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ISTITUTO COMPRENSIVO SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO
“SANTA CROCE” DI SAPRI
COMPITO DI REALTA’:
“PICCOLO DIZIONARIO ILLUSTRATO
DI VIZI E VIRTU’ “
“ CLASSE II (SEZIONE B) SEDE SAPRI
SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO “
ANNO SCOLASTICO 2017/2018
1
INDICE
INDICE ………………………………………………………………………… p. 1
Un’introduzione al compito di realtà ………………………. p. 2
* Il prodotto realizzato ……………………………… p. 2
* Gli obiettivi del lavoro ……………………………. p. 2
“ La Superbia “ (e “ L’Umiltà “) … …………………………………….… p. 3
“ L’Avarizia “ ( e “ La Prodigalità “ ) ………………………………….…p. 8
“ La Lussuria “…………………… …………………………………….…p. 10
“ L’Invidia “…………………… …………………………………... ………p.11
“ Il peccato di Gola “…………………… ………………………………… p. 14
“ L’Ira “ ( e “ La Pazienza “ )…………………… ……………………… p. 16
“ L’Accidia “ ( e “ L’Alacrità)“……………………………………….… p. 20
Report finale (Autovalutazione)……………………………………………. p. 23
2
UN’INTRODUZIONE AL COMPITO DI REALTA’:
“PICCOLO DIZIONARIO ILLUSTRATO DI VIZI E VIRTU’ “
________________________________________________
IL PRODOTTO REALIZZATO
La classe II (sezione B della Scuola Secondaria di Primo Grado, sede di Sapri) presenta come
voci di un dizionario i “ sette vizi capitali “ e, in qualche caso, le “relative virtù umane”.
Di ogni voce:
È stata data una definizione
È stato scritto un breve aneddoto
È stata preparata un’illustrazione
Inoltre è stato preparato un piccolo report finale (Autovalutazione)
GLI OBIETTIVI DEL LAVORO
Rafforzare la capacità di riflessione sui comportamenti umani
Rafforzare la capacità di consultare un dizionario
Rafforzare la competenza di scrittura necessaria a scrivere le spiegazioni e i racconti
Sviluppare la capacità di individuare o creare l’illustrazione di un testo
Rafforzare la competenza digitale, utilizzando un programma di videoscrittura per impaginare
il dizionario
Rafforzare la capacità di pianificare e organizzare un lavoro
3
Superbia
Con SUPERBIA si intende la pretesa di meritare per se stessi, con ogni mezzo, una posizione di privilegio sempre maggiore rispetto agli altri. Essi devono riconoscere e dimostrare di accettare la loro inferiorità correlata alla superiorità indiscutibile e schiacciante del superbo. Nella dottrina morale cattolica la superbia è considerata il peccato peggiore tra i setti vizi capitali:
Superbia
Avarizia
Accidia
Lussuria
Gola
Ira
Invidia
desideri ordinati verso lo spirito del male, cioè Satana, dai quali tutti i peccati traggono origine e che causano la morte dell'anima. Ai Vizi capitali sono contrapposte le tre Virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) e le quattro Virtù cardinali (Giustizia, Fortezza, Temperanza, Prudenza). Il superbo tende a comportarsi in maniera malvagia perché ritiene di essere migliore degli altri. La superbia viene raffigurata pure da Dante nell'opera Divina Commedia come il leone, una delle tre.
I simboli che nell'arte accompagnano la raffigurazione della superbia sono generalmente il pavone, lo specchio (nel quale a volte si scorge il riflesso di Satana) e il pipistrello. Nell'iconografia rinascimentale può capitare di trovarla con attributi come il leone o l'aquila.
“La superbia è” figlia dell’ignoranza
e madre dell’arroganza
(Proverbio)
4
“Dove è bellezza è superbia”. (Proverbio)
FOTO SUPERBIA
5
Umiltà
L'umiltà è la prerogativa dell'umile. Nonostante esistano diversi modi di
intendere questo termine nel quotidiano, una persona umile è essenzialmente una persona modesta e priva di superbia, che non si ritiene migliore o più importante degli altri.
Il termine "umiltà" è derivato dalla parola latina "humilis", che è tradotta non solo come umile ma anche alternativamente come "basso", o "dalla terra". Poiché il concetto di umiltà indirizza a un'intrinseca stima di se stessi, è enfatizzata nella branca della pratica religiosa e dell'etica dove il concetto è spesso definito più precisamente e ampiamente.
