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Istituto Superiore Universitario
di Scienze Psicopedagogiche e Sociali
“Progetto Uomo”
LE DISABILITÀ: IL NON UDENTE
Tesina di
Scienze Tecniche Mediche applicate all’handicap
a.a. 2016-2017
Ombretta Bocci (Matr. 1088 EP14) Teresa Peruzzi (Matr. 1119 EP 14) Eleonora Crasta (Matr. 1130 EP14) Sara Sgamma (Matr. 1108 EP14) Carmen Maccarrone (Matr. 1152 EP15)
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INDICE
1. Storia ed evoluzione delle persone con disabilità uditiva ……………….. pag. 1 (Eleonora Crasta) 1.1 Una sintesi sulla storia della sordità per riflettere sul presente …………… " 16 1.2 Focus sull’esperienze educative nel nostro Paese ………………………… " 18 1.3 La lingua dei segni ……………………………………………………………. " 19 1.4 Lingua dei segni, un progetto di legge per il suo riconoscimento ……….. " 20 1.5 Definire l’identità sorda ……………………………………………………….. " 21 1.6 Etnicità, Etica e il mondo dei sordi …………………………………………… " 27 1.7 L’impianto cocleare e la “cultura sorda ………………………………………. ” 38 1.8 Una nuova ricerca ……………………………………………………………… " 45
BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………………….. " 46
2. Aspetti fisici e fisiopatologia del sistema uditivo (Carmen Maccarrone) … pa 47 2.1 Le patologia dell’apparato uditivo …………………………………………….. " 53 SITOGRAFIA……………………………………………………………………………..” 55
3. La rieducazione logopedica (Carmen Maccarrone) ………………………….. pag. 56 3.1 Gli obiettivi del trattamento logopedico ……………………………………… " 57
SITOGRAFIA……………………………………………………………………………” 59 4. LIS: Lingua Italiana dei Segni (Ombretta Bocci) ……………………………… pag. 59 4.1 Introduzione …………………………………………………………………… " 60 4.2 Origine della Lingua dei Segni ……………………………………………… " 59 4.3 Aspetti strutturali ………………………………………………………………. " 62
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4.4 Aspetti sociolinguistici ………………………………………………………… " 64 4.5 LIS: strategia di apprendimento ………………………………………………. " 65
SITOGRAFIA ……………………………………………………………………………. " 68
5. Scuola, tecnologia, attività ludica: per la realizzazione di interventi educativi (Sara Sgamma)………………… ” 69 5.1 Lo sviluppo del linguaggio ………………………………………………… " 69 5.2 I bambini sordi e la scuola …………………………………………………. " 69 5.3 Figure professionali …………………………………………………………. " 70 5.4 L’assistente alla comunicazione ……………………………………………. " 71 5.5 Le nuove tecnologie ………………………………………………………… " 72 5.6 Il gioco …………………………………………………………………………. " 73 SITOGRAFIA ……………………………………………………………………… " 74
6. Esperienze di Musicoterapia (Teresa Peruzzi) ……………………………. pag. 75 6.1 La Metodica ………………………………………………………………… " 76 6.2 L’impianto Cocleare ………………………………………………………. " 77 6.3 Le Ricerche ………………………………………………………………… " 78 6.4 Corpo – Mente o corpomente? …………………………………………….. " 88 6.5 I fondamenti teorici ………………………………………………………….. " 93 BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………. ” 95
7. Le famiglie dei non udenti: prevenzione, riabilitazione e inserimento nel lavoro (Sara Sgamma) …………………………………… pag. 96 Proposta di legge 4207 (Testo allegato) ………………………………………… " 98
SITOGRAFIA …………………………………………………………………… . " 100
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1. Storia ed evoluzione delle persone con disabilità uditiva (Eleonora Crasta)
Il sordomutismo è una condizione patologica, congenita o acquisita, in cui la sordità può
dar luogo di conseguenza al mutismo. È una disabilità notafin dai tempi più remoti tanto
che viene riportata da alcune descrizioni nelle Sacre Scritture, nella Storia e nella
Letteratura più antica.
Dalle Sacre Scritture si apprende che il muto e il sordo non doveva essere disprezzato in
quanto, come affermava Mosè nel XV secolo a.C., è una creatura del Signore. Samuele
nel XI secolo a.C. si fece difensore di tali soggetti e Davide nel X secolo a.C., a
dimostrazione del rispetto nei loro confronti, si paragonò al sordomuto. Questo può
rappresentare un preludio al miracolo di Gesù riportato da Marco (MC 8,31-37), quando gli
portarono innanzi un uomo sordo e muto e lo pregarono di imporgli le mani. Egli allora,
portatolo in disparte, gli mise le dita negli orecchi e con lo sputo gli toccò la lingua, sospirò
e disse: “ effata!” che vuol dire apriti. E subito gli si aprirono le orecchie e gli si sciolse la
lingua e parlava speditamente. Nel Talmud, grande codice ebraico del III-V secolo d.C.
viene riportato quanto segue: “non vogliate annoverare il sordo e il muto tra gli idioti, come
individui privi di responsabilità morali, poiché possono essere istruiti e fatti intelligenti”.
Nella letteratura greca, sono ben noti due casi di sordomutismo. Il più famoso è quello
descritto dal grande storico greco del V secolo a.C., Erodotto, a proposito del figlio
sordomuto di Creso. Questi infatti vissuto nel VI secolo a.C., e divenuto re nel 560 a.C.,
ebbe un figlio ragionevole e buono, ma purtroppo sordomuto.Per la sua guarigione
consultò anche l’oracolo di Delfo e la Pitia, ma senza alcun risultato. Quando però
nell’assedio dei Persiani, condotti da Ciro il Grande alla rocca di Creso, la capitale di
Sardi, Creso, fu sul punto di essere sconfitto da un Persiano, suo figlio, benchè muto,
scosso dalla paura riuscì improvvisamente a gridare “Uomo non uccidere Creso!”. Salvò
così il padre e da allora parlò per tutta la sua vita. L’altro noto caso di sordomutismo è
quello ritrovato in una stele del tempio di Asceplio in Epidauro e risalente al IV secolo a.C.
Anche altri famosi e pensatori greci si interessarono al sordomutismo e infatti, già nel V
secolo a.C. Ippocrate, padre fondatore della medicina, capì le varie affezioni dell’udito e la
distinzione tra malattie acquisite e congenite anche se, non afferrò il rapporto tra sordità e
mutismo. Successivamente anche Platone, nel IV secolo a.C. e il suo discepolo Aristotele,
si interessarono al problema: Platone in particolare, osservando la mimica dei sordomuti,
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ritenne che fosse adatta ad esprimere il pensiero e il sentimento. Va sottolineato inoltre
che a quel tempo, in Grecia, i deformi, i malformati o i ciechi venivano gettati nel Taigeto
mentre i sordomuti di solito, non venivano sacrificati poiché la minorazione si evidenziava
solo dopo qualche anno di vita, intorno ai tre quattro anni. Questo consentiva loro di
sfuggire al triste destino. In epoca romana, forse imitando la cultura greca, i malformati
venivano posti nelle piazze principali, alla base di una statua, e quindi fatti sbranare dai
cani. Romolo infatti, allora fondatore di Roma, decretò intorno al 753 a.C. che, tutti i
neonati, fino all’età di tre anni, qualora costituissero un potenziale peso per lo Stato,
dovessero essere uccisi. Anche in quest’epoca però i sordomuti riuscivano a scampare a
tale sorte poiché la diagnosi veniva posta tardivamente. La storia inoltre riporta che nel I
secolo d.C., Plinio il Vecchio, famoso storico e condottiero della flotta navale romana,
ritenne che il mutismo potesse essere curato con il taglio del frenulo linguale. Questa
ipotesi fu accettata e trasmessa successivamente per molti secoli. Nella sua famosa
“Storia naturale”, viene riportata la presenza a Roma di casi di sordomuti intelligenti fra i
quali il famoso pittore Quinto Pedio, nipote dell’ononimo Console romano. Egli essendo
discendente della famiglia di Messala, ebbe la concessione dall’imperatore Cesare
Augusto, di coltivare il suo talento artistico. È grazie proprio a questo merito che il nome di
Quinto Pedio oggi viene ricordato in tutti i volumi che si occuppano di proso pografia
romana. Successivamente nel I secolo d.C.,Aulo Cornelio Celso, famoso medico seguace
delle teorie di Ippocrate, trattò nel suo compendio “De Medicina”, della possibilità di istruire
tali soggetti e Aulo Gellio, nel II secolo d.C., parlando del taglio del frenulo della lingua
proposto da Plinio, riferì che al figlio di Creso, nello sforzo di gridare per salvare il padre,
gli si ruppe il “nodo della lingua”. Sempre in epoca romana Ammiano Marcellino, storico
della tarda latinità, nato ad Antiochia nel 330 d.C., riportò che l’imperatore Giuliano detto
l’Apostata, (331-363 d.C.) conquistata la città di Moazamalcha in Persia nel 362 d.C., ebbe
come bottino anche un fanciullo sordomuto. Nel 55 d.C. San Paolo in una Epistola ai
Romani, in cui affermava “Fides ex auditu”, negò al sordomuto la capacità di eseguire la
fede, mentre San Agostino nei suoi trattati “De quantitate animae” del 388 e nel “Contra
Iulianum Pelagianum” del 418, riconobbe, come correttamente riportato nel 1920 dal
Ferreri nel “disegno storico dell’educazione dei sordomuti”, che la parola articolata non era
indispensabile né alla comunicazione del pensiero né alla reciproca intelligenza. In base al
concetto Aristotelico, diffusosi poi nella cultura greca e romana, sul fatto che lo sviluppo
mentale e quindi il pensiero e la socialità, potessero svilupparsi solo attraverso la parola
articolata e che quindi la capacità di parlare fosse un fatto istintivo piuttosto che un fatto
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acquisito, si instaurò come conseguenza il pregiudizio che l’audioleso non
potessesviluppare l’intelligenza solo attraverso la mimica. Veniva pertanto reputato
assurdo cercare di insegnare a parlare a chi ne era incapace, per cui, conservando tale
concetto greco-romano, e considerando che per il loro handicap, potevano presentare
delle reazioni abnormi, i sordomuti furono considerati “mentecatti furiosi” e per questo, con
un decreto vennero ritenuti non educabili. Per tali motivi l’imperatore Giustiniano, che
regnò dal 527 al 565 d.C., istituì restrizioni legali per questi soggetti anche se, chi era in
grado di scrivere e di condurre una propria vita quotidiana, poteva ottenere pieni diritti da
un punto di vista legale e non essere perciò assegnato ad un tutore, il quale aveva in quel
caso, totale controllo sulla loro vita. Nel medioevo, iniziato con la caduta dell’Impero
romano, i diritti dei sordomuti, già compromessi dai tempi di Giustiniano, furono totalmente
soppressi e, quando i barbari germanici travolsero Roma, imposero loro restrizioni
durissime. Tali restrizioni rimasero nei secoli con soppressione totale dei diritti civili, (quale
quello di ereditare o di fare da testimoni), e religiosi (prendere i voti religiosi, sacerdotali,
fare da padrini, o contrarre matrimonio), a meno che non vi fosse una speciale dispensa
papale come avvenne ad esempio nel 1198, quando Papa Innocenzo III, autorizzò in
seguito ad una interpellanza, il matrimonio di un sordomuto. Disse infatti a proposito:“ciò
che non può essere detto con le parole può essere affermato con i gesti”. Il pregiudizio
che il sordomuto fosse un soggetto incapace, rimase però diffuso nei secoli, in particolare
durante il feudalesimo dall’VIII al XII secolo. Nonostante si discutesse animatamente sulla
capacità dei sordi di distinguere ciò che era giusto da ciò che era errato, e quindi se fosse
possibile processarli per un reato o sottoporli a torture, i sordomuti vennero messi da
parte, soprattutto perché tale menomazione non permetteva loro di combattere nelle
numerose guerre che i vari feudatari facevano fra loro e che costituivano il loro principale
interesse. Per tutto il medioevo, fino al 1492, con la scoperta dell’America, rimase pure
valido il preconcetto, forse derivato dall’idea di Plinio il Vecchio, che fosse il frenulo ad
impedire ai muti di parlare e che quindi il difetto risiedesse nella lingua e nell’organo
vocale. A conferma di ciò, quando i Santi operavano il miracolo di ridare la parola al muto,
toccavano, a differenza di Gesù, solo la lingua del soggetto, senza interessarsi delle
orecchie e del suo udito anche se, durante tale periodo, con lo svilupparsi degli studi
anatomici, molti medici cercarono dei nervi comuni sia all’orecchio che alla lingua e la
stretta connessione tra linguaggio e udito. Con l’avvento dell’Umanesimo, nel XIV secolo,
e quindi con un ritorno alla cultura classica , si fece strada una nuova visione razionale ed
umana del mondo che mise, allo stesso modo dei Sofisti greci, l’uomo al centro di ogni
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interesse: venneroinfatti riletti in una nuova ottica antichi autori greci e latini come Platone,
Aristotele, Cicerone ed altri. Furono così abbandonati preconcetti politico-religiosi per dare
vita al concetto dell’uomo nuovo che, alla ricerca della conoscenza e del suo ruolo nel
mondo, voleva scoprire le leggi naturali nella volontà di restituire la dignità,la
responsabilità e il destino all’individuo. Questo coinvolse anche i sordomuti che un tempo
furono di gran lunga più numerosi di oggi sia per i frequenti matrimoni fra consanguinei sia
per le modeste condizioni igienico- sanitarie e le inesistenti possibilità terapeutiche per cui
al sordomutismo congenito si associava un numero molto elevato di soggetti sordomuti
per eventi patologici dell’orecchio in epoca preverbale o nella prima infanzia. In tale ambito
Bartolo della Marca di Ancona nato a Sassoferrato (1314-1357), famoso giurista, avvocato
e scrittore del XIV secolo, è molto verosimilmente il primo scrittore che, precedendo di
almeno un secolo Adolfo Agricola (1445-1487), sostenne la possibilità di istruire i sordi o
attraverso i segni oppure con la lingua parlata con conseguenze importanti da un punto di
vista legale. A tale proposito scrisse: il sordomuto che possa esprimersi in modo
sufficiente sia con i segni che in altre maniere e capire ciò che lo circonda, in questo caso
non potrà essere considerato “un mentecatto furioso”. Quindi per tutti i sordomuti che non
riescano a comprendere ciò che accade intorno a loro, siano considerati come dei neonati
ma se fossero in grado di comprendere, in quel caso siano posti al livello di adulti e di
uomini perfettamente in grado di discernere. In campoeducativo invece una delle prime
figure guida del periodo umanista fu, come riportato, Adolfo Agricola, illustre personaggio
e professore a Heidelberg che, venuto in Italia, per studiare a Ferrara, prese, secondo le
usanze del tempo, il nome di Georgius o Rudulphus Agricolae. Autore del libro “De
inventione dialectica”, affermò di aver visto una persona sorda dalla nascita e di
conseguenza anche muta e, ciò nonostante, imparò a scrivere e a leggere.L’opera fu
pubblicata circa cento anni dopo la sua morte avvenuta nel 1487 e Adolfo passò alla storia
con il nome di Rodolfo Agricola. Su quanto affermato dal suddetto autore si soffermò il
medico Girolamo Cardano (1501-1576) nato a Pavia il quale, riflettendo sulla formazione
spontanea del processo cognitivo, ne trasse la conclusione che sostituendo la scrittura alla
parola,il sordomuto avrebbe potuto intendere leggendo e parlare scrivendo. Sostenne così
per primo scientificamente che si potesse insegnare ai sordomuti sia un linguaggio
convenzionale attraverso l’apprendimento di un sistema di segni associato agli oggetti e
alle azioni e sia il valore psicologico delle parole e dei gesti. Va peraltro rilevato che
secondo alcuni l’origine degli alfabeti manuali si perde nella notte dei tempi in quanto già i
greci e i romani, come riferisce in un’ampia descrizione il Venerabile Bede (672-735),
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nominato successivamente Dottore della Chiesa nella sua opera intitolata “Opuscola”,
riportarono una forma di alfabeto manuale. Certamente il linguaggio dei segni e l’alfabeto
manuale era molto ben conosciuto, diffuso e già in vigore verso la fine del XV secolo.
