolo,
c’erano altri studenti che avevano raccolto il mio invito ed avevano realizzato il lavoro secondo le mie
indicazioni; alcuni avevano completato la loro zattera persino con un albero per la vela.
Siamo poi partiti con il diorama: una tavola di compensato è diventata il basamento, con l’aiuto di tutti i
ragazzi si è iniziata la costruzione che deve fornire alla zattera lo scenario in cui sarà posizionata. Mentre
lavoravo parlavo e descrivevo quello che si doveva fare, ma anche di tutte le implicazioni logistiche, così ho
chiesto ai ragazzi, “dove andrebbe bene ambientare una zattera?”... “ma è semplice, in un fiume!”… “e
allora facciamo un diorama in cui passi un fiume” … “e il fiume come si fa?” … “semplice, si scava un solco
abbastanza largo e profondo sul terreno di base, e poi si riveste la cavità con la sabbia, pietre e detriti di
vario genere, come potrebbe essere sul fondo e sulle sponde di un onesto corso d’acqua …”.
I ragazzi cominciavano a darmi suggerimenti ed a porgermi le essenze e i materiali che secondo loro
andavano bene e quando l’alveo è completato siamo passati a creare l’acqua, naturalmente “artificiale”, a
questo è servito benissimo il silicone con i suoi ottimi effetti di trasparenza. Per completare poi l’effetto
scenografico del diorama abbiamo aggiunto un albero. Per questo ho proposto ai ragazzi di scegliere tra
alcuni bonsai di varie misure che avevo in uno scatolone, facendo prendere quello che a loro pareva più
proporzionato alle dimensioni del diorama: così ho potuto illustrare l’importanza dell’effetto di scala che
ogni buon modellista deve conoscere alla perfezione.
L’appuntamento si è poi spostato nel pomeriggio per la solita ora didattica da tenersi nell’atrio dell’istituto
e mi sono preparato a rispondere alle domande che mi sarebbero state rivolte.
L’incontro è stato entusiasmante, anche perché oltre metà della scolaresca aveva scelto di venire ai miei
incontri. Allora ho messo a disposizione dei molti presenti tutto il materiale che avevo portato e sono stati
realizzati con il polistirolo piccoli diorami ed altro di loro fantasia. Si sono consumati due chili di colla,
cinque tubi di silicone, parti di bonsai ed altro materiale, ma a me ha fatto un immenso piacere notare
l’entusiasmo che tutti mettevano nel creare “qualcosa” e nel mostrarmelo con orgoglio.
Tre ragazze mi hanno chiesto di insegnare loro a costruire una barca egizia con le caratteristiche fascine di
paglia. Usando i fili di saggina abbiamo fatto dei fasci panciuti al centro e affusolati alle estremità, poi
unendo assieme quei fasci abbiamo dato forma ad una barca. Nel giro di due ore il lavoro era compiuto; è
stata una grande soddisfazione capire che il mio esperimento era riuscito e che i ragazzi avevano compreso
il mio messaggio: loro sono ancora e sempre “creativi”, basta portarli nella giusta direzione ed insegnare
“come si fa”; hanno ancora una gran voglia di imparare.
Il terzo appuntamento è stato dedicato a come si crea in un diorama, un manto erboso, con del materiale
naturale come la canapa dei lattonieri.
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Il laboratorio è stato impostato con plastici da me costruiti, che poi sono rimasti in visione nella scuola, a
disposizione dei ragazzi, così che fossero incoraggiati a crearne altri di loro iniziativa. La proposta è
consistita in una modalità per così dire “cellulare”, che rende possibile riunire pezzi vari per formare un
grande diorama unico, in cui inserire fiume, zattera, ponte di legno, palafitta, cascata, ecc., elementi che
creano “movimento” nello scenario, e ancora un altro con una capanna ed infine il lago Titicaca, con una
delle sue barche di giunchi.
La mia opinione su questo programma è che il modellismo nelle sue sfaccettature può essere di stimolo
nella preparazione scolastica, perché sprona l’immaginazione, la scoperta dei materiali (peso, consistenza,
duttilità) e del loro uso nell’adattarlo al modellismo, ma soprattutto dà ai ragazzi la possibilità di esprimersi
destando, o ridestando, la manualità propria dell’Homo Sapiens.
Mi auguro che in futuro la scuola ne prenda atto e sostenga la realizzazione di laboratori didattici manuali,
vale a dire rimetta in gioco le antiche “Applicazioni tecniche” attraverso il coinvolgimento di istruttori
didattici validi, da affiancare al corpo docente, con il compito di offrire allo studente stimoli tecnici e
tecnologici”.
Sono e siamo disponibili a incontrare chiunque sia interessato a questo progetto.
Considerazioni per non concludere
Grazia Bisonni
L’esperienza ormai trentennale sul campo e la fortuna nell’ultimo periodo di operare in un Centro di
Cultura per il Gioco situato all’interno di un parco pubblico mi suggeriscono questo tipo di osservazione:
che cosa accade quando un gruppo di ragazzini incontra uno spazio non strutturato, un prato se sono
fortunati, ma anche una piazza o una strada non destinata al traffico automobilistico?
Come per magia, quasi sempre salta fuori una palla e quattro zainetti o magliette diventano i pali di porte
immaginarie delimitando così i confini del campo di gioco, oppure si improvvisa una gara con lo skateboard
per affrontare scalini e imperfezioni del terreno che possono provocare rimbalzi inaspettati.
Ma si tratta di immagini abbastanza rare nelle nostre città e al ragazzo o alla ragazza amanti del gioco
sportivo non resta che rivolgersi ad una palestra o un campo attrezzati.
Questo il grande paradosso in cui viene a trovarsi il gioco e in particolar modo il gioco di movimento:
quando il tempo libero infantile non era considerato un problema educativo ma veniva lasciato alla
discrezione dei bambini stessi, il gioco nasceva non da un’intenzionalità educativa adulta ma da una
necessità quotidiana dei bambini, che dovevano anzi inventarsi il modo di sopravvivere ad una certa
trascuratezza da parte degli adulti. I bambini dovevano arrangiarsi, ma, avendo molto tempo per giocare
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insieme ed uno spazio per poterlo fare, mettevano in campo tutta la loro creatività per inventare i modi più
personalizzati di divertirsi.
Dove ancora l’infanzia può disporre di tempi e spazi di aggregazione autonoma e ha la possibilità di vivere
un rapporto diretto con la realtà fisica e sociale, sviluppa una vera e propria cultura ludica indipendente che
si trasmette direttamente, senza mediazioni del mondo adulto.
Nell’organizzazione delle società moderne con la loro continua frammentazione dei saperi e dei tempi,
invece, il gioco e il giocare, e proprio perché riconosciuti come vitali per l’esistenza, vengono direzionati
verso ambiti creati e organizzati appositamente dagli adulti.
I ritmi veloci della vita quotidiana, il processo di specializzazione funzionale degli spazi urbani che ha
progressivamente fatto scomparire luoghi di libero incontro e, contemporaneamente, l’estensione dei
tempi scolastici e il proliferare di attività specialistiche nel tempo libero, che offrono occasioni di amicizia,
ma solo fra coetanei e non la socializzazione fra soggetti di età diverse, hanno interrotto quel circuito
naturale di trasmissione continua e non programmata di regole e pratiche dei giochi di gruppo, di tutti quei
giochi che chiedono tempi dilatati e spazi ampi e aperti.
Oggi queste esperienze possono anche essere organizzate e lo sono, spesso con grande attenzione e
professionalità, da educatori e insegnanti, ma non è la stessa cosa: viene a mancare quello spirito di fuga
dal mondo adulto, di autonomia, di libertà e di imprevedibilità che rende il gioco sempre una nuova
avventura. I comportamenti dei giocatori sono regolamentati a priori e bambini e ragazzi compiono sempre
tutto con azioni codificate e stabilite dagli adulti.
Un gioco di competizione spontanea non richiede lo stimolo di premi o medaglie, è divertente per chi lo
gioca, la gara si svolge solo all’interno del campo gioco, non prevede tifosi ed è quasi sempre possibile
variare la durata della competizione, i ritmi dei punteggi e determinare sul momento il termine della partita
e delle rivincite. Può accadere che non vi siano punteggi finali a sancire la conclusione, ma un’alternanza di
successo e insuccesso e di ruoli interscambiabili, o il gioco può ricominciare automaticamente, cosicché
ciascuno è di fronte a una nuova possibilità. Consente di sperimentare forme relazionali diversificate, non
solo la competizione fra singoli giocatori o l’alleanza di un gruppo contro un altro gruppo, ma, in diversi
giochi il meccanismo prevalente risulta essere quello dell’ambivalenza ludica, cioè la possibilità di essere
contemporaneamente alleati e avversari di qualcuno e conseguentemente di trovarsi nella condizione di
variare le proprie alleanze e cercare continuamente nuove strategie di gioco.
Le regole appartengono solo ai giocatori e parte del gioco è dedicato alle discussioni sulle stesse: le regole,
la loro natura, la loro trasformazione, l’intervento che i giocatori possono compiere su di esse,
appartengono alla sfera degli affetti, allo sviluppo delle capacità relazionali, allo sviluppo della coscienza di
sé e del proprio essere con gli altri. Proprio nel gioco e nella sua carica identificativa si muovono aspettative
e progettazioni, amicizie e ostilità, esuberanze e timidezze, emozioni e regolamentazioni. Solo chi gioca
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capisce cosa stia avvenendo all’interno del campo e solo chi gioca si fa arbitro degli eventi complessi che
avvengono durante la partita.
Ogni giocatore è accettato dal gruppo nello svolgimento del ruolo che ha in quel momento, non è
sottoposto a giudizi o valutazioni e se sbaglia, quasi sempre cambia ruolo o al limite, in molti giochi, fa la
penitenza, che poi è un altro gioco.
Questo non significa svalutare lo sport praticato nelle Federazioni, significa semplicemente segnare una
differenza.
I due sottogruppi che si sono confrontati su questo tema “gioco e sport”, guidati da Loretta Fabiani e
Michele Segreto, hanno richiamato la nostra attenzione sul fatto che non sempre i giochi sportivi praticati
nelle Federazioni perdono la loro identità ludica per assumerne una esclusivamente tecnica, specialistica,
professionalizzata e tesa alla selezione di piccoli campioni, ma che esistono molte realtà in cui l’aspetto
educativo e quello ludico e della relazione sono prioritari e che in questa direzione si effettua la formazione
degli allenatori. La consapevolezza degli allenatori di essere in primo luogo educatori è risultata essere una
delle questioni prioritarie da sottoporre alla riflessione di tutti i partecipanti al convegno.
Un suggerimento si è aggiunto nella discussione conclusiva in merito all’intervento educativo che dovrebbe
essere rivolto in primo luogo ai genitori, che sovente investono sui propri figli aspettative di successo oltre
misura, perché essi costituiscono un modello per il tipo di approccio che i bambini avranno con lo sport. E
forse questo sforzo educativo potrebbe tentare di aprire una breccia nella nostra società, dominata dalla
fabbrica del divertimento, che rischia di allontanare sempre più il gioco di gruppo e di squadra dalla sfera
del divertimento disinteressato, trasformandolo e modellandolo secondo l’ideologia competitiva
dominante, che impone il principio della supremazia nei confronti degli altri, ostenta ammirazione e
rispetto soltanto per i “vincenti” ed enfatizza l’aspetto di spettacolarità della competizione sportiva e il
risultato finale.
Non più abituati a vedere i ragazzi giocare liberamente all’aperto e un po’ spaventati dai grandi spazi aperti
non strutturati che consideriamo ambienti pericolosi e non adatti ai bambini, è più facile e tranquillizzante
per noi adulti, genitori o educatori, predisporre spazi idonei, sicuri, con tutti i possibili para-pericoli, con
materiali e oggetti creati appositamente per l’infanzia.
Il pedagogista Walter Ferrarotti amava ricordarci che “il luogo più sicuro di questo mondo è il luogo più
diseducativo di questo mondo” perché la sicurezza non è solo un problema di ambiente da modificare, ma è
soprattutto un problema di conoscenza, di consapevolezza del rischio, di capacità di riconoscere il contesto
in cui ci si muove ed assumere comportamenti adeguati, di capacità di prevedere le conseguenze di
un’azione. La sicurezza è in primo luogo un problema educativo e di sviluppo dell’autonomia.
In nome della sicurezza dei nostri bambini spesso limitiamo i loro contatti con la realtà, che avvertiamo
sempre più minacciosa, offrendo in cambio conoscenze preconfezionate senza che possano verificarle con
l’esperienza diretta; e così, nelle ultime generazioni, sempre più bambini e ragazzi imparano a rapportarsi
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con animali, luoghi, persone senza averne avuto una conoscenza diretta, crescono assorbendo la realtà
sempre sotto forma di racconto di esperienze fatte da altri e codificate anziché viverle in prima persona,
sono immersi in un mondo di immagini televisive e di libri molto ben illustrati, sono circondati da giocattoli
che riproducono perfettamente oggetti reali, ma sono sempre solo imitazioni della realtà.
Il fatto che ai ragazzi manchi l’esperienza diretta ed esplorativa dell’ambiente fisico e sociale che li circonda,
il problema della sicurezza e la necessità di recuperare la mobilità, la manualità e il rapporto con la natura,
sono alcuni dei temi su cui i sottogruppi guidati da Stefano Oletto e Roberto Lattini ci invitano a riflettere.
Dal momento che nella nostra moderna organizzazione urbana ogni luogo è stato adibito ad una precisa
funzione e gli spazi cittadini esterni sono destinati quasi esclusivamente al transito, è venuta a mancare
quella loro importante funzione sociale di luoghi di incontro, ma non è affatto scomparso il bisogno di
incontrarsi. Lo si può notare dall’interesse e dalla grande partecipazione alle feste e manifestazioni
cittadine organizzate in piazza. Ne è un esempio “La festa del л” che ci ha raccontato Paolo Munini, in cui
anche gli adulti sono coinvolti in prima persona in un’esperienza ludica.
Un intervento su questo argomento ha sottolineato l’importanza di quei giochi della “matematica
ricreativa”, in cui i bambini, i ragazzi e gli adulti riescono a sentirsi “alla pari”; sono quei giochi che possono
essere giocati con divertimento da tutti e quindi possono essere anche alla base di nuove relazioni fra
individui diversi. Non solo, ma “uscire dagli schemi”, che è stato considerato dal gruppo di lavoro un punto
fondamentale da porre all’attenzione di tutto il convegno, allenare la mente a questo, può contribuire ad
aumentare la curiosità verso quanto ci circonda e può abituare a considerare gli altri nella loro complessità.
Questo è un atteggiamento che si acquisisce nel tempo, che necessita di un costante allenamento, e di un
esercizio di coerenza educativa più che di un diretto insegnamento.
Nella fase conclusiva del lavoro si è evidenziata la necessità di rimettere insieme tutti gli aspetti affrontati
nella discussione per non rischiare di proporre un approccio frammentato nei confronti del bambino: ora si
considera il momento di svago, ora il momento di apprendimento, ecc., per affrontare il discorso educativo
nella sua complessità.
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Capitolo 5
Memoria e trasmissione nel gioco di tradizione popolare
Il tema: in un momento in cui pare abbia ripreso importanza culturale e storica la salvaguardia della
memoria, al di là dell’evento folcloristico della festa di paese, (senza voler esprimere alcun giudizio di valore)
in quale dimensione si può ancora incontrare e reinventare il gioco di tradizione popolare?
Coordinamento a cura di: Antonio Damasco, Bruna Pangallo
Contributi di: Antonio Damasco (Rete Italiana Cultura Popolare - Torino), Bruna Pangallo (Punto gioco
Cirimela - ITER - Torino), Piero Santoni (Associazione L’ingegneria del buon sollazzo - Firenze), Giancarlo
Tavella (Associazione Il gioco delle bije - Farigliano), Maria Pina Casula (UISP Sardegna - Cagliari)
Riflessioni e lavoro di gruppo
Antonio Damasco, Bruna Pangallo
Il tema proposto in questo gruppo di lavoro suggerisce di esaminare l’aspetto più tradizionale del gioco in
un’ottica che parte dalla realtà attuale, dalle caratteristiche, dagli interessi delle nuove generazioni di oggi,
per rivedere senza pregiudizi ma anche senza inutili enfasi, cosa è sopravvissuto, cosa è assolutamente
indispensabile non perdere della cultura ludica tradizionale poiché conserva un valore educativo pregnante
e significativo per la società contemporanea.
L’interrogativo da cui si è partiti riguarda la dimensione in cui si può ancora incontrare e reinventare il gioco
di tradizione popolare in un momento in cui ha ripreso importanza culturale e storica la salvaguardia della
memoria, depositaria di una cultura popolare da non disperdere. Antonio Damasco ha aperto i lavori
presentandosi ed illustrando gli obiettivi e le attività della Rete Italiana di Cultura Popolare, soffermandosi
in particolare sui concetti di salvaguardia delle testimonianze viventi di varie forme di cultura popolare,
incluso il gioco, della trasmissione di questa cultura tra diverse generazioni, sul concetto di “tradimento”
insito nella trasmissione stessa e lanciando l’invito ad entrare nella Rete a tutti gli operatori e le
organizzazioni che, a diverso titolo, si adoperano per mantenere in vita le nostre tradizioni ludiche.
Subito dopo c’è stato l’intervento di Bruna Pangallo che, ricollegandosi ai concetti già espressi, ha riportato
il tema della cultura, della memoria e dell’oralità ad una dimensione più direttamente ludica, parlando di
gioco come espressione privilegiata della cultura popolare, ma anche come forma educativa imprescindibile
per la trasmissione di quei valori socialmente condivisi che caratterizzano una comunità e contribuiscono a
creare una forte identità di gruppo.
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Altri temi toccati nell’intervento, e proposti per un approfondimento nella successiva discussione, sono
stati il problema del rapporto tra gioco creativo, costruzione e autoproduzione di giocattoli e norme e
misure di sicurezza vigenti, rapporto spesso complicato e ricco di insidie, fonte di ansia per molti educatori;
inoltre il tema del gioco d’azzardo ieri e oggi, nelle sue diverse forme ed espressioni, è apparso un
indicatore significativo del rapporto tra disagio sociale, deprivazione culturale e necessità di un riscatto
economico-sociale o, almeno, della possibilità di nutrirne la speranza.
A questo punto la parola passa ai due interventi prenotati per la presentazione di esperienze significative e
buone pratiche: Piero Santoni della Compagnia del Buon Sollazzo di Rignano sull’Arno (Firenze) e Maria
Pina Casula della UISP di Sassari.
Piero Santoni presenta l’esperienza portata avanti dalla sua associazione attraverso la creazione di un
ludobus e di tutta una serie di giochi autocostruiti che, recuperando lo spirito e la giocabilità dei giochi
tradizionali, sono stati reinventati con materiali e tecniche attuali, per offrire sempre nuovi stimoli ludici in
una società sempre più condizionata dalla comunicazione ipertecnologica. Viene quindi presentato il
progetto di un “Parco Diffuso”, che con ambizione ed audacia propone la realizzazione di un sogno: una
Città Ludica, in cui tutti, bambini ed adulti, possano ritrovare una vivibilità degna della dimensione umana.
La pedagogista Maria Pina Casula, presidente della UISP di Sassari, presenta una interessante ricerca sugli
sport ed i giochi tradizionali in Sardegna, realizzata negli anni 2006-07, che ha coinvolto i bambini dei centri
estivi, educatori e studenti dell’istituto statale d’arte di Sassari, oltre che 238 anziani del territorio
interessato, che sono stati intervistati ed hanno offerto la loro testimonianza su giochi, racconti,
filastrocche ed usanze ludiche di un passato più o meno recente, ma comunque quasi dimenticato. Il lavoro
di ricerca ha condotto ad una classificazione dei giochi “ritrovati” e alla ricostruzione di alcuni giocattoli e
manufatti artigianali, consentendo di mettere in relazione due mondi diversi (sport e cultura) ma non
contrapposti, e stimolando l’organizzazione di numerose giornate di animazione e festa, durante le quali
bambini, giovani, adulti e anziani sono stati coinvolti in giochi di piazza e in eventi ludici di grande
risonanza.
A seguito di questi due interventi molto interessanti è stato aperto il dibattito agli interventi liberi sui temi
proposti, sulle diverse esperienze di lavoro ludico e su eventuali considerazioni sulle relazioni ascoltate.
Non possono non cogliere subito l’occasione di portare la loro significativa esperienza le insegnanti del
settore Tradizione del Centro per la Cultura Ludica di Torino, che intervengono descrivendo la realtà del
centro nei suoi diversi aspetti, le proposte per il pubblico e per il privato, per le scuole, per le famiglie, per
la formazione di insegnanti ed educatori. Si soffermano in particolare sul recupero e la riproposta dei giochi
di strada e di cortile, la ricostruzione di giocattoli con materiale di recupero sia rurale che urbano e
ricordano la collezione di giochi della tradizione piemontese raccolta da Giancarlo Perempruner,
soprattutto nelle valli cuneesi.
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La loro esperienza testimonia il grande valore di questi giochi, che conservano una grande giocabilità ed un
non trascurabile valore educativo a livello relazionale in generale ed interculturale in particolare. Il gioco
diventa un linguaggio universale nello spazio e nel tempo: in questa ottica si sta sviluppando il progetto
dello SmiG (Spazio mostre in Gioco), che nella nuova sede espositiva di via Fossano accoglierà inizialmente
la raccolta di giochi del Marocco realizzata dall’antropologo belga Jean Pierre Rossie.
Sonia, un’educatrice della ludoteca Aquilone di Amelia (Terni) racconta la sua esperienza di spazio gioco
con bambini da uno a tre anni al mattino e con ragazzi di età scolare al pomeriggio, ricordando soprattutto
le difficoltà incontrate nel rapporto con i genitori e gli adulti in genere, a causa della paura dei pericoli e del
problema della sicurezza quando si propongono attività di laboratorio o di gioco che esulano anche
minimamente da quelle effettuate normalmente a scuola. Si tratta effettivamente di un problema molto
sentito, soprattutto nelle realtà più piccole, dove il timore di incorrere in “incidenti” di percorso può
portare ad un atteggiamento di eccessiva prevenzione, che può tradursi in minori stimoli creativi.
L’intervento di Francesco, un educatore dell’associazione Babalud di Saviano (Na), specializzata sui giochi
della tradizione soprattutto campana, riporta l’attenzione all’ambiente in cui si trovano ad operare,
caratterizzato da forti disagi sociali, e alle particolari modalità di intervento diretto necessarie per interagire
positivamente con i ragazzi del luogo; si tratta sovente di organizzare attività prevalentemente all’aperto, a
differenza del Nord Italia, e la rivalutazione di alcuni giochi tradizionali come la lippa (chiamato mazza e
pizzo), ritrovati nella grande manifestazione nazionale di Verona, è uno degli strumenti privilegiati per
lavorare sulle dinamiche di gruppo, la contrattazione delle regole, l’inserimento di nuovi soggetti nei gruppi
precostituiti e per raggiungere alcuni obiettivi primari quali il rispetto reciproco, la capacità di rispettare le
regole, i tempi del gioco e risolvere in maniera civile le controversie. In questo caso la tradizione deve
essere adattata alla realtà dei giovani di oggi, e necessariamente modificata per permettere quella
“palestra di relazioni” di cui essi maggiormente necessitano.
Intervengono nuovamente le insegnanti del Centro per la Cultura Ludica di Torino sul problema della
sicurezza, ricordando la propria personale esperienza di formazione con Giancarlo Perempruner, il quale
consigliava per la costruzione dei manufatti l’uso di semplici strumenti, se possibile manuali e non elettrici,
e l’utilizzo di un coltellino OPINEL , una volta in dotazione di ogni famiglia, ma anche di molti ragazzini. Il
segreto per lavorare in sicurezza consiste nel fare esperienza: il primo gioco è proprio prendere un arnese
in mano e studiarne il funzionamento, a prescindere dalla produzione di un prodotto finito. Sovente nei
loro centri si può osservare che i nonni fanno da mediatori in queste attività più dei genitori, poiché
provengono da un tempo in cui queste esperienze “costruttive” erano fondamentali per ogni ragazzo,
apprese attraverso l’insegnamento dei fratelli maggiori o dei ragazzi più grandi, oggi del tutto scomparso a
causa della rigida organizzazione sociale in gruppi d’età omogenei. Solo nei loro laboratori, sovente, i
ragazzi possono realizzare queste esperienze, e le insegnanti tentano, pur con difficoltà ma con successo, di
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far usare molti attrezzi manuali insegnandone l’uso con gradualità: ciò costituisce già di per sé un grosso
valore educativo che va oltre quello della conoscenza e riproduzione dei giochi di una volta.
Rosi, un’insegnante del punto gioco Cirimela di Torino, ricorda come anche nel suo centro a volte gli adulti
presenti, genitori o insegnanti, abbiano difficoltà a tollerare il rumore o l’apparente “confusione” di un
atelier produttivo, ed in questo caso vengono invitati, senza darne un giudizio negativo ma
comprendendone le difficoltà, a “prendersi uno spazio per loro”, allontanandosi se ne hanno la necessità,
per arrivare poco per volta a comprendere il valore delle attività che i loro ragazzi stanno svolgendo. Viene
ricordato, ad esempio, un percorso per le scuole di qualche anno fa, intitolato “Battere il chiodo”, che è
stata un’esperienza molto bella per i ragazzi ed anche per gli educatori, consisteva nell’attività vera e
propria di battere chiodi su pezzi di legno appositamente predisposti e scelti, senza una particolare finalità
produttiva, ma come attività positiva di per sé, creativa e artistica in qualche modo.
La storia del punto gioco Cirimela parte proprio dalla necessità di rivalutare le attività creative e costruttive
dei tempi passati, che si realizzano oggi in un laboratorio sempre attivo centrato però sulla modernità, su
tutto ciò che la nostra realtà urbana offre come scarto delle famiglie e delle industrie; inoltre si valorizza la
valenza educativa del gioco tradizionale, che attraversa anche diverse fasce d’età, e si concretizza
soprattutto nei giochi di movimento all’aria aperta per buona parte dell’anno. La rispondenza delle famiglie
è molto buona, ed il coinvolgimento anche di genitori e nonni nelle diverse attività del centro risulta
fondamentale per la trasmissione di alcuni principi educativi basilari.
I bambini presenti hanno sempre la possibilità di scegliere quale gioco fare e con chi, e ciò risulta essenziale
in una organizzazione di vita in cui le possibilità di scelta sono sempre più ridotte. Anche l’occasione per
poter giocare insieme ai propri genitori o nonni non è usuale per i bambini di oggi e la frequenza a Cirimela
può diventare lo stimolo per riprendere un dialogo su un piano ludico, mentre si verifica che i giochi
tradizionali mantengono una loro attrattiva ancora oggi e si concretizzano nel piacere di giocare e divertirsi
con poco, materiali semplici o addirittura senza oggetti.
Diversi altri interventi sottolineano l’importanza di rivalutare questi giochi e viene anche lanciata la
proposta per le prossime festività natalizie di farsi promotori di un’iniziativa che si potrebbe riassumere nel
motto: “Per Natale niente giochi nuovi, ma giochiamo insieme!”
Alcune operatrici di diverse cooperative che operano in vari comuni italiani sottolineano come la realtà di
Torino in tema di gioco sia una vera e propria utopia in confronto ad altre realtà, dove le risorse messe in
campo sono a livelli molto diversi.
Pur essendo la discussione molto interessante ed ancora del tutto aperta ad ulteriori interventi, il tempo si
rivela tiranno e ci costringe, nostro malgrado, ad interrompere i lavori in corso per arrivare alla definizione
di alcuni temi fondamentali da portare in sessione plenaria da parte del relatore.
La sintesi estrema a cui si giunge collettivamente è rappresentata da alcune parole-chiave che vengono
identificate come rappresentative dei concetti fondamentali emersi nel gruppo:
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Identità
Valorizzare la coesistenza di una pluralità d’identità che nell’atto del gioco o di un’azione sociale si
confrontano.
Memoria e concetto di trasmissione
Individuare quelle che sono state le espressioni del passato e renderle fruibili per le comunità del presente.
Re-invenzione
Avere il diritto di interpretare una tradizione a seconda dei modelli contemporanei.
Tradimento
Operare al fine di ripristinare una tradizione ed avere la coscienza che in quel momento una forma di
“tradimento” permette ad essa stessa di perpetrarsi.
Il gioco degli adulti
Rivalutare la dimensione del gioco come parte fondamentale della vita adulta e come ambito privilegiato di
relazione con le nuove generazioni.
Libertà di scelta del bambino: cosa fare e con chi
Avere uno spazio di tempo e luogo per poter esercitare il diritto alla scelta, nel come, nel che cosa e nel con
chi giocare.
Sicurezza: educare al rischio
Cercare di operare nel rispetto della sicurezza personale, affidando alle esperienze progressive la
consapevolezza del proprio agire.
Il piacere del sollazzo
Pensare che il gioco sia una eterna ricerca della bellezza e del piacere della vita sociale.
1. Giocare ancora ai giochi di ieri?
Bruna Pangallo
Il concetto di memoria e di testimonianza orale è stato rivalutato dal filone della Nuova Storia francese, che
nel secolo scorso ha ampliato i campi di interesse della storia tradizionale dalla politica ed economia a
nuovi temi quali la vita quotidiana e la cultura popolare. La testimonianza diretta dei protagonisti ha offerto
una nuova visione dei più recenti eventi, dall’ultima guerra, alla Resistenza, all’olocausto, sottolineando la
necessità di salvarne la memoria “per non dimenticare”. Anche rispetto a temi relativi ad aspetti di vita
materiale, tecnologie, lavoro, alimentazione, racconti, feste e passatempi, il ricordo ed il racconto delle
persone ormai anziane che li hanno vissuti è oggigiorno oggetto di interesse e di studio da parte di storici,
studiosi, associazioni culturali ed è spesso valorizzato anche nelle nostre scuole.
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La necessità di salvare la memoria di esperienze e testimonianze culturali del nostro passato è
un’emergenza generalmente riconosciuta ed il tema del gioco rientra a pieno diritto in questa tematica, in
quanto espressione culturale di grande rilievo, che ha subito grandissime trasformazioni negli ultimi
cinquant’anni, legate ai cambiamenti ambientali, culturali ed economici della società.
La tematica del tempo libero, delle feste, dei riti stagionali, dei giochi coinvolge il ricordo dei protagonisti a
livello fortemente emotivo, in quanto legato a momenti della propria vita estremamente significativi dal
punto di vista formativo della propria identità e del proprio ruolo. Diverse associazioni, di cui abbiamo in
questo gruppo una rappresentanza, ed i nostri stessi centri per il gioco di Torino, si occupano di raccogliere,
“salvare” e far rivivere queste espressioni di cultura ludica tradizionale, cercando di dare loro nuova energia
vitale e di trasmetterle alle nuove generazioni. Ciò è estremamente importante perché il valore educativo
di questo tipo di giochi risiede proprio nella forte coesione di gruppo che producevano, nella trasmissione
di valori socialmente condivisi e conseguentemente nella creazione di una forte identità locale. Questi sono
aspetti che hanno grosse difficoltà a riprodursi nelle attuali condizioni sociali, caratterizzate spesso da
isolamento e scarsissime occasioni di incontro tra esponenti di generazioni diverse. È importante
sottolineare che il concetto di identità locale non ha nulla a che fare con l’etnia, ma solamente con il
territorio, e può e deve coinvolgerne tutti gli abitanti, pur di diversa provenienza etnica, esaltando le
diverse peculiarità ma anche le enormi somiglianze, che in tema di gioco sicuramente esistono.
Altro aspetto da evidenziare è l’importanza del “passaggio del testimone” tra vecchie e nuove generazioni:
oggi i nonni si sentono spesso disorientati nei confronti delle nuove abilità tecnologiche dei nipoti, al punto
da sottovalutare essi stessi il proprio patrimonio di competenze e cultura tradizionale, ritenuto ormai
obsoleto ed inutile. Devono essere aiutati a riconoscere il valore delle loro conoscenze ed incoraggiati a
comunicarle ai giovani offrendole come un dono prezioso, ben superiore a quello di beni materiali o
biglietti di super-lotterie, abitudine che sembra essere diventata ormai assai diffusa.
Mi interessa sottolineare in questa sede l’importanza del gioco di tradizione popolare non tanto e non solo
da un punto di vista culturale, aspetto sicuramente molto importante (esistono organismi appositi che se
ne occupano), ma soprattutto, come educatori, dobbiamo occuparci di recuperare il grande valore
educativo di questo tipo di giochi; valore che risiede soprattutto nella loro peculiarità di giochi prettamente
sociali e di gruppo, che favoriscono il confronto, l’elaborazione di regole condivise, la formazione di
comportamenti, linguaggi gergali e consuetudini che identificano il gruppo e comunicano all’individuo un
importante senso di appartenenza che perdura nel tempo, contribuendo alla formazione dell’identità
personale. Si tratta di aspetti educativi non trascurabili, che difficilmente si realizzano con i giochi moderni,
spesso troppo codificati, che lasciano scarsi margini di interpretazione individuale. All’educatore di oggi si
pone il problema dell’attrattiva che i giochi tradizionali, nella loro semplicità strumentale, possono
esercitare sui nostri bambini e ragazzi, cosiddetti nativi digitali, con competenze tecnologiche sovente
superiori alle nostre. La nostra opinione, riscontrata in una lunga pratica di gioco nei nostri centri, è quella
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di un grande interesse e coinvolgimento in questi giochi che, nonostante non si generino spontaneamente,
ma abbiano la necessità di essere proposti e stimolati da un adulto attento e competente, possiedono
tuttavia un potenziale di coinvolgimento ludico altissimo a livello relazionale; d’altronde non è certamente
un caso se sono sopravvissuti nei secoli. Questo aspetto relazionale è ciò che mi sembra importante
recuperare nelle nostre esperienze di gioco oggi, perciò mi appaiono particolarmente interessanti le
esperienze di “reinvenzione” del gioco tradizionale, di cui dobbiamo salvare soprattutto l’essenza più che la
forma, gli aspetti di contenuto educativo che lo caratterizzavano più che cercare di mantenersi fedeli alle
procedure, ai materiali o ai regolamenti, che in qualche caso possono essere rivisti ed “attualizzati” senza
deprivarne il valore più autentico.
Un problema da non sottovalutare, parlando di materiali, riguarda il rapporto con problemi di sicurezza in
relazione alla normativa vigente: certamente i giochi autocostruiti non possono esibire un marchio CE di
conformità europea, tuttavia ci pare importante non limitarne l’uso per questi motivi, al contrario si
potrebbero utilizzare proprio le caratteristiche particolari di questi prodotti per sviluppare le capacità
individuali di valutazione dei pericoli ed educare alla prevenzione possibile del rischio, elementi
imprescindibili per una efficace politica di sicurezza del gioco.
Non si può negare che il gioco d’azzardo abbia sempre fatto parte della tradizione popolare, che, attraverso
scommesse e vincite a giochi di carte, permetteva ai più umili di “vincere la malora”: lo stimolo per giocare
nasceva da una situazione di povertà che faceva tentare la fortuna in ogni modo, ma tra i giocatori vigeva
una specie di codice d’onore, che faceva sempre tenere fede ai debiti di gioco. Tra i bambini l’azzardo si
realizzava giocandosi figurine, biglie, pennini, bottoni o al massimo qualche piccolo soldo, e quasi tutte le
forme di gioco “di interesse” si basavano sull’abilità personale, dedicando anche molto tempo
all’allenamento di specifiche capacità. Al contrario oggi si preferisce affidare totalmente al caso le proprie
possibilità di riscatto sociale ed infatti proliferano le lotterie ed i giochi di fortuna in cui le competenze
individuali non hanno alcun significato. L’enorme diffusione di tali pratiche, che spesso coinvolge anche
bambini abbastanza piccoli, ci pare un campanello d’allarme sociale, in quanto si perseguono sempre più
obiettivi di ricchezza e successo, a scapito di valori quali la formazione e il conseguimento di competenze
utili alla propria realizzazione di vita.
Su questi nodi problematici della salvaguardia e del valore attuale del gioco di tradizione apriamo il gruppo
di lavoro ai diversi interventi, a partire dalle relazioni di Piero Santoni e di Maria Pina Casula ed a seguire a
tutti i partecipanti che desiderino portare il loro contributo su questi temi.
Era prevista in questo gruppo la partecipazione anche di Giancarlo Tavella, dell’Associazione Birilli di
Farigliano (CN), per raccontarci l’esperienza di un progetto educativo che porta all’interno delle scuole del
suo territorio la cultura ludica tradizionale, per conservare e diffondere le diverse forme di gioco in uso nel
secolo scorso nel territorio piemontese. Purtroppo Giancarlo non ha potuto essere presente oggi, ma ha
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inviato il suo contributo in forma di relazione, che alleghiamo per rendere più completo il quadro della
tematica trattata.
2. Lavorare insieme costa di più
Antonio Damasco
Storia di ragazzi
Sembra un’affermazione provocatoria, invece è una realtà innegabile. Anzi, in questi nove anni di
“costruzione” della Rete, chi ha lavorato al progetto è stato via via apostrofato con appellativi che, nel
migliore dei casi, mostravano indifferenza, se non sentimenti di sufficienza, facendo sentire tutti noi un po’
illusi od addirittura presuntuosi. Un filo d’ironia, sul nostro volere “unire l’Italia” attraverso le Culture, non
era difficile scorgerlo tra le personalità più “aperte”. Sapendo bene che questo Paese ha fatto delle proprie
“identità” uno scudo da alzare contro il Comune più vicino.
Se avessimo immaginato tutto ciò che ci sarebbe capitato, forse non avremmo avuto il coraggio di molte
delle azioni che tuttora accompagnano questo faticoso percorso.
Ma si sa, l’incoscienza è la madre dei sogni meno realizzabili ed i cuscini dei giovani ne sono le migliori
dimore.
Sarebbe stato certo più semplice - l’idea partì proprio da Torino, dalla sua Provincia, dalla sua Regione, in
loro avevamo trovato subito interlocutori attenti e pronti ad accogliere le nostre proposte - sarebbe stato
comodo, dicevo, creare l’ennesimo festival di musica, teatro, danza o video per esprimere tutta
quell’energia vitale e la voglia di dimostrare, che incolpevolmente la nostra età si portava addosso.
Ma Torino, allora come oggi, è veramente un laboratorio di nuove convivenze: lo era già stata per mio
padre, giovane emigrato napoletano, in una FIAT che aveva richiamato la più vasta rappresentanza
italiana… una sorta di parlamento popolare per un giovane Paese.
Esiste un’età in cui portare un cappotto invece che una giacca ha la stessa funzione di “appartenenza”
dell’indossare una maglia di una squadra calcistica e anche per noi, che camminavamo con in mano un libro
invece che una chiave inglese, era facile avere l’arroganza di credere che bastasse leggerlo o peggio
“possederlo” per conoscere “la verità”.
E allora, forse complice una migliore situazione economica - a pancia piena si studia di più e si ragiona
meglio - o ancora la neonata rivoluzione della “rete” per eccellenza - quella che sembra esistere da sempre,
mai nata! Internet - il mondo diventava improvvisamente più piccolo, raggiungibile. La nostra generazione
era la prima a potersi immaginare oltre i confini della propria strada, quartiere, città e nazione restando
comodamente a casa propria.
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La storia sarebbe lunga e le persone incontrate che si appassionarono al progetto furono molte da tutta
Italia: i folli fra loro si attirano e la pazzia, quella, non ha età.
Quell’idea crebbe, quel Comitato Promotore per la Valorizzazione delle Tradizioni Popolari organizzò, da
subito, un festival sì, ma itinerante nell’intera penisola, facendo incontrare a tutti una cultura che solo fino
a dieci anni fa era descritta come residuale, “museale” o, in senso dispregiativo, “folkloristica”, senza alcuna
possibilità di comunicare con i contemporanei. Ed invece, come spesso capita alzando lo sguardo al cielo,
inspiegabilmente il vento decise di cambiare ritmo e direzione, da sud a nord e viceversa: migliaia di ragazzi
si ritrovarono nei paesi di provincia a pestare i piedi con e come i loro nonni, per sfuggire dal morso della
tarantola, o a stringere mani sconosciute per un circolo occitano. Non lo facevano con i costumi di un
passato idealizzato, ma con jeans e magliette alla moda, registrando file-video con cellulari iper-tecnologici,
e ben presto facendo di quei ritmi la base per nuove sperimentazioni.
Senza rendersene conto, alcuni - pochi, troppo pochi - portatori di quei saperi destinati ad estinguersi con la
loro presenza (dalla musica alla teatralità, dall’artigianato al rito della tavola), cominciarono ad essere
circondati da persone che li riconobbero quali “Maestri” che non accettarono di omologare la propria
cultura a quella dominante e che divennero improvvisamente i rappresentanti della “resistenza” per la
diversità culturale. Gli stessi che pochi anni prima venivano additati come nostalgici, appartenenti ad un
passato da dimenticare in fretta, vecchi insomma, divenivano adesso paladini di una rinnovata dignità,
dando una sconosciuta speranza a coloro che sarebbero venuti dopo.
Ma quale tradizione?
Volevamo incontrare la tradizione. In una sorta di ricerca emozionale, dove l’ambiguità del presente di noi
immigrati di seconda generazione, o sradicati dalle campagne autoctone e inseriti in una città
multiculturale, si “scontrava” con una discordante radice linguistica e carnale.
Cercavamo di appartenere a questa città, dove eravamo cresciuti e ci eravamo formati. Ma tornando a
casa, ogni giorno, ci sembrava di percorrere mille e più chilometri, trovando nelle nostre cucine, sui tavoli
del soggiorno, fuori dai balconi, i segni dei luoghi da cui provenivano i nostri genitori: Palermo, Napoli,
Potenza, Reggio Calabria o anche la campagna di La Morra, Biella, Vercelli e Val di Susa. Questo era il vero
laboratorio! Con gli anni imparai dall’Antropologia che il nostro sentimento era e sarebbe stato comune a
quello di molte altre migrazioni, dove i padri rifiutano la propria memoria mentre i figli ri-leggono quella dei
nonni, così come ora sta accadendo ai nuovi migranti provenienti da Perù, India, Romania …
Questo fu l’avvio: incrociando alcuni di questi “maestri inconsapevoli” avevamo la possibilità di conoscere
una “cultura altra”, assente dai programmi scolastici. In un luogo dove i saperi si erano sedimentati, re-
inventati, sovrapposti a quelli di molti altri e si erano trasferiti da una generazione all’altra, da padre in
figlio e da madre in figlia, oralmente, attraverso l’esercizio della comunità, della condivisione delle
esperienze: voce, corpo e azione. Non era un atto artificiale, ma necessario, quando la musa della poesia
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sedeva tra i pascoli degli Appennini, scenario per eserciti di animali, condotti da un poeta-pastore che
improvvisava poesie in terzine, sestine ed ottave. Greggi quieti che ascoltavano storie di paladini o la
“Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso.
Non vogliamo mitizzare un mondo, non parliamo di un passato “arcadico”, la fame di quell’ epoca ci è sin
troppo nota, ma non vogliamo neppure lasciare che i nostri figli rimangano senza questa memoria e quel
che a noi ha trasmesso.
Vogliamo però provare a vincere almeno la battaglia delle “diversità culturali”, far sapere anche a loro,
bambini che oggi hanno quattro, sette, dieci anni, che la bellezza è reperibile ovunque, che non vi sono
luoghi deputati, e che non bisogna possedere degli oggetti per poterne godere. Quello che cercavamo era
la festa, il rito, quello necessario, lì dove una comunità di uomini ha bisogno di riconoscere i suoi simili,
anche nel momento più infelice, più doloroso.
Ricordo che un amico, docente di antropologia a Roma, mi raccontò un episodio di “Se questo è un uomo”
di Primo Levi. Non credo vi sia situazione peggiore di quella descritta dall’autore sopravvissuto alla Shoah,
ove la dimensione “uomo” perdeva qualsiasi connotazione, anche fisica, per essere ridotta ad un cumulo di
carne ed ossa, senza più sentimenti ed emozioni, permettendo così ad altri uomini di sentirsene possessori
e quindi in grado di sostituirsi alla morte. Paolo mi raccontava che, durante una ricerca per un libro sulle
feste, trovò, quasi inaspettati, barlumi di spirito festivo, poche parole appunto, dentro questo magnifico e
orribile racconto. Come i Greci di Salonicco, che “stanno stretti in cerchio, spalla a spalla, e cantano una
delle loro interminabili cantilene”. E che dicendosi, “l’anno prossimo a casa” “continuano a cantare, e
battono i piedi in cadenza, e si ubriacano di canzoni”. Basterebbe questo frammento a spiegare il ruolo
della cultura in una società dove gli uomini vogliono, devono, convivere e perché la politica non può da essa
prescindere, se riconosciuto compito della politica è leggere e costruire i complessi rapporti del vivere
comune.
“Riuscissimo a fare questo sarebbe già bello!”…
… Ci siamo detti qualche anno fa a metà del guado, come se stessimo arrivando ad un compimento. Questa
era la funzione della Rete Italiana di Cultura Popolare, la “mission” come si direbbe oggi, o per lo meno ciò
per cui lottare, ma “lavorare insieme costa di più” dicevamo. Molti fra i più convinti iniziavano ad accusare
il peso di questa operazione, dovevamo trovare modi per rappresentare la nostra idea di impegno.
Attraverso la Rete Italiana di Cultura Popolare, dalla Provincia di Torino e Cuneo lanciammo appelli agli altri
enti, rivolgendoci, prime tra tutte, alle Province italiane e arrivando ben presto a contarne almeno una per
regione. Ora sono più di trenta. Le Province furono subito interlocutori privilegiati, in virtù della loro
funzione di programmazione di più comuni; pensavamo che le Regioni, invece, dovessero avere un compito
successivo di coordinamento, ma che fosse necessario partire comunque dai territori. Avevamo in mente
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un organismo di soggetti locali che, nel lavoro in rete, superasse le difficoltà dei “localismi”. Teorizzazioni e
buoni intenti non bastavano, bisognava “agire”.
Così nacque il “Festival delle Province”, con il compito di percorrere i territori in rete e con la sua
“carovana” trascinare persone, artisti, associazioni e reti locali: tutti coloro che fossero in grado di dare una
mano nell’individualizzazione di questi “tesori” e avessero la volontà di valorizzarli.
Per questi “Maestri inconsapevoli” istituimmo un premio:“I Testimoni della Cultura Popolare”. Non targhe
o coppe da esporre in bacheca, ma un reale impegno nel “prendersi cura” di loro: attualmente dodici sono i
“Testimoni” riconosciuti. C’è ancora molto da fare e spesso il nostro nemico è il tempo, e ogni anno la Rete
li sostiene attraverso azioni e progetti partecipativi, formativi e esplicativi.
Un’iniziativa per tutte, l’istituzione delle “Cattedre Ambulanti di Cultura Popolare” in collaborazione con
alcune Università italiane. Le Cattedre, nate per far incontrare questi saperi al pubblico, sono delle vere e
proprie lezioni aperte, sia in istituti scolatici, che in piazze adeguatamente preparate… E qui accadde
qualcosa di straordinario.
Molti di questi Testimoni, quali il Maestro Puparo Turi Grasso dell’Opera dei Pupi di Acireale, Amerigo
Vigliermo e il suo Coro Bajolese, e alcuni Poeti, eredi diretti della poesia della transumanza, ebbero, fuori
dai loro territori, un riconoscimento di pubblico che neanche nelle nostre più rosee previsioni giovanili
avevamo osato immaginare. Ma quel che più significò per i “Testimoni” fu il ritorno a casa, dove alcuni
trovarono perfino manifesti di “ben tornato”: quasi un riscatto, una dignità riconquistata, un
riconoscimento più importante del nostro, che rimetteva nel centro della piazza una ninna nanna antica, o
la voglia di giovani appassionati del free-style di incontrare la tradizione tutta italiana dell’improvvisazione
poetica. In meno di un decennio eravamo arrivati, complice forse l’esigenza di ritrovare un’appartenenza
scaturita dalla sotto-cultura globalizzante che tutto appiattisce, a far parlare i media ma soprattutto
migliaia di ragazzi con questi incredibili “Maestri”. Nulla di retorico o nostalgico, niente passato da riportare
in vita o nonni che raccontavano vicino ad un caminetto, ma il valore dell’esperienza, la necessità di entrare
nel cerchio magico ed essere parte di un rito, una festa: né protagonisti, come spesso ci vogliono nella
comunicazione di massa, né spettatori, ma semplici “partecipanti”. Parola in disuso, ma in grado di divenire
terapeutica nel momento in cui la si applica, il miglior modo per noi di concepire un intervento
socio/culturale.
Il Festival Internazionale dell’Oralità Popolare
Dopo tanto itinerare si pensò di organizzare un raduno senza precedenti in Italia, per dare un volto a quello
che stavamo costruendo.
Il Festival Op conquista proprio il centro della città di Torino con quasi cinquecento portatori di saperi e
tradizioni ed un pubblico ormai attento a seguire performance, ma anche laboratori, incontri, “Dialoghi con
i Maestri”, un pubblico “partecipe”, pronto a raccogliere il “testimone”.
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Da quando abbiamo iniziato, centinaia sono stati i gruppi di ragazzi che hanno aderito rileggendo,
trasfigurando, tradendo - compito della Rete è comunicare, quello degli studiosi e degli archivi conservare -
portando in piazza e in ogni luogo in Italia danze, musiche, teatro, artigianato ed enogastronomia per
rimettere, trasmettere alcuni principi di una tradizione, che in sé avevano già il germe del “tradimento”.
Intendiamo per tradimento, un modello positivo nella costruzione di un rapporto con la propria o
qualsivoglia radice, difatti nel momento in cui un “attore” riporta al pubblico un racconto od un canto,
sicuramente ometterà alcuni particolari e ne includerà altri, lo trasformerà in una sua personale
interpretazione: diversa la grana della voce e diversa la fisicità di chi agisce. Ci piace infatti pensare che il
verbo “trasmettere” derivi etimologicamente dal verbo “tradere”, tradire, che letteralmente significa dare,
consegnare, mettere in mano. Oggi il verbo tradire ha significato negativo, le antiche scritture
ecclesiastiche invece utilizzavano “traditore” per chi, per timore della morte, consegnava ai gentili qualche
esemplare delle sacre scritture e la lingua francese lo utilizza per “scoprire, svelare”. È così che vogliamo
definire la trasmissione del “patrimonio culturale immateriale”: una consegna, una donazione che dal
momento in cui è messa nelle mani dell’interlocutore sarà anche tradita, modificata, personalizzata per
essere nuovamente ritrasmessa, rimanendo, grazie a questa sua personalistica natura, sempre viva.
Visione certo non accettata da tutti, non condivisa quale “regola”. E anche qui la Rete trova un valore
generazionale. Un dialogo intorno al “passaggio del testimone” da una generazione all’altra, salvando la
tradizione senza per questo rinunciare all’innovazione implicita nel transito.
Arriviamo così al “logo” della Rete Italiana di Cultura Popolare, quel cerchio che tenta di chiudersi e di
ricominciare il ciclo, senza mai interrompere quella comunicazione con la memoria che crediamo sia
essenziale per realizzare tanto il presente quanto il futuro.
Non ho ancora specificato perché “lavorare insieme costa di più”, ma vorrei che ci fosse l’intero quadro
prima di spiegare questa affermazione.
Molte sono le attività ipotizzabili per raggiungere gli obbiettivi che la Rete si è posta ed ognuna è
importante e rilevante.
La Rete non è un circuito di musica, teatro o altre performance, anche se queste sono alcune delle energie
che agiscono in piazza.
Ma altre ve ne sono di valore identico, come la nuova collana editoriale, che porterà alcuni di questi saperi
al grande pubblico; o la sezione formativa con cui, insieme alle Università, si sta cercando di stimolare
progetti di ricerca. Insomma tutto ciò che renda possibile un reale passaggio del “testimone”.
Negli ultimi tre anni, il movimento della Rete è stato intercettato anche all’estero, permettendoci di
costruire rapporti con ben dodici paesi dell’area Euro-mediterranea, e con essi si sta dialogando per una
collaborazione internazionale, così come è già avvenuto con l’Egitto, il Marocco, la Francia, la Spagna e altre
nazioni. Paesi in cui sono stati ospitati i nostri canti a tenore sardi, i pupi siciliani, la tradizione delle “cante”
emiliane, cantori piemontesi, ma anche seminari e studiosi.
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È necessario ascoltare
In questi anni di “carovane”, in cui abbiamo incontrato persone, individuato “Testimoni”, gruppi, visitato
paesi di bellezza unica fuori dalle rotte turistiche, quel che più ci mancava era costruire delle “case” in cui
intrecciare relazioni permanenti con le reti locali.
Qui l’affermazione iniziale si presenta a noi con tutta la sua forza, “lavorare insieme costa di più”: bisogna
avere molta voglia di ascoltare, condividere, essere pronti a mutare le proprie convinzioni, sapere di non
avere inventato nulla e non essere detentori di soluzioni o verità. Creare, costruire e fare vivere una Rete
sul territorio, coinvolgendo migliaia di persone, significa essere un filo che li unisce, non la mano che li crea,
accorgersi che le esigenze dei singoli, visti in relazione a quelli di tanti altri, possono attivare processi di
respiro più ampio. E finalmente, bisogna osservare, riconoscere che questo mondo esiste, con o senza di
noi, sebbene talvolta gli stessi portatori della tradizione sembrano esserne inconsapevoli.
E di contro sapere usare il giusto metro, non farsi intrappolare nelle esigenze localistiche, mantenere “alta”
la visione, in gergo calcistico si direbbe avere sempre una visione d’insieme del gioco di squadra.
Ciò comporta scelte, inizialmente non sempre condivisibili da tutti, ma sulle quali ci si confronta con tutti i
nodi di una Rete che deve essere unita per raccogliere i risultati.
Tutto questo costa!
…E non è quantificabile, se non con la passione che pochi operatori e migliaia di volontari quotidianamente
concedono ai progetti.
Lavorare insieme è molto più faticoso, ma lavorare insieme permette a tutti i territori di adottare una reale
economia di scala, con il risultato, per ogni singolo territorio, di essere soggetti presenti sull’intero territorio
nazionale, avere una comunicazione unitaria, reperire risorse inimmaginabili per i singoli, scambiare idee e
buone pratiche, non ripetere errori, programmare con una logistica eco-compatibile, e misurarsi con la
platea internazionale con la garanzia di essere diventati un “sistema” in grado di rappresentare, sia
organizzativamente che scientificamente, un modello innovativo di politica culturale di questo paese.
Antenne del territorio
Il lavoro che ci aspetta ora sembra più difficile di quello svolto fino ad adesso. Coinvolgere quei territori
dove non siamo ancora arrivati, costruire insieme agli amministratori una “visione Politica” della Rete, la
Politica con la P maiuscola, quella del rapporto fra le persone, ed attraverso questa far nascere quelle
“Antenne” a cui abbiamo accennato. Una Rete nazionale, dovrebbe prestare servizio affinché le reti locali
possano dialogare e nell’interscambio realizzare azioni ancora più efficaci. Per questo motivo siamo entrati
in una nuova fase, che ha l’obiettivo di mettere insieme i sistemi di un territorio: biblioteche, musei ed eco-
musei, scuole, archivi, associazioni, ecc. Lo strumento che abbiamo scelto sono gli “Stati Generali della
Cultura Popolare”, che saranno realizzati in ogni Provincia della Rete, per arrivare concretamente alla
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costituzione delle “Antenne del territorio”, come il luogo del confronto e dell’agire comune. Affinché il
locale sia realmente tutela del patrimonio, ma con una visione nazionale ed internazionale.
Mentre scrivo questi brevi e personali appunti del lavoro sulla Rete, mi accorgo che gli anni sono passati
velocemente, e che nell’ultimo periodo ho visto crescere l’attenzione verso questi temi, su tutti i tavoli
progettuali, talvolta con anche il pericolo di una nuova rilettura “benpensante” della Cultura Popolare, che
io forse per una strana forma di rispetto ed orgoglio “familiare” scrivo sempre con le due lettere maiuscole.
O, ancora, vi sono modelli di esercizio commerciale, che secondo gli studiosi di marketing vedono nei
giovani potenziali consumatori di cultura popolare. Io non giudico nessuna di queste attività, credo facciano
parte di percorsi storici e umani, ma ringrazio fortemente tutte quelle persone che, ognuna nel proprio
settore, stanno impegnandosi per una cultura del “quotidiano”, dai giovani alle associazioni, agli artisti, ai
funzionari o assessori illuminati… fino a loro, i “Maestri inconsapevoli”, che hanno deciso di esserci per
realizzare quel passaggio del “testimone”, obiettivo della Rete Italiana di Cultura Popolare, affinché la
cultura torni ad essere il luogo dove si confrontino le diverse anime della società, come fu la fabbrica per
mio padre… magari con difficoltà di comprensione, con lingue diverse, affrontando migrazioni ancora più
lontane, ma con la consapevolezza che solo la condivisione ha il potere di mettere in pratica quella legge
non scritta che gli uomini applicano nel loro vivere sociale.
3. L’ingegneria del buon sollazzo
Piero Santoni61
Salve a tutti, sono Piero Santoni, un perito meccanico e un falegname per hobby, comunque una persona
che ha, nell’infanzia, sempre dovuto inventarsi il modo di passare il tempo e che ha visto scomparire gli
spazi e gli ambienti preposti al libero gioco dell’infanzia: tutto questo per dire che non ho una formazione
pedagogica.
Nel corso degli anni ho assistito alle trasformazioni avvenute nella società a seguito di un boom economico
che, tramite un afflusso di molta materia ed energia, ha frantumato le comunità sia rurali che cittadine ed
ha proiettato gli individui in mete lontane con l’ausilio di una auto divenuta simbolo di individuale libertà.
In questa dinamica penso che l’auto sia stata il più bel giocattolo per gli adulti e che l’infanzia abbia perso
molti spazi di gioco libero. Collateralmente all’auto ed alla perdita di spazi liberi, si è venuta affermando
una cultura della TV quale strumento di tranquillo e domestico parcheggio dei bambini, che li pone ancora
una volta seduti e passivi ad ascoltare, per non parlare del distacco delle relazioni sociali che essa induce
nelle famiglie assieme al computer. Questa situazione penso abbia influito negativamente sulla formazione
degli individui e penalizzato una infanzia che, non potendo reagire, ha manifestato e manifesta
61
Inventore e costruttore di giochi – Associazione Ingegneria del Buon Sollazzo.
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nell’adolescenza tutti i disagi di una formazione carente dei bisogni primari di relazione, gioco, tempo e
spazio libero.
Se questo è un quadro relativo agli anni passati, con la crisi economica le cose stanno tornando un poco ai
tempi passati e le persone si riaccostano agli spazi vitali più prossimi. L’iniziativa portata avanti dalla mia
associazione si colloca in questo stato di cose con dinamiche che puntano ad “una via ludica ad un futuro
sostenibile” dando alle persone di tutte le età “le massime gratificazioni ai più bassi costi e minimi impatti
ambientali”.
Su questo percorso di restauro socio-ambientale abbiamo ritenuto il Gioco (quello con la lettera maiuscola)
un fattore di positive relazioni e di alte gratificazioni a buon mercato, ma abbiamo scoperto pure quanto il
gioco fosse bistrattato nella sua essenza: si assiste ai giochi televisivi o si gioca al lotto, si gioca da soli ai
videogiochi.
La scommessa è stata quella di costruire una nuova tipologia di giochi in legno, di metterli su un ludobus e
di portarli in giro per città e paesi: il riscontro è andato oltre le aspettative ed i giochi hanno incontrato un
tale favore di pubblico che hanno reso evidente quanta esigenza di vero gioco sia sopita nelle persone. In
tali manifestazioni giocano assieme giovani ed anziani, genitori e figli, in un contesto di unione tra le
generazioni che è cosa rara nei tempi correnti.
Abbiamo aderito ad ALI, l’associazione dei ludobus italiani (e ludoteche) ed in questa realtà associativa
abbiamo scoperto molti giovani che con entusiasmo e professionalità portano avanti, su tutto il territorio
nazionale, i principi di promozione e rivalutazione del gioco, ma al contempo abbiamo verificato quanti
limiti si porta dietro una esperienza di un ludobus che va in un posto e poi scompar,e lasciando un notevole
vuoto.
Questo limite ci ha stimolato a pensare nuove proposte e ci ha portato anche troppo lontano, arrivando ad
ipotizzare la creazione di un “Parco Diffuso” su tutto il territorio, in un contesto di positivi e proficui
gemellaggi tra città e campagna e cioè a riscoprire quelle dinamiche che gratificavano intere generazioni in
epoche di duro lavoro.
Questa ipotesi progettuale prevede un parco diffuso che parte dalla famiglia, con la riscoperta del gioco
quale strumento relazionale domestico preposto alla sana crescita dei “cuccioli umani”, per finire alle più
sperdute aree ad economia svantaggiata, sede delle ultime persone testimoni di una era ormai lontana. Un
compito che ci siamo proposti è proprio quello di trovare giochi per adulti e bambini, giochi che gratifichino
entrambi ed in questo i giochi artigianali in legno hanno dimostrato di far divertire sia adulti che bambini,
ma poi abbiamo scoperto in Europa una galassia di giochi in scatola che sono idonei a far giocare e divertire
insieme genitori e figli, giochi che non sono commercializzati in una Italia invasa da balocchi usa e getta di
origine orientale.
Se usciamo di casa e scendiamo le scale, su tale percorso si apre uno scenario che mette in risalto la misera
realtà dei condomini, dove le famiglie sono arroccate nelle case e dove i giardini sono per l’infanzia un tabù,
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o asserviti a parcheggi per auto. Quelli condominiali sono luoghi di primaria importanza per l’infanzia,
ambienti dove si impara a convivere bene o male con le cose e le persone, dove i vicini sono persone
familiari o esseri anonimi: oggi il vicinato ed i condomini sono i soggetti più lontani nei rapporti sociali.
Occorre avviare un lavoro sociale che porti a forme di vita condominiale più sociali ed a rompere
l’isolamento individualista, utilizzando in positivo quegli spazi e ambienti condominiali svuotati dalla
“cultura del nulla”, e questo tramite un lavoro di socializzazione con proposte o sperimentazioni sociali
nuove. Per innescare queste dinamiche, che hanno pure molte valenze ludiche, è stata istituita in Francia, e
si sta diffondendo nel mondo, “La Giornata del Buon Vicinato”.
Nel contesto del parco diffuso abbiamo ipotizzato delle città più ludiche, città dove il dispotismo delle
automobili è ridimensionato a favore di bici, pattini, giardini, spazi liberi, itinerari, feste, orti, ecc. Quello
che necessita fare è ancora una volta riportare un equilibrio tra le esigenze di mobilità e quelle di vivibilità,
facendo in modo che nella città nascano isole, spazi, giardini, orti e centri vari collegati da itinerari piacevoli
e sicuri che restituiscano la libertà ai bambini.
Ambienti e strutture di una città ludica
Piste ciclabili - Spazi liberi e ambienti condominiali - una città punteggiata di mille spazi liberi vicini a casa
dove l’infanzia possa andarci a piedi. Tra questi:
- Centro Remida, una esperienza nata a Reggio Emilia, un luogo dove si raccolgono e si offrono a scuole e
fruitori liberi i materiali di recupero ricavati dalle rimanenze e dagli scarti della produzione industriale ed
artigianale. Per gli impulsi creativi che inducono nell’infanzia, negli insegnanti e nella popolazione tutta, e
per la importanza sociale che hanno i laboratori creativi, sarebbe auspicabile che ogni città si dotasse di un
Centro Remida.
- Ludoteche Sollazzo, scuole che insegnano il gioco ed il gusto di giocare non solo ai bambini, ma anche ai
genitori, giovani e anziani.
- Giardini Ludens, nuovi e semplici parchi gioco cittadini per l’infanzia, le famiglie e gli anziani dove sia
possibile divertirsi senza andare lontano. Impostati sul principio di usare in chiave ludica i quattro elementi
naturali (aria, acqua, terra e fuoco) e arredati con piante e strutture finalizzate al gioco ed al relax. In
questo senso la fontana diventa torrentello e poi laghetto, per consentire di giocare con barchette e pesca
magnetica, gli alberi e siepi sono strumenti di gioco. Ci sono in essi casette con tettoie, griglie e tavoli per
cuocere cibi e socializzare mangiando insieme, per fare feste, per giocare, fare gare gastronomiche e ritrovi.
Una estensione dei giardini ludens sono i giardini “Riciclingioco” giardini-cantieri di formazione dell’infanzia,
con una casetta di rimessaggio per i giochi ricavati dai materiali di scarto; in tal senso nei giardini avremo
cerchi di bici da mandare col bastone, reti da letto per saltare, carretti in legno autocostruiti, casette
ricavate con scatole di cartone, bersagli e palle di carta, comete, sci a due, trampoli, birilli e costruzioni con
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ritagli di legno, aerei ed origami di carta, laboratori con stoffe, ecc. Il ruolo degli anziani è quello di gestire le
“casette dei giochi riciclati” in un contesto di collaborazione tra le associazioni degli anziani e quelle per
l’infanzia, di aprire la casetta, di attuare un discreto controllo, di insegnare giochi e promuovere dei
laboratori creativi, rifacendosi pure alle proprie esperienze lavorative ed a sera ritirare e riporre i materiali
ed i giochi nella casetta.
- Orti Sociali, il luogo di ritrovo e aggregazione degli anziani, polivalente e versatile non solo per lavorare,
ma pure per giocare.
- Feste, Sagre, Balli e Giochi, sono i momenti sociali e ludici dei cittadini, da non rendere solo
commemorativi, in questo senso il Tocatì di Verona ha aperto una strada molto interessante.
- La Via Ludica, almeno una volta l’anno restituire una strada alla città con iniziative che stimolino il gioco.
Lungo questa strada si presentano, insegnano e propongono giochi vecchi e nuovi, sportivi e da tavolo. Può
essere pure la via dove gli artigiani insegnano ludicamente i segreti del proprio mestiere.
Il territorio ludico
Il parco diffuso, poi, si estende dalla città alla campagna in un contesto di proficui gemellaggi città -
campagna che, riscoprendo i principi di Equilibrio, Creatività e Armonia di una civiltà recente, ispirano e
generano un territorio di notevole creatività socio-ambientale, finalizzato a gratificare tutte le persone
senza assassinare l’ambiente naturale.
Su questo territorio potremo trovare:
- Gli Itinerari, percorsi che ci immergono in vari ambienti piacevoli, ludici e culturali.
- I Rifugi-Ostello, punti di ritrovo e incontro a buon mercato per i giovani, la meta del trekking, lo stare
insieme positivo.
- Gli Spazi Ludici, le aree dove si mangia, si gioca e ci si rilassa, semplici spazi improntati all’uso collettivo di
tavoli, griglie e di liberi spazi per semplici giochi.
- Le Fattorie ludico-didattiche, fattorie con carattere più ludico che didattico, per insegnare con modalità
piacevoli e partecipate le cose della campagna. Semplici giochi di ispirazione agricola quali “Sfalcia”,
“Ammosta”, “Mungi”, “Staccia”, ecc. possono far apprendere meglio la vita e il lavoro nella campagna.
- Gli Agriturismi, strutture turistico recettive che esercitano un ruolo didattico verso quei cittadini distaccati
dalla campagna. Sono arredati con giochi interni, esterni e agricoli e sono punto di richiamo non solo dei
turisti, ma pure delle popolazioni cittadine.
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- I Parchi gioco, ambienti ludici all’insegna della semplicità. Sono spazi ludici nei paesi o frazioni con laghetti,
aree pic-nic, spazi gioco, ecc. Eventuali parchi-gioco più grandi dovranno avere caratteri più semplici,
naturali ed umani degli attuali mega-parchi, tecnologici e commerciali.
- I Parchi Culinari del Buon Gusto, ambienti con griglie, cucine, paioloni, forni, ecc. mirati a valorizzare i
prodotti locali ed a riscoprire il gusto di una cucina sana e genuina.
- Le Feste, Sagre, Fiere e Carnevali, i momenti di gioia collettiva delle comunità locali: da tutelare e
valorizzare quali monumenti antropologici e fucine di creatività popolare.
Il criterio base è quello di giungere ad un progetto territoriale complessivo, armonioso ed organico, per fare
in modo che in esso le popolazioni locali si trovino bene ed i turisti vi si immergano con sommo piacere. Per
far questo occorre che la ricchezza prodotta dal territorio non sia bruciata ed esportata, ma investita nel
territorio al fine di migliorarne l'ambiente e la qualità della vita delle popolazioni locali, specie quelle
giovanili, troppo spesso sradicate dal territorio e quindi alienate dai contesti locali e ambientali, e tutto
questo pure con lavori di alta soddisfazione.
Il centro ludico
Motore di questa dinamica, volta a dare più caratteri ludici a tutte le realtà ambientali, produttive, culturali
e sociali, è il Centro Ludico, un posto dove confluiscono da tutto il mondo idee e progetti per nuovi giochi,
nuovi parchi e nuovi giardini ed è un posto dove questi progetti vengono irradiati nel territorio circostante
per la realizzazione di un parco diffuso. Quindi il centro ludico è un posto:
di scambi culturali con le tante realtà ludiche diffuse nel mondo;
dove si elaborano e si sperimentano nuovi giochi per giardini o parchi;
dove si studiano giochi per donare abilità ai disabili e gioia agli anziani;
dove le persone di tutte le età imparano a giocare bene in compagnia;
non solo ad alta valenza turistica, ma pure fondamentale per scuole, comitive, famiglie, giovani ed
anziani;
che anima anche gli animatori quale fucina di creatività;
dove si creano giochi per promuovere attività produttive, feste e sagre;
che irradia nel territorio progetti e nuovi giochi per un “Parco diffuso”.