Nella religione e nella spiritualità, l'umiltà è generalmente considerata
un valore positivo. Nelle religioni monoteistiche, l'umiltà può essere vista come la capacità di riconoscere ed indagare la Verità su di sé. È la virtù che porta alla consapevolezza della propria identità, dei propri limiti e della propria forza, che permette di entrare in una vera relazione con gli altri. I limiti vanno intesi come confini, oltre i quali c'è il prossimo e c'è Dio, mentre la forza va intesa come i diversi doni e carismi attraverso i quali mettersi al servizio del prossimo e del disegno di Dio. Essere umili significa inconsciamente amare il prossimo come esperienza di vita, sentimentale, lavorativa e sociale senza alcuna distinzione o disparità.
L'umiltà nella filosofia
Al Mahatma Gandhi è attribuita la considerazione che la ricerca della verità, senza l'umiltà, è condannata a degenerare in una tremenda caricatura di se stessa.[1][2]
Anche il taoismo considera l'umiltà come una grande virtù. Le seguenti massime descrivono in che modo l'uomo saggio dovrebbe concepire la propria realizzazione in accordo al Tao Te Ching (77.4)
« [l'uomo saggio] agisce senza rivendicare il risultato come proprio; egli consegue l'obiettivo ma non vi resta aggrappato: egli non desidera dimostrare la propria superiorità »
6
“È stato l’orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli; è l’umiltà che rende gli”
uomini uguali agli angeli. (Sant’Agostino)
FOTO UMILTA’
7
8
L’avarizia.
L'avarizia è elencata tra i sette vizi capitali secondo la Chiesa cattolica. È la scarsa disponibilità a spendere e a donare ciò che si possiede. Spesso si confondono i due termini: avarizia e avidità. Le due nozioni, invece, hanno dei significati diversi: l'avidità è il desiderio di accrescere indefinitamente il proprio possesso (nel senso più generale possibile del termine), avaro è chi prova un attaccamento morboso verso quel che già posseduto.
L’avarizia nella psicologia.
L’eccessivo attaccamento al denaro si presenta di rado come una caratteristica isolata, ovvero non è da intendersi come un mezzo un po’ fastidioso della personalità, perché la taccagneria contiene in sé altre e più insidiose implicazioni psicologiche e interpersonali. Spesso chi è avaro è anche iper-crontrollante nei confronti degli altri, è sospettoso, malizioso. Va in cerca di continue conferme circa l’altrui opportunismo, perché sembra essere amaramente persuaso che al mondo esistano due sole categorie di persone: i falsi e gli ingenui. Rifugge dai primi, commisera e sfrutta i secondi. Esigono di avere (letteralmente) sempre l’ultima parola e di prendere (letteralmente) ogni decisione. L’avarizia è un tratto socialmente ben tollerato, eppure può avere conseguenze gravi e invalidanti sul benessere dell’individuo: solitudine, disadattamento, depressione, ansia, conflittualità interpersonali, separazioni, divorzi possono avvicendarsi attraverso intere esistenze e avvilirle, senza che l’avaro prenda mai coscienza che questa ossessione per i soldi, per il possesso, per l’accumulo siano alla base della sua infelicità.
L’avarizia nella società. L'avarizia può essere ritenuta dannosa per la società, poiché appare ignorare il benessere degli altri
a favore del proprio. Questo fa degli spilorci persone affettivamente isolate, anche quando riescono
a mantenere rapporti stabili, a sposarsi e ad avere figli. La sola forma di relazione che li rassicura è
la dominanza, la possibilità di gestire gli affetti con la stessa rigida parsimonia con cui adoperano il
denaro.
Proverbi. Chi tutto vuole, tutto perde: chi vuole tutto, alla fine non ha niente.
Chi più ha, più vuole: chi ha tante cose, non si accontenta mai di
quello che ha e desidera sempre di più.
Non è povero chi non ha niente, ma chi tanto desidera: il povero non
è chi non ha niente, ma chi vuole sempre tutto.
A chi non basta ciò che basta, non basta alcuna cosa: a chi ha tante
cose, non basta mai niente ed è sempre desideroso di altre cose.