Infatti nel quadro di Leonardo da Vinci, “la Madonna con il Bambino, San Giovanni e un
Angelo”, dipinto tra il 1483 e il 1486, ed esposto al Museo del Louvre di Parigi, fa vedere le
mani e le dita della Madonna, dell’Angelo e del Bambino, con delle posizioni molto
particolari: formano cioè le lettere dell’alfabeto manuale L.D.V. come ad esprimere la
firma dell’autore dell’opera. Affermò inoltre la necessità che il sordomuto imparasse a
leggere e a scrivere allo stesso modo di come potesse farlo il cieco. Cosa difficile ma non
impossibile! Il Cardano, contemporaneo di Bartolomeo Eustacchi (1500-1574), accurato
anatomico di San Severino delle Marche, medico personale del cardinale Giulio della
Rovere e, al quale gli fu attribuita la scoperta nel 1564 della tuba che mette in
comunicazione il retrofaringe con l’orecchio medio del quale ne porta il nome, non si
preoccupò di trarre le dovute conclusioni mettendo in atto quanto da lui sostenuto come
principio teorico poiché, essendo uno spirito ecclettico e bizzarro, per cui fu anche
imprigionato per eresia, volse il suo interesse alla matematica, alla scrittura e agli studi
sperimentali. Nel frattempo nel 1563 a Napoli veniva stampato il libro “De Furtivis literarum
notis” di Giovanni Battista della Porta dove veniva riportato un alfabeto naturale di sua
invenzione definito anche scrittura “aerea” che si diffuse nel secolo successivo in tutta
l’Europa. Il problema della vera educazione del sordomuto per mezzo del metodo orale fu
invece affrontato negli anni successivi per la prima volta dal monaco benedettino spagnolo
Pedro Ponce del Leon nel monastero di San Salvador a Ona intorno al 1575. Egli educò
due ragazzi di una nobile famiglia, Francisco e Pedro de Velasco fratelli sordi del Conte di
Castiglia. Partendo dalla scrittura delle parole, applicandovi l’immagine delle cose e
pazientemente sostituendo lo stimolo visivo a quello uditivo, faceva pronunciare ad una ad
una tutte le lettere dell’alfabeto e quindi le sillabe e le parole. I suoi metodi didattici furono
quindi la scrittura, la mimica naturale, l’articolazione, l’insegnamento intuitivo-oggettivo che
però, come altri studiosi del tempo, tenne segreti credendo di essere il primo ed unico
ideatore. Va peraltro sottolineato che il Ponce fu forse facilitato nella sua opera educativa
dal fatto che come religioso benedettino fu obbligato al voto del silenzio impostogli dalla
Regola di San Benedetto nel 529 e per aggirare questa rigida regola, ai monaci fu
permesso di comunicare attraverso dei segni, tanto che in ogni monastero si svilupparono
una serie di segni, molto utili nella fase educativa iniziale. All’inizio del 1600 inoltre
Fabrizio di Acquapendente, professore di anatomia dell’università di Padova, affermò
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come medico che i sordi sono di conseguenza muti cioè muti a causa della loro sordità e
che sarebbero dovuti essere curati e istruiti. Nel 1616 Giovanni Bonifacio pubblicò a
Vicenza il libro “l’arte dei cenni” che, insieme a quello del “della Porta”, servì come base ai
primi educatori dei sordomuti. Le ipotesi del Cardano anche se non attuate dall’autore non
rimasero quindi inascoltate perché venivano a confermare che si potesse percepire la
parola sostituendo allo stimolo sensoriale uditivo quello visivo. Cosa ben nota comunque
visto che in qualche modo, molti sordomuti furono istruiti. Spettò però a Giovan Paolo
Bonet di Aragona il merito di aver esposto per primo la teoria e la pratica del metodo orale
applicato all’educazione dei sordomuti nella sua opera del 1620 e tradotta anche in italiano
con il titolo di “Riduzione delle lettere e arte per insegnare ai muti a parlare”. L’autore
dimostrò così la validità del metodo inventato dal Ponce ma, pur riconoscendo che il muto
potesse in alcuni casi rilevare dal movimento delle labbra la parola articolata, non se ne
tenne conto, escludendo dall’insegnamento l’esercizio della lettura labiale,
successivamente denominato metodo orale. Fu ritardato in questo modo il progresso nei
più abili e si ostacolò la diffusione di tale metodica. Si deve pertanto al medico inglese
Bulwer il merito di aver dato importanza al metodo orale cioè la possibilità di percepire la
parola dai movimenti delle labbra come riportato nel suo libro “Philocophus” cioè “amico
del sordomuto”, pubblicato nel 1648 colmando così la lacuna del trattato del Bonet.
Purtroppo però l’istruzione dei sordomuti con la lettura labiale non fece molti progressi
nemmeno in Inghilterra e fu data più importanza al gesto naturale (mimica) e alla scrittura.
Ai suddetti studiosi seguirono numerosi altri quali gli inglesi J. Wallis professore di
matematica a Oxford, il teologo W. Holder e il gesuita italiano Lana Terzi di Brescia,
filosofo e matematico che, nel 1670, scrisse il primo libro italiano dedicato all’istruzione dei
sordi con il titolo “Prodromo dell’arte maestra” dove si esplicò della necessità di istruire i
sordi. Questo anche alla luce di quanto riportato da Paolo Zaccia nelle sue “Questioni
medico legali” del 1661, dove disse essere ingiusto classificare i muti e i sordi con gli stolti.
Un notevole passo avanti è stato fatto però solo verso la fine del XVIII secolo quando J.
Konrad Amman, nato in Svizzera a Schaffhausen nel 1669, e vissuto a lungo in Olanda
istruendo i sordomuti, con la sua riportata prassi educativa, pubblicò nel 1692 un libro su
tale metodica con il titolo “Sordus Loquens” trattando della fisiologia dei suoni, della
configurazione dell’organo vocale che li emette. Tale libro, che diede impropriamente
origine al metodo o “scuola tedesca per l’istruzione dei sordomuti”, si diffuse anche in Italia
e dopo il 1700 fu tradotto con il titolo “Dissertazione sulla Loquela”. Da quanto sopra
riportato va rilevato che, dall’introduzione della metodica di P. Ponce a J. K. Amman, la
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modalità di istruzione dei sordi, fu sempre la stessa dando però in base all’esperienze e
teorie dei vari studiosi, più importanza ora al parlato articolato, ora alla lettura labiale,
all’insegnamento grammaticale per mezzo della scrittura, alla mimica ecc…. Accanto a
tali autori,molti altri studiosi nei vari paesi europei, portarono il loro contributo
all’insegnamento dei sordomuti sviluppando in questo modo e diffondendo le varie
metodiche in tutta Europa. In Italia va ricordato il gesuita Federico San Vitale che, nel suo
libro del 1757 “Sopra la maniera di insegnare a parlare a coloro che essendo nati sordi
sono ancora muti”, fece una rassegna critica dei vari metodi proposti per l’insegnamento
della parola ai sordomuti. Ma va altresì ricordato il pastore Ferdinando Arnoldi che, nel
suo libro dal titolo “Istruzioni Pratiche per insegnare a parlare ai sordomuti”, pubblicato nel
1777, sottolineò come molto importante l’inizio dell’istruzione dei sordomuti entro i 4-5
anni. Nel XVIII secolo, mentre si diffondeva in Germania il metodo di Amman, in Francia,
l’abate Carlo Michelle de L’Epèe (1712-1789), si dedicava dal 1753 con notevole impegno
affinché i sordi avessero doveri e diritti uguali a tutti i membri della società. Aprì così la
prima scuola pubblica per i sordomuti ed inoltre, introdusse numerosi segni metodici per
designare idee astratte e soprannaturali formando un linguaggio che comprendesse nessi
logici e flessioni grammaticali. I risultati da lui ottenuti furono tali che la sua scuola,
denominata successivamente “Scuola francese”, fu visitata da illustri celebrità dell’epoca
che divennero mecenati e in epoche successive fondatori di scuole pubbliche. Insegnò
inoltre a molti allievi i quali diffusero le sue idee in tutta l’Europa. La seconda istituzione
pubblica nacque invece in Germania, precisamente a Lipsia nel 1778, grazie all’intervento
del principe Federico Augusto per opera di Samuele Heinicke (1727-1790) e dopo alcuni
mesi, nello stesso anno, nacque anche quella di Berlino per opera di Adolf Eschke genero
di Heinicke. Nel 1779 sotto gli auspici di Maria Teresa fu aperta quella di Vienna ad opera
dell’abate Stork discepolo del De l’Epèe. Heinicke diede particolare importanza alle
sensazioni gustative, visive, alla parola scritta come mezzo principale d’istruzione
associata a quella parlata come base dell’insegnamento mentre contrastò il metodo
mimico. Fra il De L’Epèe e l’Heinicke sorse un certo antagonismo che servì però a
diffondere la cultura del recupero dei sordomuti. La motivazione principale del De l’Epèe
nel recupero dei sordomuti aveva radici cristiane, mentre per l’Heinecke era
fondamentaleutilizzare il metodo migliore, cioè quello orale. Heinecke, dimostrò una
notevole venialità e cercò di appropriarsi dell’importante e fondamentale contributo di
Amman suo illustre predecessore. In Italia Tommaso Silvestri, sacerdote di Trevignano, fu
mandato da Roma nel 1783 dall’ avv. Concistoriale Pasquale di Pietro, a studiare dal de
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L’Epèe e solo dopo sei mesi ritornato a Roma inaugurò, su incoraggiamento del Papa Pio
VI, la prima scuola italiana per sordomuti dove, in seguito alla lettura dei lavori di Amman,
cercò di usare entrambi i metodi con preferenza per il metodo orale. Nel 1789, poco prima
di morire, nello stesso anno in cui veniva a mancare il De L’Epèe, Silvestri scrisse il primo
trattato in italliano “Sulla maniera di far parlare e di istruire speditamente i sordomuti di
nascita” il quale però venne pubblicato cento anni dopo la sua morte. Mentre in Francia il
De L’Epèe divenne l’apostolo dei sordomuti e passò alla storia come il genio e la persona
più umana di quel tempo, alla sua morte, la sua attività fu proseguita dall’abate Ambrogio
Sicard. In Italia invece quella del Silvestri fu proseguita da vari studiosi romani e a Genova
dal sacerdote Ottavio Assarotti dove era nato nel 1755 e dove morì nel 1829 dopo
un’intensa vita dedicata al recupero dei sordomuti. A questo studioso va il merito di aver
istituito il primo collegio con convitto per bambini sordi che, nel 1805, prese il nome di
“Istituto per sordomuti” e venne ufficialmente riconosciuto da Napoleone I. L’Assarotti fece
scuola a Genova a molti direttori di altri Istituti italiani per sordi e, il Papa Gregorio XVI,
inviò da lui alcuni studiosi per impossessarsi del metodo e riportarlo nell’Istituto romano.