Ora risvegliamoci dai sogni e torniamo alla realtà, il terreno istituzionale oggi è abbastanza arido, ma
questo non deve esimerci da immettere nuovi semi di creatività nell’attuale società civile. Nel sito
dell’Associazione Ingegneria del Buon Sollazzo62, (http://www.ingegneriadelsollazzo.it/), o sul “Grande libro
dell’ecogioco, ovvero il Manuale del Buon Sollazzo” potrete trovare una descrizione più ampia del progetto,
62
Sollazzo: divertimento allegro e gustoso; conforto, soddisfatto, contento, felice, beato; svago, trastullo e sollievo.
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la collezione dei giochi artigianali in legno, i giochi ricavati dai materiali di scarto, giochi agricoli, giochi
artigiani, giochi per aree svantaggiate, ecc.
4. Gioco delle bije 63
Giancarlo Tavella 64
Il gioco tradizionale parte del patrimonio culturale immateriale
“Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può
negare la serietà. Ma non il gioco.” Così scrive Johan Huizinga in Homo Ludens65, un saggio fondamentale
per chi ha interesse al gioco. Ma non solo il gioco esiste, esso viene definito come un atto libero, isolato
dalla sfera ordinaria della vita e che si svolge entro limiti spazio-temporali, ma dominato al suo interno da
regole precise. Una delle caratteristiche principali del gioco è quindi di essere un atto libero. Il gioco
comandato non è più gioco. Tutt’al più può essere la riproduzione obbligata di un gioco. Per questa
peculiarità il gioco esce dai limiti del processo puramente naturale. È un di più, vi si aggiunge come un
addobbo. Una libertà intesa in senso lato, senza una sua definizione propria, ben determinata. Spesso si
scambia questo concetto, specie per il bambino (e per l’animale), con l’istinto arrivando a dire quindi che
quella libertà non esiste: essi devono giocare, perché il loro istinto lo comanda. Forse sarebbe meglio dire
che il bambino e l’animale giocano perché ne hanno diletto, e in ciò sta la loro libertà.
Quindi il gioco c’è, è sempre esistito. Ma anche: il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di
cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo convivenza umana, e
gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare. L’Associazione “Birilli di
Farigliano66 - Gioco delle Bije”, nasce con lo scopo di diventare custode del gioco, ovvero come strumento
per identificare e rivalutare le comunità in cui si gioca tuttora seguendo regole antiche, per puro piacere e
non per folklore o interessi turistici.
Sposa quindi e fa propri gli obiettivi dell’Associazione Giochi Antichi di Verona, che il 17 febbraio 2008,
insieme alla propria rete nazionale, ha stilato il primo manifesto in Italia che definisce e valorizza le
Comunità ludiche tradizionali.
Le enunciazioni del manifesto permettono di avere una guida sicura che indica il percorso attraverso il
quale operare nell’attività di ricerca e sviluppo delle tradizioni ludiche. Innanzi tutto il legame con il
territorio, valutando per ciascuna comunità di gioco le peculiarità collegate alla storia e alle condizioni di un
63
Quella che segue è la presentazione del progetto educativo che l’Associazione “Birilli di Farigliano – Gioco delle Bije”, nell’ambito delle proprie iniziative a tutela e salvaguardia del gioco, ha redatto ed ha avviato in collaborazione con due istituti scolastici per “educare alla cultura ludica” tramite la formazione, l’insegnamento e la relazione sul gioco tradizionale. 64
Responsabile comunicazione e rapporti Comunità ludiche “Associazione Birilli di Farigliano - Gioco delle Bije”. 65
Huizinga J., Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1973. 66
Associazione Birilli di Farigliano, piazza Vittorio Emanuele II 27 - 12060 Farigliano (CN), www.birillidifarigliano.it
132
territorio, un legame che ha quindi un fondamento sociale, storico e ambientale. I giochi tradizionali
conservano saperi, eredità artigiane non scritte, proprie del territorio e sono replicabili in qualsiasi tempo e
spazio, il terreno di gioco è luogo di scambio sociale quotidiano e condiviso. L’azione ludica delle comunità
deve essere fatta in maniera ricorrente nel proprio territorio d’appartenenza, non necessariamente
vincolata a specifiche manifestazioni. Non deve essere un’azione sportiva o di maniera, ma una pratica
ludica di tradizione che si rinnova nei contesti contemporanei. In tal senso non sono da considerarsi
comunità ludiche coloro che svolgono rievocazioni storico-folkloristiche o semplici attività didattiche o di
animazione, sebbene considerate valido strumento di emersione del gioco tradizionale. Il gioco tradizionale
va salvaguardato in quanto corre il rischio di esser dimenticato.
Quanto all’appartenenza alla comunità ludica va evidenziato che il gioco tradizionale lavora sul concetto di
territorio e non di etnia. È possibile includere le comunità ludiche dei migranti, portatrici di culture
differenti. Le comunità ludiche non devono avere fini di lucro. I rapporti con privati e aziende non devono
prevalere nelle varie iniziative delle comunità. Non è possibile utilizzare gioco, giocatori e spazi per
veicolare attività e progetti commerciali.
La comunità ludica deve essere per la quasi totalità composta da giocatori praticanti. Infine la qualità
ludica: una sfida intellettuale che obbliga a giocare un gioco con tutti i sensi e con la testa per valutare la
complessità, la tipicità, la storia. L’Associazione “Birilli di Farigliano – Gioco delle Bije” riconoscendosi nel
“manifesto” si è posta l'obiettivo di promuovere la riscoperta e la diffusione di giochi di piazza e di strada
tramite azioni volte a far conoscere i giochi tradizionali; rivalutare le strade e le piazze dove si svolgono le
attività ludiche; organizzare manifestazioni, eventi e iniziative culturali che promuovono il gioco di strada e
che favoriscono la riutilizzazione di spazi pubblici; sviluppare il gioco quale radicamento del territorio
partendo dal presupposto che tradizionalità è cultura del confronto e non dell’isolamento.
Le argomentazioni hanno un loro fondamento storico che si esplica nella memoria storica, un fondamento
ambientale che si ritrova nelle peculiarità ambientali del gioco tradizionale, un fondamento sociale che
diventa creatività sociale. In questa logica si inserisce il discorso dell’evoluzione degli spazi, che non vuole
dire / non deve essere lo stravolgimento o lo svuotamento della dimensione esterna (il gioco del “ferro” si
giocava nelle strade, ora che nelle strade ci sono le auto si gioca nei boschi; il “pallone elastico” si giocava
nelle strade, ora si gioca negli sferisteri); la localizzazione e la territorialità delle regole di gioco con la
necessità di adeguare le regole alla situazione dell’area di gioco; la territorialità anche nella denominazione
con i nomi dei giochi che cambiano da regione a regione.
È quindi intento dell’Associazione creare nei giocatori la consapevolezza che sono portatori di cultura e non
solo gente che si diverte a giocare!
Lo strumento dell’azione è stato individuato nella scuola e nell’educare alla cultura ludica tramite la
formazione, l’insegnamento e la relazione sul gioco tradizionale nelle scuole.
133
Per questo è stato redatto il progetto educativo Il gioco tradizionale - Parte del Patrimonio Culturale
Immateriale che vorremmo qui sommariamente illustrare.
Le motivazioni del progetto: l’Italia ha compiuto grandi sforzi per inventariare e conservare il proprio
patrimonio architettonico. Ma le cose non sono andate allo stesso modo in materia di patrimonio
immateriale che, sebbene complesso e disperso, è una risorsa di grande potenziale sociale ed economico. Il
termine “Patrimonio Culturale Immateriale” (Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio
culturale immateriale, Parigi, ottobre 2003) utilizza rappresentazioni, espressioni, la conoscenza e le
competenze, insieme con gli strumenti, oggetti e spazi, che sono inerenti comunità, gruppi e, in alcuni casi,
individui, che si riconoscono come parte del loro patrimonio. Questo patrimonio culturale immateriale, che
si trasmette di generazione in generazione, è costantemente ricreato da comunità e gruppi in base al loro
ambiente, alla loro interazione con la natura e con la loro storia, infondendogli un senso di identità e di
continuità.
In questi tempi di crescente globalizzazione, la protezione, la conservazione e l'interpretazione della
diversità, nonché il patrimonio di un territorio o di una regione, sono una sfida importante per qualsiasi
comunità o gruppo, ovunque. Un obiettivo chiave della gestione patrimoniale è quello di comunicare il suo
significato e la necessità di preservare sia le comunità di accoglienza che i visitatori: l'accesso allo sviluppo
culturale è sia un diritto che un privilegio. L'autenticità è un elemento essenziale del significato culturale,
espressa attraverso l'eredità della memoria e delle tradizioni del passato.
I giochi tradizionali: i giochi tradizionali sono praticati fin dai tempi antichi in Italia. Essi sono principalmente
giochi di origine rurale che sono praticati all'aperto in luoghi pubblici, e che creano una opportunità per
l'intrattenimento e le relazioni fra le popolazioni. Si parte quindi dalla considerazione che i giochi
tradizionali sono parte di quel patrimonio culturale immateriale, che contribuisce a rafforzare l'identità
delle popolazioni e la creazione di una comune tradizione di carattere nazionale. I giochi tradizionali
rappresentano un fattore di rafforzamento della coesione sociale creando spazi e momenti di rapporto.
Destinatari del progetto: il progetto è indirizzato agli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo
grado. La scuola primaria e secondaria di primo grado, per la particolare fascia di età, costituisce il luogo
privilegiato ove più facilmente e consapevolmente possono cogliersi identità e differenze a livello spaziale e
temporale, con la riflessione mediata sul fluire del tempo e sull’essere personalmente inseriti in tale
incessante processo. Il ricorso alle tradizioni popolari nelle attività didattico/educative della scuola primaria
e secondaria di primo grado si potrebbe collocare, così, in un ambito relazionale e riflessivo, in un processo
di relativizzazione dei punti di vista, in un percorso del “diventare grandi” che aiuta i bambini a costruire la
propria storia personale, radicata nel passato, immersa nel presente ed orientata al futuro.
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Obiettivi generali: conservare e diffondere il gioco tradizionale, come risorsa integrante dello sviluppo
culturale e rafforzare l’identità di riferimento per la popolazione. Valorizzare il patrimonio della tradizione
locale: recuperare le memorie perdute e riconoscersi in un ritmo di generazioni. Ricostruire saperi
sovrapponendo i propri stili di vita a quelli di coloro che ci hanno preceduti, senza nostalgia o improbabili
desideri di ritorno al passato, ma con una progressiva acquisizione di forme di esperienza utili per un futuro
possibile. Contribuire al processo di crescita attraverso la conoscenza e la pratica dei giochi tradizionali
attinti dal patrimonio culturale del territorio e sperimentati attraverso la dimensione del gioco motorio.
Obiettivi specifici: sviluppare e migliorare la capacità di relazionarsi con gli altri e con gli oggetti. Migliorare
la capacità di organizzare la propria azione nei giochi non sportivi. Riscoprire e conoscere i giochi della
nostra terra: le regole, gli strumenti e gli aspetti socio-culturali che li caratterizzano. Instaurare legami tra
diverse realtà, con l'organizzazione di eventi legati al gioco tradizionale nelle sue diverse forme. Rafforzare
lo studio, l'inventario, la registrazione e la documentazione. Promuovere la conoscenza del gioco
tradizionale attraverso nuove tecnologie. Creare un percorso locale sulla pratica dei giochi tradizionali.
Il territorio: il progetto si inserisce nel concetto di paesaggio culturale. I giochi tradizionali sono praticati su
aree all'aperto all’interno di un “paesaggio” che ha sue specifiche componenti. Il progetto mira a
contestualizzare il paesaggio e le persone con la loro storia e cultura, la conoscenza e l'interpretazione
dell'ambiente naturale e allo sviluppo culturale, come uno dei modi per la cura e il rispetto per l'ambiente.
Gli attori: popolazione giovanile scolastica e corpo docente dei territori coinvolti nel progetto. Comuni ove
esistono comunità ludiche, associazioni o comunque realtà interessate ai giochi tradizionali. Associazioni di
giocatori, club, federazioni a livello locale, regionale e nazionale.
Quando: verrà avviato nel mese di dicembre 2009 e si concluderà a fine maggio 2010.
Lezioni: il programma prevede la realizzazione di lezioni con oggetto: gioco tradizionale, patrimonio
culturale del territorio; perché giocare: il significato del gioco; archeologia ludica; iconografia ludica; gioco e
spazio urbano; l’aspetto ludico del gioco; gioco costruito e gioco giocato: costruire i giochi per giocare; il
gioco quale veicolo per trasmettere la conoscenza della storia; riscoprire gli usi e tradizioni locali e
approfondire la conoscenza dei giochi in uso alla fine del ‘900 nel territorio piemontese (tappi, biglie,
bottoni, elastico, anelli e figurine); approfondire il programma legato alla preistoria scoprendo il contesto e
l’ambiente di vita e di gioco negli insediamenti primitivi.
Le lezioni saranno tenute da esperti ed insegnanti, da giocatori e da costruttori di giochi tradizionali.
Mostre: una mostra fotografica sarà allestita all’inizio di dicembre 2009 in concomitanza con la
presentazione ufficiale del progetto. Successivamente saranno allestite nel periodo tra gennaio e giugno
2010 mostre con soggetti attinenti il gioco.
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Eventi: Il progetto si concluderà con la manifestazione “GHITA! - Festa dei giochi di strada” programmata
per la fine di maggio 2010.
5. Sport e giochi tradizionali in Sardegna
Un’indagine sulle attività ludico-sportive delle passate generazioni, la riscoperta del loro valore storico,
sociale, culturale.
Maria Pina Casula67
Nell’ambito del programma di finanziamento della legge regionale 17/99, art. 40, che supporta progetti di
ricerca volti alla conoscenza dell’attività motoria in tutte le sue manifestazioni e implicazioni psico-fisiche, il
Comitato provinciale UISP68 di Sassari ha realizzato la ricerca dal titolo “Gli sport e i giochi tradizionali in
Sardegna: un’indagine sulle attività ludico-sportive delle passate generazioni, la riscoperta del loro valore
storico, sociale, culturale”.
L’idea è nata da alcune riflessioni sull’esperienza ludico-sportiva sviluppata negli ultimi decenni all’interno
della progettazione e dell’organizzazione delle attività UISP rivolte ai minori (centri estivi, camp, attività pre
e post scuola, laboratori ludici, ecc).
Nello specifico, un forte stimolo ha rappresentato l’osservazione di alcuni bambini che, nei momenti di
“gioco libero”, non strutturato e non codificato, di tanto in tanto proponevano al gruppo giochi tradizionali
appresi dai propri nonni, spesso proprio durante il periodo estivo, momento in cui la frequentazione con gli
anziani è facilitata dalla chiusura delle scuole.
In queste situazioni sovente i giochi venivano presentati dal bambino senza regole ben definite e in maniera
approssimativa, tutto ciò forse dovuto a descrizioni imprecise da parte dei nonni, la cui memoria doveva
scavare ormai in un passato molto lontano, o alla scarsa possibilità dei nipoti di cimentarsi in dimostrazioni,
gare e competizioni con i propri coetanei, attratti soprattutto da videogames e giochi multimediali
interattivi, lontani cronologicamente e culturalmente da quelle “forme ludiche”.
Da qui il proposito di elaborare una raccolta articolata di giochi e attività sportive caratterizzanti la realtà
del territorio della provincia di Sassari, secondo la suddivisione delle vecchie province (dunque
67
Referente del Comitato Provinciale UISP Sassari. 68
L’UISP (Unione Italiana Sportpertutti) è un ente di promozione sportiva fondato nel settembre del 1948, riconosciuto dal CONI il 24/06/1976, in base al DPR N.530 del 02/08/1974 e dal Ministero dell’Interno con decreto del 06/05/1989 quale ente a finalità assistenziali. Organizza l’attività motoria nelle sue forme ludico-ricreative, sportive, espressivo-comunicative; ne promuove inoltre l’educazione nella scuola. Svolge attività nei seguenti campi, nell’ambito e per il perseguimento dei propri fini statutari istituzionali: formazione professionale, aggiornamento e formazione degli insegnanti e dei tecnici, attività ricreative e turistiche, culturali, ludiche, sociali, di servizio alla persona, di gestione e costruzione impianti, informazione ed editoria. L’attività sportiva della UISP è di natura dilettantistica. Sostiene i valori dello sport contro ogni forma di sfruttamento, d’alienazione, contro la pratica del doping; opera per il benessere dei cittadini, i valori di dignità umana di non violenza e solidarietà, tra le persone e tra i popoli. Riconoscendo lo sport come diritto di cittadinanza, come risorsa per l’integrazione, s’impegna alla promozione e alla diffusione - nello sport e, attraverso lo sport, nella vita sociale - di una cultura dei diritti, dell’ambiente e della solidarietà.
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comprendente anche il territorio dell’attuale provincia Olbia-Tempio), con l’obiettivo di raccogliere e
codificare la tradizione ludica, o quanto meno alcuni aspetti di essa, attraverso il ricordo e il racconto delle
persone più anziane individuate nei paesi maggiormente significativi delle diverse aree omogenee della
provincia e con una forte tradizione storico-culturale.
Vista la complessità del lavoro di acquisizione di informazioni, raccolta dati, analisi schede, ricostruzione
giochi, elaborazione report finale, formazione specifica degli animatori ludico-sportivi, il progetto di ricerca
è stato suddiviso in due annualità: nella prima è stato realizzato tutto il lavoro relativo all’acquisizione dei
dati con ricostruzione di una parte dei giochi, attrezzi e strumenti utilizzati, seguendo fedelmente le
descrizioni e i racconti raccolti; nella seconda si è conclusa l’elaborazione del report finale della ricerca, la
realizzazione di un’altra parte di giochi e strumenti, l’organizzazione di giornate ludiche con esposizione dei
manufatti realizzati.
La prima parte della ricerca è stata realizzata nell’anno 2006, la seconda nel 2007, grazie a una coesa
équipe di lavoro costituita da dodici persone, oltre al coinvolgimento di un gruppo di studenti dell’istituto
statale d’arte di Sassari, che hanno reinterpretato in veste grafico-figurativa le descrizioni di circa sessanta
giochi.
Tra gli obiettivi della ricerca sono stati individuati e perseguiti i seguenti:
Obiettivi generali
Riscoperta degli sport e dei giochi tradizionali praticati dalle popolazioni locali Studio delle regole dei giochi Analisi dei materiali utilizzati per la costruzione degli attrezzi Rilevazione del valore sociale e culturale delle esperienze ludico-sportive del passato Confronto tra gli sport e i giochi della tradizione e quelli attuali Rilevazione della conoscenza dei “giochi antichi” tra la popolazione giovanile Rilevazione ed eventuale confronto con altri dati ed esperienze regionali e nazionali
Obiettivi in termini di ricaduta promozionale e culturale
Rivalutazione della tradizione ludico-sportiva locale Riproposizione dei giochi “riscoperti” attraverso mostre e giornate di animazione Promozione di iniziative volte alla tutela delle antiche tradizioni Coinvolgimento di fasce della popolazione tradizionalmente ai margini dei circuiti ludico-sportivi
Obiettivi in termini di ricaduta sociale
Coinvolgimento dei giovani, in particolare dei bambini, nella rivalutazione dei giochi in strada Coinvolgimento degli anziani nell’attività ludico-sportivo-motoria, strumento di vitalità e benessere
psico-fisico Apertura di un nuovo canale di comunicazione tra giovani e anziani Riscoperta del valore formativo-educativo dell’attività ludico-sportiva all’aria aperta e dei temi della
tutela ambientale
È stato delineato l’ambito territoriale di indagine suddividendo i novanta comuni della provincia in nove
zone omogenee. Relativamente alla città di Sassari la ricerca si è sviluppata per quartieri. È stata chiesta la
collaborazione di alcune case di riposo presenti nel territorio urbano. Le nove zone hanno privilegiato alcuni
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comuni oggetto d’indagine, definiti sulla base della specificità e della valenza storico-culturale all’interno
della propria area di riferimento; tuttavia, a garanzia di una maggiore rappresentatività, sono stati indagati
anche altri comuni per così dire “minori”. Sono stati intervistati 238 anziani, di cui 118 uomini e 120 donne,
di età superiore ai 70 anni, con qualche eccezione tra i 65 e i 70 anni, nati e cresciuti nei comuni della
provincia, a volte contattati tramite associazioni locali, circoli, parrocchie, tuttavia, più spesso, la piazza del
paese è stata il punto d’incontro privilegiato dagli intervistatori. Sono stati elaborati gli elementi relativi alle
persone intervistate: provenienza territoriale, sesso, età, classe sociale, livello d’istruzione. È stato
interessante rilevare che differenze tra classi sociali corrispondevano talvolta a manufatti realizzati con
materiali di differente pregio e valore.
È stata ideata una classificazione nella quale sono stati ripartiti i giochi per tipologia.
Il lavoro di ricerca ha condotto infine alla ricostruzione di alcuni giocattoli e manufatti artigianali. Il lavoro di
ricerca svolto ha consentito il coinvolgimento partecipato di quelle persone tradizionalmente escluse dalle
attività ludiche e sportive, ha promosso il dialogo tra generazioni lontane, consentendo di recuperare e
costruire insieme strumenti e modalità di gioco, ha favorito il confronto fra persone distanti per età, sesso,
cultura, provenienza, non ultimo, ha contribuito a “fissare” nella tradizione culturale scritta dell’isola le basi
e i fondamenti dell’attività ludico-sportiva del secolo scorso.
La ricerca sugli sport e sui giochi tradizionali è nata con l’obiettivo di scavare nelle tradizioni per arricchire i
giovani di elementi della cultura tradizionale, fotografare e rafforzare la memoria storica, coinvolgere le
generazioni più anziane in un processo non solo di riscoperta ma anche di rivalutazione e riproposizione
delle tradizioni sportive e ludiche locali.
Ancora una volta il gioco ha mostrato il suo carattere universale, terreno di confronto e incontro di culture,
luoghi e tempi spesso molto distanti tra loro. Nel ricco lavoro di raccolta sono stati descritti il gioco con gli
astragali, già noto a Greci e Romani, i giochi che “fanno rumore” i cosiddetti crepundia dei Romani o quelli
con le noci che troviamo nella scultura, nella pittura, nella ceramica, nelle decorazioni delle tombe di tutte
le civiltà antiche, le case delle bambole con gioielli e stoviglie dell’Egitto dei faraoni e ancora palle, cerchi,
trottole, carretti e tanti altri ancora. Il linguaggio universale del gioco migra nello spazio e nel tempo
avvicinando geograficamente e storicamente nell’immaginario i bambini di varie epoche e diversi
continenti, oltre ai millenni si annullano i confini e le distanze, le lingue e le differenze etniche.
Considerando il valore socio-culturale del gioco e dello sport, il linguaggio non verbale è diventato nel
presente un luogo di incontro fra differenti generazioni, culture e ideologie, abile strumento di
socializzazione.
Il lavoro di ricerca ha consentito di mettere in relazione due mondi diversi (sport e cultura) ma non
contrapposti, valorizzando alcuni aspetti importantissimi e non trascurabili del mondo ludico-sportivo e del
sistema socio-culturale.
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Non è stata evidenziata una chiara distinzione fra le attività prettamente ludiche e quelle più propriamente
sportive. I ricercatori non hanno avvertito l’esigenza da parte degli intervistati di scindere le due attività.
La distinzione, se vogliamo anche un po’ arbitraria, è stata fatta in sede di elaborazione dei dati rilevati, dal
gruppo di coordinamento che ha deciso di inserire alcuni giochi con la palla o altri di competizione a
squadre tra le attività sportive o competitive.
Tuttavia non è improprio definirle sportive in quanto investono la sfera motoria nel suo complesso,
sottendono a regole definite e condivise, rispondono a quella esigenza di sfida e, in taluni casi, agonismo,
che da sempre caratterizza il mondo sportivo, nel bene e nel male.
Un quesito emerso da questo lavoro porta a chiederci se è poi veramente necessario adottare questo tipo
di distinzione o se è una dissociazione superficiale e inutile.
Lo sport dovrebbe sempre mantenere viva la sua connotazione ludica, solo così può assolvere la sua
importante funzione pedagogico-educativa oltre che sociale.
Nel passato le occasioni di praticare una o più discipline sportive non erano molto frequenti per i bambini.
Le priorità erano considerate altre. Tuttavia la ricerca ha dimostrato che numerose erano le occasioni di
confrontarsi con i propri coetanei, di gareggiare insieme e competere per un eventuale premio (spesso un
oggetto di poco valore). Il gioco, come lo sport, ha regole proprie, talvolta negoziabili, ma sempre da
rispettare alla cui base sta il divertimento e il piacere di stare insieme, confrontarsi, sfidarsi. Il lavoro fin qui
fatto ci porta a condividere l’assioma “non c’è sport senza gioco e non c’è gioco senza sport” alludendo in
questo modo al carattere necessariamente ludico, ricreativo e socializzante dello sport, senza il quale
l’attività sportiva sarebbe solo un lavoro o un sacrificio e parallelamente al gioco che, per quanto possa
apparire destrutturato, rivela una condivisione di obiettivi e regole tra i partecipanti e talvolta stimola una
sana ed equilibrata competizione.
La ricerca non è stata un momento fine a se stesso; grazie alla ricostruzione dei giochi e all’abilità di
educatori e animatori ludico-sportivi, il comitato UISP Sassari organizza, col patrocinio delle amministrazioni
comunali della regione, numerose giornate di animazione durante le quali bambini, giovani, adulti e anziani
vengono coinvolti e invitati a giocare nelle piazze, per le strade, nei parchi, nei luoghi tradizionali della
socialità. Figli e genitori, nonni e nipoti giocano insieme scambiandosi conoscenze ed emozioni.
Durante le giornate di animazione itinerante la realizzazione di otto grandi pannelli con la descrizione dei
giochi più famosi e di alcuni particolarmente interessanti, la messa in opera di una piccola mostra dei
manufatti e l’allestimento di un laboratorio di costruzione dove i bambini possono ricostruire con l’aiuto
degli operatori alcuni semplici vecchi giochi, contribuiscono a promuovere la tradizione e la storia,
impedendo che vengano dimenticate o relegate nei luoghi classici della cultura.
Di rilevante importanza è la collaborazione sviluppata con alcuni circoli didattici nei quali sono stati avviati i
laboratori dei giochi tradizionali. L’entusiasmo dimostrato nelle attività di costruzione, la passione e
l’impegno profusi sono sintomatici del bisogno che hanno i bambini di sperimentarsi e confrontarsi con le
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proprie abilità intellettive ma anche manuali. La soddisfazione di giocare e competere con un gioco
realizzato con le proprie mani innesca meccanismi di gratificazione e autostima determinanti per un sano
sviluppo psico-motorio e un’adeguata crescita emotiva e relazionale del minore.
I laboratori di costruzione del gioco tradizionale si dimostrano un agevole strumento per avvicinare i
bambini alla storia e alla geografia utilizzando un piacevole metodo di apprendimento, il gioco.
Considerazioni per non concludere
Bruna Pangallo
Il tema proposto si è rivelato di grande interesse ed attualità e la discussione all’interno del gruppo di
lavoro si è mantenuta sempre vivace e densa di contributi utili alla riflessione comune.
La prospettiva di “lavorare in rete” ha stimolato la consapevolezza di essere degli anelli di una catena di
eventi, esperienze e realtà che assumono un valore complessivo particolare, in funzione della loro
interazione e “contaminazione” al fine di muovere insieme verso obiettivi comuni e condivisi. L’attenzione
e l’ascolto hanno caratterizzato tutti gli interventi, unitamente alla volontà di rendere partecipi gli altri delle
considerazioni, problemi, caratteristiche e soprattutto prospettive e sogni delle proprie situazioni
professionali.
La tradizione è emersa così come una realtà tutt’altro che morta o decadente, come un prezioso
patrimonio ludico e culturale che continua a rinnovarsi e a trovare nuove forme di realizzazione, laddove
esiste la volontà di non “arroccarsi” al semplice mantenimento in vita di ciò che appartiene al passato, ma si
trasmette alle nuove generazioni attraverso un processo di “riappropriazione” che non esclude forme di
trasformazione più o meno formali, per mantenerne intatto lo spirito essenziale. Ci si è infatti soffermati sul
concetto di “tradimento” che, al di là del significato negativo che il termine oggi generalmente assume,
indica letteralmente la “trasmissione” (dal latino tradere) che non può prescindere da forme più o meno
consapevoli di modifica, dovute all’atto stesso del “passaggio” da un individuo all’altro, da una generazione
all’altra, da un epoca alla successiva e così via…
Tutto ciò permette l’identificazione di un gruppo con le proprie manifestazioni ludiche e culturali, eventi e
feste, intese come espressione di relazioni, socialità, valori etici, in sostanza permette la realizzazione di
scelte politiche e culturali.
Al di là dei concetti fondanti esplicitati nei diversi interventi rimangono tuttavia aperte le prospettive di un
percorso di collaborazione tra i centri di cultura ludica e le diverse realtà e gruppi che si riconoscono nella
Rete ed hanno come finalità la salvaguardia della tradizione, e con gli enti preposti alla ricerca e alla
formazione delle diverse figure educative coinvolte.
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Il gioco risulta ancora una volta il nodo centrale attorno al quale si coagula una comunità, ritrova le proprie
origini non per chiudersi in un’identità locale circoscritta, ma per aprirsi allo scambio e al confronto con le
altre realtà, siano esse quelle del territorio adiacente o quelle, più lontane solo territorialmente, delle
comunità di migranti che coabitano oggi con noi. Gioco inteso come creatività, comunicazione,
contrattazione di regole, socialità, movimento, esperienza, ma soprattutto che mantiene inalterate le sue
caratteristiche essenziali di gratuità e libera scelta, di piacere in se stesso senza necessità di scopi ulteriori,
concetto che al gruppo è parso ben sintetizzato nella definizione di Piero Santoni di “buon sollazzo”!
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Capitolo 6
Ludo-tecnica e edutainment: fattori negativi e valore aggiunto
Il tema: un viaggio ludico dall’edutainment al play learning per domandarci dove e come vivono il rapporto
tra tecnologia e gioco i bambini di oggi, “nativi digitali” che, secondo Postman69, hanno già perso l’infanzia
e si dirigono verso una lunga “baby adultità”? Con l’infanzia è destinato a scomparire anche il gioco? Il
rapporto con la tecnologia, così come avviene per la scienza, è per il gioco un prezioso alleato?
Coordinamento a cura di: Silvia Carbotti, Maria Battaglia
Contributi di: Silvia Carbotti,(ricercatrice UniTo), Maria Battaglia, (Centro per la Cultura Ludica - ITER -
Torino), Giusy Dompè, Laura Gullino, Lucia Papalia, Luisa Pezzuto (Circolo didattico Gramsci - Beinasco),
Barbara Demo (Politecnico di Torino), Gustavo Evangelista (collaboratore Lappset)
Riflessioni e lavoro di gruppo
Silvia Carbotti, Maria Battaglia
All’interno di un convegno dedicato al gioco non poteva mancare un momento di riflessione riservato ai
videogames e alle altre forme ludiche che implementano le tecnologie informatiche.
Il bisogno di riflettere su questo tema rispecchia un’esigenza meno diffusa tra gli adulti che gravitano
intorno al mondo ludico-educativo, soprattutto se rivolto alle fasce d’età dei più piccoli, ma può diventare
centrale, anche se a volte rimosso o ignorato, per chi opera in servizi rivolti agli adolescenti. A questo
proposito è necessario evidenziare come spesso esistano preconcetti o difficoltà degli adulti nei confronti di
questa forma di gioco, in genere poco praticato e distante dal passato ludico personale, e che tale
indisposizione renda spesso difficoltosa l’esplorazione delle possibilità ludiche ed educative offerte dai
videogiochi.
Per aprire il dibattito è stato necessario porsi delle domande, semplici nella formulazione ma complesse
nelle risposte: come vivono il rapporto tra gioco e tecnologia bambini, ragazzi e adulti? È questa la
domanda che ha accompagnato il gruppo di lavoro. A partire da alcune considerazioni iniziali e dalla
presentazione di esperienze significative, individuate sul territorio, si è cercato di aprire il dibattito e
facilitare il confronto circolare, in un atteggiamento di accoglienza - curiosità - indagine per discutere di
69
Postman N., La scomparsa dell’infanzia, Armando Editore, Milano, 2005.
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come il videogioco sia o meno presente e agito nelle realtà ludiche esistenti sul territorio italiano, tra loro
così differenti.
Attraverso questo intervento si auspica di gettare le basi per sollecitare una ricerca ludica che esplori
l’universo del videogioco, con incursioni nell’edutainment e nel play-learning, e un’attenzione verso le
differenze di genere e il contesto ludico contemporaneo, al fine di creare proposte articolate, significative e
vicine ai bisogni e alle domande delle nostre ragazze, dei nostri ragazzi e delle loro famiglie.
Lavoro di gruppo
Alcune insegnanti hanno portato la loro esperienza, legata all’uso di robot all’interno della scuola
dell’infanzia e primaria del circolo didattico Gramsci di Beinasco, realizzata in collaborazione con il
Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Torino (Prof.ssa Demo). Elemento chiave per la
riuscita dell’esperienza è stata la collaborazione tra i bambini che ha facilitato la costruzione di conoscenze
condivise. I bambini avevano la possibilità di manipolare un robot, programmarne un percorso e
sperimentarne il funzionamento: nel caso della scuola dell’infanzia il robot si presentava con le fattezze di
una simpatica coccinella, programmabile attraverso una tastiera collocata nella parte superiore, mentre per
la scuola primaria aveva le sembianze di un veicolo, programmabile attraverso un pc e in cui poteva essere
inserito un pennarello utile a lasciare una traccia tangibile del percorso compiuto.
Secondo le insegnanti, per questi bambini l’aspetto più coinvolgente non era solo quello di imparare a
programmare il robot che stavano utilizzando, ma anche di inventare nuovi giochi, porsi dei traguardi ogni
volta diversi e cercare di raggiungerli, agendo in prima persona.
Da questa esperienza emerge come questi oggetti, con una forte componente ludica, possano sostenere la
costruzione della conoscenza, una costruzione diretta di idee e saperi attraverso l’attività, l’esplorazione e
la manipolazione di oggetti e la relazione con gli altri. Alcune tecnologie, in questa prospettiva, sono viste
come piattaforme ideali per sperimentare idee, prendere decisioni, comunicare con gli altri, ed esplorare o
costruire nuovi mondi. I bambini/giocatori diventano costruttori attivi di saperi piuttosto che destinatari
passivi. Si sviluppa dunque un “apprendimento situato”, ovvero quello che occorre in ogni attività umana:
nell'esame della natura dei problemi che si incontrano, del modo in cui le persone applicano la teoria alla
pratica. Questi oggetti ludici, che si avvalgono di tecnologie informatiche, al pari dei videogiochi,
consentono di sviluppare strumenti utili a rappresentare la problematicità di una situazione, ricostruendo
ambientazioni storiche o fenomeni fisici e naturali.
Successivamente all’interno del gruppo è stata esposta una breve presentazione sui risultati di una ricerca,
condotta in alcune classi in Inghilterra, sull’uso dell'ambiente ludico-pedagogico SmatUs, proposta da
Gustavo Evangelista.
143
Da una tecnologia finlandese, sviluppata dalla società Lappset, nasce SmartUs, un gioco interattivo
elettronico generalmente installato all’aperto. I progettisti del gioco avevano come obiettivo quello di
creare uno strumento didattico in grado di dar vita a un ambiente ludico di apprendimento (Playful
Learning Environment, PLE), alternativo all’insegnamento tradizionale e attento ai diversi stili cognitivi
(learning styles). Attraverso software dedicati, gli insegnanti possono utilizzarlo a fini educativi con i ragazzi
creando nuovi giochi, in cui sviluppare in forma ludica anche contenuti svolti in ambito scolastico. Oltre ai
vantaggi forniti sul piano didattico, come messo in evidenza nella ricerca inglese, le attività svolte con
SmatUS consentono di coniugare e conciliare il gioco, l’apprendimento e il movimento (camminare, saltare
o correre) come bisogno del bambino e modalità di esplorazione dell’ambiente.
A partire da tutte le suggestioni e le esperienze fino a questo momento presentate, si è aperto un dibattito
con operatori, educatori, insegnanti e ludotecari che quotidianamente si confrontano con questi temi o
cominciano a prenderli in esame.
Il primo aspetto, messo in evidenza durante la discussione all’interno del gruppo di lavoro, è stato il
rapporto tra il luogo in cui si possono utilizzare i videogiochi e lo stato d’animo o la condizione di chi li usa.
Dalla testimonianza di un’insegnante che lavora in ospedale, si è messo in evidenza come ragazzi in età
adolescenziale, che vivono uno stato di degenza, usino i videogiochi anche in reparto, ma preferiscano
giochi per un’età inferiore alla propria, in cui la narrazione è molto più semplice: sono giochi di avventura o
di abilità e destrezza che i ragazzi sembrano “risolvere” senza particolari difficoltà. Questo ha permesso di
sottolineare come il contesto tenda ad influenzare la scelta del tipo di videogioco. Si tratta, infatti, in questo
caso di giochi che, nella loro semplicità, riescono a rilassare, intrattenere, divertire e favorire l’interazione
con gli altri.
Il concetto di immersione è stato evidenziato come una dimensione importante e che si rivela in grado di
aiutare alcuni ragazzi a superare situazioni di svantaggio che sembrano percepire nella vita reale. «Quando
gioco mi sento un eroe!»: adolescenti che vivono una situazione di disagio nei confronti di altri coetanei,
perché presi in giro, o peggio perché subiscono situazioni di bullismo, trovano nuovi amici, che scoprono o
condividono con loro la passione nei confronti dei videogiochi. Si confidano trucchi e mosse da fare, si
stimano a vicenda. Scoprono la possibilità di “sbagliare”. I videogiochi consentono di reiterare, anche più
volte, un’azione fallendo, tentando, riprovando ancora. Questo permette di non arrendersi quando la prima
volta non si riesce positivamente nei propri intenti.
È emerso, inoltre, come questo aspetto sia, per esempio, molto significativo quando si fa leva sull’uso di
videogiochi interattivi, per aiutare i bambini stranieri nell’apprendimento della lingua italiana.
Generalmente questi bambini si trovano in una condizione di mutismo, dettata dalla paura di esprimersi in
una lingua che non è la propria, davanti a coetanei o compagni di classe. La possibilità di reiterare, anche
più volte, un’azione consente di poter tentare e sperimentare, fino a comprendere l’azione giusta o la
formulazione giusta per raggiungere un obiettivo.
144
La difficoltà principale è quella, però, di portare all’esterno queste caratteristiche positive che non
dovrebbero rimanere circoscritte al gioco davanti allo schermo, limitate in una dimensione solo privata, ma
dovrebbero poi consentire di aprirsi anche verso il mondo reale.
Infine è emersa, attraverso l’intervento di alcuni operatori, una resistenza personale e una valutazione
negativa sull’uso di questi strumenti nel tempo libero. A questo proposito è necessario sgomberare il
campo da alcune critiche troppo semplicistiche: parlare di videogiochi e cercare di identificare punti di forza
e svantaggi non nasce dall’esigenza di “introdurli” nella vita dei bambini, ma dalla constatazione che, per le
caratteristiche insite in questi strumenti, sono già elementi di forte attrazione per i bambini, presenti nelle
case e nelle vite sia dei più grandi che dei più piccoli. Occorre, pertanto, capire quello che sta succedendo,
per non creare un gap culturale e generazionale troppo grande per consentirci di comprendere i bambini
stessi. I videogiochi, pertanto, sono solo un elemento del ludico contemporaneo di bambini e ragazzi e non
lo esauriscono, ma dall’altra parte non possiamo permetterci di ignorarli e non comprenderli.
1. Sui videogiochi
Silvia Carbotti
Le generazioni cresciute con Pac-man e Pong, a partire dagli anni ‘70, hanno aperto la strada all’infanzia e
all’adolescenza del ventunesimo secolo e hanno acquisito una graduale familiarità con le tecnologie, in
particolare con tutte le opportunità da queste offerte, attraverso la sperimentazione, l’esplorazione e il
gioco. Ciò ha fatto sì che alcuni videogiochi, in un dato momento storico, per innovazione e caratteristiche,
siano diventati particolarmente famosi, si siano trasformati in insegnanti/istruttori del tutto informali per
sviluppare competenze nel problem solving, nello sviluppo del pensiero divergente, nella coordinazione tra
occhio e mano. Ed ora il gioco elettronico non è solo un’esperienza vissuta in casa e intesa come puro
intrattenimento, ma è entrato a più livelli nell’esperienza umana quotidiana, sia nell’extra-scuola che nelle
classi.
I videogiochi offrono feedback rispetto alle strategie intraprese, consentendo così di calibrare le abilità
individuali e scoprirne di nuove. Le categorie sono ovviamente molteplici: dai giochi di abilità e destrezza,
passando per la simulazione fino ai giochi di avventura. Se però i videogiochi sono nati specificatamente
nell’ambito del cosiddetto entertainment, l’accezione che si utilizza con maggiore frequenza oggi è quella di
edutainment, per legare il carattere di intrattenimento a quello educativo. I videogiochi consentono, infatti,
un rapporto multisensoriale, basato sull’imparare facendo e dunque giocando. Ciò non vuol dire che lo
scopo ultimo sia strettamente educativo o debba necessariamente esserlo, ma che, per la natura
interattiva, collaborativa e la presenza di una molteplicità di codici comunicativi, i videogiochi si pongono
senza dubbio anche in questa prospettiva.
145
Va detto inoltre che l’uomo, sin dalla nascita, apprende attraverso una modalità percettivo-motoria che si
attiva quando si interagisce in prima persona con la realtà che si intende conoscere. Questa modalità è
caratterizzata da una vera e propria immersione all’interno di un ambiente e, non a caso, è quella che
contraddistingue l’apprendimento legato all’interazione con ambienti multimediali in cui coinvolgimento e
simulazione divengono elementi centrali. I videogiochi permettono ai bambini di creare un
rapporto/relazione non tanto con la tecnologia ma principalmente con la realtà con cui si stanno
relazionando. È argomento condiviso, inoltre, che i bambini vivano e crescano immersi in contesti ricchi di
tecnologie e, proprio per questo motivo, sviluppano nuovi modi di interagire con esse e con la realtà che li
circonda. Le generazioni precedenti, invece, che non sono cresciute in contesti simili, finiscono con l’essere
goffe e impacciate rispetto alle abilità di bambini ben più piccoli. L’immersione in un contesto tecnologico
forte potenzia nei bambini, cosiddetti “nativi digitali”, la modalità percettivo-motoria.
La scuola ci porta in una seconda fase della vita in cui l’apprendimento segue una struttura più lineare,
basata sullo studio attraverso il libro e più vicina alle generazioni precedenti, definite “immigrati digitali”,
che si sono accostate alle tecnologie, dalle più casalinghe e semplici alle più professionali e complesse, in
una seconda fase della vita ed hanno imparato gradualmente ad usarle e comprenderne le relazioni.
Questa posizione, sempre più popolare nella letteratura, suggerisce che i nuovi prodotti multimediali, tra
cui i videogiochi, siano sofisticati “beni” culturali, in grado di permettere lo sviluppo di competenze e abilità
cognitive più vicine alle condizioni emergenti del ventunesimo secolo.
Il più noto divulgatore di queste idee è Marc Prensky, scrittore, consulente e progettista di videogiochi
educativi e simulazioni. Nel 2001 ha pubblicato Digital Game-Based Learning70 e, nel 2006, Don't Bother Me
Mom - I'm Learning: come computer e videogiochi stanno preparando i tuoi figli per il successo del
ventunesimo secolo!71; Prensky si rivolge a genitori ed educatori per mettere in evidenza come i videogiochi
siano utili allo sviluppo dei bambini. Citando il concetto di neuroplasticità72, colto dalle neuroscienze,
l’autore sostiene che giocare aiuti a riorganizzare le attività del cervello: gestire la complessità, esperire il
fallimento in un ambiente a basso rischio, collaborare con gli altri (anche attraverso il web), comprendere le
conseguenze delle proprie azioni, esplorare diverse identità, gestire informazioni multimediali simultanee
(multitasking).
In questa visione ci sono enormi somiglianze con la posizione proposta da Don Tapscott73 secondo il quale i
bambini “of the new media” sono esperti, autosufficienti, affamati di relazione, di analisi, creativi, curiosi,
70
Prensky M., Digital Game-Based Learning, McGraw-Hill Companies, 2001. 71
Prensky M., Don't Bother Me Mom - I'm Learning, Paragon House Publishers, 2006. 72
Il cervello è l’organo del cambiamento. C’è un concetto nelle neuroscienze denominato neuroplasticità, che afferma che il cervello altera se stesso ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo. Inoltre cambia quando abbiamo una qualsiasi nuova esperienza. La nostra materia grigia, per funzionare al meglio nella vita, si riorganizza mentre scegliamo di modificare il nostro comportamento. In altre parole quando cambiamo realmente idea (change our mind in originale), il cervello cambia… e quando cambiamo il cervello, la mente cambia. 73
Tapscott D., Growing Up Digital: The Rise of the Net Generation, McGraw-Hill Companies, 1998.
146
tutte caratteristiche che, secondo David Buckingham74, sono l’effetto di un’immersione in contesti
fortemente caratterizzati dalle tecnologie piuttosto che il risultato di altre forze sociali, storiche o culturali.
E, come Prensky, sia Tapscott che Buckingham ritengono che i videogiochi possano offrire una visione
realistica di come chiunque, giovane o vecchio, apprenderà e lavorerà nei decenni futuri. Il lavoro di
Prensky è significativo perché cerca di coinvolgere in prima persona genitori e insegnanti nel dibattito su
giochi e apprendimento, fornendo alcuni suggerimenti assennati su come utilizzare i videogiochi per scopi
didattici, in casa e a scuola75, suggerimenti preziosi che spesso vengono tenuti presenti anche da educatori
e ludotecari.
2. Uno spazio per il videogioco in ludoteca: problematicità e prospettive
Maria Battaglia
I videogiochi fanno parte del ludico quotidiano di giovani, adolescenti e, sempre di più, anche dei bambini
più piccoli. Nell’incontro con educatori, insegnanti, genitori e colleghi emergono esigenze e interrogativi
sull’introduzione dei videogiochi all’interno di ludoteche o di spazi-gioco aperti soprattutto agli adolescenti.
Ci sembra quindi interessante non tanto offrire soluzioni che rischiano di essere soltanto parziali,
approssimative e fuori luogo, quanto mettere in luce i nodi problematici che l’introduzione dei videogiochi
in ludoteca può produrre o, più semplicemente, far emergere per avviare un confronto all’interno dei
gruppi di lavoro.
Un prezioso aiuto ci viene sia dall’esperienza maturata a Torino, nelle strutture dei Centri di Cultura per il
Gioco, in particolare presso il Centro per la Cultura Ludica, sia dall’articolo Il videogioco nelle ludoteche,
pubblicato su La Ludoteca,76, in cui sono riportati i risultati di uno studio interessante, condotto in Francia
dal 2007 al 2008, sulle attrezzature, i servizi e le pratiche videoludiche nelle ludoteche.
Avviare un confronto, allargato ed esteso, sull’opportunità di allestire uno spazio dedicato al videogioco,
all’interno del gruppo di lavoro, è il primo fondamentale passo che permette di esplicitare bene le
motivazioni personali degli educatori e dare una risposta condivisa dal gruppo di lavoro.
È un approccio metodologico certamente più faticoso in fase iniziale, ma che evita tanto il rischio di limitare
l’intervento a iniziative personali individuali o di una parte dell’equipe, quanto il rischio di confinarlo in un
ambito per addetti ai lavori, con il rischio di privilegiare l’aspetto ludotecnico e tralasciare gli aspetti più
interessanti e significativi legati alla relazione educativa.
74
Buckingham D., Beyond Technology: Children’s learning in the age of digital culture, Cambridge Polity, 2008. 75
Il sito gamesparentsteachers.com descrive diversi modi in cui i videogiochi esistenti possono diventare il punto di riferimento per discussioni e attività. Suggerisce, per esempio, di utilizzare The Sims come punto di partenza per una discussione sulla identità, in particolare propone agli insegnanti di utilizzarlo per affrontare questioni come l’identità personale o la diversità. 76
Rivista La Ludoteca, anno XXX, n. 3.4 - maggio/agosto 2009.
147
Un rapporto dialogante, che si confronta con i colleghi e con l’utenza, permette a ognuno di crescere, cioè
di uscire dai limiti dei pregiudizi personali, delle contrapposizioni oziose e fuorvianti, per dare invece un
respiro progettuale più ampio al proprio agire, in grado di dar vita a proposte e iniziative più coinvolgenti,
articolate e motivate.
Le due domande chiave a cui rispondere, perché e per chi introdurre i videogiochi in ludoteca, hanno come
premessa alcune riflessioni e considerazioni.
Sicuramente le risposte sono meno urgenti per chi si rivolge alla fascia di utenti dagli zero ai sei anni,
mentre per altri servizi che si rivolgono a fasce d’età più ampie introdurre i videogiochi vuol dire non
lasciare fuori, ma accogliere una parte importante del ludico contemporaneo, in particolare per gli
adolescenti.
Va comunque sottolineata la crescente e costante diffusione dei videogiochi: già i bambini, di sei/sette
anni, o anche meno, ne fanno richiesta, ne sono in possesso o semplicemente li giocano. In molti casi può
trattarsi dei giochi degli adulti o dei fratelli maggiori, o ancora acquistati e regalati dai genitori per
soddisfare un proprio bisogno di riconoscimento sociale: sovente, in questi casi, i giochi non risultano adatti
alla giovane età, possono trasformarsi in fonte di frustrazione o disinteresse verso altre forme di gioco
palesemente destinate ai più piccoli, ma ritenute socialmente meno gratificanti e puerili.
Se le famiglie devono imparare a gestire la presenza del videogioco in casa, la ludoteca, riconosciuta come
agenzia educativa competente sul gioco, può fornire un modello di comportamento da valutare,
apprezzare, criticare, modificare e, in altre parole, da sperimentare a genitori e a adulti che la frequentano.
L’equipe della ludoteca può scegliere se offrire o meno una proposta limitata, magari funzionale ad attirare
un’utenza in altri modi difficilmente raggiungibile o invece promuovere una proposta culturale inserita in
maniera attiva e problematica nella relazione educativa, ma è comunque importante dare una risposta
coerente, condivisa e leggibile dall’utenza per misurare e dichiarare la dimensione progettuale
dell’intervento che l’equipe è in grado di sostenere.
Quali strumenti: computer o console?
La domanda non è oziosa e la scelta influenzerà sicuramente l’utenza che frequenta il Centro.
Dalla ricerca avviata in Francia emerge che “il tipo di strumenti presenti in una ludoteca (console o
computer) fanno variare considerevolmente non solo le tipologie di giochi e il numero di titoli, ma anche gli
utenti in termini di età e di sesso. Quando le ludoteche, infatti, sono attrezzate con i computer, i giochi di
piattaforma fanno posto a giochi ludico-educativi (…) i giochi di strategia sincroni e i giochi di tiro sono più
numerosi,(…) si tende a far giocare anche i più piccoli (3-6 anni) oltre agli adolescenti (dai 14 anni in su)(…)
si osserva anche una maggiore presenza femminile.
148
Inoltre, sembra che le attrezzature nelle ludoteche siano determinanti nello strutturare la pratica video-
ludica: infatti, nel caso delle ludoteche attrezzate con le console, le pratiche del videogioco sono meno
educative, più orientate su prodotti di mercato e centrate sul divertimento.
Nel caso delle ludoteche attrezzate con i computer, i titoli sono più diversificati, i giochi più utilizzati dalle
femmine, gli adolescenti e gli adulti più presenti”77. Sicuramente il computer diventa uno strumento più versatile, utile non solo per il gioco, ma funzionale
anche per altri aspetti della vita in ludoteca. Pone però maggiori problemi di natura tecnica, mentre le
console generalmente sono più semplici da gestire perché i giochi per queste piattaforme sono
immediatamente fruibili.
Altro nodo problematico è scegliere quali software acquistare, ma anche accogliere: infatti, quando c’è uno
spazio dedicato ai videogiochi, anche i ragazzi tendono a portare i loro giochi per condividerli con amici e
compagni. La ludoteca può accettarli o operare una selezione, scegliendo quali far entrare e quali no, o
ancora raccogliere l’occasione per articolare, sviluppare e arricchire la relazione educativa con gli
adolescenti.
Per la ludoteca la scelta dei giochi non è, in ogni caso, secondaria o casuale, ma avviene sempre in base a
criteri condivisi tra gli operatori. Nel caso dei videogiochi il codice PEGI è sicuramente un punto di
riferimento. Il sistema PEGI (Pan European Game Information) è il primo sistema paneuropeo di
classificazione in base all’età per computer e videogame. Esso fornisce raccomandazioni sul contenuto e
l’idoneità in base alle diverse fasce d’età, ma non dà indicazioni sulla “giocabilità” e sulla “usabilità”. Notizie
in merito devono essere reperite in altro modo ed è cura degli adulti raccogliere le informazioni adatte78.
Un punto dolente restano i costi dei software: non acquistare le ultime novità, molto più onerose, ma
scegliere riedizioni più economiche, giochi longevi per durata e possibilità di gioco e affidarsi al passaparola
tra videogiocatori possono essere buone strategie per contenere notevolmente i costi e offrire una buona
varietà di giochi che accontenti tutti i “gusti” e offra, allo stesso tempo, un’opportunità di ampliare gli
interessi ludici.
Il collegamento internet, inoltre, permette di ampliare l’offerta ludica usando le risorse gratuite messe a
disposizione dalla rete. Questa possibilità apre tuttavia un altro problema: non è facile per la ludoteca
gestire e conciliare la possibilità di navigare sicuri, garantendo la tutela del minore e il suo diritto di accesso
all’informazione e alle opportunità della rete, e il rischio non da poco di esporre i minori a contenuti non
appropriati agli strumenti di lettura in loro possesso. Internet, i cui contenuti sono per tutte le fasce d’età e
non sempre collocati in siti separati, ben identificabili, è una risorsa e uno strumento sempre più in uso
diffuso sia a scuola che a casa: gestirlo richiede una sinergia tra genitori, bambini ed educatori che li veda in
77
Op.cit. 78
Bruschi B., Parola A., Figli dei media, SEI, Torino, 2005.
149
costante dialogo. L’educazione, e non tanto la proibizione, possono essere la pratica migliore per insegnare
un corretto uso della rete.
Altra domanda e altra scelta importante, per le dinamiche a cui dà vita, è la scelta dello spazio e, in
particolare, la scelta tra uno spazio separato dagli altri spazi ludici, facilmente controllabile e fruibile da un
numero ristretto di utenti o uno spazio condiviso con altre situazioni ludiche e accessibile da tutti gli utenti,
indipendentemente dall’età. In questo caso si ha il vantaggio di avvicinare generazioni diverse, ma la
condivisione implica la mediazione, che si rivela fondamentale nella gestione dei tempi e delle modalità di
fruizione.
Mentre i tempi possono essere concordati con l’equipe, autogestiti dall’utenza, tutti i giorni o limitati ad
alcuni, le modalità possono essere diverse: da soli, a gruppi omogenei o no, con il coinvolgimento diretto o
meno degli adulti, educatori e accompagnatori.
L’uso dei videogiochi può inserirsi nella vita della ludoteca con iniziative ad hoc, ma anche in occasioni di
feste per l’allestimento di postazioni di gioco, o, se si possiedono computer, stampante e scanner, per la
preparazione di eventi con la produzione e stampa di materiale vario. Se si dispone di un collegamento
internet può essere un aiuto nelle ricerche dei ragazzi, permette contatti con altre ludoteche per tornei,
scambi.
Le occasioni quindi per arricchire la vita della ludoteca e la relazione educativa sono innumerevoli, rimane
solo un’ultima necessità: la formazione. Anche se molti giovani educatori possono definirsi nativi digitali, è
necessaria, ma non sufficiente, la conoscenza e, possibilmente, la pratica dei videogiochi. È indispensabile
formarsi per poter acquisire, condividere, confrontare competenze e trasformarle in un agire educativo
responsabile in grado di aiutare le bambine e i bambini, i ragazzi e le ragazze a costruire la propria
autonomia, la propria cittadinanza responsabile.
Dieci anni di esperienza
Presso il Centro per la Cultura Ludica di Torino è attiva da una decina d’anni un’area tematica dedicata ai
videogiochi. L’intento iniziale era di esplorare questa parte dell’universo ludico che negli anni ha assunto
dimensioni notevoli non solo a livello di mercato globale, ma soprattutto nel quotidiano ludico
contemporaneo di giovani adolescenti. C’era la necessità di capirne le possibilità in campo ludico ed
educativo, l’urgenza di confrontarsi, uscendo da sterili contrapposizioni di principio, rinnovando
l’attenzione verso il ludico e le sue nuove forme.
Si sono così avviate attività che hanno coinvolto:
- classi della scuola dell’infanzia, primaria, secondaria e di recupero scolastico
- utenza libera accolta presso il Centro nei sabati a tema
- formazione adulti insegnanti e corsi CSEA.
150
Ora si può fare una prima valutazione di alcuni aspetti che sono emersi nel corso di questi anni, con una
particolare attenzione verso bambini e insegnanti, aspetti delle dinamiche di gioco, ruolo dell’adulto nelle
attività presso il Centro e genitori.
Negli anni i bambini sono molto cambiati sotto alcuni aspetti che coinvolgono il ludico.
È cambiato il rapporto che i bambini hanno con i videogiochi: se dieci anni fa, in ogni classe solo un
gruppetto di maschi dagli otto anni in su aveva esperienze dirette, oggi i videogiochi sono utilizzati da tutti,
coinvolgendo bambini e ragazzi anche di età inferiore, senza distinzione di sesso e provenienza sociale e
culturale. Il graduale e continuo cambiamento della composizione sociale delle classi, con l’inserimento di
bambini di altre nazionalità e culture, non ha inciso sulle dinamiche ludiche, anzi le ha arricchite.
Nell’avvicinarsi al mezzo, computer o console che sia, i bambini hanno meno paure, sono curiosi, riescono
velocemente, in particolare con l’aiuto del gruppo dei pari, a imparare come manipolare mouse e
controller, come muoversi in ambienti ludici complessi.
Crescendo, i ragazzi imparano, molto spesso con il passaparola, a manipolare lo strumento di gioco fino a
quando diventa trasparente, sempre più sfondo79, e centrale diventa non solo il gioco, ma anche la
comunicazione con gli altri, la visione di film, l’ascolto di musica, la raccolta di informazioni e la
pubblicazione di propri scritti. Oggi lo strumento per videogiocare viene usato in modi diversi rispecchiando
gli interessi, le capacità tecniche e gli orizzonti culturali e sociali di chi lo utilizza.
Anche gli insegnanti sono cambiati negli anni. Permane in alcuni una resistenza verso il videogioco, in
particolare quello su console, ma cresce in altri l’interesse verso le TIC e un bisogno di capire e includere il
ludico, o alcuni elementi di esso, in ambito didattico. Questa sensibilità nasce da un’esigenza di superare la
lezione d’informatica, creando ambienti di apprendimento capaci di coinvolgere attivamente i propri allievi,
e dalla necessità di migliorare le dinamiche relazionali attraverso il gioco.
Osservando bambini e ragazzi interagire con un videogioco, si notano le stesse caratteristiche e dinamiche
già presenti nel gioco tradizionale quali la scelta dei compagni di gioco; la negoziazione sulla scelta dei
giochi, sui tempi e turni di gioco e su quali azioni compiere; l’impegno e la gioia che accompagnano la
riuscita nel gioco o il raggiungimento degli obiettivi; l’autoesplorazione, il superamento della paura
dell’errore, l’aumento dell’autostima; il bisogno e il piacere di condivisione delle scoperte o conquiste con il
gruppo dei pari e con gli adulti; l’aiuto reciproco con la condivisione di abilità e competenze e il
miglioramento delle performance da un lato e la creazione, il consolidamento o la rottura dei rapporti
amicali dall’altro.
Altre riflessioni riguardano il ruolo dell’adulto a cui è chiesto di: accogliere le narrazioni, di essere
consapevole delle possibilità di bambine e bambini, ragazze e ragazzi assicurando loro sostegno e fiducia,
organizzare l’ambiente calibrando le proposte gioco in modo che la qualità dell’impegno richiesto si accordi
79
McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967.
151
con l’età di bambini e ragazzi; accogliere/riconoscere/restituire/ampliare gli interessi di bambini e ragazzi e
le loro competenze; riflettere per creare cultura; arricchire/diversificare gli ambienti ludici e gli ambienti di
apprendimento; ampliare la propria formazione, rinnovando una presenza attiva e attenta in campo
educativo.
Un cenno particolare va ai genitori che guardano i loro figli maneggiare computer e videogiochi, molto
spesso curiosi, orgogliosi, speranzosi, altre volte preoccupati o diffidenti. A loro spetta il ruolo importante
di limite e di controllo a tutela del minore.
Un aspetto interessante che emerge in questi ultimi anni è il recupero graduale della frattura
generazionale, che si era creata in campo ludico a partire dagli anni ‘70. In alcune famiglie c’è ora la
condivisione di una cultura ludica che si riavvicina: molti papà e alcune mamme hanno un passato
videoludico che mettono in gioco nelle dinamiche familiari.
3. Bambini e robot
Giusy Dompé, Laura Gullino, Lucia Papalia, Luisa Pezzuto80
Introduzione
“La scuola dovrebbe riuscire a confrontarsi sempre con i cambiamenti e le innovazioni per essere in grado
di fornire risposte formative adeguate alla realtà sociale e culturale che gli allievi vivono e nella quale si
troveranno ad operare.”81
È a partire da queste considerazioni che cinque anni fa è stato inserito nel piano dell’Offerta Formativa del
Circolo didattico di Beinasco il progetto di Robotica che prevede l’uso, da parte degli alunni, di vari tipi di
robot programmabili durante le attività scolastiche.
Da anni avevamo cominciato a potenziare le scuole primarie e dell’infanzia del Circolo in termini di
hardware, software e formazione del personale in campo informatico. Abbiamo rilevato però che tutto ciò
che con i bambini riuscivamo a realizzare (utilizzo di programmi di videoscrittura, fogli di calcolo, disegni,
ecc.) rischiava di risolversi nel computer stesso.
Il rischio dunque era che la macchina diventasse il fine delle attività; noi invece volevamo fortemente
educare i bambini a riconoscere nelle tecnologie il mezzo. Era necessario quindi trovare uno strumento
ludico che fosse per i bambini tecnologicamente appetibile, che li attirasse senza renderli fruitori passivi ma
soggetti attivi che costruiscono, progettano, pensano, provano e verificano.
Per la nostra generazione i robot appartenevano, per lo più, ad un mondo di fantasia e di fantascienza, per i
nostri alunni i robot sono diventati molto più concreti: giocattoli che si trovano comunemente in
80
Docenti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria, Circolo didattico di Beinasco - Gramsci www.beinascogramsci.it. 81
Feuerstein R., Non accettarmi come sono, Sansoni Editore, Milano, 1995.
152
commercio, che eseguono gli ordini che gli sono stati impartiti dai loro costruttori ma che non sono in
realtà controllabili dal bambino che può giocarci solo seguendo alcune regole prestabilite.
I robot proposti a scuola hanno la particolarità di essere dei giocattoli che per funzionare devono essere
programmati direttamente dai bambini, alcuni anche costruiti in base a caratteristiche diverse e particolari,
consone al tipo di movimento e/o di percorso che si vuole che facciano.
I bambini hanno accolto con entusiasmo la proposta dei robot in classe e la loro curiosità ci ha permesso di
progettare un percorso didattico articolato che li ha visti protagonisti nell’ideazione e nella
programmazione dei robot.
“La costruzione che ha luogo nella testa spesso si verifica in maniera particolarmente felice quando
supportata dalla costruzione di qualcosa di molto più concreto: un castello di sabbia, una torta, una casa di
Lego, un programma per computer, una poesia, una teoria dell’universo...” (Seymour Papert).
Esperienze nelle scuole
Le attività che prevedono l’utilizzo a fine didattico di piccoli robot vengono proposte in tutte le scuole
dell’infanzia e in tutte le scuola primarie del Circolo e coinvolgono i bambini dai cinque agli undici anni.
Il fascino esercitato dai robot sui bambini fa sì che anche gli alunni della scuola dell'infanzia possano fare
esperienze inoltrandosi in un mondo scientifico mediante un approccio divertente.
Attraverso queste esperienze abbiamo potuto constatare come i bambini mettano in gioco le loro attitudini
creative, la loro capacità di comunicazione e, con la regia attenta dell'insegnante, anche la disponibilità alla
cooperazione.
Nelle scuole dell’infanzia viene utilizzato il Bee-Bot, una piccola ape di plastica,
che a prima vista sembra un giocattolo come altri ma che in realtà è un robottino.
È programmabile in modo semplice e immediato, premendo in sequenza i tasti
posti sul dorso, sui quali sono disegnate delle frecce che corrispondono alle
direzioni avanti, indietro, destra e sinistra.
Ogni azione in avanti o indietro determina rispettivamente uno
spostamento del Bee-Bot di 15 cm e ogni azione destra o sinistra una
rotazione relativa di 90°; si possono programmare fino ad un massimo di
40 azioni. L’ape viene introdotta nell’attività scolastica come elemento
fantastico durante l’attività di laboratorio: risulta strategico e
fondamentale il numero ridotto dei bambini poiché ciò consente una
migliore partecipazione ed un loro più puntuale coinvolgimento.
I bambini hanno la possibilità di conoscere, toccare, manipolare e
sperimentare liberamente l’uso dei tasti.
Fig.1 Il Bee-Bot
Fig.2 Esempio di cartellone
153
In concomitanza a questo primo approccio con il robot, i bambini
svolgono un’attività di gioco motorio che permette loro di vivere
con il corpo esperienze di direzione e lateralizzazione; con i
bambini risulta inoltre sempre molto significativo osservare
come la lunghezza del loro passo vari a differenza di quello del
Bee-Bot (azione conseguente alla pressione del tasto avanti o
indietro) che è sempre lungo uguale.
Dopo questo primo momento di conoscenza del Bee-Bot
vengono introdotti dei cartelloni (vedi figura 2), suddivisi in
quadrati di 15 cm circa di lato, che propongono ambienti diversi
nei quali il Bee-Bot si può muovere.
I bambini imparano quindi a programmare i movimenti dell’ape per fare in modo che si sposti sul cartellone
secondo un percorso stabilito, utilizzando i tasti del Bee-Bot. Pervengono così naturalmente all’utilizzo di un
primo semplice codice poiché sostituiscono la freccia corrispondente alla direzione con le parole: avanti,
indietro, destra e sinistra.
Il Bee-Bot è sempre inserito all'interno di storie che si adattano alla progettazione didattica. È diventato, ad
esempio, uno dei personaggi principali nel Progetto Ambiente. Infatti uno dei cartelloni proposti
rappresenta l'orto, in alcune caselle sono disegnati gli ortaggi, in altre gli attrezzi, gli insetti o i fiori.
Il bambino decide autonomamente il percorso e quindi quali caselle far percorrere al Bee-Bot per
raggiungere quella casella con la figura prescelta. Quasi sempre le attività vengono proposte sotto forma di
gioco. Sono possibili diverse varianti che partono spesso anche dalla fantasia e dalla creatività dei bambini.
Un gioco consiste nel racchiudere in un sacchetto le figure rappresentate sul cartellone. Il Bee-Bot viene
posto sulla casella d’inizio, quindi a turno i bambini estraggono un’immagine che il robot deve raggiungere.
In seguito possono essere associate alle figure dei numeri e la scelta avviene tramite il lancio di dadi.
Un'altra esperienza è incentrata sul racconto di favole: sul
cartellone vengono posizionate immagini di personaggi o
momenti di favole; l'insegnante legge brevi frasi che descrivono
e corrispondono ad un'immagine del cartellone, il bambino deve
mandare il Bee-Bot sulla casella giusta.
È importante sottolineare come questo simpatico robot a forma
di ape sia uno strumento didattico utile allo sviluppo della
percezione spaziale e della logica, ma non solo. Il bambino è
anche chiamato a mettere in atto strategie risolutive, deve
ipotizzare un percorso, possibilmente il più breve, e così
Fig.3
Una bambina programma un Bee-Bot
Fig.4 Lo Scribbler
154
comincia a confrontarsi in modo spontaneo e ludico con il concetto di aggiunta e/o diminuzione riguardo
alle azioni da far svolgere al robot.
Il percorso attuato nella scuola primaria propone per la classe prima ulteriori attività con il Bee-Bot, che
diventa anche strumento di raccordo interdisciplinare.
Nella scuola primaria, in continuità con la scuola dell’infanzia, è quindi possibile proporre nuove attività con
l'apina che, in tal modo, diviene uno strumento di conteggio sulla retta
numerica, fornendo un supporto visivo ai bambini che così possono
prevedere, programmare ed effettuare movimenti in avanti e indietro. Il
piccolo robot può anche essere il protagonista di storie da inventare e da
scrivere, può assumere infatti ruoli e travestimenti diversi, può muoversi
in scenari ideati e realizzati dagli stessi bambini.
