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Foto 01 introduzione
Foto 2 esposizione contesti ed eventi salienti 2 Guerra
mondiale
Marcello
La guerra civile spagnola (1936-1939) può essere considerata
un Foto 3 banco di prova per la 2a Guerra Mondiale.
Nei due schieramenti che si combatterono con asprezza c’erano
anche dei moriani. A fianco dei Franchisti figurava, tra gli altri, Foto
4 Bruno Grisi, che divenne maggiore della Milizia e fu fucilato nel
milanese dai partigiani nel maggio 1945.
Gigi Nelle brigate internazionali in difesa della Repubblica,
combattè, come comandante di batteria, Giacomo Caneppele, e
Silvio Bianchi, il quale, secondo le testimonianze, può essere
considerato il simbolo della Mori della Liberazione.
“L’Italia entra in guerra con l’attacco alla Francia, il 10
giugno 1940.
Remigio Ferrari.
Foto 5
“Ricordo il famoso discorso del duce, che, dal balcone di palazzo
Venezia, , arringando la folla, chiedeva a gran voce “Volete la
guerra?” e tutti in coro rispondevamo “Vogliamo la guerra!!!”.
Purtroppo non ci accorgevamo del baratro in cui ci stavano
trascinando”.
Giacomo Caliari
2
Foto 6
“………………….causa una punizione per indisciplina devo
raggiungere il mio Battaglione Val Fassa, a Giaveno (To), dove
ritrovo gli amici moriani Vasco Cescatti, Romolo Caliari, Francesco
Turella, Bruno Meneghelli, Bernardo Benedetti.
Il 10 giugno, il battaglione viene spostato in fondo alla Valle
Stretta.
Il 21 giugno saliamo in quota, a circa 2900 metri; sotto una
fitta nevicata attacchiamo le postazioni francesi in valle Seresien. In
fondo alla valle c’è un fortino da cui ci vengono lanciate gragnuole
di bombe a grappolo. Per fortuna molte cadendo nella neve e non
scoppiano. Sosteniamo cinque giorni di combattimento in cui
rimangono uccisi cinque nostri compagni.
Foto 7.. Poi ci trasferiamo a Salice d’Ulzio, dove costruiamo la
chiesetta di Ciao Pais…
Nello spolpare un pezzo di carne congelata mi taglio il tendine
del pollice. Un colpo di “fortuna” perché evito così di essere
mandato su un nuovo fronte. Durante la convalescenza, a Marco,
vedo la tradotta del mio battaglione che torna dalla Francia e che,
di lì a pochi giorni, partirà per la guerra di Grecia”.
Vittorio Angeli “……L’attacco alla Francia si risolve in pochi
giorni …. vengono richiamate le classi dal 1913 al 1916. Arrivano
alla mia compagnia Bernardo Benedetti, Ismaele Bertolini, Carlo
Modena, Fabio Poli (tutti del ‘15)…”
Marcello
Foto 8A L’aggressione alla Grecia .
3
Voluta da Mussolini perché, dopo l’attacco alla Francia, ormai
conquistata dai Tedeschi e la guerra in Nord Africa che si sta
rivelando un fallimento, ha bisogno di un successo militare per
recuperare il consenso degli Italiani nel regime.
Foto 8 B Bernardo Tranquillini.
“…Nel settembre 1940 veniamo imbarcati per l’Albania;
durante tutta la traversata siamo presi dall’angoscia di venire
affondati dagli inglesi.
Combattiamo sul fronte greco-albanese, ma durante l’inverno
veniamo respinti fin quasi al mare. Ricordo i tanti morti per colpi dei
mortai e a causa del tifo petecchiale, i patimenti per il freddo, le
trincee allagate dalla pioggia e la mancanza dei rifornimenti.
Non posso scordare i lamenti dei feriti, il pietoso recupero delle
salme, della piastrina di riconoscimento; la tristezza delle frettolose
sepolture.” …..
FOTO 9 Augusto Dalus. Il sommergibilista redivivo.
.
“ Il mio sogno è sempre stato quello di fare il sommergibilista….
All’imbrunire del 27 giugno 1940, di fronte all’isola di Creta, i
cacciatorpedinieri inglesi ci intercettano e, dopo un’ impari lotta,
hanno il sopravvento. Il comandante L.Bezzi dà l’ordine di
abbandonare il sommergibile, mentre lui si autoaffonda col suo
mezzo, per non consegnarlo al nemico.
4
Fatto prigioniero, dopo molte peripezie, vengo portato in India,
nel campo di Bophal.
Nel frattempo, poiché tutti mi davano per morto, monsignor
Viesi celebra un solenne ufficio funebre alla memoria del primo
caduto della borgata nell’odierna guerra, Foto 10 l’eroico
sommergibilista Augusto Dalus”.
Finita finalmente la prigionia, sbarco a Napoli il 29 giugno 1946,
dopo sei anni dal naufragio”
Di un altro marinaio, Quinto Cescatti, si avrà notizia della sua
morte dopo 3 anni dall’affondamento del suo cacciatorpediniere.
Per la sua famiglia la storia è stata matrigna; anche suo zio
Quinto morì nel mar Nero durante la 1^ Guerra Mondiale,
imbarcato con la marina imperiale Asburgica”.
Gigi
Fronte del Nord Africa. FOTO 11
Nell’estate del 1940 Hitler non riesce ad invadere la Gran
Bretagna e coglie quindi il momento di difficoltà degli Italiani nel
Nord Africa per intervenire al loro fianco,nel febbraio 1942, nel
tentativo di riconquistare i territori occupati dagli inglesi e giungere
al canale di Suez. Ma le truppe dell’Asse verrano sconfitte.
Felice Manzinello foto 12
“ marzo 1941: se non è destino questo! per essermi
presentato al comando con un anticipo di cinque minuti , ho la
fortuna di evitare di seguire la sorte dei miei compagni, aggregati
5
alla Divisione Acqui, molti dei quali verranno fucilati dai tedeschi a
Cefalonia.
Io, invece, vengo mandato in Libia, catturato a Tobruk dagli
Inglesi e condotto in un campo ai piedi dell’Himalaya, dove rimango
per quattro anni, assieme a 10.000 ufficiali.
Dapprima si sprofonda nell’inedia, ma poi, grazie ai libri che
arrivano da casa, si può almeno tenere occupata la mente…..
imparo il tedesco, il francese e l’inglese. Tengo dei corsi per i
soldati analfabeti, faccio escursioni e raggiungo la vetta più alta del
Dhaula Dhar a 5230 metri.
Al momento del rientro, nel 1946, non mi rendevo conto del
tempo che era trascorso; per cinque anni era stato un numero,
l’118041. Nemmeno al momento dello sbarco a Napoli quando sul
molo migliaia di persone in ansia si sbracciavano per noi”.
Marcello
Fronte russo Foto 13 Per ricordare i 104.000 soldati italiani che
non ritornarono da quella nefasta avventura, Marta Turella recita
questa poesia che ha posto sulla lapide di papà Giuseppe, nel
cimitero di Mori.
ALPINI ‘N RUSSIA 1943
“Ma ‘n do né soldài da ste bande?
En do né cari fioi sbandài,
pòri alpini famài,
senza màie che vé tègna via ‘l frèt,
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co le scarpe che vègn drènto la nef?
Volé polsàr en pezòt,
Sugàrve le ròbe,
E scaldàrve ‘n momènt?
Anca mì,g’ò ‘n fiol via lontàm
che aspèto de nòt e de dì!
La diseva pianzèndo na mama,
‘n ten parlàr che pochi i capìss.
Ma èlo na dona
o n’anzol vegnù zo dal ziel?
Anca noi ghèm lontana na mama
i diseva i alpini sfinii.
Anca noi ghèm na casa lontam
e la sposa coì pòpi che aspèta!
En le nòt, d vènt e de nèf,
per na stèpa che mài no finiva,
‘n ògni ombra i vedeva so casa,
ma quel sògn tut de còlp el spariva.
Ogni tànt, se fermeva n’alpim
en quel posto i ‘npianteva na cròss
e lontàm - lo speteva na mama
quel so fiol fermà lì dal destim!”
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FOTO 15 Remigio Ferrari
“……Ricordo le notizie sull’andamento della guerra contro l’Etiopia
del 35-36, tra cui c’erano tre giovani di Besagno (Virginio Girardelli,
Angelo Giuliani e Clesio Bona).
Vedo partire per la Russia i miei cugini Elio e Antonio Girardelli ,
Virgilio Bona, Lodovico Bona, Giuseppe Faccioli, Mario Pizzini, Mario
Giuliani.
Elio,dopo aver salutato suo padre, si appoggia al muro e piange
a dirotto. Di tutti questi tornano solo in due”
“Di fronte a tutto quello che stà accadendo, pur essendo ancora
giovane e convinto fascista, mi rendo conto che tutto quello che mi
avevano insegnato si stava rivelando un grande bluff".