Usò in larga misura il metodo francese anche se soleva dire che il miglior metodo è di non
avere alcun metodo preconcetto dato che ogni caso è diverso e richiede ogni volta un
metodo nuovo. Sembra che l’alfabeto manuale italiano usato ancora oggi dai sordi in Italia
e dai bambini udenti a scuola sia quello inventato da lui e fra l’altro è l’unico alfabeto al
mondo in cui molte lettere si segnano utilizzando varie parti del corpo. Per il suo impegno
ela sua abilità ebbe in Italia una grande fama pari a quella del De L’Epèe in Francia ma,
non lasciò nulla di scritto sulla sua filosofia e sul suo metodo per cui fu poco conosciuto
all’estero e per questo motivo anche in Italia fu utilizzata per l’insegnamento la lingua dei
segni e la metodica francese. La scuola di Milano infatti, ignorando l’Assarotti fu aperta dal
lionese Antonio Eyrud, allievo del De L’Epèe nel 1805, e solo quando la Lombardia tornò
all’Australia, fu affidata all’abate Giuseppe Bagutti di Rovio, della Svizzera Italiana, che lo
diresse fino alla sua morte nel 1837. Questi nel 1828 pubblicò un libro in lingua italiana
sull’istruzione dei sordomuti con carattere pedagogico dal titolo “Sullo stato fisico,
intellettuale e morale sull’istruzione ed i legali dei sordi” dove appunto vennero affrontati
anche gli aspetti legali dei sordomuti. Con il passare degli anni l’importanza dell’istruzione
dell’elevato numero di sordomuti divenne una realtà accettata ovunque e tutti cercarono di
portare un contributo per il loro recupero anche con l’istituzione di molteplici Associazioni
prevalentemente religiose che ne difesero gli interessi. Il metodo orale e la lettura labiale
progredirono negli anni nei vari Istituti italiani quale quello di Napoli già istituito nel 1788 da
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Ferdinando IV e poi progredito modestamente per il tracollo politico del Regno di Napoli e
quindi ristabilito nel 1806 con decreto di Giuseppe Napoleone, quello di Modena (1821) e
quello Toscano di Siena (1828), istituiti rispettivamente dai sacerdoti Severino Fabriani e
da Tommaso Pendola. Quest’ultimo noto studioso e fondatore del periodico “’Educazione
dei sordomuti”, nel 1872, convocò a Siena il primo Congresso degli Educatori italiani dei
sordomuti e dal 1873 diresse l’Istituto Senese per oltre cinquant’anni fino alla sua morte
nell’anno 1883. Quello di Verona fu invece aperto dopo tanto lavoro, nel 1832, dal
sacerdote Antonio Provolo, mentre quello di Palermo istituito da Ferdinando I di Borbone,
re delle due Sicilie, si aprì nel 1817 ma fu attivato nel 1834. Il Reggio Istituto di Torino fu
fondato nel 1835 dal sacerdote Francesco Bracco sotto gli auspici de re Carlo Alberto;;
quello dei fratelli Gualandi di Bologna risale al 1850 e quello della Provincia e Diocesi di
Milano risale al 1854e fu diretto dall’abate Giulio Tarra autore dei “Rendiconti della
Commissione promotrice l’educazione dei sordomuti dei poveri di campagna” e di
numerose altre pubblicazioni sull’argomento. In tale ambito va sottolineato che il
Legislatore italiano nel 1857 aveva avvertito la necessità di provvedere ad una assistenza
scolastica per i sordomuti non solo per un principio di giustizia ma anche alla luce dei
risultati che l’istruzione aveva dato già da tempo in Piemonte e in altre regioni d’Italia (Atti
Parlamento Subalpino 1857-58). Con l’unificazione dell’Italia nel 1860, l’evoluzione degli
aspetti legali illustrati dall’avocato Bartolomeo Veratti nel 1862, nel suo scritto “ Sulla
“capacità giuridica e delle imputabilità dei sordomuti” e la nascita della Fonologia e della
Audiologia, i quali ponendo la professione medica in stretto rapporto con il processo
educativo, ampliarono l’importanza didattica del metodo orale tanto che, nel 1869, l’allora
Ministro della Pubblica Istruzione Cesare Correnti, ordinò che la lettura labiale e la parola
articolata, oltre che essere considerate come rami d’insegnamento, dovessero essere
adoperate nelle scuole come mezzi di condivisione, mentre dovevano essere escluse agli
allievi, per quanto possibile, l’uso dei gesti. Nel 1873 Padre Pendola tenne a Siena il I
Congresso Italiano per gli educatori dei privi di udito al fine di adottare il metodo orale
riservato fino a qualche anno prima solo agli alunni più dotati. Mentre in Italia l’evoluzione
dell’insegnamento dei sordomuti evolveva come su riportato, a livello europeo, le due
scuole, Francese e Tedesca, rimasero le più importanti: progredirono negli annie si
influenzarono fra loro pur rimanendo una certa rivalità risalente ai loro iniziatori: De L’Epèe
e l’Heinicke. Nella scuola francese notevoli contributi furono portati da vari studiosi ed
operatori e fra questi spiccò, fin dal 1820, Giaccobbe Valade-Gabel che diede molta
importanza all’intuizione secondo la quale si dovevano dirigere e offrire alla mente
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proposizioni complete e di interesse immediato. Dopo un iniziale grande successo per i
risultati ottenuti sorsero vari contrasti con le Autorità locali del tempo sul metodo da usare
nell’istruzione dei sordomuti. Grazie all'’intervento dell’Istituto di Francia, chiamato ad
esprimere un giudizio in merito, nel 1832, i gesti metodici di De L’Epèe furono quasi del
tutto banditi e si cominciò a insegnare il linguaggio parlato: cominciò il cammino verso il
metodo orale anche in Francia e, come riconoscimento per il lavoro svolto, fu dato al
Valade-Gabel, l’incarico di riformare l’insegnamento dei sordomuti. In Germania invece
dopo le figure di spicco dell’iniziatore Amman e di Heinicke, significativo fu il contributo del
Pastore Lager, il quale sottolineò l’importanza della parola come interprete diretta e unica
del pensiero, ma anche quello di un insegnante, Maurizio Hill (1830-1895) che con il suo
opuscolo “l’einseignement des sourds-muets d’apres la metode allemande (di
Amman)introduit en Belgique” del 1868, e con l’opera didattica, diffusero il metodo orale. I
suddetti autori furono dei punti di riferimento per tutti i paesi di lingua tedesca. La nuova
concezione umanistica dell’uomo e della vita, i primi contributi italiani e spagnoli, la voce
del De L’Epèe, che richiamavano la società all’istruzione dei tanti soggetti sordomuti di
quel tempo, perché potessero partecipare al patrimonio intellettuale e culturale della
società, si diffusero e vennero recepiti ovunque anche nel nord e sud America per cui
nacque nel 1816 negli Stati Uniti ad Hartford il primo Istituto per sordomuti e il secondo a
New york. Nel 1837 a Boston, il medico Samuele Howe, iniziò a istruire la bambina Laura
Bridgman divenuta sorda e cieca in seguito ad una infezione di scarlattina all’età di due
anni. L’istruì per mezzo di sensazioni tattili in modo da riconoscere le lettere dell’alfabeto e
tutta la procedura che serve anche oggi a coloro che si dedicano all’educazione dei
sordomuti-ciechi. Nell’esposizione universale di Parigi, del 1878, in una sezione per gli
educatori dei sordomuti, dove per l’Italia era presente l’abate Serafino Balestra dell’Istituto
di Como, fu sottolineato che il metodo detto “dell’articolazione” comprendente quello della
lettura labiale con lo scopo di rendere più autonomo il sordomuto dovesse essere
preferito a tutti gli altri. Nel 1880, sulla spinta degli illustri studiosi italiani su riportati, si
tenne a Milano il Primo Congresso Internazionale per educatori di sordomuti e gli atti del
Congresso furono dedicati alla memoria di Emanuele Filiberto Amedeo (1628-1709)
primogenito del Principe Tommaso di Casa Savoia, uomo di vivissimo impegno e valore
militare. Egli fu il primo dei sordomuti italiani ad essere istruito nella parola con il metodo
orale. Nel Congresso il Presidente fu l’abate Giulio Tarra che concluse la manifestazione
con le frasi “il gesto uccide la parola” e “lunga vita alla parola”. Segretario generale fu
Pasquale Fornari dell’Istituto di Milano che già da tempo ebbe attuato il metodo orale e
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che si fece onore di convincere le scuole francesi, largamente rappresentate, del fatto che
fosse giunta la fine del metodo dell’abate De L’Epèe. Il Congresso infatti concluse che si
sarebbe dovuto usato il metodo orale puro (cioè senza la mimica che può nuocere alla
parola), che i governi avrebbero dovuto dare disposizioni per l’istruzione dei sordomuti e
che la parola e la lettura sulle labbra progrediscono con l’esercizio per cui ci sarebbe
voluta un’adeguata istruzione speciale con testi e insegnanti idonei a tali bambini. Gli atti
furono pubblicati in italiano e in francese. Dopo il Congresso di Milano, alla fine del XIX
secolo e l’inizio del XX secolo, seguirono numerosi altri Congressi Internazionali e
Nazionali in tutte le più importanti città italiane ed europee. Si approfondirono i vari aspetti
di tale condizione patologica ed inoltre, tutti gli Istituiti pubblici e privati per sordomuti,
potenziarono e rinnovarono le loro direzioni alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche.
Accanto a tanti studiosi ed educatori religiosi che dedicarono la loro vita per il recupero dei
sordomuti, vanno ricordati in ambito italiano tre personaggi laici che, a cavallo tra il 1800 e
il 1900, si impegnarono nella didattica, negli aspetti pedagogici e che possono essere
ritenuti ancora utili a quanti si dedicano allo studio in tale campo. Questi sono Pasquale
Fornari (1837-1923), Ernesto Scuri (1854-1932) e Giulio Ferreri (1858-1940). Il primo,
studioso e insegnante di pedagogia, si distinse per la sua opera e i suoi scritti fra i quali
vanno ricordati “il sordomuto che parla”, “la chiave che fa parlare i sordomuti” (1872). Va
annoverato inoltre il suo impegno al Congresso Internazionale di Milano come Segretario
generale e il “Corso teorico e pratico di pedagogia e didattica speciale per la istruzione
orale dei sordomuti” del 1894. Il prof. Scuri lo ricordiamo invece per le Riforme scolastiche
da lui attuate,per la piena adozione del metodo orale, per il suo trasferimento dall’Istituto
di Pavia a quello di Napoli dove fu chiamato nel 1891 a risollevare le sorti dell’Istituto
locale per la fondazione della “Scuola di metodo” destinata a preparare i nuovi educatori
dei privi di udito ma anche per le sue numerose monografie che gli permisero di
conseguire la libera docenza presso l’Università di Napoli e infine per aver contributo alla
legge Nazionale per l’obbligo scolastico dei sordomuti del 1923che gli permise di vedere
entrare i sordomuti in età scolare nel diritto comune di tutti i bambini. Tale Legge preparata
dal Ministro Benedetto Croce nel 1921 fu poi ripresa e varata dal Ministro Gentile nel
1923. Il prof. Ferreri va ricordato come educatore e studioso di problemi psicologici,
pedagogici e didattici dei sordomuti e per i numerosi interventi e Congressi Nazionali e
Internazionali in quanto poliglotta. Molto apprezzate furono le sue relazioni e pubblicazioni
su riviste italiane ed estere e il manuale del 1935 “Norme elementari per l’assistenza
prescolastica dei bambini sordomuti ad uso delle maestre d’asilo speciale”, unico a quel
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tempo in Italia e in Europa. Lo sforzo di tutti nell’ottica del nuovo umanesimo per cercare di
sopperire al deficit dei tanti sordomuti favorì da un lato il progressivo approfondimento
degli aspetti scientifici di tale condizione patologica e dall’altro il potenziarsi di strutture di
sostegno per questi pazienti. Si suggerirono così importanti incontri scientifici a livello
Nazionale ed Internazionale per un continuo aggiornamento e sviluppo con il
coinvolgimento delle più svariate discipline che si dedicarono allo studio della natura fisica
e psichica della parola e del linguaggio. Vennero inoltre prese in considerazione : le
“Scuole di metodo” per la preparazione degli insegnanti;; l’inserimento nel mondo del
lavoro con pieno rendimento una volta compiuto il corso di educazione e la scuola
dell’obbligo;; le attività assistenziali;; la costituzione delle Associazioni per sordomuti. Tutto
ciò ebbe un maggiore impulso quando, finito il grande conflitto bellico nel 1945, ci furono
più possibilità di diffusione della cultura assistenziale per i sordomuti e furono scoperte le
valvole termoioniche che diedero luogo alla messa a punto dei primi audiometri,
apparecchi che permisero di evidenziare residui uditivi nel 92% dei sordomuti. Dall’inizio
degli anni 40 inoltre iniziarono gli studi sulla audiometria a risposte elettriche (ERA) per
misurare, con la registrazione elettroncefalografica del potenziale evocato uditivo, le
capacità uditive dei bambini nei primi due anni di vita e permettere così un loro recupero il
più precocemente possibile. Nel 1950 inoltre fu approvata la Legge Istitutiva dell’Ente
Nazionale Sordomuti, già proposta nel 1942, e fu istituito a Milano il primo Centro Studi
sulla sordità e sul sordomutismo. Nel 1951 si tenne a Roma il primo Congresso Mondiale
dei sordomuti organizzato dall’Ente Nazionale Sordomuti d’Italia con la partecipazione di
rappresentanti di venti nazioni europee ed extra europee e dove, nella Sessione Medica
Internazionale, fu auspicato che, negli organismi di ogni Istituto per sordomuti, trovassero
posto un Otorinilaringoiatra, uno psichiatra e uno psicologo. Gli atti del Congresso, per un
elevato valore scientifico psico-medico-pedagogico, furono pubblicati in italiano, francese,
tedesco e inglese. Nello stesso 1951 il prof. Cesare Gerin dell’Università di Roma, alla
luce delle nuove acquisizioni, trattò sulla rivista “Audiologia pratica”, gli aspetti medico
legali del problema del sordomutismo evidenziando che già a quel tempo il codice Penale
considerava il sordomuto come capace di intendere e di volere salvo casi particolari e
diversamente da quanto stabilito in precedenza dall’art. 339 C.C. italiano abrogato. Dopo il
1950 inoltre anche in considerazione del primo tentativo di utilizzo di apparecchi di
amplificazione dei suoni per la rieducazione audiofonica dei sordomuti, iniziarono corsi
universitari di Audiologia, Foniatria e scuole speciali di Logopedia. Il primo che riuscì a
demutizzare un bambino affetto da grave sordità amplificando il suono oltre il livello di
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soglia, con uno dei primi apparecchi costruiti per questo scopo, fu lo svedese Erik
Wedemberg, docente di Audiologia a Stoccolma il quale, appunto, ottenne tali risultati sul
proprio figlio. Nel 1955 l’ONU riportò che nel mondo vi erano due milioni e mezzo di
sordomuti e trenta milioni di duri d’orecchio mentre negli anni successivi in Italia
l’incidenza è risultata essere pari all’8 per mille per un totale di circa 70.000 soggetti
sordomuti (nelle Marche 1.420). Nel 1956 si tenne sempre a Roma il IV Congresso della
Società Italiana di Fonetica Sperimentale –Fonetica-biologica-audiologia e l’anno
successivo dopo le Olimpiadi Silenziose di Milano, sempre a Roma, si tenne il Convegno
Internazionale sui Problemi della Sordità con la partecipazione di illustri pedagoghi,
psicologi e otoiatri italiani e stranieri. Questi incontri scientifici e molti altri precedenti
sottolinearono l’importante ruolo degli insegnanti i quali, debbono avere un’adeguata
esperienza pratica illuminata dai costanti aggiornamenti scientifici. Fu sottolineata quindi
sempre di più l’importanza dell’amplificazione acustica a scopo didattico senza però mai
disgiungerla dalla lettura labiale. Nel 1957 L’ente Nazionale Sordomuti istituì le scuole
medie superiori per sordi. Nel 1958 fu varata la Legge sull’Assunzione obbligatoria della
mano d’opera dei sordomuti mentre in Inghilterra a Manchester si tenne il Congresso
Internazionale sull’Educazione dei sordomuti che vide riuniti educatori, audiologi,
otolaringoiatri, pediatri, e psicologi per discutere dei risultati e delle prospettive del
recupero dei bambini sordomuti. Nel 1959 a Wiesbaden si tenne il terzo Congresso
Internazionale della Federazione Mondiale dei Sordomuti che si soffermò sugli aspetti
psicologici, pedagogici e sull’importante contributo dell’audiologia nell’educazione del
sordomuto. Anche alla luce di questi dati e dello sviluppo tecnologico dalla fine degli anni
50, l’industria si adoperò per mettere a disposizione apparecchi sempre più progrediti il cui
impiego si estese notevolmente in particolare negli Istituti per sordomuti. La diffusione
dell’amplificazione acustica a scopo didattico con l’uso di protesi individuali, rappresentò
una vera rivoluzione nella riabilitazione ortofonica. Questa ebbe giudizi lusinghieri e
consentì un più rapido e miglior rendimento scolastico con recupero delle capacità
intellettive che videro impegnati i molti esperti del settore. Vennero istituite in molte
Università italiane e straniere scuole di specializzazione in Foniatria, ma fu per merito di
pochi cultori, se il “metodo audiofonico” si andava affermando in Italia. Tra questi si
possono ricordare i proff. Lucio Croato a Padova, Oscar Schindler a Torino, Padre
Osvaldo Tosti all’Istituto Pendola di Siena. Infatti “udire non significa capire” dato che
occorre un allenamento uditivo ed un esercizio continuo per la comprensione, la
maturazione mentale e l’integrazione cerebrale del messaggio sonoro, perché di
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conseguenza possa svilupparsi il linguaggio. La disponibilità di tali piccoli apparecchi e i
conseguenti migliori risultati favorirono la diffusione e l’organizzazione dello screening
precoce della sordità e la riabilitazione con una stretta collaborazione di insegnanti e
logopedisti. L’importanza dello screening precoce della sordità fu discusso fin dagli inizi
degli anni 60 a Milano ma fu di seguito ai lavori degli americani D.Lind e A. Lind. Che si
iniziò anche in Italia ad effettuare l’indagine della funzionalità uditiva del neonato. Tutto ciò
spinse il prof. M. Scoponi, Primario della Divisione Otolaringologia dell’Ospedale dei
bambini G. Salesi di Ancona, ad adoperarsi affinché, la provincia di Ancona, dovendo per
legge provvedere al recupero dei sordomuti, istituisse una “Scuola speciale” per il
recupero dei bambini affetti da sordità e quindi a condurre e a divulgare lo screening
neonatale in tutti i nidi della maternità Regionali. La scuola sotto la direzione del prof.