A partire dalla classe seconda e per tutta la terza, viene proposto ai
bambini lo Scribbler, un robot programmabile dotato di ruote
indipendenti, di led luminosi, di fotocellule capaci di rilevare e
seguire fonti luminose, di trasmettitori a raggi infrarossi per
individuare ed evitare ostacoli, di sensori di linea posti sulla base del
robot che gli permettono di seguire una traccia nera, su uno sfondo
bianco. Di particolare utilità risulta il foro centrale presente nello
Scribbler: in esso è possibile inserire un pennarello che, con il
movimento effettuato dal robot, può lasciare traccia su un foglio del percorso effettuato, da questo il
nome: “Scribbler™ Robot”, ovvero robot che scarabocchia.
La novità introdotta dallo Scribbler è la necessità di utilizzare il computer per programmarne gli
spostamenti attraverso un’interfaccia grafica. I bambini sono dunque avviati ad una programmazione
iconica: la programmazione del Bee-Bot avveniva con la pressione di tasti, per la programmazione dello
Scribbler devono provvedere con la scelta delle icone (comandi) adatte. In
modo del tutto naturale i bambini cominciano a manipolare grandezze
variabili. Occorre infatti impostare in termini di grandezza la direzione, la
velocità e la durata del movimento. Con gli appositi comandi, oltre al
movimento, è possibile attivare l’accensione e lo spegnimento delle luci, la
riproduzione di sequenze sonore e, con l’ausilio di procedure più
complesse, è possibile impostare cicli di ripetizione o di scelta a seguito di
un’interrogazione (ad esempio, “se c’è un ostacolo, allora gira a destra”).
Lo Scribbler propone otto programmi dimostrativi. Utilizzando tali programmi si può osservare il robot in
azione e avere un’idea delle potenzialità; questa fase di osservazione costituisce il primo approccio al robot.
Fig.5
Interfaccia grafica per lo Scribbler
Fig.6
Lo Scribbler legge la traccia
155
In seguito i bambini, consapevoli delle possibilità di movimento dello Scribbler, possono utilizzare il
software di programmazione e collegare le varie icone corrispondenti a semplici comandi. Ad una fase di
progettazione, nella quale sono stati stabiliti i movimenti e le azioni che si vogliono far eseguire al robot,
segue la fase di realizzazione che si concretizza in espliciti diagrammi di flusso. Facendo muovere lo
Scribbler è possibile disegnare linee rette e/o curve oppure figure geometriche, applicando e
sperimentando le conoscenze possedute.
È evidente che attraverso il canale del gioco e del divertimento possono essere veicolati contenuti
disciplinari, relativi all’aritmetica e alla geometria, di elevato valore per quanto riguarda la maturazione
delle capacità logiche e di problem solving.
Nelle classi quarte e quinte viene introdotto il robot RCX della
LEGO, che si ottiene utilizzando i famosi mattoncini, con cui i
bambini hanno familiarità, uniti all’unità centrale programmabile,
costituita da un blocco contenente il microprocessore (vedi fig. 7).
L’RCX può eseguire azioni programmabili attraverso il computer,
con dei comandi molto simili a quelli usati nel LOGO e usati
normalmente (avanti, indietro, ciao…). In breve tempo i bambini
apprendono e padroneggiano il linguaggio, rendendosi conto
dell’importanza e della necessità di rispettarne le regole
ortografiche e sintattiche (il comando “avanti” funziona, “vai
avanti” no; il comando “avanti (15)” funziona, “avanti15” no).
Inutile scrivere di come questa richiesta di precisione possa estendersi positivamente al linguaggio adottato
quotidianamente.
L’RCX favorisce quindi la creatività nella fase di costruzione e
l’accuratezza nella fase della programmazione.
In un’esperienza condotta in due classi quarte, composte da
22 alunni ciascuna, i bambini hanno operato sia in classe, che
nei corridoi, che nella palestra, in situazioni e in spazi diversi
che hanno presentato diverse condizioni.
Le dimensioni dei locali e le diverse tipologie di pavimento
hanno richiesto continui adeguamenti nella costruzione dei
robot e nella loro programmazione.
I bambini hanno eseguito le attività rivelando grande creatività nella ideazione e nella costruzione dei
robot, e una buona dose d’intraprendenza nella fase di programmazione.
Ogni classe ha lavorato in gruppi formati da tre o quattro allievi. Tale modalità ha fatto emergere in modo
evidente particolari dinamiche relazionali fra i componenti del gruppo.
Fig.7
L’unità centrale dell’RCX della LEGO
Fig.8
Un robot realizzato con l’RCX della LEGO
156
In alcuni casi tali dinamiche sono risultate positive e funzionali al gruppo, in altri casi invece sono risultate
d’ostacolo al sereno svolgimento del lavoro.
I docenti si sono così resi conto di come in quest’attività non si trattasse tanto di bilanciare i gruppi in
termini di maggiori e/o minori competenze dal punto di vista scolastico in senso stretto, quanto di formare
squadre di elementi con capacità diverse, non conflittuali fra loro, in grado di contrattare le proposte dei
singoli per giungere ad una soluzione di lavoro unica e condivisa.
Conclusioni
Dalle iniziative messe in atto in questi anni nell’ambito del Progetto Robotica abbiamo constatato che gli
alunni assumono un ruolo da protagonisti e centrale nelle attività, poiché non devono adeguarsi alle
richieste dell’insegnante, che assume il ruolo di consulente, ma devono scegliere mediando con i compagni
i percorsi risolutivi.
Liberi da vincoli i bambini, sulla base di poche istruzioni preliminari, hanno sempre avviato l’esperienza in
modo immediato.
Un ruolo fondamentale ricopre il gruppo di allievi
che collaborano nella costruzione e nella
programmazione del robot. È importante che
siano presenti in modo equilibrato capacità di
intuizione, analisi, astrazione, comunicazione e
realizzazione. La padronanza di un metodo
collaborativo è l’elemento chiave per operare.
Ognuno svolge un ruolo indispensabile in base alle
proprie attitudini e capacità.
L’insegnante è un mediatore, il suo compito non è
quello di fornire risposte e/o soluzioni o trasmettere nozioni ma predisporre occasioni e stimolare gli allievi
ad osservare, a porsi domande, a creare collegamenti e ad individuare strategie.
Una caratteristica fondamentale della robotica è l’assenza di soluzioni prestabilite. Ogni nuova situazione
offre spunti e opportunità diverse, che possono essere affrontate e risolte in modo diverso.
Il percorso di scoperta non è lineare ma è una ricerca continua, non procede per tappe obbligate ma per
tentativi ed errori.
In tale contesto anche l’errore assume una nuova valenza. Quando il robot non esegue quanto previsto
risulta evidente ai bambini che c’è qualcosa di sbagliato, senza bisogno di una valutazione esterna al gruppo
o della supervisione dell’insegnante, ed è chiaro che bisogna apportare degli aggiustamenti. L’errore non è
il risultato dell’azione di uno solo ma di un gruppo, perde quindi la connotazione fortemente negativa
Fig.9 Bambini al lavoro con l’RCX della LEGO
157
legata al singolo e diventa una nuova sfida e uno stimolo a ricercare insieme una strategia di risoluzione;
nell’attività robotica l’errore diventa un’occasione per raggiungere in modo più consapevole il successo.
Riferimenti bibliografici
Feuerstein R., Non accettarmi come sono, Sansoni Editore, Milano, 1995
Marcianò G., Robotica a scuola, Rassegna dell’Istruzione, Le Monnier, Milano, 2005, pp. 32-64.
Papert S., The Children’s Machine, Basic Books, USA, 1994
Papert S., Logo Philosophy and Implementation, Logo Computer Systems Inc., Canada, 1999, (traduzione
italiana a cura di G. Marcianò).
4. Collaborazione tra scuole primarie e Università in attività con piccoli robot programmabili
Barbara Demo 82
Una collaborazione tra Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino e una Rete di scuole primarie,
distribuite nella regione, ha prodotto un ambiente di sviluppo programmi e traduttori di linguaggi di
programmazione di piccoli robot specificamente pensati per bambini e scuole.
Attualmente questi strumenti sono operativi per i “mattoncini” RCX e NXT Lego ma possono essere adattati
ad altri robot e, più generalmente, ad altri oggetti programmabili. Le attività di programmazione di piccoli
robot servono a fare esperienze inerenti le varie discipline scolastiche, a partire dalla matematica, materia
per cui non è facile produrre attività di sperimentazione che introducano e motivino concetti del normale
curriculum scolastico. Inoltre stimolano la creatività ed il lavorare insieme ad un obiettivo comune. I
bambini coinvolti in queste attività acquisiscono dunque elementi del loro normale curriculum scolastico
con un approccio costruzionista e, al contempo, sono introdotti alla programmazione. Risultano così anche
preparati a non subire bensì ad affrontare attivamente la crescente pervasivitá degli elementi informatici la
cui presenza negli oggetti che ci circondano, già oggi consistente, è in continua crescita.
Introduzione
Con le recenti iniziative di governo per il riordino della scuola italiana si è riaccesa la discussione per
definire quale informatica debba entrare a far parte dei programmi scolastici ai diversi livelli di età.
Recentemente scienziati di grande esperienza, non informatici, hanno affermato che è giunto il momento
in cui i PC devono lasciare l’aula laboratorio dedicata per integrarsi nelle classi, perché gli insegnanti delle
varie discipline possano fare ampio uso della rete e dei molti applicativi che permettono di illustrare le loro
materie con maggior profitto.
82
Dipartimento di Informatica, Università di Torino, barbara@di.unito.it
158
Si invoca dunque una estesa presenza strumentale dell’informatica nella formazione, che richiede
adeguamenti strutturali nelle scuole perché sia disponibile almeno un collegamento in rete per ciascuna
classe. Gli scienziati informatici concordano con questa visione, che senza dubbio permette di migliorare la
didattica delle varie discipline, ma insieme ritengono che nelle scuole debba esserci anche una presenza
dell’informatica quale scienza dell’informazione: le esperienze oggetto di questo lavoro vogliono
contribuire a realizzare attività prototipali di questo tipo di presenza dell’informatica nella scuola
dell’obbligo. In tali esperienze i bambini (o i ragazzi) progettano attività da far compiere a piccoli robot
programmabili, scrivono i programmi per fare muovere i robot nel modo in cui hanno progettato, discutono
dei risultati tra loro e con gli insegnanti che li guidano a raccogliere e considerare i fatti occorsi durante le
attività con i piccoli robot, per fare emergere concetti e principi, per esempio, di matematica o di fisica.
Per programmare i robot si usano linguaggi di programmazione orientati ai bambini ispirati al Logo di
Papert, [Papert, 1980], ma di impianto del tutto simile ai linguaggi comunemente usati nella
programmazione. Dunque i bambini imparano anche a programmare e risultano in tal modo preparati dalla
scuola a non subire bensì ad affrontare attivamente la crescente presenza di elementi informatici negli
oggetti che ci circondano, già oggi consistente ed in continua crescita. Infatti noi usiamo normalmente molti
oggetti che funzionano eseguendo un programma in cui i costruttori hanno codificato il comportamento
che hanno progettato per ciascun oggetto. Nel prossimo futuro troveremo intorno a noi un crescente
numero di oggetti, cosiddetti intelligenti, perché capaci di compiere un certo numero di azioni che un
utente potrebbe decidere di volta in volta specificando le condizioni di inizio, la durata, l’ordine di
esecuzione delle azioni scelte, magari condizionato a certi eventi: in breve, scrivendo un programma.
Si noti che proprio le grandi pervasività, eterogeneità e plasmabilità degli oggetti programmabili non
permettono di paragonarli, per esempio, all’automobile, che può essere guidata senza che si sappia come è
fatto il motore. Semmai paragonabile al saper guidare l’automobile, senza aver messo il naso nel motore, è
l’uso di una specifica applicazione (software) che, per esempio, simula il movimento della terra intorno al
sole e che non ha senso i ragazzi vadano a indagare nell’architettura delle sue componenti. D’altra parte fin
dal 1996 M. Resnick, Bruckman and Martin, nel loro lavoro Pianos Not Stereos, sollecitavano ad avviare i
nostri ragazzi all’uso del computer come fosse un pianoforte, non uno stereo [Resnick, 1996].
Probabilmente la maggior parte dei futuri oggetti intelligenti saranno così poco costosi che il produttore
non si offrirà di cambiare il comportamento standard adattandolo di volta in volta alle esigenze del singolo
utente. Il professionista o il privato che saprà farlo da sé, o almeno si saprà rendere conto di come può
esserne variato l’uso, sarà avvantaggiato rispetto a chi “ha imparato un modo di guidare” e a quello si
attiene per sempre. Per concludere, tra gli obiettivi che gli studenti raggiungono attraverso le attività coi
robot ne mettiamo in evidenza soprattutto due:
- la produzione di fatti su cui ragionare per essere introdotti a concetti del normale curriculum scolastico
attraverso il progetto, la realizzazione, l’osservazione e la valutazione delle esperienze con i robot;
159
- l’acquisizione di dimestichezza col modo di far funzionare in modi diversi oggetti programmabili e di
cambiarne il funzionamento, cioè di programmarli o capire la possibilità di variazione di funzionamento, se
il caso prevenirla.
Non abbiamo fin qui detto del valore formativo dell’informatica pur ritenendolo essenziale, specie per le
nuove generazioni che avranno sempre più diffusa e ampia famigliarità con la tecnologia. Discutere questo
importante aspetto ci porterebbe fuori dall’ampiezza che ci è consentita per questo lavoro, e fuori dal suo
obiettivo più proprio che è illustrare i prodotti della collaborazione tra università e scuole dopo averli, come
abbiamo fatto fin qui, motivati. Nel paragrafo che segue descriviamo concisamente linguaggio di
programmazione ed ambiente di sviluppo programmi prodotti presso il nostro Dipartimento, perché
bambini ed insegnanti di elementari e secondarie di primo grado possano programmare piccoli robot con
strumenti a loro orientati, magari dopo aver programmato col BeeBot in attività simili a quelle descritte
dalle insegnanti di Beinasco in questa medesima raccolta.
Dopo il BeeBot
Nelle nostre attività, a partire dal secondo/terzo anno della scuola primaria, la programmazione di piccoli
robot è stata ricondotta ai principi ispiratori del LOGO con l’uso di NQCBaby, un linguaggio testuale
orientato ai bambini, proposto da G. Marcianò con una prima definizione mediante macro nel linguaggio
NQC [Marcianò, 2006 e 2007]. NQC, che sta per Not Quite C, è il linguaggio proposto da Dave Baum, nella
prima versione agli inizi del 2004, e poi rivisto da J. Hansen per programmare il mattoncino RCX Lego
[Hansen, 2006].
Nella primavera del 2007, col progetto “Uso della robotica nella didattica” dell’ex-IRRE Piemonte, è stata
prodotta la prima versione di un vero e proprio traduttore per NQCBaby. Inoltre è stato progettato e
realizzato un ambiente di sviluppo programmi (o IDE) che rende più facili ed integra le operazioni di
scrittura di un programma, sua traduzione, visualizzazione degli eventuali errori e del codice tradotto,
gestione dei vari file (sorgente, tradotto). La finestra del nostro IDE è in figura 1.
Oltre alla descrizione delle attività col BeeBot delle insegnanti di Beinasco, presente in questa raccolta, altri
contributi si possono leggere in [Demichele 2008 e DIDAMATICA 2008, Sezione Robotica educativa]. Per i
bambini che hanno svolto attività con il BeeBot è prevista una fase di trasposizione delle funzioni dei
bottoni sul dorso dell’ape in comandi testuali per il robot più elementare detto carrettino. È NQCBaby0, il
livello 0 del linguaggio NQCBaby, che viene poi esteso per livelli ad NQCBaby1, NQCBaby2, ecc. quando si
arricchisce il robot con nuove componenti hardware (paletta, luci e sensori), il cui uso necessita
naturalmente di nuove istruzioni, o quando gli itinerari pedagogici, delineati per le attività robotiche,
richiedono nuove istruzioni. I bambini che non hanno svolto attività col BeeBot cominciano invece spesso a
programmare usando il livello NQCBaby1.
Il seguente è un programma in NQCBaby2 :
160
Progr-1:
1 Ciao Mafalda
2 velocità(3)
3 avanti(100)
4 destra(30)
5 velocità(7)
6 avanti(100)
7 ripeti(4)
8 destra(90)
9 avanti(50)
10 fine-ripeti
11 ripeti(3)
12 indietro(500)
13 sinistra(120)
14 fine-ripeti
15 grazie-ciao.
Se, per semplicità di lettura, assumiamo che destra(90) e sinistra(120) provochino un cambiamento della
direzione di movimento del robot considerato rispettivamente a destra di 90^ e a sinistra di 120^,
eseguendo questo programma il robot traccia sulla superficie su cui si muove un quadrato ed un triangolo
equilatero. Cambiando ruote allo stesso robot il cammino che questo percorre non è lo stesso: capire
perché e cosa bisogna fare per riottenere lo stesso cammino pur con ruote di maggiore (o minore
diametro) è stato oggetto di discussione con bambini di terza elementare che hanno introdotto o ritrovato
in questo modo le proporzioni. Una osservazione sul comportamento provocato dalla sequenza di istruzioni
2-6 induce conclusioni analoghe ragionando su velocità-tempo-spazio.
L’introduzione alle attività coi robot si dipana seguendo percorsi didattici dove gli insegnanti trovano
possibilità di un approccio costruzionista ai concetti del curriculum che i loro allievi devono acquisire.
Poiché l’insegnante conosce meglio di chiunque altro le tempistiche del curriculum nelle proprie classi, ha
in queste attività un ruolo insostituibile, anche se potrebbe non avere troppe competenze informatiche.
Per questi casi, ma non soltanto, le attività di robotica educativa vanno accompagnate da una comunità di
pratica dove si raccolgano esperienze, commenti, valutazioni da condividere tra insegnanti e da cui questi
possono attingere.
161
Conclusioni
Sempre più scuole chiedono di essere coinvolte nelle attività coi robot per valutarne il contributo. Noi
possiamo soddisfare poche richieste e per tempi ridotti. Ciononostante ragazzi ed insegnanti con le loro
osservazioni mostrano che sono del tutto pronti a questo tipo di esperienze. Tra le osservazioni dei ragazzi
ci piace ricordare quella di un bimbo di circa sette anni che, dopo avere fatto muovere variamente con i
nostri strumenti software un piccolo robot dopo non più di due ore, concluse meditabondo: “Il mio robot e
questo hanno gli stessi occhi. Il mio è più bello. Però il mio può fare tre cose, sempre le stesse, mentre a
questo qui posso far fare cosa voglio!”.
Sarà un vantaggio anche per la consapevolezza con cui si affrontano le varie situazioni: si potrà valutare con
senso critico e consapevole, invece che accettare l’oggetto e il comportamento che ci è fornito. Il
ricercatore giapponese Kurebayashi col suo gruppo lavora da anni a studiare gli effetti dell’apprendimento
della programmazione di robot autonomi su ragazzi della scuola secondaria inferiore, per garantire loro una
maggiore comprensione del mondo in cui vivono e ancor più vivranno da adulti. Una interessante
esperienza concerne un grave incidente per malfunzionamento di un ascensore che ha a suo tempo
riempito le pagine dei giornali giapponesi. Dopo aver insegnato a programmare piccoli robot ad una classe
di ragazzi di undici-dodici anni, hanno distribuito un questionario a questa classe e ad una classe di coetanei
senza esperienze di programmazione. Questi ultimi non hanno saputo dare risposte, seppure minime, sulle
ragioni dell’incidente e sulle possibilità di diminuire la gravità delle conseguenze mentre, sapendo che
l’ascensore era gestito da un programma, i ragazzi del primo gruppo hanno invece proposto motivazioni
sensate [Kurebayashi, 2007].
Il lavoro in corso è una riflessione su come metodi di inquiry-based education (IBE) possano realizzarsi
meglio nelle scuole in cui gli alunni siano abituati a risolvere problemi di programmazione (di piccoli robot o
altro). Qualche idea al riguardo è stata accennata nella sessione precedente. Contribuire a rafforzare una
enquiry based education sarebbe un importante punto a favore della presenza della programmazione nelle
scuole perché la IBE rappresenta un obiettivo di contrasto alle modalità di insegnamento e apprendimento,
che troppo spesso vediamo, in cui la matematica viene percepita dagli studenti come un esercizio
meccanico. In tutti i livelli di scuola, si hanno ormai poche occasioni di affrontare problemi creativi: anche le
dimostrazioni di geometria stanno scomparendo e molto spesso i ragazzi sono a disagio nelle materie
scientifiche. Esemplare quanto ci ha detto uno studente: “Conosco tutte le regole ma non so quando
applicarle”.
Oltre ai benefici delle attività interdisciplinari programmare i robot permette ai ragazzi di acquisire
competenze digitali importanti per la loro vita in un mondo dove sono sempre più presenti oggetti
intelligenti. Infatti imparano usandoli cosa sono un linguaggio formale, un traduttore, un ambiente di
sviluppo. In tal modo ci si avvia a realizzare l’obiettivo, già citato, di ragazzi che rispetto al digitale siano
come suonatori di pianoforte, non di CD, che auspicava M. Resnick nel 1996.
162
Riferimenti bibliografici
Papert S., Children, Computers, and Powerful Ideas, Basic Books, New York, 1980
Marcianò G., Robotica come ambiente di apprendimento, negli Atti Didamatica 2007, pp. 22-30,
Cesena, 2007
Demo G.B., Marcianò G., Contributing to the Development of Linguistic and Logical Abilities through
Robotics, in 11th European Logo Conference, pp. 46, Comenious University Press, Bratislava, 2007
Demo G.B., Programming Robots in Primary Schools Deserves a Renewed Attention, in Atti First World
Summit Knowledge Society, Athens, pp. 24-28, settembre 2008
Kurebayashi S., Kanemune T., Kamada Y., Kuno, The Effect of Learning Programming with Autonomous
Robots for Elementary School Students, in Atti 11 European Logo Conference, p. 46, Comenious University
Press, Bratislava
http://www.eurologo2007.org/proceedings, 2007.
5. Playful learnig e Smart-Us
Gustavo Evangelista 83
Sono Gustavo Evangelista, collaboratore della Lappset. Vorrei ringraziare gli organizzatori di questo
convegno per l’invito che mi dà la possibilità di presentare SmartUs.
Si tratta di un’istallazione ludica che continua a suscitare molto interesse da parte del mondo pedagogico,
prodotta dalla società finlandese Lappset.
Circa due anni e mezzo fa è stato inaugurato il primo ambiente di gioco SmartUs in Italia, a Torino, presso il
Centro di Cultura Ludica di via Fiesole, con la partecipazione dell’Ambasciatore della Finlandia e
dell’Assessore alle Risorse Educative del Comune di Torino. Lappset produce attrezzature ludiche per i
parchi pubblici, in altre parole giochi come
altalene, dondoli, scivoli, torri ed arrampicate ed
è conosciuta per le grandi strutture di fantasia
costruite in legno.
Nei primi anni del 2000, l’azienda iniziò una
collaborazione con l’Università della Lapponia,
Faculty of Education, Centre for Media Pedagogy,
sicuramente per sostenere e migliorare lo
sviluppo dei propri prodotti, ma anche con una
83
Collaboratore commerciale Lappset.
163
forte attenzione sia per il gioco e le sue potenzialità educative, sia per migliorare la qualità di vita dei
bambini.
Sono nati vari progetti di collaborazione in continuo divenire, che sono cresciuti nel tempo coinvolgendo più
soggetti, allargando gli obiettivi o definendo in modo più preciso i progetti di ricerca, come nel caso di InnoPlay84.
Secondo le indicazioni e le proposte degli esperti di scienze educative e motorie, sollecitati dall’allarme
suscitato dal crescente numero di bambini che soffrono di malattie causate da uno stile di vita sedentaria (i
casi di obesità e di diabete sono in aumento), il gioco del futuro deve favorire l’attività fisica, deve stimolare
i bambini utilizzando funzioni elettroniche, deve contenere giochi già definiti ma anche la possibilità di
crearne nuovi. Da queste premesse è nato l’ambiente di gioco SmartUs che, giocando sul significato delle
corrispondenti parole inglesi (Smart come intelligente, ed us come noi, quindi intelligenti noi, o intelligenti
coloro che giocano), declina così un suo ambizioso obiettivo, consapevoli che tendere al meglio non è mai
abbastanza quando ci si rivolge alle nuove generazioni.
SmartUs è composto da diversi elementi distribuiti su un’area di gioco, collocata preferibilmente
all’esterno: anzitutto un totem centrale con uno schermo collegato a un computer interno al totem stesso.
Quattro grossi tasti ai lati dello schermo permettono di scegliere il gioco. Sotto lo schermo è inserito un
lettore di carte o tessere personalizzate, che permette di individuare i giocatori quando il gioco lo richiede.
Davanti al totem è posizionata una griglia di dodici mattonelle attraverso cui i giocatori inviano comandi al
totem con la pressione dei piedi, naturalmente seguendo le istruzioni segnalate sullo schermo. Intorno al
totem e alla pedana si estende un’area di gioco su cui sono distribuite nove colonnine con il lettore di carte
o tessere personalizzate integrato per leggere i passaggi dei giocatori. Inoltre ogni colonna ha una serie di
disegni e numeri che possono essere utilizzati per giocare.
Alcuni giochi utilizzano solo la pedana, mentre altri utilizzano le colonnine creando dinamiche di gioco che
richiedono ai giocatori di muoversi velocemente e in modo coordinato con i propri compagni di gioco
nell’intera area di gioco: in entrambi i casi il gioco di movimento incontra le nuove tecnologie in modo
inconsueto e innovativo.
SmartUs è dotato inizialmente di giochi preinstallati, ma contiene anche due software particolari, abbastanza
semplici da utilizzare, con cui i bambini o gli insegnanti possono cambiare i contenuti del gioco, utilizzare
immagini (foto), testo e suoni per creare nuovi giochi. L’ambiente gioco Lappset diventa un ambiente di
apprendimento che il bambino può esplorare, scoprire, reinventare con un grado crescente di autonomia.
I due software possono essere installati su un normale computer e utilizzati dall’insegnante o da bambini e
ragazzi per creare i nuovi giochi. Questi ultimi sono poi trasferiti al totem SmartUs, situato all’esterno nel
parco, tramite un collegamento wireless.
84
InnoPlay è un progetto di ricerca gestito dal Centre for Media Pedagogy, presso l’Università della Lapponia. L’obiettivo è sviluppare il concetto di apprendimento ludico per la scuola futura a partire da campi all’aperto arricchiti da strumenti tecnologici per facilitare i processi di apprendimento e la didattica (Playful Learning Environment - PLE). http://www.ulapland.fi/InEnglish/Units/Centre_for_Media_Pedagogy/Research.iw3
164
Il Sistema SmartUs, tramite il modem wireless e un collegamento internet, può essere inoltre connesso al server
centrale di tutti gli SmartUs nel mondo. Questo permette una concreta relazione attraverso giochi e gare tra
bambini in Paesi diversi, ma anche la condivisione di quelli inediti realizzati dai bambini e dagli insegnanti.
Nel mondo ci sono già decine di giochi elettronici SmartUs installati: in Italia, chi vuole conoscere meglio il
sistema SmartUs può vederlo e collaudarlo presso il Centro per la Cultura Ludica, su prenotazione telefonica.
È un’installazione ludica che piace, diverte e interessa i bambini e può essere condivisa anche con gli adulti,
in famiglia, e il gioco cresce adattandosi, se necessario, alle esigenze del giocatore. In Finlandia e in Olanda
il CNR (Centro Nazionale Ricerche) finlandese ha già eseguito studi scientifici sull’ambiente di
apprendimento SmartUs, in particolare sull’incidenza della multimedialità e del gioco nel favorire i processi
di apprendimento. I risultati sono stati molto incoraggianti.
L’ultima testimonianza arriva da una ricerca condotta su due gruppi di bambini - primo gruppo età tra i
cinque e i sette anni, secondo gruppo tra i sette e gli undici anni - in Inghilterra, nella contea di
Straffordshire, presso la scuola elementare di Little Aston dove è stato installato un sistema SmartUs.
Il gioco nell’ambiente SmartUs rimane sempre tra le attività ludiche scelte dagli studenti, anche quando il
senso della novità è scomparso permane il divertimento, l’impegno e l’interesse: questo è importante per
capire non solo la godibilità immediata del gioco, ma soprattutto la validità ludica che invece si misura nel
tempo. Il personale docente ha rilevato una ricaduta molto positiva.
Come primo risultato rilevante si è registrato un aumento dell’autostima e della sicurezza in sé. Questo ha
contribuito al miglioramento degli apprendimenti, con una ricaduta positiva e un rafforzamento della
memoria dei bambini, della concentrazione, della tenacità e della loro capacità di risolvere problemi. Ma
non solo, è stata sottolineata anche una migliore qualità delle relazioni con gli adulti e tra pari, in
particolare nei giochi sociali, in cui i bambini si aiutano ed incoraggiano a vicenda per dare il meglio di sé
nella riuscita della squadra.
Sono ancora in fase di studio le ricadute e i contributi nei processi di apprendimento per lo sviluppo
linguistico o quello di matematica, e sono ancora da verificare i benefici a lungo termine.
Potete visitare il sito internet www.smartus.com per ottenere maggiori informazioni.
Considerazioni per non concludere: “Chi li pratica non li teme”
Maria Battaglia
Per coloro che hanno avuto la curiosità di sperimentare i videogiochi, lo SmartUs e, come nel caso delle
insegnanti delle scuole dell’infanzia e primarie, i robot, sono stati lo strumento per creare nuove
progettualità educative e nuovi ambienti di apprendimento, in grado di coinvolgere bambini e ragazzi, ma,
allo stesso tempo, di rispettare tempi e modalità individuali anche grazie alla loro forte componente ludica.
165
Per coloro che ancora non conoscono questo universo è necessario fornire qualche strumento per
interpretare e tradurre il panorama esistente. Un confronto su questi temi, e non solo di tipo teorico, è
necessario, soprattutto per chi lavora in campo educativo con gli adolescenti, cioè con la fascia d’età per cui
l’uso dei videogiochi in casa, da soli o con gli amici, assume un ruolo preponderante nel ludico quotidiano.
La formazione diventa, quindi, uno strumento per conoscere e confrontarsi con esperti ma anche con
colleghi che lavorano in situazioni diverse.
Tra coloro, che operano nelle ludoteche, comincia a svilupparsi una maggiore sensibilità verso questi temi
ed è frequente l’interrogativo se abbia senso oppure no introdurre in ludoteca degli spazi dedicati ai
videogiochi. Compiere questo passo vuol dire riconoscere la necessità degli adolescenti di avere uno spazio
sociale di condivisione, dove poter agire abilità e competenze, interessi e passioni con i propri coetanei e
con adulti disponibili all’ascolto e alla mediazione progettuale.
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166
Capitolo 7
Dove si gioca oggi: i servizi per il gioco
Il tema: per confrontarsi sull’opportunità di promuovere leggi regionali (di indirizzo o operative) per i servizi
di gioco sul territorio nazionale, per conoscere come operano e quali sono i servizi sul gioco oltre la L.285/97
o dentro la L.328; un’occasione per riflettere su quale spazio occupano e verso quale futuro si stanno
avviando i sevizi del gioco.
Coordinamento a cura di: Roberto Maurizio, Livia Papi
Contributi di: Irene Catalano Randò (Associazione Il dado Magico - Messina), Francesco Langella (Città dei
bambini e delle bambine di San Giorgio a Cremano), Giorgio Bartolucci (Centro di documentazione
internazionale ludoteche - Firenze)
Riflessioni e lavoro di gruppo
Roberto Maurizio, Livia Papi
Al gruppo di lavoro hanno partecipato circa trentacinque persone, con ruoli e competenze diverse:
dipendenti pubblici e soggetti privati del terziario sociale, studiosi e ricercatori in ambito ludico-educativo e
rappresentanti della pubblica amministrazione, dirigenti e manager a fianco di docenti e animatori.
L’obiettivo del workshop, definito dal sottotitolo, era quello di analizzare in particolare in quali luoghi oggi
si giochi e chi vi giochi, ma soprattutto che tipo di impegno sia necessario su questo fronte da parte degli
Enti pubblici, e quale possibile collaborazione tra i settori pubblico e privato, nonché quali buone prassi
possono essere condivise.
L’incontro si è svolto in una sala alle cui pareti erano già stati appesi cartoncini con l’indicazione di
innumerevoli luoghi di gioco, per richiamare l’attenzione sulla complessità e diversificazione
dell’argomento. Tra gli altri erano citati: casa, playstation, Lottomatica, bar, giardini pubblici, ludobus,
gruppi gioco in ospedale, laboratorio ludico, centro per l’infanzia, internet, cortili, sala giochi, centro
anziani, punto famiglia, punto gioco, oratori, bingo, campo sportivo, scuola, ludoteca per adulti, baby
parking, cameretta, azienda, museo didattico o interattivo.
Il workshop è cominciato con un gioco logico, per restare in tema, che ha coinvolto tutti i presenti nel
tentativo di individuare il metodo migliore per dar risposta ad un quesito relativo al peso di alcune palline,
ed il cui vero scopo era sottolineare come ragioniamo sulla base di idee preconcette, partendo dalle nostre
167
specifiche esperienze, mentre l’obiettivo - almeno nel workshop - era di spingerci oltre nell’analisi e cercare
di essere creativi nella ricerca di soluzioni possibili.
A tutti è stato inoltre distribuito un cartoncino al fine di registrare i propri dati e indicare quali esperienze
(proprie o conosciute), di cui magari non si sarebbe potuto approfondire nel workshop, potrebbero
risultare utili riferimenti per altri soggetti; o viceversa, quali problematiche o difficoltà ostacolano l’azione
nell’esperienza raccontata, e con quali danni.
A beneficio comune sono state sintetizzate le informazioni raccolte nell’allegato alla presente relazione.
I temi su cui si è focalizzato sono:
1. escludendo i luoghi di gioco che non hanno specificamente valenza educativa o di supporto alla
crescita dei bambini e ragazzi, ludoteche ed altri luoghi ‘protetti’ per la promozione della cultura
del gioco, per la pratica del gioco libero e/o strutturato, l’autoproduzione di giochi e giocattoli,
hanno ragion d’essere? sono un investimento ‘piacevole’, utile o necessario?
2. Quali variabili favoriscono la nascita e sviluppo di servizi per il gioco, e ne sottolineano l’utilità e lo
scopo? Quali elementi di cui al punto precedente possono diventare opportunità, e facilitare la
promozione e la diffusione di questi luoghi, aiutare a sostenerli e finanziarli? Quali ottimizzazioni e
sinergie sono possibili, quali esperienze positive riutilizzabili?
3. Quali sono per contro i vincoli e gli ostacoli? Come superarli, quali strumenti possono essere
utilizzabili e in che situazione sono accessibili/utilizzabili? O meglio come trasformare i vincoli in
opportunità?
La metodologia per la conduzione del workshop è stata per lo più il brainstorming, e per la
rappresentazione degli output la tecnica delle mappe mentali. I risultati sono riportati nella tabella che
segue, per quanto possibile data l’assenza della rappresentazione grafica.
La finalità, condivisa tra tutti i partecipanti, era l’individuazione e condivisione di idee e buone prassi, per
acquisire riferimenti incrociati e poter, in seguito, sapere con chi approfondire cosa, e ragionare su
modalità e criteri di valutazione della qualità / successo del servizio.
specifiche collegamenti
1. perché? sono luoghi aperti a tutti. Permettono ai frequentatori di avere spazio e tempo adeguato per giocare (presupposto essenziale!)
quando non ci sono alternative domestiche a portata di mano (vincoli)
luoghi deputati al gioco, promuovono lo sviluppo evolutivo dei bambini
questi luoghi offrono libertà di scelta di giochi (e di giocattoli!)
facilitano contaminazione tra bimbi e anziani, genitori, artisti, diverse culture, studio, ecc.
educano alla creatività manuale, all’utilizzo creativo di materiali di recupero valorizzando le risorse, e il
168
protagonismo positivo gioco come strumento di prevenzione
verso malattie / pro salute mentale
luoghi deputati al gioco, promuovono lo sviluppo di relazioni tra genitori
creano integrazione con stranieri stimolano collegamenti con altri
luoghi, opportunità di svago, enti ludici e non sul territorio
facilitano il contatto tra genitori ed educatori
luoghi deputati al gioco, promuovono la cultura del gioco
costituiscono memoria storica e la possibilità di continuare l’esperienza ludica fuori dal luogo, grazie al prestito giocattoli
stimolano la crescita culturale ed esperienziale di adulti e bambini
sono emanazione del servizio pubblico
per sostenere le famiglie per condurre progetti socio-educativi amplificano l’azione delle scuole, e ne
supportano l’attività concretizzano progetti di sviluppo,
come la “Città dei Bambini/e” rappresentano talvolta benefits per i
dipendenti, investimento duraturo e concreto in presenza di fondi pubblici destinati all’infanzia
2. vincoli mancanza di diffusa cultura del gioco
concezione del bambino come di un soggetto ‘da governare’ piuttosto che da ‘sostenere nella crescita’
eccessiva convinzione che il gioco vada ‘controllato’ e debba essere ‘sicuro’
il giocattolo viene troppo sovente visto come premio e non come strumento di esperienza e di apprendimento
collegamenti con ‘ronde del gioco’, esperienze ludiche rivolte alla cittadinanza, progettazioni condivise con altri soggetti, studi e ricerche,ecc. (opportunità)
instabilità politica (a tutti i livelli)
frequente cambiamento degli interlocutori / politici di riferimento
insufficiente competenza / comprensione della significatività del problema
interpretazione dei luoghi preposti al gioco come ‘mero costo’
revisionismo nelle politiche culturali ed educative
vincoli normativi (eccessivi? carenti?)
problema della sicurezza imposizioni della normativa relativa
all’edilizia scolastica rapporto educatori-utenti e tipi di
professionalità, ecc. assenza di normativa specifica (solo 4
regioni hanno norme specifiche per la conduzione di ludoteche e luoghi assimilabili)
nuove proposte di legge o migliore applicazione delle esistenti (opportunità)
copertura dei costi dei servizi per il gioco
fruibilità dei fondi della L. 285 accessibilità dei fondi L. 328 (sul
fronte prevenzione)
riduzione aspettative e creatività/ottimizzazione (opportunità)
169
scarsi investimenti perché non vengono comprese utilità e importanza dei servizi per il gioco
maggior utilizzo del volontariato? (ma rischi sulla qualità del servizio)
maggiore/migliore collaborazione tra pubblico e privato sociale?
continuità nella gestione dei servizi
eccessiva permanenza del personale (tipicamente pubblico) nella stessa posizione limita la creatività e l’innovazione
eccessivi cambiamenti nella disponibilità di operatori del privato sociale (e volontariato) che possono collaborare sui servizi ludici, può inficiare la qualità del servizio
affidi per periodi troppo brevi (1-2 anni) generano instabilità; specie in alcuni settori è necessaria maggiore continuità
l’instabilità delle fonti di finanziamento rendono difficoltoso garantire stabilità ai/al servizi/o
migliore collaborazione pubblico-privato (opportunità)
carenze di risorse umane?
mancanza di collaborazione con gli adulti?
frequenza di bambini (utenti) quantitativamente insufficiente?
disponibilità di risorse competenti per la integrazione di portatori di handicap
errata interpretazione di finalità e scopi delle ludoteche
servizi privati inadeguati e non controllati adeguatamente da chi preposto dalla P.A. locale (servizi educativi) per qualificare e monitorare tali servizi esternalizzati
errata interpretazione da parte della cittadinanza di ‘servizio pubblico’ come qualcosa di ‘inadeguato’ per definizione
3. opportunità nelle ludoteche si possono sviluppare relazioni sinergiche
con anziani, scuola, genitori, nel condominio, associazioni culturali, teatro ed altri enti sul territorio
in relazione ad altri progetti sul territorio (es. Consiglio comunale dei bambini)
tra pubblico e privato, sperimentando co-progettazione e co-produzione
stimoli ad una progettazione più efficace e sinergica
migliorare le modalità di progettazione, rendendola più efficace ed in linea con i bisogni concreti del territorio, condivisa con altri soggetti
stimoli alla condivisione di locali
utilizzo di sedi condivise o ‘subaffitto’ delle sedi per altre finalità (pertinenti)
altri luoghi ‘terzi’ possono essere adibiti a ludoteche
ostacoli dovuti a man-canza di fondi (vincoli)
170
le opportunità nascono anche se, talvolta, si riducono le aspettative
non adagiarsi sui limiti correnti di finanziamento per il sostentamento dei luoghi di gioco, ma diventare più creativi per trovare nuovi spunti
cercare situazioni economicamente vantaggiose (es. materiali di riciclo, risorse tra il volontariato) senza però ridurre gli standard qualitativi
ostacoli dovuti a mancanza di fondi e di cultura politica che valorizzi il ‘gioco’ (vincoli)
il gioco è strumento di promozione culturale
in collegamento con teatro, scuola, associazioni. culturali, ecc.
attraverso l’organizzazione di eventi come la “Giornata del gioco”
ottenere finanziamenti sotto la voce di ‘promozione culturale’
i perché dei luoghi per il gioco
promuovere attivamente il diritto di dedicarsi al gioco
applicare le norme e convenzioni internazionali, perché il gioco è un bisogno primario e come tale necessita di impegni adeguati
per contro eliminare i divieti (a livello comunale, condominiale, ecc.) quando in contrasto con altre normative nazionali o intenzionali
i perché dei luoghi per il gioco
sviluppare proposte di legge
regionali e nazionali attenta applicazione delle norme (es.
inapplicabilità dei divieti al gioco nei cortili perché incompatibile con la Carta dei Diritti del Fanciullo/a)
vincoli normativi (talvolta costrittivi, spesso inefficaci o inapplicati)
esempi interessanti ronde del gioco ricerche e studi, utili per diffondere
informazioni su esperienze riproducibili
trasferimento buone prassi per infondere fiducia nella fattibilità di alcune idee e progetti
Tutti i partecipanti e le esperienze riportate concordano che è essenziale sollevare l’attenzione sul gioco
come strumento di crescita, sviluppo, esperienza, sfogo, relazione, integrazione, ecc. e “stato di vitalità
essenziale” valido per tutte le fasce di età (infanzia, adolescenza, adulta, vecchiaia) e categorie di persone
(abili e disabili, stranieri e non, benestanti e disagiati, ecc.).
Lo strumento gioco risponde a bisogni diffusi (naturali, sociali, ecc) che però sono sottovalutati, ed ha una
valenza di prevenzione del disagio e dei problemi sociali che non è capita o riconosciuta. Dunque
continuano ad essere necessari luoghi accessibili a tutti:
per stimolare e permettere il gioco libero, creativo, accrescitivo, con la possibilità di sviluppare
apprendimenti che possono svilupparsi solo in contesti di gioco libero,
per sostenere la crescita degli individui,
per sostenere l’equità di accesso alla possibilità di giocare, nel senso di poter garantire a tutti l’accesso al
gioco e a servizi per il gioco indipendentemente dalle condizioni sociali, economiche e di vita familiare,
171
per garantire libertà di scelta del gioco da giocare ed evitare il rischio del riduzionismo a pochi giochi
fortemente promossi dai media e dalla pubblicità,
per permettere alle persone di contaminarsi con altri mondi in quanto il gioco è strumento per la
condivisione delle culture,
per sostenere lo sviluppo della creatività,
per sviluppare relazioni sociali,
per costruire integrazione culturale,
per recuperare la storia e le narrazioni individuali e collettive.
Giocare è un’esperienza di protagonismo, che realizza positivamente attraverso lo stimolo ad essere
soggetto creativo e generativo, ad esempio nella creazione di nuovi giochi o nella modificazione di giochi
già esistenti.
Ė difficile garantire il diritto al gioco se non ci sono luoghi e personale educativo che garantiscano pari
opportunità per l’applicazione di tale diritto.
Vi sono diversi aspetti critici, ed i punti qui elencati non hanno la pretesa di essere esaustivi:
il gioco come spazio rischia di diventare un lusso “sociale”, anche perché, non essendo un’attività a base
di lucro, le ludoteche (sia come luoghi che come servizi) necessitano di finanziamenti per lo più pubblici
per il loro sostentamento, e sono fortemente condizionate dalla dinamica continuità/discontinuità dei
finanziamenti,
tra l’altro, avendo questi servizi una valenza territoriale, sovente di quartiere, sarebbe necessaria una
diffusione capillare dei servizi, piuttosto che il contrario,
ci sono grandi diversità sul territorio nazionale nel creare luoghi ed esperienze per il gioco, dalle quali
possono nascere ottimi scambi e circolazioni di buone prassi. Tuttavia è dannosa quanto diffusa la scarsa
conoscenza delle esperienze delle ludoteche, punti gioco ed altre iniziative volte a deputare luoghi (in
interno, in esterno, pubblici, privati, ecc.) al gioco ed all’interazione,
mancando una cultura diffusa sull’argomento ed essendo la normativa di settore praticamente
inesistente, esistono pericolose eterogeneità di interpretazione dei servizi per il gioco (talvolta
schizofreniche, ad esempio interpretazione Dlgs 81/08, Moncalieri, ecc.), specie nell’ambito della
Pubblica Amministrazione con la difficoltà di rendere omogenei servizi analoghi in contesti diversi,
il rischio è che, talvolta, le iniziative nascano solo perché ci sono risorse da utilizzare, o che viceversa non
si generino per sottovalutazione del rapporto investimento/risultato. Più sovente, una volta avviati
progetti di ludoteca (con tutte le difficoltà tipiche di servizi rivolti ad utenza eterogenea, con obiettivi
creativi e liberatori, con intenti educativi e di creazione di tessuto relazionale), vengono a mancare i
finanziamenti, sia per le strutture che per il personale, a scapito della qualità del servizio, della sicurezza,
ecc.
172
un ultimo rischio è quello di un uso improprio dei servizi per il gioco, di volta in volta caratterizzati da
finalità e funzioni che cambiano in relazione alle fonti di finanziamento o alle linee progettuali nei quali
sono inseriti.
Nell’insieme, quindi, l’aspetto più critico è il mancato riconoscimento istituzionale che determina una
situazione di sostanziale fragilità delle esperienze. Di fronte a questa debolezza strutturale la necessità,
riconosciuta da tutti, è di operare per legislazioni nazionali e regionali che diano respiro e prospettiva a
questo ambito di intervento delle politiche pubbliche.
Quanto sopra è in contrasto con la necessità, evidenziata bene o male da tutti, di fare rete e sistema,
ovvero di garantire la circolazione delle esperienze e dei dati (per ricerca, sviluppo e consolidamento
metodologico) e assicurare i collegamenti (specie territoriali) con altri enti che condividono i fini
dell’educazione, sviluppo, promozione sociale e prevenzione del disagio.
1. Ricerca sulle ludoteche in Sicilia85
Irene Catalano Randò86, Deborah Bontempo87
L’Associazione Il Dado Magico - A.S.D. (www.ildadomagico.it), la cui sede nazionale si trova a Capo
d’Orlando (ME), opera da tredici anni sul territorio regionale e nazionale, specializzandosi nella
programmazione, progettazione e gestione di servizi rivolti alla famiglia e a tutti i suoi componenti, con
particolare attenzione ai servizi per l’infanzia. Rivolgersi ad un target di riferimento così ampio ma ricco,
tanto di richieste quanto di risorse interne, è stata una decisione chiara fin dall’inizio dell’attività
dell’Associazione, la quale, pertanto, ha scelto di costituirsi come Ente di Promozione Sociale e di
Solidarietà Familiare.
La formazione e la successiva collaborazione con il Centro Internazionale Ludoteche ci ha sempre più
portati a riflettere sul valore fondamentale della ludoteca come servizio sociale, vista la sua potenzialità
intrinseca a rispondere alle diverse esigenze della realtà sociale in maniera mirata ed adeguata.
L’esperienza maturata nel tempo, però, ha rivelato una profonda carenza legislativa e normativa rispetto al
servizio di ludoteca, come pure una notevole confusione che tuttora alberga nel campo dei servizi per
l’infanzia e per la famiglia, nonostante il crescente bisogno di strutture funzionali, efficaci ed efficienti, la
quale esigenza non trova purtroppo alcun riscontro da parte dei servizi pubblici: basti pensare, a titolo
d’esempio, alle lunghissime liste d’attesa relative agli asili nido della nostra regione come di altre regioni
85
La ricerca si riferisce al 2009 ed è stata sostenuta dal Centro Internazionale Ludoteche (CIL) di Firenze, dalla Presidenza del Consiglio provinciale, dalla Regione Sicilia - Assessorato della Famiglia delle Politiche Sociali e del Lavoro, dalla Provincia di Messina. 86
Presidente dell’Associazione Il Dado Magico - A.S.D. 87
Vicepresidente dell’Associazione Il Dado Magico - A.S.D.
173
italiane; nel 2000 solo il 67,3% delle domande di iscrizione ai nidi venivano accolte, per un numero di
46.967 bambini in lista di attesa su un totale di richieste di iscrizione di 143.69188. Più recentemente si è
assistito ad un ampliamento dei posti disponibili, nonostante ciò, però, il problema non ha trovato un
riscontro risolutivo, come si evince, peraltro, dai seguenti dati:
“Sulla base di una recente indagine svolta da Cittadinanzattiva, è possibile confrontare l’andamento delle
domande di ammissione e dei posti disponibili con riferimento alle strutture comunali nei soli capoluoghi di
provincia. Esprimendo le due variabili in rapporto alla popolazione con meno di tre anni residente e
aggregando per regione, per gli anni tra il 2002 e il 2005 si segnala un ricorrente legame positivo tra
ampliamento dei posti disponibili e crescita delle liste di attesa . In altri termini, le liste di attesa presso le
strutture pubbliche anziché ridursi spesso si allungano all’aumentare dei posti disponibili”89.
Analizzando tutto ciò, appare chiaro che il settore privato assume anch’esso grande rilevanza in relazione
all’offerta di servizi ludico-educativi; da ciò è inevitabilmente scaturita una profonda riflessioni sulla
quantità e qualità dei servizi rivolti all’infanzia e alla famiglia nel territorio siciliano, la quale ha stimolato
ulteriormente il nostro interesse nel raggiungere delle conoscenze il più aderente possibile alla realtà.
Proprio a questo scopo, supportati dalla collaborazione con il Centro Internazionale Ludoteche, nella
persona del direttore del Centro Giorgio Bartolucci, abbiamo programmato un’indagine conoscitiva
riguardante la realtà delle ludoteche nella nostra regione, la quale ha previsto la somministrazione
telefonica di un questionario, elaborato dal Centro Internazionale Ludoteche, con la nostra collaborazione,
a tutti i Comuni della Sicilia e alle ludoteche attive sul territorio, al fine di creare una banca dati tracciando
una mappatura dei servizi esistenti, ma, soprattutto, avendo come chiaro riferimento le linee guida
elaborate dal Gruppo Europeo delle Ludoteche, con lo scopo di valutare quale sia l’offerta pubblica e
privata e quanto i servizi che ricadono attualmente sotto il nome di ludoteca possano essere realmente
definiti tali.
Il questionario, il quale è composto da 82 quesiti suddivisi in 9 sezioni, è comprensivo di una prima parte,
somministrata ai responsabili dei servizi sociali, relativa alla presenza e alla tipologia di servizi sul territorio
di riferimento, richiedendo anche dati per contattare le ludoteche, mentre la seconda parte, più ampia, è
stata proposta ai responsabili delle ludoteche stesse, ai quali sono state richieste informazioni riguardanti:
1. l’utenza (fascia d’età, numero di iscritti, frequenza giornaliera, ecc.);
2. l’organizzazione (giorni di apertura, servizio di prestito dei giocattoli, utilizzo di schede di
registrazione, ecc.);
3. i locali (numero locali disponibili, presenza di spazi esterni, presenza di locali riservati ai genitori,
ecc.);
88
Elaborazioni IRES su dati del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza. 89
Da Il difficile accesso ai servizi di istruzione per la prima infanzia in Italia: i fattori di offerta e di domanda, di Francesco Zollino, su www.bancaditalia.it.
174
4. i giocattoli (dotazione iniziale e attuale, presenza di un laboratorio di costruzione dei giocattoli,
ecc.);
5. il personale (numero risorse umane, presenza di volontari, titolo di studio, ecc.);
6. le attività (presenza e tipologia di laboratori permanenti e/o periodici, attività sul territorio, ecc.);
7. la ludoteca come servizio sociale/educativo (partecipazione dei genitori alle attività, rapporti con le
scuole, gli ospedali, l’assistenza sociale, ecc.).
Dai 441 questionari somministrati, i quali hanno permesso la rilevazione di 113 ludoteche presenti su tutto
il territorio regionale (su 390 Comuni), emergono elementi complessi per la loro variabilità. Data la grande
mole dei dati rilevati, abbiamo deciso di presentare in questa sede solo alcuni di essi, rappresentativi,
comunque, della realtà emersa e sintetizzati come di seguito esposto.
In riferimento ai quesiti dedicati ai comuni (sezione 01 - 11 domande), rivolti, nello specifico, ai responsabili
degli Uffici Servizi Sociali, questi ultimi al quesito 01.01: Avete ludoteche sia pubbliche che private? hanno
risposto nel seguente modo:
1. 57 Sì,
2. 282 No,
3. 51 Non So/Non Risponde;
si può dunque affermare che, almeno nel 13,10% dei casi, è riscontrabile un’assoluta carenza di
comunicazione tra l’Ente pubblico e i possibili servizi attivi sul proprio contesto territoriale. Molti dei
Comuni intervistati, infatti, non hanno saputo fornire alcuna notizia sui servizi esistenti sul territorio,
giungendo ad affermarne l’inesistenza anche laddove questi erano invece presenti. Anche nel caso in cui
esiste una collaborazione tra Ente pubblico e privato - ad esempio le ludoteche finanziate con i fondi della
L. 328/00 e della L. 285/97 - alcuni responsabili dei Servizi Sociali contattati non hanno fornito in merito
alcune indicazioni, eppure, in questi casi, come confermato dai responsabili delle ludoteche stesse, gran
parte degli utenti vengono segnalati ed inviati dagli stessi Servizi Sociali.
Rispetto alla tipologia del servizio (quesito 01.02), gli intervistati hanno risposto in tal modo:
1. 25 Pubbliche,
2. 68 Private,
3. 20 Non so/Non Risponde.
Dalla sezione 02 alla sezione 09, i quesiti sono stati rivolti direttamente ai responsabili delle ludoteche, al
fine di raccogliere dati più attendibili e rispondenti alla reale gestione ed organizzazione del servizio.
Riguardo alla frequenza giornaliera (quesito 02.05), si può affermare che i dati emergenti, confrontati con
il numero degli iscritti (quesito 02.04), rimandano a realtà territoriali variegate, tanto che, se in alcuni
contesti il confronto è positivo, denotando una costante presenza quotidiana, in altri gli utenti
giornalmente frequentanti risultano essere inferiori al 50% delle iscrizioni.
Rispetto alla possibilità di somministrazione dei pasti all’interno dei locali (quesito 02.09):
175
1. nel 59, 29% dei casi la risposta è negativa,
2. nel 23% dei casi non vi è risposta o si dichiara di non essere a conoscenza del dato richiesto,
3. mentre il 17,7% dei soggetti intervistati rispondono affermativamente.
In quest’ultimo caso il protocollo richiedeva di specificare dove i pasti vengono preparati (quesito 02.10), i
dati a riguardo sono i seguenti:
1. nel 50%dei casi la preparazione dei pasti avviene direttamente in struttura,
2. nel 10% dei casi si tratta di pasti e/o merende portati da casa,
3. 1 solo responsabile tra quelli intervistati dichiara che vengono utilizzate entrambe le metodologie,
4. mentre solo il 15% delle ludoteche si serve, per tale servizio, di ditte esterne, affermando anche
che all’interno della struttura è presente uno spazio specificamente adibito all’accettazione pasti.
In realtà tali dati risultano altamente esplicativi della confusione che alberga nel settore, poiché il servizio
ludoteca non prevede alcun locale adibito a cucina. Gli stessi dati, inoltre, risultano negativi poiché indicano
chiaramente l’utilizzo della ludoteca quale servizio di custodia, una funzione che caratterizza altre strutture,
ma non di certo le ludoteche. Ciò, dunque, potrebbe essere spunto di riflessione, poiché denota una forte
richiesta di servizi a cui i genitori possano affidare i propri figli quando si trovano impegnati nell’attività
lavorativa. Questa necessità emerge anche dalla rilevazione riguardante la fascia d’età dell’utenza (quesito
02.01), dalla quale emerge che, nella maggior parte dei casi, le strutture contattate sono frequentate da
bambini sotto i sei anni d’età; questo dato sembrerebbe evidenziare che molti dei servizi definiti ludoteche
sono in realtà asili e/o nidi “mascherati”. Forse, anziché offrire questi ultimi servizi, altamente
regolamentati a tutela del bambino, si preferisce, attraverso vie più percorribili dal punto di vista
burocratico, aprire servizi indicati come ludoteche, di fatto, ancora, senza alcuna regolamentazione. Con
ciò, di certo, non si vuole colpevolizzare una tipologia d’azione che vuole soddisfare i bisogni di un territorio
altamente carente di servizi per la prima infanzia, ma, piuttosto, l’intento è, ancora una volta, quello di
stimolare le autorità competenti a promuovere un programma che comprenda ed integri i servizi educativi
e sociali rivolti a questa fascia d’età, procedendo attraverso un’attenta analisi dei bisogni rispetto al
territorio di riferimento. Allo stesso modo, si rende necessaria una regolamentazione anche della ludoteca,
per valorizzare la sua valenza sociale e ludico-educativa, come pure diviene fondamentale un
riconoscimento per altre tipologie di servizi che potranno avere una loro denominazione specifica che ne
identifichi le finalità e le attività.
Un’attenzione particolare è da rivolgere alla sezione 03, interamente rivolta ad indagare l’organizzazione
delle diverse ludoteche, ciò al fine di effettuare un confronto con le linee guida proposte dal Gruppo
Europeo delle Ludoteche; le risposte agli specifici quesiti, infatti, denotano in maniera chiara, ancora una
volta, come, nella maggior parte dei casi, nell’organizzazione delle ludoteche non siano previsti alcuni
servizi o attività fondamentali. Un esempio di ciò è rappresentato dal dato relativo al prestito dei giocattoli
176
(quesito 03.04), secondo il quale solo 13, ossia il 11,5%, delle ludoteche affermano di effettuare tale
attività.
In questa sezione, inoltre, si è voluto rilevare l’utilizzo di schede di registrazione (quesito 03.05), il quale è
risultato effettivo solo nel 31,86% dei casi, il 44,25% dei soggetti intervistati ha affermato di non utilizzare
tale strumento, nel 23,89% dei casi non si è rilevata alcuna risposta (non so/non risponde).
Rispetto alla presenza di tessere di iscrizione,
1. il 42,48% dei responsabili intervistati ha risposto affermativamente,
2. il 32,74% ha fornito un riscontro negativo,
3. nei restanti casi non si è rilevata alcuna risposta significativa.
Al fine di vagliare l’organizzazione strutturale del servizio, è stata costruita una sezione (sezione 04) del
questionario che comprende quesiti relativi ai locali. Da questa emerge che:
a) in relazione agli spazi disponibili, si sono sintetizzati i dati creando degli intervalli relativi alla
superficie complessiva dei locali:
meno di 50 mq 2,67% delle ludoteche intervistate
da 51 a 150 mq 16,81%
da 151 a 300 mq 28,32%
da 301 a 500 mq 4,42%
da 501 a 1000 mq 1,77%
più di 1000 mq 0,88%
non so 12,39%
nessuna risposta 32,74%
b) sono presenti spazi all’aperto (quesito 04.05) nel 40,71% dei casi, nel 37,17% dei casi si è registrata
una risposta negativa, mentre il 22,12% degli intervistati non ha fornito alcuna indicazione.
c) È stata effettuata una progettazione degli spazi (quesito 04.06) nel 41,59% delle strutture
contattate, il 17,70% di queste non ha previsto una progettazione di tal tipo, mentre la restante parte ha
risposto “non so” o non ha fornito alcun dato significativo.
d) Il quesito 04.08 risulta di sostanziale importanza, poiché indaga la presenza di spazi riservati ai
genitori, presupposto fondamentale per un servizio che dovrebbe rivolgersi all’intera famiglia, accogliendo
un’utenza da 0 a 99 anni. Uno spazio riservato alle famiglie:
è presente solo nel 39,82% dei casi,
è totalmente assente nel 32,75% delle ludoteche intervistate,
mentre nei restanti casi non ci è stato fornito il dato richiesto.
In una ludoteca, ovviamente, uno spazio e una valenza fondamentale devono essere rivolti al giocattolo,
inteso in tutte le sue accezioni; la sezione 05, pertanto, è dedicata a rilevare alcuni aspetti strettamente
correlati a tale argomento. Uno dei più significativi è senza dubbi la presenza di laboratori di costruzione dei
177
giocattoli, la quale attività dovrebbe essere uno dei segni distintivi di una ludoteca per diversi ordini di
motivi: attraverso essa, infatti, si stimola la manualità, la fantasia, la creatività, si sperimenta e si esercita la
coordinazione motoria, soprattutto in riferimento ai movimenti fini degli arti, si promuove la conoscenza
dei materiali, anche attraverso un’educazione rivolta alla salvaguardia dell’ambiente, mostrando agli utenti,
inoltre, come ci si può divertire con poco, per la promozione di una cultura che contrasti il consumismo; il
tutto, dunque, attraverso un’attività che possiede la caratteristica di stimolare la cooperazione,
l’interazione e la socializzazione, permettendo l’espressione delle proprie capacità di problem solving
all’interno del gruppo e generando una circolarità dal punto di vista comunicativo. I dati rilevati riassumono
una realtà in cui:
solo nel 43,36% delle strutture si costruiscono giocattoli,
mentre nel 46,6% non si svolge tale attività.
Questo è di certo un dato fortemente negativo, dettato forse dal fatto che gli operatori, mancando dei
punti fermi e delle linee guida precise che possano mettere in luce i bisogni psico-pedagogici, sociali e
cognitivi dell’utenza e, di conseguenza, promuovere risposte adeguate, non riescono a porre riscontro in
maniera puntuale a tali esigenze, in quanto non supportati o da un’adeguata attività formativa o da
un’attenzione ed una presenza significativa delle istituzioni rispetto a tali servizi, i quali, dunque, si
ritrovano senza alcun riferimento fisico e/o normativo.
Un dato più confortante deriva invece dall’analisi delle risposte relative al quesito 05.07 - Avete libri? - al
quale, nel 67,26% dei casi è stata fornita una risposta positiva; tuttavia sarebbe importante che tale
percentuale fosse più vicina alla totalità dei casi, in quanto presupposto fondamentale di una ludoteca è
presentare giochi, attività, stimoli vari, di modo che l’utente possa approcciarsi a quelli che meglio
rispondono alla propria personalità, al proprio gusto o, semplicemente, al proprio stato emotivo dello
specifico momento.
Rispetto alla presenza di schede di rilevazione per i giocattoli, solo i referenti di 17 ludoteche ne hanno
affermato la presenza, il 54% di essi hanno, invece risposto negativamente, mentre nei restanti casi hanno
riferito di non conoscere tale dato o non hanno fornito risposta alcuna.
Rispetto all’organizzazione e alla formazione del personale (sezione 06) emerge che:
1. nel 60,17% dei casi è presente all’interno della struttura un coordinatore,
2. nel 4,42% dei casi non è prevista tale figura,
3. nei restanti casi (35,41%) non è stato fornito alcun dato significativo.
I quesiti 06.07 e 06.08 mirano a rilevare informazioni riguardo eventuali corsi di formazione specifici svolti
dagli operatori, richiedendone, in caso di risposta affermativa, la tipologia. È emerso che, tra il personale
specificamente formato:
1. 10 operatori hanno conseguito la qualifica di ludotecario,
178
2. 16 quella di animatore,
3. 3 hanno portato a termine un corso per operatore socio-assistenziale,
4. una sola persona ha frequentato un corso per assistente all’infanzia.
5. La maggior parte del personale, invece, possiede titoli di studio che vanno dal diploma di scuola
secondaria di secondo grado alla laurea in discipline inerente l’area umanistica.
Guardando i suddetti dati non si può prescindere dall’affermare la necessità sostanziale di personale
altamente formato che operi all’interno della ludoteca. Tale servizio, infatti, è indubbiamente molto
complesso, ma, proprio per questo, in grado di intervenire positivamente sulla crescita dell’individuo; ciò,
però, può avvenire solamente qualora gli interventi vengano programmati, progettati ed attuati in modo
altamente professionale, attraverso, dunque, le competenze di personale adeguatamente formato che
possa trasferire le proprie conoscenze e le proprie abilità ludico-educative sul piano pratico.
Rispetto alle attività (sezione 07) i dati sono così riassumibili:
a) Laboratori permanenti:
sono presenti nel 33,63% delle strutture contattate,
non sono previsti nel 38,94% dei casi,
mentre nella restante parte (27,43%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna
risposta);
b) Laboratori saltuari o periodici:
sono attivati all’interno del 40,71% delle ludoteche,
non lo sono nel 36,28% dei casi,
mentre nella restante parte non sono stati raccolti dati significativi (non so 1,77%/nessuna
risposta 21,24%);
c) Progettazione delle attività: avviene nella quasi totalità dei casi (92,92%);
d) Riunioni di verifica:
sono svolte nel 58,40% dei casi,
l’organizzazione non prevede un’attività di tal tipo nel 9,73% dei casi,
mentre nella restante parte (31,87%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna
risposta);
e) Eventuali attività svolte sul territorio:
si è rilevato un riscontro positivo nel 38,05% dei casi,
una risposta negativa è stata fornita dal 25,66% dei referenti contattati,
l’1,77% degli intervistati ha risposto “non so”, negli altri casi non è stato raccolto alcun dato.
La sezione 08 è stata prevista allo scopo di indagare quanto le ludoteche presenti sul territorio regionali si
configurino effettivamente come servizi sociali ed educativi; di seguito i dati emergenti:
a) I genitori e/o gli adulti partecipano alle attività (quesito 08.01)
179
all’interno del 51,33% delle strutture,
non si riscontra il loro coinvolgimento nel 22,12% dei casi,
mentre nella restante parte (26,55%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna
risposta);
b) Rapporti con la scuola:
dichiarano di averne intrapreso il 23% dei soggetti intervistati,
non sussistono nel 37,17% dei casi,
mentre nella restante parte (39,83%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna
risposta);
c) Rapporti con ospedali o cliniche:
sono presenti nel 18,58% dei casi,
non sussistono nel 46,90% dei casi,
mentre la percentuale restante (34,52%) ricade nelle opzioni “non so” e “non risponde”;
d) Rapporti con l’Assistenza sociale:
la ludoteca fornisce supporto all’Assistenza sociale nel 23% dei casi,
si riscontra una risposta negativa nel 46,90% dei casi,
mentre nella restante parte (30,10%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna
risposta);
e) Informazioni alla famiglia:
vengono fornite nel 57,52% dei casi,
non si erogano informazioni di alcun tipo nel 15,93 % dei casi,
mentre la percentuale restante (26,55%) ricade nelle opzioni “non so” e “non risponde”.90
I dati raccolti, danno conferma, purtroppo, di quella che è una reale e profonda carenza di conoscenze ed
informazione e formazione specifica sulla ludoteca, la quale è strettamente connessa ad un importante
deficit legislativo di settore - infatti solo un numero irrisorio di Comuni su tutto il territorio regionale
dichiara di aver stilato un regolamento comunale sul servizio ludoteca. Ciò, dunque, contribuisce ad
alimentare la confusione relativa al servizio, permettendo di chiamare tutto ludoteca ed impedendo,
pertanto, l’erogazione di servizi di qualità realmente basati sui bisogni della famiglia contemporanea ed
efficaci nel rispondere adeguatamente alle esigenze sociali, psico-pedagogiche ed educative dell’infanzia,
rispettandone quindi le tappe evolutive.
Troppo spesso, infatti, non è chiaro il profondo valore dei giocattoli e del gioco, quest’ultimo inteso, non
tanto come attività ludica fine a se stessa, quanto, piuttosto come spazio di vita, di crescita, di esperienza…
potremmo dire, con le parole di Winnicott, come uno spazio che si struttura all’interno dell’area
90
Tutti i dati esposti derivano dallo “Studio-ricerca sulle Ludoteche nella Regione Sicilia” condotta dall’Associazione nazionale “Il Dado Magico” - A.S.D.