9
La prodigalità
Si dice di persona che spende o dona con eccessiva larghezza o che sperpera e sciala, chi, dopo una
vita dissoluta e sregolata, ritorna pentito sulla retta via. Che dona senza misura, con prodigalità
eccessiva, chi, dopo un periodo di traviamento, di disamore, di deviazione anche di ideologia, torna
pentito sulla retta via, o all’istituzione, alla persona che aveva abbandonato, con riferimento al
personaggio e al titolo di una parabola evangelica. Ha a che fare con acquisti eccessivi o stravaganti.
Oggi la prodigalità viene utilizzata spesso per indicare il dispendio di risorse monetarie, a differenza
di altri tipi di risorse. Il termine indica proprio spese eccessive o inutili, spesso tendenti al lusso.
“I prediletti dell'Onnipotente sono i ricchi che hanno l'umiltà dei poveri, ed i poveri che hanno la
magnanimità dei ricchi.”
Saadi
“Se vuoi eliminare l'avarizia, devi eliminare sua madre: la prodigalità.”
Cicerone
“L’amore è la sola ricchezza che cresce con la prodigalità. Più se ne dà, e più ne resta.”
Katherine Pancol
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LA LUSSURIA La lussuria è l'abbandono al piacere sessuale.
La lussuria nelle religioni In molte confessioni religiose la lussuria è considerata un peccato, in quanto
menomazione della volontà individuale e discernimento del bene e del male
più che, come si ritiene comunemente, un "male in sé", inteso come atto in sé riprovevole. Per altre, invece, la lussuria non è un male.
Secondo la Chiesa Cattolica
È per i cattolici uno dei sette vizi o peccati capitali, il "vizio impuro", al di fuori della norma morale. Secondo le elaborazioni dottrinali della teologia
morale del Cattolicesimo, la lussuria è causa di svariati effetti negativi.
Nel cerchio dei lussuriosi: Paolo e Francesca La storia di Paolo e Francesca mette dunque in discussione Dante anche
come poeta dell'amore.
Non a caso Dante dopo la prima confessione della giovane ha un attimo di sconforto, resta assorto in silenzio: sembra pensare a come sia possibile che
l'attrazione innocente, l'amor cortese si trasformi in peccato degno
dell'Inferno con le regole cortesi alle quali Dante stesso aveva aderito in gioventù. Quindi lo stesso sentimento che aveva ispirato a Dante i versi della
Vita Nuova, adesso gli appare come una delle possibili cause di condanna
eterna. Dante, richiamato alla realtà dà infatti rivelerà una parte dei pensieri che lo stavano assillando e chiederà a Francesca una spiegazione su come
questo sentimento si sia potuto trasformare in peccato. È solo colpa
dell'adulterio? In realtà Dante non vede una colpa in sé nella pulsione amorosa, ma il peccato ne nasce quando nell'attuare questa pulsione si viene
meno ai precetti morali, come quello sulla fornicazione nell'adulterio.
Nonostante il poeta collochi Paolo e Francesca tra i dannati, non può fare a meno di provare un senso di profonda ed umana pietà e di compiangerne la
sorte.
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L’INVIDIA: VIZIO CAPITALE
Se l'invidia fosse febbre, tutto il mondo n'avrebbe.
L'invidia nacque e morirà con gli uomini.
L’invidia è un cieco che vuole strapparti gli occhi.
Invidia Il termine invidia (genericamente guardare male, quindi "gettare il malocchio ") si riferisce
a uno stato d'animo o sentimento per cui, in relazione a un bene o una qualità posseduta
da un altro, si prova spesso odio e un risentimento tale da desiderare il male di colui che
ha quel bene o qualità.
Invidia, Cappella degli Scrovegni. L'invidia fa bruciare l'invidiosa che colpisce l'invidiato ma
viene colpita dalla sua stessa malvagità. Il serpente della calunnia si rivolta contro di lei
colpendole gli occhi.
In modo più approfondito l'invidia può essere definita come il
« rancore e risentimento che si prova per la felicità, la prosperità e il bene altrui... è il desiderio ostinato di ciò che non si è potuto raggiungere per difficoltà o ostacoli non facilmente superabili, ma che altri, hanno vinto con successo.»
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In questo caso appare, oltre che l'odio per la felicità altrui, un rapporto di similarità tra
l'invidioso e l'invidiato come già Aristotele notava nel concepire l'invidia come «un dolore
causato da una buona fortuna che appare presso persone simili a noi» per cui «sentiranno
invidia quelli che sono o sembrano essere i nostri pari, intendendo per pari coloro che
sono simili a noi. Invidiamo le persone che ci sono giunte nel tempo, luogo, età e
reputazione, da cui il proverbio: "Il familiare sa anche invidiare"».