Giuseppe Turella FOTO 15
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“….dopo aver combattuto sul fronte francese e greco-
albanese,vengo mandato in Russia con la Divisione Tridentina e
partecipo alla battaglia di Nikolajevka, in cui c’era anche Elio
Girardelli di Besagno, che rimase ucciso da una granata”.
“ In Russia gli italiani erano ben accetti dai pochi abitanti dei
villaggi (per lo più donne vecchi e bambini) e riuscivano sempre a
barattare qualcosa da mangiare. La temperatura scendeva anche a
-41°gradi”
. Durante la ritirata mi si congelano i piedi ed a Varsavia mi viene
amputato il piede sinistro e le prime falangi del destro“E son sta
fortunà”, perché ho evitato i terribili campi di prigionia russi.”
Remo Pizzini. FOTO 16
“Nell’agosto ’42, per arginare la potente offensiva russa, gli
Alpini, diretti verso il Caucaso, vengono dirottati invece sul Don.
Nella steppa incontro Celso Dall’Alda, Renzo Nicolussi, poi
disperso, Giovanni Calliari, Bernardo Benedetti.
L’11 dicembre del ‘42 inizia la seconda grande controffensiva
russa.
Due mie compagni, assillati dal pensiero dei loro figli piccoli
lontani, non ce la fanno più, impazziscono, si mettono a correre e
vanno a morire nella steppa gelata.
Veniamo accerchiati e si crea una confusione tremenda con
migliaia e migliaia di sbandati.
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Decido di saltare su un camion; l’autista è ubriaco e, nella più
totale incoscienza, ci porta verso i campi minati. Una mina
distrugge la parte posteriore del camion, ma, in qualche modo, con
la forza della disperazione, riusciamo ad arrivare vicino a
Nikolajewka, dove incrociamo la fiumana di soldati che avevano
sfondato il giorno precedente.
Quando arrivo ad Osoppo, eravamo in 27 su 247!
Adriano Bettini si era fatto promotore, a Tierno, della raccolta di
lana per i soldati in Russia quando, con rabbia, scopro che i
magazzini di Castelnuovo Veronese erano pieni di vestiario ed
equipaggiamento invernale sufficiente per vestire 200.000 uomini”
Marcello
Nikolajewka. Foto 17 A
Bernardo Benedetti, alpino della Julia, degradato da caporal
maggiore la mattina della partenza per la Russia per essere
rientrato tardi in caserma.Si era fermato a ballare a Borgo sacco,
pensando che non sarebbe più tornato.
Foto 17 B “E’ il pomeriggio del 26 gennaio del ’43. Immersi nelle ombre lunghe dell’inverno russo…. migliaia di soldati dell’Asse sono in ritirata...…la Julia è distrutta… Dietro al tomo ferroviario di Nikolajewka l’Armata Rossa ci sta aspettando. Questa fiumana umana sa che, se non
riesce a passare oltre, sarà la fine.
C’è però la Tridentina ,ancora in perfetta efficienza. Il Gen.Reverberi dà l’ordine….“Tridentina avanti!!!” Un potente urlo si alza e gli alpini vanno all’attacco, affiancati da tutti noi sbandati. Assistiamo impotenti di fronte all’estremo combattimento che i compagni della Tridentina fanno per tutti noi. Con il supporto di alcuni lanciarazzi tedeschi e con la forza della disperazione, convinti che al di
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là c’è la salvezza, riescono a sfondare e in migliaia
possiamo far ritorno a casa……”.
Dalla canzone “L’ultima notte” di Bepi De Marzi , suonata da
Angelo Franchini.
"Mormorando, stremata, centomila voci stanche,
di un coro che si perde fino al cielo
avanzava in lunga fila
la marcia dei fantasmi in grigio verde
Non è il sole che illumina gli stanchi
Gigli di neve sulla terra rossa.
Gli alpini vanno come angeli bianchi
E ad ogni passo coprono una fossa."
“Le ultime lettere di chi non è più tornato.
FOTO 18 Enrico Grigolli e Giuseppe Caproni.
L’ultima cartolina che Beppi manda alla mamma Giuseppina
Caproni, è datata 24 ottobre 1942.
Enrico Grigolli, che morirà di lì a poco, scrive alla mamma di
Giuseppe: “Era diverso tempo che con Giuseppe non ci vedevamo,
oggi finalmente ci siamo ritrovati, stiamo bene ambedue e speriamo
in una vita diversa. Foto 19 Saluti distinti Grigolli Enrico”.
Sua madre, come tante altre mamme, non abbandonò mai la
speranza di vederlo un giorno tornare. Per questo tenne per molto
11
tempo in perfetto ordine la sua camera, come se Enrico dovesse
comparire da un momento all’altro.
Foto 20 Beppi scrive : “Cara mamma, io sto sempre bene
come spero di voi tutti. Come ti avevo detto ho fatto san Martino, ci
siamo trasferiti dall’accampamento, ma ora sono a posto
definitivamente e aspetto l’inverno con poca paura perché siamo
nelle case. Oggi, dopo molto tempo ho visto Enrico Grigolli, sta
bene anche lui. Ti scrivo da una casa di russi perché fuori fa freddo.
Per via del pacco solo sigarette e vino e poco altro. E’ finita l’
“America” delle galline ma è incominciata quella del miele. Termino
salutandoti caramente. Tuo figlio Beppi.”
FOTO 21
Gigi
25 luglio 1943, la caduta di Mussolini. L’8 settembre 1943,
l’armistizio con gli Anglo-Americani.
La caduta di Mussolini ed il suo arresto avviene a seguito
dell’approvazione dell’odg Grandi da parte del Gran consiglio del
Fascismo, all’alba del 25 luglio 1943 (19 favorevoli, otto contrari, 1
astenuto).
FOTO 21 B
Questa storica decisione fu preceduta dallo sbarco degli Alleati
in Sicilia il 10 luglio 1943 e dal primo bombardamento di Roma del
12
18, da parte degli Americani, che causò più di tremila morti e
migliaia di feriti.
FOTO 22
L'8 settembre Badoglio annuncia l’armistizio. I Tedeschi
reagiscono con estrema durezza attuando l'Operazione Achse
("asse"), Foto 23 ovvero l'occupazione militare dell’Italia.
“Cefalonia, Corfù, Zante”.
FOTO 24 Mario Martinelli
“Vengo trasferito a Cefalonia l’8 maggio 1943 con la Divisione
Acqui.
Dopo l’8 settembre giungono ordini contradditori. Il 14
settembre, con un referendum voluto dal comandante, generale
Gandin, si decide di non arrendersi ai tedeschi e di combattere.
In un primo momento riusciamo a reggere ma poi veniamo
sopraffatti. Chi viene catturato viene immediatamente fucilato.
Cerchiamo disperatamente di salvarci la vita: assieme ad una
ventina di compagni ci nascondiamo in una cava.
Vi rimaniamo nascosti per quattro giorni (sentivamo passare i
tedeschi sopra le nostre teste), senza mangiare e senza bere,
FOTO 25 un’attesa interminabile, fino a che la rappresaglia finisce.
Ma alla fine veniamo fatti prigionieri.
Nelle campagne, sotto gli ulivi, vedevamo enormi cataste di
cadaveri d’ italiani fucilati. Gli abitanti delle isole vicine vedevano le
13
fiamme dei roghi nella notte e dicevano che erano le anime degli
italiani che salivano al cielo. Durante la traversata in mare verso la
Jugoslavia i traghetti vengono colpiti e affondati. Annegano fra i
flutti tremila nostri compagni. Alfine, veniamo catturati dall’Armata
Rossa dei partigiani di Tito e portati in Crimea.
La fame e la dissenteria la facevano da padrone. Incontro
Mariano Filigrana, ricoverato in infermeria, su un giaciglio di paglia,
ammalato di dissenteria, in brutte condizioni, tanto che sono
convinto di non rivederlo più”.
Bruno Bertolini
Foto 26 Di lui sappiamo dalla sorella Cesarina: “Dopo aver
combattuto contro i tedeschi a Corfù, è fatto prigioniero e portato a
Salonicco. Sta per essere fucilato, legato con altri undici compagni,
ai margini della fossa comune appena scavata. Dopo la raffica, è
trascinato nella buca dai fucilati e si accorge, terrorizzato, d’essere
vivo.
Fatto prigioniero dai partigiani yugoslavi riesce a scappare su
un treno carico di soldati malati di tifo petecchiale diretto a Trieste,
liberata dagli Anglo-Americani”.
Bernardo Benedetti. Foto 17 A
“ Fatto prigioniero dai Tedeschi a Trento è caricato su una
tradotta diretta ai campi di concentramento …
14
I macchinisti erano italiani; per un tratto andavano veloci, per
un altro rallentavano, per consentire ai prigionieri di saltare. Così
fecero alcuni suoi compagni, che cercarono di convincerlo a fare lo
stesso..
Ma a lui ormai non importava più nulla: dopo averne passate
di tutti i colori, aveva perso la voglia di vivere. Era convinto che dai
campi di concentramento non sarebbe più tornato.