180
dell’illusione, ossia quell’area a ponte tra il mondo esterno ed il mondo interno, in cui prendono vita la
fantasia e la creatività e che caratterizza e permette il difficile percorso dallo stato di dipendenza del
bambino fino all’indipendenza, stimolando l’affermazione del Vero Sé. Il gioco, dunque, è, per Winnicott,
sempre un'esperienza creativa e la capacità di giocare in maniera creativa permette al soggetto di
esprimere l'intero potenziale della propria personalità, “grazie alla sospensione del giudizio di verità sul
mondo, a una tregua dal faticoso e doloroso processo di distinzione tra sé, i propri desideri, e la realtà, le
sue frustrazioni”91 . In questo modo, attraverso un atteggiamento ludico verso il mondo, e solo qui, in
questa terza area neutra e intermedia tra il soggettivo e l'oggettivo, può comparire l'atto creativo, che
permette al soggetto di trovare se stesso, di essere a contatto con il nucleo del proprio Sé; inoltre,
“l'esperienza culturale comincia con il vivere in modo creativo, ciò che in primo luogo si manifesta nel
gioco”92. La creatività è uno stato di vitalità esistenziale, comune ad ogni essere umano, sia esso bambino
o adolescente o adulto, ed è per questo che, per Winnicott, il gioco, intendendo con esso un atteggiamento
ludico e creativo verso il mondo, non ha età: “io considero alla stessa stregua il modo di godere altamente
sofisticato della persona adulta rispetto alla vita, o alla bellezza o all'astratta inventiva umana, e il gesto
creativo di un bambino, che tende la mano alla bocca della madre, e che tocca i suoi denti, e la vede
creativamente. Per me, il giocare porta in maniera naturale all'esperienza culturale e invero ne costituisce le
fondamenta”93.
Il gioco, dunque, come attività afinalistica, ma certamente deputata allo sviluppo cognitivo, affettivo,
motivazionale e di personalità dell’individuo, da fasi di sviluppo precoci fino all’età adulta e anche più.
Winnicott, infatti, introduce una significativa analogia tra l’oggetto transizionale, “l’area dell’illusione” e
“l’area del gioco”:
“il gioco comincia nello spazio potenziale che si crea tra madre e bambino, la zona dell’illusione: nell’atto di
giocare il bambino è in grado di essere creativo perché fa ancora effettivamente esperienza, in qualche
misura, dell’onnipotenza, può far uso dell’intera personalità, e solo nell’essere creativo scopre il Sé. (…)
All’interno di questo contesto deve svolgersi, la conoscenza della realtà che dovrà essere offerta al bambino
non solo gradualmente, ma anche come una sua scoperta, ancora una volta come qualcosa che fa lui, che
egli “crea”. (…) La progressiva disillusione, questa presentazione e conoscenza della realtà, diviene, così,
apprendimento.” 94
Ecco i grandi valori del gioco e dei giocattoli, le cui caratteristiche il ludotecario dovrebbe avere ben chiare.
Da qui, dunque, anche l’importanza del prestito dei giochi che dovrebbe caratterizzare ogni ludoteca,
poiché permette la continuazione dell’esperienza e la condivisione di questa all’interno del nucleo
familiare, dando, inoltre, la possibilità anche alle famiglie in condizioni socio-economiche meno agiate di
91
Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma. 92
Ibid. 93
Ibid. 94
Ibid.
181
affermare e soddisfare l’inalienabile diritto al gioco di ogni bambino; diritto che, troppo spesso, è invece
concesso solo ad alcune fasce d’età, come si è evidenziato, infatti, nessuna delle ludoteche da noi
contattate ha affermato di non porre limiti di età per la propria utenza.
Tutto ciò devia da quella che è la nostra idea di ludoteca, intesa come servizio sociale fruibile da tutti i
“bambini” da 0 a 99 anni che abbiano voglia di esprimersi attraverso il gioco, di conoscersi, sperimentarsi,
scambiare esperienze in uno spazio costruito per loro e da loro.
Ci auguriamo, quindi, che quanto esposto fin qui possa essere per tutti spunto di riflessione, per noi è
ulteriore motivo per perpetuare il nostro impegno, anche e soprattutto attraverso il coinvolgimento e la
sensibilizzazione degli Enti pubblici in relazione al riconoscimento della ludoteca come servizio sociale e del
ludotecario quale figura preposta e professionista del settore, questo perché anche noi, come Shaw,
crediamo che “l’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”.
Vorremmo chiudere la nostra breve relazione ringraziando la Provincia regionale di Messina - Assessorato
alla Solidarietà Sociale e la Regione Sicilia - Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e delle
Autonomie Locali, le quali hanno gentilmente patrocinato la ricerca presentata, e il Centro Internazionale
Ludoteche, nella persona del direttore Giorgio Bartolucci, la cui collaborazione, come sempre, è risultata
preziosa.
2. Il Laboratorio regionale Città dei Bambini e delle Bambine
Città di San Giorgio a Cremano
Francesco Langella95
Breve storia
Nel 1994, con delibera di Consiglio comunale n. 53, veniva approvata ad unanimità, la costituzione del
Laboratorio regionale di progettazione e sperimentazione San Giorgio Città dei Bambini e delle Bambine,
che si è proposto di comporre le maglie di una rete per la graduale riappropriazione del territorio,
impegnandosi per migliorare la sostenibilità urbana.
Dopo una prima fase sperimentale la città di San Giorgio a Cremano, attraverso il laboratorio regionale è
diventata una città amica dei bambini, impegnata a garantire l'accesso a servizi adeguati per tutti i bambini,
ed a sperimentare nuove forme di partecipazione degli stessi. Negli anni il Laboratorio ha assunto le
caratteristiche di un’unità organica con un proprio bilancio, adeguate dotazioni materiali e strumentali.
Attualmente il servizio è incardinato nel settore della Pubblica Istruzione. Nel 1998 il nostro laboratorio
risulta essere citato tra le quattordici esperienze più significative nella Guida alle Città sostenibili delle
bambine e dei bambini pubblicata dal Ministero dell'Ambiente. Essere prescelti dal Ministero dell’Ambiente
95
Coordinatore del Laboratorio Città dei Bambini e delle Bambine di San Giorgio a Cremano.
182
tra le centinaia di città che in Italia hanno attivato canali di ascolto alle esperienze dei loro cittadini più
piccoli ed essere designati tra le quattordici esperienze nazionali più significative è stato motivo di orgoglio
e di stimolo ad approfondire la traccia di lavoro aperta.
Nel maggio 1999 il laboratorio regionale Città dei bambini e delle bambine ha ricevuto il premio “Qualità in
Comune ‘99” del Forum Pubblica Amministrazione ‘99, per la classificazione tra i due migliori progetti nel
settore Città Bambini, rappresentativo di una decisa svolta verso la qualità nelle Amministrazioni locali;
occasione di divulgazione e segnalazione delle best practices e dell’impegno dell’Amministrazione verso
nuovi modelli gestionali e di rapporto con i cittadini.
Il laboratorio regionale è divenuto punto di riferimento regionale, attestato dalle numerose richieste di
consulenza e collaborazione che pervengono da altri enti ed istituzioni regionali; mentre vasta eco e
risonanza hanno determinato la partecipazione di ragazzi e rappresentanti del laboratorio a trasmissioni
televisive di carattere nazionale come “Geo e Geo” - “Mediamente”. Grazie alla collaborazione di tutti
possiamo affermare che il progetto Città dei bambini e delle bambine nella nostra città sta crescendo e
sviluppandosi al meglio. Naturalmente la strada che dobbiamo percorrere è ancora lunga affinché la città
dei bambini cresca e si sviluppi con risultati tangibili di un miglioramento complessivo della qualità della
vita per tutti.
Descrizione del Progetto
San Giorgio a Cremano, la città di Rosario in Argentina e la città di Roma hanno istituito, con rispettive
deliberazioni delle Giunte comunali, “Il Giorno del Gioco” che si realizza, ogni anno, il secondo mercoledì
del mese di maggio. Una grande conquista che pone San Giorgio a Cremano come la prima città della
Regione Campania che dedica una giornata feriale al gioco.
Un grande appuntamento da vivere, un giorno speciale dedicato al gioco come mezzo di espressione,
comunicazione e incontro tra adulti, giovani, bambini, con pari opportunità di generi. Perché giocare è
immaginare, perché la vita è gioco e il gioco è esperienza, rispetto delle regole, convivenza, curiosità e
ricerca delle diversità, in un percorso educativo delle coscienze, al tempo stesso estremamente semplice
ma con meccanismi complessi. Le scuole della città, per l’occasione, dedicano la mattinata al gioco
all’aperto; per un giorno, le ore di lezione possono essere interamente ore di gioco, l’attività che, per
eccellenza, caratterizza un percorso formativo. Le due piazze principali della città, piazza Troisi e piazza
Vittorio Emanuele II, le strade limitrofe ed alcuni edifici scolastici diventano teatro dell’evento. Scopo
dell’iniziativa, che coinvolge scuole e cittadini, è quello di promuovere il gioco negli spazi urbani
riconquistandoli al traffico e alle auto in sosta e creandovi momenti di aggregazione.
L’Amministrazione di San Giorgio a Cremano si è impegnata da tempo nella realizzazione di azioni concrete
sugli aspetti normativi a tutela del gioco dei bambini per la riconquista degli spazi per giocare: nei
condomini innanzitutto, ma anche nei parchi pubblici e nelle scuole. Nel rispetto dell'articolo 31 della
183
Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, con l’iniziativa del “Giorno del Gioco”, si vuole favorire il gioco dei
giovani anche sulle aree soggette ad uso pubblico.
La Giunta comunale della città di San Giorgio a Cremano, con delibera n. 353/09 ha anche proposto al
Governo l’adozione di una specifica legge relativa all’istituzione del “Giorno del Gioco”, in considerazione
dell’alto valore educativo e sociale che l’iniziativa può svolgere all’interno della collettività, contribuendo a
ricostruire un tessuto sociale e un clima di cooperazione e di solidarietà fondamentali per migliorare la
qualità della vita urbana. Sostenuto dall’Assessorato regionale alle Politiche sociali, il progetto, coinvolgerà
altri enti locali, scuole, categorie produttive, commerciali e di servizio. L'onorevole Luisa Bossa ha già
presentato la proposta di legge alla Camera dei Deputati come prima firmataria.
La delibera di proposta della specifica legge di festa nazionale dedicata al gioco è stata già trasmessa al
Capo dello Stato, al presidente del Consiglio dei Ministri, al Parlamento, al Senato, al presidente nazionale
dell’UNICEF, al presidente nazionale dell’ANCI e a tutti i presidenti ANCI delle regioni d’Italia, al presidente
della Giunta regionale della Campania, alla Commissione Bicamerale per l’Infanzia, al CNR di Roma, ala
BIMED, perché ciascuno nelle proprie istituzioni si faccia carico della presente proposta ed operi perché
venga tradotta materialmente in legge dello Stato.
Alcuni hanno fatto già pervenire per iscritto lettere di sostegno, formulando osservazioni sugli effetti e sulla
necessità di promozione a livello nazionale della suddetta legge. Francesco Tonucci del CNR di Roma, ha
dichiarato che “l‘iniziativa corrisponde pienamente alle caratteristiche e alle finalità del progetto “La città
dei bambini” di cui il CNR è promotore e coordinatore a livello internazionale. (…) Naturalmente tutti noi che
ci occupiamo dei diritti dei bambini sappiamo che i bambini hanno diritto e bisogno di giocare tutti i giorni e
non solo una volta all’anno, ma riteniamo che sia importante che ogni città in un giorno particolare sia
impegnata a riflettere su questo particolare e poco rispettato diritto dei bambini. Come diceva un bambino
di Rosario in Argentina, dovrebbe essere “Come il giorno del compleanno del Gioco”. Il presidente nazionale
dell'UNICEF in un suo messaggio ha dichiarato il “Giorno del Gioco” “una giornata dall’alto valore educativo
e sociale dedicata al diritto di ogni bambino ad esprimersi, crescere ed imparare divertendosi. L’UNICEF, che
in tutto il mondo sostiene e tutela tale diritto, crede che questa giornata possa contribuire a sensibilizzare
tutti gli italiani con una iniziativa che non coinvolge solo i più piccoli ma anche “i grandi”, cui spetta il
diritto-dovere di giocare con i bambini. È per noi una buona notizia il fatto che il progetto trovi consensi e
sostegno su vari fronti attraverso la positiva sinergia di enti, istituzioni, famiglie che hanno lavorato insieme
ogni giorno per costruire questa iniziativa. Spero che questa di San Giorgio a Cremano sia una buona pratica
per tutti i comuni d’Italia e che raggiunga a livello nazionale il risultato sperato. Mi auguro infine che, grazie
al vostro lavoro, il prossimo anno questa festa diventi un evento ufficiale della Repubblica italiana e che
sancisca, come recita l’articolo 31 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che il gioco è
un diritto inalienabile di tutti i bambini del mondo.”
184
Obiettivi
A seguito di approfondimenti tematici sul gioco e di incontri specifici con altre realtà pubbliche e con
l’Istituto di Scienze e Tecnologia della Cognizione del CNR di Roma, l’istituzione del “Giorno del Gioco”
rappresenta una grande conquista che pone, tra l’altro, la città di San Giorgio a Cremano come la prima
città campana che dedica un evento interamente al gioco per sette giorni.
La manifestazione intende:
trasformare parte della città e renderla a misura di bambini e ragazzi;
rappresentare un’occasione di gioco e socializzazione non solo per i ragazzi ma anche per le loro famiglie,
promuovendo il gioco negli spazi urbani riconquistandoli al traffico e alle auto in sosta e creandovi
momenti di aggregazione, trasformando, per l’occasione, le piazze e le strade della città in teatro
dell’evento;
offrire ai cittadini - bambini, giovani e adulti - l’opportunità di socializzare, di riscoprire il piacere di
utilizzare piazze, luoghi e strade della propria città per momenti ludici, ricreativi e di intrattenimento,
esenti da aggressività e solitudine, e di apprezzare la possibilità di sentirsi protagonisti degli spazi urbani
non invasi da traffico e smog;
favorire il moltiplicarsi di occasioni di gioco intergenerazionale e, quindi, non soltanto fra bambini e
ragazzi, ma anche fra adulti, e fra adulti e bambini;
ri-scoprire i giochi della tradizione popolare, coinvolgendo gli anziani e ricostruendo scene di giochi
derivanti da specifiche tradizioni;
valorizzare il gioco creativo libero e l’ideazione di nuovi giochi, con l’utilizzo di materiali vari, anche di
recupero, anche in considerazione che il 2009 è l’anno europeo dedicato a creatività ed innovazione;
coinvolgere i disabili nei giochi e nelle attività sportive, ricreative e di spettacolo che saranno realizzate;
favorire la partecipazione dei condomini, facilitando così i rapporti fra le famiglie e singoli individui, che
sono solitamente difficili e spesso inesistenti;
promuovere fra i cittadini nuove amicizie e rinsaldare i rapporti sociali;
favorire la partecipazione attiva dei cittadini immigrati e gli scambi e gli arricchimenti culturali,
promuovendo la conoscenza di giochi di vari Paesi del mondo (tema della seconda annualità);
favorire le pari opportunità anche nell’esercizio del gioco promuovendo un’analisi del gioco differenziato
per genere nel tempo, facendo in modo che i diversi giochi siano di libero accesso a maschi e femmine ed
ugualmente sostenuti e incoraggiati in contesti educativi, indipendentemente dall’adeguatezza di
genere, cominciando così dalla base a scardinare gli stereotipi (tema della terza annualità del progetto),
promuovendo riflessioni sul cambiamento dei giochi come cambiamento dei ruoli nella società;
promuovere l’applicazione concreta del diritto al gioco e al tempo libero, così come previsto dall’art. 31
della Convenzione Onu dei Diritti dell’Infanzia.
185
Complessità e corposità dell’iniziativa
La precedente quarta edizione dell’iniziativa del “Giorno del Gioco”, che si è svolta nell’arco di una
settimana dal 6 al 13 maggio, con il contributo della Regione Campania, ed altri enti che hanno voluto
sostenerla, ha saputo conquistarsi le simpatie e le attenzioni di un vasto pubblico ed ha coinvolto circa
30.000 studenti delle scuole cittadine e fuori territorio, anche con la partecipazione di bambini e giovani
con handicap e di alcune fasce di bambini e giovani svantaggiati.
Le forti pulsioni creative dei ragazzi e le tensioni ideative che si sono osservate nello svolgimento dei vari
giochi organizzati dalle scuole inducono a pensare ad un progetto più corposo che vuole emergere con più
forza, energia e visibilità. Evidentemente sono molto vive le suggestioni e le implicazioni generate dal tema
del gioco e delle sue evoluzioni.
Con l’edizione successiva (la quinta) si ha intenzione di sviluppare un progetto a lungo termine e
trasformare il “Giorno del Gioco” in un avvenimento significativo che coinvolga l’intera città di San Giorgio a
Cremano, con una serie di eventi, distribuiti nel corso dell’anno, di preparazione alla kermesse finale, che si
concluda con il secondo mercoledì del mese di maggio di ogni anno e veda la partecipazione di altre città-
polo del Parco Scolastico del Mezzogiorno (Regione Campania) e di un’altra città italiana e/o straniera, con
la quale si instaurerà un gemellaggio. Nella preparazione alla quinta edizione l’obiettivo principale è anche
quello di una trasformazione urbana e sociale che identifichi San Giorgio a Cremano come una città adatta
anche al gioco.
Un vero e proprio “Festival del Gioco”, promosso dall’Assessorato alla Scuola Infanzia e Gioco del Comune,
con un tema annuale che trasmetterà il senso dell’iniziativa.
Per la quinta edizione 2010 il tema sarà: Giochi oltre i confini (il gioco nelle diverse culture).
Il patrimonio di giochi tradizionali della cultura infantile rischia di perdersi perché i bambini hanno poche
occasioni di giocare in gruppo e sempre meno in spazi di libera aggregazione. Recuperare e conoscere i
giochi della propria tradizione diventa importante per l'educazione e può essere un modo per avvicinarsi
alle altre culture scoprendo le diversità e similitudini dei giochi. Il tipo di gioco al quale giocano i popoli nel
mondo rispecchia i valori della loro civiltà. Forse non è casuale che i giochi più competitivi appartengano al
bagaglio culturale delle società industriali, caratterizzate da una forte gerarchia e competitività nei rapporti
sociali. I giochi cooperativi invece si trovano più facilmente nelle società di carattere tribale dove il principio
fondamentale è quello della convivenza basata sulla condivisione di tutti i beni prodotti dalla comunità. Con
il tema della quinta edizione si propone un viaggio alla ricerca delle conoscenze di diverse civiltà nel mondo
attraverso il gioco con lo scopo di:
favorire la conoscenza reciproca,
sperimentare e sviluppare la propria corporeità,
valorizzare le differenze attraverso il gioco,
recuperare e sperimentare i giochi tradizionali, a cominciare dai nostri,
186
sviluppare le capacità di cooperazione, di accettazione reciproca nell'interazione con l'altro,
analizzare il gioco e il suo valore educativo nel rispettivo contesto culturale.
Attraverso laboratori e seminari di formazione per i docenti delle scuole di ogni ordine e grado si cercherà
di sperimentare giochi provenienti dai diversi contesti culturali. I momenti attivi saranno alternati con fasi
di riflessione ed analisi.
In una società sempre più multietnica e multiculturale, dove le diversità sembrano scontrarsi più facilmente
che incontrarsi, si pone la necessità, al livello educativo, di sensibilizzare le nuove generazioni
all'accettazione delle differenze, atteggiamenti e punti di vista dell'altro. Che questo “altro” sia straniero, di
un’altra religione o semplicemente il compaesano, che la pensa in modo diverso da noi, ha poca
importanza. Tutti i bambini e le bambine del mondo giocano, in modi simili e diversi, e i loro giochi
costituiscono un patrimonio di creatività che accomuna ed esprime le connotazioni autentiche delle diverse
culture. Utilizzare i giochi del mondo per progettare percorsi educativi è creare momenti di incontro e di
confronto con la diversità. Il gioco, pertanto, può diventare uno strumento importante per fare educazione
interculturale. Nell'ambito della riflessione sul valore culturale del gioco e del recupero del territorio, il
“Festival del Gioco” promuove esposizioni, istallazioni urbane e d'arte, incontri e convegni, seminari,
laboratori didattici, concerti di musica tradizionale e spettacoli.
Le scuole pubbliche e private partecipano alle edizioni del “Festival del Giorno del Gioco” con proprie
iniziative organizzate negli spazi della città. Associazioni, enti, aziende, istituzioni private e pubbliche, liberi
cittadini che vogliono partecipare a questa iniziativa possono organizzare autonomamente momenti ludici
e/o di spettacolo durante la loro normale attività. La loro partecipazione viene concordata con il
Laboratorio Regionale Città dei Bambini e delle Bambine, che mantiene il coordinamento dell’iniziativa.
Nell’ambito di tale progetto, attraverso il laboratorio regionale Città dei Bambini e delle Bambine, si
promuove anche un’iniziativa per la realizzazione di progetti creativi ed originali, da utilizzare per la
campagna di comunicazione finalizzata a favorire una diffusa sensibilità verso il diritto dei bambini al gioco.
I progetti originali presentati dai giovani delle scuole, ogni anno, sono esposti virtualmente sul sito internet
del laboratorio regionale (www.cittabambini.it) e riguardano i disegni, gli audiovisivi e gli slogan inventati e
prodotti dai bambini appositamente per la manifestazione.
187
3. Ludoteca… la Carneade dei servizi per l’infanzia
Giorgio Bartolucci96
La storia insegna
Se don Abbondio si fosse imbattuto nella parola ludoteca, il buon parroco di manzoniana memoria si
sarebbe sicuramente chiesto: Ludoteca? Chi era costei?
Ignoranza ammissibile perché alla fine del XVIII secolo non era ancora apparsa sul panorama educativo
della Lombardia, ma forse la risposta non sarebbe molto diversa nemmeno oggi perché, ad oltre trent’anni
dalla sua nascita in Italia, se ne stanno perdendo le tracce. Parlare di ludoteche, oggi, è molto difficile
perché questo termine racchiude in sé una tal quantità di servizi che per potersi capire è necessario chiarire
prima di cosa stiamo parlando.
Dalla fine del 1977, quando presso il CRE Enel di Firenze è nata la prima, la ludoteca ha seguito le linee che i
Francesi ci avevano indicato ed avevamo adattato alla situazione italiana e ai nostri obbiettivi. Al primo
posto nel progetto si indicava la nostra ricerca per individuare i modi per permettere al bambino la libera
scelta del giocattolo. Se il gioco è il motore primario dello sviluppo, perché il giocattolo, che ne è lo
strumento, deve essergli concesso solamente se è stato buono, se ha avuto un buon voto a scuola o per le
feste comandate, una sorta di ricatto? Perché non utilizziamo lo stesso metodo con il cibo?
La ludoteca è poi andata avanti fino all’inizio degli anni ‘90 acquisendo una notevole reputazione nel campo
dei servizi per l’infanzia e per le famiglie, favorendo lo sviluppo dell’individuo in campo educativo, sociale e
culturale. Questo grazie all’impegno di amministrazioni pubbliche di grandi città come Firenze, Milano,
Torino e Bologna, ma anche di cittadine come Fiorano, Carpi, Nonantola e molte altre.
In questi anni, con il mutare dei bisogni della società, delle famiglie, i servizi rivolti all’infanzia si stavano
lentamente modificando mentre l’Ente locale riduceva tali servizi adducendo le diminuite disponibilità
economiche. Sotto queste spinte anche la ludoteca ha diversificato la sua struttura ed i suoi obbiettivi. Da
un lato questo è perfettamente lecito, altrimenti verrebbe meno una delle sue specificità che è quella di
adeguarsi al variare delle necessità degli utenti, ma dall’altro non volevamo che se ne snaturassero le
caratteristiche riducendo le sue potenzialità e creando un’immagine distorta di un servizio che non si è
ancora ben consolidato nell’opinione pubblica.
La scarsa proliferazione dei servizi per la prima infanzia (in Italia i nidi non raggiungevano una copertura del
9%), ne ha aumentato a dismisura la richiesta da parte dei genitori lavoratori, un bisogno sul quale il privato
si è impegnato al massimo diventando numericamente importante.
96
Direttore del Centro Internazionale Ludoteche di Firenze.
188
Ma gli asili nido e i centri gioco sono sottoposti a norme molto rigide che ne rendono onerosa la gestione. Si
è allora approfittato della mancanza di regolamenti per la ludoteca aprendo servizi con questo nome che
però, di fatto, sono tutt’altra cosa, sono dei nidi, dei baby parking, delle scuole materne, dei laboratori e
per di più, in assenza di regole, non sono soggetti a controllo.
Nel primo decennio, la ludoteca del CRE era stata il modello ispiratore per numerose realizzazioni, ma non
ci erano pervenute notizie e riscontri precisi sulle loro attività che ne definissero le caratteristiche e le linee
di sviluppo.
Nel frattempo, su iniziativa di alcune persone del gruppo che aveva aperto la ludoteca fiorentina e di altri
docenti che ne avevano teorizzato e seguito lo sviluppo, era sorto, sempre a Firenze, il “CIL - Centro
Internazionale Ludoteche”, associazione senza fini di lucro. Dopo anni di studi e dibattiti tra le ludoteche
italiane si avvertiva, all’interno, la necessità di verificare l’evoluzione di questo servizio, di fare il punto della
situazione attraverso una ricerca nazionale e il CIL se ne assunse l’onere.
Dobbiamo ricordare anche che, dal 1979, il CIL aveva iniziato a pubblicare il periodico La Ludoteca, giunto
oggi al trentesimo anno. Fin dal 1987, il direttore del Centro, Giorgio Bartolucci, è entrato a far parte del
direttivo dell’Associazione Internazionale delle Ludoteche e, nel 1990, aveva organizzato, per il Comune di
Torino, la quinta Conferenza Internazionale che aveva visto la partecipazione di 36 Paesi dei cinque
continenti.
La prima ricerca - 1990/91
L’occasione per realizzare questa ricerca si è presentata quando Marzia Bartoli, che faceva parte del gruppo
che aveva progettato e gestito la prima ludoteca italiana dove ha lavorato per anni, ed era fra i soci
fondatori del CIL, decise di concludere il suo corso di studi alla Facoltà di Magistero dell’Università di Siena,
con una laurea sulle ludoteche.
Nella premessa si leggono le motivazioni: “La volontà di svolgere una ricerca nasceva essenzialmente dalla
necessità di fare chiarezza su un servizio che, a 13 anni dalla sua introduzione in Italia, non riusciva a
decollare, le realizzazioni presentavano i caratteri dell’improvvisazione e rivelavano spesso una certa
carenza di principi pedagogici e di una cultura consolidata dei servizi per l’infanzia.”
“In anni di studi e ricerche svolti dal CIL, erano emerse le potenzialità e gli aspetti che la ludoteca può
presentare. Le periodiche riunioni con i ludotecari, la presentazione delle varie iniziative, i convegni, i
dibatti, portavano a concludere che queste potenzialità apparivano spesso in modo frammentario, che solo
una parte, a volte minima, veniva utilizzata.”
Si evidenziava anche (eravamo alla fine degli anni ‘80), come vi fosse una maggior considerazione
dell’attività ludica ma le mutate condizioni di vita ne ostacolavano la libera espressione. I bambini, che in
passato avevano spazi e occasioni di gioco a disposizione e potevano giocare liberamente per strada
interagendo con compagni di età diverse e anche con gli adulti attraverso le feste popolari, le ricorrenze, le
189
veglie, venivano adesso a perdere queste opportunità che venivano sostituite da luoghi di pseudo-
aggregazione come palestre, circoli, club, quasi mai scelti liberamente.
Venne predisposto un questionario di 212 domande (molte a risposta multipla), per indagare sui punti
salienti della ludoteca, che riguardavano le notizie generali, i locali, l’organizzazione, la dotazione dei
giocattoli, l’utenza, il personale impiegato, le attività svolte, i suoi interventi come servizio sociale,
educativo e culturale.
I dati raccolti negli anni dal CIL indicavano in 120 le ludoteche esistenti. Da un’indagine preliminare è
risultato che 16 avevano chiuso definitivamente e 14 lo erano temporaneamente e 20 furono scartate
perché non effettuavano il prestito. Fra le 70 che risultavano aperte, 3 non hanno voluto rispondere per cui
l’inchiesta ha riguardato 67 ludoteche, il 95,7%. La maggioranza del questionari è stata somministrata per
intervista diretta, che garantiva la veridicità delle risposte.
Come previsto i risultati sono stati molto variegati, con finanziamenti iniziali che andavano da 100.000 lire
fino a 235 milioni e le spese di gestione annue, personale incluso, da 200.000 lire fino a 148.645.836 lire,
come risultava dal bilancio comunale.
La dotazione di giocattoli oscillava fra i 20 e i 2.200.
La promozione del servizio è stata per il 47,8% di iniziativa comunale e per il 20% mista; i motivi ispiratori
per il 20,9% sono di tipo sociale, l’11,95% educativi e i rimanenti ne hanno avuti più di uno
contemporaneamente (socio-educativi, socio-culturali, socio-assistenziali, socio-educativo-culturali). La
gestione viene assunta direttamente dal Comune per il 43,3% delle volte, mentre per le altre è mista. La
superficie dei locali varia da un minimo di 35 mq ad un massimo di 1.300, con una media di 186 mq.
32 ludoteche, delle 53 che hanno risposto a questa domanda, hanno spazi all’aperto, con una media di
2.328 mq ciascuna. L‘iscrizione annua alla ludoteca varia da un minimo di 1.000 lire ad un massimo di
50.000. Una ludoteca richiede, come contributo per l’iscrizione, il dono di un giocattolo nuovo. Il 62,7% ha
anche libri (il 70% li dà in prestito), e fumetti. Indicativa l’utenza: 26 ludoteche (38,8%) sono aperte anche
agli adulti ma sono pochi quelli che ne usufruiscono, a significare che il gioco è ancora lontano dalla loro
mentalità, dalla loro cultura. La totalità delle ludoteche consente di lasciare i bambini in ludoteca e 6
(8,6%), anche se si tratta di minori di età inferiore ai sei anni.
Uno degli aspetti più importanti riguarda l’integrazione dei disabili, vocazione iniziale delle ludoteche
scandinave e del Regno Unito che per prime hanno aperto ludoteche. Il 77,6% ha dichiarato di accogliere
persone diversamente abili. La media delle presenze di questa categoria è di 7,9 utenti a ludoteca, che
spesso vengono con la persona di sostegno e si limitano a giocare con questa senza interagire con gli altri
bambini; alcuni frequentano la ludoteca in tempi diversi dalla normale apertura.
Benché 31 ludoteche (il 46,3%) abbiano dichiarato di affrontare con attenzione il problema, 5 parlano
genericamente di “inserimento” e una non ha ancora affrontato il problema. Per il resto si tratta di
190
collaborazioni con USL, ANFAAS ed incontri con psicologi, assistenti sociali, insegnanti d’appoggio, ecc.
L’idea d’integrazione sembra ancora lontana.
Il 91% delle ludoteche svolge attività strutturate (laboratori), sia permanenti che periodici o saltuari, alcuni
gratuiti, altri a pagamento. L’88,1% ha una progettazione delle attività e l’85,1% presenta un programma.
L’86,6% tiene riunioni di verifica e ha svolto ulteriori ricerche sia sull’utenza che sul territorio.
Rispetto alla collaborazione con altre istituzioni, che costituisce uno dei punti qualificanti dell’attività
determinando il livello “sociale” della ludoteca ed è un valido supporto che migliora sicuramente la qualità
del servizio, l’80% ha rapporti di collaborazione con la scuola (salvo un caso in cui è stata rifiutata).
Scarsa la collaborazione con ospedali o cliniche pediatriche (solo 3 ludoteche), ma è da tener presente che,
ai tempi in cui si è svolta la ricerca, in Italia esistevano già 50 gruppi gioco in ospedale avviati ben
quarant’anni prima dalla dottoressa Armida Carla Capelli97.
Le altre ricerche - Regione Sardegna 2003/2004
Abbiamo visto come i motivi sopra esposti abbiano portato al deterioramento dell’idea base di questo
servizio e a sminuirne l’importanza; eravamo certi che non tutte le strutture chiamate ludoteche
svolgessero le funzioni che le competono. E qui torna in campo Carneade; il filosofo greco faceva parte
della corrente degli scettici e anche il nostro scetticismo aumentava quando parlavamo di ludoteche.
Eravamo scettici nel senso che il vocabolario ci indica: “diffidenti nei confronti di affermazioni, valori, realtà
o comportamenti…”
Lasciando da parte le dissertazioni filosofiche, era necessaria una ricerca il più possibile accurata sulla realtà
italiana per far chiarezza sulla sua situazione, unico modo per riportare il servizio alla sua funzione originale.
Purtroppo la sua diffusione, si parlava di migliaia, rendeva improponibile una ricerca su tutto il territorio
nazionale.
Ma i dubbi che ci tormentavano erano anche quelli della Regione Sardegna che all’interno del “Piano
Regionale Socio-Assistenziale 1990/92” (Legge Regionale 4/88), con un impegno finanziario consistente,
poneva il servizio ludoteca fra gli interventi nel campo del sociale, dove venivano individuate come
strumento/sede:
* Dove il bambino può esprimere, attraverso il gioco, la propria potenziale capacità di acquisire nuove
conoscenze e misurarsi con i suoi reali bisogni di creatività, senza il filtro delle scelte/impostazioni
dell’adulto che in questa sede si pone al servizio del bambino.
* Dove il giocattolo, troppo spesso vissuto passivamente ed in solitudine, anche per le caratteristiche che
presenta oggi la strutturazione del nucleo familiare, permette di sperimentare diverse situazioni personali e
relazionali di socializzazione primaria, fondamentale per un armonico sviluppo della persona e del cittadino.
97
Fondatrice dell’associazione Gioco e studio in Ospedale e del servizio di Gioco e Scuola in molti ospedali italiani.
191
Poi, dei finanziamenti e delle strutture aperte, se n’erano perse le tracce; inoltre non esisteva una
normativa che ne indicasse le finalità, gli standard strutturali e organizzativi, la tipologia delle attività e la
formazione degli operatori. In definitiva si riproduceva la situazione nazionale.
Venne così indetta una gara per l’assegnazione di una ricerca che fu affidata ad un consorzio d’impresa
composto dalla società AdVertere di Cagliari, dalla cooperativa sociale Lariso di Nuoro e dal CIL di Firenze,
dove vi è la più ampia raccolta al mondo di materiali sulle ludoteche tanto da essere indicato come Centro
di Documentazione dell’ITLA. Per questo veniva riconosciuto come punto di riferimento storico. Al suo
direttore, Giorgio Bartolucci, venne affidata la direzione scientifica e la responsabilità della parte
sperimentale della ricerca che si è articolata su quattro punti:
1. Il progetto di ricerca, evidenziava la filosofia progettuale che ha animato l'elaborazione della
proposta e rappresenta una parte propedeutica per un'adeguata comprensione dei risultati.
2. La storia delle ludoteche, proponeva un excursus storico sulla loro nascita e il loro sviluppo
prospettando un recupero dell'identità originaria del servizio.
3. La storia delle ludoteche in Sardegna, offriva inizialmente un quadro quantitativo dei dati
provenienti dalle più accreditate fonti documentali per poi riportare quelli rilevati nel territorio
attraverso la ricerca sul campo.
4. Le linee guida del servizio: verso un modello di Ludoteca, proponeva una serie di indicazioni che ne
consentissero una progettazione nel rispetto delle effettive finalità di questo servizio sia dal punto
di vista socio-pedagogico che organizzativo e gestionale, con un’attenzione particolare all'aspetto
della formazione del ludotecario.
Si trattava della parte più innovativa della ricerca in quanto, dopo aver fornito un quadro generale di
riferimento della situazione regionale, assumeva un carattere propositivo, fornendo gli elementi per
arrivare all’elaborazione di una metodologia/modello di progettazione e predisposizione del servizio che,
pur nel rispetto delle diverse connotazioni che questo potrà assumere in riferimento al contesto territoriale
in cui verrà realizzata, possa essere considerata trasferibile e replicabile.
Questo permetteva di definire una sorta di tipologia modello del servizio, che si presentava innovativa
rispetto al panorama nazionale.
I risultati
La popolazione sarda, circa 1.668.000 persone, è divisa su 377 comuni (dei quali 18 sotto i 300 abitanti). 8
comuni non hanno risposto al questionario per cui, pur nella difficoltà a reperire telefonicamente le
persone responsabili e le notizie giuste, sono risultati dei dati completamente affidabili. Si sono così
individuate 177 ludoteche aperte suddivise su 159 comuni.
Riferiamo solo le notizie più importanti e le risposte “strane” come quelle di 2 ludoteche che hanno
dichiarato un solo utente iscritto.
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La causa principale delle chiusura è stata la mancanza di fondi (54,4%). Una volta aperta la ludoteca, i
comuni attendevano ulteriori finanziamenti regionali per la loro gestione; solo alcuni hanno impegnato
fondi propri.
La prima apre nel 1985, mentre lo sviluppo massimo si ha nel quinquennio 1996/2000 con 71 ludoteche
aperte. Le aperture variano da 1 a 7 giorni settimanali con la percentuale maggiore (37,7%), che apre 3
volte e il 49% che effettua il prestito.
Per quanto riguarda l’utenza, in genere sono aperte ai minori in età di scuola dell’obbligo, ma 3 ludoteche
accettano bambini sotto 3 anni e altre 3 anche adulti dai 18 fino ai 30. Una metà ha operatori per
l’inserimento di disabili. Questo dato evidenzia gli obbiettivi indicati dalla legge.
Il 18,5% è gestito da personale comunale e il 72,2% da operatori esterni. Per il 9,3% la gestione è mista.
Le risposte dei ludotecari sulla loro visione del servizio, sono state, in definitiva, abbastanza positive. Le
recriminazioni espresse dal personale sono comuni ad altre realtà italiane e hanno riguardato locali e
finanziamenti insufficienti, carenze di formazione sui laboratori, difficile contatto con funzionari e politici.
Ma una risposta ci ha colpiti particolarmente perché riguarda l’essenza del gioco in ludoteca; si è lamentata
l’incapacità a:
“far seguire le direttive ai bambini.
“il cattivo rapporto con i bambini che non seguono le loro direttive, i bambini sono agitati, fanno fatica a
seguire le regole dei giochi strutturati, accolgono male i laboratori proposti”.
“Vedono la ludoteca solo come un luogo per giocare”.
A proposito del gioco strutturato, è risultato che il 77% delle ludoteche svolge attività proposte dal
personale, mentre il 76,8% si affida ai laboratori nei quali, molto spesso, l’obbiettivo è il prodotto, il
risultato e non, come dovrebbe essere, il processo.
C’è anche chi risponde che il gioco libero “è sintomo di improvvisazione, di mancanza di programmazione
pedagogica”…
Difficile anche il rapporto con le famiglie che, per il 50%, è mediocre o inesistente.
Risulta anche l’importanza dei locali, interni ed esterni. Spesso le difficoltà di gestione sono state attribuite
alla scarsità degli spazi.
Secondo gli intervistati, il maggior punto di forza delle ludoteche sarde è la grande espansione del servizio,
la elevata presenza sul territorio.
Di contro, al primo posto fra i punti deboli troviamo proprio la grande confusione a livello terminologico
(baby parking, centro di aggregazione e/o animazione…) dal quale deriva una scarsa conoscenza sulle
finalità del servizio.
Dall’analisi delle risposte emerge positivamente lo sforzo che la Regione Sardegna ha svolto, nel campo del
sociale, per garantire all’infanzia validi strumenti di crescita. La diffusione, che è stata considerata, come
detto, un punto di forza, a quel tempo, era di una ludoteca ogni 94.200 abitanti.
193
Anche la decisione di promuovere una ricerca per far chiarezza sul servizio, ha dimostrato una notevole
attenzione ai problemi educativi e sociali, oltre che economici, per evitare la dispersione di risorse. I dati
hanno fornito anche, come era stato previsto, indicazioni sui punti salienti che devono caratterizzare la
ludoteca e utili a migliorala.
La ludoteca
La sua origine si perde nella notte dei tempi. Si parla degli anni ‘30 del secolo scorso. Certo è che molto
tempo prima era presente nelle ville della nobiltà russa. Sappiamo anche che, al momento dello scoppio
della Seconda Guerra Mondiale, nella sola città di Mosca erano un centinaio e furono spostate nelle
stazioni della metropolitana dove la popolazione viveva per difendersi dai bombardamenti tedeschi. Una
stanza con numerosi giochi è stata trovata nella villa medicea “La Petraia” di Castello alle porte di Firenze.
Alla fine degli anni ‘50 era già in funzione nei reparti pediatrici scandinavi come strumento di diagnosi e
terapia dei deficit infantili e nel 1967, Jill Norris, una madre inglese con due bimbi disabili, ebbe l’idea di
condividere i giocattoli con altre madri, sue amiche, che avevano figli nelle stesse condizioni, creando così
una dotazione consistente che tutti utilizzavano.
Nata come supporto ai disabili, si è affermata anche come un servizio, pensato appositamente per
l'infanzia, che può avere anche grandi spazi propositivi sia per gli adolescenti che per gli adulti.
Principalmente rivolto con attenzione ai bisogni degli utenti, fa del gioco lo strumento fondamentale per
una sana ed equilibrata crescita dell'individuo, dove “crescita” significa sentirsi arricchiti da scambi che
possono avvenire tramite oggetti ed individui. La sua funzione “educativa” è intesa in senso socratico, come
l’alimentazione di una fiamma e non il riempimento di un vaso.
La ludoteca è stata paragonata ad un altro servizio, ben radicato nella vita culturale, come la biblioteca. La
ludoteca, infatti, offrendo giocattoli in prestito, si pone “con la stessa dignità culturale ma con una propria
specificità, a fianco degli altri servizi culturali del territorio.”
“Finalmente si rendeva possibile riconsiderare i rapporti umani, in uno spazio protetto, attraverso la libera
fruizione.”
Si tratta di un ambiente “protetto” perché il bambino, per adattarsi alla realtà, può usare il gioco in piena
libertà, in uno spazio nel quale gli è possibile sperimentare le abilità individuali e gli aspetti relazionali;
giocando egli si allena ad affrontare i “pericoli” che i rapporti reali comportano, dove vi sono operatori
disponibili ad ascoltarlo, ad incoraggiarlo, a sostenerlo in questo suo impegno, attenti anche al variare delle
esigenze, a seconda delle varie fasce di età, in modo che un’ampia categoria di utenti possa usufruire di
questo servizio, adulti e persone con svantaggi compresi. È anche un centro d'incontro nel quale trovano
ampio spazio momenti di socializzazione e di comunicazione, dove sono possibili scambi tra età e
generazioni diverse, è un aiuto concreto per i genitori al fine di aiutarli a svolgere il loro insostituibile ruolo
di educatori, è anche un supporto per la scuola e per i Servizi Sociali del Comune e della ASL.
194
Il funzionamento di una ludoteca è basato su equilibri molto delicati ed è necessario un forte impegno sia
sul piano strutturale che gestionale: questo è facilmente comprensibile se si considera che deve dare
risposte individuali ad ogni utente. La struttura, l’organizzazione, la scelta dei giocattoli, delle attività
devono favorire il raggiungimento degli obbiettivi prefissati.
Poiché gli interventi vanno correlati agli individui che la frequentano e alla loro cultura, ogni struttura non
ha altri riferimenti che se stessa, non può essere clonata da altre ludoteche, perché la situazione nella quale
si colloca è unica e irripetibile e richiede una progettazione e una gestione originale.
Molto importante l’articolazione e la funzione degli spazi, che sono un valido supporto al gioco. Autorevoli
ricerche dimostrano che il gioco risulta più efficace se vi sono gli spazi idonei per svolgerlo. Ogni tipo di
gioco e di giocattolo richiede uno spazio adeguato, sia libero che appositamente attrezzato.
Vediamo adesso come si evolve il movimento nel mondo dove l’ITLA - Associazione Internazionale delle
Ludoteche sta lavorando da anni alla definizione di uno standard che eviti il fenomeno della proliferazione
incontrollata che affligge anche molti altri Paesi. La stesura definitiva verrà presentata alla prossima
conferenza internazionale che si terrà ad ottobre del 2011 a San Paolo del Brasile.
All’interno dell’ITLA, dal 1996, opera un Gruppo di Lavoro formato dalle ludoteche europee che, attraverso
incontri annuali, studia la loro diffusione nel nostro continente e sta cercando una definizione comune che
potrebbero essere ufficializzata dalla Comunità europea. È stato evidenziato che, in Europa, le ludoteche:
forniscono risorse per il gioco, compresi giocattoli, giochi, personale specializzato e spazi appositamente
destinati;
sono aperte a tutti: bambini, adulti, persone disabili, istituzioni e organizzazioni;
servono le persone senza limiti di razza, sesso, disabilità, religione, lingua o nazione di origine;
sono un servizio che fornisce agli utenti l’opportunità di condividere il gioco e/o il prestito di giochi e
giocattoli;
possono essere gestite da singoli, organizzazioni no-profit e amministrazioni locali, regionali, nazionali
e/o ogni altra agenzia o gruppo;
costituiscono una risorsa della comunità offrendo informazioni, guida e supporto ai membri, in aggiunta
al prestito di giochi e giocattoli.
Ma l’aspetto più importante che determina la qualità di una ludoteca, è la possibilità per il bambino di
scegliere in piena autonomia il tipo di gioco e lo strumento idoneo per giocare ed è fondamentale avere
un’ampia dotazione che consenta ogni risposta ai bisogni degli utenti. Solo fra una molteplicità di materiali
il bambino può individuare ciò che più attiene al proprio vissuto emotivo, al proprio mondo interiore, ai
suoi bisogni di crescita. Legata a questo è la sistemazione dei giochi e dei giocattoli sugli “scaffali” che
devono favorirne l’individuazione.
Data la sua importanza, il giocattolo non può essere lasciato completamente in mano all’industria che,
salvo eccezioni, lo tratta come un qualunque oggetto di consumo preoccupandosi poco dei bisogni del
195
bambino e quindi delle funzioni del giocattolo stesso. È necessario, come avviene per i media, abituare il
bambino a porsi in posizione critica seguendo le proprie emozioni e non le suggestioni della pubblicità. E la
varietà delle offerte e la libertà di scelta sono una buona palestra.
Inoltre riteniamo che il prestito del giocattolo sia indispensabile soprattutto perché si tratta di un’attività
che ne permette la de-contestualizzazione e dà continuità dell'esperienza ludica che può essere condivisa
anche con i propri familiari e i propri amici.
Comunque, fra i detrattori della ludoteca continua ad aver spazio una polemica che con la ludoteca è nata:
confinare il gioco in spazi ristretti. C’è chi si chiede se enfatizzare troppo le ludoteche non vada a discapito
dell'importanza che i luoghi pubblici, i parchi, le strade, le piazze, ricoprono come aree per l’attività ludica
spontanea e auto-organizzata.
A questo proposito, dobbiamo chiarire come la ludoteca non vuol essere sostitutiva di tali luoghi e di tali
pratiche, ma, piuttosto, integrativa e “partecipativa” relativamente a queste attività. La ludoteca non è
semplicemente un luogo fisico, uno spazio in cui si erogano alcuni servizi per il gioco, ma è anche uno
“spazio mentale” che, comunque, stimola la cultura del gioco, la partecipazione e la condivisione
dell'attività ludica senza limiti fisici, di tempo, di età, culturali, ecc.
Su questo punto vi sono stati interventi di eminenti pedagogisti e psicologi.
Al primo incontro sulle ludoteche in Italia, che fu organizzato dal CIL con il Seminario di studio che si tenne
nell’ottobre del 1985 presso la cooperativa “La Malerba” di Casamicciola sull’isola di Ischia, era presente
anche Walter Ferrarotti che ci indicò la necessità di “educare” il bambino ad avventurarsi nel mondo,
utilizzandolo come un giocattolo anche nella direzione dell’uso di materiali naturali per la costruzione di
oggetti ludici. Questa sua convinzione, oltre ad indicare l’importanza del gioco nella natura, credo possa
dirimere l’eterna diatriba fra gioco della tradizione popolare e gioco tecnologico. Ci dice Walter:
“Il sistema educativo istituzionalizzato ha purtroppo spesso ignorato il grande numero di conoscenze, di
competenze e di abilità psicomotorie che comportavano la costruzione degli innumerevoli giocattoli e
l’esecuzione dei molti giochi della tradizione popolare, come ne può dare testimonianza il numero
decrescente di anziani che l’hanno vissuta e i padiglioni di musei, come il Centro della cultura Ludica di
Torino, dove appaiono ormai come degli alieni. L’imitazione spontanea degli adulti non favoriva soltanto
l’apprendimento del linguaggio e delle regole di comportamento ma anche capacità operative e l’uso degli
strumenti, spesso chiamati in causa da un’attività lavorativa avviata molto precocemente. Sta di fatto che il
gioco era una scuola molto efficace anche perché più fortemente motivata di quanto non lo sia la scuola
vera e propria. La trasformazione più significativa del gioco è avvenuta negli ultimi cinquant’anni per
l’effetto combinato di condizioni di vita alienanti dal mondo fisico e sociale e dello sviluppo impressionante
dei sistemi e dei mezzi di comunicazione, per cui i bambini dei paesi industrializzati trascorrono la maggior
parte del loro tempo a ricevere messaggi, avendone pochissimo per fare esperienze dirette della realtà, che
permettono di interpretare correttamente i messaggi ricevuti. Infatti, in mancanza di informazioni derivanti
196
da un rapporto diretto con ciò che viene comunicato con parole e immagini, si ricorre per lo più ad altre
parole e immagini che richiamino il vissuto. In questo modo, tuttavia, l’informazione viene snaturata e
privata di tutti i suoi elementi di novità. Una conseguenza grave riguarda la crescente incapacità di
comprendere testi letterari e poetici oltre a quelli scientifici non sostenuti dall’osservazione e dalla
sperimentazione. La maggior parte degli studenti studia memorizzando formule verbali più o meno lunghe e
complesse da produrre a fronte di precise domande.
Stiamo assistendo ad una progressiva computerizzazione della mente che porta alla robotizzazione
dell’individuo.
Questo inquietante fenomeno ha le radici nel modo di vivere della maggior parte dei bambini che navigano
in un mondo di fantasia le cui immagini sono inventate dagli adulti e rappresentate minutamente con film e
cartoni animati, che sostituiscono sempre più la narrazione verbale che richiede al bambino ascoltatore di
immaginarsi un mondo inesistente o comunque una realtà che non ha mai incontrato e di cui quindi non
può servirsi per collocarvi le storie raccontate.
La realtà immaginata dal bambino non è un luogo indefinitamente esplorabile nella vita quotidiana e fonte
di inesauribili scoperte nel bene e nel male, ma una realtà virtuale in cui egli vive non stabilendo confini certi
con il mondo reale. Questo, per molti, si riduce ad una povera rete di luoghi (casa, scuola, campi sportivi,
discoteche, club e poco altro) dove si svolgono attività, anche trasgressive, prestabilite o previste. Molti
ignorano letteralmente l’esistenza di un mondo fisico in cui ci si può avventurare acquisendo nuove
conoscenze, esercitando le funzioni psicofisiche e mettendole continuamente alla prova.
L’unica fonte di informazioni e di conoscenza è il mondo dei media (e, un gradino sotto, la scuola). Così il
bambino non prende più spunto dal mondo per i suoi giochi; non gioca più con il mondo fisico e sociale, ma
con oggetti e con apparecchiature concepite apposta per il gioco. I videogiochi, sempre più diffusi, sono
evasione totale dalla realtà, promossa dalla società del libero mercato che sollecita anche gli adolescenti e
gli adulti a rifugiarsi nei giochi passatempo, seducendoli con la fantasia, l’impiego di un pensiero logico o
anche creativo, mobilitando le risorse dell’informatica.
Si potrà obiettare, a questo punto, che siamo di fronte a cambiamenti necessariamente indotti
dall’evoluzione tecnologica dell’umanità e che quindi anche il gioco non può fare a meno di risentirne, e che,
anzi, l’enfasi data alla dimensione della realtà dell’informatica consente al bambino di familiarizzare
precocemente con strumenti di lavoro ormai necessari alla vita quotidiana, come lo erano la falce e il
martello nella società agricola e industriale.
L’osservazione è almeno in parte discutibile, perché il bambino giocatore che riceveva, rielaborava e
trasmetteva la cultura popolare era libero, non riceveva suggerimenti diretti dall’adulto, che entrava nei
giochi solo in quanto modello di vita che il bambino assumeva spontaneamente. Il mondo fisico, che pure
veniva messo in gioco, segnava dei confini netti tra realtà e fantasia, ponendo problemi di responsabilità
nell’uso degli strumenti e negli effetti sulle cose dell’ambiente.
197
Ciò che più preoccupa oggi è la separazione netta fra mondo reale e mondo virtuale e la possibilità di
muoversi solo in quest’ultimo senza mai dover cercare un rapporto con il primo. Viene meno così un
interscambio fra i due mondi che può favorire negli spiriti creativi una grande libertà anche in situazioni
oppressive e difficili.
Il discorso fatto fin qui non deve essere interpretato come una polemica contro lo sviluppo tecnologico e
quanto ha portato anche in campo ludico, con il rimpianto dei tempi passati, ma una riflessione sugli aspetti
critici di tale sviluppo e la necessità di individuare le condizioni per trarne i maggiori benefici, perché se il
gioco dovesse esaurirsi nella dimensione virtuale si trasformerebbe in un formidabile rinforzo di un processo
di alienazione dal mondo fisico verso il quale invece ha sempre svolto una funzione di mediazione per il
bambino ancora insicuro e inesperto.
In tutti questi percorsi si può realizzare una fase intermedia (pur sempre ludica) in cui le operazioni si
compiono e si definiscono con l'ausilio di materiale cartaceo, che in molti casi resterà come giocattolo.
Nelle prospettive su accennate mondo (reale e virtuale) e gioco sono due realtà distinte, ciascuna con le
proprie leggi, che possono vivere momenti di totale separazione e isolamento, ma che sono comunque
fortemente attratte l'una dall'altra, perché lo spirito che da loro viene animato e nutrito ne avverte
l'originalità dei contributi e il bisogno di averli tutti per quell’equilibrio e quella pienezza di vita necessari
all'avventura umana.”
Troviamo un’eminente conferma di queste teorie anche in un’intervista che abbiamo fatto ad André
Michelet, proprio all’inaugurazione del Centro per la Cultura Ludica. Anche a lui, a Walter e a Dino Perego,
si deve la costituzione del ICCP (International Counsil for Children Play):
“D. André, qual è l’importanza di un Centro come questo?
R. Credo che sia molto, molto importante… Certe persone hanno preso l’abitudine di rinnegare i giocattoli
moderni e, al contrario, di vedere solo nei giocattoli antichi quelli veri. Credo che vi siano due aspetti ma che
sia impossibile scinderli. Viviamo in una società che ha una struttura tecnica, scientifica, logica ed è molto
utile, a parer mio, che il bambino ritrovi questa struttura attraverso i giocattoli moderni, tecnici, scientifici,
ma vi è una gerarchia da seguire e non li capirà se non farà anche delle esperienze più vicine alla natura, ai
materiali naturali. Per comprendere, direi per “sentire” i giocattoli tecnici della nostra epoca, bisogna che il
bambino abbia compreso e sentito i giocattoli creati dal suo ambiente, costruiti con le sue mani, giocattoli
che riflettano la vita quotidiana, la vita semplice che non conosciamo più nemmeno noi, ma che esiste
ancora dentro di noi ed è necessaria.
I nostri bambini, anche se non lo vogliamo, sono spesso frustrati. Un luogo come questo, che resta vivo, che
permette ai bambini non solo di vedere ma di toccare, di costruire personalmente, è un salvataggio, una di
quelle istituzioni che rendono viva, attuale, tutta una parte di giocattoli che abbiamo troppo presto
dimenticati.”
198
È comunque fondamentale che l’idea dell’importanza del gioco, e di conseguenza dei servizi correlati, abbia
la possibilità di espandersi. Può favorire lo sviluppo dei servizi ludici solo se viene accettata universalmente,
se diviene parte integrante della cultura di un popolo.
Di questo era profondamente convinto anche il prof. Andrea Canevaro. Al Seminario di Ischia, avevamo
suddiviso i lavori in tre gruppi di lavoro e proprio Canevaro, ribadendo l’importanza della ludoteca, aveva
proposto il primo sulla “Cultura del Gioco” e ne aveva indicate le motivazioni e le azioni.
“La società sta vivendo una crisi di valori e di rapporti, la violenza sta diventando stile di vita, l'impossibilità
a raggiungere degli obbiettivi che spesso non sono reali ma indotti, porta l'individuo ad operare talvolta
scelte personali distruttive. Tutto questo rende sempre più necessario ed urgente un cambiamento che
incida profondamente sui rapporti sia a livello interpersonale che nei confronti dell'ambiente.
Gli operatori delle ludoteche sono consapevoli dei valori insostituibili del gioco per lo sviluppo della
personalità umana e lo ritengono anche strumento di primaria importanza per avviare questo processo di
cambiamento, anche se riconoscono le difficoltà oggettive a far accettare una rivalutazione del gioco in una
società che ha volutamente creato una dicotomia fra gioco e lavoro, fra finzione e realtà, fra gratuità e
possesso, poggiando su quest'ultimo molti dei suoi valori e portando ad una segmentazione della società
stessa, ad una sterilità culturale, ad una distorta concezione dei rapporti con l'ambiente.
Si ritiene innanzitutto indispensabile un’attenta analisi per individuare le cause che hanno portato a questa
situazione, con l'obbiettivo di concordare le strategie e le azioni per un ribaltamento della tendenza.
È necessario anche un costante impegno di tutti gli operatori del settore per riportare il gioco a contenuto
culturale, a strumento di lavoro, a stile di vita. In questo contesto va posta particolare attenzione anche alle
tradizioni culturali disperse dall'emigrazione o soffocate da una internazionalizzazione del materiale ludico.
È infine necessaria una mobilitazione di tutte le forze coinvolgendo uomini di cultura e di scienza, genitori,
insegnanti, operatori di base, per una seria ed approfondita analisi tendente a dimostrare scientificamente:
come il gioco influisca sullo sviluppo armonico dell'individuo sotto tutti gli aspetti, dal fisico allo
psicologico, e sui rapporti interpersonali;
come la società si sia sviluppata ed evoluta anche attraverso tutta una serie di manifestazioni ludiche.
È necessario inoltre:
cercare tutti i possibili canali per una diffusione di massa di quanto emerso da studi e ricerche;
sensibilizzare gli amministratori pubblici;
dotare gli operatori di strumenti idonei per essere portatori e punti di riferimento di questa cultura
ludica.”
A questo proposito è noto che “GioNa - Associazione delle Città in Gioco” ha fatto proprio della città come
spazio ludico il suo cavallo di battaglia, esprimendone ispirazione e modalità nel suo “Manifesto”. Nelle
città le aree destinate al gioco sono sempre più ridotte e spesso inagibili. La creazione di spazi rivolti ai
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bambini e alle loro famiglie avrà effetti benefici anche sulla sicurezza e sulla qualità della vita in generale
nelle nostre città.
Canevaro, sempre nei suoi suggerimenti presentati al Seminario di Ischia, poneva l’accento sull’importanza
di un tessuto urbano fruibile che vedeva come un altro aspetto importantissimo nella vita del bambino:
“Poiché l'ambiente condiziona pesantemente le situazioni e le possibilità di gioco, si dovrà tendere ad una
valorizzazione del territorio con un’attenta ed illuminata progettazione e realizzazione dell'arredo urbano,
con particolare attenzione agli spazi valorizzandone tutti gli aspetti, anche antropologici e culturali, in modo
da creare possibilità ed occasioni di incontro soprattutto per l'infanzia e l'adolescenza.”
Il diritto al gioco è sancito dall’art. 31 della “Convenzione Internazionale dei Diritti del Fanciullo”, approvata
dall’Assemblea Generale dell’ONU il 20 novembre 1989; è stata sottoscritta da 193 Stati ed è entrata in
vigore il 2 settembre 1990. In Italia è stata tramutata nel d.l. 27 maggio 1991 n. 176 che sancisce il gioco
come un diritto del fanciullo. Per sostenerne l’importanza, l’ITLA, a partire dal 1999, ha lanciato la proposta
di una “Giornata mondiale del Gioco”, che attualmente si svolge in una cinquantina di Paesi, da tenersi alla
fine di maggio (data prevista il 28).
Per vigilare affinché questo diritto sia garantito, il nostro Centro ha invitato i genitori e tutte le persone
seriamente intenzionate a promuovere lo sviluppo sano ed equilibrato dei nostri piccoli, ad organizzare le
Ronde del Gioco.
Gruppi di cittadini pattuglieranno parchi, giardini e ogni altro spazio destinato ad attività ludiche, a vigilare
affinché niente e nessuno possa mettere in pericolo od ostacolare lo svolgimento di questa attività
fondamentale.
Provvederanno ad avvertire le autorità ogni qualvolta la possibilità di giocare, sempre nel rispetto delle
libertà altrui, venga gravemente lesa.
I cittadini che svolgeranno questo servizio in accordo con le autorità, potranno anche attivarsi affinché gli
Enti locali creino spazi opportunamente attrezzati ed idonei a svolgere un’ampia gamma di attività ludiche,
eventualmente illuminati per una fruizione nelle ore serali estive.
Potranno inoltre individuare e segnalare locali di proprietà pubblica, ma anche privata, dove sia possibile
allestire servizi dotati di giochi, giocattoli e personale opportunamente formato, creando ludoteche e centri
gioco.
La formazione
È noto che la chiave di volta della qualità di una ludoteca è costituita dalle competenze del personale che ci
lavora. Può essere la più bella, la più organizzata, la meglio dotata, tutte caratteristiche importanti, ma non
potrà svolgere al meglio la sua missione se i ludotecari non hanno le qualità per svolgere il loro compito. E
su questo, svolge un ruolo fondamentale la formazione. Si nota invece che molto spesso, gli investimenti in
questo settore sono quasi inesistenti.
200
Come detto la crescita di un essere umano è molto complessa e delicata e innumerevoli le prove che deve
superare in questo difficile cammino. Una buona ludoteca deve essere in grado di dare risposte concrete ai
bisogni di ogni bambino. Oltre la qualità dei materiali sono indispensabili le capacità dei ludotecari.
Un’indicazione importante ci viene data dalle “competenze di base” dell’ITLA e dalla “Charte de Qualité”
degli amici francesi. Si tratta di “qualità” che, pur senza le precise indicazioni dell’ALF, corrispondono a
quelle indicate dal CIL e promosse nei seminari e nei corsi di formazione che teniamo da venticinque anni.
Vi sono indicate le azioni che una ludoteca può svolgere e gli interventi formativi necessari per mettere i
ludotecari in condizione di svolgerli.
Ma quale formazione? John Dewey, del quale è noto il pensiero filosofico di un’educazione basata
sull'esperienza, ha detto, oltre un secolo fa: “Occorre sostituire l'antica “educazione aristocratica” che
insegnava a “parlare delle cose”, con una “educazione democratica” che insegni a farle”.
Il compito non è facile.
Abbiamo visto che in ludoteca non esistono, genericamente, i “bisogni dei bambini”, ma i bisogni di ciascun
bambino e per dare risposte concrete dobbiamo basarci sull'attitudine dell'operatore a svolgere il suo
compito. Egli deve avere competenze come l'osservazione e forti doti comunicative, ma soprattutto la
capacità di saper instaurare un rapporto empatico.
Il prof. Luigi De Marchi sostiene che l'empatia è una qualità fondamentale per chi lavora in questo settore;
il rapporto deve passare attraverso una mediazione empatica, attraverso la capacità dell'educatore di
entrare in consonanza con le emozioni del bambino, di evocarle.
Quello del ludotecario è un compito troppo importante e delicato per essere affidato a persone che non ne
hanno la capacità e in qualche misura anche la vocazione.
Dobbiamo anche sfatare un mito. Molti animatori ritengono più importante il gioco strutturato,
considerato come altamente educativo, su quello libero. A questo proposito abbiamo visto quanto è
emerso dalla ricerca sarda. Gli operatori ritengono il “gioco libero” come “sintomo di improvvisazione, di
mancanza di programmazione pedagogica…” mentre dovrebbero seguire la lungimiranza dei bambini che
vedono la ludoteca come “un luogo per giocare”.
In un articolo apparso all’inizio del 2009 sullo “Scientific American MIND, Febbraio/Marzo”98, una
giornalista di New York, Melinda Wenner Moyer, presentò numerose ricerche che confermano senza
ombra di dubbio come il gioco sia fondamentale per lo sviluppo dell’individuo ma, affinché abbia il massimo
dell’efficacia, deve essere scelto liberamente dal bambino, deve essere quello che gli scienziati definiscono
“gioco libero”.
98
http://www.sciam.com/article.cfm?id=the-serious-need-for-play.
201
In cinque lustri di esperienza formativa, abbiamo constatato che le persone che frequentano i corsi arrivano
già con le loro idee in merito, anche se non hanno mai visto una ludoteca e nei formatori cercano la
conferma delle loro idee, sono scarsamente aperti ad accettare altri punti di vista.
È necessario cambiare le convinzioni radicate per rendere le persone accessibili agli insegnamenti. Maria
Montessori ha detto: “Il primo passo per risolvere in totalità il problema dell'educazione non deve essere
fatto verso il bambino ma verso l'adulto educatore: chiarire la sua coscienza, spogliarlo di molti preconcetti,
cambiare i suoi atteggiamenti.”
Sempre il prof. Canevaro, nei punti da lui indicati per lo sviluppo della Cultura del Gioco, vedeva nei
ludotecari delle pedine fondamentali:
I ludotecari dovranno anche impegnarsi in un’attenta riflessione sull'importanza del proprio ruolo e sulla
serietà della propria professione.”
È necessario portarli a riflettere sulle competenze fondamentali di un educatore quali psicologia e
psicologia relazionale e sociale, pedagogia, pedagogia sociale e cultura ludica, sociologia e metodologia
della ricerca, le varie tipologie di ludoteca e la loro gestione, i materiali, i laboratori, la qualità, la sicurezza e
l’igiene dell’ambiente, l’informatica.
L’idea geniale di una madre inglese, ci ha fornito uno strumento eccezionale. Non sprechiamo questa
occasione.
Considerazioni per non concludere
Livia Papi
Parecchie sono tuttavia le esperienze raccolte che dimostrano come talvolta gli ostacoli possono essere
aggirati e possono emergere opportunità da cogliere e situazioni da sfruttare.
Al proposito si suggerisce di sfogliare la tabella di informazioni raccolte dai presenti, con i loro contributi e
riferimenti: si avrà così la possibilità di raccordarsi per approfondire le situazioni di interesse e coglierne
spunto.
In generale possiamo riassumere i seguenti stimoli:
continuare a promuovere la cultura del gioco attraverso ricerche, pubblicazioni ed eventi
raccogliere e riutilizzare le buone prassi attraverso reti di contatti, anche informatiche, e con strumenti
diversi farle conoscere e circolare
richiedere leggi specifiche e pretendere la coerenza e l’applicazione delle normative (es. Carta dei diritti
del Bambino, rispetto della sicurezza secondo logiche utili ma non limitanti, progettazioni e realizzazioni
edili aderenti alle esigenze degli utenti, ecc.)
202
sostenere il ‘diritto al gioco’ anche attraverso l’eliminazione dei divieti di gioco nei cortili condominiali, la
pulizia delle aree pubbliche, la disponibilità al pubblico di giardini presso plessi scolastici o sportivi, ecc.
(vedere esperienza San Giorgio Cremano)
creare sinergie (co-progettazione, co-produzione, controllo) sollecitando anche collaborazioni
eterogenee (pubblico, privato, volontariato, utenti e genitori) e contaminazioni (gioco, sport, cultura,
turismo, arte) (es. Palermo)
la collaborazione pubblico e privato è una ‘conditio sine qua non’ in molte realtà: il pubblico ha la
capacità politica e di investimento, il privato ha sovente maggiore versatilità, agilità e motivazione. È
necessario però che queste partnership abbiano il tempo di svilupparsi e consolidarsi nel tempo per dare
risultati adeguati e stabili, anche attraverso collaborazioni più durature e garantite di quanto non
avvenga in media
è utile ridimensionare le aspettative, ma senza adagiarsi: ingegnarsi per trovare soluzioni, meglio se di
gruppo e non in autonomia (coinvolgendo anche gli utenti in progettazioni partecipate, es. Reggio
Calabria) e continuare a pretendere una giusta dimensione dell’attenzione e degli investimenti su questi
temi
tra divertimento come ‘oggetto di mercato’ e quello con ‘funzione sociale e culturale’ è forse possibile
trovare convergenze, studiando meglio i principi che li governano e confrontando i punti di vista di
ambiti di gioco diversi.
Per proseguire lanciamo alcune proposte che ci auspichiamo possano essere utili:
obiettivo strumenti per aumentare la consapevolezza sociale, culturale, psicologica sul valore del gioco per l’essere umano, e quindi dei servizi/luoghi per il gioco
- dare maggiore visibilità ai luoghi e servizi di gioco con giornate aperte, disponibilità degli spazi per riunioni e convegni, ‘vetrina’ con testi, foto, filmati su siti internet e blog, evidenza nelle mappe della città (come per impianti sportivi, di culto ecc)
- assicurare che i risultati di ricerche e studi siano facilmente fruibili e fatti circolare tra tutti i soggetti che possono avere necessità di affinare le proprie conoscenze e coscienza del valore del gioco
- lavorare ad un bilancio sociale sul gioco, che evidenzi in termini di costi e benefici i valori economici investiti in luoghi e servizi ludici v. quelli spesi in assistenza, gestione del disagio sociale, ecc.