Scoponi venne istituita con “delibera provinciale n.17031” nel 1962: fu la prima fra tutte le
province italiane e venne denominata “Centro Provinciale Audiofonatrico”. La struttura
pubblica fu punto di riferimento di tutta la Regione Marche per la diagnostica precoce e
per la riabilitazione dei bambini sordomuti, non più e non solo per labio lettura, ma
determinando un fedback verbo acustico, metodo che fu chiamato “audiofonatrico o
ortofonico”. Nel 1973 si tenne ad Ancona il primo Congresso regionale di Audiologia e
Fonetica Pediatrica e nel 1975 il terzo Congresso dell’Unione Foniatri Italiani, al termine
del quale il prof. M. Scoponi venne eletto Presidente Nazionale. La suddetta struttura
completa di apparecchiature per la diagnosi audiometrica e di recupero adeguato all’età
dei piccoli sordomuti dalla scuola materna alle elementari fino alla scuola media superiore,
funzionò fino al 1978, verificando anche la capacità uditiva di tutti i neonati che con lo
screening neonatale avevano evidenziato dei deficit. Furono messe a punto le didattiche
da adottare nelle varie fasce di età ricorrendo anche all’impiego della ginnastica
respiratoria e della musicoterapia con piena soddisfazione dei piccoli pazienti e delle loro
famiglie a conferma della validità del metodo. Fu dato anche impulso per le diagnosi
precoci laddove lo screening neonatale aveva sollevato dei dubbi e comunque per una
conferma diagnostica alla metodica delle risposte auditive evocate oggi comunemente
riconosciute come ABR (Auditory Braistem Responses) che erano evolute nel tempo
raggiungendo via via quel ruolo di primaria importanza. Poiché dal 1977 la Legge
Nazionale stabilisce che per non emarginare i soggetti non udenti, questi possono
adempiere l’obbligo scolastico nelle classi ordinarie della scuola pubblica dove devono
essere assicurati l’integrazione specialistica e i servizi di sostegno, quella struttura non fu
adeguatamente sostenuta e fu chiusa. Avvenne così che nelle Marche come in altre
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regioni italiane alla fine degli anni 70, i bambini sordi, se i genitori lo desideravano
venivano inseriti nelle scuole normali (uno per ogni classe) ricevendo un’istruzione
specifica rieducativa dal personale del “Servizio Sanitario Locale” esclusivamente con il
metodo orale: le scuole residenziali andarono così rapidamente scomparendo.
L’inconveniente di tale approccio è che l’insegnante di sostegno di solito non ha una
preparazione adeguata per tali soggetti e non raramente questi vengono messi insieme ad
altri con altri handicap dove il bambino vive una situazione scolastica ancor più isolata di
quella per cui furono messe sotto accusa le scuole residenziali. Di conseguenza, alla fine,
la capacità del linguaggio e la conoscenza della lingua italiana raggiunta era decisamente
inferiore a quella dei loro coetanei. Dopo il periodo di istruzione obbligatoria inoltre non
esisteva nessun tipo di servizio poiché, la stragrande maggioranza dei bambini sordi
istruiti in modo esclusivamente orale, non conosceva la lingua dei segni come prima
lingua dei sordomuti, ne veniva fatta una promozione nell’istruzione e nella formazione
degli insegnanti e degli interpreti. A conferma di ciò da qualche anno in alcuni telegiornali
radio a carattere Nazionale, il testo viene tradotto in contemporanea da una persona
esperta nella lingua dei segni e il 16/11/2000 venne realizzato a carattere Regionale, in
Italia, dalla RAI nel TG3 Marche. Se il Centro Provinciale Audiofonatrico di Ancona che
serviva tutta la regione ed era diventato famoso in tutta Italia, fosse stato mantenuto,
almeno per bambini con maggiori difficoltà di apprendimento e/o per quelle famiglie con
problematiche educative, sarebbe progredito mantenendosi al passo con i tempi e con le
nuove esigenze Nazionali ed Internazionali che sono affiorate negli ultimi quindici anni.
Mentre evolvevano le tecniche pedagogiche ed audiofonatriche, sono progrediti anche la
metodica ABR per la diagnosi precoce e del grado di sordità, anche in soggetti con danno
psicomotorio, che non possono essere ottenuti con altre metodiche. Verso la fine del XX
secolo inoltre si sono affacciate nuove possibilità di recupero che, ricorrendo a tecniche di
microchirurgiaed intervenendo sulle varie strutture responsabili dell’udito, hanno
dimostrato di portare un contributo forse risolutivo almeno per alcune forme di
sordomutismo e/o sordità. Da anni infatti esistono degli interventi di microchirurgia che,
agendo sulle strutture dell’orecchio medio che trasmette l’impulso acustico dall’orecchio
esterno a quello interno, permettono il recupero della sordità da difetto della trasmissione.
Da circa un decennio infine esiste la possibilità di impianti a livello cocleare che
permettono il recupero della sordità da difetto della percezione degli stimoli con
trasmissione al nervo acustico. Tali impianti cocleari danno migliori risultati se l’intervento
viene attuato nella prima-seconda infanzia e permettono il recupero di quelle sordità
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profonde nelle quali i vari apparecchi audiofonatrici non danno alcun beneficio. In questa
ottica in Scozia fin dal 1988 è stato istituito un servizio per affrontare, con vari specialisti e
con le Associazioni di volontariato, il problema degli impianti cocleari e, evento molto
recente, nel 2000 il Ministro della Sanità Scozzese, Susan Deacon, visto che ogni anno
venti adulti e venti bambini sono sottoposti ad un impianto cocleare, ha devoluto un
ulteriore contributo (150.000 sterline per gli anni 2000-2001) perché, possano proseguire
nel loro lavoro e studio della implantologia cocleare rispettivamente negli adulti e nei
bambini. Infine nel 2000 il prof. V. Colletti, Direttore della Clinica Otolaringoiatrica di
Verona, proseguendo gli studi sulla implantologia cocleare, ha messo in atto, in un
bambino di quattro anni della provincia di Ancona che presentava una sordità da
mancanza congenita del nervo acustico, un ardito intervento di protesi del tutto nuovo.
Infatti attraverso un impianto inserito a livello dei centri tronco encefalici ha realizzato un
“orecchio bionico”, che ha permesso di ridare l’udito al piccolo paziente. Saranno però necessari ulteriori e più approfonditi studi per migliorare le tecnologie operatorie, le
tipologie degli impianti ed i risultati terapeutici, onde ridurre possibili effetti avversi. Infatti
proprio in tale ambito la FDA ha del tutto recentemente (2000) allertato gli studiosi e i
ricercatori segnalando una possibile associazione fra impianti cocleari e meningiti
batteriche.
1.1 Una sintesi sulla storia della sordità per riflettere sul presente
Non tutte le persone sorde conoscono la lingua dei segni, perché da tempo essere sordi
non significa più essere muti. Sviluppo della parola e autonomia nella comunicazione,
infatti, sono possibili con precoci percorsi riabilitativi. Protesi acustiche, impianti cocleari,
sottotitoli, domotica e tecniche informatiche, applicate anche ai cellulari, si sono affiancati
alla riabilitazione logopedica, rompendo il muro del silenzio. Oggi una persona con deficit
dell’udito può “sentire” nel modo che gli è più congeniale. Derrick Coleman è stato il primo
giocatore di football americano non udente che ha vinto il Superbowl con i suoi Seattle
Seahawks. Un’impresa titanica farsi strada in uno sport dove la parola urlata sul campo è
un elemento distintivo. Le tecnologie compensative hanno ridotto le distanze, il resto
l’hanno fatto la forza del campione e il gioco di squadra, inteso come relazioni umane
all’interno del gruppo. Oggi ci sono persone che ancora si esprimono con il linguaggio
gestuale e desiderano continuare a farlo: forse sarebbe corretto garantire e tutelare questa
loro scelta. Lo dice del resto anche la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con
Disabilità, che include appunto la lingua dei segni nei sistemi di comunicazione e ribadisce
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la libertà di espressione e di opinione con differenti linguaggi, verbali e non. Questo,
tuttavia, non preclude diversi approcci alla sordità, se vogliamo più sofisticati in quanto
legati al mondo odierno, senza dubbio costruttivi perché non trasmettono l’immagine della
persona sorda come membro di “un’etnia” che parla una lingua ignota ai più. In ogni caso,
che la si consideri un retaggio della storia da conservare solo in quanto tale, che la si
utilizzi ancora per comprendere e farsi comprendere, la lingua dei segni rimane un
linguaggio “misterioso” che merita di essere conosciuto. Un brano di Platone è la fonte più
antica che attesta una forma di comunicazione gestuale dei sordi. Il grande filosofo non
aveva paura della “diversità” dei non udenti, come la maggior parte della gente della sua
epoca, era rapito anzi dal loro modo di comunicare idee, pensieri e sentimenti. Per
moltissimo tempo la sordità fu considerata una “punizione divina” come qualsiasi altra
forma di disabilità. Solo a partire dal XVI Secolo, i bambini audiolesi cominciarono ad
essere educati, anche se si trattava di un’istruzione riservata ai figli delle classi abbienti.
Le prime notizie storiche di una lingua dei segni usata nell’educazione dei piccoli non
udenti si riferiscono a un monaco benedettino del Cinquecento, Pedro Ponce de Leon,
inventore di un alfabeto manuale nel quale ad ogni lettera corrispondeva un gesto della
mano. Così il monaco educò i tre figli sordi di un nobile castigliano e nel 1620 teoria e
pratica del suo sistema vennero illustrate nell’opera Reducción de las letras y arte para
enseñar à hablar los mudos. Nel 1760 nacque la prima scuola pubblica per sordomuti,
l’Istituto Statale dei Sordomuti di Parigi, voluto dall’abate de l’Epée, che elaborò una lingua
dei segni utilizzando i gesti già usati dai suoi allievi, integrati con altri segni per gli elementi
grammaticali e sintattici delle frasi. All’abate de l’Epée si deve un approccio integrale
all’istruzione: egli infatti promuoveva diversi e sempre nuovi interessi nei ragazzi, per
favorire una crescita armoniosa della personalità. L’efficacia del suo metodo divenne
oggetto di alcune pubbliche dimostrazioni, durante le quali si comprese che con quel
sistema, in seguito perfezionato dall’abate Sicard, era possibile insegnare ai sordi anche il
greco e il latino. La scuola parigina venne visitata da Thomas Gallaudet, un religioso
americano che tornò negli Stati Uniti con un insegnante non udente, Laurent Clerc, il quale
durante il lungo viaggio in nave gli insegnò la lingua dei segni. Da quest’esperienza, nel
1817, nacque la prima scuola americana per sordi ad Hartford nel Connecticut, seguita nel
1864 dal Gallaudet College di Washington voluto da Edward Miner Gallaudet, il figlio di
Thomas.
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1.2 Focus sull’esperienze educative nel nostro Paese
Anche in Italia, inizialmente, fu l’interesse dei religiosi a dare impulso all’educazione dei
non udenti. Nel 1783, infatti, l’abate Tommaso Silvestri si recò a Parigi dall’abate de
l’Epée, per desiderio dell’avvocato Pasquale Di Pietro, che a Roma voleva aprire un
istituto per sordomuti. La prima scuola italiana per sordi vide la luce l’anno successivo,
ospitata proprio nella casa dello stesso avvocato Di Pietro. L’abate Silvestri diresse
l’istituto e vi insegnò fino al 1789, anno della sua morte, applicando un metodo di
educazione bilingue basato sulla lettura labiale supportata dalla lingua dei segni come
comunicazione primaria. Questo sistema risulta dal manuale Maniera di far parlare e di
istruire speditamente i sordi e i muti di nascita, scritto di pugno dall’abate Silvestri e
conservato nella biblioteca della scuola. L’abate Tommaso Silvestri diresse fino al 1789,
anno della sua morte, la prima scuola italiana per sordi a Roma. Per tutto il XIX Secolo
l’opera dei vari ordini religiosi fu fondamentale nell’educazione dei sordi e nello sviluppo di
molti istituti per sordomuti in diversi Stati della penisola. La presenza capillare dei
sacerdoti sul territorio e la facilità con cui potevano spostarsi da uno Stato all’altro
favorirono la trasmissione dei contenuti scolastici e nelle scuole iniziarono ad insegnare
educatori non udenti;; tra questi si ricordano in particolarePaolo Basso, Giacomo Carboneri
e Giuseppe Minoja. Nel 1880 il Congresso Internazionale per il Miglioramento della Sorte
dei Sordomuti, svoltosi a Milano, provocò una rottura fra i sordi e gli udenti, con i primi che
accusarono i secondi di non averli consultati nella scelta del metodo educativo più idoneo,
un “Nulla su di Noi senza di Noi” ante litteram. Il Congresso era stato infatti concepito a
favore del sistema oralista, che escludeva totalmente l’uso dei segni, sfruttando al
massimo i residui uditivi e potenziando la lettura labiale. I delegati – selezionati
appositamente per bandire la lingua dei segni – votarono una risoluzione che privilegiava
la lingua orale;; dagli Atti di quel Congresso emerge che i pochi sordi presenti firmarono
una mozione contraria che non venne neppure sottoposta a votazione. A congresso
concluso, venne dunque abolito l’insegnamento della lingua dei segni e scomparvero i
docenti sordi, in linea con l’affermazione che concluse l’incontro: «Il gesto uccide la
parola». Di fatto, però, mentre in classe si seguiva il metodo oralista, nella vita all’interno
degli istituti si continuarono ad utilizzare i segni in tutte le situazioni in cui occorreva la
certezza che il messaggio arrivasse a destinazione senza equivoci, ad esempio per gli
avvisi, per la confessione e perfino durante la Messa. Alla fine dell’Ottocento, l’Istituto per
Sordi di Roma arrivò ad ospitare fino a trecento alunni;; nel 1889 esso trovò sistemazione
nell’edificio di via Nomentana dove tuttora è sito. All’inizio del Novecento, poi, la direzione
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passò nelle mani dei laici, esclusa la sezione femminile che continuò ad essere diretta
dalle suore. Con la proclamazione della Repubblica, nel 1946, passò sotto il controllo del
ministero della Pubblica Istruzione e insieme alle scuole di Milano e Palermo, diventò uno
dei tre Istituti Statali per Sordi. Fino al 1950 i ragazzi entravano in convitto all’età di 6-8
anni e vi restavano per circa dieci anni, imparando anche un mestiere nei numerosi
laboratori artigiani, ma al termine degli studi ricevevano solo un attestato di accertata
cultura utile per il lavoro. Dopo il 1950 vennero ammessi i bambini a partire da 4 anni e
divenne possibile ottenere la licenza elementare;; per la licenza media si attesero gli Anni
Sessanta, quando venne avviata un’esperienza sperimentale. Nel 1977, in seguito alla
Legge 517, che abolì le scuole speciali, l’Istituto per Sordi di Roma iniziò la sua
trasformazione in Centro Studi sulla Sordità. La realtà attuale vede un centro di
documentazione d’eccellenza che offre a insegnanti, psicologi, famiglie, logopedisti e
operatori in genere, una consulenza aggiornata sulla sordità, con una fornita biblioteca-
videoteca-mediateca dedicata alle problematiche educative e psicolinguistiche dei non
udenti.