Era nello stesso stato d’animo di quando, transitando da Mori
con la tradotta diretta in Russia non se l’era sentita di guardare dal
finestrino casa sua, le Casotte, che distavano 150 metri dalla
ferrovia.
Alla stazione di Bolzano, gettando lo sguardo dal finestrino,
Bernardo scorge Guido Bertolini, un amico d’infanzia. Si parlano e
Guido intuisce la situazione.
Lo invita con forza a saltare dal treno, ma lo vede ormai
rassegnato. Allora gioca il tutto per tutto, mette in campo tutta la
sua capacità persuasiva. E…succede il miracolo.
A Bernardo ritorna la voglia di continuare a vivere, che lo
aveva sostenuto sui molti fronti di guerra. Appena la sentinella
scompare dal fondo del treno, salta giù e si butta in mezzo al
gruppo dei giovani, che erano operai della Montecatini di Mori. Il
suo esempio vien di lì a poco imitato da un altro commilitone , ma
la sentinella che lo vede spara e lo colpisce.
Giovanna Tranquillini
15
Durante il ventennio la scuola era un potente strumento di
formazione dei giovani agli obiettivi del regime. Il sabato
pomeriggio, tutto era finalizzato all’educazione fascista: pensieri
riflessioni e soprattutto ginnastica.
FOTO 27
Mi rivedo in piazza di Mori, in divisa da piccola italiana, schierata
assieme a tutti gli altri alunni, pronta ad eseguire, a tempo e con
precisione, esercizi ginnici a ritmo di banda, che proponeva il
dirigente di turno su un’alta predella.
E alla fine il grido: “Saluto al Re! Viva il Duce! A noi!”.
… si scioglievano le file con un respiro di sollievo.
….Ricordo un’iniziativa dell’anno scolastico 1941-42, voluta dal
Duce, a favore dei nostri soldati in guerra: “Un pugno di lana per i
nostri soldati”. In tre abbiamo imparato a filare la lana: davanti al
nostro mulinello ci sentivamo importanti e responsabili di
un’iniziativa tanto umana, ma anche tanto triste.
Questo lavoro continuò per circa due anni con lettere di
ringraziamento che ci arrivavano dal fronte.
Dopo l’8 settembre un’insegnante, Maria Silvia Nones di
Tierno, ebbe l’idea di aiutare i nostri soldati deportati in Germania.
Si decise di portare a questi amati nostri soldati da mangiare e di
farsi dare gli indirizzi delle loro famiglie per informarle della
situazione.
FOTO 28
16
La mattina dopo il punto di ritrovo fu a Molina: eravamo in otto,
con cesti pieni di panini imbottiti, carte e matite; marciammo verso
Mori Stazione accompagnate dalla signorina Nones. Lei era in
contatto con il comando tedesco; conosceva bene il Tedesco ed
aveva ottenuto il permesso di fermata per i treni dei prigionieri.
Mano a mano che arrivavano i convogli salivamo e distribuivamo i
panini e da bere. Senza farci vedere dalle guardie, consegnavamo
ai prigionieri carta e matita per scrivere gli indirizzi delle famiglie. Si
parlava un po’ con loro, si cercava di infondere loro coraggio, si
raccoglievano gli indirizzi. Dopo due o tre treni interveniva un altro
gruppo di ragazze e poi un un terzo gruppo. La signorina Nones era
sempre presente.
Nel pomeriggio ci si riuniva e si scriveva “la triste
comunicazione” alle famiglie dei prigionieri. La signorina Nones poi
raccoglieva le lettere e le spediva. E così si fece per diversi giorni.
Qualche soldato riusciva a scappare e a rifugiarsi nei paesi
vicini. A casa mia bussarono in molti, bisognosi di tutto. Davamo
loro da mangiare, sostituivamo la divisa con vestiti da lavoro e
quando si sentivano pronti, li accompagnavamo con una zappa sulle
spalle, da farli sembrare contadini, fino dopo la Montecatini. Li
prendevano i sentieri dei boschi e via verso i loro paesi. Noi si
ritornava a casa con la zappa, soddisfatti di essere stati loro di
aiuto.
17
Ricordo l’ospitalità anche ai giovani della repubblica di Salò.
Dopo anni che era finita la guerra, c’è stato chi è tornato a
ringraziare con la sua nuova famiglia portandoci anche dei doni,
orgoglio delle loro terre di origine.”
“Gli Internati Militari Italiani e i prigionieri dell’Armata
Rossa.
Augusto Montibeller “ FOTO 29
“...Fui fortunato a non partire per la Russia a fine dicembre
1941, perché ero con i complementi ………. Purtroppo di quel
convoglio non tornò nessuno …
… Fatto prigioniero dai Tedeschi vengo portato nella fortezza di
Deblin in Polonia, in compagnia di molti trentini, dove sentivo i
morsi della fame e il freddo che ci penetrava nelle ossa. Si passò il
primo Natale (1943) lontano da casa.
FOTO 30 Una sera il prof. Nino Betta con il commento di un
canto della Divina Commedia seppe farci dimenticare la prigionia ed
il freddo; il fratello Bruno cercava di prepararci con idee politiche
per un futuro migliore. Conobbi il prof Giuseppe Lazzati e l’avv.
Tullio Odorizzi che fu Presidente della nostra Regione.
Come la gran parte di noi, rifiutò di aderire alla RSI.
18
Nel campo era attiva una radio clandestina con cui si ascoltava
radio Londra e la sera il cappellano ci portava le notizie desiderate,
non sempre felici.
Don Pasa potè rientrare in Italia prima di noi e portò i nostri
nominativi alla Radio vaticana che li trasmetteva al mondo.”
...
Lino Poli Foto 31
“Catturati a Bolzano, veniamo portati in Germania. Appena si
presenta l’occasione di lavorare in una fattoria, vado a Lagow, in
Polonia. FOTO 32
Mangiavamo patate a volontà; la padrona era una contessa, di
fede evangelica, una persona di cuore, che ci ha accolti come
vittime di guerra. Non era sicuramente un’hitleriana.
Verso l’agosto 1944, cercano di convincerci a firmare la
richiesta di diventare civili. A fronte del nostro rifiuto ci
sottopongono a tante violenze. La contessa Pùchler intervenne con
decisione a nostro favore, rischiando di venir fucilata dalle SS.
Nessuno firmò e la forza che ci sostenne nel non cedere derivò dalla
consapevolezza che come equiparati ai civili “oltre a poter
frequentare le ragazze tedesche come diceva la propaganda”
saremmo stati mandati al fronte, che voleva dire contro i Russi, il
nemico mortale. Inoltre si era formata in noi una resistenza morale
e politica di ferma opposizione al fascismo e al Duce. Dopo quello
che avevamo visto e vissuto ogni illusione era crollata
definitivamente.
19
Voglio ricordare che la contessa aveva due figli dispersi in
marina e la figlia aveva il marito disperso in Russia; ciononostante
quando m’incontrava nella fattoria aveva ancora la forza di
incoraggiarmi e di dirmi delle buone parole.
Foto 33 Nella fattoria lavoravano anche prigionieri e deportati
polacchi, russi, ucraini, francesi, olandesi ecc… Quando si discuteva
di politica alcuni di noi, di fronte alla triste esperienza del fascismo,
tendevamo a pensare che il comunismo fosse una via possibile e
migliore per risolvere i problemi dell’Italia liberata. Senonchè ci
pensavano i russi ed i polacchi a dissuaderci, ribattendo che il
comunismo bisognava provarlo sulla propria pelle e non era tanto
migliore del fascismo e del nazismo”.
Renato Filagrana racconta del fratello Mariano.
Foto 34
“Graziato dalla fucilazione a Cefalonia, forse perché proveniente
dall’Alpenvorland, viene fatto prigioniero dai partigiani
montenegrini, poi liberato dai tedeschi e infine catturato
dall’Armata Rossa e prigioniero in Crimea.
Nella primavera del ’46 arriva il momento del rimpatrio da
Rostov, ma è debilitato e fa fatica a salire sulla tradotta.
Nella zuffa per accappararsi un posto, un commilitone
bresciano lo butta giù dal treno perché non lo ritiene in condizioni di
20
sopportare le fatiche del viaggio. Sulle tradotte era stato
predisposto un foro da 40 x40 cm per espellere gli escrementi ed i
morti durante il viaggio.
Nota la scena una sentinella russa, la quale interviene subito
in soccorso di Mariano, reclude il bresciano nel vagone di testa,
quello dei puniti, rincuora Mariano, gli dona dei vestiti e degli stivali
ed una borsa di montone, contenente del sale grosso e chicchi di
granoturco.
Spiegandosi a gesti, raccomanda a Mariano di mangiare ogni
giorno cinque chicchi di mais ed un grano di sale.
Mio fratello non scorderà mai questo nobile gesto di umana
solidarietà.