- operare per ridurre le barriere nelle normative degli enti locali che impediscono di dare valore al gioco come strumento di crescita per l’essere umano, nei normali spazi di vita dei bambini,
per interpretare il gioco come fattore di coesione sociale e di appartenenza
- sviluppare ulteriormente i contatti tra i luoghi di gioco producendo mappe ipertestuali su siti, sviluppando e collegando le reti e i network esistenti, condividendo le informazioni raccolte a diverso titolo dai vari enti che hanno avuto occasione di censire realtà sul territorio nazionale
203
- promuovere lo sviluppo di progetti integrati, usando metodologie ludiche nella scuola, nei servizi sociali, per promuovere il turismo, la partecipazione civile, ecc.
per concepire l’attenzione e la cura nei servizi per il gioco come fattore di crescita per tutta la comunità
- far leva sulle esperienze di giochi proposti in corsi aziendali (management, negoziazione dei conflitti, ecc), tipicamente a pagamento, per sottolineare l’importanza dell’investimento sul gioco infantile
- operare per ridurre le disuguaglianze nell’accesso alla possibilità di gioco
- aumentare la coscienza del diritto al gioco in tutte le età della vita dell’uomo, onde evitare dannose riduzioni al gioco come diritto/bene esclusivo dell’infanzia
- analogamente, diffondere con maggiore enfasi ricerche sulle pericolose conseguenze del gioco d’azzardo e compulsivo, creando pressione sociale per contrastarne la diffusione e l’approvazione dello Stato
per promuovere il gioco come fattore di costruzione del futuro della società
- ampliare le collaborazioni tra soggetti diversi, non finalizzate a terziarizzare i servizi ma a garantire maggiore diversificazione dell’offerta uscendo dalla logica puramente assistenzialistica per abbracciare una logica di tipo promozionale, come la stessa Convenzione per i diritti dell’infanzia propone
- individuare criteri di valutazione e modalità di controllo dell’uso dei luoghi e della gestione dei servizi ludici che mettano in evidenza il valore aggiunto generato per la società, da includere nei bandi di finanziamento
- evidenziare con studi, ricerche, pubblicazioni, il valore del gioco come strumento educativo sociale su temi caldi quali l’integrazione sociale, la partecipazione attiva, l’apprendimento delle regole, l’impegno per il raggiungimento di obiettivi, la lotta allo stress.
Una comunità dove si gioca poco ha un futuro più grigio di quello di una comunità in cui le persone giocano,
e prevenire è meglio che curare: dunque investire in luoghi e servizi di gioco è un “dovere” e non un
“optional”.
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204
Capitolo 8
Gioco, scuola ed extrascuola
Il tema: Nella complessa dimensione educativa e didattica, come può il gioco entrare nei programmi
curriculari della scuola, se nei fatti non può occupare tempi e spazi neppure per l’intervallo? La dimensione
ludica esiste, o può ancora esistere, nella scuola delle multi-competenze?
Coordinamento a cura di: Beniamino Sidoti, Rosanna Clinco
Contributi di: Olivia Modica (Servizi educativi della città di Santa Margherita Ligure), Bracci Martina
(Cooperativa Gioco le nuvole - Siena), Patrizia Di Lorenzo (scuola primaria don Murialdo - Torino), Caterina
Di Chio (scuola primaria dell’istituto comprensivo King - Grugliasco TO)
Riflessioni e lavoro di gruppo
Beniamino Sidoti, Rosanna Clinco
Nella complessa dimensione educativo-didattica, come può il gioco entrare nei programmi curricolari della
scuola, se nei fatti non può occupare tempi e spazi neppure per l’intervallo? La dimensione ludica esiste o
può ancora esistere nella scuola delle multi-competenze?
I rapporti tra gioco e didattica sono antichi, ben più antichi della stessa invenzione della scuola. Avremmo
così potuto parlare di giochi educativi o di gioco didattico: ma sarebbe stato un po’ troppo oggettivante. Il
convegno, in fin dei conti, chiede “chi” ha rubato la marmellata, cioè mette al centro un soggetto. E allora
abbiamo voluto cercare modalità di condivisione e di porre le domande che tenessero i soggetti, cioè noi
stessi, tutti noi, al centro.
Partiamo da noi, allora: cioè dai due conduttori, Rosanna e Beniamino.
Chi ha rubato la marmellata?
Rosanna: mi sono chiesta: ma la marmellata, a scuola, è stata mai davvero assaporata, gustata? Se
provo ad accantonare la metafora e ritorno indietro con i ricordi fino ai miei anni di scuola, ripenso al
mattoncino Zuegg, a quella deliziosa cotognatina che non si spalmava sul pane ma si addentava, a
merenda, in refettorio. Lì, come del resto in classe, il gioco era proibito, ma con le dita appiccicaticce e
qualche pezzettino di carta veniva benissimo giocare di nascosto a Gigino e Gigetto. Per la mia generazione,
così come per quelle precedenti, il gioco a scuola è sempre stato furtivo, nascosto, rubato. Penso ai tanti
giochi da banco: conficcato il pennino nel legno lo usavamo come catapulta per lanciarci palline di carta
205
(quando la maestra ci voltava le spalle per scrivere alla lavagna), ma a volte era un elastico sottratto alla
biancheria della mamma che suppliva alla bisogna. Come dimenticare i classici giochi di carta e matita fatti
con il compagno di banco, nascosti dietro al sussidiario che fingevamo di leggere con attenzione... Gli
esempi potrebbero continuare e certamente ognuno ne avrebbe altri da raccontare! I giochi di movimento,
normalmente banditi (non si corre in corridoio!), venivano nobilitati dall’ora di ginnastica, nel nome di una
sana attività fisica, e quando si andava in cortile voleva dire che l’anno scolastico era ormai al termine,
prima non c’era tempo da perdere, bisognava stare in classe a studiare.
Fuori dalla scuola eravamo più fortunati, a differenza di oggi le occasioni di gioco, anche nelle città, erano
numerose: strade, piazze, cortili, giardinetti pubblici potevano essere “occupati” dai nostri giochi, senza
troppi pericoli.
Beniamino: dal punto di vista scolastico io ho avuto due vite, la doppia vita di chi ha traslocato da
una scuola a un’altra, capendo nel giro di pochi mesi che cosa significava la rivoluzione pedagogica in atto in
molte parti d’Italia. La scuola in cui sono arrivato prevedeva la marmellata: che erano giochi da fare anche
in classe, modi centrati sulla persona per arrivare alla conoscenza, pratiche condivise, ricerca-azione,
scritture libere… a ripensarci, venivo da una scuola centrata sulla “martellata”, in cui il modello pedagogico
era quello dello scultore che formava il bambino con agili tocchi del proprio strumento. Qualcuno, dunque,
a un certo punto, mi ha rubato la martellata, e mi ha tolto il pregio del maestro unico, dandomi non solo
due ottimi insegnanti ma anche una classe che agiva insieme.
E contemporaneamente, esisteva anche il fuori della scuola, dove la dimensione collettiva ancora resisteva,
in piccoli gruppi, per così dire.
Il gioco c’era anche nelle ludoteche, che esistevano ed erano viste come un’invenzione importante,
riconosciuta, e c’era nella diffusione di giochi da tavolo, di ruolo, che crescevano con me. Esisteva una
pluralità: davvero unica.
Rosanna: da allora molte cose sono cambiate, la scuola è cambiata, l’attenzione ai bisogni reali dei
bambini è cambiata, il gioco non è più un fuorilegge ma, occorre dirlo, è ancora molto “regolamentato”.
È certamente realistico sostenere che nella scuola di oggi si giochi poco, troppo poco in rapporto ai desideri
dei bambini e delle bambine. Nonostante secoli di ricerche e fiumi di inchiostro spesi a favore
dell’importanza fondamentale del gioco nello sviluppo infantile, nei luoghi dell’educazione spesso ancora
viene negato nella pratica. Il mondo degli adulti (famiglia, scuola, media, città) sempre di più tende ad
invadere, controllare, gestire o negare gli spazi e le occasioni ludiche dei bambini e delle bambine.
Oggi il tempo di gioco viene ritagliato, conquistato, quasi sottratto alle molte altre occupazioni che sempre
di più assorbono i bambini e i ragazzi: l’uso incontrollato e spesso eccessivo della TV e dei personal-media,
le dosi massicce di compiti a casa e tutta quella serie di attività extrascolastiche (lingue, sport, musica,
informatica ecc.) che si pensa possano “attrezzare” in modo adeguato le future generazioni ad affrontare
un domani che si prospetta sempre più incerto e difficile. È facile così osservarli cercare di riprendersi il
206
proprio tempo per il gioco, approfittando di qualsiasi occasione possibile: al mattino prima di andare a
scuola, in auto, al supermercato, al momento di lavarsi, a tavola, e, naturalmente, a scuola... e molto spesso
accanto a loro c’è un adulto che li incita a non perdere tempo giocando, a testimoniare un diverso modo di
vivere il rapporto tra tempo di vita e gioco. Possiamo quindi affermare, senza timore di esagerare, che è in
atto una progressiva deprivazione ludica del mondo dell’infanzia che non si consuma esclusivamente in
ambito scolastico.
Beniamino: quello che manca è anche il gruppo, la possibilità di crescere insieme ad altri. Mancano
gli spazi per il gruppo, manca a volte anche a scuola la possibilità di fare “lavoro di gruppo”. Mancano le
premesse culturali.
E, certo, a scuola il gioco è a volte una sopravvivenza tutelata, altre un qualcosa di contrattato e
regolamentato. Soprattutto, non è fatto condiviso pensare al gioco come a qualcosa dentro cui si cresce, si
impara, si scopre.
Rosanna: nella scuola il gioco, quando c’è, continua ad avere una connotazione ambigua: non ha la
stessa dignità di altre attività nobilitate dall’apprendimento, molto spesso gli adulti si limitano a tollerarlo
come qualcosa di inevitabile, disinteressandosene ed attendendo che termini per riportare i piccoli verso
attività più intellettuali. A scuola, ma anche in famiglia, si avverte il bisogno di sistematizzare il gioco
infantile, di organizzarlo e di dirigerlo in modo da dargli ciò che noi adulti consideriamo uno scopo, una
finalità facilmente riconoscibile ed un riscontro immediato. Ma “Il gioco pensato come mezzo attraverso il
quale l’ambiente viene sperimentato e conosciuto, come strumento di apprendimento attraverso il ‘fare’
con le cose e l’interagire con le persone, è il luogo di esercizio di una pedagogia invisibile in quanto i suoi
risultati in termini di abilità e competenze acquisite, le sue strategie come i suoi contenuti non sono
controllabili immediatamente”99.
Beniamino: rivendichiamo, almeno tra di noi, il gioco come metodo! Contrapponiamolo al gioco
come “attività”! C’è un’idea strana, perdente, per cui le cose da insegnare vanno trasmesse, e il bambino
avrebbe paura di questa trasmissione. Il gioco è uno dei tanti modi per nascondere quella siringa
pedagogica con cui qualcuno inocula il sapere.
Rosanna: detto più seriamente, nella quotidianità il gioco entra a scuola principalmente con lo scopo di
trasmettere dei contenuti. E gli si chiede solo di essere “leggero”, giocoso appunto, strategia antica, del
resto. Piegando il gioco in maniera funzionale ai fini dell’apprendimento occorrerebbe però aver chiaro che
si sta dando vita ad attività ludiformi che, pur avendo finalità didattiche, vengono proposte e accolte dai
bambini come se fossero un gioco, e pur conservando gli stessi tratti di lievità, interesse, stimolo, perdono
alcuni dei caratteri principali del gioco, che si connota come attività libera, gratuita e fine a se stessa.
Questo nella migliore delle ipotesi; quando poi la scuola primaria persegue ancora il modello nozionistico,
99
Bondioli A. (a cura di), Il buffone e il re. Il gioco del bambino e il sapere dell’adulto, La Nuova Italia, Scandicci, 1989
207
enciclopedico, trasmissivo della cultura, il ruolo del gioco è spesso limitato al compito di disintossicare lo
stress mentale prodotto dall’istruzione ufficiale, divenendo quasi un “premio” elargito in cambio del
massimo impegno dimostrato dagli allievi, se non semplice “valvola di sfogo”, per compensare le tensioni e
l’immobilità delle lunghe ore trascorse in classe.
La difficoltà di attribuire al gioco il primato che meriterebbe si riscontra perfino a partire dall’asilo nido
dove si registra la tendenza ad offrire attività guidate e strutturate piuttosto che “costruire” ambienti che
favoriscano il gioco libero. Dati altrettanto allarmanti parlano di gioco in via di estinzione nella scuola per
l’infanzia e di intervallo negato o asfittico nella scuola primaria.
Questo scenario che ci parla di bambini sempre più deludicizzati è, per fortuna, rischiarato dalle molte
buone pratiche che vengono condotte anche grazie all’interazione di soggetti e di servizi diversi, e che
consentono al gioco di permanere o entrare a viva forza nei luoghi deputati all’educazione (e c’è perfino chi
comincia a parlare di “resistenza ludica”!).
Un’indicazione utile ci arriva da Franco Frabboni che nel suo Giocare a scuola. Illusione o progetto
educativo? così argomenta: “Le sette motivazioni/bisogni autentici dell’infanzia (la comunicazione, la
socializzazione, il movimento, l’autonomia, la costruzione, l’esplorazione, la fantasia: che possiamo
sintetizzare nel dire, fare, pensare, sognare) ritrovano - a contatto con i linguaggi del gioco - l’occasione
irripetibile per espandere ed esaltare le loro virtuali potenzialità educative”100.
Quindi il gioco, nelle sue svariate forme, è in grado di soddisfare tutti e sette i bisogni autentici dell’infanzia.
Se dunque la scuola, la città, i media, la famiglia riuscissero ad ancorarsi a queste sette motivazioni/bisogni,
colorandole di gioco, si potrebbe produrre un’inversione di tendenza significativa?
Ma è sempre lo stesso autore ad offrire un ulteriore spunto di riflessione chiedendosi e chiedendoci: “...ma
la scuola è pronta a far entrare l’alfabeto ludico con i suoi canoni semiologici e semantici, le sue
grammatiche e le sue sintassi, il suo gusto per l’imprevisto e per l’avventura, la sua voglia di emozioni, di
imprevedibile, di comico, di “non-sense”?101
La scuola è in grado di appropriarsi del gioco, riconoscendone il primato ed utilizzandolo come strumento
essenziale?
Lavoro di gruppo
Il gruppo era numeroso e piuttosto eterogeneo (dieci insegnanti di ordini di scuole diverse, quattordici tra
educatrici ed educatori, molti di loro in servizio presso Ludoteche, tre ludotecarie, tre insegnanti di Gruppo
Gioco in Ospedale, un sociologo, una pedagogista responsabile dei Servizi educativi, un disegnatore di
giochi, un genitore, un burattinaio, uno studente, una pensionata, un operatore sociale, una animatrice,
una referente settore ludico/ludobus, due referenti UISP, un amministratore di cooperativa sociale).
100
Frabboni F., (a cura di), Giocare a scuola. Illusione o progetto educativo?, Mario Adda Editore, Bari, 1995. 101
Ibid.
208
Nella conduzione del gruppo, considerato il poco tempo a disposizione, si è scelto di non lasciare spazio ad
un giro completo di presentazioni individuali, chiedendo ai partecipanti di dire il proprio nome durante
l’eventuale intervento.
Con tutto il portato di ansie, bisogni, domande. E nel nostro gruppo di lavoro i soggetti erano anzitutto
quelli presenti: prima ancora che di modelli e sistemi abbiamo chiesto di formulare per iscritto una
domanda intorno al tema gioco, scuola ed extrascuola, la più urgente o importante, riferita all’esperienza
personale.
Le domande sono state davvero numerose e tutte interessanti; le abbiamo raggruppate, suddivise per temi
poi discussi e sintetizzati in una serie di parole chiave, le riportiamo tutte di seguito.
La lettura delle domande si è alternata ad interventi e considerazioni dei partecipanti e ad indicazioni circa
le possibili risposte, soluzioni, strategie, modalità e proposte utili alla risoluzione delle tante problematiche
affrontate. Il dibattito è stato di conseguenza molto fluido ed articolato, e ha consentito una larga
partecipazione dei convenuti.
Un primo gruppo di domande ha riguardato una variabile fondamentale, il discorso del TEMPO:
- come conciliare le attività di gioco con le esigenze poste dal contesto scolastico, tempi, spazi, programmi?
- Come individuare spazi e tempi all’interno delle aule scolastiche per offrire ai bambini in età scolare
occasioni libere di gioco?
- Nell’ambito extrascolastico quanto è giusto cercare di strutturare ogni momento con il gioco e quanto è
necessario lasciare libero questo spazio?
- Tempo del gioco nella nuova organizzazione scolastica, come? Contrazione dell’organico e tempi ristretti.
Ciò che è emerso rispetto a questo tema è che si può parlare, nella scuola, di due tipi di tempo: un tempo
quotidiano, quindi un tempo all’interno dell’organizzazione della giornata e un tempo contato secondo il
discorso del programma. Una delle metafore con cui la nuova scuola sta andando avanti non è più quella
della scuola-azienda ma è quella della scuola-macchina che deve andare avanti, l’importante è non
fermarsi. In questo senso il gioco può essere considerato come una perdita di tempo, ma il gioco è per sua
natura stessa una perdita di tempo, ed essendo improduttivo non permette di essere quantificato e quindi
non è funzionale al discorso scolastico che è strutturato per obiettivi.
Quindi la domanda successiva è stata :
- è possibile rendere il gioco produttivo?
Una delle modalità possibili, indicata da Beniamino Sidoti, consiste nel difendere il gioco accompagnandolo
con dei momenti di accoglienza e dei momenti di dopo-gioco. Accompagnare la riflessione su ciò che si è
fatto permette di rispettare il gioco e di accompagnare l’uscita dal gioco per farlo dialogare con il resto
dell’attività scolastica, cioè renderlo produttivo. Questa non è una risposta strategica, ma una risposta
tattica, perché sostanzialmente non si risolve il problema dell’uso del gioco in maniera sistematica ma si fa
capire, attraverso una pratica ripetuta, che riflettendo su ciò che si è fatto qualcosa rimane.
209
Questo però non risolve la domanda più generale:
- come si fa ad andare avanti con il programma? E quindi, come si può fare a programmare il gioco?
Diversi interventi hanno riportato l’attenzione sui tempi contratti che la scuola si trova a gestire nella nuova
organizzazione con conseguente riduzione dell’intervallo e imposizione di giocare “a comando”
dell’insegnante.
Nascono gli interrogativi:
- come fare per difendere un tempo, uno spazio di gioco libero?
- È possibile trovare all’interno della scuola uno spazio dove i ragazzi possano essere liberi di giocare? Il
gioco cosiddetto libero è sempre positivo?
- Nel momento in cui difendiamo un gioco libero, quali sono le condizioni per essere sicuri che quel gioco sia
libero, come facciamo a difendere la libertà del gioco?
Il gruppo si è interrogato a lungo sulla contrapposizione gioco libero/gioco strutturato, sono stati citati
diversi esempi di interazione con la scuola (dall’asilo nido alla scuola media) da parte di cooperative sociali,
dei referenti della UISP, da chi lavora in ludoteca. In linea di massima è stata sottolineata la difficoltà di “far
passare” progetti che si connotino principalmente come attività di gioco ma occorre che siano finalizzate ad
una qualche forma di apprendimento. Anche l’attività ludico-motoria proposta dalla UISP non è più
accettata come un tempo, oggi nelle scuole si praticano tutti gli sport, anche quelli meno adatti allo
sviluppo armonioso del bambino. Beniamino Sidoti ha rilanciato la riflessione: “noi tutti qui presenti
abbiamo in mente una scuola come qualcosa che ha a che fare con individui presenti in carne e ossa, con
delle loro esigenze e invece spesso la scuola viene trasformata, in maniera aziendalistica, in qualcosa che
deve formare qualcosa che verrà. C’è forse un problema di percezione diversa fra chi deve lavorare nel
presente e chi invece si pone un obiettivo che serve a costruire un futuro, che però non è un futuro
dell’individuo ma è, in qualche maniera, l’esecuzione di quel programma che sta andando avanti”.
L’insegnante di Torino Caterina Di Chio e la pedagogista di Santa Margherita Ligure Olivia Modica hanno
evidenziato la possibilità di utilizzare il gioco all’interno della scuola in maniera strutturata, sistematica e
costruttiva, vale a dire, senza necessariamente ricorrere all’inganno - ti faccio fare una cosa con l’intento di
farne un’altra senza nemmeno esplicitarlo ma ricorrendo al trucco del gioco - ma come occasione,
opportunità per offrire determinati contenuti attraverso una modalità ludica.
Dalla rappresentante di una cooperativa che opera all’interno di una ludoteca di Reggio Emilia, Eleonora
Fiaccadori, è arrivata una testimonianza in merito ad attività proposte alle scuole in assoluta continuità con
la programmazione: se ad esempio la classe sta studiando gli Egizi, la ludoteca propone attività sulla
scrittura, se si studiano le scienze saranno giochi scientifici e via dicendo...
Su questo argomento Beniamino Sidoti ha sottolineato che, rispetto a quello che è il gioco libero nel
rapporto con il gioco strutturato, il gioco strutturato è normalmente benvenuto nella programmazione
scolastica e può essere un’occasione per generare gioco libero e spontaneo. È lo stesso Sidoti a chiedersi
210
perché, nonostante il gioco sia ritenuto da tutti gli educatori fondamentale per la crescita del bambino,
quando si propongono percorsi di gioco agli insegnanti non vengano presi in considerazione.
- Come si fa a far capire anche agli altri educatori che il gioco, inteso come relazionarsi con i bambini, è
importante?
- Cosa può fare il gioco per la scuola ma soprattutto cosa può fare la scuola per il gioco?
- Potrebbe essere uno strumento per il recupero della dignità dell’attività ludica fine a se stessa?
Queste domande portano alla parola chiave RICONOSCIMENTO. Il suggerimento di Beniamino Sidoti, in
questo caso, è stato quello di creare reti, offrire la possibilità di mettersi in contatto con altre persone che
riescano, nel loro contesto, a promuovere iniziative, attività, esperienze. La rete per favorire il più possibile
lo scambio di esperienze, di successi, ma anche di fallimenti, non soltanto per sentirsi dentro ad una
situazione di auto-aiuto, ma anche perché possano nascere altre cose. Riconoscersi per far sì che il gioco
non decada culturalmente, ma anche per suggerirsi strategie efficaci per far sì che venga riconosciuto come
pratica educativa (e come libertà fondamentale), e con esso il nostro ruolo e la nostra professionalità.
- È giusto usare la parola gioco per altre attività scolastiche anche se rese divertenti?
Risposta unanime: NO.
- Non sarebbe opportuno che la scuola si rendesse tramite per un avvicinamento delle famiglie al gioco?
Risposta unanime: SÌ.
- È opportuno chiarire i limiti tra didattica giocosa e gioco?
Su questo argomento, piuttosto complesso, il gruppo ha messo una sospensione.
- Il gioco, in qualunque modo venga vissuto, è una risorsa; perché si gioca così poco proprio in quei luoghi
dove maggiormente lo si dovrebbe promuovere? Quanto ciò è limitato dalla paura dell’adulto di mettersi in
gioco?
- Perché è così difficile coinvolgere gli insegnanti nelle attività di gioco proposte? Quale potrebbe essere un
buon modo? Può cambiare il riconoscimento dell’insegnante nella scuola primaria nel momento in cui si
diventa compagni di gioco dei propri alunni? Ma gli insegnanti giocano?
- Quanto può l’adulto regolamentare il gioco proponendolo, regolandolo e quanto deve limitarsi ad
osservare, entrare ed essere propositivo nel gioco spontaneo? Come ci si può porre nel confronto del gioco
dei bambini senza creare illecite interferenze?
Nuovo gruppo di domande che hanno condotto a un altro tema chiave, METTERSI IN GIOCO. Quando e
come? Molti degli interventi hanno riportato esperienze personali positive: nel mettersi in gioco con i
bambini migliora la relazione, le regole vengono acquisite più facilmente, l’adulto è portato a
“comprendere” meglio i bambini, il clima è partecipativo, tutti si divertono di più, ecc.
Beniamino Sidoti ha sostenuto che non bisogna mettersi in gioco ad ogni costo né che non bisogna farlo
assolutamente, ci sarà un momento per fare una cosa e un momento per farne un’altra, è comunque bene
interrogarsi su questo perché non lo si fa mai. Se però si volesse trovare un discrimine fra l’intervento o
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meno dell’adulto nel gioco libero, potrebbe essere che se in quel momento sta giocando anche lui allora
non sarebbe violata la cornice del gioco, se invece intervenisse in un gioco libero per sanzionare,
organizzare o fare, probabilmente finirebbe per cancellare ciò che avveniva prima. In alcune occasioni può
essere giusto, perché magari vogliamo sanzionare un gioco in quel momento, ad esempio non vogliamo che
si giochi al game boy durante la ricreazione perché pensiamo non abbia valenze educative in ambito
scolastico, dato che è un gioco individuale e noi stiamo promuovendo un discorso di gruppo.. Ciò che è
cambiato nel gioco è che è venuta a mancare quella che era la catena di trasmissione orale dei giochi e
questa catena è stata sostituita dal tam tam del gioco commerciale. In ogni caso, per mettersi in gioco
bisognerà prima aver abitato il gioco: e questa è una condizione essenziale che merita più riflessioni.
Una buona domanda quindi è:
ma quando lanciate un gioco, giocate?
Come facciamo a capire che cosa abbiamo fatto, che cosa stiamo facendo? Quali sono le buone domande
che dovremmo farci alla fine? Come stavamo giocando noi?
Osservare, registrare le osservazioni e giocare con i bambini in contemporanea, come?
Queste domande hanno condotto ad altre parole chiave: OSSERVAZIONE, PARTECIPAZIONE e RUOLO.
Si è proposto di compiere un passo successivo: cercare di pubblicare sulle riviste specialistiche, poiché è
importante mandare avanti e far crescere la rete di cui si è parlato precedentemente. Questo può essere
utile per motivare alla partecipazione i colleghi perché spesso, nel mondo della scuola, il riconoscimento
esterno conta di più del riconoscimento interno.
In merito alla definizione del ruolo: a volte gli adulti non vogliono mettersi in gioco perché hanno paura di
perdere in autorità, non in autorevolezza, proprio in autorità, probabilmente anche a causa di un’ambiguità
sul ruolo dell’insegnante o dell’educatore e dell’educatrice. Il problema del ruolo esiste ma è anche vero
che l’adulto può essere compagno di gioco durante il gioco e smettere di esserlo subito dopo.
- Come ovviare alla noia che contraddistingue l’atteggiamento dei bambini nei confronti delle proposte
fatte?
Il tema della NOIA ha interessato i teorici del gioco che ancora oggi ne parlano, fa parte delle buone
domande che possiamo farci. Non ha una buona risposta ma è sempre una buona domanda, che riguarda
ogni esperienza singola, ogni contesto, ogni individuo.
- Quali giochi o esperienze sono più opportune per agganciare gli insegnanti?
Potrebbe essere interessante provare a valorizzare quelle esperienze che ci permettono di essere più
rapidi, più efficaci nel fare quello che gli stessi insegnanti cercano di fare con strumenti più tradizionali, un
esempio per tutti: le coordinate cartesiane le abbiamo imparate sottobanco assai più rapidamente con la
battaglia navale. Gli insegnanti rimangono agganciati, probabilmente, dal fatto che quel gioco è servito per
capire qualcosa, che non significa che quel gioco sia stato usato per apprendere, ma che è servito per capire
una certa cosa che gli insegnanti sanno essere difficile.
212
L’ultima domanda letta:
- la scuola non dovrebbe essere un gioco?
A rispondere sono state alcune insegnanti di scuola primaria di Torino con una poesia di Jacques Prévert dal
titolo
Compito in classe
Due e due quattro
quattro e quattro otto
otto e otto fanno sedici...
Ripetete! Dice il maestro
Due e due quattro
quattro e quattro otto
otto e otto fanno sedici...
ma ecco l’uccello-lira
che passa nel cielo
il bambino lo vede
il bambino l’ascolta
il bambino lo chiama:
Salvami
gioca con me
uccello!
Allora l’uccello discende
e gioca con il bambino
Due e due quattro
Ripetete! Dice il maestro
e gioca il bambino
e l’uccello gioca con lui...
Quattro e quattro otto
e otto e otto fan sedici
e sedici e sedici che fanno?
Niente fanno sedici e sedici
e soprattutto non fanno trentadue
in ogni modo
se ne vanno.
E il bambino ha nascosto l’uccello
nel suo banco
e tutti i bambini
ascoltano la sua canzone
e tutti i bambini
ascoltano la musica
e otto e otto a loro volta se ne vanno
e quattro e quattro e due e due
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a loro volta abbandonano il campo
e uno e uno non fanno né uno né due
uno a uno egualmente se ne vanno
E gioca l’uccello-lira
e il bambino canta
e il professore grida:
Quando finirete di fare i pagliacci!
Ma tutti gli altri bambini
ascoltano la musica
e i muri della classe
tranquillamente crollano.
E i vetri diventano sabbia
l’inchiostro ritorna acqua
i banchi ritornano alberi
il gesso ridiventa scoglio
la penna ridiventa uccello.
Una copia della poesia è stata regalata a ogni partecipante.
Nell’ultima parte dell’incontro è stato chiesto di dedicare dieci minuti per scrivere, a partire dalla scelta di
una delle parole chiave individuate e che sarà poi usata come titolo, non una definizione né un’altra
domanda, ma il racconto di un episodio legato all’esperienza personale di gioco, a scuola o eventualmente
nell’extrascuola:
ADEGUARSI, TRUCCO, METTERSI IN GIOCO, OSSERVAZIONE, PARTECIPAZIONE, RUOLO, GIOCO COMMERCIALE, BASTA,
NOIA, TEMPO, PRODUTTIVITÀ, STRUMENTALIZZAZIONE, LIBERTÀ, SPONTANEITÀ, RICONOSCIMENTO.
I racconti sono poi stati letti uno di seguito all’altro:
ADEGUARSI 1. Durante il post scuola mi sono interessata ai giochi di carte dei bambini imparando e giocando con loro. Dopo ho
potuto proporre anch’io il gioco “Lupus in tabula” e spesso ora sono loro a chiedere di giocare. 2. Laboratori didattici con scuole; assistenza accompagnamento classi nei percorsi; osservazione, partecipazione, mettersi in gioco.
BEATI LORO! Ricordo che qualche anno fa, passando con la classe davanti ad una scuola materna, una mia allieva di classe prima esclamò, con un velo di nostalgia nella voce: “Beati loro che possono giocare!” Mi resi conto allora di quanto fosse grande il divario creato dal passaggio dalla scuola per l’infanzia alla scuola primaria.
CAMBIO! Natale, gioco della grande Torre: Io un Signore un ragazzino marocchino lui un venditore, finito il gioco io dico “vendimi qualcosa”, 5 euro, e poi dico al signore che rideva fino a quel momento. “adesso tu comperi qualche cosa”, ho visto passare sul suo volto le immagini solite “io non compero dai Marocchini”, poi si rende conto di aver giocato con lui, di essersi divertito, di fare un piacere, si è sciolto, ha sorriso e ha cacciato la PILA!
LIBERTÀ 1. Durante un’attività ludica, Tony, un bambino arrabbiato, utilizzando un grande pallone, e identificandolo con il suo
papà, facendolo fortemente rimbalzare per terra e schiaffeggiandolo fortemente esclama: “Hai capito, hai capitoooo?” alla domanda come ti senti Tony risponde: “Mai sentito così libero”. scuola primaria, Tony, 7 anni. 2. Libertà e anarchia. Talmente tanta è la voglia di entrare allo spazio gioco, e quindi di firmare come prima cosa il foglio presenze, che i due bimbi corrono e si fiondano sulla scrivania travolgendo da dietro una signora coi capelli già
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grigi che neanche conoscono. Rimproverati chiedono scusa ma, in quel momento, urlare, ridere, correre a scivolare è troppo importante. È un bisogno vitale, arcaico, uno sfogo ...come quello che a me capita di provare quando tiro le arance a Carnevale. 3. Libertà (soprattutto mia di creare su una creazione). Piscina di palline. Un bimbo trova una pallina bianca tagliata su un lato e me la porta (io sono quella che raccoglie le palline rotte) La prendo e la schiaccio per vedere in che modo è rotta. Lui comincia a dire “La balena, la balena” e scappa. E la pallina diventa dei denti che possono mordere. A casa, con un calzino rotto, travesto la pallina da balena e il giorno dopo tutti i bambini che vogliono possono giocare con la balena, fuggendo o inseguendo. 4. Libertà, spontaneità. Cosa vuol dire, cosa si intende per gioco libero? Lasciare che i bambini si organizzino da soli in uno spazio vuoto o semivuoto o in un giardino senza una strumentazione non vuol dire lasciarli liberi. Spesso gli spazi non organizzati conducono i bambini alla noia.
METTERSI IN GIOCO 1. In ludoteca abbiamo uno spazio dedicato per giocare a terra ai Lego Duplo e i bambini (età 6-8 anni) facevano
specie di torte piene e, forse per la noia, finivano per tirarsi i pezzi e litigare. Da quando un paio di volte ho avuto il tempo di sedermi con loro a costruire prima la sfinge e poi un castello, anche se io non ci sono, costruiscono edifici ed altro dando sfogo a notevoli “getti di fantasia” tanto che compreremo altri mattoni indifferenziati. 2. Ogni qual volta l’insegnante si mette in gioco crea un legame particolare con i propri allievi. Vale nell’apprendimento ma passa anche attraverso altri momenti. Visitando il Centro per la Cultura Ludica con i miei studenti del liceo socio-psico-pedagogico li ho stupiti provando io stessa ad usare i giochi antichi. 3. Attività motoria. Facevamo un percorso, passando sotto i tavoli, sopra le sedie, facendo le capriole e a un certo punto si doveva entrare in un tunnel, sono rimasta un po’ perplessa, poi ho deciso di passare anch’io e di entrare, peccato però che sono rimasta incastrata. I bambini ridevano io mi sarei messa a piangere. Il tunnel non era tanto piccolo!! 4. Flash: non sapevo se scriverlo perché devo finire di pensarci. Attività estive del Comune di Siena, da anni continuiamo imperterriti ad inserire nella programmazione momenti di gioco libero. Stavo giocando con un gruppetto di bambini, uno di loro si allontana visibilmente arrabbiato, vado a chiedergli perché “Io non sono qui per giocare con te, io voglio giocare con i bambini” (adottato all’età di 7-8 anni non aveva mai sperimentato il gioco con l’adulto). Siamo rimasti insieme dieci giorni, abbiamo sperimentato molto insieme ma non siamo diventati compagni di gioco ...per ora. 5. Qualche giorno fa con una bambina è capitato che, non avendo nessuno con cui giocare, io ho iniziato a mettermi in gioco per aiutarla a superare l’imbarazzo, poiché era l’unica bimba da sola visto che tutti gli altri giocavano senza coinvolgerla. Alla fine gli altri vedendoci giocare divertite sono venuti a guardarci e piano piano si sono intrufolati nel gioco, finendo poi in un grande gioco di gruppo.
NOIA 1. Solo attraverso la noia nasce la voglia e l’esigenza di giocare. Il bambino ha diritto di annoiarsi per imparare a
giocare, il genitore e la scuola non devono togliergli questa libertà. 2. Quest’estate, durante i centri estivi, dopo il pranzo ci troviamo per alcune ore in un piazzale in attesa dell’ora per tornare in spiaggia. Osservando i bambini abbiamo notato che, in preda alla noia, riuscivano a fare un po’ di danni. Ci siamo resi conto che, con qualche trucco, si poteva impiegare meglio quel tempo.
PARTECIPAZIONE 1. La prima volta che ho partecipato ad un’animazione in un veglione di Carnevale (in qualità di animatore) si era
organizzato tutto (tempi, giochi da fare, pause per la musica, ecc...) e ci si era divisi i compiti. Ad un certo punto gli altri animatori (eravamo 5 in totale, perché i bimbi coinvolti erano più o meno 250) non riuscivano più a trovarmi: ero per terra, in ginocchio, a lanciare coriandoli circondato da decine di bambini sorridenti e “agguerriti” contro un bersaglio più grande di loro (avevo già da diverso tempo superato i venti anni...). 2. All’inizio della mia esperienza a scuola avevo qualche difficoltà a far accettare diverse regole e abitudini ai bambini. Partecipare ai giochi dei bambini mettendomi al loro livello e avendo profondo rispetto delle loro regole e tempistiche è stato (ed è) molto utile per risolvere quel problema ed altri. È una “tecnica” molto utile anche a livello di autorevolezza (non autorità), poiché le regole provengono da una persona che accetta e condivide le regole dei bambini.
RICONOSCIMENTO 1. Ieri in ludoteca tre ragazzi di 13 anni sono arrivati prima dell’apertura del servizio: io stavo facendo attività di
traduzione di regolamenti di giochi stranieri, ma li ho fatti entrare. I ragazzi sono venuti in ludoteca apposta per sfidarmi e hanno capito ed aspettato che anche io potessi essere parte del gioco scelto per sfidarmi, non solo, durante
215
la partita è suonato il telefono e ho dovuto accogliere dei rientri di giochi in prestito e gli stessi ragazzi, perché io potessi rientrare in gioco alla svelta, mi hanno aiutato, senza che lo richiedessi, a riordinare i giochi rientrati: ero davvero una di loro nel gioco a cui ci stavamo sfidando. 2. Il gioco è una cosa che ai giorni nostri è difficile da spiegare agli adulti. Loro non lo sanno ma... i bambini lo hanno nel cuore, per loro è un mondo di miracoli e rimarrà per sempre un miracolo! Federico, 10 anni. 3. Il gioco non è inutile, il gioco è fantasia, che in giro non si può trovare. Con il gioco puoi creare, creando puoi trovare. Il gioco non è inutile. Il gioco serve e si sa. Daniela, 10 anni.
OSSERVAZIONE Sono nel nido con un gruppo di bambini di 2 anni circa, abbiamo finito la merenda, i bambini si alzano e si muovono: chi corre, chi cerca il gioco nello spazio costruzioni, chi guarda fuori dalle grandi vetrate. Ad un certo punto un bimbo grida entusiasta: ha trovato una cimice a terra. Io provo a rimanere zitta e ferma (le cimici mi fanno ribrezzo), tutti circondano la cimice e piegati la guardano, non resisto e dico: “no, non toccatela con le mani”. Mi avvicino e la raccolgo con un fazzoletto e la faccio vedere e salutare, poi apro la finestra e la faccio volare. Dopo pochi giorni siamo in cortile e gli stessi bambini giocano a cercare le cimici, un bambino con bacchetta si mostra abile “cacciatore”, la scova, la tocca e la sposta con delicatezza con le zampe in su, tutti gli altri sono con lui a guardare curiosi, felici ad aspettare ogni minimo movimento. Il gioco continua a lungo e quando una cimice vola via, se ne cerca un’altra. Io entro in gioco: mostro a loro una cimice e una bella panca sulla quale sistemare l’animaletto perché tutti possano avvicinarsi, guardare, toccare come ciascuno preferisce. Poi quando rientriamo raccontiamo agli altri il nostro gioco, e lo scrivo nel diario del giorno per condividere con i genitori.
RUOLO 1. Colonia estiva a Recco... arrivano i ragazzi delle scuole medie di Milano. Cosa fare? Giocare a qualsiasi cosa,
sparviero, torneo calcetto, qualsiasi gioco, giocare con loro, divertirsi con loro. 2. Io sono un’educatrice e sono spesso a contatto con bambini e ragazzi, per questo devo saper adattare il mio ruolo in base al momento. Di solito li aiuto nei compiti, ma li seguo anche nei giochi e nelle varie attività che fanno. In base all’attività il mio ruolo cambia.
TEMPO 1. Il tempo negato. Laboratorio a scuola sul Carnevale. Domenica faremo il corteo di Carnevale con le maschere
costruite insieme. “Deborah... domenica non ho TEMPO di venire...” “Ah mi dispiace, come mai?” e lui ORGOGLIOSISSIMO: “Vengono ad arrestare a mio fratello... aggia ‘sta a’ casa!” 2. Tempo-Trucco-Obiettivo. In un posto, dove il tempo non viaggia solo in orizzontale ma in ogni direzione, un gruppo di educatori, usando un trucco, viaggia per tre giorni con un gruppo di adolescenti. Il trucco usato è il racconto del Minotauro che accompagna tutto il gruppo tra boschi, falò notturni, labirinti fatti da siepi, tuffi da una piccola rupe nell’acqua gelata, risate, pianti... questo tempo, questo trucco, hanno dato come risultato il raggiungimento di tanti obiettivi: posso trovare sempre una via di uscita... posso trasformare la paura in coraggio... posso affidarmi ad altri... posso chiedere anche a chi è causa del mio dolore aiuto ad alleviarlo... posso ancora perdermi e ritrovarmi... e ancora, ancora... 3. Tempo e mettersi in gioco. Giardini Reali, sto giocando con un gruppo di bambini della mia ludoteca ai 4 cantoni... dopo si continua a nascondino, a sardina... e giocando con loro perdo la cognizione del tempo tant’è che la collega viene a chiamarci dicendo che è ora di chiudere la ludoteca... quando si gioca, veramente si entra in un’altra dimensione, ci si perde nel gioco. Ho capito i bambini... per capire bisogna mettersi in gioco...
TRUCCO 1. Il trucco è mettersi in gioco, è necessario condividere con i ragazzi il tempo che abbiamo a disposizione.
2. È una bella mattina di novembre, oggi spunta tra le mie mani, come provocazione ad un nuovo gioco un rossetto, cosa ne facciamo? E via... possiamo usarlo in tanti modi, lo dicono la meraviglia dei tanti occhietti che mi osservano
prima sospettosi e poi sempre più partecipi.
216
1. “OCApito”102 - Esempio di buona prassi in un piccolo Comune
Olivia Modica103
Il Comune di Santa Margherita Ligure è situato nella Riviera di Levante, a circa 30 km da Genova. I dati
statistici del 2007 rilevano una popolazione di 10.249 persone. La città, nel corso degli ultimi dieci anni ha
visto progressivamente diminuire il numero dei propri residenti (circa 500 persone in meno). Attualmente il
numero di minori rispetto alla popolazione totale è di 1.307 (circa il 12,75%). Già questo dato è indicativo
di una caratteristica che Santa Margherita condivide con altre cittadine rivierasche: quella di avere una
popolazione essenzialmente in età adulta se non avanzata con gli anni.
Per contro, l’esiguo numero in percentuale di popolazione al di sotto dei 18 anni ha visto al proprio interno
in progressiva crescita il numero dei minori stranieri (dal 2004 al 2007 il numero di stranieri è quasi
raddoppiato).
In questa situazione, che potrebbe portare ad una marginalità dell’infanzia ed a spostare l’attenzione su
altri settori (la terza età) che numericamente hanno un peso politico diverso, l’Amministrazione comunale
da ormai un decennio si è invece impegnata fortemente per creare e potenziare anche servizi a favore dei
minori, soprattutto cercando di dedicarsi alla prevenzione primaria, nella consapevolezza che le varie
iniziative, ma soprattutto una presenza educativa quotidiana nel contesto territoriale, possano creare un
ambiente protettivo e di deterrenza contro l’insorgere di eventuali situazioni di disagio. Quindi l’impegno
degli operatori in questi anni è stato quello di lavorare sull’ “agio”, consapevoli che una vita sociale ricca di
relazioni significative per i bambini e le loro famiglie può nel tempo, dati difficili da quantificare in termini
numerici, migliorare sia le condizioni dei singoli individui, sia creare una rete solidale tra le persone.
Ecco quindi che nel 1997 nacque qui la prima ludoteca comunale di tutto il Levante ligure (al tempo l’unica
del territorio era quella comunale di La Spezia).
Nel corso di questi anni il progetto ha conosciuto una continua evoluzione: dalla prima fase sperimentale
nel 1997, nel 1998 poi, con l’impiego di maggiori risorse economiche ed umane, la struttura ha avuto un
disegno sempre più delineato fino a essere oggi un servizio comunale consolidato.
Ne diamo una breve descrizione, forse non estremamente sintetica, ma necessaria per comprendere il
contesto territoriale ed i valori socio-pedagogici che sono alla base di essa.
La ludoteca comunale “L’isola che non c’è” è situata nei locali al pianterreno della scuola primaria Scarsella.
È aperta dal lunedì al venerdì dalle ore 15.30 alle ore 18.00 nel periodo ottobre - giugno.
102
Progetto del Comune di Santa Margherita Ligure Istituzione Servizi Sociali e di Pubblica Istruzione e della Provincia di Genova. 103
Pedagogista, responsabile dei Servizi Educativi del Comune, ha curato il progetto con il collega Massimo Pescio, educatore professionale (Servizi Educativi, corso Matteotti 75 - 16038 Santa Margherita Ligure - GE).
217
Nel periodo estivo (luglio e agosto) diventa la sede dei centri estivi dei bambini che frequentano le
elementari.
La ludoteca è uno spazio per genitori e bambini da 0 a 12 anni, ovvero fino ai 10 anni è necessaria la
presenza dei genitori o di altri adulti di riferimento (nonni, parenti, baby sitter …), dai 10 anni in poi, con la
manleva dei genitori, la si può frequentare autonomamente.
È uno spazio ludico ricreativo diviso in vari locali e aree ciascuno dedicato ad una fascia di età o ad
un’attività specifica (area morbida 0-2 anni, area 3-6 anni, area Lego, area disegno, area giochi di scatola,
area ambientazioni…). [sul sito del Comune c’è un’ampia galleria fotografica degli spazi].
Ogni bambino qui può giocare in libertà e sicurezza, insieme ai genitori, agli amici, anche da solo, ma mai in
solitudine.
La presenza dei genitori per noi è fondamentale, poiché il servizio non ha mai voluto essere uno spazio di
delega dei bambini quanto piuttosto un luogo dove grandi e piccoli possono relazionarsi e confrontarsi
utilizzando il linguaggio del gioco.
Per i genitori stessi è inoltre uno spazio dove incontrarsi tra loro, confrontarsi sulle esperienze quotidiane,
condividendo il difficile mestiere di genitore con operatori disponibili all’ascolto (educatori professionali,
pedagogista).
Sono infatti presenti in ogni turno di apertura almeno due educatori ed una volta alla settimana è presente
anche la pedagogista del servizio.
L’esperienza di questi anni ha dimostrato che un contesto accogliente e non ansiogeno quale la ludoteca,
può facilitare nei genitori che si trovino in un momento di difficoltà personale (con il proprio coniuge, con i
figli...) la possibilità di chiedere aiuto; moltissime situazioni di disagio che spontaneamente non sarebbero
arrivate direttamente al Servizio sociale, vissuto spesso come controllo, hanno invece avuto un primo filtro
e spazio di apertura proprio in ludoteca. In questi casi un tempestivo aiuto può impedire pericolose
involuzioni più difficili da gestire in seguito.
In ludoteca, oltre ad utilizzare il materiale ludico a disposizione, vengono organizzati durante l’anno
laboratori sia estemporanei, sia tematici che coinvolgono anch’essi genitori e bambini. Sono laboratori
creativi ed espressivi che hanno temi diversi ma come filo conduttore intendono lavorare sulla ‘leggerezza’
ed immediatezza dei linguaggi non verbali (pittura, musica, manipolazione), dove è sì importante il risultato
(ogni bambino ad esempio costruisce un oggetto che poi porta via con sé), ma è ancora più importante
l’esperienza ludica condivisa con altri.
“OCApito” - Metti in gioco i tuoi diritti
In questi anni l’esperienza degli operatori ha permesso di acquisire capacità e competenze proprio
nell’ideazione e progettazione di laboratori e attività strutturate.
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Per questa ragione, già dal 2006, l’equipe educativa della ludoteca ha pensato di inventare un gioco che
coniugasse sia l’elemento ludico immediato, già di per sé di valore se consideriamo il significato del gioco
per il bambino, ma in un secondo livello, che potesse rimandare anche a contenuti assolutamente essenziali
per la crescita affettiva e sociale del bambino stesso.
Il lavoro di ideazione dell’èquipe è durato alcuni mesi: ne è nato un GIOCO GIGANTE DELL’OCA che ha come
filo conduttore il TEMA DEI DIRITTI (Convenzione Internazionale per i diritti dei Fanciulli anno 1989; Carta
della Terra anno 2000), sia quelli imprescindibili della persona umana, sia quelli dell’ambiente dove
viviamo. Il titolo che abbiamo dato è “OCApito - Metti in gioco i tuoi diritti”.
Si può utilizzare sia come gioco estemporaneo, ma anche come percorso di laboratori ciascuno dei quali
rimanda a pensieri e riflessioni sui vari diritti, sui comportamenti individuali e sociali ai quali gli stessi
operatori in primo luogo danno valore.
Sono stati espletati gli adempimenti burocratici per ottenere il copyright del gioco (SIAE) e trasformarlo in
gioco di scatola.
È stata contattata la casa editrice La Lontra di Genova-Busalla ed, alla fine di novembre, il gioco sarà
realizzato e pronto sia per essere utilizzato da noi o da altri enti con fini di promozione sociale, sia per
essere immesso nel mercato.
Introduzione
La Convenzione sui diritti dell’infanzia rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e
completo in materia di promozione e tutela dei diritti dei bambini. Contempla l’intera gamma dei diritti e
delle libertà attribuiti anche agli adulti (diritti civili, politici, sociali, economici, culturali). Costituisce uno
strumento giuridico vincolante per gli Stati che la ratificano, oltre ad offrire un quadro di riferimento
organico nel quale collocare tutti gli sforzi compiuti in cinquant’anni a difesa dei diritti dei bambini.
La Convenzione è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 a
New York ed è entrata in vigore il 2 settembre 1990. Per la concretizzazione del gioco è stata utilizzata
anche la Carta della Terra, portata a termine nel marzo 2000, che è la dichiarazione di principi etici
fondamentali, approvata a livello internazionale e che si propone di costruire una giusta, sostenibile e
pacifica società globale nel ventunesimo secolo.
Finalità
La scopo del gioco è quello di far apprendere ai bambini, in maniera intuitiva e ludica, l’esistenza dei diritti.
La finalità principale del progetto editoriale è legata alla trasmissione del sapere, attraverso l’utilizzo del
gioco. Il gioco diventa veicolo con il quale educare alla conoscenza attraverso metodi intuitivi. I bambini
vengono facilitati all’apprendimento e alla valorizzazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e della
Carta della Terra. Al gioco possono essere affiancati racconti e laboratori.
219
Il gioco
È costituito da un percorso di 62 caselle, 12 delle quali riportano l’indicazione di uno dei diritti della
Convenzione. Le restanti caselle sono state suddivise in libere, premi e penalità. I bambini possono giocare
sistemando le carte una di seguito all’altra sul piano di gioco. Tirando i dati, a turno, potranno muovere le
pedine, attraverso un percorso atto a comprendere l’importanza dei diritti.
Il gioco è suddiviso nei quattro principi riportati dalla Carta della Terra:
diversità
amore, comprensione e compassione
libertà e giustizia sociale
protezione della bellezza della terra
I quattro principi sono contraddistinti da un colore e trattano tre diritti.
I laboratori correlati mettono in gioco le seguenti attività: disegno, rappresentazione teatrale,
brainstorming, gioco del pampano, lettura di una fiaba con finale da inventare, riflessione, labirinto,
kaleidos, il mio amico dottore, lettura e costruzione del giocattolo, merenda interculturale.
Caratteristiche tecniche
Scatola da gioco formato 20 x 20 cm, 62 caselle numerate da disporre a modo di domino su un piano di
gioco, 8 pedine in legno e 2 dadi da gioco.
Il gioco sarà messo in vendita al prezzo di 9,50 euro a copia.
2. Progetto “Amico di classe”
Martina Bracci104
Il progetto “Amico di classe” nasce dall’esigenza di avere una figura di supporto all’insegnante all’interno
delle classi in cui sia/siano presenti bambini o ragazzi di “difficile” gestione. Sempre più spesso, infatti, gli
insegnanti si trovano a dover gestire classi in cui sono presenti bambini/ragazzi provenienti dall’estero e
quindi con problematiche relative all’apprendimento della lingua italiana, e bambini/ragazzi irrequieti e
quindi difficilmente coinvolgibili nelle attività del gruppo classe. L’”Amico di classe” si propone dunque
all’insegnante come aiuto nella gestione del gruppo classe seguendo i bambini/ragazzi che richiedono
un’attenzione particolare attraverso la proposta di attività manuali, ludiche, creative, di socializzazione che
siano di aiuto alla comprensione delle discipline scolastiche.
104
Referente di Giocolenuvole, società cooperativa sociale onlus, via Mentana 108, Siena, info@giocolenuvole.com www.giocolenuvole.com
220
L’”Amico di classe” attiva quindi, in accordo con l’insegnante, dei percorsi tematici di “insegnamento
giocoso” - già sperimentati dagli educatori della cooperativa Giocolenuvole con ottimi risultati. Alcuni
esempi: nell’ambito delle scienze abbiamo dato vita alla “Professoressa Cervellonis” una stravagante
insegnante che invita i ragazzi a mettersi in gioco con proposte di esperimenti alquanto difficoltosi;
nell’ambito della musica ci piace invece che i ragazzi possano sperimentarsi nella costruzione di strumenti
musicali con materiale naturale - legno - e di riciclo - barattoli dello yogurt, di latta; per quanto riguarda la
storia abbiamo fatto rivivere ai ragazzi l’esperienza del modellare la creta per la costruzione di semplici
utensili e la costruzione di plastici che riproducono le abitazioni e i villaggi di civiltà remote, con i più grandi
abbiamo sperimentato la proposta dei giochi di ruolo ambientati in varie epoche storiche.
Per l’approfondimento della lingua italiana e della geografia abbiamo proposto con successo i quizzettoni e
il ti rispondo per le rime o siamo andati alla ricerca della saggezza dei nonni con il puzzle dei proverbi e modi
di dire.
In definitiva il compito dell’”Amico di classe” è quello di proporre in maniera giocosa le lezioni
dell’insegnante. Qualora si ritenga utile per la classe e per i ragazzi interessati, l’”Amico di classe” può
lavorare con piccoli gruppi di 5-6 bambini, in modo da poter gestire le problematiche comportamentali,
imparare insieme a gestire le conflittualità e l’aggressività, responsabilizzare e favorire un canale semplice e
diretto di socializzazione.
Le attività da svolgere sono attentamente scelte insieme all’insegnante in base al gruppo interessato, alle
problematiche emerse e alle esigenze di ogni singola classe. Per i bambini/ragazzi l’”Amico di classe” è una
figura che affianca e non sostituisce l’insegnante in particolari momenti della vita scolastica dedicati
all’approfondimento ed alla rielaborazione personale (laboratori manuali-creativi, insegnamento giocoso),
alla socializzazione ed alla sperimentazione di nuovi canali relazionali (giochi di gruppo, circle time, giochi di
socializzazione), alla scoperta di sé e dell’altro (scoperta del corpo, il mio sesto senso, giochi di contatto,
intercultura).
Obiettivi del progetto
Sviluppare la capacità di interazione e la cooperazione fra pari;
aiutare i bambini/ragazzi a riconoscere le proprie abilità, competenze e attitudini e svilupparle;
dare ai ragazzi gli strumenti per gestire le controversie;
collaborare con l’insegnante a districare situazioni e dinamiche comportamentali complesse;
rinnovare l’interesse nelle materie scolastiche.
Proposte di lavoro
circle time, dibattiti, attività ludiche, laboratori manuali, improvvisazione teatrale, letture animate.
221
Note importanti
Se si lavora con il piccolo gruppo è opportuno far ruotare i membri per non creare una situazione di
“ghettizzazione”;
è fondamentale che le ore di compresenza (insegnante - educatrice/educatore) vengano condivise e
strutturate preventivamente in maniera che i ragazzi abbiano chiaro il ruolo dell’una e dell’altra figura.
3. Percorsi di gioco in classe
Patrizia Di Lorenzo105
Oltre al lavoro svolto attraverso il laboratorio “Giochi di carte” di cui parlerà Elena Mancuso, le mie
esperienze sono due rivolte alla didattica e sviluppate con i bambini e una relativa al coordinamento di un
intervento formativo seguito da venti docenti di scuola primaria nell’anno scolastico 2008.
Lo strumento privilegiato per l’apprendimento, sia per gli allievi che per i docenti, è stato il gioco e il
giocare.
Esperienza A
L’attività rientra in un progetto da me presentato nell’ambito dello star bene a scuola e intitolato L’arte del
bridging, attività di apprendimento mediato attraverso il gioco (costruzione di ponti) a partire dall’anno
2004. L’attività è proposta a gruppi di 7-9 allievi di età tra i 6 e gli 8 anni, ha come finalità quella di aiutare il
bambino a strutturare la capacità di pensiero attraverso la creazione di un ponte tra l’azione del giocare e
l’azione del riflettere, utilizzando contesti familiari al bambino (l’io - la casa - la famiglia - la scuola).
Obiettivi
Creare nel bambino l’abitudine al pensare, sviluppare la capacità di stabilire connessioni tra i processi di
pensiero e la loro applicazione ai principi e alle strategie dello stare nella vita quotidiana, sviluppare la
consapevolezza di ciò che si è, ciò che si fa e come lo si fa.
Contenuti e filoni conduttori
Consapevolezza del sé corporeo io con me stesso
io e lo spazio che mi circonda
io e gli altri rispetto di sé e gli altri.
105
Insegnante della scuola primaria don Murialdo - Torino.
222
Metodologia usata
La tecnica è una modalità mediata, nel senso che l’insegnante ha il ruolo di osservatore e di mediatore nei
giochi che propone e durante le riflessioni. Ho usato come strumento il gioco e la musica, utilizzando lo
specchio presente in aula di psicomotricità e il materiale tipico dell’attrezzatura dell’aula di psicomotricità
(grandi palle, cilindro di gomma, cubi, stoffe, tappeti...).
L’apprendimento dei bambini è avvenuto attraverso tre fasi.
In svariate situazioni di gioco il bambino si conosce, esaminandosi, testandosi; mettendosi alla prova il
bambino verbalizza ciò che ha vissuto con il gioco e discute nel gruppo di appartenenza, con il mio aiuto,
attraverso l’uso di buone domande realizza al termine di uno, due incontri una produzione scritta che può
essere un disegno, un pensiero, una rima o una filastrocca o una storia.
L’esperienza mi ha dimostrato la partecipazione responsabile dei bambini sia nel gioco che nella presenza di
allievi di 8 anni più grandi che, in qualche modo, hanno fatto da tutor per i più piccini (allievi che hanno
partecipato a 6/7 anni all’esperienza di gioco con me e che presentavano qualche difficoltà di relazione ). I
bambini hanno dimostrato di aver raggiunto gli obiettivi previsti dal progetto.
Difficoltà e limiti
Poco il tempo previsto, 15 ore di laboratorio rispetto alle 20 previste per un’ora di intervento alla
settimana. Caratteristica rivolta ai bambini con irrequietezza o troppo timidi o aggressivi.
I gruppi sono misti ed eterogenei. Meglio farli di pari età.
Esperienza B
Esperienza di gemellaggi,o che ha avuto come tema il diritto al gioco e all’espressività, e che ha visto
coinvolti allievi di classe II, IV e V in una più grande ricerca che personalmente sto facendo sull’educazione
alla gioia.
I bambini hanno realizzato la città ideale per ciascuna classe producendo il testo, la descrizione degli
abitanti e la rappresentazione grafica della propria città dando il nome.
Il lavoro è stato realizzato utilizzando il giocare con le arti espressive, le idee, i pensieri, e i valori.
Molto interessante è stato lo stimolo dato dal fatto che questo lavoro ha avuto l’individuazione delle
emozioni provate, osservate, lette e poi condivise tra bambini e insegnanti. Lo strumento utilizzato è stato il
questionario.
Esperienza C
Esperienza da me condotta come coordinatore e monitorata per gli esiti raggiunti, nonché come diretta
partecipante, svolta nella mia scuola primaria. Formazione rivolta a venti docenti, relatore Rosanna Clinco,
tema la scrittura creativa e che ha avuto come stimolo privilegiato l’utilizzo del gioco e del giocare.
223
Trovo che sia molto utile fare formazione sul tema del gioco espresso e proposto a vari livelli, ad esempio
anche con l’utilizzo della scrittura creativa. Trovo che aver supportato la formazione con una dispensa con
descrizione delle attività, dei giochi, l’aver sperimentato direttamente tra insegnanti l’esperienza del gioco,
e aver poi sperimentato la formazione nelle proprie classi con i bambini, aver lavorato attraverso un
laboratorio per 10 ore utilizzando alcuni dei giochi proposti nel percorso formativo con un piccolo gruppo di
bambini tra i 7 e i 9 anni con alcune difficoltà di relazione (aggressività o timidezza o eccessiva vivacità),
abbia dato la possibilità di verificare la positività sia della formazione che l’utilità della scrittura creativa per
sviluppare creatività giocando.
Belle e costruttive tutte queste esperienze.
4.Laboratorio sulle competenze socio-affettive
Caterina Di Chio106
Il laboratorio si realizza nella scuola primaria dell’istituto comprensivo King.
Coinvolge dodici classi, terze e quarte.
Si propone di guidare gli alunni verso il riconoscimento dei propri bisogni e delle proprie emozioni,
aiutandoli a divenirne più consapevoli, ad esprimerle e ad utilizzarle favorevolmente al proprio sviluppo.
Intende favorire infatti lo sviluppo del linguaggio che Howard Gardner e Daniel Goleman definiscono
“personale”: un linguaggio che consente a ciascun individuo di sdoppiarsi, osservarsi e riflettere su se stessi,
che stimola a “raccontarsi”, a pensare e a pensarsi, nella consapevolezza di quanto la narrazione favorisca
la costruzione di un’immagine di sé autonoma.
Essenziali in questo senso, i giochi e le attività volti a riconoscere e valorizzare gli aspetti della propria
identità e di quella altrui, nell’ottica della promozione dell’autostima e della valorizzazione delle differenze.
Attraverso attività autobiografiche e narrative, il percorso conduce il bambino al riconoscimento delle
proprie competenze e alla ricostruzione della storia personale, che rinforza la capacità di avere cura di sé.
Essa, infatti, fornisce una percezione positiva di autostima ed eterostima:
di autostima, in quanto il soggetto, attraverso la riscoperta della personale storia di vita, ritrova la
propria soggettività;
di eterostima, poiché il narratore si sente riconosciuto e confermato nel momento in cui altri leggono o
ascoltano autenticamente il suo racconto.
Educare a raccontarsi fortifica dunque l’identità individuale mettendo in risalto il sentimento di unicità.
Aiuta a delineare il cosiddetto sé narrativo, ovvero il mondo interiore, ciò che pensiamo di essere e ciò che
gli altri pensano di noi.
106
Insegnante della scuola primaria dell’istituto comprensivo King - Grugliasco (TO)
224
L’autoconsapevolezza, così come la definisce Goleman, è la base dell’intelligenza emotiva. Ecco perché il
laboratorio intende allenare i bambini a riconoscere i propri e gli altrui stati emotivi, attraverso lo studio
delle espressioni facciali e dei segnali corporei caratteristici di ogni emozione di base (la collera, la paura, la
felicità, il disgusto, la tristezza, la sorpresa), l’abitudine a riconoscere ciò che si sta provando e la capacità di
esprimere i propri sentimenti, con il linguaggio del corpo e le parole.
Al contempo, si propone di individuare col gruppo classe strategie di controllo e gestione delle emozioni e
di infondere fiducia nella personale capacità della loro attuazione. In particolare si sofferma su modalità di
autoregolazione, di controllo della rabbia e di liberazione dalla tristezza, potendosi così concentrare
attivamente per il perseguimento di un obiettivo ed essendo capaci di rinviare la gratificazione.
Ha lo scopo di favorire lo sviluppo dell’empatia, competenza fondamentale nella relazione con gli altri, che
consente di leggere e rappresentarsi le differenti situazioni sociali nel modo più corretto e funzionale ad
una relazione costruttiva. Non mancano, ad esempio, gli studi che dimostrano come bambini con uno stile
di attaccamento insicuro tendano ad attribuire, in situazioni sociali ambigue, intenzioni ostili ai propri pari e
ad adottare strategie di problem solving sociale inadeguate.
È importante allora allenare i bambini ad interpretare le informazioni in entrata dando loro una
rappresentazione mentale, selezionando un obiettivo e ricercando le strategie più adeguate per
conseguirlo.
Il laboratorio si pone l’obiettivo di esplorare il tema del conflitto, come fenomeno presente nella vita di
ogni individuo, che è però possibile gestire. In questo senso, propone una serie di giochi e di attività
cooperative, incrementando il clima positivo e collaborativo all’interno del gruppo classe.
Obiettivi
Conoscere, esprimere e indirizzare le proprie emozioni: la collera, la paura, la tristezza, il disgusto, la gioia,
la sorpresa, l’imbarazzo ecc.
Valorizzare la propria identità e potenziare l’autostima.
Valorizzare l’altro e le diversità tra gli individui.
Riconoscere il valore del gruppo e favorire la cooperazione.
Controllare le proprie emozioni in vista di un obiettivo.
Riconoscere le emozioni altrui (empatia).
Gestire i conflitti.
Temi
Io e la mia identità.
L’altro e le differenze.
Le emozioni: la paura, la rabbia, il disgusto, la sorpresa, la gioia, la tristezza, l’imbarazzo ecc.
225
L’autostima.
Il gruppo: la cooperazione e il mutuo aiuto.
Il conflitto.
Metodologie
Gioco.
Narrazione autobiografica107: didattica dell’auto-racconto, dell’auto-riflessività e della scrittura di sé.
Espressione corporea.
Attività cooperative.
Ascolto e discussione di storie psicologicamente orientate.
Circle time.
Il percorso utilizza metodologie di tipo autobiografico, prevedendo attività volte a raccontarsi, a mettere in
valore la propria identità e a ricostruire la storia personale. Le alterna a momenti di gioco, una delle
principali forme di espressione e di apprendimento di questa fase evolutiva.
Adotta tecniche di espressione corporea ed artistica, per favorire un allenamento espressivo integrato e
globale. Utilizza libri di narrativa per bambini, spesso narrativa psicologicamente orientata, per stimolare la
discussione, proporre soluzioni e favorire l’identificazione empatica con i protagonisti delle storie.
Propone una serie di giochi e di attività cooperative e prevede almeno un momento di “cerchio” ad
incontro, in cui prendersi il tempo per raccontarsi ed ascoltarsi. Il bambino così impara ad ascoltare
aspettando il proprio turno ed appassionandosi alle storie degli altri, dimenticandosi per un momento di ciò
che desidera raccontare egli stesso, ma pronto a riprendere la narrazione, aggiungendo elementi nuovi.
L’insegnante stabilisce un clima di accoglienza, non giudicante, in cui ciascuno si sente libero di dire e
persino di inventare. Sottolinea le regole condivise dal gruppo e mantiene la continuità iniziale, riportando,
se necessario, alla coerenza del discorso.
Considerazioni per non concludere
Rosanna Clinco
Il clima che si è creato nel gruppo è stato fin da subito disteso e partecipativo. Le persone sono sembrate
tutte coinvolte e motivate.
Le diversità, di provenienza geografica, di professionalità, di età, di esperienze, di gestione di servizi diversi,
hanno rappresentato una ricchezza ma, nello stesso tempo, un limite. Ricchezza di possibilità di scambio e
confronto, limite come impossibilità (anche dovuta al poco tempo a disposizione) di addentrarsi in
107
Per autobiografia si intende qualsiasi attività che favorisca il racconto di sé.
226
profondità negli argomenti che, se troppo specifici, rischiavano di escludere una parte dei convenuti. Ad
esempio, in seguito ad una verifica interna successiva, è emerso da parte delle ludotecarie di Torino che il
confronto con altri rappresentanti di ludoteche presenti e provenienti da città diverse non è stato
sviluppato come esse avrebbero voluto. Probabilmente c’è stato chi si aspettava di poter parlare più a
lungo e in maniera più specifica in merito al modo di condurre le attività proposte alle scuole, alla
metodologia adottata; certo sarebbe stato interessante entrare nel dettaglio ma, nello stesso tempo,
avrebbe sbilanciato troppo la discussione e si sarebbe verificato un crollo di interesse da parte di chi non si
sentiva coinvolto direttamente in questo tipo di ragionamento. Analogamente, chi è arrivato con la volontà
di confrontarsi su una propria esperienza specifica o portando una propria proposta di gioco da mostrare, è
tornato a casa piuttosto deluso. In questo senso l’idea di costituire una rete risponde ampiamente ad una
evidente necessità di proseguire i tanti discorsi avviati.
Potrebbe esserci stata una certa disparità tra la qualità delle domande e la qualità degli interventi e dei
racconti finali: mentre le domande sono state varie, ben articolate e rappresentative, gli interventi finali
sono stati basati sul racconto, quindi possono sembrare aver banalizzato i tanti temi; si tratta comunque di
esperienze e vissuti personali: liberi ed evocati rapidamente, che affiancano la discussione senza sostituirla.
Il fatto che il tema più dibattuto sia stato quello della contrapposizione tra gioco libero e gioco
guidato/strutturato, che in molti abbiano avvertito la necessità di esprimersi su questo argomento e che si
tornasse spesso su questo punto, anche quando si era già passati ad altro, conferma forse quanto espresso
nella premessa e cioè che si avverte fortemente la necessità di difendere il diritto al gioco. Credo che un
eventuale seguito per approfondimenti futuri dovrebbe partire da qui, o dal tema correlato della scarsità di
tempo dedicato al gioco.