1.3 La lingua dei segni
La lingua dei segni è una forma di comunicazione completa con un lessico e una
grammatica con cui è possibile esprimere qualsiasi messaggio. Il primo a intuirlo funegli
Anni Sessanta l’americano William C. Stokoe Jr. il quale dimostrò che la Lingua dei Segni
Americana (ASL) aveva le medesime caratteristiche delle lingue vocali. Conclusione cui
arrivò anche l’italiana Virginia Volterra, che alla fine degli Anni Settanta effettuò ricerche
sulla Lingua Italiana dei Segni (LIS). Ma come può un gesto essere posto sullo stesso
piano di una parola? Le parole che pronunciamo sono la combinazione di un certo numero
di suoni detti fonemi;; analogamente, in una lingua gestuale, i segni sono il risultato della
combinazione di quattro parametri: luogo, configurazione, orientamento, movimento. I
segni così formati sono il lessico di una lingua dei segni. Ma sono le precise regole
grammaticali il tratto distintivo di tutte le lingue dei segni presenti nel mondo. La direzione,
la durata, l’intensità e l’ampiezza dei movimenti, insieme alle alterazioni sistematiche del
luogo di esecuzione dei gesti, sono i mezzi con cui viene espressa la grammatica. La
sintassi è invece il risultato dell’ordine dei segni nella frase, di espressioni facciali,
orientamento e postura del capo, degli occhi e del corpo. Ogni Paese ha una propria
lingua dei segni, tramandata di generazione in generazione, con varietà regionali e
addirittura all’interno della stessa città, dovute alle differenze che sussistevano tra gli
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Istituti per Sordi. Accantonato il progetto di un “Esperanto dei Sordi”, valido per tutti i
Paesi, attualmente la lingua dei segni più utilizzata nel mondo è il citato ASL (che sta per
American Sign Language), originario degli Stati Uniti, ma abbiamo, come detto, anche la
LIS (Lingua Italiana dei Segni), il BSL (British Sign Language), l’LSF (Langue des Signes
Française), l’LSE (Lengua de Signos Española) e così via. Cambiano da nazione a
nazione e si modificano nel tempo anche gli alfabeti manuali o dattilologie, usati per
rappresentare le singole lettere, nei quali i gesti si eseguono con una sola mano all’altezza
del collo. Alcuni decenni fa in Italia si diffuse un alfabeto manuale che conoscevano anche
gli udenti.
1.4 Lingua dei segni, un progetto di legge per il suo riconoscimento
Illustrata alla Camera l'iniziativa promossa dall'Ente Nazionale Sordi e sostenuta da tutte
le forze politiche.
ROMA - Presso l'aula dei gruppi parlamentari della Camera dei deputati, si è tenuto un
convegno promosso dall'Ente Nazionale Sordi-Onlus sul tema "Obiettivo LIS (linguaggio
dei segni, ndr)", un progetto di legge, un progetto di vita per l'abbattimento delle barriere
della comunicazione. Il tema è particolarmente sentito infatti il provvedimento è stato
presentato da gran parte dei gruppi politici (Pd, Forza Italia, Sel, Ncd, FdI, M5S) un
progetto di legge, che riporti l'Italia a pieno titolo nella Comunità Europea. Ha aperto i
lavori l'Onorevole Marina Sereni, Vice Presidente alla Camera dei Deputati che ha chiesto
il riconoscimento della lingua dei segni in tempi rapidi: "La LIS deve essere conosciuta a
tutti i livelli e ci deve essere la massima libertà di utilizzo per poter usufruire di servizi
basilari di comunicazione". Poi è stata la volta del Presidente Nazionale Ens, Giuseppe
Petrucci che ha tenuto a precisare: "Le barriere della comunicazione sono tutte quelle
barriere che ai disabili sensoriali uditivi impediscono di comunicare e quindi di entrare in
relazione con chi ci circonda. Queste barriere sono superate quotidianamente dai sordi
con diverse modalità e soprattutto con la Lingua dei Segni Italiana. La LIS. purtroppo non
è ancora riconosciuta dall'Italia come lingua sebbene lo Stato abbia recepito la
Convenzione dell'Onu che impegnava gli Stati membri a riconoscere nei propri Stati a
riconoscere la Lingua dei Segni. La proposta di legge pensata dall'Ens ed inviata a tutti i
parlamentari, alcuni dei quali hanno deciso di presentarla e che ringrazio per la loro
sensibilità e disponibilità, ha come obiettivo il riconoscimento della LIS ma ha soprattutto
quale obiettivo di stabilire un principio: la libertà di scelta di comunicazione per la persona
sorda". Il segretario nazionale Ens, Costanzo Del Vecchio, ha chiarito il valore della
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proposta: "Noi riteniamo che la lingua italiana dei segni, una volta riconosciuta, possa
essere un progetto di vita per i sordi. Sono cittadini che purtroppo non sono pienamente
integrati perché hanno un'oggettiva problematica di non poter interloquire con chi non
conosce la lingua dei segni. Ecco che la LIS consente piena integrazione e interazione".
Significative anche le parole dell'europarlamentare Adàm Kòsa eletto in Ungheria: "Sono
qui per sensibilizzare l'Italia perché la lingua dei segni è molto importante;; nel mio paese si
è arrivati al riconoscimento ufficiale con l'unanimità dei parlamentari di destra e di sinistra".
Molto interessante, infine, l'iniziativa della Telecom, rappresentata da Michele Volpe e
Massimo Tagariello con quest'ultimo che ha spiegato il progetto denominato "Comunico
io": "Il nostro progetto permette ai non udenti di poter scrivere messaggi di testo sullo
smartphone, tramutati poi dalla nostra App in messaggio vocale".
1.5 Definire l’identità sorda
Per molto tempo si è pensato che la condizione di sordità implicasse una condizione di
‘deficienza’ rispetto alla conoscenza del mondo, dovuta alla limitazione delle risorse
disponibili per l’accesso alla lingua parlata. Il difficile rapporto esistente tra un mondo a
prevalenza udente e la minoranza sorda è ben documentato dalla storia e
legatoall’invisibilità della sordità rispetto a altre disabilità fisiche rese più evidenti dalla
menomazione. Negli ultimi anni la parola ‘sordità’ si è arricchita di significati sociali e
culturali che, a seconda del contesto, fanno modo che significhi ‘disabilità’, ‘ritardo’ ma
anche ‘identità’ e ‘orgoglio’. L’evoluzione dei significati attribuiti alla sordità è partita con lo
studio della lingua dei segni e il modo in cui questa definisce le relazioni tra i suoi utenti e
gli altri. La contemporanea definizione di persona sorda come ‘sordo’, ‘sordomuto’ o ‘non
udente’ è il sintomo di un’evoluzione linguistica e culturale non del tutto completa, le cui
radici affondano nella storia riabilitativa, linguistica e culturale di queste persone. In questo
contributo cercheremo di ripercorrere alcune tappe di questa storia per una migliore
comprensione di come debba essere definita una persona con problemi di udito e quale
sia il codice linguistico più appropriato per la sua educazione, riabilitazione e inclusione
sociale. La nascita delle moderne tecniche di educazione e riabilitazione per sordi trovano
le loro fondamenta, per quanto riguarda l’Italia, alla fine del ‘700;; in quel periodo nasce a
Roma la prima scuola per sordi, voluta dall’abate Tommaso Silvestri, allievo del francese
de l’Epée. Gli scritti di Silvestri testimoniano l’uso di un metodo didattico basato sullo
studio dell’articolazione e della lettura labiale, sempre con l’aiuto di gesti – accuratamente
selezionati e codificati come ‘segni’ – come mezzo primario di comunicazione. Dai
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documenti arrivati fino a noi, il metodo basato su lettura labiale e segni per l’educazione
dei sordi si diffuse rapidamente in Europa e negli Stati Uniti dove, nel 1864, venne fondata
la prima università specializzata per sordi – Gallaudet College – che rappresenta ancora
oggi uno dei maggiori centri di studio sulle tematiche relative alla sordità nel mondo. Per
circa 100 anni dalla fondazione della prima scuola romana, l’Italia vede una rapida crescita
degli istituti speciali per sordi che nel 1885 arriva a contarne diciannove. Alcuni degli allievi
sordi degli istituti italiani diventano a loro volta educatori, più o meno rinomati, e fondatori
di alcune scuole e associazioni dedicate ai sordi. Tra questi si ricordano Paolo Basso
(1806-1879), Giuseppe Minoja (1812-1871) e Giacomo Carbonieri (1814-1879) al quale si
deve la prima definizione di ‘Lingua dei Segni’ attribuita alla lingua gestuale utilizzata dai
sordi italiani. La prima grande frattura tra il mondo degli udenti e quella dei sordi può
essere collocata a Milano, nei giorni tra il 6 e l’11 settembre 1880. Durante il Congresso
Internazionale per il miglioramento della sorte dei Sordomuti fu approvata una risoluzione
che esaltava la lingua orale e bandiva la lingua dei segni. La lettura degli atti del
congresso rende chiari i motivi religiosi: in apertura della seduta del 6 settembre, Zucchi,
Presidente del Regio Istituto dei Sordomuti di Milano, presenta i risultati di un’inchiesta che
testimonia «la quasi universale concordia degli insegnanti nell’istruire il sordomuto, non più
coll’alfabeto delle dita, non più colla mimica, [...] ma colla viva parola che è il privilegio
dell’uomo;; che è il tramite unicamente sicuro del pensiero, il dono stesso di Dio». Definire
l’identità sorda attraverso il linguaggio dei pochi sordi presenti, favorevoli al mantenimento
della lingua dei segni nell’educazione dei sordi, non venne considerata nella pronuncia
della decisione finale sul metodo, creando i presupposti per la frattura ideologica tra sordi
e udenti arrivata fino a noi. Sul piano scientifico e tecnologico, alla fine dell’800 lo sviluppo
di strumenti di amplificazione del suono molto più potenti e funzionali di quelli utilizzati fino
a quel momento rendeva utile la sperimentazione degli stessi con i sordi, favorendone la
riabilitazione orale. Da quel momento in poi, la lingua dei segni viene proibita
dall’insegnamento e relegata a conversazioni private e informali tra gli alunni delle scuole.
Nonostante il divieto, alcuni documenti testimoniano l’uso della lingua dei segni in alcuni
contesti comunicativi che ne hanno permesso la sopravvivenza fino ad oggi. Negli istituti
speciali i sordi imparavano a leggere e scrivere, seguivano un percorso di riabilitazione
logopedica e imparavano un mestiere che ne permettesse una vita indipendente fuori
dall’istituto. Il percorso scolastico prevedeva la frequenza di ogni anno delle scuole
elementari per due anni consecutivi. Nel 1978 l’introduzione di una legge che ha permesso
l’inserimento dei sordi nelle scuole comuni ha generato una progressiva diminuzione degli
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studenti iscritti agli istituti, oggi chiusi o trasformati in scuole di istruzione specializzata per
sordi che seguono i programmi ministeriali già previsti per le scuole comuni. Sordità,
riabilitazione e lingua Il rapporto che le persone sorde hanno con le lingue verbali parlate
nel loro paese è fortemente legato al grado di sordità di cui sono portatori. Le persone
sorde profonde o gravi, nate o divenute tali entro i primi tre anni di vita (sordità preverbale
o prelinguale) incontrano grandi difficoltà nell’apprendere la lingua parlata durante il
percorso di riabilitazione che affianca la protesizzazione del bambino – e non acquisire,
come in un normale processo di crescita linguistica. Di conseguenza, l’apprendimento
della lingua parlata rappresenterà una sfida per la persona sorda che continuerà a
monitorarne la competenza anche in età adulta. Dalla fine dell’800 ad oggi, le tecnologie di
amplificazione del suono e di riabilitazione logopedica si sono evolute in più direzioni. Per
quanto riguarda l’amplificazione acustica, le protesi maggiormente in uso al momento
sono gli apparecchi acustici digitali e l’impianto cocleare. Entrambi per miglioramento della
sorte dei sordomuti, hanno la funzione di amplificare il suono in modo che possa essere
elaborato dalla persona sorda. Nel caso degli apparecchi acustici, questi amplificano il
segnale acustico in modo da sfruttarne il residuo uditivo;; si tratta di apparecchi esterni
rimovibili. L’impianto cocleare viene invece apposto attraverso un intervento chirurgico e
ha la funzione di fornire «degli impulsi elettrici direttamente alle fibre del nervo acustico
bypassando le cellule dell’orecchio interno (cellule ciliate) danneggiate». Una volta
raggiunto il cervello, gli impulsi vengono interpretati come suoni. Dal momento in cui viene
diagnosticata la sordità (che può essere lieve, media, grave o profonda), il bambino segue
un percorso – parallelo a quello della protesizzazione, di riabilitazione logopedica
attraverso il quale impara ad «ascoltare, analizzare e interiorizzare il suono per sviluppare
il linguaggio verbale. Il bambino impiantato viene allenato dapprima a percepire i suoni e i
rumori ambientali (telefono, campanello, abbaiare di un cane ecc), poi ad identificare la
prosodia del discorso (durata, ritmo, intonazione, accentazione ecc), infine le parole e le
frasi. [...] In un primo periodo le sedute logopediche dovranno essere molto frequenti e il
lavoro dovrà essere eseguito anche a casa da parte dei genitori che sono parte integrante
del percorso riabilitativo. In generale possiamo dire che gli obiettivi fondamentali della
riabilitazione logopedica sono di favorire lo sviluppo delle abilità percettive e uditive, lo
sviluppo delle abilità linguistiche in tutti i suoi aspetti e quelle fono-articolatorie, lo sviluppo
delle capacità cognitive, lo sviluppo delle abilità sociali ed emotive». I metodi di
riabilitazione logopedica maggiormente utilizzati possono essere raggruppati in tre macro-
categorie: metodi oralisti, metodo misto o bimodale ed educazione bilingue. I metodi
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oralisti escludono l’uso dei segni dall’educazione al linguaggio parlato e scritto puntando
soprattutto sull’allenamento acustico, utilizzando al massimo i residui uditivi e potenziando
le capacità di lettura labiale. In Italia, il metodo oralista maggiormente utilizzato è quello
ideato da Massimo Del Bo e Adriana Cippone De Filippis. Il metodo misto o bimodale
utilizza contemporaneamente le modalità acustico-vocale e visivo-gestuale combinando
alla lingua vocale alcuni segni dell’Italiano Segnato (IS) o dell’Italiano Segnato Esatto
(ISE). Nell’IS o nell’ISE la parola vocale, inserita nella struttura classica della lingua
verbale, viene accompagnata dal segno corrispondente e dall’uso di eventuali
evidenziatori che hanno lo scopo di chiarirne il significato. Il metodo bimodale considera il
linguaggio come strettamente collegato allo sviluppo cognitivo, comunicativo, affettivo e
della personalità. L’educazione bilingue prevede l’esposizione contemporanea del
bambino sordo alla lingua vocale e alla lingua dei segni. Secondo i fautori del bilinguismo
la lingua che i bambini sordi acquisiscono spontaneamente è la lingua dei segni veicolata
dal canale visivo-gestuale. Se il bambino non incontrerà ostacoli in tale processo di
acquisizione ne trarrà certamente benefici da un punto di vista affettivo, cognitivo e
linguistico: essere padrone della lingua vocale e della lingua dei segni darà alla persona
sorda la possibilità di comunicare in modo soddisfacente sia con la comunità dei sordi che
con quella degli udenti, sperimentando ‘reali’ situazioni comunicative e acquisendo una
maggiore fiducia nelle proprie capacità. Seppur considerato il metodo più idoneo alla
riabilitazione del sordo, l’educazione bilingue è difficile da realizzare perché prevede che il
bambino sia inserito in un contesto perfettamente bilingue italiano-lingua dei segni. La
reale situazione di bilinguismo si ha nel momento in cui le due lingue sono presentate da
persone diverse, in ambienti diversi ma con input bilanciati;; nel caso di bambini sordi è
raro trovare una situazione del genere in quanto molti sono figli di genitori udenti che in
casa non hanno un’esposizione alla LIS (Lingua Italiana dei Segni) e che non trovano
ambienti adeguati dove riceverla per il periodo di tempo necessario alla sua acquisizione.