FOTO 34B
Mariano, adempì ad un voto e nella nostra casa in Largo
Villanuova, proprio l’8 dicembre del ‘54, a dieci anni dalla tragedia
di Cefalonia, scoprì un capitello dedicato all’Immacolata. Poi
assieme a Giovanni Zanotti, reduce dal fronte Nord africano ed a
Giuseppe Manfredi, in collaborazione con lo scultore Luigi Bombana
che scolpì la Madonnina in legno, costruirono il capitello a Cima
Bassa, che s’incontra sul sentiero verso lo Stivo”.
Attilio Gazzini foto 35
“ Sono emigrato in Francia nel 1932 e dopo l’8 settembre sono
stato fatto prigioniero in Val d’Ultimo. Non dai Tedeschi, ma da
civili altoatesini; questi ci consegnano ai Tedeschi, i quali, a loro
volta, ci trasferiscono in un campo di concentramento vicino a
21
Berlino….Io, che parlavo il francese, facevo da interprete. Un
orologio veniva scambiato con 4-5 filoni di pane nero da 2 kg !
Dopo vari trasferimenti , nel marzo del ’44, arrivo nei cantieri navali
di Danzica. Eravamo in otto-novecento; i tedeschi ci odiavano
perché nessuno di noi aveva accettato di arruolarsi con loro.
Nel gennaio 1945, i tedeschi spariscono e rimaniamo liberi.
Finchè arriva l’Armata rossa, foto16B con cui lavoriamo alla
ferrovia per l’attacco finale a Berlino. In tre giorni di lavoro
ininterrotto la ferrovia è fatta; FILMATO 36
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&
v=y4oxGzUw4JQ per l’attacco finale a Berlino. Arrivano i treni,
scarichiamo le munizioni per le katiusce, carichiamo i camion per il
fronte. L’alimentazione è buona ed abbondante, curata da italiani; i
russi ci rispettano e ci danno fiducia.
Foto 37 Alla fine di agosto del 1945 veniamo consegnati al
Comando americano a Monaco Lì abbiamo incontrato un gruppo di
donne ebree, sopravvissute allo sterminio; erano puri scheletri
vaganti; non sembravano più persone. Erano ammassate le une
alle altre, forse per pudore.”
Il rinato Esercito italiano. FOTO 38A
Edo Benedetti. “Il 9 settembre 1943 mi trovo con il mio reggimento
dei Granatieri di Sardegna nel campo di aviazione di Gioa Del Colle;
i tedeschi ci circondano ma riusciamo a fuggire, sgusciando tra viti
ed olivi e ci consegnamo al comando inglese.
Chiediamo di far parte del 1^ reparto italiano aggregato alla V^
Armata. In pochi giorni siamo in 8000 uomini.
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A Mignano Monte Lungo (CE) l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata,
abbiamo il nostro battesimo del fuoco. Vedo morire alcuni amici
della Scuola Allievi Ufficiali.
Riusciamo a sfondare sulla piana di Cassino, ma poi rimaniamo
bloccati tutto l’inverno 43-44. A Natale del ’43 facciamo il bagno nel
Volturno.
Nel febbraio-marzo 1944 nella paludi dell’Agro Pontino, dove per la
prima volta ci troviamo a combattere contro reparti italiani della
RSI. Decidiamo di evitare lo scontro fratricida; i repubblichini
cedono le armi e li lasciamo tornare alle loro case al Sud .
Nella zona di Velletri –Genzano, ci imbattiamo nella retroguardia
della divisione Göehring, composta da ragazzi di 18-20 anni, che
fanno i cecchini, appollaiati sulle piante. La reazione degli Anglo-
Americani è dura e non fanno prigionieri.
FOTO 38B
l 5 giugno 1944 Roma è liberata. Il 7 giugno Papa Pio XII
accoglie tutti i militari in Piazza San Pietro; ci saluta in varie lingue
e ci benedice in un clima di forte commozione. E’ la prima volta che
molti di noi vedono il Papa di persona. Interpretiamo questo gesto
come una specie di assoluzione per tutto il male che, purtroppo,
abbiamo commesso combattendo.
FOTO 39
Vengo a sapere che in Vaticano c’è Alcide Degasperi e riesco a
farmi ricevere nella biblioteca vaticana, dove è da tempo fuggito
23
per sottrarsi al regime. Lo vedo per la prima volta; mi fa una certa
impressione; aria severa, alto, magro. Mi presento e lo informo di
quanto so sugli ultimi avvenimenti bellici e sul neo costituito Regio
Esercito italiano.
Mi chiede cosa penso della “democrazia”, della nuova situazione
politica che si va delineando. Tento di balbettare qualcosa anche
perché avere un’idea di democrazia a quei tempi non era poi così
facile.
Degasperi mi spiega cosa intende per democrazia e come essa
doveva funzionare nella nuova Italia liberata, per riscattarsi dalla
dittatura fascista, con i rinati partiti da protagonisti. Sottolineò che i
cattolici dovevano impegnarsi con forza.
Poi mi chiese sul futuro assetto istituzionale dell’Italia: Monarchia o
Repubblica, ricordando il comportamento del Re nei confronti del
suo Popolo e delle Forze Armate.
Io non posso che manifestargli il profondo rispetto per l’Istituto
monarchico, perché casa Savoia aveva unito l’Italia.”
“Al che Degasperi puntualizza:“ Quello che lei dice ha fondamento
storico, però “la Repubblica è una Democrazia più compiuta “”.
Mi chiede sul futuro del Trentino- Alto Adige. Al che rimango
ammutolito, perché non so niente. Prende dei foglietti scritti a
mano su cui sono tracciate le linee del futuro statuto di Autonomia
e me le legge “La regione Trentino Alto-Adige dovrà essere un
contenitore, una cornice, entro la quale dovranno convivere i tre
gruppi etnici: italiano, tedesco e ladino” . Circa le possibili
24
competenze indica la scuola, per la quale, dice, dobbiamo imparare
dagli Austriaci con la scuola che non solo insegna ma anche educa.
Poi mi parla del legno, che considera un grande giacimento naturale
della nostra terra e che dobbiamo saper valorizzare in tutti i suoi
aspetti
FOTO 40
Terza competenza indica l’energia idroelettrica per sfruttare le
nostre risorse idriche”.
Marcello
Anche grazie a queste intuizioni la nostra Regione ha potuto
rappresentare un modello di convivenza ed il Trentino, grazie
all’Autonomia ed alle conseguenti competenze e risorse, può ora,
tra le altre cose, produrre il 125% del suo fabbisogno con le
centrali idroelettriche acquisite da Dolomiti energia, detenuta per il
67% dagli Enti pubblici locali.
Gigi
Situazione in Trentino Alto Adige.
Dopo l’8 settembre ‘43, i Tedeschi occupano anche il Trentino-
Alto Adige e la provincia di Belluno. Foto 41 Con ordinanza di Hitler
viene costituita l’Operationszone Alpenvorland, con la quale
diventiamo provincia del Reich. Viene nominato il Gaulaiter
del Tirolo-Voralberg, con pieni poteri. A novembre viene imposto al
Trentino anche il diritto penale germanico.
25
Con la costituzione dell’Alpenvorland molti giovani trentini
vengono Foto 42 coscritti nel C.S.T, la Polizia trentina e nella Flak,
la contraerea.
Il prof Umberto Corsini scrisse: “il nuovo Commissario Prefetto,
avv. Adolfo de Bertolini, aveva intuito che, favorendo la formazione
del CST, si potevano ottenere due risultati positivi: rafforzare il
sistema di difesa del Trentino con giovani locali, ed evitare ai nostri
ragazzi di venire mandati sui vari fronti di guerra”
Secondo le testimonianze l’obiettivo era anche quello di evitare
l’influenza della RSI nel Trentino, che era considerata dalla nostra
gente peggio dei tedeschi.
Si ritiene che il reclutamento abbia fornito all’Alpenvorland poco
meno di 6000 giovani, metà nel CST e metà nella Flack. Vi furono
casi di renitenza alla chiamata e di diserzione: essi furono puniti
con l’arresto dei genitori e familiari; i casi di ribellione furono puniti
con la fucilazione, che avveniva a Mas Desert…”
Marcello
Foto 43 I moriani nella Polizia trentina e nella Flak.
Nel CST ricordiamo: Fabio Toblini, Fabio Grisi, Lino Bertola,
Diego Dossi, Giovitta Grigolli, Mario Cescatti, Quinto Gazzini, Guido
Cescatti, Giuseppe Torbol, Giacomo Chizzola, Rolando Ramielli,
Giuseppe Bertolini, Fausto Cescatti, Bruno Zanfei, Francesco Pizzini,
Fulvio Depretto, Ferruccio Mutinelli, Tullio Beozzo, Aldo Galvagni,
Livio Zanotti, Ezio Moscatelli.
Nella Flak : Giuseppe Poli, Giacomo Bertolini, Giuseppe Longhi.
Giovita Grigolli.
26
Foto 44 “Quando mi arrivò l’arruolamento nel CST obbedii,
anche per avere l’opportunità di rimanere vicino a casa ed evitare
di essere mandato al fronte.