L’invidia genera non solo dolore, ma anche «tristezza per i beni altrui» che l'invidioso
vorrebbe per sé poiché giudica che l'altro li possegga ingiustamente e debba essere
punito per questo.
Tristezza dell'invidioso «rispetto al bene altrui in quanto diminuisce la nostra gloria ed
eccellenza» procurandoci «l'odio, la maldicenza, la diffamazione, la soddisfazione per le
disgrazie del prossimo»
Il triste invidioso che viene raffigurato a spiare da lontano, con il viso accigliato, quel
fortunato felice possessore che vorrebbe far soffrire di una sofferenza che invece, come in
un contrappasso, colpisce lui.
Il suo malocchio si ritorce contro di lui, come nella visione dantesca: le anime sono punite con la cucitura delle palpebre.
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Nella dottrina cristiana l'invidia compare fin dai tempi biblici con il tradimento
di Caino invidioso dell'amore di Dio per Abele . la stessa invidia attraversa l'Antico
Testamento, che lo definisce «carie delle ossa»,per giungere fino al Nuovo dove Cristo
viene dato a Pilato che «sapeva bene che glielo avevano consegnato per invidia».
L'invidia è dunque il «peccato diabolico per eccellenza» poiché, Caino vittima e discepolo
del diavolo ha fatto sì che «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo».
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Il peccato di gola
Peccato di gola Nulla può fungere da ostacolo, la sola meta da raggiungere per questi peccatori è la sazietà e ingordigia, infatti questo peccato è alla radice della cupidigia perché nasconde in se altri peccati come quello dell’avarizia, dell’egoismo, della superbia, dell’individualismo che nascono dai comportamenti di questi peccatori che sono come ossessionati dal cibo e dalla buona tavola
Peccato di gola ieri e oggi
Il peccato di gola era considerato il più temibile dei vizi capitali proprio perché incontenibile, nato da
un bisogno corporale ingovernabile e immagine di un’anima soggetta al corpo e per questo dannata.
Oggi la filosofia contemporanea, nell’analizzare il vizio di gola, si concentra piuttosto sulle
implicazioni etiche: dalla fame nel mondo alla medicalizzazione dell’obesità
Peccato di gola per Dante
Nulla può fungere da ostacolo, la sola meta da raggiungere per questi peccatori
è la sazietà e l’ingordigia, infatti questo peccato è alla radice della cupidigia
perché nasconde in se altri peccati come quello dell’avarizia, dell’egoismo, della
superbia, dell’individualismo che nascono dai comportamenti di questi
peccatori che sono come ossessionati dal cibo e dalla buona tavola. La loro pena
infernale è quella di essere costretti a rotolarsi in un fango putrido e
maleodorante colpiti da una pioggia gelida, custode di questo cerchio è
Cerbero, un gigantesco e spaventoso cane a tre teste che li tormenta in eterno.
Il dannato protagonista in questo canto è Ciacco, uomo politico che
rispecchiava i suoi eccessi personali sul popolo che da lui era amministrato,
consapevole della sua tremenda colpa si rende come un portavoce del suo
peccato
Curiosità
I simboli del peccato
di gola sono il colore
arancione e il maiale
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Aforisma
Il peccato di gola ha una grande alleata nella
buona digestione
(roberto gervaso)
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RICERCA
IRA- Vizio capitale
PAZIENZA- Virtù
I sette vizi capitali I vizi capitali sono un elenco di attitudini profonde, morali e comportamentali dell'anima umana,
spesso chiamati peccati capitali. Questo elenco di vizi (dal latino vĭtĭum = mancanza, difetto, ma
anche abitudine deviata, storta, fuori dal retto sentiero) distruggono l'anima umana, contrapponendosi
alle virtù, che invece ne promuovono la crescita. Sono ritenuti "capitali" poiché più gravi, principali,
riguardanti la profondità della natura umana.
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Aristotele definisce i vizi capitali “Abiti del male”, perché derivanti dalla ripetizione di azioni che a
lungo andare formano le abitudini di una persona. Nella dottrina cattolica, i vizi sono le principali
abitudini contro il Bene Sommo, cioè Dio, dai quali tutti i peccati traggono origine.