Un tema emerso ma marginalmente affrontato è stato quello della relazione. Nel proporre percorsi alle
scuole i Centri per il Gioco della città di Torino pongono tra gli obiettivi primari l’attenzione al gioco come
cornice all’interno della quale i bambini interagiscono, tra pari e con gli adulti. Il “mettersi in gioco
dell’adulto”, descritto da alcuni giovani animatori con accenti romantici, non esaurisce l’argomento ma
fornisce un ottimo punto di partenza per considerare modalità e metodologie.
La differenza tra i percorsi individuali, i livelli di esperienza e di maturità, i contesti e il riconoscimento
sociale, è rappresentativa di un momento storico. Il discorso sul gioco in Italia è contemporaneamente
diffuso e immaturo: si sta sviluppando a macchia di leopardo, con esperienze di eccellenza, mentre
vengono a mancare gli spazi di confronto quotidiano, le occasioni di riflessione. Ci sono molte associazioni,
ma manca lo spirito comunitario: insomma, il discorso sul gioco si sta forse emarginando e
individualizzando troppo. Far rete sicuramente serve, ma non è l’unica risposta: occorre anche che le
eccellenze vengano riconosciute a livello più ampio, e si possa ragionare anche intorno a modelli; l’auspicio
sarebbe la nascita di corsi universitari, percorsi di formazione riconosciuta, centri di cultura in tante città…
227
la realtà, molto più modesta, è che dobbiamo quotidianamente tutti difendere quello che abbiamo
costruito in questi anni.
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228
Capitolo 9
Gioco e relazione nei contesti di difficoltà e diversità
Il tema: I servizi per il gioco sono un diritto per tutti i bambini, da chi è diversamente abile, a chi arriva da
differenti territori e differenti culture, da chi si trova a dover affrontare percorsi di vita difficile legati alla
sofferenza e alla malattia, a chi vive in luoghi deprivati in cui morte e violenza sono all’ordine del giorno,
allora come rispondere in modo adeguato al bisogno e al diritto di gioco di cui tutti questi soggetti sono
portatori?
Coordinamento a cura di: Santo Cicco, Renata Bronzino
Contributi di: Santo Cicco (cooperativa Fantacadabra - Sulmona), Renata Bronzino(Gruppo Gioco in
Ospedale - ITER - Torino), Rosita Deluigi (Università - Educatrice Fondazione CasaOZ), Gianni De Corral
(associazione Baby-Xitter - Torino), Maria De Vita (ludoteca C’è sole e luna - Alessandria), Corrado Vecchi
(cooperativa Mani parlanti - Parma)
Riflessioni e lavoro di gruppo
Santo Cicco, Renata Bronzino
La domanda-guida che ha stimolato la partecipazione al gruppo di lavoro pone una questione aperta e
raccoglie considerazioni diverse, esperienze che traducono strategie in continuo dinamismo, atte ad una
ricerca in trasformazione che sappia tenere conto di sfaccettatura differenti e sappia contestualizzarsi
secondo variabili spesso non riassumibili, dove i vissuti emotivi devono essere considerati e attentamente
valutati come elementi dominanti in cui la relazione assume una connotazione unica e irripetibile.
La tematica affrontata ha trovato una larga adesione tanto che ha portato il gruppo di lavoro ad essere uno
dei più numerosi, circa una cinquantina di partecipanti provenienti da esperienze e ambiti di intervento
molto diversi. Si è potuto aprire un ventaglio di offerte rispetto ad animazioni ludiche di strada su quartieri
difficili (Napoli, Palermo, Cagliari,…), in situazione di emergenza (tendopoli), in carcere minorile, nei reparti
pediatrici (intrattenimento e accompagnamento), in soggiorni vacanza a favore di soggetti diversamente
abili o in ludobus come sostegno alla genitorialità anche in zone extra-comunitarie quali la Tunisia.
La varietà delle esperienze ha prodotto sicuramente un notevole arricchimento e una apertura di visioni e
di progettualità, ma ha segnato anche il limite del gruppo concedendo pochi spazi per l’approfondimento e
il confronto; ne è emersa una esigenza comune e condivisa di coltivare una sorta di rete che permetta un
229
aggiornamento e una riflessione sulle modalità e sperimentazioni che possono sorgere in risposta a sempre
nuove richieste di attenzione verso fragilità e disagi.
Per gestire al meglio le dinamiche di un gruppo così numeroso si è optato per una breve presentazione di
ogni partecipante chiedendo della propria attività e di dare una “parola chiave” che potesse esprimere la
specificità dell’ambito particolare del servizio.
I contributi emersi hanno posto in risalto l’impegno comune di garantire la possibilità di vivere al meglio il
diritto ad una infanzia rispettata, ponendo il gioco come elemento caratterizzante una crescita equilibrata e
come risorsa per trovare un linguaggio che va al di là del verbale, restituendo la condizione di un’intesa di
accoglienza e di condivisione. Oltre agli interventi previsti e di cui si riportano a seguire le relazioni, si sono
potuti conoscere anche percorsi che hanno contribuito a far crescere una mentalità di attenzione e di
accompagnamento.
Paola Lagorio, referente del Progetto Salute di “Mani Umane per il Futuro dell’Arte Medica”, partendo da
una sua ricerca personale rispetto alla capacità di ascolto verso situazioni di disagio ha evidenziato quanto
sia necessaria la collaborazione tra competenze differenti: medico-sociali-educative, per promuovere
visioni più aperte e complementari.
Altra considerazione emersa, accanto alle esperienze legate più all’azione territoriale quale scuole, strade,
ospedali, carcere è stata sottolineata dalla Anna Martinelli, responsabile della Biblioteca Pedagogica del
Centro Multimediale di Documentazione Pedagogica di Torino108, che ha posto l’accento sull’importanza di
sostenere il lavoro sul campo con una adeguata e aggiornata formazione, che possa essere stimolo e
risposta agli interrogativi di chi opera e si trova nella quotidianità a ricercare confronti.
Visto in questa ottica sicuramente la Biblioteca può divenire una risorsa in più sul territorio, un valore
aggiunto, un valido supporto anche per tutti gli operatori del sociale che con passione investono la propria
azione educativa nei vari ambiti lavorativi.
Ivana, educatrice di una ludoteca comunale di Torino, ha anche richiamato l’articolo 31 della Convenzione
internazionale sui diritti dell’infanzia e come una delle modalità di adempimento si sia tradotto in un
percorso proposto alle scuole da parte della ludoteca Serendipity in collaborazione con Emergency.
Diritto al gioco in tempo di guerra è stato il titolo del progetto a cui hanno aderito due classi quinte di
scuola primaria, due classi prime, una seconda, una terza di scuola secondaria di primo grado e una classe
quinta di scuola secondaria di secondo grado. Il lavoro, basato su incontri, visite, ma anche interviste e
ricerche, ha prodotto riflessioni, sollecitato sensibilità e permesso la realizzazione di mostre che hanno
visto i ragazzi protagonisti.
108
www.comune.torino.it/centromultimediale
230
Nel giro di presentazione dei partecipanti al gruppo sono emerse alcune parole chiave, di seguito elencate,
che hanno confermato e rinforzato alcune peculiarità del gioco visto come risorsa, relazione, rispetto e
possibilità di fare, di intervenire sulla realtà, anche in relazione alle peculiarità di servizi tra loro differenti.
Riportiamo schematicamente le quattro macroaree delineate:
RISORSA
Pur partendo da una situazione di difficoltà (malattia, detenzione, calamità…) si fa appello alla parte sana
della persona per restituire un diritto e garantire un equilibrio di crescita.
Situazioni di disagio o di dolore spesso portano “alla perdita della capacità di giocare”; promuovere tale
capacità, compito fondamentale del facilitatore ludico, equivale a tutelare la natura del bambino. Non si
parte dalla difficoltà, ma si pone l’accento su ciò che si può trovare di positivo, su una competenza
particolare da promuovere e su cui agire.
Il gioco diventa strumento e veicolo di relazione che prende in considerazione questa risorsa per poterla
sviluppare.
RELAZIONE
In questa macroarea si sono evidenziate le caratteristiche di una funzione educativa che vede nello “stare”,
nella presenza, l’essenza di una “mission” dove entrano in gioco una passione e un coinvolgimento
personale: il valore del tempo dedicato per poter approfondire una relazione, condividere un’esperienza di
intesa e di ascolto.
L’educatore trova la sua finalità nel “giocare con” il bambino permettendogli di esprimersi, e al tempo
stesso gli garantisce un affiancamento qualificato.
RISPETTO
La validità del proporre e non dell’imporre tutela la persona nella sua individualità non considerandolo solo
un oggetto di intervento. La possibilità di poter scegliere o rifiutare l’intervento di animazione restituisce
una identità e un protagonismo molte volte mortificato dal contesto che spesso impone regole rigide
(ospedale, centri di accoglienza, carcere…).
FARE
Una caratteristica fondamentale di questo ambito di intervento è lo spazio dedicato alla manualità, alla
possibilità di realizzare e produrre oggetti che gratificano l’autore rinforzandone l’autostima. L’attività
espressiva che dà forma all’emozione del momento diventa una preziosa opportunità che l’educatore può
cogliere per conoscere meglio la personalità dell’ “altro”.
L’attività manuale è un fare motivante e coinvolgente in cui anche coloro che inizialmente sono esitanti
scoprono di potersi impegnare e trarne soddisfazione.
231
I temi aperti sono stati veramente numerosi, il comune denominatore è stata la voglia di mettersi in gioco
nelle diverse situazioni, con responsabilità, ma anche con creatività per trovare nuove strategie che
possano adattarsi alle variegate richieste di attenzione a cui siamo chiamati a rispondere.
1. Il gioco, strumento di relazione
Renata Bronzino
La difficoltà, il disagio, la disabilità sono elementi che segnano e caratterizzano la relazione e la
comunicazione con peculiarità proprie, allo stesso tempo richiedono strategie e modalità di approccio
particolari, attente alle diversità e alle individualità.
Là dove è più forte il coinvolgimento emotivo, chi si trova a condividere e accompagnare deve poter fornire
un ascolto attento e restituire una opportunità nuova e originale rispondente alla necessità espressa..
L’esperienza dell’ospedalizzazione sicuramente rientra tra i contesti che evidenziano elementi di
smarrimento, di precarietà, di ansia legati alla situazione di malattia, ma anche al dover affrontare nuove
relazioni, nuovi ambienti, in un momento in cui fisicamente si è più deboli e fragili.
La sperimentazione di inserire personale educativo che si occupasse di rasserenare la permanenza del
bambino in ospedale è stata avviata nel 1984 all’Ospedale Infantile Regina Margherita, e all’Ospedale
Martini, dalla Divisione Servizi Educativi della Città di Torino, con specifici obiettivi volti al fine di:
restituire un vissuto di normalità al bambino che si trova a vivere un’esperienza di ricovero che lo
allontana dai suoi ambienti quotidiani: casa, scuola…
stimolare le risorse positive e l’autostima in un momento di difficoltà,
creare esperienze di aggregazione in un ambiente nuovo,
facilitare la comunicazione,
lavorare in collaborazione con le diverse figure professionali operanti all’interno dei reparti per ricercare
il benessere globale del giovane paziente.
Lo strumento privilegiato evidenziato come utile a rispondere in modo adeguato alla mission posta dalla
sperimentazione è stato il GIOCO, linguaggio immediato con il mondo del bambino, comprovato facilitatore
delle relazioni con il mondo dell’infanzia.
Dall’analisi dei bisogni si è pertanto ritenuto importante offrire un servizio di animazione ludica, trovare un
tempo per il gioco accanto ad un tempo dedicato alla terapia, questo per tutelare un diritto fondamentale
dell’infanzia, garantire un equilibrio di crescita, rispettare una qualità di vita.
Gioco, quindi, come risposta ad un bisogno e come strumento per creare opportunità, per comunicare,
scegliere, fare, essere protagonisti attivi, efficace risorsa per contrastare lo stato di malessere e di passività
232
che connota l’esperienza ospedaliera, ma anche per supportare la famiglia che è interamente coinvolta nel
vissuto.
Da queste considerazioni è nata la necessità di riservare all’interno dei reparti ospedalieri uno spazio
dedicato al gioco dei bambini ricoverati.
Il poter ritrovare un ambiente ben identificabile, perché colorato e decorato sia con cartelloni ed addobbi,
sia con disegni degli stessi bambini, anche se a volte piccolo e polifunzionale, permette di mantenere una
continuità con le esperienze esterne, scuola, interessi, giochi.
La sala giochi sarà uno spazio accogliente messo a disposizione, uno spazio meno ospedaliero, che potrà
essere individuato come luogo di evasione per “allontanarsi” temporaneamente da una situazione che crea
disagio e ansia, dove il bambino potrà spostare l’attenzione dalla malattia e dal ricovero.
Quando il bambino è costretto a letto sarà l’animatrice a recarsi da lui per ascoltare le diverse esigenze e
proporre attività da realizzare insieme o coinvolgere i genitori. Le animatrici, grazie ad una formazione
mirata alla situazione ospedaliera, propongono sia attività individuali, sia di gruppo, nel rispetto dei tempi,
delle preferenze e delle capacità di ognuno.
Dalla rilettura delle esperienze fatte si è potuto constatare come anche il solo “stare accanto”, trovarsi in
compagnia, guardare il gioco o il lavoro degli altri, spesso è il primo passo per il bambino e il ragazzo per
riprendere i contatti e avviare una relazione positiva.
L’adulto può essere testimone silenzioso, ma presente e attento, che sostiene e interviene solo se
necessario. Si è potuto osservare che, soprattutto all’inizio del ricovero, è preferita una relazione in un
rapporto uno a uno: compito dell’adulto è, quindi, quello di offrire una prima accoglienza e di mediare per
facilitare un clima di condivisione con i pari. Grazie a questo rispetto dei tempi, molto spesso si riesce a
“fare gruppo”, cioè a portare i pazienti verso un’atmosfera di scambio e partecipazione, la sala giochi
diventa uno spazio di socializzazione e di collaborazione.
La sala giochi è anche il luogo dove “potersi sporcare”: nell’immaginario collettivo l’ambiente ospedaliero è
pulito e asettico, quindi il bambino deve controllarsi e limitare l’uso di determinati materiali a letto.
In sala giochi potrà ritrovare ciò che aveva messo da parte e sperimentare di nuovo il piacere della
manipolazione e del colore.
Si è osservato, inoltre, quanto l’ospedalizzazione provochi stati di ansia e di apprensione nei genitori e
come tali vissuti influenzino i comportamenti dei figli; anche il genitore ha bisogno di essere ascoltato,
compreso e rassicurato in modo da poter allentare la tensione per recuperare la capacità di sostenere il
bambino rispetto alle sue paure, trasmettergli la tranquillità e la serenità di cui ha bisogno.
Il gioco in comune è lo strumento principale per rinsaldare l’intesa tra genitori e figli.
La rilettura dell’esperienza ha rilevato quanto sia importante, per uno sviluppo psico-fisico equilibrato del
bambino e una buona gestione di vita di comunità, offrire dei punti di riferimento: si è sentita l’esigenza di
stabilire poche regole condivise per migliorare le diverse relazioni.
233
Possiamo riassumere in macroaree tali indicazioni:
orari della sala giochi con la presenza dell’insegnante-animatrice
scelta del gioco, cura e riordino dello stesso
scelta delle attività manuali che possono essere proposte.
Naturalmente tali regole si differenzieranno a seconda delle necessità e specificità di ogni reparto.
Dall’analisi e rielaborazione delle osservazioni delle insegnanti animatrici del Gruppo Gioco Ospedale
presentate durante i momenti di supervisione, si è potuto evidenziare nel corso del tempo come, oltre ogni
aspettativa, il gioco, opportunamente proposto, sia anche una possibilità “eccezionale” per familiarizzare
con l’ambiente sanitario, trasmettere messaggi e informazioni, per affrontare in modo più consapevole e
rassicurante le diverse situazioni. Quindi, accanto allo spazio gioco che deve essere garantito, è possibile
ricercare e offrire strategie di comunicazione e informazione che attraverso il linguaggio ludico
accompagnino e rassicurino il bambino e la famiglia in ospedale.
La nuova visione di “ospedale accogliente e competente” potrà e dovrà tenere in giusta considerazione i
contributi offerti da educatori, animatori, volontari… che potranno integrarsi nel quadro dei rimedi atti a
ritrovare un benessere psicofisico globale; da questa azione ne deriverà un valore aggiunto a favore dei
percorsi di accoglienza.
Dal momento che una parte delle ansie e dei timori del bambino, come si coglie dai comportamenti, dai
disegni, dalle espressioni verbali e non verbali, sono sicuramente legate al senso di sconosciuto, di
smarrimento che il bambino e la famiglia si trovano ad affrontare al momento del ricovero, si è cercato di
elaborare alcune proposte progettuali che rispondessero alle necessità di conoscere, di avere spiegazioni e
accompagnamento.
La Storia Cancellapaura, Operazione in Gioco, Play-Hospital, sono progetti nati per presentare l’ospedale,
offrire esperienze di familiarizzazione con l’ambiente ospedaliero, utilizzando anche il linguaggio del gioco
per fornire informazioni comprensibili con termini conosciuti e vicini al vissuto dei giovani pazienti.
In particolare La Storia Cancellapaura propone laboratori per familiarizzare con i presidi sanitari più comuni
(calzari, mascherine, guanti…) per trasformare, con l’uso di un po’ di fantasia, i materiali sanitari in materiali
ludici. L’offerta di un setting adeguato dove sperimentare una manualità libera che dia l’opportunità di
scaricare-trasformare-fantasticare può restituire la possibilità di espressione e creare un clima di
condivisione e di apertura.
Operazione in Gioco invece, propone un percorso di preparazione e di accompagnamento del bambino e
della famiglia all’intervento chirurgico; viene presentato dalle animatrici del Gruppo Gioco Ospedale che
hanno curato la messa in opera del progetto, condiviso e concordato da un gruppo di lavoro che ha visto la
partecipazione di personale medico sanitario ed educativo. La collaborazione delle diverse professionalità
ha reso particolarmente significativa l’esperienza offrendo un esempio di lavoro in sinergia che ha risposto
alle finalità di
234
rispondere alle domande dei bambini
aiutare le famiglie ad affrontare la “comunicazione difficile” con i figli
fornire uno strumento alle equipe mediche per dare informazioni in modo semplice ed efficace.
La realizzazione del libro gioco Lasciati prendere per mano è stata la prima tappa di questo percorso, il
libro, consegnato alle famiglie nel momento del pre-ricovero, offre una prima presentazione, seguita dai
laboratori di gioco-teatro e in ultimo dal libro-teatro itinerante, strumento che ripercorre i diversi momenti
che un bambino deve affrontare dal momento del ricovero, alla sala operatoria, alla dimissione.
Il libro-teatro itinerante è stato ideato e realizzato con caratteristiche specifiche (dimensione, grafica) per
poter catturare l’attenzione e la curiosità dei piccoli pazienti, per rinforzare le informazioni e spiegare le
regole indicate in questo percorso. La lettura/racconto di questo libro speciale vede anche l’utilizzo di
pupazzi a guanto che diventano mediatori e facilitatori della relazione con il bambino. Tamino e Stella
saranno le mascottes di riferimento che i bambini potranno ritrovare anche in diverse situazioni di gioco.
Ampliamento del servizio offerto da Operazione in Gioco nell’ospedale Regina Margherita è stata la
collaborazione con i reparti di Oncoematologia e Centro Trapianti dove, utilizzando la stessa metodologia,
si sono potuti avviare degli incontri di accompagnamento dei bambini e delle famiglie per sostenere e
rinforzare le comunicazioni del personale medico.
Date le proprietà del progetto si è potuto anche esportare l’esperienza, adattandola ad un’altra realtà
ospedaliera; in collaborazione con le colleghe del Gruppo Gioco Ospedale operanti presso il reparto di
pediatria dell’Ospedale Martini ha preso avvio un percorso analogo: Giocooperando, che sviluppa gli stessi
obiettivi educativi in un contesto ospedaliero differente.
PlayHospital è un DVD multimediale rivolto a ragazzi tra i dieci e i quindici anni ricoverati in attesa di un
intervento chirurgico, di un esame diagnostico o di cure specifiche. Comprende attività e strumenti diversi
(filmati, interviste) che fanno leva sull’informazione, sulla condivisione di esperienze e sul gioco come
stimoli per superare le situazioni difficili e trasformare la presenza in ospedale in un momento di crescita
personale e familiare. Il progetto si è sviluppato secondo l’approccio dell’edutainment, utilizzando quindi
una piattaforma multimediale e interattiva per stimolare la curiosità e la creatività dei ragazzi e raggiungere
gli obiettivi educativi di base.
La visione del gioco come strumento di relazione ha offerto anche la possibilità di promuovere altre
esperienze laboratoriali che sono state accolte nello spazio biblioteca. La Bibliomouse, biblioteca interna
all’OIRM aperta a tutti i bambini, anche a quelli che vengono solo per visite ambulatoriali o per un day
hospital, è una preziosa opportunità che permette di ospitare numerose iniziative che rinforzano le
relazioni con il territorio.
Esempio di interscambio con la territorialità è stato il progetto Il colore prende il volo, che ha messo in
relazione i bambini in ospedale con gli alunni di classi esterne per produrre opere che fossero segno e
235
strumento per migliorare e arricchire gli spazi ospedalieri, con produzioni artistiche realizzate in
collaborazione con Maestri d’Arte.
L’impegno comune e condiviso nell’offrire attenzione e ascolto in un contesto di difficoltà, in cui le risorse
individuali sono particolarmente fragili e dove la comunità può e deve essere di supporto fornendo
appoggio e opportunità diverse, ci permetterà di avviare progettualità nuove, diversamente rispondenti,
ma soprattutto di far maturare e sostenere una sensibilità sempre più aperta, che sicuramente potrà
tradursi in una crescita sociale e umana.
2. Un sorriso contro la paura
Santo Cicco
Anche giocare può aiutare a “non pensare al rumore del terremoto”.
È difficile giocare in una tendopoli dove tutto ha nuove regole, nuovi ritmi e nuove dinamiche, ma farlo può
essere molto importante. I bambini sono stati tra le categorie più esposte alle reazioni del trauma da stress
dopo il terremoto aquilano: ansia, paura, insonnia, rabbia, tristezza, senso di colpa per essere sopravissuti
sono solo alcuni tra i sintomi più comuni.
Nella nostra esperienza tra le tendopoli abbiamo osservato bambini disorientati, catapultati in una
situazione completamente nuova e spesso drammatica. In questa situazione abbiamo più volte avuto
l’impressione di essere in mezzo a “bambini di strada”: tutta la vita si svolgeva tra i viottoli della tendopoli,
senza regole, senza orari se non quelli dei pasti in mensa, senza un luogo domestico se non una tenda
condivisa tra più nuclei familiari.
Da queste osservazioni prende vita il progetto RiCREAZIONE, nato dalla volontà di dare una risposta
immediata e duratura alle esigenze del comprensorio aquilano martoriato dal sisma.
Per chi vive a circa sessanta chilometri da L’Aquila è evidente sentire come vicina la tragedia che ha colpito
colleghi, amici, parenti. Il terremoto ha segnato la vita di noi abruzzesi in profondità, ci ha toccato nei beni,
negli affetti, ma ha dato anche forza ad un senso di responsabilità e ad una voglia di contribuire alla
ricostruzione di un tessuto sociale sentito come proprio.
Nell’immediatezza del sisma abbiamo tutti assistito ad una gara di solidarietà che ha coinvolto tutta la
Nazione ma, come sempre accade, con il tempo i riflettori si spengono. Tante organizzazioni, venute da
lontano, accorse immediatamente dopo l’evento sismico, hanno da subito espresso il massimo sforzo per
essere di aiuto alla popolazione, ma andranno via: noi del posto abbiamo la possibilità di adoperarci per
assicurare una strutturata continuità degli interventi!
Il nostro progetto mira alla realizzazione di interventi stabili e duraturi di clownterapia e animazione per i
bambini e le famiglie, con lo scopo di offrire loro una opportunità di elaborazione dell’evento traumatico
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attraverso attività ludiche e di espressione delle emozioni. L’intento è quello di restituire una quotidianità
di vita tale da diminuire la situazione di disagio.
I soggetti coinvolti sono cooperative, gruppi e associazioni da anni impegnati nel territorio dell’entroterra
abruzzese, in interventi di clownterapia ed educazione di minori.
Iniziato dapprima con interventi settimanali all’interno di varie tendopoli, scelte nell’ottica di privilegiare
quelle meno servite da altri interventi di aiuto e di evitare di disperdere le risorse in azioni che si sarebbero
inevitabilmente ridotte in puro intrattenimento, il servizio, gestito da una equipe di clown/animatori che
provengono da ambiti professionali diversi (educatori, animatori socio-culturali, assistenti sociali, attori,
medici, psicologi…) e coordinati dalla cooperativa sociale Fantacadabra di Sulmona, ha successivamente
pianificato i propri interventi tenendo conto delle reali necessità del territorio.
Una caratteristica delle nostre proposte di animazione è stata da subito la manualità, il fare, il costruire. È
evidente l’importanza pedagogica che assume, per il bambino che ha subito il crollo della propria casa e
della propria vita, il ri-costruire, il ri-creare. Legno di recupero, tappi di rame e di sughero, rocchetti per il
cotone da cucito, bottiglie di plastica e lattine diventano stimoli fondamentali con cui giocare e costruire
giocattoli.
Realizzare un giocattolo non vuole dire solo costruire un oggetto che sostituisca il prodotto acquistato nei
negozi, ma significa riconoscere al giocattolo una serie di legami di tipo relazionale ed educativo. Significa
dare un’opportunità concreta alle potenzialità creative, troppo spesso mortificate e invece una volta tanto
ampliate a dismisura, senza limitazioni di spazio. Si impara che c’è uno spreco enorme nella nostra società e
che non è vero che il giocattolo più bello sia quello comprato.
Nella costruzione il “processo” che porta alla realizzazione del giocattolo diventa importante quanto
l’oggetto realizzato, perché durante il processo il bambino si educa ad utilizzare materiali poveri e naturali,
apprende nuove storie, crea relazioni significative per la sua crescita, e questo è già da intendersi gioco.
È la capacità di stupirsi che contraddistingue l’uomo vivo. Essa è alla base della curiosità e quindi della
conoscenza. È la creatività, la capacità di vedere i lati nascosti delle cose, ribaltare la realtà, a dare
concretezza, o almeno un’immagine tangibile, ai sogni.
3. Giochiamo alla quotidianità?
Rosita Deluigi109
CasaOz è un servizio diurno che si rivolge ai bambini che incontrano la malattia e alle loro famiglie.
L’obiettivo primario è offrire uno spazio aperto perché la famiglia possa ritrovare la dimensione del
quotidiano, spesso scardinata dai ritmi che la malattia impone. In tal senso, lo spazio diventa luogo
109
Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del turismo - Università di Macerata.
237
significativo in cui condividere esperienze, percorsi, difficoltà e l’apertura è data dalla versatilità del servizio
che accoglie ogni singolo membro della famiglia, a seconda delle necessità. Sottolineiamo la dimensione di
casa che si fa luogo grazie alla relazionalità su cui si fonda e che attribuisce significato all’esperienza
condivisa; a differenza dei nonluoghi110, attraverso cui le famiglie spesso passano, non caratterizzati dal
permanere e dal condividere, la casa diventa punto di riferimento per riappropriarsi del proprio sé in
continuo cambiamento. “Lo spazio del nonluogo non crea né identità singola, né relazione, ma solitudine e
similitudine”111; la costruzione di un luogo, invece, richiede attenzione all’identità in evoluzione, supporto
alle interazioni, spazio per l’incontro e promozione della scoperta e valorizzazione dell’originalità e
dell’unicità di ogni soggetto.
I bambini e i ragazzi coinvolti, nella fascia di età zero-sedici anni, possono trascorrere il loro tempo libero
ricreandosi e ritrovandosi112, mettendosi in relazione con un gruppo di pari; le mamme e i papà possono
riposarsi e riacquistare le energie per affrontare le sfide del quotidiano e continuare a dare forza e speranza
ai propri figli; i fratellini e le sorelline sani trovano un tempo per sé in cui esprimere il proprio diritto di
esserci! La storia del Mago di Oz113 fa dà sfondo all’esperienza condivisa e consente a tutti i soggetti
coinvolti di intraprendere un viaggio nella quotidianità alla scoperta non solo delle proprie difficoltà, che
trovano spazio per essere ascoltate e accolte, ma anche delle proprie risorse che, in casi di criticità,
possono diventare fonte di resilienza114 personale e familiare.
Con l’arrivo dell’uragano della malattia, che disarticola i ritmi di “normalità”, si intraprende il viaggio con i
timori e la paure di chi si avventura, come Dorothy, su una via mai percorsa, alla ricerca del coraggio del
leone per affrontare le avversità, avvalendosi dell’intelligenza perduta dello spaventapasseri per diventare
creativi, con il cuore dell’omino di latta per racchiudere e condividere le emozioni, i desideri, i sentimenti di
ciascuno. CasaOz si mette al fianco di chi cammina su questa via sconosciuta perché il sentiero non sia
percorso in solitudine; le famiglie al cui interno vi sia un bimbo ammalato vengono accolte nella loro
interezza o come singoli membri e la relazione di reciprocità si instaura con tutto il nucleo, con i genitori,
con bambini sani e malati.
110
Per ulteriori approfondimenti si veda: Augè M., Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano, 1996. 111
Augè M., (1996), op.cit., p. 95. 112
Per ulteriori approfondimenti si veda: Milani L., Un, due, tre… liberi tutti. Riflessioni e percorsi educativi tra disabilità e tempo libero, SEI, Torino, 2004. 113
Il titolo originale dell’opera a cura di L. F. Baum è The Wonderful Wizard of Oz, edito nel 1900. Inizialmente nato come allegoria del sistema economico statunitense entrato in crisi a fine ‘800, divenne nel 1939 un film di successo che contribuì a diffondere l’opera tradotta in numerose lingue. 114
Con il termine resilienza si descrive la capacità dei soggetti di far fronte a momenti critici e stressanti della propria esistenza, facendo appello alle risorse personali, reagendo e riorganizzandosi in maniera positiva. Il termine deriva dalla scienza dei materiali e, originariamente, indica la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. Per ulteriori approfondimenti si vedano: Malaguti E., Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Edizioni Erickson, Trento, 2005; Cyrulnik B., Malaguti E., Costruire la resilienza. La riorganizzazione positiva della vita e la creazione di legami significativi, Edizioni Erickson, Trento, 2005.
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Nel contesto di CasaOz115 il gioco diventa strumento di comunicazione, di educazione, linguaggio e modalità
di relazione con bambini, e non solo, che attraversano un momento di difficoltà. Giocando è possibile
instaurare un dialogo fondato sulla reciprocità e una interazione significativa con bambini e ragazzi a caccia
di “normalità”. Ciò avviene perché, nel contesto di CasaOz, il tentativo è quello di lavorare sul sostegno alla
quotidianità e sulla costruzione di luoghi e di tempi a misura di Persona. In tal senso, si promuove il diritto
dei bambini116, malati o sani che siano, a crescere e a sviluppare la propria personalità, così come si
sostengono gli adulti nel riappropriarsi della capacità di far fronte al cambiamento continuo e, in
particolare, nel caso dell’incontro con la malattia infantile, nel continuare ad essere adulti in relazione,
disponibili a mettersi in gioco con i propri figli.
Costruire proposte di gioco e, allo stesso tempo, mettersi in ascolto delle idee, dei bisogni e dei desideri dei
bambini, consente di restituire tempi ai bimbi e di creare interazioni fra i pari che spesso la malattia non
consente. Il tempo libero si alterna al tempo della terapia e della cura, dell’attesa e della risposta, del
controllo e della somministrazione e, forse, può aiutare i bambini ad affrontare i difficili compiti e ritmi che
la malattia impone, in modo diverso, a tutta la famiglia. La cura si integra con il prendersi cura, alimentando
spirali di relazioni in cui trovare appoggio e sostegno e in cui poter esprimere il proprio sé, accettando e
gestendo i propri limiti e attivando e valorizzando le proprie risorse. In tal senso, è importante liberare il
tempo e renderlo a misura di persona, perché vi sia la possibilità di sperimentarsi e di riconoscersi come
soggetto creativo e capace di progettarsi e riprogettarsi anche nelle situazioni di difficoltà. “Il tempo
dell’uomo è un tempo segnato dalle scelte o meglio è il tempo delle scelte, quindi è il luogo della libertà e
delle responsabilità per la progettualità. In questa prospettiva, l’uomo non è il padrone, ma il custode del
tempo, colui che costruisce il senso dell’esistenza. Sacralità, socialità, ritualità, soggettività, progettualità
del tempo sono dimensioni per una qualità dell’esistenza che deve essere garantita a tutti”117. Custodire un
tempo che sembra fuggire nel suo scorrere veloce e in cui anche il significato appare sfuggente di fronte
alla malattia, non è certo impresa facile. È necessario sostenere percorsi di ricerca di senso perché l’uomo
non smetta mai di interrogarsi e di riprogettarsi, anche nel momento in cui la problematicità sembra avere
il sopravvento e l’unica cosa che sembra essere possibile fare è restare immobili perché nulla muti in
peggio. La malattia può avere questo potere paralizzante e rimodellare tutte le dinamiche familiari
facendole diventare statiche e difficili da vivere, sia per i genitori, sia per i figli.
Recuperare la dimensione del gioco può divenire elemento di equilibrio per i bambini e i ragazzi
intrappolati o trascinati nel vortice della malattia, dove davvero è possibile prenderli per mano e
accompagnarli per sentieri che nemmeno noi adulti conosciamo con certezza... È l’arte di avventurarsi alla
115
Per ulteriori informazioni sulla struttura, sul funzionamento e sull’accesso ai servizi si veda www.casaoz.org . 116
A tal proposito, sottolineiamo l’importanza di prendere in considerazione il bambino nella sua interezza, garantendo adeguate occasioni di crescita continua anche in riferimento alle indicazioni della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre. In particolare si vedano l’articolo 24 riguardante le cure sanitarie e l’articolo 31 dedicato al gioco e alle attività ricreative. Per ulteriori approfondimenti si veda il sito www.minori.it 117
Milani L., (2004), op.cit., pp. 9-10.
239
ricerca di un orizzonte che è cambiato e che ha destrutturato le certezze, le aspettative e le prospettive
presenti prima dell’arrivo della malattia. Il gioco diventa un modo per camminare insieme nelle sfide della
vita di tutti i giorni esprimendo il proprio sé con un adulto di riferimento e con altri bambini avvolti in un
grande vortice di confusione che li rende frammentati e soli.
È molto importante giocare con i bambini e, allo stesso tempo, mettersi in gioco con gli adulti significativi,
creando spazi di condivisione in cui si pensa, si ride, si agisce insieme e l’esperienza condivisa diventa
momento da ricordare e motivo per sperare! Dove la speranza non è una illusione fittizia ma, piuttosto, il
fondamento di una esistenza autentica. Lo sviluppo continuo della persona come progetto incompiuto e
aperto alla possibilità assume un senso in quanto a ciascuno “è affidato il compito e la responsabilità di
portarlo a compimento. Per questo la vita umana è sostanzialmente incertezza e rischio: una promessa e
una scommessa allo stesso tempo.”118 Sostenere la progettualità personale consente di dare ampio respiro
alla relazione educativa messa in campo e, in particolare la sfera del gioco richiede la giusta sottolineatura
come canale di comunicazione, di interazione e di crescita reciproca continua.
A tal proposito, le proposte curate dagli educatori e dai volontari di CasaOz percorrono alcuni assi
fondamentali che di seguito prenderemo in analisi:
l’ambientazione e il filo conduttore: l’importanza di personaggi fantastici per creare appartenenza;
le situazioni di gioco strutturate come modalità di interazione e di confronto con altri bambini;
l’ascolto e l’accoglienza di proposte di gioco informale;
i giochi simbolici come ritorno alla normalità e ai ritmi di vita;
il gioco come linguaggio e punto di contatto fra culture diverse;
la presenza degli adulti: dal far giocare al mettersi in gioco;
L’ambientazione della casa in relazione alla storia del Mago di Oz consente di caratterizzare gli spazi e di
creare l’incontro con personaggi della fantasia che però riconducono la riflessione su alcuni elementi
caratteristici dell’uomo: l’intelligenza, il cuore, il coraggio.
La dimensione ludico-ricreativa passa attraverso l’ingegno e la creatività dello spaventapasseri, sostenendo
i bambini e i ragazzi nel fare nuove scoperte, nel relazionarsi e familiarizzare con l’ambiente e nel riscoprire
le proprie risorse che, attraverso la fantasia e l’immaginazione, consentono di proiettarsi nel futuro e di
fare progetti. Il gioco si può inventare e, allo stesso tempo, si possono proporre giochi in cui mettersi alla
prova utilizzando le proprie abilità intellettive, stimolandole anche in caso di deficit. Il poter inventare
consente ai ragazzi di riappropriarsi di una facoltà che troppo spesso è condizionata e limitata da percorsi di
gioco pre-stabiliti o pensati con un secondo fine. Scoprirsi e riscoprirsi persone creative119, capaci di
118
Filippi N., Per una dimensione pedagogica della speranza, in Pedagogia e Vita, 3, 2004, p. 90. 119
La creatività consente di mettere in atto modelli divergenti di fronte al continuo ripetersi di una routine che spesso innesca meccanismi di risposta automatici. Interrogarsi di fronte alla realtà richiede la capacità di adottare uno sguardo “altro” e di avventurarsi nella sfida e nel rischio di intraprendere nuovi percorsi. Nell’incontro con la malattia, il cambiamento, talvolta, avviene in modo brusco e i soggetti coinvolti o meglio, travolti, non riescono ad attivare in tempi rapidi tale risorsa. Ecco perché è
240
immaginare e di avere un pensiero originale apre spazio alla costruzione della propria identità e alla
possibilità di mettersi in dialogo con gli altri.
Il cuore dell’omino di latta riconduce alla necessità di accogliere i sentimenti, i desideri, i bisogni che ciascun
soggetto porta con sé. Talvolta, possono essere esplicitati anche nella dimensione ludica perché si crea un
clima di familiarità in cui si percepisce di essere in una situazione sicura in cui potersi esporre. La
relazionalità passa attraverso il gioco in ogni istante, sia fra pari, sia nell’interazione con gli adulti e
consente di creare contesti di esperienza significativi. Mettersi in ascolto120 degli altri e del messaggio che
custodiscono e che comunicano, richiede l’accoglienza incondizionata perché possa emergere l’autenticità
di ciascuno. La dimensione ludica mette in dialogo risorse e vincoli e crea uno spazio di espressione e di
incontro della profondità dei soggetti che sanno di potersi mettere in gioco senza troppi pre-giudizi e pre-
comprensioni che spesso ostacolano un incontro autentico.
Il coraggio del leone si declina proprio nella capacità di mettersi in gioco e in dialogo con altri, cimentandosi
in dinamiche cooperative spesso inusuali. Creare incontri e lavorare per un obiettivo comune richiede la
disponibilità a mettersi in dialogo e ad apprendere dall’esperienza121 e dall’incontro con gli altri. Il sapere si
costruisce anche dialogando e non rimane immobile e immutabile; piuttosto, assume sfumature diverse e
in continuo movimento e va alla ricerca di un saper fare e saper stare con gli altri122 che, senza dubbio,
richiede protagonismo e capacità di mettersi in discussione. Il coraggio di mettersi e permanere in relazione
necessita del riconoscimento reciproco “dell’altro da me” e della voglia di scommettere sulle relazioni
autentiche e sulla ricerca di significati condivisi che valorizzino la visione personale di ogni soggetto.
La seconda linea portante presa in esame nell’esperienza ludica di CasaOz riguarda le situazioni di gioco
strutturate come modalità di interazione e di confronto con altri bambini. In tal senso, si rileva l’importanza
della costruzione di occasioni ludiche in cui i soggetti interagiscano in un clima educativo che restituisca
fiducia e possibilità di espressione. I singoli non sono più soli ma entrano a far parte di un gruppo e si
confrontano con i propri pari e, in una dinamica di arricchimento reciproco e di scambio, imparano a gestire
i piccoli conflitti. Agli adulti è richiesto non solo di proporre il gioco e di strutturarlo in modo che sia
accessibile e fruibile da tutti ma, soprattutto, di dare vita al clima di fiducia relazionale in cui le dinamiche si
importante sostenere le persone nello sperimentarsi in tal senso, per non perdersi di fronte al quotidiano che sembra non lasciare spazio ad un rinnovamento sostenibile. Dal punto di vista relazionale, sono necessarie capacità di analisi e flessibilità per costruire maggiori spazi di espressione “per” e “con” il soggetto. Per ulteriori approfondimenti si vedano: Mencarelli M., Creatività, La Scuola, Brescia, 1976; De Bono E., Creatività e pensiero laterale, Rizzoli, Milano, 1998. 120
Ci riferiamo all’ascolto attivo, competenza fondamentale dell’educatore che si riferisce al saper ascoltare con attenzione e in modo partecipativo il messaggio, più o meno esplicito, che l’altra persona o il contesto stanno comunicando, dando voce alla soggettività e generando spazi di dialogo e di accoglienza in cui può avvenire una interazione autentica e reciproca. Per ulteriori approfondimenti si vedano: Gordon T., Genitori efficaci. Educare figli responsabili, La Meridiana, Bari, 2007; Gordon T., Relazioni efficaci, come costruirle, come non pregiudicarle, La Meridiana, Bari, 2005; Gordon T., Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon: pratiche educative per insegnanti genitori e studenti, Giunti Lisciani, Teramo, 1991. 121
Per ulteriori approfondimenti si veda Blandino G., Granieri B., La disponibilità ad apprendere, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995. 122
Per ulteriori approfondimenti si veda Delors J., Nell’educazione un tesoro, Armando Editore, Roma, 1997. Inoltre, per aggiornamenti consultare il sito www.unesco.org.
241
svolgono. Spesso ciò significa de-strutturare il gioco per creare nuove norme comprensibili e condivise da
tutti e per dare spazio alla creatività anche di fronte alla struttura del gioco che, talvolta, rischia di
imbrigliare la fantasia. Il crearsi del gruppo, sempre mutevole nella sua composizione e nella sua trama
relazionale, diviene obiettivo educativo che trae forza anche dal saper giocare insieme, creando situazioni
interattive e dinamiche. Il gruppo, così, può diventare un “luogo di comunicazione educativa”123 in cui la
trama dei rapporti interpersonali si infittisce e assume significato, singolo e comunitario, anche grazie alle
esperienze condivise.
L’ascolto e l’accoglienza di proposte di gioco informale richiedono apertura verso l’altro per promuovere
una sempre crescente considerazione del contesto e delle identità in interazione in esso presenti. Questi
due elementi fondamentali si influenzano e costruiscono reciprocamente nella continua dinamica delle
relazioni che passano anche attraverso idee di gioco: il contesto si costituisce nello scambio relazionale fra
alterità e diversità; l’identità si rafforza esprimendosi e si modella interagendo. Perché tali condizioni siano
rispettate e valorizzate, occorre dar voce al bagaglio personale che ciascuno porta con sé, alla capacità di
pensare e di mettere in atto modelli differenti da quelli standardizzati a cui solitamente siamo abituati, al
desiderio di liberare il gioco da seconde finalità che spesso lo deformano. Il piacere che la dimensione
ludica produce si sviluppa non solo attraverso una strutturazione organizzata e formalizzata ma, spesso, si
avvia in situazioni informali, innescando una spirale di partecipazione al divertimento e della distensione
come momento che solleva dalla pesantezza del quotidiano con uno sguardo di leggerezza, non per questo
più superficiale.
I giochi simbolici come ritorno alla normalità e ai ritmi di vita mettono in discussione i modelli vissuti
all’interno della dimensione familiare e sociale vissuta dai bambini e dai ragazzi. Immedesimarsi nel ruolo
di…, inventare e articolare una trama in cui si sviluppa la propria storia, interpretate empaticamente i
personaggi che accompagnano i soggetti nella quotidianità o quelli a cui si tende ad essere, mettersi in
gioco immaginando e impersonificando vari ruoli sociali conosciuti, sono tutti modi con cui i bambini
tengono sotto controllo gli elementi e le variabili delle situazioni che loro creano e che decidono come
nascono, come procedono e come si sviluppano. Per i bambini che incontrano la malattia e che, quindi,
hanno ritmi di vita controllati e scanditi ancor di più dall’esterno e da esterni, può essere importante e
rassicurante sperimentarsi nel ruolo di regista, in cui il narratore delle storie rappresentate prende delle
decisioni per sé e, spesso, per gli altri. Non è raro assistere e interagire nel gioco del far finta di… essere a
casa con mamma e papà, andare a scuola con i propri compagni e la maestra, occuparsi della casa,
impersonare il postino o il cuoco di un grande ristorante, coinvolgendo i presenti nella simulazione di una
situazione in cui i bambini sono protagonisti capaci di scegliere e di decidere come andrà a finire… È un
continuo intreccio fra regole e immaginazione in cui si articolano dinamiche interpersonali e modelli sociali
123
Per ulteriori approfondimenti si vedano: Pollo M., Il gruppo come luogo di comunicazione educativa, LDC, Torino, 1990; Pollo M., Animazione culturale. Teoria e metodo, LAS, Roma, 2002.
242
da poter condividere, sperimentare e negoziare con altri124; in tal senso, diventa fondamentale la presenza
di compagni di gioco significativi, creativi e con capacità immaginative, bambini o adulti che siano.
Altro punto fondamentale preso in considerazione in CasaOz è il gioco come linguaggio e punto di contatto
fra culture diverse. La presenza di molteplicità di origini e di culture di riferimento all’interno del servizio
richiede attenzione nel favorire e sostenere la nascita di relazioni fra le famiglie presenti. Talvolta
l’elemento linguistico crea difficoltà in tal senso ed è necessario “attrezzarsi” per avviare una
comunicazione minima per intendersi; nel caso di arrivi e inserimenti improvvisi ci si avvale del mediatore
culturale che può informare le persone su ciò che sta accadendo perché possano entrare nella dimensione
della quotidianità della casa. In seguito, con le prime acquisizioni della lingua, le comunicazioni si
intensificano e riescono ad emergere i bisogni, le preoccupazioni, i desideri. I bambini e i ragazzi trovano nel
gioco un veicolo di interazione con gli altri e spesso un pallone, una bambola, una stanza ambientata, un
materiale messo a disposizione mediano le difficoltà di comunicazione, generando occasioni di “dialogo alla
pari”. Fra adeguamento e riconoscimento reciproco i ragazzi condividono i giochi, si confrontano, si
sperimentano nella ludicità e nelle modalità relazionali, trovando un equilibrio e stabilendo punti di
contatto. I momenti di gioco condivisi diventano patrimonio di relazione e richiamano alla memoria la
possibilità di stabilire legami con gli altri, creando vicinanza e prossimità con chi è diverso da me. La
diversità può divenire occasione di arricchimento reciproco se si è in grado di lasciare spazio all’altro dentro
di sé; è importante, dunque, favorire l’apertura e il dialogo, proporre dinamiche di gruppo in cui ciascun
soggetto possa essere attivo, valorizzare l’originalità di ciascun soggetto e creare percorsi di interazione in
un clima di fiducia e di rispetto. Talvolta, si rende necessario “rallentare per far spazio al legame”125 perché
la condivisione necessita di tempi non affrettati e di spazi in cui permanere. Si rallenta per generare
coesione, ci si ferma per perdersi e ritrovarsi, ci si mette in ascolto dei tempi di ciascun soggetto, ci si
prende cura dei contatti attivati perché non rimangano episodi sporadici ma diventino un nodo significativo
dell’intreccio di relazioni da costruire fra pari e con gli adulti.
Perché la dimensione ludica venga promossa e diventi spazio di interazione è necessario che la presenza
degli adulti veicoli il passaggio dal far giocare al mettersi in gioco. Il gioco, infatti “non è una cosa da
ragazzi” ma richiede di saper richiamare la disponibilità a intraprendere percorsi di vicinanza con i bambini
proprio con il linguaggio a loro più familiare. Ciò richiede la disponibilità a mettersi continuamente in gioco
e in discussione perché la presenza adulta sia significativa, sostenga le relazioni, dia vita a percorsi di
crescita, crei una comunicazione attenta ai più piccoli, autentica e orientata allo sviluppo continuo. Gli
adulti che sanno mettersi in gioco non hanno difficoltà a giocare perché possono in tal modo incontrare i
bambini e i ragazzi e condividere con loro esperienze significative. È necessario non invadere e non
124
Per ulteriori approfondimenti si vedano: Vygotskij L., Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori Riuniti, Roma, 1994; Vygotskij L., Lo sviluppo psichico del bambino, Editori Riuniti, Roma, 2010. 125
Revelli M., Perché non rallentare? Fare spazio al legame nella città dei flussi, in Animazione Sociale, 4, 2007, p. 3.
243
trasformare a proprio piacimento il contesto della ludicità ma, piuttosto, provare a cimentarsi in regole e
norme condivise che descrivono la cornice in cui la relazione di gioco si svolge. Giocare in momenti di
criticità e di preoccupazione causati dalla malattia può non essere facile per un genitore e CasaOz può
sostenere la capacità di relazionarsi anche attraverso questa dimensione. L’adulto che conosce i personaggi
e si avventura nel meraviglioso mondo del Mago di Oz può attivare o riattivare la sua fantasia e declinare la
creatività proprio nelle modalità di relazione con i bambini e i ragazzi. Entrare a far parte o proporre
situazioni di gioco strutturate facilita l’avvicinamento alla ludicità e richiede di mettersi in gioco in minima
parte; può essere un buon allenamento per proporre in seguito attività e percorsi da vivere insieme ai
propri figli, in ascolto dei loro bisogni. Il gioco simbolico consente di attuare la dinamica dei ruoli, mettendo
in campo aspettative, modelli, stereotipi con cui nella quotidianità dobbiamo fare i conti: a fronte delle
proposte di bambini abbiamo possibilità di metterci in dialogo e di esplorare sentieri originali, stimolando la
curiosità e il desiderio di apprendere e di interrogarsi continuamente. Infine, l’adulto può sostenere
percorsi di avvicinamento fra bambini di origine e di provenienza differente, in quanto partecipanti alla
stessa realtà e soggetti di tempi e spazi di crescita condivisa.
Giocare e mettersi in gioco richiede di saper uscire dagli schemi istituzionali spesso attribuiti ai ruoli sociali
e, soprattutto richiama agli aspetti di gratificazione e di gratuità126 che il gioco, per essere tale, porta con sé.
In seguito al convegno e allo scambio di esperienze avvenuto ci sembra di poter sottolineare la necessità di
creare occasioni in cui giocare e mettersi in gioco, percorrendo un tratto di strada comune sul difficile
percorso della crescita continua. Le differenti identità potranno così incontrarsi, conoscersi, prendersi per
mano e proseguire il cammino, ciascuno con il suo passo ma, forse, un po’ meno sole.
Riferimenti bibliografici
AA.VV., L’animazione socioculturale, EGA, Torino, 2001.
Augè M., Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano, 1996.
Blandino G., Granieri B., La disponibilità ad apprendere, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995.
Cyrulnik B., Malaguti E., Costruire la resilienza. La riorganizzazione positiva della vita e la creazione di
legami significativi, Edizioni Erickson, Trento, 2005.
De Bono E., Creatività e pensiero laterale, Rizzoli, Milano, 1998.
Delors J., Nell’educazione un tesoro, Armando Editore, Roma, 1997.
Filippi N., Per una dimensione pedagogica della speranza, in Pedagogia e Vita, 3, 2004.
Gordon T., Genitori efficaci. Educare figli responsabili, La Meridiana, Bari, 2007.
Gordon T., Relazioni efficaci, come costruirle, come non pregiudicarle, La Meridiana, Bari, 2005.
126
Pollo M., Il gioco come luogo di animazione, in AA.VV., L’animazione socioculturale, EGA, Torino, 2001, p. 163.
244
Gordon T., Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon: pratiche educative per insegnanti genitori e studenti,
Giunti Lisciani, Teramo, 1991.
Milani L., Un, due, tre…liberi tutti. Riflessioni e percorsi educativi tra disabilità e tempo libero, SEI, Torino,
2004.
Malaguti E., Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Edizioni Erickson, Trento,
2005.
Mencarelli M., Creatività, La Scuola, Brescia, 1976.
Pollo M., Il gruppo come luogo di comunicazione educativa, LDC, Torino, 1990.
Pollo M., Animazione culturale. Teoria e metodo, LAS, Roma, 2002.
Revelli M., Perché non rallentare? Fare spazio al legame nella città dei flussi, in Animazione Sociale, 4, 2007.
Vygotskij L., Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori Riuniti, Roma, 1994.
Vygotskij L., Lo sviluppo psichico del bambino, Editori Riuniti, Roma, 2010.
Sitografia: www.casaoz.org ; www.minori.it ; www.unesco.org
4. Associazione Baby-Xitter e il gioco
Gianni De Corral127
L´Associazione Baby-Xitter (www.baby-xitter.org) nasce con l´obiettivo di offrire il primo servizio in Italia di
baby-sitting specialistico per minori diversamente abili.
In questa attività, principalmente legata al migliorare la qualità della vita del bimbo/ragazzo disabile, è
spesso presente “il gioco”, sia come strumento terapeutico (esercizi di logopedia, psicomotricità, etc.), sia
come mezzo di comunicazione e interazione.
Per noi il gioco è sempre un po’ “difficile”, perché spesso abbiamo di fronte ragazzi e bambini che non
riescono a giocare come vorrebbero, per deficit, mancanza d´attenzione, ansia, capacità cognitive e/o
motorie.
Ma è anche vero che il gioco è spesso il mezzo con cui relazionarsi e creare il primo contatto.
Per riuscire a far ciò dobbiamo tenere conto di alcuni punti estremamente fondamentali:
non dimenticare MAI che sono prima di tutto dei bimbi/ragazzi
partire dalle loro risorse e non dai loro problemi
pensare che la relazione con loro è un’occasione per entrambi e NON un problema
Il gioco per noi è uno degli elementi fondamentali per le nostre attività, tanto che nei nostri corsi di
formazione, dedichiamo delle ore sul tema gioco e come relazionarsi attraverso questo.
127
Presidente Associazione Baby-Xitter
245
L’attività ludica è studiata per le nostre attività ordinarie, ma ci è stata utile anche per un’inaspettata
attività straordinaria.
L´esperienza nata come gioco, si è rivelata utile per una tragica situazione.
Ecco come: noi collaboriamo a volte con l’ANPAS e, quindi, anche con la Protezione Civile.
Nel 2008 quest’ultima ci ha chiesto di fare una serie d´incontri per capire, in caso di calamità, come
intrattenere i bimbi nel periodo di permanenza nelle strutture protette per l´infanzia.
Così abbiamo fatto alcuni incontri con una psicologa esperta in psicologia della catastrofe, con esperti di
attività ludiche su come creare giochi con materiali semplici e di recupero e su come utilizzarli per
relazionarsi con loro.
Nel giugno dello stesso anno è stata organizzata una grossa manifestazione di tre giorni dove è stata fatta
anche una vera e propria esercitazione di protezione civile.
In quei tre giorni avevamo, insieme a loro, il compito di intrattenere nelle strutture protette per l´infanzia i
bimbi arrivati.
È stata un´esperienza importantissima e bellissima.
Quello che più è saltato all’occhio è di come un gioco costruito direttamente dal bambino, diventi un
oggetto preziosissimo e unico per lo stesso.
Ne è un esempio il fatto che una delle tre giornate fosse dedicata alla costruzione di piccole mongolfiere
(gonfiate con elio). Queste sarebbero dovute partire tutte insieme per far arrivare in cielo i desideri dei
bambini, che erano stati scritti in foglietti inseriti dentro i piccoli cestini alla base delle mongolfiere. Il lancio
non è stato fatto, perché nessun bambino ha voluto lasciare la propria mongolfiera! Non avremmo mai
pensato che quest’esperienza sarebbe stata utile a distanza di pochi mesi per il terremoto in Abruzzo.
Anche noi siamo stati presenti nei Campi di Barisciano (AQ) e Acquasanta a L´Aquila, occupandoci
principalmente dei minori disabili presenti nelle due tendopoli. Anche qui il gioco è stato “vitale”... le scosse
sismiche venivano vanificate dal gioco che continuava. Ma non solo, i giochi creati da loro erano
nuovamente dei “loro giochi” (dopo aver perso i propri sotto le macerie) e soprattutto gli unici apprezzati
veramente, a differenza di tutti quelli arrivati in donazione.
Abbiamo voluto accennarvi questi episodi per sottolineare l´importanza del gioco nella vita dei bambini.
Anche se credo sia importante, “per vivere”, che il gioco continui ad essere presente anche negli adulti.
Ora, tra i nostri futuri obiettivi c´è quello di realizzare la prima CASAGIOCO, dove accogliere minori disabili e
normodotati insieme, per attività ludiche libere e strutturate, dove utilizzare il gioco come importantissimo
mezzo per l´integrazione e la crescita.
246
5. La storia del gioco in ospedale a Parma
Corrado Vecchi 128
1991: il gioco entra in ospedale
La cooperativa sociale Le Mani Parlanti ha attivato dal 1991 fino al 1997, nel reparto di Oncoematologia
pediatrica, un’attività ludico-espressiva e relazionale. Obiettivo principale era “far giocare” i bambini: non
comico-terapia, clownterapia o ludoterapia, ma gioco, in cui la fantasia del bambino si espandesse
nell’esplorare il mondo attorno, trasformandolo secondo il proprio desiderio. L’organizzazione ospedaliera,
per far sì che la fantasia del bambino trovasse collocazione nell’ambiente ospedaliero, ha dovuto
modificarsi per dare spazio a questa nuova “attività” ed è stato necessario:
porre attenzione alle norme igieniche generali (per evitare la trasmissione di malattie);
valutare le caratteristiche di “pericolosità” dei giochi (pezzi troppo piccoli, sostanze tossiche, ecc.);
considerare gli aspetti logistici del materiale di gioco, tempi di attività da intersecarsi con altre di
riferimento (terapie, riposo, scuola, ecc.);
valutare le preoccupazioni dei genitori, giustamente orientati alla malattia e alla terapia più che ad altro;
evitare l’attivazione di complicazioni: reazioni allergiche alle sostanze di gioco (colori, pongo, mastici,
ecc.).
sormontare preconcetti culturali (i bambini sono malati, si giocherà a casa, i bambini devono rimanere a
riposo…)
1997: si progetta
Il dott. Izzi e la cooperativa sociale Le Mani Parlanti propongono agli assessorati alle Politiche socio-
assistenziali e alle Politiche educative la lettura della legge 285/97 “Disposizione per la promozione dei
diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” per la riduzione del disagio giovanile, e la relativa
Direttiva Regionale come utile strumento di intervento a favore dei bambini ricoverati in ospedale,
riconosciuti come minori in difficoltà.
1998: si inizia
È l’anno d’inizio ufficiale del Progetto Giocamico, che ha ottenuto il finanziamento previsto dalla legge
285/97. La cooperativa sociale Le Mani Parlanti attiva il progetto, sovvenzionato oggi dall’Azienda
Ospedaliera Universitaria di Parma che si è fatta capofila, dal Comune e dalla Provincia di Parma.
Oggi il progetto Giocamico è composto da:
1 responsabile generale
7 educatori (1 psicoterapeuta, 4 psicologi e 2 educatori professionali)
128
Responsabile della Cooperativa Le Mani Parlanti di Parma
247
4 tirocinanti post laurea in Psicologia
tirocinanti di Psicologia - Scienza dell’Educazione
200 volontari (inseriti a seguito di un percorso di formazione di quindici ore che riguarda, tra l’altro, le
responsabilità personali, le norme gestionali, il segreto professionale, le regole vigenti, i vestimenti, le
mascherine,etc.).
Con queste collaborazioni è possibile svolgere l’attività nei reparti tutti i giorni, compresa la domenica e le
festività, sia al mattino che al pomeriggio.
Filosofia del progetto:
Il bambino ha bisogno del gioco per conoscere, imparare e quindi crescere: anche in ospedale è valida la
stessa esigenza. Il fatto di essere ricoverato non vuol dire che la sua crescita si fermi per riprendere una
volta dimesso. Infatti, è diritto di ogni bambino che si trova ad affrontare l’esperienza dolorosa e
destrutturante della malattia e del ricovero ospedaliero, avere tutte le possibilità per esprimere la
propria emotività.
Nella Carta dei diritti dei bambini ospedalizzati l’articolo 7 afferma il diritto al gioco:
“Il bambino deve avere piena possibilità di gioco, ricreazione e studio adatta alla sua età e condizione, ed
essere ricoverato in un ambiente strutturato, arredato e fornito di personale adeguatamente preparato”.
Inoltre l’articolo 10, afferma che:
“Il bambino deve essere trattato con tatto e comprensione e la sua intimità deve essere rispettata in ogni
momento”.
L’attività di Giocamico, oltre ad essere un’attività ludica che utilizza giochi strutturati, ha come priorità la
costruzione di giochi (pupazzi, burattini e altro) con i bambini stessi utilizzando carta, stoffa e cartoncini. I
bambini e le bambine hanno inoltre prodotto numerosi spettacoli di burattini che sono stati rappresentati
da loro stessi nei rispettivi reparti e il filmato dello spettacolo è poi stato mostrato agli altri pazienti.
Giocamico ha quindi tra i suoi obiettivi:
attivare momenti di gratificazione e di gioia;
favorire la socializzazione e quindi l’integrazione sociale;
offrire una continuità con la vita normale di tutti i giorni;
attivare iniziative di gioco a valenza anche terapeutica.
Progetti “speciali”: con questa dicitura s’intendono tutti quei progetti che vanno oltre la “normale”attività
ludico-relazionale quotidiana nei reparti e che utilizzano il gioco in tecniche psicologiche finalizzate ad
obiettivi precisi.
Oltre il Gioco
248
Dal 1999, su richiesta dei responsabili del Centro per le Fibrosi Cistiche della Clinica pediatrica, è stato
attivato un servizio specifico per i pazienti affetti da fibrosi cistica; l’attività riguarda l’accompagnamento
dei pazienti, durante le ore di permesso, anche al di fuori dell’ospedale per trascorrere momenti di svago.
In viaggio con fantasia
È un progetto, attivo nel reparto di Oncoematologia pediatrica dal 2002, che si pone come obiettivo quello
di aiutare i bambini che saranno sottoposti a pratiche diagnostiche e terapeutiche dolorose, a controllare,
attraverso tecniche di rilassamento, di gioco con l’utilizzo della fantasia, la loro paura nei confronti di ciò
che dovranno affrontare.
Io speriamo che me lo merito
Progetto attivo nel reparto di Oncoematologia pediatrica che si rivolge a tutti i pazienti che vengono
sottoposti a interventi diagnostici e terapeutici dolorosi. Viene premiata la loro “forza” e la loro
collaborazione, che in questi momenti è estremamente importante, con un attestato di merito e con la
possibilità di scegliere un gioco all’interno di un catalogo. Questo progetto prevede il coinvolgimento del
personale che deve consegnare l’attestato e il catalogo.
Dott. Nanza
Progetto attivo dal 2007 nel Reparto di Medicina nucleare, rivolto ai pazienti pediatrici che devono essere
sottoposti all’esame di risonanza magnetica. Attraverso un’attività di gioco, con l’utilizzo dei presidi medici
che incontreranno durante lo svolgimento dell’esame, gli educatori preparano i/le bambini/e ad affrontare
il suddetto percorso diagnostico.
Scintigrafia
Progetto attivo dal 2009 nel Reparto di Medicina nucleare, rivolto ai pazienti che devono essere sottoposti
all’esame di scintigrafia. Gli educatori, nei momenti in cui i bambini attendono di essere sottoposti
all’esame, svolgono attività ludica e forniscono supporto ai genitori.
Domiciliazione dell’intervento
Attivo sin dall’inizio del progetto Giocamico, riguarda soprattutto i pazienti del reparto di Oncoematologia
che non sono della nostra città e ai quali è stato dato un alloggio e che, pur non essendo ricoverati in
ospedale, vivono nella loro abitazione una sorta di isolamento, specialmente per motivi terapeutici.
In questi casi sono allora le educatrici o i volontari del progetto che si recano all’abitazione per offrire
momenti di gioco e svago ai bambini permettendo inoltre ai genitori di usufruire di tempo libero.
Alla scoperta del Pianeta S.O.
È un progetto attivo nel reparto di Chirurgia infantile, iniziato nel 1999 con l’obiettivo di far conoscere e
sperimentare ai bambini e alle bambine in età compresa fra i cinque e gli undici anni, che dovranno essere
operati, gli strumenti diagnostici e terapeutici che incontreranno nel comparto operatorio.
249
Offre contenimento emotivo per bambini e adulti in un momento dove ansia e preoccupazione,
solitamente, sono di difficile gestione, permettendo loro di adattarsi all’ambiente ospedaliero solitamente
fonte di paura.
Avere la possibilità di conoscere e sperimentare sotto forma ludica permette di affrontare con maggiore
sicurezza e tranquillità la nuova situazione che incontreranno.
Alla scoperta del Paese S.O.
Progetto nato nel 2003 con le stesse finalità del precedente, ma rivolto ai bambini e alle bambine (ed ai
loro genitori) in età compresa fra i tre e i quattro anni. L’attività cerca di avvicinare i/le bambini/e e i
genitori alle figure mediche ed infermieristiche presenti nel comparto operatorio. Attraverso il gioco è
facilitata la loro conoscenza, affinché si sviluppi nei bambini fiducia e tranquillità verso la stessa équipe
medica.
6. Tra la nebbia ed il deserto
Storie di incontri, giochi e formazione professionale tra le due sponde di un mare
Maria De Vita129
Prologo
Giugno 1998: il Comune di Alessandria decise di aprire la ludoteca C’è sole e luna. Uno spazio organizzato
per il gioco, progettato e realizzato per essere un servizio socio-educativo, basato sulla relazione e sulla
creazione di condizioni attente all’universo complesso che ogni bambino contiene, attente alla sua libera
espressione, al suo bisogno di cura e di socializzazione con altri bambini, ma anche con adulti che abbiano
tempo e voglia di giocare.
Aprile 2001: lo stesso Comune di Alessandria attivò un nuovo servizio socio-educativo, il ludobus
L’Arcoincielo, un furgone pieno di giochi ed attrezzature ludiche, che si muove per tutta la città, per
incontrare e fare giocare chi incontra, soprattutto in aree e quartieri periferici e decentrati, normalmente
più carenti di servizi ed opportunità per i bambini.
Senza queste due date, la storia che stiamo per raccontarvi, non ci sarebbe mai stata...
Dal nulla sbucò quando meno ce lo aspettavamo, o forse sì… dalle sue tasche uscivano
ora musica, ora raggi di luce, ora macchie dai mille colori. Ma la cosa più strabiliante è
che parlava una lingua che tutti riconoscevano…
Una fredda sera del febbraio di quattro anni fa, arrivarono, in ritardo sull’orario previsto, infreddoliti, ed
assai poco attratti dalla cena che avevamo preparato per loro, sette operatori dei servizi sociali di
129
Referente della ludoteca C’è sole e luna - Comune di Alessandria
250
Kasserine, una periferica città della Tunisia, fuori dai circuiti turistici e dai flussi di investimenti, e con un
tessuto economico e sociale che spesso vede nell’emigrare altrove l’unica risorsa.
Questi sette viaggiatori che, guardando un cibo a loro non famigliare, ci stavano riservando un gentile ma
perplesso sorriso, erano venuti ad Alessandria per comprendere come funzionavano e come avrebbero
potuto essere loro utili gli obiettivi, le modalità di intervento, gli strumenti della ludoteca C’è sole e luna e
soprattutto del ludobus L’Arcoincielo.
Il fine era quello di far nascere, anche nella regione di Kasserine, un servizio di ludobus, vale a dire un
progetto socio-educativo capace di compiere una serie di azioni utili alla prevenzione del disagio dei minori,
attraverso la realizzazione di momenti ed iniziative di gioco ed animazione, aventi lo scopo di creare
occasioni di integrazione positiva, di socializzazione, di valorizzazione delle creatività e delle potenzialità di
bambini ed adolescenti. Ma bisognava anche pensare di fornire possibilità di informazione,
sensibilizzazione, e sostegno ai loro genitori, in particolare alle molte mogli di emigrati, spesso sole ed
isolate in luoghi decentrati, ma impegnate a portare (in Tunisia come nel resto del mondo) sulle proprie
spalle i carichi della vita quotidiana.
Il ludobus avrebbe dovuto inoltre contribuire alla diffusione, in quella realtà, di una cultura ed una pratica
della “rete”, creando iniziative capaci di implementare la collaborazione tra i differenti soggetti, istituzionali
e non, attivi nel settore socio-sanitario e nel settore educativo, per una ottimizzazione delle risorse già
presenti a Kasserine.
Una serie di responsabilità complesse ed obiettivi ambiziosi, che il ludobus di Kasserine avrebbe dovuto
svolgere, su un territorio molto vasto e punteggiato da villaggi e piccoli insediamenti lontani e scollegati gli
uni dagli altri. Gli operatori tunisini avrebbero dovuto portare in giro i loro giochi e le loro occasioni di
incontro con bambini ed adulti attraversando, non una urbanizzata pianura spesso nebbiosa, ma spazi dove
le case si fanno sempre più rade e le strade sembrano condurti ai margini del deserto.
Come fare?
Proprio allo scopo di trovare risposte a questa domanda cominciò allora un percorso di formazione, di
scambio di esperienze e metodologie tra noi operatori del Servizio minori e giovani del Comune di
Alessandria, (in particolare i funzionari responsabili di quei servizi, gli animatori della ludoteca e del
ludobus) e gli animatori, gli educatori e gli assistenti sociali del “Ministero per la donna e l’infanzia” ed il
“Ministero per gli affari sociali” di Kasserine.