I tedeschi non volevano ufficiali italiani nei ranghi del CST. I
sottufficiali erano, in prevalenza, già stati sottufficiali nell’esercito
italiano; i comandanti, invece, erano solo tedeschi.
Cercavano un fotografo; mi offrii subito, così mi trovai a fare le
foto tessera a tutto il battaglione ed evitai di essere inviato sul
Grappa per una vasta e tragica operazione di rastrellamento dei
partigiani. Nell’operazione rimasero uccisi molti civili e partigiani.
Foto 45 Molti dei catturati vennero impiccati agli alberi del viale
principale di Bassano, ora viale dei Martiri.
L’undici maggio del ’44 ci fu il bombardamento di Trento e ci
mandarono a recuperare i numerosi morti.
Ricordo anche la missione a Cima Dodici, sempre contro i
partigiani. Poi fui trasferito a Vestone dove le bande dei “banditen”
erano organizzate e attive.
Poi un giorno, a S.Croce del Bleggio, dove stavo frequentando il
corso ufficiali, il tenente ci comunicò: “Hitler kaputt, la guerra è
finita, potete andarvene”.
Lasciai volentieri la pistola e il mitra. Io non sono mai andato in
cerca di grane”.
Foto 46 Ricordiamo Giuseppe Torbol, recentemente
scomparso:
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Dopo un periodo d’istruzione a Trento la nostra compagnia è
destinata a Belluno, dove venivamo impiegati, in appoggio ai
tedeschi, in operazioni di rastrellamento antipartigiano… ..Dal
nostro distaccamento fuggono una ventina di compagni che si
aggregano alle formazioni partigiane.
Una notte, un commilitone si mette a sparare contro ombre e
rumori che credeva partigiani; si scatena un inferno, tutti sparano,
il paese è messo a soqquadro. Le autorità vengono a protestare al
nostro Comando per questa reazione, giudicata sproporzionata. …
Dopo questi fatti una nostra delegazione chiede al Comando di
non venire impiegati fuori dal Trentino e poco dopo veniamo
stornati a presidiare le valli di Fiemme e di Fassa. Verso i primi
d’aprile ‘45 ricevo una lettera da mamma Carmela che mi dice che
danno a giorni la sconfitta dei Tedeschi e m’implora di scappare “Ti
terrò nascosto nel bosco vicino a casa fino alla fine della guerra”.
Sono salito sul camion dell’Annonaria fino a Trento; il 25 aprile
arrivo a Mori e rimango nascosto nel bosco fino al 2 maggio; il 3
mattina vedo passare le prime pattuglie alleate e grossi carri.Papà
Silvio, dalla gioia, offre loro fiaschi di vino”.
Giuseppe Poli.
foto 47 I giovani moriani del ‘24, ‘25 e del ‘26 erano reclutati o
nel CST o nella Flak. Alla visita di leva potei scegliere di andare nel
CST ma mi trovai nella Flak! Fui assegnato ad una batteria
antiaerea nei pressi di Campotrentino, quasi di fronte all’ex Sloi. La
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batteria era formata da 5 o 6 cannoni da 88 mm e da una centrale
operativa che comandava tutti i pezzi.
Foto 48 Ho un vivo ricordo del secondo massiccio
bombardamento di Trento del 13 maggio 1944, che provocò
numerosi morti. Era impressionante vedere le bombe che
centravano le case; allo scoppio il tetto si sollevava, per qualche
frazione di secondo, quasi tutto intero, per poi sfasciarsi sulle
macerie.
A fine ottobre veniamo trasferiti a Candriai. Il nostro comando
affermava che avevamo abbattuto più di 20 apparecchi americani.
Ad ogni abbattimento aggiungevamo un anello bianco sul cannone
a mò di trofeo.
Negli ultimi giorni d’aprile ‘45 non arrivavano ormai più le
munizioni ed il comandante ci comunicò che potevamo
abbandonare i pezzi, però senza armi. Rientrai a Mori il 5 maggio
‘45, a guerra finita”.
Marcello
Da queste testimonianze, come anche da quella di Gina
Depretto, emerge anche il rapporto quasi paterno con i loro
comandanti tedeschi, di una certa età, taluni di cultura. Costoro
erano ormai consapevoli del disastro in cui il nazismo aveva
trascinato il suo popolo. E nei ragazzi del CST vedevano i loro
stessi figli mandati a morire sui fronti di tutta Europa e che non
avrebbero più rivisto.
29
“Vita quotidiana a Mori durante la II guerra mondiale
Renato Bianchi Foto 49 “ La vita sociale ed economica risentiva
pesantemente della situazione di guerra; quasi tutti i negozi erano
praticamente chiusi. Aprivano solo per due, tre ore la sera e
disponevano solo di pochi generi di prima necessità. Era in vigore il
razionamento, ci voleva la tessera”.
Danilo Galvagni : “ veniva distribuito il frumento, ogni
quadrimestre 10 kg al mese per sei persone, in totale 240 kg, da
macinare al molino Piccoli”.
“ Erano aperte alcune osterie, che svolgevano anche
un’importante funzione di sostegno psicologico. Stare insieme,
infatti, infondeva un po’ di sicurezza e sollievo in quei drammatici
momenti. ( le trattorie erano : la Sirena; ilGiardino Grisi; la
Scaletta; la Vecchia Mori; al Mercato; alla Pesa; la Gradela; alla
Scaletta; la Neni; la Biasi a Tierno).
Foto 50 Anche la situazione sanitaria era precaria. Mancavano i
preziosi antibiotici e la mortalità infantile era elevata. La penicillina
arrivò con gli americani, i quali portano pure il DDT, accolto con
entusiasmo, salvo poi scoprirne la nocività.
Di quel periodo preme evidenziare lo spirito di solidarietà che
animava la nostra comunità. Tutti aiutavano tutti, materialmente e
moralmente, ad affrontare le molteplici difficoltà (carenza di cibo,
sfollamento e, purtroppo, le frequenti disgrazie e decessi) dato che
poco o niente ci si poteva aspettare dalle pressochè inesistenti
strutture pubbliche.
30
Foto 51
Nonostante la carenza di generi alimentari, sottoposti al rigido
razionamento, i furti nelle campagne e negli orti erano molto rari (
a differenza di oggi, tempo di benessere)!
I mezzi di trasporto consistevano, al massimo, in una bicicletta,
il più delle volte scassata e di seconda mano, per la quale, per di
più, si doveva pagare il bollo annuo non proprio lieve.
Elda Moscatelli in Caproni
“ La vita di tutti i giorni a Mori era discreta, nonostante la guerra.
Il pane quotidiano non mancava, perché quasi tutti avevano
campagna. La mia famiglia non ha mai patito la fame.
Si portava la farina dal Sartori, lungo il Cameras, dove ora c’è il
panificio del Ragnoto (Benedetti). Per il resto, allora a Mori c’erano
molti bei negozi di ogni cosa, più e meglio di adesso! Gli
Omenigrandi; la bottega del Gino Moscatelli, da capogiro!; due
calzolai; foto 52 di via G Modena i casalinghi dal Bozol (Malfatti);
la pasticceria, le stoffe; el Spiazal de la fera, en gioiel. L’era bel
Mori, pù bel de
ades.
A rifornirci di sale ci pensava el Toni dalle coe ( chiamato così
perchè teneva i capelli lunghi). Gli chiedevamo: Toni, dove lo trovi
il sale? In montagna, sotto i sassi- rispondeva. Ma tutti sapevano
che trafficava coi tedeschi”.
31
“ Altri testimoni danno un giudizio meno roseo della situazione.
Raccontano che la situazione alimentare era grave, tant’è che la
gente cominciò a prendere possesso dei depositi dei tedeschi, che
avevano sede nell’attuale municipio e nelle masere, piene di ogni
ben di Dio.
Chi era in buoni rapporti con i tedeschi ( anche grazie a qualche
damigiana di vino o qualche fiasco di grappa) riusciva a portar via
qualche sacco di frumento.
Questo gioco a guardie e ladri purtroppo non andò sempre bene:.
Gino Caproni, rimase ferito mortalmente proprio mentre asportava
un sacco di grano dal deposito delle scuole.
La convivenza con i tedeschi
avevano dislocato le loro sedi e i loro comandi in modo capillare
in tutta la borgata. Per citare solo i più importanti: alle scuole, a
palazzo Salvadori, a Besagno, a Ravazzone, nella villa rossa
adiacente al pont de fer.
Nelle scuole c’era il magazzino viveri, soprattutto del grano;
sullo Spiaz de la Fera un magazzino di materiali per l’edilizia;
all’oratorio l’officina per camion, vagoni ecc; al mulino Piccoli
piastrelle e ferri di cavallo; nel cinema teatro materiale per
veterinaria, sacchi e scatoloni di medicine; a palazzo Lutteri a
Tierno la ditta edile Polenski-Zoellner , che utilizzava i comandati
della Todt e la prigione per chi si sottraeva al lavoro.