Per quanto riguarda la letteratura, Dante Alighieri suddivide la prima cantica della Divina Commedia,
l'Inferno, in cerchi dedicati ciascuno ad un differente vizio capitale nei quali vengono puniti, secondo
la regola del contrappasso, coloro che in vita vi si dedicarono ad essi.
IRA- Vizio L’ira è il desiderio irrefrenabile di
vendicare violentemente un torto
subito. E’ un sentimento improvviso e
violento suscitato dal comportamento di
persone o da avvenimenti. L'ira è una
delle strategie cerebrali per affrontare la
paura dell'incertezza. Il processo dell'ira
è sostenuto da cambiamenti fisiologici:
i muscoli si tendono, aumenta il battito
cardiaco, la pressione sanguigna, il
ritmo respiratorio e l’adrenalina che
innesca un eccitamento aggressivo che
permane a lungo.
L'ira se la prende anche contro le cose
inanimate quando non rispondono ai nostri desideri. Ad esempio un uomo infuriato può spaccare
piatti e bicchieri quando c'è qualcosa che gli va di traverso, o un ragazzo può strappare il foglio del
compito riuscito male.
L'ira non è l'occasionale esplosione di rabbia: diventa un vizio in presenza di un estrema suscettibilità
che fa sì che anche la più trascurabile piccolezza sia capace di scatenare una furia selvaggia.
Se si è ricevuto un torto o una umiliazione da qualcuno, l'ira fa insorgere un desiderio violento di
controbattere quel tale e di ritorcere su di lui il torto o l’accusa subiti. C’è, quindi, anche un'ira
legittima, ovvero il desiderio di infliggere ai colpevoli un giusto castigo e correzione.
Ma perchè l'ira sia legittima e non un vizio, è necessario che miri a punire soltanto chi lo merita e
nella misura in cui lo merita, e quindi moderata nell'esercizio, cioè non oltrepassando ciò che l'offesa
merita. Altrimenti siamo in quell'ira che è peccato. Se ci si abbandona ad essa in modo grave e
prolungato, con desideri di mali e di vendetta contro il prossimo, può essere valutata anche come
peccato mortale.
Un filosofo raccomandava di arrabbiarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo giusto,
nel momento giusto e per la giusta causa. È facile invece fare proprio il contrario.
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I guai cominciano quando la rabbia smette di essere
uno sfogo occasionale, dettato dalle piccole
provocazioni della vita, e diventa invece un malessere
permanente. Ci porta a scaricare la tensione del
momento su chi ci sta di fronte. Una marea acida che
si abbatte su tutto e tutti. E finisce per far terra
bruciata attorno a noi.
Essa si manifesta solitamente quando si ritiene siano
stati calpestati i propri diritti o violati i propri valori,
ma non sempre è uguale all’importanza del danno o
della frustrazione patita; spesso viene espressa
maniera del tutto irragionevole e sproporzionata.
L’ira e i suoi sinonimi (quali rabbia, collera, furia)
non deve in alcun modo essere confusa con
l’aggressività, che invece è una modalità di
espressione delle emozioni.
L'iracondo può provare una profonda avversione non
solo verso qualcosa o qualcuno, ma in alcuni casi
anche verso se stesso. Egli desidera una vendetta che
mostrerà in modo attivo o passivo. Essa, nel primo
caso, è ricercata con atti di rabbia e irritazione contro
chi, volontariamente o involontariamente, lo ha
provocato; mentre nel secondo caso, si caratterizza per una finta riservatezza, eccessiva misteriosità
e distanza a danno del provocatore.
La Bibbia contiene numerosi riferimenti alla cosiddetta "ira di Dio", per indicare l’opposizione e
l’intolleranza manifestata da Dio verso tutto ciò che è peccato. Quest’espressione viene usata infatti
anche per indicare la sua giustizia contro il male e in difesa di chi ne risulta vittima.
IRA- Proverbio “Non con l’ira ma col riso s’uccide” -Friedrich Wilhelm Nietzsche
Di certo è più bello ridere che piangere o arrabbiarsi. Ridere è sempre il modo migliore per seppellire,
metaforicamente parlando, chi ci fa del male. Questo proverbio vuole, infatti, significare di
sconfiggere col sorriso la gente che vuole vederti soffrire. Sorridendo si mostra indifferenza.