Un percorso complesso, che ha sempre fatto dell’incontro tra le storie personali e professionali dei
partecipanti, il cardine della riflessione teorica e delle scelte metodologiche della formazione. Quindi un
percorso faticoso ed entusiasmante, ma fondato su poche ma preziose convinzioni, ormai quasi “tatuate”
sulla nostra pelle di operatori:
251
La fiducia che la differenza (di provenienza, di esperienza, culturale, ecc.) può certo causare problemi ma
può essere anche una ineguagliabile risorsa, se la si riesce a percepire non come un’anomalia da ridurre,
ma come un’opportunità unica di conoscenza degli altri, e in particolar modo di se stessi.
La fiducia che il gioco possa essere uno strumento ideale per realizzare tutto ciò, uno strumento
universale, immediato e accessibile. Capace di sorvolare i confini ed annullare, per un sospeso attimo, le
distanze, rimanendo sempre scanzonato, leggero e fedele a se stesso.
La convinzione che il lavoro di rete, di messa in contatto e di tessitura di relazioni tra le varie realtà
presenti su di un territorio, sia un lavoro che richiede pazienza e sia spesso irto di ostacoli, ma che
produce risultati insperati, il cui valore va ben al di là della somma delle parti e che accresce, in chi vi
prende parte, il senso di partecipazione e di cittadinanza.
Dal febbraio 2004 il viaggio è proseguito e sta continuando, attraverso periodici scambi, che ci permettono
di verificare come, pur tra i numerosi intoppi, i servizi continuino ad esistere e crescere. Dal giugno 2006 si
è unita al progetto anche un’altra città, Mahdia, un dinamico centro turistico in forte espansione, che ha
inaugurato, nell’agosto 2007, il proprio ludobus e la propria ludoteca.
Prima di concludere è indispensabile evidenziare l’operato di due presenze fondamentali per la nascita ed il
mantenimento in buona salute di questi progetti e di tutta questa esperienza. In primo luogo
l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni di Tunisi, che ha prima favorito l’incontro tra i partners
internazionali, ed ha poi supportato, soprattutto attraverso l’instancabile attività di un suo giovane
funzionario, Mourad Hennar, le varie fasi dell’esperienza, rinvenendo fondi, garantendo le relazioni,
fornendo un supporto operativo e logistico alle idee.
L’altro ingrediente fondamentale di questa riuscita amalgama è Jamila Jakani, mediatrice culturale dello
“Sportello per cittadini stranieri” del Comune di Alessandria, senza le cui molteplici capacità, senza la cui
intelligenza nel cogliere, unire, distinguere le varie situazioni, senza la cui passione e allegria (e un briciolo
di follia…) la strada percorsa sarebbe stata molto, molto più corta.
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252
Capitolo 10
La formazione ludica compresa tra il sapere e il saper giocare
Il tema: riflessioni sulla formazione professionale ludica, in un momento in cui la dimensione europea del
gioco si confronta per trovare indicatori e parametri sulla costruzione delle competenze tra teoria, prassi e
autenticità ludica. In particolare come si è modificata la formazione professionale dei ludotecari? La
formazione permanente è un’esigenza sostenuta, chi sono gli operatori che si occupano di gioco in termini
educativi? Quali i riferimenti regionali? E gli stessi sono comparabili? Quali possono essere le relazioni con il
mondo europeo per avviare scambi e interconnessioni?
Coordinamento a cura di: Tamara Lavina, Bernardetta Gallus
Contributi di: Bernardetta Gallus (Forcoop Agenzia formativa - Torino), Tamara Lavina (ludoteca Drago
Volante - ITER - Torino), Luisa Norgia (CSEA - Torino), Irene Catalano e Deborah Bontempo (associazione Il
dado magico, Capo d’Orlando - ME), Simona Straccamore (cooperativa Finisterrae - Frosinone)
Riflessioni e lavoro di gruppo
Tamara Lavina, Bernardetta Gallus
La cornice del contesto normativo di riferimento
Prima parte
La legge Turco ha significato uno spartiacque nell’organizzazione e nell’erogazione dei servizi all’infanzia e
all’adolescenza nell’ente pubblico, istituendo una collaborazione progettuale e fattiva fra privato sociale e
istituzioni pubbliche. La legge 285/97 si proponeva di intervenire per migliorare le condizioni di vita e
prevenire il disagio di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi.
L’aspetto innovativo prevede un accordo tra soggetti che devono condividere obbiettivi e risorse mettendo
in luce e strutturando un intervento che tenga conto dei bisogni del territorio. Infatti anche nella
dimensione microsociale i territori sono luoghi di vita, che offrono diverse possibilità di realizzazione e
presentano diversi ordini di problemi. Il territorio mette in luce il valore dell’esperienza educativa
quotidiana: quell’ambito in cui abbiamo esperienza della relazione faccia a faccia.
Il mondo vitale quotidiano costituisce dunque l’ambito di ciò che è vicino, di ciò che è “familiare”.
253
Prima di tutto la legge 285/97 ha alle sue spalle la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo (1950 Nazioni
Unite), la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (1989 New York) e poi la Carta di Barcellona
(1992).
Prima della 285/97 la formazione del personale nell’ente locale era soprattutto interna e funzionava come
aggiornamento per le insegnanti delle sezioni di scuola materna: ad esempio le due ludoteche nate a Torino
nel 1981 formavano le insegnanti di scuola materna comunale.
Le finanziarie degli anni ‘90 hanno impedito alle amministrazioni locali l’assunzione di nuovo personale,
soprattutto sui servizi per il tempo libero e quindi si è posto il problema della continuità di questi servizi. La
285/97 ha dato una risposta parziale ma indispensabile alla possibilità dei servizi di sopravvivere. A questo
punto si è posto il problema della formazione degli educatori in relazione alle esigenze dei servizi.
Nel 2004, per tutelare l’esperienza educativa dei Centri di Cultura, è nata ITER, Istituzione Torinese per una
Educazione Responsabile. Nel progetto di ITER vengono individuati i parametri e gli indicatori su cui si
costruiscono le competenze a due livelli:
per gli insegnanti comunali
per educatori di cooperative (che gestiscono servizi in regime di outsourcing)
con lo scopo, per le ludoteche, di mettere al centro il diritto al gioco del bambino, la relazione e la
trasmissione del sapere ludico. Un servizio complesso e diversificato che si confronta quotidianamente con
altre figure pedagogiche, come ad esempio educatori affidatari, educatori di comunità, insegnanti,
educatori di cooperative e genitori. Tutti soggetti educanti che richiedono ai ludotecari una proposta
formativa specifica in rapporto alla relazione che essi hanno con il bambino o il ragazzo.
Seconda Parte
Come vengono formati i ludotecari o gli esperti del gioco in Italia? Quali competenze devono avere? Si
tratta di competenze specifiche di questa professionalità oppure sono competenze diffuse nella educazione
formale e informale dell’individuo? Quali sono le professioni coinvolte nel ruolo del saper giocare?
Sintesi del panorama piemontese e italiano: In Piemonte l’agenzia formativa CSEA ha proposto negli anni
scorsi la formazione per il tecnico di laboratorio educativo ludico di 600 ore, in collaborazione con il
Comune di Torino, finanziato dal Fondo Sociale Europeo.
In Italia, già nel lontano 1989, la regione Sardegna aveva istituito un corso di operatore di ludoteca come
qualifica regionale di 800 ore. Le esperienze della formazione non mancano nel panorama italiano, non
esiste però una normativa nazionale che inquadri questa professionalità del ludotecario o come lo si voglia
denominare in modo univoco e condiviso. Infatti gli standard formativi della Regione Piemonte al momento
non hanno un profilo di riferimento. Diverse agenzie formative, esperte nel settore educativo e
dell’animazione, hanno tentato in questi anni di farsi finanziare i corsi per operatore di ludoteca o per
tecnico di ludoteca e di ludobus (per esempio Forcoop Agenzia Formativa) con il fondo sociale europeo della
254
nostra Regione che, pur avendo approvato i corsi, non li ha quasi mai finanziati, non essendo questi ultimi
considerati prioritari per il mercato del lavoro.
In altre regioni italiane esistono esperienze di diverso tipo realizzate negli ultimi vent’anni: si passa da corsi
brevi di 24 ore a corsi di 800 ore o più, proposti da diverse agenzie, associazioni o centri di formazione.
Forte l’esperienza del Lazio che presenta un’offerta interessante, non solo come formazione finanziata ma
anche come offerta formativa a pagamento (ad esempio la Regione Lazio rilascia un attestato di qualifica
riconosciuta a livello regionale). Questa regione ha diversificato la filiera formativa (tecnico di laboratorio
creativo versus tecnico di ludoteca, piuttosto che operatore di ludoteca, o coordinatore di ludoteca, o
semplicemente ludotecario). Nel Lazio, oltre alla formazione base di questi operatori, vi è un’offerta nella
formazione superiore universitaria.
Infatti in questo anno formativo 2009-2010 l’Università degli Studi Roma 3, presso la facoltà di Scienze della
Formazione (Filiera Educativo Professionale - E.P.C.) ha istituito un corso di approfondimento dal titolo
“Ludoteconomia e programmazione delle attività e tecniche educative” a cura del prof. Umberto De Angelis
(del valore di 10 CFU - crediti formativi universitari).
Anche altre Regioni non sono da meno: l’offerta di corsi per tecnici di ludoteca e/o per ludotecari è forte
anche in Lombardia, in Emilia Romagna, in Toscana, in Veneto, in Abruzzo, in Sicilia, in Puglia, in Campania e
si può dire che tutte le Regioni italiane abbiano espresso esperienze in questi ultimi anni, più o meno
strutturate, di formazione delle competenze necessarie a questa tipologia di professionista sia nella
Formazione professionale che in campo privato profit (con corsi a pagamento) che nel Terzo Settore no
profit (ad esempio cooperazione sociale e associazionismo del settore).
La filiera delle professioni contigue al tema pedagogico del sapere e del saper giocare è comunque lunga,
infatti molte professioni intervengono, a diverso titolo, su questo tema portandosi dietro un dominio di
competenze abbastanza diversificato sul fronte del sapere, saper fare e saper essere (se vogliamo utilizzare
questa modalità descrittiva delle capacità umane).
L’elenco sarebbe lungo:
educatori professionali (con laurea triennale attualmente in uscita da diverse Facoltà universitarie; il
titolo più forte normato a livello nazionale è quello del D.M. 529/98)
animatori professionali
educatori prima infanzia (con formazione sia in ambito di Formazione professionale che in ambito
Universitario)
animatori della prima infanzia
educatori per il gioco in ospedale
clown socio-sanitari (standard in osservazione in Regione Piemonte)
assistenti educativi
insegnanti
255
tecnici creativi e altri ancora.
Non ci dilunghiamo per non annoiare ma queste professionalità, questi agenti educativi che utilizzano il
gioco a diverso titolo come strumento di lavoro, quali competenze in comune hanno sul tema del sapere e
del sapere giocare? È necessario focalizzare una specializzazione di competenze specifiche in questo settore
per operare con maggiore consapevolezza e responsabilità, oppure no? Se sì, come? Questo è il tema di
confronto del nostro gruppo di lavoro.
Possibili domande-guida per stimolare la discussione:
per operare nei centri ludici quale formazione di base e quali requisiti di ingresso?
Il repertorio ludico è necessario? È necessario saper giocare e saper fare giochi, con conoscenza di giochi
e giocattoli?
La conoscenza pedagogica, come conoscenza di base della psicologia dell’età evolutiva, è una
conoscenza imprescindibile per questa tipologia di operatori? Soprattutto conoscenze legate al valore e
all’importanza del gioco per lo sviluppo armonico nell’infanzia?
Quali sono i bisogni politici, culturali e formativi di questi professionisti?
Necessitano di conoscenze legislative?
È necessaria una conoscenza del territorio e una connessione con altre figure pedagogiche (ad esempio
servizi sociali, scuola, ecc.)
Quale rapporto con le istituzioni, in particolare quelle locali, in vista di una definizione dei ruoli fra
pubblico e privato?
Quali relazioni con l’Università per costruire un riconoscimento formale e istituzionale del ruolo del
ludotecario e delle ludoteche?
Soprattutto quale formazione dare? La sperimentazione a macchia di leopardo in Italia, sul tema della
formazione di questa professionalità, dura ormai da più di vent’anni senza aver visto una regia unica a
livello di normativa nazionale. Cosa ne pensate?
Quali competenze di base? Quali competenze tecnico-professionali? Quali competenze trasversali
dovrebbe avere questo professionista? Formazione teorica e pratica?
Formazione: continua e permanente?
I finanziamenti per la formazione sono un nodo critico?
Quali strategie per uniformare e condividere un profilo di competenze necessarie a operare nel settore?
Lavoro di gruppo
I partecipanti hanno portato le loro esperienze nella formazione degli operatori del settore e le loro idee
nel merito, con interventi brevi di cinque minuti, secondo la metodologia del focus group, la funzione di
256
moderatore è stata svolta dai due coordinatori. Le esperienze ed opinioni sono state raccolte in un power
point di sintesi da condividere nella discussione allargata del pomeriggio.
Obiettivi del focus group:
1. confrontare l’esperienza dei partecipanti sul tema della formazione e delle professionalità coinvolte
nel tema del sapere e saper giocare (e in generale degli attori educativi coinvolti in questo tema,
comprese le figure adulte non genitoriali, come per esempio i nonni, che allo stato attuale svolgono
una funzione educativa anche di tipo genitoriale);
2. analizzare la costruzione di competenze teoriche e pratiche di un ludotecario, attraverso la ricerca
di parametri su cui si costruiscono le competenze, per arrivare in futuro ad una carta formativa
comune fra pubblico e privato e spendibile a livello europeo.
Il lavoro del gruppo si è aperto con una breve relazione delle due coordinatrici, Bernadetta Gallus, della
Forcoop e Tamara Lavina, insegnante del Comune di Torino, che hanno presentato al gruppo di lavoro il
contesto normativo di riferimento e gli elementi per avviare la discussione tra i partecipanti.
È subito apparsa chiara l’eterogeneità del gruppo, in cui erano presenti figure professionali molto diverse:
insegnanti, educatori di asilo nido sia pubblico che privato, ludotecari, formatori di agenzie e cooperative,
dipendenti e coordinatori di cooperative, di associazioni e di istituzioni pubbliche. Questa eterogeneità ha
reso sicuramente più ricco il confronto.
Il primo intervento è stato a cura di Luisa Norgia, da trent’anni formatrice per lo CSEA di Torino, che ha
messo in luce l’esperienza come elemento cardine dell’intervento formativo “una formazione che non è
istruzione né addestramento” ma che ha come obiettivo le esigenze dei servizi sul territorio e quindi parte
dall’analisi dei bisogni di questi servizi e dalle capacità individuali per arrivare a definire un percorso
formativo individualizzato. È una formazione non rigida che si adegua alle esigenze di cui segue il
cambiamento.
Simona Straccamore, cooperativa Finisterrae di Frosinone, ha sottolineato l’importanza di una formazione
permanente, sia su tematiche specifiche che trasversali, capace di integrare l’esperienza vissuta con la
teoria (non si può parlare di gioco senza giocare). Una formazione flessibile spendibile in ambiti di servizi
diversi: dall’infanzia, all’adolescenza, agli adulti. Ha sottolineato, inoltre, l’importanza di un coordinamento
nazionale. Oggi Ali per Giocare rappresenta una realtà in questa direzione.
Un differente approccio è stato quello di Irene Catalano, presidente dell’associazione Il Dado Magico, con
sede a Capo d’Orlando (ME), che ha introdotto un nuovo elemento nella discussione: il partire da sé. Il suo
intervento, infatti, ha preso il via da quello che è stato il suo percorso formativo, dall’essere insegnante
statale, al momento in cui intraprende il percorso dell’associazionismo o del privato sociale. La sua
formazione inizia a Firenze con Giorgio Bartolucci, al Centro Internazionale delle Ludoteche. Purtroppo la
realtà del Sud è una realtà complessa, dove esistono forti potenzialità e motivazioni, ma dove le
amministrazioni locali sono l’ostacolo più grande. Non esiste un impegno per la formazione dei ludotecari
257
né ludoteche vere e proprie. Cambiare le cose si rivela spesso impossibile a causa di un contesto “chiuso”
alla verifica e al mutamento. L’associazione svolge un lavoro con le famiglie in situazioni di disagio,
promuovendo e valorizzando i ruoli della maternità e paternità responsabile.
Altro tema centrale è stato messo in luce da Pasquale, cooperativa Valdocco di Torino, che partendo dal
clown di corsia di ospedale ha portato al centro del dibattito le emozioni e il saper “far vibrare attraverso il
gioco le corde dell’emozione” (empatia), “saper vivere sulla propria pelle l’emozione nel rielaborare
esperienze infantili a volte dolorose”. Necessità quindi di uno “zoccolo duro” su cui costruire la propria
professionalità, sintesi di formazione teorica ed esperienza di vita, frutto di un costante lavoro introspettivo
e una pratica di verifica e di analisi del lavoro svolto.
Le domande sorte nel gruppo di lavoro a questo punto sono state: come inserire in un corso di formazione
il lavorare di pancia? Come insegnare la motivazione? Michela, educatrice di cooperativa presso una
ludoteca a Torino, ha affermato che spesso ci si trova a lavorare poche ore con un conseguente contributo
economico piuttosto basso, evidenziando a questo proposito l’esigenza di un riconoscimento sociale del
lavoro del ludotecario e dell’educatore. Sicuramente questo aspetto è molto importante e non può essere
dimenticato, anche se, ha affermato Martina (cooperativa sociale Abruzzo), “è importante il rapporto di
pancia”, molto utile per superare ed affrontare situazioni drammatiche, come il lavoro nelle ludoteche delle
tendopoli dopo il terremoto a L’Aquila; è importante inoltre la capacità di cogliere le sensibilità dell’altro.
Luisa, della ludoteca L’Aquilone di Torino, ha focalizzato l’attenzione su un nuovo elemento, i prerequisiti:
va bene l’intervento di pancia, l’emozione, ma è anche fondamentale un supporto teorico che getti le basi
della formazione, una formazione che dovrà essere permanente.
Nella discussione finale sono emersi interrogativi legati agli obiettivi propri delle ludoteche oggi, che
vedono il proprio presente problematico, soprattutto rispetto al riconoscimento di un servizio che vede al
centro il gioco, il bisogno di gioco dell’infanzia e un futuro difficile da riprogettare. La precarietà
istituzionale, la fragilità di una prospettiva non impediscono al gruppo di lavoro di pensare che la ludoteca e
il lavoro sul gioco oggi siano elementi da cui partire per costruire una consapevolezza fondata sulla
relazione, sulla responsabilità educativa calata nella vita quotidiana. Inoltre si è sottolineata la necessità di
un legame con il mondo universitario, richiedendo all’Università stessa di revisionare i suoi contenuti e i
suoi metodi, spesso troppo accademici e separati dalla realtà che il futuro educatore dovrà affrontare.
Dalla discussione di questo gruppo di lavoro, peraltro molto numeroso, sono emerse in sintesi le seguenti
riflessioni conclusive:
1. l’esperienza pratica sul campo è un elemento cardine da valorizzare: è stato infatti considerato in
modo unanime come sia importante “gettare” la formazione teorica dei nuovi operatori del gioco
nella prassi professionale dei contesti di intervento (ludobus, ludoteche, scuole, centri di
aggregazione, ecc.),
258
2. la necessità di valorizzare l’esperienza sul campo come il “nutrimento” della formazione continua e
permanente.
Con ampia condivisione i punti di partenza sopra elencati sono stati ritenuti imprescindibili per
l’impostazione di un lavoro formativo e autoformativo in continua evoluzione.
Un elemento trasversale molto interessante e di valore, che è emerso in modo appassionato dall’intervento
di un clown dottore130 (con riferimento all’esperienza del gioco in ospedale a servizio dell’umanizzazione
della cura), è la forza motivazionale che i professionisti del gioco devono avere e devono metterci nei loro
interventi. Quest’ultimo aspetto, trasversale ai contesti professionali di intervento degli operatori del gioco,
abbinato ad un approccio creativo ed emozionale, si è ritenuto che debba essere inserito in una formazione
di base, oltre che da considerarsi come un prerequisito fondamentale (competenze trasversali: saper
essere), che deve essere costantemente nutrito e curato in un sé professionale sempre in divenire.
Nel gruppo è stato molto dibattuto, anche attraverso l’intervento puntuale di Luisa Norgia131, il concetto
che una buona formazione di base e trasversale non debba essere per forza imbrigliata in una forte
standardizzazione, anche perché la diversità delle esperienze territoriali porta in sé i valori e le specificità
delle persone e della comunità locale.
In questa cornice di senso (non eccedere nella standardizzazione dei percorsi formativi) nel gruppo si è
ritenuto necessario dare al ventaglio delle professioni che operano in campo ludico ed educativo una
formazione di base (“zoccolo duro”, così qualcuno dei partecipanti la definiva), nel rispetto delle differenze
e senza appiattire il senso e lo scopo della formazione stessa.
A questo proposito il gruppo ha ritenuto molto importante aggiungere alla formazione di base, da declinarsi
in competenze di: sapere, saper fare, saper giocare e sapere essere, una formazione di tipo tecnico-
professionale continua e permanente, riconosciuta anche a livello universitario, senza cadere nella trappola
dell’accademismo.
Punti aperti e problematici
Dagli interventi è emerso come purtroppo ancora lo status professionale e la riconoscibilità sociale dei
professionisti del gioco sia molto scarsa. La rilevanza educativa data alle ludoteche e ai servizi connessi è
ancora molto poco compresa, quindi come conseguenza non solo sono poco finanziate le politiche dell’agio
e del benessere sociale ma anche i servizi formativi rivolti a questa tipologia di professionalità.
In conclusione, il gruppo ha rilevato come le risorse destinate al sostegno del diritto al gioco, sia per
mantenere i servizi in essere, sia per non disperdere le competenze e le esperienze dei professionisti del
settore, accumulate negli ultimi vent’ anni nei vari territori italiani, siano in gran parte dipendenti da una
volontà politica ed amministrativa. Infatti molti interventi dei partecipanti al gruppo hanno sottolineato che
130
Pasquale Ippolito, formatore e clown dottore - Forcoop di Torino 131
Psicologa e formatrice esperta dell’Agenzia formativa CSEA di Torino
259
le amministrazioni locali non sempre si dimostrano, o si sono dimostrate, sensibili e orientate a
comprendere i benefici e le ricadute positive che avrebbe invece l’investimento in spazi di gioco e di agio,
per tutte le generazioni, come fattore protettivo, di inclusione sociale, di promozione della cittadinanza e di
valorizzazione della cultura e del patrimonio locale. Anche a livello di governo centrale questo contenuto
sembra essersi raffreddato in questi ultimi anni, lasciando sul territorio nazionale delle situazioni di
promozione del gioco molto rarefatte e isolate, con perdita di conoscenza di esperienze che non hanno
potuto continuare in mancanza di sostegni economici e normative di settore dedicate.
Quest’ultima considerazione del gruppo, dedicato alla riflessione su quale formazione sia necessaria per il
futuro, ha messo in evidenza quanto sia importante e urgente fare anche un lavoro di formazione generale
alla cittadinanza, a partire dalle giovani generazioni, sull’importanza del diritto al gioco e sulle ricadute che
ciò porterebbe in termini di integrazione e convivenza civile.
1. Fare formazione per i servizi educativi
Luisa Norgia132
Parte della mia attività professionale si svolge all’interno della formazione professionale, quasi tutta spesa
nella formazione (formazione di base, di specializzazione e di formazione continua) rivolta ai servizi
educativi per la prima infanzia. Nasce circa trent’anni fa presso un ente di formazione della cintura torinese
all’interno di un progetto innovativo che vede la formazione professionale come strumento di politica attiva
del lavoro, ponte tra scuola e lavoro e mezzo per l’aggiornamento e la riqualificazione continua in raccordo
col territorio di riferimento.
Inizia in quegli anni la collaborazione con i nidi del territorio attraverso un progetto di riqualificazione degli
operatori degli asili nido (diventati in seguito alla riqualificazione educatori) e continua con progetti di
aggiornamento e di formazione permanente. Si costituisce un gruppo di lavoro tra rappresentanti degli asili
nido dove la mia presenza ha avuto la specificità di “osservatore esterno” che permette il confronto tra nidi
in un’ottica non autocentrata, facendo progressivamente nascere un’idea di servizio educativo e di risposta
ai bisogni del territorio. Questa specificità è diventata l’elemento forte che ha accompagnato la mia attività
in tutti questi anni, permettendo di radicare la progettazione degli interventi formativi con i bisogni di
figure professionali all’interno dei servizi stessi.
L’esperienza più significativa condotta in questi anni è stata quella della progettazione e realizzazione del
corso di base per educatore prima infanzia che nasce nel 1991 come sperimentazione e diventa alla fine
degli anni ‘90 una qualifica degli standard formativi della Regione Piemonte. Ciò è stato possibile
132
Psicologa - psicoterapeuta formatrice e progettista di formazione.
260
attingendo dall’esperienza dell’équipe di progettazione nella formazione diffusa nei servizi che faceva
riferimento ad un modello e ad un progetto pedagogico dei servizi all’infanzia.
Si intende qui la formazione professionale come un processo dinamico che si evolve nel tempo e che quindi
è in grado di leggere i bisogni provenienti dal territorio di riferimento e di trasformarli in obiettivi e
contenuti formativi. Ciò comporta necessariamente la creazione di un’équipe di formatori con
professionalità differenti ed integrate ma con un progetto pedagogico condiviso ed un modello di
formazione comune. Un’équipe così formata potrà quindi operare scelte metodologiche precise, realizzare
un progetto formativo in cui si instaurino forme di relazione e di cooperazione tra i protagonisti e
individuare strategie di monitoraggio, verifica e valutazione dei risultati. Il modello di formazione a cui
faccio riferimento è un modello che mette al centro l’esperienza utilizzando una metodologia attiva e
dando un ruolo attivo ai protagonisti; una formazione che utilizza la creatività come risorsa, che propone
attività in cui non conta il risultato ma il processo, che propone momenti costanti di rielaborazione
dell’esperienza mettendo al centro il gruppo con la sua funzione di contenitore e di specchio, che integra la
teoria come possibilità di dare senso alle esperienze. In sintesi, formazione come spazio di esperienza e di
rielaborazione.
Nel corso degli anni la formazione ha accompagnato, in termini di individuazione di nuovi profili
professionali e della conseguente progettazione dei percorsi formativi, l’evoluzione dei Servizi educativi:
dalle prime sperimentazioni di servizi integrativi, alla co-progettazione di servizi da parte dell’ente pubblico
e del privato, alla ridefinizione del ruolo del coordinatore pedagogico nella dialettica tra gestione del
servizio e capacità di lettura dei bisogni delle famiglie e della loro evoluzione, fino ad arrivare a quella
articolazione di servizi (nido, micronido, nido aziendale, nido in famiglia, baby parking, centro per bambini e
famiglie, ludoteca, punto gioco, laboratorio espressivo/creativo) che mi auguro verrà presto normata dalla
nuova legge regionale per i servizi all’infanzia.
Infatti, una delle conseguenze di questa sperimentazione è stata una progressiva frammentazione di servizi
intesi non come realizzazione di un’idea di educazione e nemmeno di risposta a bisogni disomogenei, ma
come rincorsa ad esigenze particolari e frammentate, come risposta a richieste “qui ed ora” attraverso la
proposta di servizi “qui ed ora”. Anche la formazione professionale segue questo percorso: si assiste alla
moltiplicazione di corsi caratterizzati da una parcellizzazione disciplinare, dalla mancanza di una adeguata
selezione in termini di attitudini e motivazioni, dall’utilizzo di docenti esperti nelle materie ma privi di
conoscenza dei servizi educativi, da un tirocinio non adeguatamente rielaborato ma visto come spazio in cui
mettere in pratica le teorie imparate in aula, da verifiche che tengono conto solo della capacità di
apprendere contenuti teorici e non del processo di formazione e di crescita di ogni singolo allievo.
Proprio per far fronte a questo dilagare del modello formativo “qui ed ora” e per riaffermare un modello di
formazione fortemente ancorato ai servizi educativi nasce l’idea di creare un rapporto sinergico con ITER,
Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile.
261
Attraverso un protocollo d’intesa che, in virtù della collaborazione nell’attuazione dei corsi per educatore
prima infanzia con la Città di Torino, in qualità di ente gestore dei Servizi educativi e proseguita nel corso
degli anni con l’ampliamento delle attività formative del settore (educatore prima infanzia - servizi
territoriali, coordinatori pedagogici, animatore prima infanzia, attività di riqualificazione e di
aggiornamento, ecc.), si è ipotizzata una collaborazione che potesse permettere, attraverso l’utilizzo
reciproco di risorse e competenze professionali, di dare un valore aggiunto a ciò che già si stava attuando,
anche attraverso un monitoraggio costante di analisi dei bisogni formativi dei Servizi educativi.
La collaborazione è avvenuta su più piani, ed è stata caratterizzata da progettazione comune e scambio di
docenze/consulenze, indirizzandola su alcuni ambiti:
Progettazione comune di percorsi formativi di base (anche di riqualificazione) mirati a figure
professionali inserite nei servizi educativi integrativi.
Rilevazione dei bisogni nell’ambito della formazione permanente per la progettazione comune di
moduli/corsi di aggiornamento per personale educativo e insegnante in servizio, su tematiche
monografiche mirate alla progettazione di percorsi e attività educative/didattiche e di
coordinamento/gestione gruppi di lavoro.
Elaborazione di un protocollo/modello generale per la gestione dei tirocini anche attraverso la
progettazione e sperimentazione di materiali di rilevazione/valutazione e l’individuazione delle sedi più
idonee sia nel periodo scolastico che estivo (centri estivi).
Progettazione e gestione di iniziative di formazione e aggiornamento indirizzate a personale educativo e
insegnanti sulle tematiche dell’educazione permanente per la fruizione dei beni ambientali e culturali
del territorio.
Progettazione in rete con altri enti del territorio che si occupano a vario titolo di infanzia (ad esempio
Dipartimento Materno-Infantile).
Progettazione e gestione di protocolli di ricerca/documentazione/diffusione su esperienze significative
in ambito educativo e scolastico dei servizi gestiti dal Comune.
Progettazione di iniziative di formazione nell’ambito dei protocolli europei e inter-regionali, oltre che in
collaborazione con altre realtà della provincia di Torino, della regione Piemonte o di altre regioni.
Ricerca/formazione in nuovi ambiti della sperimentazione didattica (ad esempio nei campi della
multimedialità e delle tecnologie informatiche).
Per lo sviluppo di tali attività è stato istituzionalizzato un Comitato tecnico-scientifico con compiti di co-
progettazione, diffusione delle iniziative, individuazione docenze, utilizzo laboratori e monitoraggio e
valutazione delle attività.
Il corso “tecnico di laboratorio educativo indirizzo ludico”, realizzato a partire dall’anno formativo 2006/07,
è uno dei risultati di questa collaborazione, avvenuta appunto attraverso l’individuazione di un nuovo
profilo professionale in ambito educativo da impiegare nei centri ludici (punto gioco, ludoteca). In base alla
262
lettura congiunta dei bisogni specifici di professionalità in questo settore è stato progettato il percorso
formativo individuando gli elementi caratterizzanti tale professionalità in termini di attitudini e motivazioni,
di competenze, di stili di conduzione delle attività ludiche, di modalità di progettazione delle stesse in
termini di obiettivi, spazi, attrezzature, verifiche in itinere e finali. Il corso, rivolto a diplomati e laureati in
ambito umanistico ed educativo, comprende 240 ore di stage e 360 ore di attività di aula suddivise in
momenti teorici e momenti laboratoriali. Peculiarità del corso, e valore aggiunto dello stesso, è stata la
realizzazione dello stage presso i centri ludici e l’affidamento di alcune unità formative, in particolare quelle
laboratoriali, agli educatori di ITER che gestiscono le attività ludiche negli stessi centri. A conclusione del
corso, una parte degli allievi specializzati ha avuto la possibilità, attraverso la presentazione di progetti ad
hoc, di essere impiegata presso i centri ludici.
Qualche considerazione conclusiva rispetto al ruolo che la formazione professionale rivolta ai servizi
educativi può assumere oggi.
Stiamo assistendo in questi anni al passaggio progressivo all’Università dei percorsi di specializzazione
rivolti a diplomati e laureati, percorsi che un tempo erano patrimonio della Formazione professionale. Ciò
comporta alcuni problemi, in particolare nella difficoltà che ha oggi il nostro sistema universitario a
sviluppare corsi di insegnamento connotati da una forte presenza di tirocinio e di rielaborazione dello
stesso, unitamente all’esperienza laboratoriale e alla conoscenza dei servizi in cui queste figure andranno
ad operare.
Il ruolo della Formazione professionale in questo quadro dovrebbe essere quello di innestare sulla
formazione universitaria, che verrebbe a caratterizzarsi come una formazione di base prevalentemente
teorica, percorsi di specializzazione brevi, con una notevole presenza di stage, che vadano ad articolare
maggiormente profili professionali spendibili nella gamma di servizi educativi individuati nell’attuale
disegno di legge. Per fare ciò è necessario ribadire il ruolo fondamentale della collaborazione tra
formazione e servizi, strutturando e ampliando quel modello tracciato nelle recenti esperienze con ITER.
2. La “Forma…Azione” ludica
Irene Catalano133, Deborah Bontempo134
Il gioco è un'attività che può possedere una funzione ricreativa, una educativa, una biologica ed una sociale.
Giocare è una delle attività che accomuna tutto il genere umano: pur con forme e modalità diversissime la
componente ludica è presente in tutte le culture.
133
Presidente Associazione nazionale di promozione sociale e solidarietà familiare Il Dado Magico - Capo d’Orlando (ME). 134
Vicepresidente Associazione Il Dado Magico.
263
Il gioco è da sempre stato oggetto di studio di tantissime discipline (filosofia, scienze etnoantropologiche,
psicologia, sociologia, etc.) che spesso arrivano a conclusioni anche molto distanti, probabilmente a causa
della sua intrinseca polisemicità, ma tutte riconoscono al gioco la “gratuità”, il fatto cioè di esulare da
necessità puramente pratiche, senza per questo voler sminuire la funzione dell'atteggiamento ludico nel
processo di formazione. Ma è la psicologia che più di ogni altra disciplina ha visto nel gioco il protagonista
dello sviluppo psico-cognitivo, psico-motorio e soprattutto della personalità del bambino. Per molto tempo
si sono contrapposte sull'argomento due teorie praticamente opposte: quella del “post-esercizio”, per cui
l'attività ludica servirebbe a ottimizzare una nuova dinamica comportamentale, e quella del “pre-esercizio”,
che vede il gioco come momento propedeutico alla vita adulta.
Il gioco è anche affrontato, in maniera puntuale, da Jean Piaget, il quale riconosce ad esso una funzione
centrale nello sviluppo tanto della sfera cognitiva quanto della personalità. L’attività ludica, infatti, sostiene
la funzione simbolica: giocando, il bambino si confronta con una realtà immaginaria che conserva una
relazione con la realtà effettiva ma allo stesso tempo se ne distacca; tramite il gioco, inoltre, i bambini
fanno pratica di un’attività mentale che consiste nel creare simboli per evocare eventi o situazioni non
presenti nella realtà. Tutto ciò è possibile in quanto il gioco è governato dal processo detto assimilazione,
attraverso il quale il bambino adatta e trasforma la realtà esterna in funzione delle proprie motivazioni e
del proprio mondo interno.
Un ulteriore affinamento dell'interpretazione dell'attività ludica viene dallo psicologo russo Lev Vygotskij
che considera il gioco anche come forza attiva per l'evoluzione affettiva ed umana del ragazzo, non solo
cognitiva come in Piaget, rivolgendo pertanto la propria attenzione anche agli affetti, alle motivazioni e alle
circostanze interpersonali. Vygotskij critica anche le visioni del gioco come attività non finalistica e non
produttiva, in quanto, seppur atto totalmente gratuito, costituisce un eccezionale elemento di crescita e di
definizione della struttura di personalità in tutti i suoi aspetti. Il gioco, per l’autore, si colloca nell’ambito del
possibile, quindi apre una Zona di sviluppo prossimale. Giocando, ogni bambino “si comporta sempre al di
sopra del suo comportamento quotidiano” perché “il gioco contiene tutte le tendenze evolutive in forma
condensata ed è esso stesso una fonte principale di sviluppo”. Il gioco, pertanto, rappresenta
un’importante fase di transizione nel processo di separazione del significato dall’oggetto reale. Si creano
infatti nuovi rapporti tra le situazioni nel pensiero e le situazioni della realtà135. Parlando di gioco, è
doveroso un rimando al pensiero di Winnicott, il quale vede nell’attività ludica la situazione in cui
massimamente può esprimersi creatività e, di conseguenza, un momento fondamentale per l’affermazione
del proprio essere. Si possono osservare bambini “perduti” nel gioco: lo spazio-tempo del giocare può
essere infatti definita come “un’area che non può essere facilmente lasciata e che non ammette intrusioni”;
esso rappresenta infatti, come la creatività e la cultura, il momento e lo spazio nei quali poter cercare le
135
Camaioni L., Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2002.
264
risposte ai propri interrogativi. Ci si muove in un particolare campo di esperienza, quello dell’illusione, né
completamente reale (esterno), né completamente immaginario (interno). Proprio per questo motivo, il
gioco costituisce un esercizio di controllo sul reale e un importante fattore di sviluppo, perché strettamente
connesso all’esperienza culturale e alla creatività nel senso più esteso del termine136.
Questa breve introduzione si rende necessaria per evidenziare come sapere di gioco e saper giocare non
sempre si equivalgono e, quindi, riuscire a giocare, intendendo il gioco nell’accezione di attività libera e
afinalistica, altamente creativa e indispensabile nella vita di ognuno, come affermava anche Winnicott,
significa ritrovare il contatto con la parte bambina di noi, con quell’area che nessuno dovrebbe mai
perdere, ma significa al contempo, riuscire a cogliere, con la maturità e l’esperienza derivanti dall’età
adulta, le peculiarità dell’attività ludica, le sue regole, i suoi ambiti di applicazione, la specificità del gioco,
attuabile in maniera diversa nei vari contesti e situazioni, riuscendo, quindi, a coglierne la valenza di
strumento di crescita, di stimolazione e, a volte, di “guarigione”.
Pensare al gioco stimola in maniera quasi automatica un rimando alle strutture più tipicamente centrate
sull’attività ludica: le ludoteche. Occuparsi di ludoteca richiede riflessioni e conoscenze a grandi livelli. Chi
lavora in ludoteca deve possedere indubbiamente capacità individuali sulle tecniche di progettazione e di
realizzazione di diversa natura: giochi, attività, laboratori artistici, ed in particolare sulle tecniche di
costruzione di giocattoli. La ludoteca è anche il posto delle creazioni, delle invenzioni, ed è per questo che
nel suo interno esiste il “laboratorio”. Quest’ultimo, con le sue molteplici attività, richiede al ludotecario
specifiche competenze: artistiche, artigianali, costruttive, ecc. Occorre, quindi, un impegno educativo
legato concretamente al “fare”, una prassi didattica che traduca in termini operativi l’intervento pur senza
perdere di vista gli obiettivi e le finalità. Entrando nei particolari, per poter lavorare in laboratorio il
ludotecario deve:
conoscere i materiali,
conoscere le attrezzature,
conoscere le tecniche,
saper costruire i giocattoli,
saper riparare i giocattoli,
conoscere l’evoluzione del costruire infantile,
usare un linguaggio appropriato,
fare uso del proprio vissuto ludico,
acquisire conoscenza psicopedagogica,
saper osservare,
136
Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974.
265
proprio in virtù della richiesta di qualificazione professionale del ludotecario ed in generale dell’educatore
familiare, che annuncia l’urgenza di programmare una “strategia di coordinamento” che miri a
promuoverne una nuova condizione ottimale per la conquista di uno status professionale.
Moltissimi sono gli operatori ludotecari incaricati di gestire le ludoteche italiane sorte in questi ultimi anni.
Questi operatori sono divenuti, di fatto, una categoria. Non possiamo ignorare la condizione sociale dei
centinaia di ludotecari italiani che da anni si impegnano con sacrificio per affermare il diritto al gioco di
bambini e ragazzi prodigandosi per la tutela della qualità del gioco infantile e delle risorse ludiche e
culturali.
Relativamente alla Sicilia, grazie ad una ricerca svolta dall’Associazione Il Dado Magico A.S.D.
(www.ildadomagico.it) e correlata ad una cospicua raccolta di dati significativi sulla presenza di ludoteche
sul territorio regionale, emerge una grave carenza di strutture e personale qualificato.
In Sicilia ad oggi esiste una grave incongruenza relativamente alla formazione ed alla professionalizzazione
del ludotecario, figura formata attraverso la frequenza ed il superamento di un apposito esame, presso i
corsi regionali finanziati dai FSE. Il percorso in termini teorici segue il normale iter della “formazione
professionale”, ma quello che risulta assolutamente irragionevole è l’aspetto correlato all’attività di stage,
ovvero l’applicazione pratica alla formazione. Infatti, come emerge dalla ricerca svolta dall’Associazione Il
Dado Magico A.S.D., la realtà della ludoteca risulta assolutamente inadeguata, sia in termini quantitativi,
che rispetto alla coincidenza con gli standard europei della categoria. Ciò porta alla conclusione che i
tirocinanti ludotecari vengono automaticamente dirottati verso strutture che non corrispondono
assolutamente a ludoteche.
Pertanto la loro formazione non può ritenersi completa al termine della frequentazione del corso e
nonostante il superamento dell’esame finale. Ecco il motivo per il quale nasce ARLeT Sicilia.
ARLeT Sicilia (Associazione Regionale Ludotecari e Tate), visti i vigenti orientamenti in ambito nazionale e
comunitario relativi alle professioni non regolamentate, ed in assenza di azioni normative nazionali o
regionali di regolamentazione della materia, nasce come associazione di promozione sociale con l’intento e
la volontà di sostenere e promuovere interventi in favore della qualificazione ed istituzionalizzazione delle
figure operanti all’interno delle strutture per l’infanzia, con particolare riguardo alla ludoteca ed ai nidi
familiari.
La scelta di costituirsi in associazione nasce dalla consapevolezza - acquisita sul campo attraverso
esperienze dirette, ricerche, raccolta ed elaborazione di dati - che alle esigenze ludico-educative non viene
garantita una adeguata qualità professionale e professionalizzante.
In particolare, con la collaborazione dell’Associazione Il Dado Magico A.S.D - che ha voluto fortemente la
nascita di un ente rivolto a specifiche professionalità ludico-educative, quali, nello specifico, ludotecari e
tate - ARLeT si muove nel contesto Sicilia per:
266
rispondere alla richiesta di qualificazione professionale del ludotecario e della tata “madre di giorno”,
che annuncia l’urgenza di programmare una “strategia di coordinamento” che miri a promuoverne una
nuova condizione ottimale per la conquista di uno status professionale,
favorire la costituzione di ludoteche nel territorio,
sollecitare la regolamentazione normativa regionale e provinciale per la costituzione, l’organizzazione ed
il finanziamento delle ludoteche,
definire la distribuzione territoriale in rapporto alla densità della popolazione,
definire gli scopi e le finalità ludico-educative di ludoteche e nidi familiari,
promuovere l’istituzione di Albi regionali e/o comunali e/o provinciali per le figure professionali
coinvolte,
giungere alla identificazione della qualifica dei soggetti gestori, delle modalità di istituzione e della
corrispondenza a requisiti standard sia per quanto riguarda i locali sia per l'organigramma del personale
impegnato,
promuovere l’istituzione di apposite Commissioni, qualificate a ricevere i piani ludico-educativi annuali in
base ai quali poter verificare, alla fine di ogni anno, l'attività svolta e gli obiettivi raggiunti,
giungere ad un censimento relativo a tutte le strutture che svolgono servizi all’infanzia e alla famiglia
nell’ambito educativo, sportivo e ludico-ricreativo, al fine dell’adeguamento e dell’ottimizzazione dei
servizi e dei costi.
ARLeT infatti vuole rappresentare un punto di riferimento in ogni ambito culturale che coinvolga le figure
ludico-educative, al fine di una ottimale qualificazione e programmazione dei servizi, proponendosi ancora
di:
contribuire agli orientamenti ed alle scelte regionali in ambito educativo, sportivo e ludico-ricreativo;
sostenere la completa formazione professionale del ludotecario e dell’educatore familiare;
promuovere lo sviluppo ed il riconoscimento della figura del ludotecario e dell’educatore familiare,
garantendone la specificità professionale;
incoraggiare l'organizzazione e lo sviluppo in Italia delle ludoteche e dei nidi familiari attraverso la
costituzioni di altre ARLeT regionali;
estendere le conoscenze professionali dei ludotecari, degli insegnanti e degli educatori tutti;
dare l’opportunità di fare esperienza pratica e di aggiornarsi periodicamente.
L’aspirazione più alta per quanto riguarda l’attività istituzionale di ARLeT è quella di giungere alla istituzione
di un Registro/Albo nazionale dei ludotecari e degli educatori familiari, che ne regolamenti e qualifichi la
professionalità, all’interno di standard conformi alle direttive europee in relazione e specifiche competenze
istituzionali. Risulta ormai come dato oggettivo, almeno in Sicilia, la necessità di garantire a queste figure
una specializzazione, una preparazione adeguata al ruolo di responsabilità civile assunto ed una sicurezza
normativa ed economica che ne garantisca i diritti e ne stabilisca in definitiva i doveri. La causa principale è
267
da attribuire all’assenza di una legge specifica nazionale che riconosca giuridicamente i sevizi ludoteca e
nido famiglia, la loro dignità sociale ed economica, in linea con le condizioni degli altri Paesi europei.
ARLeT Sicilia, consapevole delle esigenze territoriali, opera per definire e tutelare la ludoteca come servizio
pubblico centrato sul gioco e sul giocattolo; per lo sviluppo del gioco e della cultura ludica.
L’associazione, infatti, interviene nel campo dell’educazione, della formazione, anche professionale e della
didattica per favorire lo sviluppo di una coscienza sensibile ai problemi della società moderna,
dell’ambiente e di un equilibrato rapporto tra cittadini, istituzioni, rispetto delle opportunità e conciliazione
dei tempi di lavoro con i tempi di vita.
Promuove attività legate ai principi solidaristici e mirate al coinvolgimento delle realtà sociali e culturali.
Lotta contro ogni forma di sfruttamento, di ignoranza, di ingiustizia, di discriminazione e di emarginazione.
Organizza la vita associativa come esperienza comunitaria, per favorire la maturazione della personalità, la
consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti, il rispetto delle altre persone, l’educazione
all’impegno sociale ed alla partecipazione.
L’associazione partecipa attraverso proprie rappresentanze, nelle forme previste dagli atti di
programmazione regionale in materia di politiche sociali e socio-sanitarie, alla progettazione e alla gestione
dei servizi.
È nostro parere che, nell’ottica di un effettivo impegno per la realizzazione di servizi che possano fornire un
concreto riscontro ai bisogni della popolazione, diviene imprescindibile una efficace comunicazione e
collaborazione tra i diversi enti motivati ad operare a favore dello sviluppo e del benessere del contesto di
riferimento.
L’esperienza accumulata in tanti anni ed un’attenta analisi dei risultati raggiunti, insieme ai rapporti di
collaborazione instaurati con altri enti dell’associazionismo nazionale, internazionale, università, etc., ha
portato l’Associazione nazionale Il Dado Magico A.S.D. all’elaborazione del progetto “Architettura di una
rete sociale nazionale”, che mira a fornire, attraverso l’affiliazione all’Associazione, strumenti e
competenze, per la realizzazione di interventi sia pubblici che privati, di strutture socio-sanitarie, igienico-
sanitarie e ricreative, per minori di età e le loro famiglie, persone diversamente abili, immigrati, anziani, etc.
Il progetto “Architettura di una rete sociale nazionale” lega con un filo di solidarietà e partecipazione attiva
organizzata, iniziative sia pubbliche che private, utilizzando tutti gli strumenti legislativi di settore e le loro
risorse finanziarie disponibili in Italia e in Europa, fissando standards qualitativi laddove essi non esistono,
consentendo così la tessitura su tutto il territorio nazionale di una rete sociale, che attraverso il sostegno e
la promozione dell’associazionismo (L.R. 31/07/03 n. 10, L. 383/2000, L. 266/1991, etc.) sia capace di far
relazionare il pubblico con il privato, per costruire, come sancito dalla L. 328/00 interventi sociali e sanitari
che siano insieme efficaci ed efficienti nei risultati.
“Architettura di una rete sociale nazionale” opera per l’interesse generale della comunità alla promozione
umana e all’integrazione sociale dei cittadini; incrementa le capacità di rispondere ai bisogni dei territori e
268
di promuovere processi di inclusione sociale, creazione di capitale sociale, distribuzione più equa delle
opportunità.
“Architettura di una rete sociale nazionale” è luogo di condivisione, scambio e confronto tra soggetti che
hanno scelto di scommettere una parte significativa della propria azione di impresa in modo integrato con
altri soggetti di imprenditorialità sociale. Inoltre si riconosce come parte dinamica del Terzo Settore ed
opera attivamente per definirne gli orientamenti etici, strategici ed organizzativi. “Architettura di una rete
sociale nazionale” individua tre funzioni istituzionali, fondanti e irrinunciabili, che, in coerenza con l’identità
condivisa, caratterizzano l’operatività della rete:
1. Trasferimento esperienze: messa a disposizione di tutti gli aderenti - con modalità e regole
condivise - del know how sviluppato localmente, disponibilità a scambi, messa a disposizione di
progetti in contesti di reciprocità e di valorizzazione delle capacità sviluppate dai singoli soci.
2. Condivisione progetti: progettazione secondo criteri mutualistici: all’interno della rete ciascun socio
mette a disposizione i propri elaborati progettuali agli altri partner della rete, che possono utilizzarli
e svilupparli per le proprie attività sociali, rendendo disponibili gli ulteriori sviluppi a tutti i membri
della rete a condizione che i progetti sviluppati secondo questo sistema non creino danni agli
associati
3. Condivisione titoli: messa a disposizione di ciascun socio della rete dei titoli e delle esperienze
necessari per la partecipazione a gare in possesso degli altri soci, con l’obbligo della reciprocità.
Le finalità del Progetto
il mutuo sostegno e la reciproca valorizzazione tra imprese sociali territoriali;
la trasmissione e lo scambio delle esperienze di successo e la circolazione delle eccellenze;
l’individuazione dei nuovi bisogni e lo sviluppo di nuovi servizi;
il sostegno e la diffusione di iniziative sociali;
il supporto a iniziative di sviluppo a livello territoriale mediante la mobilitazione di risorse umane,
economiche e di know how per sostenere le associazioni del territorio che lo richiedono in sinergia con
gli associati territorialmente più vicini; l’offerta di servizi ai soggetti che partecipano alla rete.
La tessitura di una rete sociale, al fine di promuovere esperienze e servizi atti a fornire riscontri mirati ed
adeguati, non può prescindere da un’attenta analisi strutturale, sociale ed economica dei contesti di
riferimento, con lo scopo di dare impulso ad una offerta che sia realmente rispondente ai bisogni, espressi
più o meno esplicitamente, del territorio.
L’attenzione rivolta dall’Associazione in maniera peculiare alle nuove tipologie di servizi, ha stimolato, come
fin qui espresso, una profonda riflessione incentrata sulla specificità dell’attività formativa adeguata per chi
ha l’interesse, la volontà e la predisposizione a lavorare con i minori d’età, rivolgendosi, al contempo, alla
famiglia tutta. A partire da ciò, l’ente ha scelto di impegnarsi attivamente, fornendo sostegno, consulenza,
269
formazione e informazione agli operatori che, non trovando riscontro in regolamenti e normative di
riferimento, si ritrovano ad operare in un ambito ricco di confusione e, sovente, di ambiguità, il quale,
anche sul fronte istituzionale, troppo spesso, non trova una sua collocazione in aree di competenze
specifiche (pubblica istruzione, servizi sociali, pari opportunità, famiglia), come ad esempio avviene per i
servizi integrativi quali i nidi famiglia. Inoltre, tale impegno è certamente conseguente all’attenta analisi del
contesto attuale. Una delle più dirette conseguenze delle trasformazioni socio-culturali della famiglia,
infatti, è il cambiamento nella relazione educativa e la crisi del ruolo genitoriale a vantaggio di altri modelli.
Per esempio, l’ultima relazione biennale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza sottolinea come
oggi la vita del bambino sia scandita da tutta una serie di attività dettate dagli adulti, che spesso saturano
completamente il suo tempo limitando se non addirittura annullando quei margini di libera espressione e di
creatività tipici dell’infanzia137. A ciò si aggiunge anche una progressiva tendenza da parte dei genitori ad
anticipare le tappe della crescita dei propri figli per far acquisire loro sempre più precocemente le
competenze ritenute utili per l’affermazione individuale in una società sempre più orientata alla perfezione
e al narcisismo. A fronte di questi dati, quindi, emerge il bisogno sia di sostenere i genitori nel loro ruolo
educativo offrendo per esempio occasioni di confronto e di dialogo anche attraverso forme di
associazionismo, sia di supportare/sostenere i ragazzi nel loro percorso di crescita potenziando per esempio
i loro livelli di autostima, di efficacia e di fiducia anche attraverso iniziative ludiche, culturali, sportive e
sociali.
Negli ultimi anni, tenendo conto che dalle ultime fasi dell’evoluzione normativa emerge la volontà di
raccordare la dinamica dei servizi per l’infanzia con le esigenze reali delle famiglie, parecchie sono state le
ricerche che mirano a delineare efficacemente il sistema dei servizi per l’infanzia; purtroppo, anche nel
migliore dei casi, si verificano delle incongruenze atte a vanificare i benefici dei servizi, principalmente:
orari insufficienti, legati all’andamento delle festività comuni e delle interruzioni estive e che per giunta
variano generalmente secondo il regolamento interno dei nidi (presenza di dati a livello regionale);
liste d’attesa molto lunghe, dovute all’asimmetria tra domanda e offerta, nonché alla procedura di
selezione ponderata secondo il luogo di residenza, grado di disagio familiare, sociale e sanitario, quindi
della condizione lavorativa (presenza di dati a livello regionale); ad esempio in Sicilia nel 2000 più del
30% delle domande di iscrizione non trovavano riscontro. Le varie fonti confermano, pertanto,
un’accentuata dispersione territoriale della ricettività. Al Nord sono stabilmente localizzate le prime
cinque regioni per capacità ricettiva (quasi 24% in Emilia-Romagna), mentre al Sud e isole si trovano le
ultime cinque, con valori inferiori al 5% pur nei casi più favorevoli (Basilicata e Sardegna);
137
“Relazione sulla condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia 2008-2009” in www.minori.it.
270
tariffe molto alte, teoricamente oscillanti tra un minimo e un massimo fissati dal Comune di residenza,
sulla base del reddito familiare e patrimoniale.138
Secondo un’indagine Cnel-Istat sulla “Maternità e partecipazione delle donne al mercato del lavoro”, in cui
si dedica particolare attenzione alle reti formali e informali per la cura dei bambini, una peculiarità del
nostro Paese è ravvisabile proprio nella solidarietà intergenerazionale che porta all’utilizzo di aiuti
informali. Quando una madre si trova al lavoro, secondo questa ricerca, circa sei bambini su dieci sono
affidati ai nonni, mentre solamente due su dieci frequentano un asilo nido pubblico o privato.
Il ricorso al sostegno dei nonni da parte delle famiglie non deve caratterizzare un sistema per l’infanzia che
si basi su una solidarietà generazionale, culturalmente e socialmente rilevante, ma al contempo fuorviante
della reale esigenza delle famiglie di una rete equa di servizi, organizzata per chi non può contare sui propri
parenti.139
Pertanto, al fine di rispondere alle necessità della famiglia contemporanea, ponendo, al contempo,
riscontro alle esigenze formative esistenti nell’ambito della nuova tipologia di servizi, le quali, tra l’altro,
emergono dalle frequenti richieste provenienti da chi opera già nel settore e/o da chi vorrebbe
intraprendere una professione di tal tipo, l’associazione, in collaborazione con un ente di formazione
professionale, ha programmato un corso per “madre di giorno”, il quale sarà il primo interevento formativo
a rilasciare una qualifica di tal tipo riconosciuta dalla Regione Sicilia. L’intervento è stato programmato al
fine di:
fornire sostegno alla genitorialità, all’esperienza di maternità e di paternità, differenti per genere;
concretizzare un'azione positiva a favore delle mamme per dar loro l'opportunità di riuscire a conciliare
la realizzazione professionale con la realizzazione delle aspirazioni materne;
costruire servizi innovativi per l'infanzia che tengano conto delle politiche, dei tempi ed in particolare
delle necessità avanzate soprattutto dalle donne;
creare i presupposti per un’adeguata risposta alla necessità occupazionale, attraverso la formazione di
una nuova figura professionale che abbia la possibilità di confrontarsi con una reale spendibilità della
qualifica conseguita. Tutto ciò nell’ottica di una cultura delle pari opportunità, promuovendo iniziative
per l’occupazione e la qualità del lavoro femminile nel quadro degli obiettivi europei di Lisbona, tra i
quali l’innalzamento del tasso di occupazione femminile è definito come una priorità su cui impegnarsi
per elevare il potenziale di crescita e per garantire una più equa ripartizione delle risorse pubbliche;
ampliare le opportunità di scelta per le famiglie proponendo soluzioni flessibili;
sostenere la scelta dei genitori che privilegiano la permanenza del bambino piccolo in ambiente
domestico, riproponendo un contesto familiare ed educativo soddisfacente alle richieste delle famiglie
138
Da L’Informazione Nazionale sui Servizi per l’Infanzia. Un breve studio, in www.res.it. 139
Ibid.
271
Il corso si articolerà in 610 ore, comprensive di attività teoriche, nello specifico lezioni frontali, attività
pratiche che possano permettere agli allievi di sperimentarsi, applicando le nozioni apprese, e attività di
stage. Le tematiche affrontate sono state pensate per permettere l’acquisizione di abilità e conoscenze
relative a diversi settori, di modo che la “madre di giorno”, a conclusione del percorso formativo, possa
aver sviluppato le competenze inerenti alle aree seguenti:
conoscenze di base: buona padronanza della lingua inglese; buone competenze tecnico-informatiche;
adeguata conoscenza del diritto del lavoro; adeguata comprensione delle norme di igiene e sicurezza che
un servizio per l’infanzia deve possedere;
competenze tecnico-professionali: psicologia, pedagogia, tecniche di assistenza, elementi di
psicomotricità ed elementi di psicopatologia dell’età infantile; alimentazione e dietologia nell’infanzia;
normativa di settore, infanzia e contesti socio-familiari;
competenze pratico-applicative: animazione, attività ludiche, sicurezza e catalogazione dei giocattoli;
competenze trasversali: capacità relazionali, competenze comunicative (comunicazione verbale e non
verbale, modalità di comunicazione infantile) e nella pratica del contatto corporeo quale tecnica di
relazione;
Tutto ciò con la convinzione che la creazione di nuovi servizi che risultino efficaci, efficienti ed altamente
rispondenti alle realtà territoriali, sociali ed economiche in cui si intercalano, come pure il miglioramento
dei servizi esistenti - attraverso una riqualificazione dei servizi stessi e del personale che vi opera - non
possa avvenire se , alla base, non esistono attività formative mirate, in grado di permettere realmente, non
solo l’acquisizione delle competenze tecniche di settore, ma, soprattutto, la traduzione di queste in abilità
pratiche ed applicative, poiché la salvaguardia degli utenti, la loro tutela fisica e psicologica, soprattutto
quando ci si riferisce ad interventi rivolti ai minori d’età, è un dovere di tutti coloro che operano nell’ambito
del sociale.
3. FINISTERRAE: servizi e formazione
Simona Straccamore 140
Costituita nel giugno del 2001, la Cooperativa sociale o.n.l.u.s. Finisterrae è una delle prime cooperative
sociali nel territorio della provincia di Frosinone ad aver tradotto in pratica quei principi che tutelano e
promuovono i diritti dell’infanzia, con particolare riferimento al diritto al gioco (art.31, Dichiarazione ONU
sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza).
140
Responsabile formazione e risorse umane della cooperativa sociale Finisterrae onlus.
272
Formata da un gruppo di persone con competenze molteplici nel campo dell’educazione (pedagogisti,
psicologi, sociologi, educatori, assistenti sociali, terapisti, ludotecari, animatori, ecc.), accomunate dalla
medesima motivazione individuale e da profonde esperienze condivise, Finisterrae realizza e gestisce
ludoteche, asili nido, ludobus, centri educativi per minori a rischio, progetti educativi, terapie per
diversamente abili, servizi di animazione, ecc. in convenzione con molti enti pubblici e privati della
provincia di Frosinone, ma anche in ambito regionale e nazionale, aderendo a diverse realtà associative
provinciali e nazionali operanti nel campo dell’infanzia, come: Ali per giocare (Associazione italiana dei
ludobus e delle ludoteche), CIL (Centro Internazionale Ludoteche), Consorzio Parsifal (Consorzio di
cooperative sociali delle province di Frosinone e Latina), C.C.F.S. (Consorzio cooperativo finanziario per la
promozione e lo sviluppo cooperativo), Consorzio PAN (Progetto asili nido e servizi per l’infanzia, che si
occupa degli standard di qualità, formazione e aggiornamento del personale degli asili nido), Comitato
provinciale ELSAD (Ente locale per il sostegno a distanza), inserendosi a pieno titolo in un circuito in
continua evoluzione e in continuo aggiornamento.
Ad oggi Finisterrae gestisce ventuno ludoteche (diciassette territoriali - di cui sedici pubbliche e una privata
- due in reparti pediatrici degli ospedali civili, due in carcere - una delle quali in fase di allestimento), tre asili
nido pubblici, un asilo nido aziendale per il Ministero delle Infrastrutture, un servizio privato di tagesmutter
(asilo nido familiare), due ludobus (un ludobus e un ludosoccorso), un centro socio-educativo
intercomunale per minori a rischio, un centro privato di riabilitazione, educazione e didattica (centro RED),
una casa famiglia per minori. Al fine di garantire la qualità e l’innovatività dei propri servizi e di favorire un
processo di diffusione della cultura ludico-educativa e di promozione del cambiamento a livello culturale, la
cooperativa Finisterrae investe risorse economiche e umane in corsi di aggiornamento e formazione rivolti
ad operatori sociali, animatori, ludotecari, educatori e in generale alle figure che operano nel campo dei
servizi sociali, culturali ed educativi rivolti ai minori.
Essa opera in sede o fuori sede, con proposte formative destinate ai privati o ad associazioni, cooperative,
ludoteche, asili nido, scuole, enti, ecc., offrendo al proprio territorio - e a quanti hanno preso contatti con
essa sul territorio nazionale - la possibilità di appropriarsi di nuove metodologie, tecniche e idee per
mantenere la propria evoluzione al passo con i tempi nel settore del gioco, dell’educazione e formazione
riguardante l’età evolutiva tout court. Gli interventi formativi che essa propone si basano sulla ricerca della
qualità a diversi livelli, partendo dalle nozioni di base - necessarie ad acquisire un modus operandi aperto e
flessibile come requisito funzionale in qualunque contesto professionale del mondo attuale (quali la
sicurezza sul lavoro, l’alfabetizzazione informatica e la promozione di competenze nella gestione delle
dinamiche di gruppo e nella risoluzione non violenta dei conflitti) - per poi centrarsi altresì, in un’ottica
specialistica, su contenuti volti all’acquisizione di competenze più specifiche nel settore dell’educazione e
della formazione per i minori.
273
I suddetti contenuti tecnici specifici si articolano in due filoni principali, relativi ai differenti target di
intervento con l’infanzia: 0-3 anni e 3-17 anni.
Per il primo filone (0-3 anni) si promuovono conoscenze pertinenti i servizi dedicati alla prima infanzia - asili
nido e spazi gioco - la riflessione sullo sviluppo evolutivo, l’aggiornamento sulle metodologie educative di
avanguardia nel settore e l’acquisizione delle tecniche dei laboratori espressivi realizzabili in questo tipo di
servizi.
Per il secondo filone (3-17 anni) si promuovono conoscenze pertinenti i servizi dedicati alla infanzia e
all’adolescenza - ludoteche, ludobus, centri minori, progetti e servizi socio-educativi - il confronto con le
principali realtà nazionali di riferimento per il settore, lo studio sull’evoluzione motoria e psichica nello
sviluppo del bambino da 3 a 17 anni, l’aggiornamento sulle tematiche educative e sui laboratori espressivi,
con particolare riferimento alle tecniche e metodologie di animazione ludico-culturale.
Nell’economia globale della nostra proposta, i contenuti dei percorsi formativi rivestono un ruolo
fondamentale: altrettanto importante, tuttavia, è la metodologia di linguaggio e di comunicazione adottata
per veicolare i contenuti stessi. Per questo motivo vengono offerti non solo interventi frontali, ma anche e
soprattutto percorsi esperienziali di formazione, basati prevalentemente sull'impiego di tecniche
interattive, durante i quali i partecipanti si misurano più apertamente con le loro capacità e con i loro limiti,
sottoponendo a verifica le loro convinzioni. Tali percorsi formativi sono caratterizzati dall'impiego di
tecniche che consentono ai partecipanti di calarsi fino in fondo nelle situazioni, per “mettere in gioco” le
proprie esperienze personali e la propria emotività, creando le condizioni per imparare dalle interazioni,
dall’andamento delle dinamiche di gruppo e dall’esperienza.
Tale importanza attribuita al processo non sminuisce, infine, l’attenzione che viene conferita al
raggiungimento qualitativo e quantitativo dei risultati e delle finalità formative: al termine di un progetto di
formazione, infatti, appositi strumenti di valutazione verificano che gli obiettivi siano stati raggiunti e
analizzano le ragioni del successo o dell’insuccesso del lavoro svolto, in modo da poter migliorare le
proposte ed eventualmente rimodularle per renderle nel futuro più efficaci. Riteniamo tuttavia che, poiché
i risultati raggiunti dai percorsi di formazione possono essere misurati in base a tre graduali livelli di analisi
(gradimento, apprendimento e impatto), il valore ultimo del cambiamento promosso possa essere misurato
nel tempo e manifestato soltanto attraverso una applicazione pratica dei contenuti trasmessi. 141
141
Per ulteriori informazioni o chiarimenti: Finisterrae cooperativa sociale onlus. Responsabile formazione e risorse umane dott.sa Simona Straccamore simona@coopfinisterrae.it - www.coopfinisterrae.it.
274
Considerazioni per non concludere
Tamara Lavina
La formazione degli educatori, ed in particolare degli educatori di ludoteca, è un tema complesso e
delicato: richiede infatti una preparazione specifica e una formazione permanente che unisca l’aspetto
pratico e l’aspetto teorico. Dalla discussione nel gruppo di lavoro è emerso che al centro del progetto
formativo c’è l’esperienza. Esperienza vissuta, consapevole e responsabile che si confronta con la teoria
(zoccolo duro). Inoltre si è reso evidente il bisogno di un supporto pedagogico per costruire una
professionalità a tre dimensioni: consapevolezza, esperienza emotiva, progettualità.
Una progettualità “in situazione”, legata al territorio, al collaudo delle idee nei fatti.
La formazione si concretizza, quindi, nel dare gli strumenti necessari all’intervento educativo che metta
insieme le esigenze dei servizi, i bisogni del territorio e una preparazione pedagogica necessaria a dare
all’intervento una profondità scientifica: capire l’esperienza, rielaborarla, restituirla. La preparazione
teorica, ciò che dà la direzione, il senso all’intervento educativo, come si rapporta con l’esperienza pratica?
È un quesito che riguarda soprattutto la formazione nelle professioni che vedono al centro del loro agire
l’uomo: dal medico, al sociologo, all’insegnante, all’educatore…
In tutte le discipline scientifiche esiste una divisione fra la ricerca e l’esperienza, ma fra i due momenti
dovrebbe esserci sempre un rapporto di verifica e confronto. In particolare nella pedagogia la possibilità di
un rapporto fra questi due approcci è fondamentale. Lavorare nell’empirico vuol dire spesso che, in ogni
momento, fatti nuovi che non riusciamo a collocare nella nostra teoria ci mettono in crisi. Sono i momenti
in cui è necessario smontare la teoria, cercare nuove soluzioni e forse cambiare direzione.
Altro nodo di crisi che emerge dalla riflessione del gruppo è rappresentato dalla problematicità e dalla
precarietà del rapporto dell’amministrazione locale presente sia nelle realtà del Nord che in quelle del Sud
Italia.