La situazione non viene facilitata dalla scuola, dove le situazioni di reale bilinguismo
italiano-LIS sono rare e di difficile organizzazione. Di conseguenza, già dalle prime fasi di
vita il rapporto delle persone sorde con la lingua parlata è definito attraverso la sordità e
nel rapporto con adulti e coetanei udenti. Negli ultimi anni il movimento di riconoscimento
delle lingue dei segni come lingue dell’Unione Europea ha raggiunto anche l’Italia, con un
picco di attività che ha visto nel 2011 l’esplosione di dibattiti, interviste e scambi di opinioni
rispetto all’approvazione, o meno, di una legge similare a livello nazionale che
riconoscesse la lingua sei segni come lingua di una minoranza di italiani. In questo
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contesto di discussione sono tornati alla luce concetti legati alla definizione di ‘comunità
sorda’ ed è riemersa prepotentemente la confusione che esiste intorno alla lingua dei
segni e al modo in cui questa contribuisce alla definizione di sordità. Alla fine degli anni
’70-inizi anni ’80, parte dagli Stati Uniti una concezione di ‘sordità’ come sub-cultura.
Benché il dibattito intorno all’appropriatezza della definizione di cultura sorda fosse (e
rimanga tuttora) acceso, con lo sviluppo degli studi sulla lingua dei segni in Italia ad opera
del gruppo di ricerca sulla LIS coordinato da Virginia Volterra, la definizione di cultura
sorda trova validazione anche su suolo italiano. Essa lascia spazio alla discussione
intorno al significato di ‘identità sorda’ qualora ad esprimerla sia una lingua visiva quale è
la Lingua dei Segni. Come osserva Orletti, l’identità non rappresenta un mero riflesso della
realtà, ma viene costruita durante l’interazione. Nel momento in cui due individui si
incontrano, le loro percezioni di se stessi e della società in cui vivono entrano in relazione
per costruire un concetto di identità che viene continuamente rinegoziato attraverso le
parole scelte, i temi trattati e il modo in cui viene strutturata la conversazione e fatta la
selezione dei partecipanti. Nel caso dei sordi, i due individui a cui si fa riferimento
potrebbero appartenere entrambi alla cultura prevalente ‘italiana’ ma, nel caso vi fosse
una persona sorda segnante, quest’ultima avrebbe un’altra lingua e, con molta probabilità,
un altro sistema culturale di riferimento, parallelo a quello prevalente. La stessa
affermazione sarebbe priva di ulteriori interpretazioni se non si fosse a conoscenza della
sordità dell’autore che offre al lettore un ulteriore elemento di interpretazione dell’inciso
fornito tra parentesi – (mostly hearing) – che può essere il prodotto di posizionamento di
sé rispetto alla comunità a cui fa riferimento (la cultura sorda). Il dialogo tra sé e l’altro, e
tra sé e sé, è alla base di quello che lo stesso Ladd definisce Deafhood. Il dialogo a cui
Ladd fa riferimento è lo stesso che permette il definirsi di identità sorda rispetto ai diversi
contesti in cui questa si manifesta. Il riferimento alla persona sorda come Deaf con la ‘D’
maiuscola, indica il riferimento ai sordi come comunità linguistica, in linea con una forma di
notazione diffusasi con gli studi sulla cultura sorda. Per i sordi segnanti, la percezione di
identità e di sé può cambiare a seconda che la lingua utilizzata per esprimersi sia la lingua
dei segni o la lingua verbale scritta. L’utilizzo della lingua dei segni rafforza il senso di
appartenenza alla comunità che la utilizza mentre l’uso della lingua scritta può
rappresentare una scelta fatta in due direzioni: da una parte l’accoglienza della persona
non segnante, dall’altra la manifestazione di un senso di appartenenza alla sub-cultura
(sorda) che non esclude necessariamente l’appartenenza alla cultura di maggioranza
(udente).Secondo alcune autrici, l’identità è un costrutto discorsivo emergente durante
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l’interazione sulla base di cinque principi: 1. il principio dell’emergenza (emergence
principle), ovvero la ‘norma’, l’idea di identità costruita dall’azione sociale;; 2. il principio
della posizionalità (positionality principle), ovvero le modalità in cui gli utilizzatori della
lingua fanno riferimento a categorie di identità specifiche piuttosto che alle categorie
sociologiche delineate dai ricercatori;; 3. il principio di indessicalità (indexicality principle),
per il quale le relazioni di identità emergono nell’interazione attraverso numerosi processi
indessicali che includono: aperta menzione delle categorie di identità e delle etichette;;
implicazioni e presupposizioni che riguardano la posizione identitaria dell’uno e dell’altro;;
l’orientamento valutativo ed epistemico nelle conversazioni in corso, i ruoli dei partecipanti,
le basi dell’interazione e l’uso di strutture linguistiche e sistemi che siano ideologicamente
associati con gruppi e persone specifiche;; 4. il principio della relazionalità (relationality
principle), sulla base del quale le identità sono costruite intersoggettivamente attraverso
numerose relazioni, spesso sovrapposte, che includono similarità/ differenze,
originalità/artificiosità e autorità/delegittimazione;; 5. il principio della parzialità (partialness),
riassume e sottolinea i primi quattro principi. In quanto tale, l’identità è costruita dal
contesto e si afferma come manifestazione parziale di un fenomeno più complesso.
L’analisi di testi che riguardano, direttamente o indirettamente, i sordi permette di
osservare l’applicazione dei principi elencati e l’emergenza di più livelli di interpretazione
dell’identità, che passano attraverso la scelta del codice linguistico. La scelta del codice
linguistico da utilizzare rappresenta già in sé una scelta identitaria. Non è raro, infatti,
leggere su video pubblicati online in lingua dei segni messaggi come quelli riportati di
seguito che solitamente non trovano risposta: «Ottima informazione!! Ma non credi che
queste informazioni dovrebbero essere accessibili a TUTTI? Anche ai sordi che non
conoscono la Lis. Un inserimento dei sottotitoli sui video di produzione propria sarebbero
ben graditi»;; «È giusto con A non S. Magari potesse inserire i sottotitoli in italiano». La
scelta della lingua dei segni come lingua dell’interazione e l’esclusione dell’italiano dai
video che la utilizzano può essere interpretata come una scelta comunicativa e identitaria
che riguarda soltanto chi conosce la lingua dei segni e, pertanto, è l’unico destinatario di
alcuni messaggi non interpretabili da chi è definito, appunto, esterno alla cultura sorda. La
definizione di identità e alterità richiede, per sua stessa natura, la definizione di una norma
a cui attenersi. Per quanto riguarda le discussioni intorno alla sordità il punto di vista
‘normativo’, definito dalla cultura prevalente, può essere derivato da una comune
definizione di dizionario. Alla voce ‘sordo’, il dizionario Treccani online restituisce le
seguenti definizioni riferite ad esseri animati, riportate qui solo per la parte che interessa:
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«Mancante, in tutto o in parte, della facoltà di percepire i suoni: essere s. dalla nascita;;
essere s. da un orecchio, dall’orecchio sinistro, da tutte e due le orecchie;; è diventato s.
per l’esplosione di una bomba;; parla più forte, è un po’ s., è mezzo s.;; [...]». Lo stesso
dizionario offre i seguenti sinonimi per la parola ‘sordo’: ‘non udente’, ‘audioleso’,
‘ipoacusico’, ‘sordastro’, ‘sordomuto’, specificando, dove opportuno, l’uso come
‘tecnicismo’ del linguaggio medico o burocratico. Se volessimo considerare ognuna di
queste parole come definizioni dell’identità sorda, diventa evidente quanto la maggior
parte di esse sottolineino una mancanza, una deficienza o la confusione proprie di una
prospettiva estranea a quella che abbiamo definito sopra come ‘cultura sorda’.
Confrontando la lista dei sinonimi forniti dal dizionario Treccani con l’analisi condotta da
Petitta sull’uso delle parole ‘sordo’, ‘sordomuto’ e ‘non G. Petitta, Sordo, sordomuto e non
udente nella stampa italiana contemporanea, in «Bollettino 247 Definire l’identità sorda
attraverso il linguaggio udente’ nella stampa italiana contemporanea, viene convalidata
l’esistenza di una confusione terminologica intorno all’uso della parola ‘sordomuto’, che
confonde la causa con la conseguenza: «chi nasce sordo o perde l’udito entro i due anni
di vita non riesce ad imparare il linguaggio e perciò diventa, come si suole dire,
“sordomuto”. Si tratta di un termine che ha dato origine a molti equivoci [...] perché in
sostanza si confonde la conseguenza con la causa. I sordomuti sono, dunque,
inizialmente soltanto persone “sorde” che diventano “mute” a causa della loro “sordità”.
Salvo rarissime eccezioni, l’apparato fonoarticolatorio dei bambini che nascono sordi è
infatti assolutamente integro». La complessità della questione è tale da aver reso
necessaria l’approvazione, nel 2006, di una legge nazionale che recita, all’articolo 1,
comma 1, «in tutte le disposizioni legislative vigenti il termine sordomuto è sostituito con
l’espressione sordo». Tuttavia, se la legge interviene in merito all’uso della parola ‘sordo’
in luogo di ‘sordomuto’, nulla si dice rispetto all’uso di ‘non udente’, parola che sembra
suscitare ancora numerose perplessità rispetto al contesto più idoneo al suo utilizzo.
1.6Etnicità, Etica e il mondo dei sordi
È noto che c’è un Mondo dei Sordi in Italia, così come negli Stati Uniti e in molte altre
nazioni. Negli Stati Uniti, il Mondo dei Sordi include alcuni milioni di cittadini la cui prima
lingua è la Lingua dei Segni Americana e che si identificano come membri di quella cultura
di minoranza. I termini inglesi deaf (“sordo”), hearing impaired (“non udente”) e deaf
community (“comunità dei sordi”) sono invece usati comunemente per indicare un gruppo
molto più ampio e variegato del Mondo dei Sordi. La maggior parte delle persone che
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sono nel gruppo più ampio comunica primariamente in una delle lingue parlate;; non si
identifica con il Mondo dei Sordi, non partecipa alle sue organizzazioni, non professa i suoi
valori e non segue gli usi di questo Mondo;; queste persone si considerano invece come
udenti disabili. Dunque, in Italia come altrove, esiste un piccolo Mondo dei Sordi che usa
la Lingua dei Segni Italiana e una numerosa popolazione di sordi che non la usa. Negli
Stati Uniti, l’idea di classificare il Mondo dei Sordi tra i gruppi etnici della nazione circola da
tempo – più di 25 anni, durante i quali questa idea è stata discussa ripetutamente dagli
studiosi. Struttura sociale, linguaggio, forme artistiche, storia, nome collettivo, sentimento
di comunità, norme di comportamento, valori, conoscenza, parentela, sono stati dei
concetti proposti dai sociologi per caratterizzare un gruppo sociale come gruppo etnico. Il
Mondo dei Sordi offre a molti Sordi italiani quello che non possono trovare a casa: la
possibilità di comunicare facilmente, un’identità positiva, e un surrogato della famiglia. Il
Mondo dei Sordi ha la percentuale più alta di qualsiasi altro gruppo etnico di matrimoni tra
i propri membri – quasi il novanta per cento.Le persone Sorde danno grande importanza
alla loro identità Sorda, che il Mondo degli Udenti invece stigmatizza;; danno importanza
alla loro lingua dei segni e agiscono per proteggerla e arricchirla;; danno importanza alla
lealtà alla propria cultura;; agli istituti;; al contatto fisico;; e a molte altre cose. Le persone
Sorde hanno una conoscenza specifica della propria cultura: sanno chi sono i loro leader
(e ne conoscono le proprietà caratteristiche);; sanno come la pensa la base del Mondo dei
Sordi;; sanno quali sono gli eventi importanti nella storia dei Sordi;; sanno come gestire
situazioni difficili con le persone udenti. Conoscono i valori del Mondo dei Sordi, i suoi usi,
e la sua struttura sociale. Il Mondo dei Sordi ha i propri modi di presentarsi e di salutarsi;; di
fare a turno nel parlare;; di parlare in modo diretto e di parlare in modo educato;; e ha i
propri tabù. Ci sono numerose organizzazioni nel Mondo dei Sordi italiano: organizzazioni
atletiche, sociali, politiche, letterarie, religiose, etniche, di anziani, e altre ancora. La
conoscenza della Lingua dei Segni Americana è un tratto fondamentale dell’etnicità Sorda
negli Stati Uniti e mi aspetto che la conoscenza della Lingua dei Segni Italiana sia un tratto
fondamentale dell’etnicità Sorda italiana. Il Mondo dei Sordi si distingue quindi nettamente
dal Mondo degli Udenti perché usa un linguaggio che non è basato sul suono. La lingua
dei segni del Mondo dei Sordi è al centro dell’autenticità di questo mondo. In primo luogo,
ci sono le arti linguistiche in lingua segnata: le narrazioni, i racconti, l’oratoria, l’umorismo, i
racconti folcloristici, i giochi di parole, la pantomima, e la poesia. Poi, ci sono le arti teatrali
e visive che rappresentano la cultura e l’esperienza dei Sordi. La Lingua dei Segni
Americana ha una ricca tradizione letteraria. Il narratore e la storia hanno un ruolo
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importante nell’unire il Mondo dei Sordi e nella trasmissione della sua eredità e della
saggezza accumulata attraverso le generazioni. Le narrazioni si sviluppano presto negli
istituti per bambini Sordi, dove i giovani raccontano in lingua dei segni i modi tipici di
ciascun insegnante udente e le trame dei cartoni animati, dei Western e dei film di guerra.