32
Le masere erano presidiate in quanto erano diventate magazzini di
viveri, macchinari vari e officine.
Insomma,i tedeschi erano ovunque e la popolazione poteva
essere tenuta sotto controllo da ogni punto di vista”.
E’ stato chiesto ai testimoni come si viveva questa situazione di
coabitazione forzata con i tedeschi e se si sono registrati atti di
resistenza o di ribellione verso gli occupanti.
La sintesi delle risposte può essere la seguente:
I tedeschi erano corretti, bastava lasciarli stare ; non si è
registrato alcun atto di sabotaggio ; i rapporti erano buoni, i
tedeschi erano severi ma giusti, ai comandati al lavoro alla Scac
pagavano 5 lire a fronte delle due dell’azienda italiana. Ai lavoratori
militarizzati pagavano regolarmente i contributi. Piuttosto, c’erano
furti di rame, prezioso per il verderam per le vigne ; tutto
sommato, i tedeschi con noi si sono comportati in maniera corretta.
Però, dopo il gennaio del ’45, arrivarono i giovani non ancora
ventenni e molto intrisi di ideologia nazista, fanatici, che erano
molto pericolosi.
Poi, si sa, la necessità aguzza l’ingegno, ed ecco il racconto di
Mauro Menoni:
Foto 53 “Facevo il calzolaio. Facevo un paio di scarpe al giorno,
più le riparazioni. El coram lo prendevo in una conceria di Rovereto,
ma me lo davano col contagocce.
33
Una sera capita in negozio un tedesco grande e grosso, mitra a
spalla. Io stavo facendo un paio di scarpe per la morosa. Voglio
cinque paia di scarpe-mi dice il soldato. Pago subito. Non ho coram-
rispondo. Te lo vado a prendere io, dov’è la conceria? Va e torna col
coram ed io gli faccio le scarpe.
Dopo qualche giorno torna e mi chiede altre scarpe. Lo
accontento. La terza volta gli chiedo: ne avete sale? Noi siamo in
mezzo al sale ( era di Salisburgo, la città del sale)! Te ne porto
finchè vuoi. Mi portò sette sacchi di sale, di mezzo quintale l’uno.
Allora il sale costava mille lire al kg. L’ho rivenduto prima a 300 lire,
poi a 400, poi a 500. Me pareva de esser en sior!
Quella sera però Eric pretese la cena. Bistecche e grappa e …finì
in una formidabile sbornia”.
Bombardamenti. La paura di tutti i giorni
Renato Bianchi
“Lavoravamo, a Mori Stazione, con le orecchie sempre diritte,
per essere pronti ad acquattarci in qualche buca o dietro a un
sasso, al primo rombo di aerei, che, specie nelle belle
giornate,arrivavano puntualmente, quasi sempre nelle stesse ore.
Foto 54
Al mattino, verso le nove, si trattava di solito di una pattuglia di
otto cacciabombardieri, (Thunderbolt e Hurricane), i quali, salendo
in fila indiana lungo l’asta dell’Adige a notevole altezza, picchiavano
sull’obiettivo e sganciavano le due bombe che portavano sotto le
ali. Poi, dopo la cabrata per riprendere quota, invertita la rotta, si
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abbassavano nuovamente fino a poche decine di metri,
sventagliando raffiche di mitraglia su tutto quello che capitava a
tiro.
Foto 55 Meno frequenti erano, invece, le incursioni dei
bombardieri, i tristemente famosi quadrimotori B17 e B29, le
cosiddette fortezze volanti. Essi arrivavano normalmente nel
pomeriggio, seguendo rotte sempre diverse, in numero di 18 o 36,
suddivisi in formazioni a cuneo da 6 e preceduti da altri 3 aerei.
Questi lasciavano cadere una miriade di striscioline di carta
stagnola, che avevano lo scopo di disorientare e confondere i
sistemi di rilevazione e puntamento dell’artiglieria contraerea, la
Flack.
Le formazioni, rimanendo sempre ad una quota molto elevata,
sganciavano bombe da 500 libbre ( 230 kg), che scendevano con
un fischio lacerante prima di deflagrare nel poco distante
sottopassaggio della Favorita di Mori Ferrovia.
Noi, con le mani pressate sugli orecchi, per salvare i timpani,
stavamo ben acquattati, pancia a terra, in qualche buca, mentre la
terra sussultava e l’onda d’urto dello spostamento d’aria passava
sopra le nostre teste assieme ad un gran polverone e il puzzo acre
dell’esplosivo.
Finita l’incursione e diradatasi la cortina dei fumogeni,
rallegrandoci di averla scampata ancora una volta, la vita
riprendeva il suo ritmo normale, perché- non deve apparire
paradossale- vivendo costantemente nel pericolo, inevitabilmente ci
35
si rassegna a convivere con esso, giorno dopo giorno, confidando
solo nella fortuna”.
Pio Gazzini.
Dal racconto della cognata Cesarina Bertolini: “Il 29/3/44
(venerdì Santo), Pio Gazzini, è ferito mortalmente al cuore da una
scheggia. Beffa del destino: la scheggia assassina aveva anche
attraversato il corpo, senza ledere alcun organo vitale, di
Giuseppina Strafelini in Pizzini. Inoltre Pio stava correndo nel rifugio
di Tierno con le stampelle, perché mutilato ad una gamba,
amputatagli qualche mese prima a causa di un’infezione. Gian Luigi
Chizzola, nella stessa circostanza, rimane ferito ad una gamba”.
Danilo Galvagni. Foto 56
Allarmi…Allarmi…
Domenica, ultimo giorno del ’44, allarmi. Passano diverse
ondate, sganciano sul ponte del Leno e sulla ferrovia a Beseno.
….Domenica 4 febbraio 1945. Allarmi. Il Pippo sgancia in Valbusa a
Rovereto lasciando miracolosamente incolumi undici persone in una
casa. Al porto di Serravalle due uomini di Chizzola rimangono uccisi
dal mitragliamento.
Foto 57
36
Mercoledì 7 marzo. Tempo bello. Sei allarmi. Due squadriglie di
picchiatelli sganciano ad Ala, percossi dalla contraerea di Pilcante e
di Mori. Alle 19.45 il sig. Pippo fa parecchi giri sopra la valle e
sgancia due bombe presso la diga di Mori ferendo gravemente
Giacinto Lutteri di Tierno.
Sabato 17 marzo. Quattro picchiatelli piombano
improvvisamente sulla stazione di Mori. Colpiscono in pieno
l’albergo Stazione e la ferrovia verso l’Ognibeni.
Luned’ 19 marzo. Tempo bello. Allarmi. 24 bombardieri
sganciano sulla ferrovia a Serravalle. D’ora innanzi si farà uso delle
campane esclusivamente per dare un breve segno di agonia in caso
di morte ( sic!)
Venerdì 30 marzo-Sabato santo. Infuriano i picchiatelli. A Tierno
spezzoni di bombe causano la morte di del giovane Pio Gazzini,
mentre si stava trascinando nel rifugio con le stampelle e ne
feriscono altri sei, fra cui Gianluigi Chizzola. Anche un vecchio
muore. Un giovane carabiniere in servizio alla Montecatini muore
colpito da una bomba.
Mercoledì 4 aprile. A Mori Vecchio mitragliano uccidendo un
giovane di 24 anni, Bruno Ischia, e feriscono la mamma.
Martedì 24 aprile. Diciotto bombardieri sganciano bombe su
obiettivi strategici di Rovereto: ospedale, ferrovia, sottopassaggio
alla stazione, Manifattura, nodi stradali… insomma un inferno,
senza che la che la contraerea spari un colpo.
Giuseppe Beltrami. L’aereo americano precipitato a Sano.
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Foto 58 “stavamo scrutando il cielo quando, tutto d’un tratto,
da sopra della casa della Piva spunta un aereo americano.
Lasciava una nera scia di fumo e ci siamo subito accorti che la
carlinga era aperta e che il pilota tentava un atterraggio di fortuna.
Sembrava che stesse per lanciarsi dal velivolo perché si era
alzato in piedi, ma in quell’istante l’aereo andò ad agganciarsi al
cavo più alto dei tralicci dell’alta tensione.
E’ stato un attimo. L’aereo tranciò il cavo, si capovolse e
precipitò a terra, seppellendo il pilota.
Mi precipitai sul posto e mi si presentò una scena orribile: la
parte centrale del velivolo era infossata e bruciava, dall’ammasso
delle lamiere sporgeva un pezzo di braccio e una mano. Al dito si
vedeva un anello.
Ad un tratto sentii una mano sulla spalla. Era il nostro parroco,
don Bettin. Egli si inginocchiò, prese dalla tasca una scatoletta e mi
disse: “Inginocchiati anche tu, preghiamo, è morto, gli do l’olio
santo”.
Tremavo, non avevo mai visto un morto, non mi rendevo conto:
c’era solo il braccio, e il resto?