La presenza sul territorio di servizi educativi extrascolastici dedicati a bambini, ragazzi e alle loro famiglie è
costantemente minacciata dai tagli alle spese sociali, senza verifiche sul reale apporto che questi servizi
danno alla prevenzione del disagio, alla creazione di una cultura del gioco e dell’infanzia. In questo contesto
Torino rappresenta una delle eccezioni, poiché anche se con difficoltà in questi anni si è fatta carico di
sostenere un’esperienza educativa quotidiana, attraverso i servizi alla scuola ed al tempo libero. Torino è
una realtà particolare e privilegiata in Italia poiché il Comune propone e gestisce in prima persona un
progetto di Centri di Cultura (ITER), garantendo e impegnandosi per la continuità. “ITER (Istituzione
Torinese per una Educazione Responsabile) si pone all’interno di un sistema cittadino che mira a definire un
piano educativo attento ai bisogni dei bambini e dei ragazzi. Le scelte didattiche di ITER si richiamano alla
Convenzione Internazionale dell’ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, alla Carta delle Città
275
Educative, al Piano Nazionale di azione ed interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età
evolutiva predisposto ai sensi della legge 451/1997, ai vigenti regolamenti comunali e ai Quadri pedagogici
di riferimento utilizzati dal sistema educativo comunale” (citazione dalla pubblicazione ITER - qualità del
pensare, risorse per educare, Città di Torino, 2009 ). È quindi necessario lavorare affinché il diritto al gioco,
riconosciuto nell’articolo 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, venga praticato dalla comunità
educante, allo stesso modo del diritto allo studio.
Altro nodo critico emerso è la mancanza di riconoscimento sociale al mestiere di educatore, che viene
segnalato come elemento discriminante e demotivante soprattutto dai giovani che vivono una realtà
lavorativa poco tutelata, spesso precaria e non abbastanza remunerata. Sono ancora molti i dubbi, le
domande a proposito della formazione e dei suoi obiettivi.
Un problema aperto, e che non è stato affrontato nel gruppo per mancanza di tempo, è la formazione
ludica intesa come bagaglio interiorizzato di giochi e di modalità di giocare. Ancora oggi il gioco della
tradizione, per esempio, tramandato nel tempo soprattutto per via orale, grazie alle sue caratteristiche di
adattabilità al contesto, alla possibilità di negoziazione delle regole, all’alternarsi di ruoli e sottoruoli
all’interno dello stesso gioco, e per la ricchezza di relazioni, rappresenta una struttura formativa di
riferimento per i nuovi educatori da indagare, sviscerare, reinventare e riproporre.
In conclusione si sottolinea l’importanza di una formazione ludica che si orienti verso la comprensione
dell’altro e l’autoriflessione, non dogmatica né passiva acquisizione di competenze, ma aperta al
cambiamento, ferma sul significato della responsabilità educativa, consapevole della travagliata storia della
pedagogia e dei suoi paradigmi, rivolta al futuro e pronta ad imboccare nuove strade.
“La cura si esercita nel silenzio della pratica e nel buio del disinteresse per il bene comune” 142
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142
Boffo V., La cura di sé e la formazione degli educatori, in Ulivieri S., Cambi F., Orefice P., Cultura e professionalità educative nella società complessa, Firenze University Press, Firenze, 2007.
276
Capitolo 11
La Minestra sul Cortile: tracce per indagini visionarie alla scoperta dei ladri di
“marmellata”
Andrea Mori
Figlia. Papà. queste conversazioni sono serie? Padre. Certo che lo sono. F. Non sono una specie di gioco che tu fai con me? P. Dio non voglia. Sono però una specie di gioco che noi facciamo insieme. F. Allora non sono serie! Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 1986 (sesta edizione)
Primo paragrafo in cui l’autore, in preda ad un’ossessione numerica, sospetta che i ladri di gioco possano
essere dieci e in cui esplicita al lettore alcune informazioni sulla scelta dello stile letterario con cui scriverà il
suo saggio.
È utile chiarire subito che - al termine di un consesso articolato e intenso di discussione - la prima risposta
che mi è venuta spontaneamente alla mente alla domanda tema del convegno, che ha visto riuniti a Torino
alcuni tra i più qualificati “investigatori ludici” e molte persone certamente “informate dei fatti”, è che i
sospetti potenzialmente responsabili del furto in questione fossero certamente più di uno.
Come prima idea, in un batter di ciglia, me ne sono, addirittura, figurati dieci.
Numero canonico e dotato di una certa storicità ed attualità (i dieci comandamenti, i dieci giorni che
sconvolsero il mondo di John Reed, i dieci segreti di Medjugorje, le dieci piaghe d’Egitto, ma anche le ormai
famose “dieci domande” di Repubblica, senza contare il dieci per eccellenza, Maradona) esso, nella
suggestione da film “giallo”, mi è apparso anche attraverso Agatha Christie e i suoi “Dieci Piccoli Indiani”.
Forse questi sospetti non costituiscono, di fatto, una banda di malfattori o un’associazione a delinquere -
anche se alcuni elementi lo fanno supporre - ma, molto più probabilmente, un complesso di cause e
soggetti che, più o meno indipendentemente e inconsciamente, agiscono per snaturare, depotenziare,
svilire ciò che la marmellata-gioco sta da millenni a significare nelle sue plurali, universali e naturali positive
e progressive valenze.
Il rischio di giungere ad ovvie conclusioni era compreso nel lavoro affidatomi con generosa incoscienza dagli
organizzatori, così come reale è quello che mi costringerà a proporre una necessaria sintesi delle tesi
presentate dalle dotte relazioni proposte.
277
Proverò, quindi, in piena libertà d’opinione non a restituire un “bignami” ad uso di chi non ha potuto
partecipare alle giornate torinesi - che si possono in ogni modo comodamente leggere ex-post in questo
volume che ne raccoglie gli atti e gli interventi - bensì ad esporre con una certa ludicizia, nonostante più
saggiamente il correttore inserito nel computer mi suggerisca di usare il termine “pudicizia”, alcune ipotesi
e tracce d’indagine affiorate e intercettate qua e là tra gli interventi e che cercherò in breve di riproporvi in
forma organica, attraverso una lettura affatto personale.
Corre l’obbligo in genere, nella stesura di un saggio, di dare allo scritto una forma seriosa e scientifica.
Amante della buona letteratura, che ritengo possa aiutare in modo notevole il gioco, arricchendo
l’esperienza dell’immaginazione e del possibile, a rinnovarsi, reinventarsi e celebrarsi, e devoto da molti
anni ad Italo Calvino - altri stranamente preferiscono Padre (San) Pio - ho deciso qui di utilizzare una forma
letteraria ibrida, “cosmicomica”.
La sfida che mi pongo sarà, infatti, quella di provare a mixare, nell’esporre gli argomenti che hanno fatto da
trama all’incontro torinese, come novello Qfwqf, gnosi e fantastica, leggerezza e complessità.
Ovvero gli ingredienti che dovrebbero essere presenti sempre in ogni buon gioco e, soprattutto, in ogni
giocatore.
Secondo paragrafo in cui, per amore di cronaca, si cerca di riepilogare in breve alcune delle tesi introduttive
più significative presentate nel Convegno per cominciare a ragionare sul già citato furto di gioco.
Nella nostra società, nel nostro vivere quotidiano l’attività di gioco non deve essere un’attività ottativa o
sacrificata rispetto ad altre esperienze. Non è un lusso che qualcuno può o non concedersi, un “benefit”per
pochi (Borgogno, Rizzolo).
Ma deve essere davvero cosa preziosa (e, infatti, lo è) se esiste ancora oggi qualcuno che pretende di
rubarlo, (lui, pane) insieme alla creatività e alla fantasia (loro, marmellata) per negarlo o usarlo in forme
patologiche, alienanti, mostruose.
È un tesoro che rischia di svanire, divorato come nella “Storia Infinita”di Ende da un “Nulla” progressivo e
famelico.
Un nulla che noi stessi umani produciamo a volte in modo artato, e a volte inconsapevolmente, a causa
della nostra disattenzione e disaffezione.
È un tesoro che ha bisogno, infatti, prima ancora di essere speso di essere, innanzitutto, riconosciuto: come
un fondamentale diritto ma anche come attività importante per lo sviluppo umano, componente valoriale
che direziona il senso del nostro agire nel mondo.
Un tesoro, ancora, che se è straordinariamente importante e indispensabile per i bambini, lo è anche per gli
adulti che devono poterlo condividere appieno specie con i bambini con intenzionalità e curiosità.
278
Ecco allora che, secondo Anna Bondioli, l’adulto può e deve svolgere una parte significativa nell’azione di
riconoscimento e condivisione del gioco nella relazione dialogica e co-costruttiva con i bambini, pena
l’abbandono di essi alla solitudine o di relegare per essi il gioco in spazi e tempi separati, addomesticati,
sempre più segreti.
Per andare in controtendenza a questa deriva c’è, però, bisogno che l’adulto nel confronto del gioco dei
bambini sia capace di curiosità e attenzione, di organizzare e strutturare occasioni positive, abbia voglia di
prenderne parte assecondandolo, promuovendolo e facilitandolo con disponibilità e competenza, lo
sostenga tenendo conto delle regole senza per questo perdere in giocosità.
È il ritratto, quindi, di un adulto interessato, ma che deve essere indissolubilmente interessante (senza l’una
cosa l’altra non ha validità) primo baluardo a difesa del gioco che - sostiene Emma Baumgartner chiamando
a testimonianza il celebre dipinto “I giochi dei Bambini” di P. Breugel - deve poter essere praticato e
coniugato naturalmente in modo plurale in una molteplicità di esperienze.
Un esercizio variegato e diversificato in quanto funzione della specificità evolutiva umana area d’esperienza
transizionale rassicurante e niente affatto performativa, atta a conciliare nell’essere umano il rapporto tra
mondo interno e realtà esterna (Winnicott, 1976).
L’unica strada per attivare fondamentali processi cognitivi, affettivi e sociali è, dunque, l’esercizio di una
ludicità a tutto campo.
Un’estesa e non specialistica pratica del gioco come elemento di benessere che si produce in quanto “play”
e non singolo “game”, rappresentazione intenzionale del “fare finta” attraverso un insieme protettivo di
simboli e ruoli, ma anche sperimentazione e rielaborazione creativa e organizzata, espressione di emozioni,
interazione, ricerca di soluzioni nuove e condivise.
Questo fibrillante scenario che il gioco propone è però minacciato - oltre che da visioni riduttive e
strumentali che confermano l’esistenza e l’influenza sempre più progressiva di un’infezione che produce un
degrado culturale generale del nostro paese - anche da interventi istituzionali e politici che nel tentativo di
normalizzare, sistematizzare e programmare rischiano di produrre strumenti e occasioni riduttivi e non
evolutivi.
“Il gioco è rock, la politica è lenta” - proclama Riccardo Poli parafrasando Celentano.
I risultati di questa discronìa di ritmi - che il suo Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia
e l’Adolescenza presso l’Istituto degli Innocenti di Firenze registra sistematicamente - sono lì, ben visibili.
Poche sono le regioni in Italia che hanno deliberato leggi a favore della promozione del gioco e delle
ludoteche (le Marche nel 2009, il Lazio nel 2002, il Molise nel 2000, l’Abruzzo nel 1997); nell’ambito delle
varie categorie in cui si articolano oggi i servizi sociali e in cui si sono per la gran parte sperduti i fermenti
279
vitali contenuti “in fieri” nella legge 285, il gioco è diluito e nascosto in una nomenclatura burocratica di
sigle; tutto ancora da capire e definire, infine, nel quadro normativo della legge n. 328 rispetto ai processi
formativi e di qualificazione, su cui si sovrappongono scuole di pensiero e metodi differenti, è il
riconoscimento contrattuale e professionale delle figure degli operatori da parte degli enti pubblici.
Nel frattempo, in questo stato di cose articolato quanto confuso, tutto è diventato “ludoteca” (1.260.000
sono le pagine dei siti che su internet che Google restituisce ad una richiesta su questa parola) e tutti
“giocano” (la digitazione su “giochi scommesse” porta questa volta a 2.250.000 risultati) tranne che nei
luoghi, nei tempi, nei modi, con i materiali e le persone giuste.
Non fa eccezione l’attività sportiva in cui, evitando le esasperazioni agonistiche performative causa
d’abbandoni e frustrazioni precoci da parte dei ragazzi, e partendo, invece, dalle chiavi interpretative e
categoriche sulle tipologie ludiche elaborate da Caillois, (Paidia-Ludus e poi Agon-Mimicry-Alea-Ilinx) Mario
Pollo propone, prendendo a modello la lezione orientale dell’integrazione psiche/corpo, il recupero di una
dimensione di benessere.
L’esercizio gratuito, inutile improduttivo ma gratificante e “bello” di una capriola di fronte ad una porta
vuota, dove sarebbe utilmente più utile il cinismo di fare goal.
La prevalenza della mente sul corpo, dell’armonia sulla forza.
La ludicità che si afferma appieno con la negazione della spettacolazione, perché chi gioca lo fa soprattutto
per sé educandosi al confronto con i propri limiti, accettando la propria impercettibilità e finitudine, con
l’allenamento ad assumersi le responsabilità nel tempo breve-medio-lungo, nel rispetto della relazione con
l’avversario che determina la condizione del gioco stesso, collaborando con lui affinché il gioco non finisca e
con la cooperazione con i propri compagni di gioco.
C’è forse bisogno, a questo punto, di produrre e rivendicare una “resistenza ludica” come suggerisce
animatamente Amilcare Acerbi prendendo il punto di vista di Gio.Na, l’ente che associa in Italia i Comuni
che intendono promuovere un manifesto di buone pratiche ludiche a favore dei propri cittadini grandi e
piccoli?
Le ragioni per attivare una pratica ludica “militante” di difesa, ma soprattutto di rivendicazione del diritto al
gioco ci sono tutte.
Nel corso degli ultimi 15-20 anni si erano create - attraverso un lento, progressivo lavoro territoriale e la
sperimentazione di modelli operativi mutuati dalle migliori situazioni europee - le condizioni ontologiche di
un modus operandi che potesse coinvolgere tanto gli enti pubblici quanto il grande mare
dell’associazionismo educativo e del terzo settore e che fosse in grado di valorizzare il gioco e la cultura
dell’infanzia e la soggettività e il protagonismo, attraverso il gioco, di bambini e ragazzi.
280
Con la legge 285 si era giunti ad una prima ed innovativa sistematizzazione e istituzionalizzazione, non priva
di alcune imperfezioni, di questo percorso.
La prematura fine, un processo “interruptus”, della legge 285/97 prima che potesse modificare lo status
quo pregresso e fornire, in un ragionevole e naturale lasso di tempo, i risultati della sua azione di
rinnovamento, ha portato, secondo Acerbi, ad una disgregazione significativa di tale sistema.
Si è creato, in conseguenza, uno stato di entropia dove si sono smantellate e perdute piccole e grandi
conquiste che si erano date ormai per consolidate.
Tra i segnali di tale degrado ci sarebbero: una riduzione e standardizzazione dell’esperienza ludica nella
scuola, specie in quella dell’infanzia; la nascita selvaggia di servizi ludico-educativi ibridi che confondono la
valenza della ludoteca con altre più di tipo socio-assistenziale; un confuso, discontinuo e sempre più
degradato sistema formativo a sostegno delle professioni che dovrebbero operare con e per il gioco; il
senso di abbandono e la conseguente involuzione/depressione all’interno dei propri piccoli orticelli, di
quelle forze sociali e associative che nella “primavera” della 285 erano uscite allo scoperto e avevano
provato a creare sistemi di rete e cooperazione.
Di contro, per nostra fortuna, per tutta la lunghezza e la larghezza dell’Italia, con sud e isole in pole
position, sono presenti molte buone pratiche ludiche tanto permanenti quanto itineranti, alcune delle quali
assunte quali nuove tradizioni culturali e popolari, fortemente radicate nei rispettivi territori e connotati da
qualità e originalità di contenuti, modalità di gestione e di partecipazione: musei del gioco e della scienza,
città dei ragazzi, centri di documentazione, laboratori e atelier, parchi tematici.
Il passaggio dall’aspetto politico del gioco a quello personale ed etico è a questo punto inevitabile.
Credo che poca sia la letteratura che ha approfondito il rapporto tra gioco ed etica. Nel gioco dell’essere
umano, oltre il rispetto basilare delle regole date (che abbiamo capito tanto ovvio non è più), deve poter
subentrare un fondamentale elemento valoriale che dia la direzione di senso dell’agire.
Dai risultati dei lavori di gruppo particolarmente affollati ed emotivamente partecipati, anch’essi raccolti in
questo volume, emerge evidente che restano aperti molti files su aspetti cardine quali la formazione degli
operatori ludici, le strategie delle politiche sociali in relazione al gioco, l’uso qualitativo di esso nei contesti
problematici e conflittuali, nel rapporto con le nuove tecnologie, nella complessità dei sistemi educativi-
didattici e nelle aree del tempo libero che si muovono in sincrono con altre aree e sistemi altrettanto
complessi.
Quarto paragrafo in cui, finalmente, si elencano tracce di indagine, gli indizi e le ipotesi, si fanno nomi e
cognomi di possibili colpevoli e ci si pongono, in conseguenza, alcune significative domande a cui sarebbe
lecito provare a cercare risposte.
281
Come Montalbano in un racconto di Camilleri, dopo aver acquisito le dovute informazioni e circoscritto la
“scena del crimine”, è ora di riepilogare tracce e provare a concatenare indizi, cercando di mettere alle
strette colpevoli e responsabili.
Provo a farlo con una sequenza d’immagini concrete.
La prima è quella di un lucchetto. Un indizio che racconta di un diffuso senso d’insicurezza.
Fuori dai rituali pontemilviani inventati da un furbo scrittore contemporaneo e diventati facile esca per
carpire emozioni di freschi cuori giovanili, l’oggetto rimanda in sé ad una più presunta che reale garanzia di
sicurezza e controllo.
Che è la stessa contraddittoria situazione in cui si trova a vivere oggi il gioco in Italia esaltato a parole e
combattuto nei fatti.
In un film per ragazzi recente - non a caso di produzione tedesca - Maga Martina e il libro magico che parla
di una ragazzina scelta da un’anziana maga per diventare suo epigono, la cosa veramente interessante da
notare - almeno per un adulto mediamente attento - è che i bambini protagonisti si muovono nel loro
quotidiano con una naturale disinvoltura e autonomia: vanno in bicicletta a scuola, in aula i banchi non
sono allineati, dopo la scuola vanno a cavalcare nel maneggio, ecc.
Una situazione che si capisce è una realtà “marziana” per il 99% dei loro coetanei italiani dato che non tutti
i bambini e ragazzi italiani hanno la fortuna di essere altoatesini ma vivono anche a Rosarno, Corato e in
altri contesti cittadini più mediterranei dove cuore e sentimento hanno la meglio sulla ragione e quando si
percepiscono bambini e ragazzi che si muovono da soli in strada, sono generalmente la visibilizzazione di un
abbandono, piuttosto che simbolo di conquista di autonomia.
È utile, da questo indizio, aprire una riflessione che può tradursi in due principali domande:
Come restituire in tale situazione al gioco la dimensione di libertà, di evento imprevedibile, di avventura?
Per dirla con la socio-urbanista Luciana Bozzo (Pollicino e il Grattacielo, Seam ed., Milano) come far sì che si
possa parlare di gioco per i bambini sempre più in termini di “playground” al posto delle situazioni
“sandbox”?
Meglio lasciare che il gioco prenda il suo spazio come trasgressione o regolarlo e addomesticarlo nel modo
più ampio possibile secondo il classico paradosso del “Corri, ma non sudare”?
Evidenzieremo altre questioni per gli altri nove indizi che seguiranno ponendocele didatticamente, come ci
suggerisce Daniele Novara (L’Ascolto s’impara, EGA), come “domande legittime” ovvero senza la
presunzione di avere per esse risposte già pronte e codificate ma proponendole come campo
contraddittorio di riflessione e laboratorio creativo in cerca di possibili soluzioni.
282
Ecco, allora, un secondo indizio: un telecomando.
Il potere dell’immagine, la società dell’immagine.
Si rincorrono su questa suggestione le lucide catastrofiche visioni di Mc Luhan e di Postmann (ma è davvero
scomparsa l’infanzia come diagnosticava ormai vent’anni fa o si rappresenta in modo altro?) e quelle più
ludiche di Andy Warhol o di Rodari (“La tv? Una tigre di carta”).
Le colpe della televisione quale possibile assassino della ludicità nei bambini (ma a mio avviso più negli
adulti che ne assorbono e ne subiscono duramente e profondamente gli attacchi nefasti) non stanno più
nelle conseguenze alla sua massiva esposizione catodica quanto nella trasmissione che essa fa di modelli
culturali e valoriali di basso profilo, conformisti, consumisti.
Non sono - ripeto - i più piccoli a farne le spese quanto i loro riferimenti adulti che suggeriscono e
fomentano nei ragazzi e negli adolescenti la pratica e il mito di “passioni tristi” in cui il telecomando diventa
simbolo postmoderno di un uso patologico di micro e macro potere da cui anche il gioco è contaminato.
Torniamo anche qui a riflettere come il gioco può fungere, usando una metafora frabboniana “da
controveleno vincente” a chi vorrebbe proporre-imporre una modalità di gioco che è gioco di conquista,
che si rapporta con nemici da schiacciare e rendere sudditi e non con avversari con cui verificare lealmente
le proprie capacità.
Anche qui una domanda difficile e un po’ fastidiosa che dovrebbe dinamizzare i nostri pensieri e riflettere
sui nostri atteggiamenti: è possibile scoprire, cercare, verificare nel gioco e soprattutto in chi gioca una
dimensione etica, solidale, po-etica, e anche eco-logica?
La risposta, credo, non sia scontata. Così come credo che bambini e adolescenti d’oggi si siano mitridatizzati
e siano capaci di sfuggire attraverso flessibili strategie tecnologiche a ciò che oggi, come nel mito della
caverna narrato da Platone, per loro sono solo immagini riflesse di una realtà che non li appartiene.
Si va per flash e si è giunti al terzo indizio che si manifesta nei sembianti di un giornale finanziario, di colore
rosa, di cui non faremo nome.
Ammazza il gioco chiunque cerchi in esso gratificazione a riscontro di una performance produttiva.
Le teorie di Latouche sulla necessità della “decrescita” non valgono solo in campo economico.
Non abbiamo stressato solo il nostro sempre più piccolo pianeta ma anche il piacere di voler giocare.
Ci si dimentica continuamente - e non è un caso ma una declinazione culturale che abbiamo introiettato
profondamente anche noi che propugniamo da educatori e animatori progressisti e innovatori i diritti del
gioco - che l’art. 31 della Convenzione dei Diritti dell’Infanzia del 1989 richieda per i bambini anche la
garanzia di offrire loro “tempo libero” e “relax”.
283
È forse è il caso di produrre F.I.L. (Felicità Interna Lorda) più che P.I.L.
Una filosofia che restituisca in generale tempi, spazi e possibilità di errore e sperimentazione, che insista sui
processi e non sulle performance.
Chi ricorda più - sembrano passati millenni - le teorie rivoluzionarie di F. De Bartolomeis per una scuola
basata sui laboratori o la filosofia educativa - accogliente e non discriminante, non violenta e motivante di
chi accettava l’imperfezione performante dell’altro (il “fa quel che può, quel che non può non fa” che
Alberto Manzi declinava per quei ragazzi che venivano tacciati di negligenza o di marginalità rispetto agli
standard didattici tradizionali) o di chi anteponeva il sognare l’altro come condizione per farlo crescere
come insegnava poeticamente Danilo Dolci?
Come, dunque de-PIL-are il gioco, eliminandone i rischi di una sua lettura produttiva restituendogli
emozione e bellezza, affinché possa restituire al mondo armonia?
Incalza il quarto indizio. È uno dei più ambigui e pericolosi.
Uno specchio in cui si può rimirare solo se stessi.
È incredibile come l’autoreferenzialità sia uno dei virus più aggressivi che colpisce chi gioca.
Qui non si tratta solo di alimentare un sano egoismo con cui rafforzare autostima e consapevolezza di
essere.
Chi gioca - e qui intendo sottolineare soprattutto chi dovrebbe essere promotore di cultura ludica e di
politiche a favore del gioco - corre il rischio di giocare, in maniera onanistica, con se stesso e con i propri
simili, escludendo dal proprio orizzonte chi non fa parte del coro.
Se oggi scontiamo in Italia una visione minore e dequalificata del gioco la dobbiamo soprattutto a quelli che
hanno fatto culto della propria ludica personalità autoreferenziandosi e chiudendosi in forme settarie
sentendosi come “templari”, unici missionari predestinati alla ricerca del “Graal” e a difesa del Sacro
Sepolcro.
Come fare allora, per ritrovare un minimo comune denominatore, al posto del massimo comun divisore
oggi trionfante, tra chi opera per e in nome del gioco in Italia?
Come evitare l’insorgere di protagonismi individuali a scapito di soggetti collettivi per poter pesare in modo
maggiore sull’opinione pubblica, la politica, i mass media?
Da dove cominciare, quali elementi potenziali e non categorici mettere alla base di un patto, per ricostruire
un sistema unitario e coordinato istituzionale-formativo-operativo/creativo-socio/culturale riguardo
all’ambito ludico?
284
Chi fa da sé, dice la cultura popolare, fa per tre ma nel gioco - grazie alla contraddittorietà della cultura
popolare che tale è in quanto frutto dell’ambigua natura umana - è sempre l’unione che fa la forza.
Orfani ormai da tempo di una visione nazionale (rappresentata per molti dall’esperienza del C.I.G.I.) i vari
stati e staterelli pre unità d’Italia in cui la geo-politica ludica nazionale si è frantumata si compiacciono del
proprio, piccolo orticello in cui illudersi di poter riprodurre ed interpretare il mondo.
Ciò a scapito della necessità impellente di ingaggiare e promuovere - certo con più fatica e mediazioni -
progettualità comuni, rapide-leggere-visibili-progressive che inizino a liberare in modo graduale il gioco
dagli stereotipi agonistici e tecnologici in cui è subdolamente ingabbiato, dalle polverose, nostalgiche ed
estetiche archeologie in cui è conservato e dalle deformazioni mostruose con cui è commercializzato e
(s)venduto.
Complementa e rafforza questo indizio, un quinto: due prese elettriche non compatibili tra loro
simboleggianti proprio l’attuale incapacità e sconnessione tra gli attori che agiscono sul territorio nazionale
sulla scena del gioco.
E siamo al sesto. È un gioco di carta. Di quelli che si fanno (o si facevano?) per far sorridere, sorprendendo, i
bambini più piccoli, ritagliandoli e piegandoli con pochi essenziali gesti della mano e delle forbici.
Se precedentemente abbiamo ricordato tramite le parole della Bondioli l’importanza del gioco nella prima
infanzia e il suo necessario sostegno e condivisione da parte dell’adulto, non possiamo però non
sottolineare quanto sia pericoloso - come ancora si fa - infantilizzare l’esperienza ludica.
Ridurla a pratica da bambini, farne prevalere la valenza ricreativa e di intrattenimento a scapito di quella di
consapevolezza e d’opportunità, di agio e di creatività, di competenza e di qualità della relazione di cui ogni
essere umano può avvantaggiarsi e goderne senza perdere, ma anzi acquisendo, dignità.
Ci sarebbe da cambiare questa retriva concezione già partendo da una rivoluzione linguistica, abolendo dal
consorzio umano quelle parole, deformate da altre più nobili, come “giochino”, “lavoretto” e via dicendo.
Si dovrebbe presupporre, un po’ come teorizza il sociologo Domenico De Masi, la affermazione di una
nuova visione del mondo che dia al lavoro non un valore di alienazione e di subalternità ma di esaltazione,
valorizzazione e gratificazione dei saperi e delle emozioni dell’essere umano - che è quello che fa per
definizione il gioco.
La domanda che ci si dovrebbe porre non è solo legata a come ridare tempo, qualità, occasioni all’adulto
per giocare in modo sereno con il bambino ma anche a quali forme di sperimentazione e modalità nuove di
rapporto tra lavoro, tempi di vita personali, tempi della città (comunità) possono essere immaginate e
quale ruolo può avere il gioco e il giocare in questo percorso?
285
La buccia di un mandarino, quale settimo indizio è preso qui come segno relativo al rischio di un uso
mediatico e spettacolare del gioco.
La metafora della buccia è tratta da un classico poetico gioco rodariano (ricordate la filastrocca del “Signore
di Scandicci che buttava le castagne per mangiarsi i ricci”?).
La traduzione ludiforme del gioco, che è essenzialmente un atteggiamento culturale e non un prodotto
estetico da guardare e imbellettare, è diventata una pratica diffusa nella nostra società e ha contribuito
pesantemente all’azione di degrado nel momento in cui l’ha sdoganata come merce e l’ha venduta ai saldi
come puro intrattenimento e condimento funzionale a cose più serie ed importanti.
Che la nostra società, in generale, abbia acquisito una caratteristica ludiforme mi sembra, dunque, un dato
di fatto oggettivo.
Che ludiforme non significhi ludico è però altrettanto evidente. Ci si butta nell’ossessione del divertirsi a
tutti i costi, consumando follemente ciò che è chiamato gioco in varie maniere ad esso allusive ma che da
esso ne rimangono sostanzialmente lontane.
C’è da avere paura di un mondo che senza ironia è capace di inventare il termine “divertentismo”, o che
definisce “ludoteca” qualsiasi posto in cui contenere, a pagamento, dentro gabbie colorate e morbide
tempi e sfoghi infantili fastidiosi all’adulto mentre “Giocare” oggi dovrebbe avere sempre più a che fare con
il concetto di “Possibilità”.
Laddove manca questa condizione il gioco non ha cittadinanza né riconoscibilità, né una sua corretta
pratica ed utilizzo.
Possibilità implica, infatti, la relazione con un sistema fluido connotato da disponibilità (di tempo, di
compagni di gioco, di materiali, di spazi), variabilità (d’ambienti e contesti), potenzialità (intesa come
possibilità di ripensare, immaginare, elaborare), scelta (tra più opzioni di contenuto, tecniche, linguaggi,
interessi) libertà (di cercare, fare e non fare, agire e guardare o pensare); tutti elementi fondanti ed
ontologici del gioco.
Come ridare allora contenuti al gioco, amplificarne i campi dell’immaginario, rielaborandolo e
riproponendolo come esperienza piena, intera, fuori dal consumo ludiforme e superficiale? Quali strategie
o resistenze attuare e proporci?
E siamo agli ultimi tre.
L’ottavo è rappresentato da alcune schede per il gioco del lotto, ovvero: “l’alea come concetto
postmoderno della divina provvidenza”.
286
È una divina provvidenza che ha portato a fenomeni patologici sociali, umani ed economici di grande e
preoccupante dimensione.
Per molti adulti oggi gioco è solo identificato con il gioco d’azzardo diventato vizio e malattia endemica
soprattutto tra chi meno ha e meno sa.
La drammaticità di questo giocare non sta nell’atto compulsivo - tipico della dipendenza (da shopping, da
droghe, da fumo, da alcool) che porta migliaia di persone ad acquistare in modo scriteriato biglietti di ogni
forma di lotteria - quanto nella voragine nei confronti della propria autostima e dignità che esso provoca.
Il sogno del fuggire ogni preoccupazione futura attraverso la vincita di un vitalizio perenne o di un jackpot
talmente abnorme da confondere ogni razionale atteggiamento ha la meglio sulla scelta di essere individuo
attivo e “faber fortunae suae”.
La rinuncia a sé e la delega all’imprevedibile disegno del caso è il massimo svilimento a cui questa forma di
gioco può portare.
Ecco che il gioco diventa mostruoso, non una esaltazione dell’uomo in quanto persona ma la sua parodia e
maschera grottesca.
E allora come fare a che il gioco possa proporsi come vaccino al rischio di un suo abuso, riabilitando le
competenze e le possibilità umane, le sue abilità e le capacità d’invenzione, ricerca, adattamento creativo?
Nono indizio: alcune monete.
Sono lì a significare il cinismo, a marcare quell’atteggiamento per cui tutto deve sempre essere utile e
conveniente, “conoscendo il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna” (citando un celebre aforisma di
Oscar Wilde).
E invece andrebbe rivendicata tra gli umani e insegnata nelle scuole l’arte di non accanirsi per accaparrarsi
ogni cosa e invece il piacere di perder/si come atto necessario per ripensarsi e per scoprire quello che ci
potrebbe essere.
Un po’ muovendosi per “Serendipity”, un nome di fantasia inventato dallo scrittore H. Walphole nel 1754,
che sta per “scoprire in modo accidentale cose o fenomeni di interesse che prima si ignoravano mentre se
ne stanno cercando altri”, e, non a caso, anche il nome di una storica ludoteca comunale torinese.
In particolare tale fortunata eventualità, frutto anche e soprattutto di un atteggiamento fatto di attitudini e
capacità di attenzione e desiderio di sperimentazione, si evidenzia più facilmente laddove è in atto un
processo, un percorso, un laboratorio, un itinerare verso qualcosa e qualcuno, un’azione ludica totale,
insomma, per cui occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore qualitativo superiore di
esperienze che disattendono le originarie aspettative.
287
Fin da tempi remoti, infatti, le “rivoluzioni”, in tutti gli ambiti del sapere, sono state mosse da “nuove
visioni del mondo”, weltanshaung, scaturite non dalla tradizione, ma da nuove scoperte, nuove idealità,
nuovi orizzonti.
Sul terreno dell’educabilità, data la complessità onto-sociologica del vivere post-moderno e dato il
relativismo permeante qualsiasi forma e dinamica dell’agire quotidiano, la dimensione della “scoperta”, del
“nuovo”, può essere un elemento di slancio, capace di innescare processi formativi tali da consentire una
crescita costruttiva e formativa rivolta alle nuove generazioni.
Può in questa chiave il gioco ri-educare al senso della partecipazione, dell’impegno civico, dello scambio di
esperienze e della condivisione all’interno di una comunità, contribuire al senso di cittadinanza?
Decimo e, finalmente, ultimo indizio: un pacco di spaghetti.
“Italiani pizza, spaghetti e mandolino” o peggio “Italiani, Mafia” erano gli inevitabili standard identificativi
che oltre oceano venivano attribuiti ai nostri connazionali.
Era più pratico e veloce comunicarli e rappresentarli così che starne a comprendere le sfumature e le
diversità identitarie (quanto un emigrante veneto era uguale ad uno pugliese o siciliano?).
L’indizio gastronomico c’è utile a rammentarci il pericolo di una scomparsa del gioco quando esso è
assimilato a pratica monoculturale e stereotipa.
Chiunque conosca un po’ di tradizioni popolari ludiche - chi non lo sa può prenotare a fine settembre una
gita a Verona in occasione della manifestazione Tocatì sui giochi di strada - sa che ogni gioco non dipende
da una tecnica o da un particolare tipo di oggetto/giocattolo ma dalla irripetibile dimensione, natura e
cultura dei giocatori che lo giocano.
È la sua vitalità. È ciò che rende il gioco continuamente nuovo e contemporaneamente antico e ancestrale.
Non c’è un gioco valido per tutti e non c’è un giocatore buono per qualsiasi gioco.
Per un bambino non è migliore un gioco di legno rispetto ad uno elettronico se quest’ultimo è capace di
sollecitare una abilità, una competenza, un desiderio, una relazione.
Non c’è un solo giocare.
Si possono continuare le diatribe tra cultori del gioco di tradizione ed i fan dei giochi virtuali, tra quelli che
amano i giochi di ruolo e i cultori dei giochi di strategia, ecc. ma sono false contraddizioni che perdono il
focus della questione che è fondamentalmente la necessità che si riconosca e si affermi il buon gioco
rispetto alle varie deformanti mutazioni che lo vanno a rappresentare e che rischiano di diventare modelli
vincenti e dominanti.
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E dunque la nostra indagine - che si è fatta man mano sempre più articolata e complessa, a partire da
questo indizio può biforcarsi secondo due aspetti:
Come fare per non perdere radici, memoria, cultura storica del gioco nel futuro in una società connotata
dalla tecnologia?
Dove e come fare incontrare passato e futuro nel nostro presente attraverso nuove forme di narrazione
e di rappresentazione del gioco?
Questi indizi e queste tracce, ampie-confuse-contradittorie non possono chiudere il discorso sui possibili
rischi e i necessari rimedi fatti intorno al gioco. È necessario che l’indagine continui. E che non sia una
avventura solitaria e sotterranea.
Trovare i tempi, i luoghi, i modi e gli strumenti, nuove modalità comuni di comunicazione e di ricerca, campi
di elaborazione e coniugazione culturale, lavorando su quanto ancora, ad esempio - come suggerisce
Roberto Papetti, uno degli sperimentatori più colti del gioco presenti in Italia - gli stereotipi ludici possono
ancora sollecitare, è l’ultima grande sfida che tutti coloro che hanno a cuore il gioco devono affrontare.
Postfazione: quinto ed ultimo paragrafo, politicamente scorretto ma vero, che racconta i retroscena di un
misterioso, anonimo scritto rinvenuto nel computer di un albergo e di una decisione che offrirà al convegno
un finale a sorpresa.
Il Convegno non è ancora del tutto finito.
Nell’albergo in cui sono ospitato insieme ad altri ben più autorevoli esperti ludici, chiedo all’addetto alla
reception di poter usare il computer per leggere le mail ricevute.
Sul desk noto un file.
Si chiama “orgoglio ludico”.
Mi intriga l’abbinamento.
Solletica la mia natura di militante a tempo pieno del gioco.
Chi l’avrà scritto? Un componente delle “Bigliate Rosse” o dei “Nuclei Ludici Con Battenti”?
Forse qualche “grande vecchio” insospettabile tipo Acerbi, Pollo, Bartolucci...
L’avrà letto già qualcun altro? Un altro mistero, oltre quello del furto della marmellata.
Dovevo immaginarlo: Torino, si sa, lo diceva già Ripellino, è una città magica e gotica, scenario ideale per
cose di questo genere.
Questa traccia capitatami sotto gli occhi non può essere casuale. E difatti non lo sarà.
Anch’io come Oscar W. capace di esercizio di temperanza e resilienza di fronte a molte cose ma non alla
curiosità mi abbandono alla tentazione di leggere.
Supero, quindi, di slancio il “chefaccioloapro?”. Mi dico “ok” e clicco.
Ecco cosa ne viene fuori:
289
“Può parlare di gioco, solo chi gioca.
Il gioco sfugge alle categorie e se ne alimenta.
Ma il gioco evolve, i giochi evolvono.
Puoi veramente parlare di gioco, se non dedichi gran parte della tua vita a giocare?
Non ti sembra che ti sfugga qualcosa?
Leggere di gioco e non giocare, non autorizza a parlare.
È come leggere le istruzioni di un cellulare e pensare di poterlo usare.
Si può parlare di gioco in assoluto, senza mai aver provato, in relativo, a tenere il joystick di una console in
mano, senza aver mai sudato agitando il comando di una wii?
Si possono fare affermazioni sul modo di giocare, se non si riescono a citare più di 10 giochi da tavolo,
escludendo i classici?
Si può dire che un bambino gioca così, che una bambina organizza il gruppo di gioco così, che l'adulto si
deve comportare così, se in quel gruppo non ci sguazziamo tutto il giorno?
Non so, se è possibile.
Credo di no.
Se il gioco è importante, perché non giochiamo invece di parlare?
E anche se tu fossi capace di parlare bene del gioco, di farne capire l'intrinseca importanza per la vita di un
essere umano, di distillarne l'essenza, quanto di quello che dici, gli adulti che ti ascoltano, riusciranno a
portarsi a casa?
Forse si portano a casa di più se li fai giocare... ma non in una simulata, non per finta, non per
esperimento... se li fai giocare sul serio.
Se in un meeting, in un convegno, in un incontro solo si parla di gioco e non si gioca, tutti torniamo a casa
più poveri.
Come aver l'acquolina e non poter mangiare.
Ti ricordi che ci hanno parlato di uno splendido e debordante tiramisù... ma, accidenti, non ce l'hanno fatto
assaggiare!”.
I dubbi posti dall’anonimo scrivano telematico sono in parte condivisibili.
Un convegno è di solito connotato da un insieme ponderoso di concetti, parole, tesi, uso e abuso di “power
point” alternati ad agognati break coffee e a fruttuose discussioni nei corridoi (c’è, infatti, chi, senza paura
di finire in una visione ossimorica teorizza formule convegnistiche in “open space” o “camp” in cui,
paradossalmente, l’informale è strutturato secondo precise regole).
Chi partecipa ad un evento del genere sa a cosa va incontro e si attrezza.
Quanto il gioco può essere convegnizzato o quanto un convegno può ludicizzarsi è però un problema che ci
si dovrà porre prima o poi.
290
A me torna in mente - sempre a Torino e sempre a dicembre, ma nel 2005 - la formula del “Time To Play”.
Interventi colti e qualificati ma, se debordanti i limiti di tempo concordati, interrotti da uno spernacchio di
un trombone (impossibile poi continuare o riprendere il filo del discorso senza cadere nel ridicolo).
Gags e performances che raccontano il gioco vivacemente giocando con il corpo, i cartoni, gli oggetti,
workshop ludico-pratici a contorno dentro e fuori il Lingotto.
Lo scritto clandestino sopra riportato, che racconta una specie di contraddizione mistica tipo: “del gioco
non si può solo parlarne”, apre lì per lì, immediatamente ed inconsapevolmente un altro file, tutto mio,
personale.
È così che decido di impostare le conclusioni del convegno, inserendo il gioco nella mia comunicazione.
Provando a “far finta” di essere uno dei mitici agenti del “R.I.S.” di Parma che, grazie allo sdoganamento
televisivo, hanno sostituito nell’immaginario collettivo contemporaneo degli “eroi buoni” - quelli che alla
fine arrivano e vincono i cattivi - i cow boy d’un tempo che fu.
Con alcune complicità ludiche di qualità (Maria Carla, Roberto, Beniamino, Gianfranco, AnnaMaria,
Paolomunini) costruisco il canovaccio, i presupposti e le motivazioni.
Grazie ad alcuni commercianti torinesi mi procuro gli oggetti di scena e i costumi (tute bianche da lavoro).
Con due affiatate, ludicissime, e intrepide colleghe di Narni - coinvolte solo mezz’ora prima - rappresento la
performance, il “play”, mostrando al pubblico con loro i dieci simbolici indizi raccontati nei paragrafi
precedenti, giocando a ipotizzare colpevoli e responsabili.
Saranno quelle che Pasquale (teatrante torinese, ma anche un po’ pugliese come me) chiamerà con uno
straordinario neologismo le “clownclusioni” del convegno.
Al termine, al culmine dell’adrenalina, c’è spazio anche per una citazione presa in prestito da un altro più
celebre performer, con il pane spezzato e spalmato di marmellata distribuito ai presenti a sottolineare la
“comunione” ludica del momento che dedico, commosso, a Giancarlo Perempruner mio inarrivabile mentore
ludico.
Mi sento bene, non è felicità, ma di più.
Pienezza e consapevolezza data dal coraggio di aver avuto voglia di giocare e di aver giocato.
Sento che è venuta fuori energia e mi sembra si sia propagata tra i partecipanti al convegno.
Sarà una sensazione che mi accompagnerà per molto tempo e spero - nel ricordo di quel gioco di finzione,
piccolo, leggero, insospettato ma fortemente voluto - non solo me.
So che Giancarlo sarebbe stato contento di tutto ciò.
Un grande ringraziamento a Maria Carla Rizzolo e ad Anna Maria Venera, e ai loro colleghi delle Ludoteche
e del Centro per la Cultura Ludica di Torino per aver accettato di giocarsi con me le conclusioni del convegno
e ai responsabili di ITER che lo hanno così ben organizzato e promosso.
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291
Per non concludere
Pensieri in libertà…
Maria Carla Rizzolo
La prima riflessione che viene immediata è senza dubbio riferita alla difficoltà di trattare in modo
serio e preciso, un tema che non è serio né, tanto meno, preciso.
Sul gioco si è detto e scritto molto, ma si è giocato? Quanto e quando si gioca ancora? In verità è
proprio questo ciò a cui si dovrebbe tendere, visto che in molti ci hanno ripetuto (anche i saggi relatori del
convegno) quanto sia importante giocare, quanto faccia bene il gioco …a tutte le età e in tutti i contesti.
Allora si è cercato di salvaguardare l’atteggiamento ludico, mascherandolo adeguatamente perché non
siamo ancora grandi abbastanza per affrontare un convegno solamente giocato… Tra i mille motivi
ricorrenti, primo tra tutti è la persistente diffidenza a considerare formativa un’occasione ludico-creativa,
costruita sul piacere di divertirsi! La formazione è una faccenda seria, e come tale va trattata!143
Per fortuna lo spunto di calviniana memoria (riferita a Calvino e non a coloro che sono privi di capelli)
ci ha consentito uno stratagemma: partire da una domanda golosa (chi ha rubato la marmellata?), ma
precisamente collocata nella sfera culturale, per esplorare in modo ludico (speriamo!), avventuroso (forse!),
indagatorio (inesistente nel vocabolario, ma molto di moda!) dove sono finite quelle fette di pane e gioco,
che oggi sono sempre più rare! Perché anche il gioco ha bisogno di sostegno: ha bisogno di servizi entro cui
svilupparsi, di persone che lo possano diffondere, di spazi aperti e liberi, insomma di energetiche fette di
pane bianco o integrale, ai cereali o altro poco importa, quello che è fondamentale è che torni ad essere
una merenda genuina, con una moltitudine di gusti e di profumi.
Per prima cosa è importante che se ne parli, che si porti in giro la voce dei saggi unitamente a quella
dei bambini, dei ragazzi, delle famiglie che in molte parti d’Italia, ancora assaggiano il gioco autentico,
insieme a loro potremo provare e trascrivere e a diffondere sempre nuove ricette ludiche. Perché non si
tratta solo di conservare la memoria del passato, ma soprattutto di gustare il passato (non inteso come una
crema di qualsivoglia verdura) per guardare al presente, con la disponibilità necessaria a conoscere e
collaborare con i nuovi mondi ludici contemporanei.
Quello che è stato sottolineato in queste giornate è condensato in alcune parole chiave emerse dai
gruppi, come: comunicazione, relazione, piacere, divertimento, benessere, autenticità, partecipazione.
Soprattutto nella dimensione educativa queste parole chiave diventano fondamentali perché consentono di
realizzare esperienze che difficilmente saranno dimenticate da coloro che ne sono stati protagonisti. Con
l’aiuto di tutti, potremo continuare a farle crescere e a difenderle, quando ce ne fosse bisogno, per
garantirne la continuità. Non di meno conosciamo le difficoltà del gioco, perché non si può dire “gioca!”
143
Purtroppo questa interpretazione, prevalente in campo educativo, lo è molto meno in campo aziendale dove chi manovra le grandi organizzazioni e i profitti ha ben chiaro che contenuti e apprendimenti, anche quelli poco etici, sono maggiormente compresi e meglio assorbiti se passano attraverso il gioco; lo sapevano già gli antichi Romani, che stimolavano il gioco di strategia tra i comandanti delle legioni per migliorare le loro competenze.
292
perché chi è nel gioco non può barare (chi lo fa rischia l’espulsione), perché il gioco richiede di essere
autentici e se un gioco non ti piace difficilmente puoi farne un’occasione educativa.
Certo il tempo a disposizione era poco (chissà perché un bel gioco dura poco!) ma oggi sappiamo che
ciascuno dei partecipanti, alla fine dei lavori, ha potuto portare con sé alcuni ingredienti: una domanda, un
barattolo e un gioco, frammenti di discussioni, un sorriso, nuove relazioni, conoscenze sparse, attese…
Con questi elementi, nei diversi territori, si può innestare ancora il buon gioco e diffondere la ricetta
della marmellata - ludica, per renderne vano il furto.
Quando si sta bene insieme il desiderio è di non concludere, ma di rilanciare attraverso la raccolta di
pensieri e suggestioni un po’ in ordine sparso, anche perché la dimensione del gioco e del giocare, dal mio
punto di vista, è un vasto universo sempre in movimento, che si costruisce con il contributo di tutti.
Pensieri in libertà perché pensando al gioco tendo a partire dai bambini, ma poi mi ritrovo nel mondo
adulto; penso agli educatori e alla scuola ma poi incrocio anche la famiglia; penso alla memoria ludica, alla
tradizione popolare e alla cultura orale (oggi dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO) attraverso cui
hanno viaggiato giochi, regole e modalità di relazione tra generazioni di bambini e mi domando quali spazi e
tempi ci siano oggi, e a quali sforzi siamo chiamati per sostenere la cultura ludica popolare.
Tendo a guardare in modo privilegiato ai servizi in cui lavoro, ma cerco di interrogarmi su quali servizi
possono dare risposte ai bisogni e ai desideri dei cittadini di ogni età, di oggi e di domani, quali alternative
possono contrastare i nuovi luoghi del non gioco: macchinette mangiasoldi, i gratta e vinci, il lotto 24 ore…
Se il gioco è parte della vita dell’uomo bisogna distinguere e non confondere la dipendenza con il
sano piacere e la libera scelta.
Presto attenzione alla normativa di sicurezza sul lavoro, alla legislazione che definisce le
caratteristiche degli edifici educativi, ma mi domando come e quando ci sarà spazio per discutere
seriamente su come affrontare una consapevole educazione al rischio che consenta a bambini e ragazzi di
esplorare se stessi e il mondo in modo graduale e consapevole.
Quando sento commenti giudicanti sui comportamenti e sulle difficoltà in cui si trovano i ragazzi oggi,
mi chiedo quali sono i modelli di adulti positivi di cui dispongono? con quali valori etici, sociali e culturali si
possono confrontare?
E ancora, come è difficile maturare consapevolezza e senso di responsabilità, da costruire e da
condividere con chi lavora per loro in tutti i campi: dalla comunicazione mediatica, alla politica fino alla sfera
educativa.
Allora credo sia importante allearsi, mettere insieme pensieri ed energie positive che ci aiutino a
tenere alto il livello culturale e popolare del gioco, a difendere il diritto al gioco senza nostalgiche e
melanconiche memorie verso il passato, ma con entusiasmo, con spirito critico e voglia di sporcarsi le mani,
attenti ad accogliere e restituire un pensiero critico anche sul versante del gioco.
Due giornate di lavori e confronti per noi, ma ci auguriamo anche per ciascuno dei partecipanti, sono
state una vera iniezione di energia pulita, una piccola ricarica personale, da portare con sé per affrontare
meglio i quotidiani impegni.
Per rilanciare prendo in prestito un pensiero di Walter Ferrarotti, pedagogista, che ha diretto per
293
molto tempo i Servizi educativi della Città di Torino, alla cui figura, durante i lavori del convegno è stato
intitolato il Centro per la Cultura Ludica:
“… affrontare i problemi di una nuova qualità di vita partendo dall’infanzia e in particolare dal gioco
del bambino è una delle carte che la Città può giocare per sé e per gli altri. Una delle carte non certo l’unica
neppure la più importante, ma significativa perché il gioco è una risorsa biologica che permette ai piccoli di
tante specie di sopravvivere, di imparare a vivere e di intendersi con chi parla un linguaggio diverso o non
parla affatto.”144
Per quello che ci riguarda la promessa è di continuare a credere e a sostenere lo sforzo personale e
pubblico, esercitando il gioco nelle ludoteche e in qualsiasi altro spazio sapremo inventare.
Un impegno che tende anche a contrastare quel gioco che non ci piace e che genera dipendenza, che
confonde le idee promettendo future fortune, che andrebbero conquistate con il lavoro, con l’inventiva
personale.
Grazie a tutti
Un sincero ringraziamento a tutti coloro che con me hanno creduto nell’iniziativa, coinvolgendosi in
prima persona:
innanzitutto il gruppo di collaboratori dei Centri di Cultura per il Gioco: gli esecutori, gli insegnanti,
l’apparato amministrativo, i grafici… senza il loro lavoro puntuale e determinato non sarebbe stato
possibile dare vita al convegno;
poi i relatori, sedici saggi che da varie parti del Paese hanno portato i loro preziosi punti di vista per
consentire un proficuo scambio di pensieri;
il vasto pubblico dei partecipanti145 che ha arricchito la discussione rendendo possibile il confronto e lo
scambio, nei gruppi lavoro, oltre ogni aspettativa;
ultimo ma non ultimo va un ringraziamento al Servizio: dall’Assessore ai Dirigenti che con il loro assenso
e il loro contributo hanno creduto e sostenuto ancora una volta, il valore del gioco.
Un ringraziamento e un saluto a tutti noi che sappiamo bene che, come può succedere solo nel gioco,
quando ci si incontra di persona, si accrescono le relazioni e i sogni diventano un po’ più vicini.
Quando soffia il vento del cambiamento
alcuni costruiscono muri,
altri mulini a vento!
(proverbio cinese)
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144
Ferrarotti W., Gioco e Animazione, Thyrus, Terni, 1981. 145
Quasi 400 iscritti, con 18 regioni italiane rappresentate, 28 differenti professionalità: dagli educatori agli architetti, dagli insegnanti ai pediatri, dai genitori agli amministratori…
294
Autrici e autori
Riccardo Poli, di formazione pedagogista, collabora con l’Istituto degli Innocenti di Firenze alle attività del
Centro Nazionale di Documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza fin dalla sua costituzione nel
1996. In questo contesto ha partecipato alla realizzazione di attività di analisi, formazione e promozione,
occupandosi in particolare dell’attuazione della legge 285/97, supportando l’Osservatorio Nazionale per
l’Infanzia e l’Adolescenza nella predisposizione dei Piani nazionali d’azione e collaborando alla stesura del
Rapporto all’ONU sull’attuazione della Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo. Dal 2007 è
segretario nazionale del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza.
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Amilcare Acerbi, coordinatore pedagogico dei Servizi educativi di Pavia, Cremona, Torino, presidente del
Comitato Italiano per il Gioco Infantile. Fondatore e responsabile della prima cityfarm italiana a Pavia, ha
collaborato alla progettazione e all’apertura dei seguenti servizi sul gioco: Centro per la Cultura Ludica di
Torino, Centro per la Cultura del Gioco di Milano, Parco della Fantasia Rodari di Omega, Città dei Ragazzi di
Siano, EcoCittà dei Ragazzi nel Parco del Severo, Museo del Gioco di Tradizione per la Fondazione Pianura
bresciana. Attualmente è direttore di GioNa (Associazione Nazionale delle Città in Gioco), consulente del
Comitato Italia 150 di Torino per la sezione scuola e didattica. Autore dei seguenti volumi: Spazi ludici. 30
progetti per aree gioco in interni e all’aperto. Manuale per la progettazione e la gestione (con Giuliani M.,
Martein D.), Maggioli Editore, Rimini, 1997; Il gioco è di più. Ludoteche e centri per il gioco e l'aggregazione
(con Martein D.), Junior, Azzano San Paolo, 2005; Musei, non-musei, territorio. Modelli per una pedagogia
urbana e rurale (con Martein D.), Franco Angeli, Milano, 2006.
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Andrea Mori, responsabile, animatore ludico e socio-culturale della cooperativa sociale Progetto Città che
ha fondato nel 1980, si occupa di numerose attività e progetti ludico-educativi, mostre, corsi di formazione
e aggiornamento. Progettista e responsabile di diverse manifestazioni nazionali, in particolare ideatore e
responsabile del Centro per la Cultura Ludica di Bari. Socio fondatore dell’Associazione Italiana dei Ludobus
e delle Ludoteche di cui è stato presidente dal 2003 al 2007. Dal 2006 è socio fondatore e presidente della
Fondazione Città Bambino, per cui ha curato nel 2008 e nel 2009 le edizioni della manifestazione
Giocalaluna - La notte dei bambini e delle bambine. Autore di numerosi articoli e contributi in volumi, dal
2002 è curatore, insieme a Roberto Farnè, della collana Piste per la casa editrice La Meridiana, con cui ha
pubblicato In giro giocando-ludobus, animazione e territorio, 2002.
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295
Maria Carla Rizzolo, responsabile pedagogica dei Centri di Cultura per il Gioco di ITER.
Dal 1984 direttrice di circolo didattico, per il Comune di Torino ha contribuito alla definizione del Progetto
Gioco della Città, del quale è responsabile pedagogica dal 1995. Ha accompagnato l’evoluzione dei servizi
ludici nella loro nuova veste di Centri di Cultura per il Gioco all’interno dell’istituzione ITER. Formatrice per
il CIGI (Comitato Italiano Gioco Infantile) sul tema del gioco e avventura parchi robinson, e per la Città di
Torino nei corsi regionali professionalizzanti per tecnico educativo-ludico; membro del direttivo del CIL -
Centro Internazionale Ludoteche, collabora come docente in corsi tematici su come “istituire una
ludoteca”. È referente, per la Città di Torino, della Commissione Sicurezza Giocattoli dell’UNI, di Milano. Ha
pubblicato un contributo sui Centri di Cultura per il Gioco in AA.VV., Lusso? No, grazie: democrazia, Tirrenia
Stampatori, Torino, 2007 e in Garantire il diritto al gioco, (a cura di Anna Maria Venera), Junior, Azzano San
Paolo, 2011.
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Coordinatori dei gruppi di lavoro
A - Gioco, spazio di avventura, creatività, movimento
Roberto Pompermaier, Associazione VKE, Bolzano.
Animatore teatrale per studi e formazione (dieci anni di teatro fra il 1978 ed il 1988), spirito critico grazie
anche alla laurea in filosofia, ha conosciuto durante il servizio civile (1982) le attività del ludobus, alle quali
si è dedicato “anima e corpo” dal 1988 al 2004 come responsabile del ludobus dell’associazione VKE di
Bolzano (www.vke.it), primo e per lunghissimi anni unico ludobus italiano. Nel 1998, con il VKE, è stato tra i
fondatori di ALI per giocare, l’associazione dei ludobus e delle ludoteche italiane, di cui è rimasto
presidente fino al 2003. Dal 1990 fino al 2005 ha organizzato otto edizioni della Città dei Ragazzi MiniBZ
(http://minibz.vke.it) e dal 2004 ha assunto la carica di direttore del VKE. Inoltre: diploma di Pedagogia del
gioco e inguaribile inclinazione e fiducia nel gioco come strumento di conoscenza e di relazione.
Grazia Bisonni, ludoteca Avrah KaDabra, ITER.
In servizio dal 1980 nella scuola primaria come insegnante di tempo lungo, dopo scuola, sostegno ad alunni
con difficoltà, laboratorio di arti grafico-pittoriche e plastiche, laboratorio di cinema di animazione. Dal
1987 è ludotecaria nella ludoteca Drago Volante, attualmente è impegnata nell’apertura della nuova
ludoteca Avrah KaDabra. Dal 1986 partecipa all’organizzazione e promozione delle attività dell’associazione
culturale Baldanza, per la ricerca, lo studio e la divulgazione di danze, giochi, riti e feste della tradizione
popolare italiana e internazionale e alla realizzazione di spettacoli itineranti.
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B - Memoria e trasmissione nel gioco di tradizione popolare
Antonio Damasco, direttore della Rete Italiana di Cultura Popolare.
Nato a Napoli nel 1972, si è formato, lavorando sin da bambino, con Edoardo Sanguineti, Enzo Moscato e
Francesco Silvestri, esponenti della Nuova drammaturgia napoletana, con Donato Sartori, direttore del
Centro maschere teatrali di Padova, con Lucio Diana, scenografo del Laboratorio Teatro Settimo, con Ugo
Chiti, autore e regista teatrale e cinematografico e con Roberto Tessari, drammaturgo e docente presso il
D.A.M.S. - Università di Torino. Direttore della Rete Italiana di Cultura Popolare, è stato tra gli ideatori del
Comitato promotore per la diffusione della Cultura del territorio, direttore di OP, Festival dell’Oralità
Popolare. Fondatore del Teatro delle Forme è direttore artistico, regista, attore e drammaturgo.
Bruna Pangallo, ludoteca Cirimela, ITER.
Insegnante della ludoteca Cirimela che ha contribuito ad aprire nel 1994. Ha operato nella scuola
dell’obbligo come sostegno per bambini con problemi relazionali, gestito un laboratorio di psico-corporeità
dopo aver seguito una specifica formazione, passando successivamente alla realtà delle ludoteche.
Laureata in Storia, ha approfondito il tema della storia orale come testimonianza diretta. Negli ultimi anni si
è dedicata all’elaborazione e realizzazione di percorsi didattici sulla storia del gioco, dal gioco antico e
medievale a quello della tradizione popolare.
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C - Ludo-tecnica ed edutainment: fattori negativi e valore aggiunto
Silvia Carbotti, esperta di tecnologie per la didattica.
Ha conseguito il dottorato di ricerca in Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento con una tesi sull’uso
degli strumenti multimediali per l’apprendimento dell’Italiano L2. Svolge come borsista alcuni laboratori di
progettazione per il web presso l’Università degli Studi di Torino ed è docente di Sistemi informativi presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore - Facoltà di Medicina e Chirurgia Agostino Gemelli. Lavora presso
l’Ufficio attività editoriali della Fondazione del Teatro Stabile di Torino, con particolare riferimento all'area
web e sviluppa come freelance progetti per la rete. È responsabile del progetto navediclo.it.
Maria Battaglia, Centro per la Cultura Ludica, ITER.
Ludocuriosa in genere, appassionata di giochi da tavolo in particolare, per oltre dieci anni ha lavorato nel
gruppo insegnanti della ludoteca Drago Volante. Da diversi anni cura e conduce, nell’aula multimediale del
Centro per la Cultura Ludica, percorsi didattici per le scuole, attività rivolte all’utenza libera, formazione per
insegnanti, con attenzione particolare verso il mondo dei videogiochi.
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D - Dove si gioca oggi: i servizi per il gioco
Roberto Maurizio, Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza.
Educatore, psicologo, da anni impegnato nel settore delle politiche e dei servizi per giovani, infanzia e
famiglia. Attualmente è componente esperto dell’Osservatorio nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza.
Collabora da tempo con l’Istituto Nazionale Innocenti di Firenze per lo sviluppo della legge 285/97 e per le
attività di ricerca e di studio realizzate a livello nazionale. Inoltre collabora stabilmente con la Fondazione
Paideia di Torino e con la Fondazione Zancan di Padova.
Livia Papi, Associazione Giochimpara, Torino.
Dal 1996 coordina l’associazione Giochimpara, che offre servizi alle famiglie per favorire la conciliazione dei
tempi e l’animazione dei bambini, anche utilizzando strumenti di gioco complessi quali il computer e le
lingue straniere. Dal 1996 l’associazione collabora anche con i Centri di Cultura per il Gioco di Torino,
operando presso ludoteche, punti gioco e gruppo gioco in ospedale e contribuendo ad estendere i servizi,
sia negli orari di apertura, che nei contenuti e a facilitare la loro integrazione territoriale. Nel 2007 ha
realizzato la prima Banca del Tempo per bambini e famiglie, presso uno dei punti gioco di Torino.
Consulente di organizzazione, si occupa in particolare di responsabilità sociale, sistemi di qualità e progetti
di conciliazione, professionalità che si traduce in un approccio strutturato anche nell’organizzazione delle
attività ludiche di Giochimpara.
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E - Gioco, scuola ed extrascuola
Beniamino Sidoti, esperto di giochi.
Si occupa, da una ventina d’anni, di giochi e narrazione, come autore, divulgatore, organizzatore,
animatore, formatore, curatore, editore e direttore. È tra i fondatori di Lucca Games e tra i redattori de La
Ludoteca. Ha collaborato con le case editrici Giunti, De Agostini, La Meridiana. Collabora anche con servizi
quali biblioteche, ludoteche, scuole e persino con sindacati ed ospedali nelle diverse regioni italiane.
Rosanna Clinco, Centro per la Cultura Ludica, ITER.
Dal 1992 al Centro per la Cultura Ludica si occupa di gioco e di collezionismo, esplorando con passione
l’universo ludico nelle sue svariate forme, privilegiando i giochi di narrazione e quelli linguistici, i giochi da
tavolo, i videogiochi. Esperta, ma non tuttologa, ricerca costantemente modalità di restituzione del
patrimonio culturale ludico, impegnandosi in attività rivolte ai bambini e agli adulti.
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F - Gioco e relazione nei contesti di difficoltà e di diversità
Santo Cicco, Cooperativa Fantacadabra, Sulmona (AQ).
Educatore, attore-clown, animatore socio-culturale. Coordinatore dei Servizi educativi per i minori previsti
dalla Comunità Montana Peligna e gestiti dalla cooperativa sociale Horizon Service. In questo ambito
conduce laboratori ludico-espressivi per minori e famiglie, ha curato mostre e convegni, organizza le attività
estive dei Comuni montani. Fondatore e presidente della cooperativa sociale Fantacadabra, è clown nel
reparto di Pediatria dell’ospedale di Sulmona, conduttore di laboratori di teatro e cinema nelle scuole di
Sulmona, responsabile di progetti di animazione sociale nel territorio. Attore nelle ultime produzioni di
teatro ragazzi del Teatro Stabile di Innovazione Florian di Pescara, ha condotto laboratori teatrali
nell’istituto penitenziario di Sulmona. Autore di libri sull’animazione, collabora con il cinema e cura la
sceneggiatura di documentari.
Renata Bronzino, Gruppo Gioco Ospedale, ITER.
Insegnante animatrice del Gruppo Gioco Ospedale presso l’Ospedale Infantile Regina Margherita, ha
maturato esperienze nel campo del gioco in ospedale, grazie all’attività svolta nelle sale gioco e grazie alle
esperienze formative di ricerca e confronto con altre realtà ospedaliere. Dal 2000 segue il progetto
Operazione in Gioco, percorso di preparazione e accompagnamento del bambino e della famiglia
all’intervento chirurgico, da cui hanno preso avvio percorsi specifici per l’Oncoematologia, per il Centro
trapianti e un progetto di presentazione della realtà ospedaliera rivolto ai preadolescenti e agli adolescenti.
Coautrice di alcuni libri dedicati a chi ha voglia di “mettersi in gioco”, ha collaborato alla stesura di percorsi
di formazione per operatori e per volontari impegnati nella relazione di aiuto al bambino e ha presentato,
ai corsi di laurea infermieristici, l’importanza dell’approccio ludico nella comunicazione con i piccoli
pazienti.
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G - La formazione ludica compresa tra il sapere e il saper giocare
Bernardetta Gallus, Agenzia formativa Forcoop.
Responsabile della progettazione dell’agenzia formativa Forcoop, ha consolidata esperienza nella
progettazione di profili e di percorsi per educatori prima infanzia, tecnici di ludoteca e per gli educatori che
si occupano dei minori nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino. Da anni svolge attività come
formatrice in ambito educativo, animativo, socio-sanitario e assistenziale, dal 2000 è responsabile e
coordinatore didattico di corsi di riqualificazione per educatori professionali dell’agenzia Forcoop. È
docente a contratto per l’Università di Torino nell’ambito dell’insegnamento della didattica integrativa
rivolta agli studenti dell’Interfacoltà in Educazione professionale. Dal 2004 è responsabile del Tavolo di
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lavoro nazionale di valutazione e progettazione per i Progetti del Servizio Civile Nazionale Volontario
LegaCoop - Roma e formatore dei progettisti locali del SCNV, fa anche parte della Commissione socio-
educativa della Pubblica Amministrazione della Regione Piemonte - Formazione professionale - Standard
formativi.
Tamara Lavina, Ludoteca Drago Volante, ITER.
Insegnante ludotecaria per il Comune di Torino, nel 1987 è stata co-fondatrice della ludoteca Drago
Volante, primo progetto territoriale di centro ludico per bambini, ragazzi e famiglie. Ha impostato la sua
attività professionale sul valore educativo e sociale del gioco, in particolare nell’infanzia. Nel corso degli
anni, per la Città di Torino, parallelamente al lavoro quotidiano nella ludoteca, ha svolto attività di
formazione in corsi rivolti ad educatori, insegnanti, volontari del Servizio Civile e ha curato i contenuti
relativi alla metodologia e al ruolo del ludotecario nel corso per tecnico di laboratorio educativo-ludico,
organizzato da una agenzia formativa piemontese con la collaborazione del Comune di Torino. Autrice di
diversi articoli per la rivista Infanzia, ha pubblicato Scacchi in gioco fra scuola e ludoteca nel volume
Cordara M., Magnoni U., Mascolo R. (a cura di), Scacchi a scuola, Junior, Azzano San Paolo, 2004.
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300
Nell’ambito delle attività che ITER, attraverso i Centri di Cultura per il Gioco, svolge per restituire all’esperienza ludica una posizione centrale per l’infanzia, ampio spazio è dato alla riflessione e alla ricerca sul gioco e sul giocare. Con il convegno Chi ha rubato la marmellata? Riflessioni intorno al diritto al gioco, oltre quattrocento addetti ai lavori si sono ritrovati per approfondire, confrontare e, soprattutto, dialogare, sulle tante questioni che la volontà di garantire il diritto al gioco lasciano aperte in una realtà in continua trasformazione. L’argomento è vasto, molte sono state le suggestioni che hanno trovato riscontro nella riflessione; si è per questo deciso di presentare il materiale raccolto in due volumi: il primo (Garantire il diritto al gioco, a cura di Venera A.M., edizioni Junior, 2011) presenta i contributi teorici che ricercatori e studiosi, nella prima giornata, hanno fornito, con grande stimolo per la successiva discussione; il secondo volume raccoglie i contributi di quanti quotidianamente esercitano il gioco e il giocare a diverso titolo, e che si trovano ogni giorno a misurarsi con domande quali: quanto sono cambiati il tempo, lo spazio, il modo di giocare di bambini e ragazzi? In che dimensione si può ancora incontrare e reinventare il gioco di tradizione popolare? Come operano e quali sono i servizi che si occupano di gioco? E ancora, come rispondere in modo adeguato al bisogno e al diritto di gioco di cui tutti i soggetti sono portatori? Nel presente volume sono dunque raccolte le esperienze significative e le riflessioni corali che sono emerse nei gruppi di lavoro del convegno e che i coordinatori hanno saputo valorizzare restituendole con passione e originalità.
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