In passato, questi film e questi programmi televisivi erano spesso senza sottotitoli e questo
dava via libera alla fantasia e all’ingegno del giovane narratore. Come in molte culture (se
non in tutte), ci sono delle storie ‘esemplari’ nel Mondo dei Sordi. C’è la ‘storia del
successo’. Il protagonista cresce in un ambiente esclusivamente udente senza aver mai
incontrato delle persone Sorde. Poi incontra una persona Sorda che gli insegna la lingua
dei segni e gli spiega il modo di vita delle persone Sorde. Diventa sempre più attivo nel
Mondo dei Sordi e si lascia il passato alle spalle. Così come gli americani sostengono e
propagandano la storia del ‘sogno americano’, queste storie di successo, rafforzano la
credenza che essere Sordi sia una cosa buona e giusta. Un altro genere di storiamolto
diffusa è la leggenda delle origini. La storia Sorda dell’abate de l’Epée e di come egli
incontrò le due sorelle Sorde e fondò la scuola per Sordi è stata raccontata e riraccontata
innumerevoli volte in America così come in altri paesi. Una forma letteraria molto diffusa
nel Mondo dei Sordi, che gioca un ruolo importante nel cementare la società, è
l’umorismo. L’umorismo è spesso profondamente immerso nella cultura, quindi è difficile
da apprezzare in traduzione perché il lettore o l’ascoltatore non sono parte della cultura
dell’autore. Senza dubbio, questo è ciò che Sarah ha in mente in Figli di un dio minore,
quando dice al suo ragazzo terapista del linguaggio, James, che si vanta di far ridere: “Tu
fai ridere per l’Udente”, gli segna, “non per il Sordo”. Ecco un esempio di umorismo del
Mondo dei Sordi tradotto dall’ASL, una storiella particolarmente ricca di elementi di cultura
Sorda, raccontata al congresso internazionale di cultura Sorda Deaf Way nel 1989 dal
leader Sordo MJ Bienvenu:
“Un enorme gigante sta andando a caccia in un piccolo villaggio di gente minuscola, che si
disperde per le strade cercando di sfuggire alla terribile creatura. Il gigante nota una
bellissima ragazza bionda che sta scappando lungo la strada. Allunga la sua goffa mano e
afferra la ragazza, poi guarda adorante la figurina che trema nel suo palmo. ‘Sei così bella’
esclama. La giovanetta lo guarda spaventata. ‘Non farmi del male per favore’ dice. ‘Non ti
farei mai del male,’ lui segna. ‘Io ti amo. Ti vorrei SPOSARE.” Quando fa il segno
SPOSARE, naturalmente, la bellissima ragazza viene schiacciata. Il gigante si lamenta
allora: ‘Vedete, l’ORALISMO è meglio’.” Notate che questo racconto umoristico, in primo
luogo, è altamente visivo. L’orrore sulle facce della gente del villaggio che scappa, la
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bellissima ragazza spaventata, la differenza di dimensioni tra il gigante e il villaggio. (Il
segno per SPOSARE in ASL viene eseguito con la mano destra che va a chiudersi contro
la sinistra). Qui sta il punto umoristico. A volte si dice che le parole non possono uccidere,
intendendo che le parole significano azioni e che sono le azioni che uccidono. Ma in
questa storia il confine tra il significante (la parola) e il significato (l’azione) viene annullato
– le parole uccidono direttamente semplicemente perché vengono emesse. Questa
violazione delle regole è buffa. Infine, la storia è buffa a un altro livello,di tipo sociologico,
perché l’oralismo simbolizza l’oppressione nel Mondo dei Sordi. La storia sostiene
ironicamente l’oralismo. “C’è qualcosa di buono nell’oralismo”, sembra dire, “a condizione
naturalmente che uno sia un gigante un po’ scemo con una signora sul palmo della mano”.
Il carattere visivo della storia, la violazione degli assiomi della lingua dei segni, e il
riferimento all’odiato moralismo tutti insieme assolvono una funzione più ampia:
caratterizzano la storia come una storiache viene dal Mondo dei Sordi, essi invitano il
pubblico a identificarsi con la cultura da cui la storia proviene(“Questo è il nostro tipo di
umorismo”), e a provar piacere nell’attività solidale di prestare attenzione, di aspettarsi la
battuta, di ridere e applaudire. Quindi, queste caratteristiche servono tutte a legittimare
la,comunità. Gran parte dell’umorismo nel Mondo dei Sordi è una risposta all’oppressione
– come la presa in giro dell’oralismo in questa storia. Il Mondo dei Sordi ha un ricco
passato che viene narrato in racconti, libri, film, ecc. I membri del Mondo dei Sordi hanno
un interesse particolare per la propria storia. Il motivo è che il passato è una risorsa nella
ricerca collettiva del significato. Sentire di avere una storia comune contribuisce ad unire
le generazioni successive. Alcuni studiosi sostengono che il nucleo dell’etnicità sta nelle
proprietà culturali che abbiamo esaminato, quindi essere apparentati in qualche senso non
è necessario per il Mondo dei Sordi o per ogni altro Mondo per qualificarsi come gruppo
etnico. Altri dicono che essere apparentati dovrebbe essere inteso in senso sociale come
un legame con “coloro ai quali dobbiamo la nostra solidarietà prima di tutti gli altri”.
Certamente, c’è un forte senso di solidarietà nel Mondo dei Sordi;; la metafora della
famiglia aiuta assai a spiegare molte delle regole e delle pratiche dei Sordi. Uno studioso
scrive: “alcuni gruppi sono definiti dalla propria eredità genetica, altri dal proprio linguaggio
o dalla propria religione o da altri criteri” (Petersen 1980, pag. 235;; vedi anche Sollars
2001;; Schneider 1972, pag. 59;; Barth 1998, pag. 5). Un altro scrive: “Non importa che
esista un legame di sangue oggettivo” (Weber citato in Sollers 2001, pag. 4815). Ciò in cui
consiste davvero l’essere apparentati, sostengono altri studiosi, è un legame con il
passato: l’essere apparentati ha che fare con la “continuità tra le generazioni”. Il Mondo
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dei Sordi trasmette infatti le proprie norme, la propria conoscenza, il proprio linguaggio e i
propri valori da una generazione all’altra: in primo luogo attraverso il contatto del bambino
Sordo con i genitori o il genitore Sordo, in secondo luogo attraverso la socializzazione con
i propri simili dei bambini Sordi che non hanno genitori Sordi. Quando pensiamo all’essere
apparentati, sostengono altri studiosi ancora, ciò che conta davvero è la somiglianza
biologica;; in questo caso i membri del Mondo dei Sordi sono apparentati in quanto si
somigliano biologicamente essendo persone ‘visive’. Infine, molti studiosi dell’etnicità
insistono che i gruppi etnici hanno per lo meno un legame di sangue presunto – un legame
ereditario tra i suoi membri. E infatti la maggior parte delle persone Sorde che si
identificano con la cultura Sorda nascono sordi o diventano subito sordi per ragioni
ereditarie. Molti studiosi nel campo dell’etnicità credono che queste proprietà “interne” dei
gruppi etnici cheabbiamo appena esaminato debbano essere accompagnate da una
proprietà “esterna”, un confine che separa la minoranza dagli altri gruppi etnici, e in
particolare dal gruppo etnico maggioritario. Riguardo alla gente sorda in generale, viene
spesso detto che il 50% è sorda per ragioni genetiche (Reandon et al. 1992). Ma il numero
è probabilmente sottostimato per quanto riguarda il Mondo dei Sordi e questo per due
motivi: primo, il numero stimato non include i membri del Mondo dei Sordi che sono sordi
per ragioni ereditarie ma che hanno anche ciò che gli otorini considerano come una
malattia legata all’essere sordo (come la “sindrome di Waardenburg”);; secondo, alcune
persone sorde per ragioni ereditarie non sanno di avere dei parenti sordi e per questo
motivo sono erroneamente escluse dalla categoria dei sordi per ragioni ereditarie. Poi ci
sono le attività sociali del Mondo dei Sordi che sono organizzate e condotte da persone
Sorde con poco o nessun coinvolgimento degli Udenti. Invece, le attività connesse al far
rispettare la legge fanno parte del Mondo degli Udenti. Per quanto riguarda i servizi
religiosi, c’è una sovrapposizione tra il Mondo dei Sordi e quello degli Udenti – ci sono
missioni per i Sordi, pastori Sordi e servizi religiosi segnati, ma la conduzione dei luoghi di
culto di solito è nelle mani degli Udenti. C’è molto che si potrebbe discutere in questa
figura, ma il punto importante è questo: il Mondo dei Sordi fa da sé per molte delle sue
attività;; collabora col Mondo degli Udenti per alcune attività;; e lascia le responsabilità assai
più ampie come quelle delle forze dell’ordine alla società nel suo complesso;; in questo
aspetto il Mondo dei Sordi è come altre minoranze etniche. Il Mondo dei Sordi americano
oggi soddisfa i criteri che sono stati proposti per qualificarsi come gruppo etnico e dunque
è appropriato vedere il Mondo dei Sordi come un gruppo etnico. Leggi e trattati che
proteggono i gruppi etnici si applicano anche al Mondo dei Sordi. È appropriato
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classificare i Sordi anche come gruppo di disabili? Per disabilità non si intende una
condizione di fatto – la disabilità, così come l’appartenenza a un gruppo etnico, è un
costrutto sociale, non un fatto della vita. Ed è tipico di queste costruzioni che esse
sembrano invece essere un fatto della vita. In realtà, noi sappiamo che la disabilità è
un’idea costruita in una cultura particolare in un momento particolare, perché
l’appartenenza alla categoria dei disabili va e viene. L’alcolismo fu considerato prima una
pecca morale, poi un crimine e infine una disabilità. L’omosessualità fu considerata prima
una pecca morale, poi un crimine, poi una disabilità curabile e ora gli omosessuali sono un
gruppo di minoranza che vuole dei diritti civili. La bassa statura divenne una disabilità
dell’infanzia quando l’enzima della crescita venne scoperto, non prima. Il ritardo mentale
lieve divenne una disabilità con l’arrivo dei test per misurare il quoziente di intelligenza.
Dunque, sappiamo che la disabilità è un’etichetta e, inoltre, siamo d’accordo con i leader
della comunitàdei disabili che la disabilità non è nell’individuo ma nella società, che essa è
un’oppressione condivisadalle persone i cui corpi sono diversi in modi che li rendono
inadatti a come la società è organizzata. Ora, dobbiamo etichettare e incoraggiare la gente
a etichettare le persone Sorde come disabili? Sono state proposte delle ragioni per cui le
persone Sorde dovrebbero assumere l’etichetta di disabili. Le persone Sorde, come le
persone disabili, sono vittime di un’oppressione perché i loro corpi sono diversi in modi
che li rendono inadatti a come la società è organizzata. Tuttavia, considerate alcuni gruppi
che sono vittime di un’oppressione perché i costumi sociali prevalenti non si adattano alla
loro diversità fisica: le persone con la pelle scura;; le donne – specialmente nel terzo
Mondo;; le persone che sono molto basse o molto alte;; e gli omosessuali. Questi gruppi
sono vittime di un’oppressione perché i loro corpi sono diversi in modi che li rendono
inadatti a come la società è organizzata. La loro diversità fisica influenza il modo in cui
essi funzionano nel Mondo? Certo che sì. In gran parte del mondo, i neri sono discriminati;;
i gay sono emarginati;; le donne non sono libere di intraprendere attività riservate agli
uomini;; molti gruppi etnici non possono svolgere certe attività e alcuni sono perfino
bersagli di genocidio;; le persone grasse e quelle basse sono spesso mal considerate e
devono combattere quotidianamente con un ambiente ostile. Probabilmente, è più preciso
dire che il bambino Sordo in America appartiene a diversi gruppi etnici, e il gruppo etnico
Sordo è uno di questi. Per esempio, il Sordo Americano asiatico potrebbe essere cinese-
americano rispetto ad altri americani asiatici, e americano-asiatico rispetto all’etnia
americana prevalente. E tuttavia non classificheremmo i gay, le donne, i neri, le persone
grasse o quelle basse come gruppi di cui si dice che sono disabili. Quindi, il fatto che i
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membri del Mondo dei Sordi siano vittime di un’oppressione perché i loro corpi sono
diversi dalla norma non è una ragione sufficiente per applicargli l’etichetta di disabili. Un
altro argomento proposto affinché i Sordi adottino l’etichetta di disabili è che potrebbe
aiutare i Sordi a guadagnare maggiori diritti. Per esempio, nelle scuole durante le lezioni
gli interpreti solitamente non sono disponibili per i membri dei gruppo etnici;; le persone
Sorde hanno invece degli interpreti in molti casi perché sono classificate come disabili.
Tuttavia, alcune cose che sono importanti per le persone Sorde sono arrivate perché si è
compreso che sono un gruppo etnico. Sto pensando allo sviluppo, in Italia, dei corsi di
lingua dei segni, dei testi di lingua dei segni e degli insegnanti di lingua dei segni. Penso
allo spuntare degli studi che riguardano l’etnicità Sorda negli ultimi 40 anni – la storia, le
arti, la struttura sociale, la cultura e il linguaggio. Pensiamo alla nascita della disciplina
degli Studi Sordi, delle riforme nell’educazione dei Sordi – tutti questi risultati dipendono
dal riconoscimento dei sordi come gruppo etnico.Benché l’etichetta di disabile sembri
inappropriata per il Mondo Sordo, le persone Sorde non hannohanno insistito in modo
aggressivo per far capire che sono un gruppo etnico e che l’etichetta di disabili è poco
adatta a loro. Di conseguenza, il riconoscimento dei diritti dei Sordi è arrivato con
l’etichetta di disabili e le persone Sorde devono di fatto adottare questa etichetta per
ottenere i loro diritti nell’accedere alle informazioni, nell’educazione, e in altre aree. Ci
sono numerose professioni che hanno un interesse economico che i Sordi vengano
considerati come disabili. Per esempio, i chirurghi dell’orecchio, molti audiologi ed
educatori speciali, e i terapisti del linguaggio. Questi professionisti appartengono a
organizzazioni che hanno pagato dei lobbisti e hanno una grande influenza su chi riceve
soldi dal governo e per quali scopi. La ragione predominante per rifiutare di considerare le
persone Sorde come membri di un gruppo di disabili riguarda come le persone Sorde
vedono sé stesse. Le persone che sono cresciute come Sorde e che si sono integrate
nella cultura Sorda, normalmente, non vedono sé stesse come un gruppo di disabili – per
lo meno non negli Stati Uniti. Questo è un argomento estremamente forte per rifiutare
l’etichetta di disabili: le persone Sorde parlano partendo da una conoscenza intima di cosa
vuol dire essere Sordi e non esiste autorità più alta su come un gruppo dovrebbe essere
considerato dei membri del gruppo stesso. Alcuni studiosi della disabilità affermano che le
persone Sorde stanno semplicemente negando la verità che essi sono disabili per evitare
di essere ‘marchiate’ socialmente. Ma ogni sorta di persone, essi sostengono, vede la
disabilità come una brutta cosa e nega di essere disabile, proprio come i Sordi. Le
persone che si identificano con la cultura Sorda non si vedono come disabili. Dunque,
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adottare l’etichetta di disabile nella speranza che potrebbe aiutare i Sordi a ottenere
maggiori diritti è completamente sbagliato perché le persone Sorde non credono di essere
disabili. Per le persone Sorde, arrendersi in qualsiasi modo a come gli altri le definiscono
vuol dire dare una rappresentazione sbagliata di sé stesse. E questa è la prima ragione
per rifiutare l’etichetta di disabili. Ci sono molti svantaggi connessi al dare una
rappresentazione sbagliata di sé. Tutti i bambini il cui corpo differisce da quello dei
genitori in un modo che non dipende solo dall’età sono a rischio dal punto di vista medico
e chirurgico. I genitori vogliono dei figli come loro e se non lo sono essi ascolteranno i
medici che dicono che possono ridurre o eliminare la diversità, con il risultato che il
bambino viene spesso mutilato. È una tentazione molto comune quella individuare nel
bambino piuttosto che nella società la ragione per cui viene ‘marchiato’ socialmente;; dopo
tutto il bambino è disponibile e può essere gestito molto più facilmente della società intera;;
inoltre le tecnologie che permettono di normalizzare le persone stanno ‘bussando alla
porta’. Quando ibambini che sono stati sottoposti a normalizzazione chirurgica crescono,
spesso sconfessano ciò che gli è stato fatto da piccoli. Ora, etichettare il bambino Sordo
come disabile mette a rischio il bambino per interventi come l’impianto cocleare, e la
rieducazione a parlare a scapito dell’educazione effettiva: e crea una identità confusa.