PAZIENZA- Virtù La pazienza è la capacità umana di rimandare la propria reazione alle avversità, mantenendo nei
confronti dello stimolo un atteggiamento neutro. La pazienza è una qualità e un atteggiamento
interiore proprio di chi accetta e sopporta il dolore, le difficoltà, le molestie, i disaccordi, la morte e
le contrarietà della vita in genere con animo sereno, tranquillità e rassegnazione, senza reagire
violentemente. È la necessaria calma, costanza e assiduità senza sosta nel fare un'opera o una qualsiasi
impresa.
La vita è piena di difficoltà, alcune lievi, altre di natura più seria. Sembra esservi un’infinita serie di
problemi per tutti noi. Il nostro difetto è che spesso ci aspettiamo la soluzione immediata dei nostri
problemi, dimenticando che spesso ci è richiesta la divina virtù della pazienza.
La pazienza è, infatti, una virtù importante, ormai quasi dimenticata. Essere pazienti non significa
essere deboli, ma avere scoperto una nuova forza interiore.
La pazienza non è un concetto di facile definizione. Nella società moderna, da quando le donne
lavorano e hanno assunto ruoli sociali importanti, la pazienza intesa come capacità di attendere è
venuta un po’ a mancare; eppure è presente più che mai nella vita femminile. La capacità di conciliare
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i ruoli di moglie, madre, lavoratrice, persona con una vita sociale, non sarebbe realizzabile senza la
pazienza.
Questa, infatti, si concretizza nel saper gestire molte situazioni diverse senza perdere la calma.
La donna paziente di oggi è colei che non pretende troppo da se stessa e che riesce a mandare avanti
con serenità molte attività.
Nella società caotica in cui viviamo la pazienza è un atteggiamento saggio e costruttivo che si rivela
vincente in molte situazioni della vita. Essere persone moderne e pazienti oggi significa:
NON FARE SFORZI INUTILI:
se la strada che si vuole
percorrere è difficile è inutile
fissarsi, perché l’unico risultato
sarebbe quello di sentirsi
insoddisfatti e demotivati. È
meglio fermarsi e attendere che
arrivi l’occasione giusta.
NON FISSARSI SU UN
UNICO OBBIETTIVO: avere
una meta nella vita è giusto,
perché aiuta ad andare avanti.
C’è però molta strada da
percorrere e se si guarda solo all’obiettivo finale si rischia di perdere molte altre occasioni che si
possono presentare durante il percorso.
NON CERCARE DI CAMBIARE LE PERSONE: sperare che gli altri cambino è un atteggiamento
di pazienza negativa che caratterizza uomini e donne. Bisogna invece accettare il fatto che l’altro non
diventerà mai come si vorrebbe.
PAZIENZA- Proverbi “La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce” -Jean-Jacques Rousseau
Avere pazienza molte volte può essere molto difficile, ma occorre comunque farsi forza e sopportare,
sapendo che alla fine andrà tutto per il meglio e che ci saranno delle ricompense per la pazienza e
l’attesa compatite.
“La pazienza è la virtù dei forti” Una persona impaziente è più debole, si demoralizza subito, abbandona un progetto o un'aspirazione.
Solo i più forti d’animo che sapranno aspettare e sopportare alla fine potranno ottenere ciò che
veramente desiderano.
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I VIZI CAPITALI- L’ACCIDIA
L'accidia o acedia è l'avversione all'operare, mista a noia e indifferenza. L’Emitologia
classica fa derivare il termine dal greco ἀ (alfa privativo = senza) + κῆδος (= cura).
Infatti nell’antica Grecia , indicava proprio uno stato d’animo di tristezza e malinconia.
Questo termine fu ripreso nel medioevo (una delle quattro grandi età storiche, che
comprende il periodo dal V al XV secolo).
Il significato del termine accidia oggi è molto vago, ma resta fortemente connotato
nella cultura cristiana; proprio perché nel cattolicesimo l’accidia rappresentava uno dei
sette vizi capitali: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e appunto accidia.