Non so quanto tempo passò, il mio sguardo era fisso su quella
mano e il pezzo di manica, quelle dita, quell’anello. La stavo
toccando, era un po’ gonfia ma tiepida, quando il fuoco iniziò a far
esplodere le cartucce della mitragliera.
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Don Bettin mi trascinò via di lì ed allora mi accorsi che stava
arrivando altra gente, qualcuno armato di piccone, mazzette, ascie.
Pensai: vogliono aiutare il pilota. Ma mi ero illuso!
Vidi uno che cercava di sfilare l’anello e, non riuscendoci, si stava
aiutando con una focoleta. Mi sentivo male.
Poi arrivò un ufficiale tedesco, che conoscevo. Lo portai vicino
alla mano del disgraziato pilota e gli feci cenno che qualcuno aveva
strappato l’anello.
Fu un attimo, capiì che mi chiedeva chi era stato. Gli indicai la
persona, che faceva finta di nulla. Ma, quando l’ufficiale mise mano
alla pistola, consegnò subito l’anello.
L’ufficiale ed un soldato cercarono di estrarre il corpo tirandolo
per la manica, ma invano. Ne uscì solo un pezzo di giubbotto, in cui
trovarono una mappa della zona e un pezzo di paracadute
insanguinato.
Visto che non riuscivano ad estrarre il corpo, l’ufficiale, con un
piede, buttò tutto nella buca che bruciava….
Il giorno dopo, il becchino del cimitero, il sig. Cattoi, con l’aiuto
del figlio Ottorino, con una forca da fieno o da letame, recuperarono
dalla buca quello che rimaneva del povero corpo e lo depositarono
in una cassa di legno simile a quelle in cui il sig. Gino Cavalieri
teneva il sapone “Cofano” o quelle del sig. Pietro Malfatti per la
ferramenta.
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Venne sepolto in questa cassa, depositata fuori dal cimitero da un
ufficiale americano( era una poltiglia); l’ufficiale, con una bacchetta
di ferro, rovistando, incappò nella piastrina di riconoscimento.
Il militare diede l’ordine ad una persona presente di mettere i resti
in un barattolo. Poiché questa si rifiutava ( era tutta piena di…)
l’ufficiale alzò la voce.
A questo punto questa persona, senza più fiatare, prese i resti con
le mani e li depositò nel barattolo…”
Giovanna Tranquillini…. Foto 59
” Parecchie famiglie trovavano riparo nelle grotte di Montalbano ; la
situazione era vissuta in modo ancora più pauroso, perché “l’eco
della crona” aumentava il rombo degli aerei e degli scoppi…
La tattica nei bombardamenti era questa: prima arrivavano i
picchiatelli che giravano sopra Brentonico e Castione ed
aspettavano l’arrivo dei bombardieri. Poi, d’improvviso si
abbassavano mitragliando sopra le postazioni contraeree. Nello
stesso momento sbucavano i bombardieri dallo Zugna o da
Lenzima, che trovando la contraerea disorientata sganciavano le
loro bombe con relativa calma…”
Foto 60 Il bombardamento di Besagno. Lo raccontano:
Augusto Girardelli
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“ Un giorno, a Besagno, eravamo nella cantina di Arrigo, dove si
beveva il vino più buono. Avevamo bevuto qualche “candola” e
cantato.
Il mattino seguente partiì di buon ora, diretto a S.Valentino,
dove dovevo caricare un carro di legna. Arrivato al “ponterom” fra
Brentonico e S.Giacomo ( mancava qualche minuto alle otto) sentii
dei bombardamenti verso Mori, poi il rumore degli aeroplani che
giravano sopra villa Passerini e si dirigevano verso Bordina e Riva.
Non sapevo cosa pensare. Avevo un brutto presentimento.
A mezzogiorno arrivò mia sorella Maria, che mi portò la
tremenda notizia del bombardamento di Besagno foto 61 e dei
nove morti. Partii subito, di corsa, in mezz’ora arrivai a Besagno,
andai subito dal mio amico Riccardo, sembrava che mi parlasse
ancora, aveva solo una ferita alla testa.
Riccardo era figlio unico; fu uno strazio, specialmente per la
mamma. Della famiglia Dalrì morirono il padre, la madre, la nuora
Maria con i figli Piergiorgio e Valentina. Il marito Valentino era in
Russia e non tornò più. Della disgraziata famiglia rimase solo Elisa.
Attilio Bona, fratello del parroco Don Candido ed io lavorammo per
tre giorni, custodimmo e vegliammo i cari morti…”.
Elisa Dalrì
“Ho saputo del bombardamenti in fabbrica. In bici sono partita
subito per Besagno. Arrivata, non volevano farmi vedere le macerie
con sotto la mia famiglia, mio padre Ernesto e mamma Paolina, mio
fratello Arrigo di 21 anni, mia cognata Maria e i suoi figli Piergiorgio
e Valentina.
41
Alla mesta operazione di recupero delle salme assistevano
anche il dott. Degasperi e Mons. Cesare Viesi.
Quanta disperazione alla vista dei poveri corpi martoriati! Non
mi permisero di partecipare ai funerali perché temevano che non
reggessi alla forte emozione.
Per tre giorni non ho bevuto e mangiato e non ho pianto. Per un
anno sono vissuta con la zia, vedova, con quattro figli e “quel
niente che avevamo”.
Ancora oggi, dopo sessant’anni dalla tragedia, non posso vedere
scene di guerra o di terremoti”.
Bombardamento della Montecatini. Foto 62
Urbano Tranquillini
“Il 16 novembre del ’44 anche la Montecatini fu bombardata. Foto
63 Noi eravamo nel rifugio scavato nella roccia, a fianco del canale
industriale vicino alla centrale elettrica. Dal rifugio sentimmo
chiaramente il fragore delle bombe. Cessato il pericolo,
uscimmo e con dolore vedemmo che la nostra grande fabbrica era
stata colpita. Una bomba aveva sventrato il rifugio-cantina degli
otto alloggi dove si erano rifugiati il capo officina Virginio Piccolroaz,
la moglie Giuseppina e la figlia Giulietta di 13 anni, nonché la
signora Ada Carlotti.
Anche qui macabra coincidenza volle che- come ci ha raccontato
Gilio Manfredi, -giungesse alla signora Giuseppina, il giorno dopo la
sua morte, la comunicazione della morte del figlio Renzo avvenuta
in campo di concentramento tedesco.
42
Gino Gazzini racconta che “nelle operazioni di recupero delle
vittime ogni tanto ci si fermava per sentire i gemiti dei sepolti vivi e
Mons. Cesare Viesi faceva il coordinamento”.
In un’incursione aerea furono scaricate centinaia di bombe
“farfalla” sulla Montecatini, sulle strade e nelle campagne attorno a
Mori.
Usciti dal rifugio, ci siamo incamminati, a piedi, verso le nostre
abitazioni. Arrivati a metà strada, incontrammo sei uomini che con
un lenzuolo stavano portando nell’infermeria della fabbrica un uomo
ferito proprio da una bomba farfalla. Era Emilio Bombana, classe
1909, in seguito deceduto per le ferite.
Tutte tre le donne morirono”.
Bombardamento Spiaz de la Fera
Renato Filagrana Foto 64
“Dove ora ci sono le case, sulla sinistra all’inizio di via
Terranera, esisteva un grande spiaz ombreggiato da ippocastani,
chiamato El spiaz de la Fera. Foto 65
Dal ’43 era diventato un cantiere della Todt, el Lager, dove
artigiani e operai erano obbligati a lavorare per i tedeschi. Anch’io
lavoravo lì.
In caso di allarme si poteva uscire per mettersi al sicuro.
Esisteva una casa costruita tutta in cemento, con una piccola
cantina. Era di Gino Benedetti, el Tibele. Lui era orgoglioso di
43
questa sua casa, considerata una piccola fortezza in caso di
incursioni aeree.
Durante un allarme ci rifugiammo lì. Eravamo in tredici,
sfidando la sfortuna. Giocavamo a carte. Poco prima delle 14,30
si sentì un rombo. Apparvero sette picchiatelli. Virarono verso il
Biaena, sorvolarono il Baldo e si abbassarono verso di noi.
FOTO 66 Arrivati su Mori sganciarono le prime bombe, che
colpirono l’asilo.
Terrorizzati, ci precipitammo al piano interrato. Udimmo un
grande fragore, accompagnato da una luce azzurra e poi gialla. La
luce sparì. Accendemmo un fiammifero: la scena che mi si presentò
era impressionante, non la potrò mai cancellare dalla mia mente
per tutto il resto della mia vita.
La sorella del padrone di casa era sulla scala, sezionata in tre
pezzi; il mio amico e compagno di lavoro era senza testa.
Con la forza della disperazione riuscii a sbloccare la porta di
uscita e ad uscire all’aperto.
La corsa attraverso i campi che ne segue può essere paragonata
a quella di un ariete furioso; dove passo travolgo tutto, spezzando
anche i fili delle pergole nei campi. Mi sembra che gli aerei che
sorvolano Mori tentino di mitragliarmi.