I simboli che rappresentano l'accidia sono normalmente un uomo addormentato (che
quindi non pecca, ma neppure pratica la fede) o lavori eseguiti a metà. Il poeta, scrittore e politico italiano Dante Alighieri, nella Divina Commedia ( un
poema allegorico scritto in terzine incatenate endecasillabi, in lingua volgare
fiorentina), parla degli accidiosi dicendo che sono i penitenti che scontano la loro pena
nel IV cornice(XVIII canto) del Purgatorio, colpevoli di scarso amore per il bene: sono
costretti a correre a perdifiato lungo la Cornice, gridando alternativamente esempi di
sollecitudine e accidia punita, incitandosi a non perdere tempo per poco amore. Anche
nell’inferno parla degli accidiosi nel quarto e nel quinto cerchio, dove sono puniti
insieme ad avari, iracondi e prodighi.
Questo vizio viene citato anche dal filosofo, matematico, fisico e teologo francese ,
Blaise Pascal.
Esso scrisse che: “ L’accidia è la risultante dell’alterazione degli umori in presenza
di deprecabili azioni morali, tipiche di chi, avendo abusato del piacere, si ritrova
nell’impossibilità di desiderare”.
Sull’accidia esistono molte citazioni, aforismi, proverbi...un esempio pratico è questo:
“ E’ un brutto peccato, il peccato dell’accidia (…) è peggio che avere il cuore tiepido,
peggio ancora. E’ vivere ma perché vivo e non avere voglia di andare avanti, non avere
voglia di fare qualcosa nella vita, aver perso la memoria della gioia.“ in questo
caso si parla di una citazione molto bella di Papa Francesco; ma non sono da meno i
proverbi, per esempio questi:
“Il campo dell’accidia è pieno d’ortiche”
“ Dove l’accidia attecchisce ogni cosa deperisce”.
21
Melencholia (1514), la più famosa rappresentazione artistica dell'accidia. Il suo Autore è Albrecht
Dürer, in italiano arcaico noto come Alberto Duro , oppure Durero è stato un pittore, incisore,
matematico e trattatista tedesco.
22
LA VIRTU’ DELL’ACCIDIA- L’ALACRITÀ
La virtù dell’accidia è l’alacrità, ovvero prontezza e sollecitudine nell’operare le
proprie mansioni. Dal latino alacrĭtas -atis.
Su questa virtù, Alda Merini una poetessa, aforista e scrittrice italiana, scrisse una
poesia dal titolo “La mia poesia è alacre come il fuoco”, che faceva così:
“La mia poesia è alacre come il fuoco,
trascorre tra le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninna nanna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce.”
Ci sono molte frasi e citazioni che riguardano l’alacrità, eccone una:
” Il lavoro mi piace, mi affascina. Potrei starmene seduto per ore a guardarlo.”
Questa è una citazione di Jerome Klapka Jerome; che descrive il suo amore per il
lavoro, e quindi non l’accidia, cioè la noia nel farlo, ma la sua virtù, ovvero l’alacrità,
nel farlo con impegno.
Come virtù non abbiamo solo alacrità, ma anche attivismo, dinamismo, diligenza, zelo,
lena, solerzia, operosità … ma sostanzialmente sono quasi tutti sinonimi tra di loro.
In sostanza la differenza tra il vizio dell’accidia e la virtù dell’alacrità, è che: il vizio,
significa noia, indifferenza nel fare qualcosa; mentre la virtù indica la prontezza
nell’operare in qualcosa … potremmo dire che l’alacrità sarebbe una maggiore “voglia
di vivere”.
23
RIFLESSIONE FINALE SUL LAVORO SVOLTO
In questa riflessione finale si presentano i “ pareri “ (in percentuale) DELLA CLASSE sul lavoro
svolto.
REPORT FINALE:
AUTOVALUTAZIONE ( % sul gruppo classe)
Con questa attività hai svolto diverse operazioni.
A tuo parere come te la sei cavata ?
Dai una valutazione al tuo lavoro.
1
PRINCIPIANTE
2
PRATICANTE
3
ESPERTO
So riflettere sui comportamenti umani più ricorrenti 28,5 % 43 % 28,5 %
So consultare un dizionario /// 28,5 % 71,5 %
So scrivere brevi racconti a tema /// 85,7 % 14,25 %
So individuare o creare l’illustrazione di un testo 14,25 % 85,7 % ///
So impaginare un testo con un programma di
videoscrittura
14,25 % 71,5 % 14,25 %
So lavorare in gruppo, collaborando attivamente e
rispettando il contributo dei compagni
/// 43 % 57 %
So organizzare il mio lavoro, rispettando i tempi e
le consegne
/// 43 % 57 %
Recommended