Non so quanto è durata questa mia pazza corsa, so solo che ad
un certo punto arrivo in vista della Montecatini, in direzione opposta
a casa mia”.
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Elda Moscatelli in Caproni
“Soprattutto, avevamo paura dei bombardamenti. Quanti
spaventi! Del Pippo specialmente. I bombardamenti erano la nostra
angoscia.
Il nostro rifugio antiaereo Foto 67
era in un’ampia grotta naturale rocciosa in località Camanghem,
posto pieno di bombe;¸vi si arrivava percorrendo una stradina,
dalle Gere. Quanti ricordi delle ore passate nel rifugio!
I “Miri” portavano sempre con sé la cassetta coi marenghi. Una
volta la valigia finì col rotolare giù per le scale seminando soldi e
marenghi.”
Marcello
"Ma insieme alle bombe in Italia arrivò anche la musica americana.
Arrivò il Jazz con la musica Swing che anche da noi alla radio, fra
una notizia di guerra e l'altra si cominciava ad ascoltare. Quella
musica così festaiola e frizzante, tanto avversata dal fascismo, ma
che tanto piaceva, faceva intravedere ormai la fine del conflitto e
un futuro più sereno all'orizzonte"
Ascoltiamo ora "In cerca di te”
GIGI
Fine della Guerra e le nuove Istituzioni democratiche.
Il 23 aprile 1945 gli Alleati sbarcano a Torbole ed il 2 maggio
entrano in Mori.
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Foto 68 Le ultime loro cannonate arrivano a Mori Superiore e
vicino all’attuale Camposanto. Per fortuna non c’è reazione da parte
dei tedeschi e Mori è risparmiata! Si vedono arrivare i primi soldati
di colore ( che stupore! prima si vedevano solo sulle riviste
missionarie). Lanciano scatolette con dolci, sigarette, caffè,
cioccolato e gomma americana (mai vista prima; le prime volte la
gente la mangiava, poi imparò a masticarla). Le campane suonano
a festa.
Marcello dobbiamo ricordare che mentre avvenivano i funerali
a Besagno delle 9 vittime del bombardamento del 4 dicembre Mori
era sotto un altro bombardamento.
Gina Depretto, allora ragazza di 13 anni, racconta di papà Ennio, il
Sindaco della Mori liberata: “ Foto 69
“Verso l’autunno del ‘44, avvertimmo un mutamento d’abitudini
da parte di papà ; la sera era frequentemente fuori di casa. Mio
cugino Gino, che abitava sotto di noi in Via Filippo Tranquillini,
teneva i contatti segreti fra mio padre, Silvio Bianchi e Giacomo
Caneppele, entrambi nascosti a Mori Vecchio.
Scoprimmo che nostra madre Emma era in apprensione,
temeva che la Gestapo potesse scoprire la rete clandestina che si
stava formando a Mori, di cui faceva parte anche nostro padre.
Ci raccomandava di non parlare con nessuno dei
comportamenti di papà. Il cugino Gino lo teneva costantemente
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informato con le notizie e le disposizioni che Silvio Bianchi gli
inviava e che riceveva dal CLN.
Gino aveva l’unica radio della casa; allora, a Mori ne esistevano
poche. A notte fonda ascoltavamo Radio Londra.
Alla liberazione mio padre fu nominato Sindaco di Mori su
designazione del CLN. Gli sfollati rientravano un po’ alla volta nelle
loro case. C’era il problema di trovare il cibo quotidiano, un lavoro,
insomma di tornare ad una vita normale. C’erano in paese una serie
di depositi di viveri e materiali vari dell’esercito tedesco, che
dovevano essere inventariati e distribuiti ai bisognosi.
Foto 70 Dopo tre mesi circa, si tenne tra i capifamiglia la
verifica politica sulla rappresentatività dei vari partiti. Il risultato fu
che mio padre venne sostituito con Pietro Malfatti, già Commissario
durante il fascismo. Rimase deluso per aver visto interrotto
l’impegno che si era preso verso la comunità di Mori all’atto del suo
insediamento.
Per la nostra famiglia, invece, fu una grande fortuna perché
potemmo riavere Papà tutto per noi”.
Marcello Foto 71
Giacomo Caneppele
Tra i moriani che facevano parte della piccola rete della
Resistenza locale ricordiamo Giacomo Caneppele, prigioniero prima
in Spagna dei Franchisti, poi in Francia dei Tedeschi. In Italia venne
condannato al confino alle isole Tremiti.
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Dopo il 25 luglio riesce a scappare. Riabbraccia i suoi cari dopo
quattordici anni. Inizia la sua latitanza nascondendosi nei boschi
vicino al Pipel.
La moglie Agnese ci ha lasciato un racconto avvincente, di cui
riportiamo un breve passo.
“Don Vigilio Bettin, parroco di Mori Vecchio, professore al Liceo di
Rovereto, aveva buoni rapporti con i Tedeschi.
La sera precedente il 28 giugno 1944 don Vigilio viene a
conoscenza dei loro piani, delle retate per catturare gli antifascisti
locali.
Foto 72 Incarica immediatamente Giacomo di avvisare l’avv.
Angelo Bettini, il martire della Resistenza trentina, del grave
pericolo che incombe su di lui.
Giacomo effettua la missione; ma l’avvocato risponde che non
sarebbe scappato, si diceva convinto che nessuno gli avrebbe fatto
del male.
Purtroppo non fu così, andò incontro alla morte. Foto 73 Il prof.
Bruno Betta, di Riva, invece, allertato del pericolo dal prof. Luigi
Dalrì, prese sul serio il consiglio e si pose in salvo”.
Gigi FOTO 74
Silvio Bianchi
Figura importante di quel periodo è Silvio Bianchi, che ha una
storia analoga a quella di Giacomo: comandante delle Brigate
internazionali in Spagna, poi confinato a Ventotene. Dopo la sua
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liberazione, viene incaricato dal CLN di organizzare la resistenza in
Trentino e preparare i nuovi quadri.
Gino Depretto lo ricorda così:
“Lo conobbi in un ritrovo clandestino a Mori Vecchio. Nessuna
parola d’astio o vendetta, mi raccomandò solo molta prudenza e
raziocinio. Costituì, secondo i dettami del CLN, organo del Governo
italiano, la Giunta provvisoria, che comprendeva tutti gli
schieramenti politici antifascisti.
Guidò con perizia, nell’ultimo periodo di guerra, tutte le
operazioni che evitarono alla popolazione grossi danni da parte dei
tedeschi in ritirata.
Per molti giorni allestimmo un servizio di cucina che diede il
conforto di un pasto caldo, forse il primo dopo tanti stenti, a
migliaia di reduci che transitavano da Mori”.
Marcello FOTO 75
Gianni Benedetti, che ci ha lasciato poche settimane fa e che
ricordiamo con riconoscenza e nostalgia, racconta di lui : “Ero
affascinato dai racconti di Silvio Bianchi, fuoriuscito politico. Mi ha
sempre colpito il suo equilibrio ; era una persona che non serbava
rancore e non recriminava nei confronti di nessuno, nemmeno nei
confronti degli avversari politici. Da lui ho imparato i fondamentali
del sistema democratico e del regime dittatoriale.
E’ ricordato anche come colui che era il Sindaco naturale della
Mori liberata, ma lui indicò Ennio Depretto”.
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Marcello
Foto 76Mons.Cesare Viesi.
Rievocando i drammatici momenti della vita di Mori, come abbiamo
cercato di fare, non possiamo non ricordare Mons. Cesare Viesi,
decano di Mori per molti anni.
Foto 77 Don Cesare fu un punto di riferimento per la sua gente,
per l’impegno generoso e la saggezza umana e cristiana con cui
gestì la difficile situazione.
Pochi sanno anche che con la gente di Chizzola visse la vita del
profugo, durante la Prima Guerra mondiale, a Nereto in Abruzzo.
Per i suoi meriti civili fu insignito il 2 giugno 1959 del Cavalierato al
merito della Repubblica. Mori gli ha dedicato una delle vie principali
e la Parrocchia l’Oratorio.
Foto 78
“Per ricordare il tanto dolore causato dalla guerra, che nel nostro
Paese è stata anche guerra civile, vi proponiamo:
La madre*
Quando la sera tornavano dai campi
sette figli ed otto col padre
il suo sorriso attendeva sull’uscio
per annunciare che il desco era pronto
ma quando in un unico sparo
caddero in sette dinanzi a quel muro
la madre disse
non vi rimprovero o figli
d’avermi dato tanto dolore
l’avete fatto per un’idea
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perché mai più nel mondo altre madri
debban soffrire la stessa mia pena
ma che ci faccio qui sulla soglia
se più la sera non tornerete
il padre è forte e rincuora i nipoti
dopo un raccolto ne viene un altro
ma io sono soltanto una mamma
o figli cari
vengo con voi.
Ed ora ascoltiamo e cantiamo insieme Bella Ciao
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