L’impianto chirurgico ha dei pericoli di infezione, in alcuni casi mortale, e molti bambini
impiantati, dopo l’operazione e la rieducazione, hanno più o meno gli stessi limiti che
avevano prima. Per quanto riguarda l’aspetto etico di questi interventi medico-chirurgici, è
una cosa che disturba profondamente rendersi conto che il bambino, troppo giovane per
dare un consenso informato, molto probabilmente rifiuterebbe il consenso se avesse
un’età per cui gli si potesse chiedere cosa vuol fare. Per esempio, gli adulti Sordi, che
erano una volta bambini Sordi ma ora sono grandi abbastanza per prendere una decisione
meditata, sono in grandissima parte contrari in tutto il mondo alla chirurgia di impianto
pediatrica. Se le procedure mediche o chirurgiche a cui vengono sottoposti i bambini che
sono Sordi, intersessuali, o nani, o gay, richiedessero un consenso informato di adulti che
sono come il bambino, queste procedure probabilmente non avrebbero mai luogo! E
quando i genitori sono come il bambino, infatti, esse hanno luogo di rado. Ci sono dei
problemi etici ulteriori che riguardano la chirurgia di impianto sui bambini. È una chirurgia
sperimentale, ma la chirurgia sperimentale elettiva sui bambini è eticamente problematica.
C’è poca ricerca sui benefici linguistici e non ci sono studi sugli effetti a lungo termine
dell’impianto per quanto riguarda i successi scolastici, l’identità sociale, o l’adattamento
psicologico. Da uno studio panoramico sull’educazione speciale risulta che il cinquanta per
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cento dei bambini impiantati resta “seriamente menomato nell’udito” e il confronto con
coloro che usano un apparecchio acustico li mette nella categoria delle persone “sorde
profonde”. Ad aumentare il pericolo di una chirurgia inefficace, c’è inoltre il fatto che gli
educatori speciali che lavorano con le equipe chirurgiche fanno pressione sui genitori
perché sottopongano il bambino ad un programma educativo orale e scoraggiano l’uso
della lingua dei segni. Se i bambini impiantati non sono in grado di imparare l’italiano
parlato e gli si impedisce di apprendere la Lingua dei Segni Italiana, essi rimarranno senza
linguaggio per molti anni. Ci sono delle pessime conseguenze linguistiche e cognitive per il
ritardo nell’acquisizione del linguaggio. Non è accettabile lasciare un bambino senza
linguaggio per anni e anni;; è un abuso di minore. I genitori Sordi allevano i bambini Sordi e
udenti perfettamente bene senza alcuna operazione chirurgica o intervento di
professionisti. Di fatto, essi funzionano meglio, in media, dei genitori udenti dei bambini
Sordi, benché i genitori udenti spesso ricevano un aiuto da professionisti. Dunque, è
chiaro che sarebbeun errore inutile mettere i bambini Sordi a rischio di essere sottoposti
alle pratiche medicochirurgiche etichettando i Sordi come gruppo di disabili. Il terzo
argomento contro l’etichetta di disabile per il Mondo dei Sordi riguarda il rischio per il
Mondo dei Sordi nel suo insieme. La maggioranza delle persone nel Mondo dei Sordi ha
ereditato la propria etnicità, come avviene per altri gruppi etnici. L’eredità Sorda e
l’incapacità di comprendere lo status etnico delle persone che si identificano con la cultura
Sorda hanno per lungo tempo portato gli udenti a fare uno sforzo eugenetico per
controllare la prolificità dei genitori Sordi. Un cittadino britannico, Alexander Graham Bell,
fu la figura dominante nel diciannovesimo secolo negli sforzi per impedire la riproduzione
dei Sordi attraverso leggi di sterilizzazione modello, campagne per dissuadere i Sordi
adulti dallo sposarsi e dal procreare, e sforzi per scoraggiare la socializzazione e la
scolarizzazione delle persone Sorde con altre persone Sorde. In linea di principio,
potremmo cercare le basi genetiche dell’essere africano o asiatico, ad esempio. Non lo
facciamo. Ma dei programmi finanziati dal governo oggi ricercano le basi genetiche della
sordità e promettono, proclamano, di creare una società in cui non ci saranno più persone
Sorde. Quando dei ricercatori all’Università di Boston annunciarono che avevano
identificato un gene presente in molte persone nate sorde, il direttore dell’Istituto
Nazionale per la Sordità e Altri Disordini Comunicativi chiamò questa scoperta un
“progresso fondamentale che migliorerà la diagnosi e la consulenza genetica e che in
ultima analisi condurrà a una terapia di sostituzione o a una terapia di trasferimento dei
geni.” Lo scopo finale di sforzi come la terapia di trasferimento dei geni è, naturalmente,
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quello di ridurre le nascite di sordi, e infine di eliminarle del tutto. Immaginate il clamore se
degli scienziati medici sbandierassero un simile progresso per qualsiasi altra minoranza
etnica, promettendo una riduzione del numero dei bambini di quel gruppo etnico –
promettendo meno neri, meno ebrei, quale che sia il gruppo etnico. Perché gli italiani non
riescono a capire che un programma con l’effetto previsto di diminuire o sradicare la
minoranza Sorda è in realtà un genocidio? Forse gli italiani, come gli americani, non
riescono a vedere il pericolo di permettere un programma genocida perché la maggior
parte degli italiani considera le persone Sorde come disabili. E il progetto di sradicare la
disabilità, benché in alcune circostanze possa essere poco saggio o non etico, non viene
considerato un genocidio. Se le persone che si identificano con la cultura Sorda fossero
considerate come un gruppo etnico, esse avrebbero le protezioni offerte per questi gruppi.
È un principio etico comunemente accettato che la conservazione delle culture di
minoranza sia una buona cosa. La varietà del genere umano e delle culturearricchisce
tutte le culture e contribuisce al benessere biologico, sociale e psicologico del genere
umano. Le leggi e i trattati, come la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti delle
Persone che Appartengono a Minoranze Nazionali, Etniche, Religiose o Linguistiche, si
fondano sull’idea che proteggere le culture di minoranza sia un valore. La Dichiarazione
esorta gli stati a prendersi cura delle proprie minoranze linguistiche e ad assicurare che i
bambini e gli adulti abbiano opportunità adeguate di imparare la lingua della minoranza.
Afferma inoltre il diritto di tali minoranze a godere della propria cultura e della propria
lingua e a partecipare alle decisioni a livello nazionale che le riguardano. I programmi che
riducono sostanzialmente le culture di minoranza stanno effettuando un genocidio e
possono costituire dei crimini contro l’umanità. Dal momento che sono un gruppo etnico la
cui lingua e i cui costumi sono stati sottovalutati così a lungo, le persone Sorde provano
solitamente solidarietà per gruppi come i disabili, gli anziani, le donne, i neri e così via. Le
persone Sorde hanno delle ragioni speciali per sentirsi solidali con persone con difficoltà
di udito;; il loro numero, quando vengono sommati, ha consentito di creare dei servizi, delle
commissioni e delle leggi che probabilmente il Mondo dei Sordi da solo non avrebbe
potuto ottenere così rapidamente. Solidarietà sì, ma, quando le persone che si identificano
con la cultura Sorda permettono che la loro identità etnica sia messa sotto l’etichetta di
disabilità, si preparano ad accettare soluzioni sbagliate e ad andare incontro ad amare
delusioni. Il Mondo dei Sordi corre dei gravi rischi ad adottare l’etichetta di disabile. Se i
Sordi in Italia dovessero scegliere di allinearsi con i disabili, questo spingerebbe gli italiani
ad adottare un modo di vedere che darebbe luogo a soluzioni a cui le persone Sorde si
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oppongono. È perché i sostenitori della disabilità considerano i bambini Sordi disabili che
essi vogliono chiudere le scuole speciali per Sordi e gettare assurdamente i bambini nelle
classi di udenti in un programma detto di “inclusione” e che invece esclude
completamente. È perché si permette al governo di procedere con l’idea che le persone
che si identificano con la cultura Sorda sono disabili che le scuole con un gran numero di
bambini che usano l’ASL non ricevono alcun finanziamento speciale mentre le scuole con
bambini che appartengono a qualsiasi altra minoranza linguistica sì. È a causa dell’idea
che le persone Sorde siano disabili che gli insegnanti più capaci di comunicare con i
bambini Sordi, per la maggior parte insegnanti Sordi, sono esclusi dalla professione con il
pretesto che essi hanno una disabilità che li rende inadatti. L’interruzione della
comunicazione continua ad accadere in Italia e negli Stati Uniti in quanto i bambini Sordi
vengono mandati in numeri sempre maggiori nelle scuole per udenti. La
chirurgiadell’impianto cocleare, che ritarda la comunicazione effettiva nella lingua dei segni
senza offrire in cambioal bambino sordo fin dalla tenera età alcuna comunicazione orale
significativa, è diventata una minaccia consistente. I nostri programmi educativi per
bambini non offrono né abilità orali né educazione. Questo fallimento dell’istruzione
scolastica era iniquo in passato ma non così disastroso. Lo slogan dell’Associazione
Nazionale dei Sordi negli Stati Uniti era: “I lavoratori Sordi sono buoni lavoratori.”
Nonostante i limiti nella loro istruzione scolastica, i Sordi adulti divenivano spesso dei
cittadini affluenti e che avevano successo. Ma oggi ricevere un’istruzione scolastica
inefficace per le persone Sorde ha conseguenze molto peggiori. Viviamo tutti in un mondo
sempre più tecnologico. Quasi tre quarti di tutti i lavori richiedono oggi una preparazione
che va oltre il diploma della scuola media superiore. Ora i lavori richiedono una forza
lavoro con un’educazione media di 13 anni e mezzo. Questo vuol dire che in media i
lavoratori che ottengono questi lavori sono andati all’università. Attenzione, non per
diventare dei capi, ma per portare a casa lo stipendio. I lavori che molte persone Sorde
hanno oggi sono quelli che pagano meno e quelli che crescono più lentamente
nell’economia. Questi lavori vengono rimpiazzati da lavori che richiedono livelli più alti di
abilità matematiche, linguistiche e di ragionamento. In Italia, come in America, non esiste
cosa più importante per i bambini Sordi di quella di assicurargli un’istruzione efficace da
parte di coloro che sono come loro, dei loro genitori, dalla comunità e delle scuole,
attraverso l’uso della lingua dei segni nazionale. Il linguaggio migliore per il bambino
Sordo, la lingua dei segni, può essere usato per l’istruzione in innumerevoli situazioni.
Tuttavia, c’è una situazione che è privilegiata rispetto alle altre: l’istituto. Gli istituti per i
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bambini Sordi forniscono un anello fondamentale per la trasmissione della cultura Sorda e
della lingua dei Sordi, che è poi la ragione per cui il Mondo dei Sordi negli Stati Uniti si
oppone allo smantellamento degli istituti, mentre la lobby della disabilità vuole sbarazzarsi
di queste scuole speciali. Se la lingua e l’identità di un bambino sono legate alla cultura
dominante e quel bambino può crescere felicemente nella scuola locale, allora il bambino
dovrebbe stare lì. Ma nove bambini sordi su dieci sono parte del Mondo dei Sordi. Essi
hanno per nascita un’eredità unica e richiedono di essere messi insieme per godere dei
benefici del loro patrimonio. Questa è la ragione per cui i bambini Sordi e gli adulti Sordi
stanno insieme volontariamente, mentre lo stare insieme di bambini e adulti disabili è
solitamente involontario.
1.7 L’impianto cocleare e la “cultura sorda”
Una storia sul duplice status della sordità (disabilità e identità culturale) racconta la
complessità di un lungo dibattito, e le sue implicazioni per alcuni genitori. Derek e
Christine Reid sono i genitori di Ellie, una bambina di tre anni e mezzo con una sordità
profonda la cui diagnosi è stata ipotizzata dopo un test uditivo, nei primi giorni di vita di
Ellie, e confermata con un esame più approfondito tre settimane più tardi. Si ritiene che
oltre il 90 per cento delle persone nate con questo genere di deficit sensoriale abbia
genitori con un udito normale, come nel caso dei Reid. In seguito alla diagnosi, e a fronte
dell’inefficacia delle protesi acustiche per il caso di Ellie, i Reid hanno dovuto prendere in
tempi relativamente stretti una decisione che si pone per tutti i genitori nella loro
situazione: se sottoporre Ellie a un intervento chirurgico per impiantare una coclea
artificiale, e poi pianificare un trattamento logopedico per l’apprendimento della lingua
scritta e parlata;; o se considerare da subito la lingua dei segni – a loro completamente
sconosciuta – la lingua “naturale” destinata a Ellie;; o se provare a fare entrambe le cose,
seguendo un modello “bilingue”. I Reid vivono a Braintree nel Massachusetts, una ventina
di chilometri a sud di Boston. La loro storia è simile a quella di altre famiglie ed è stata
raccontata dalla giornalista scientifica americana Sujata Gupta per Matter, un magazine
online di scienza e tecnologia pubblicato sulla piattaforma “Medium”. In passato Gupta ha
anche scritto e lavorato per riviste di settore come Nature, New Scientist e Scientific
American, e per un pubblico più vasto su New Yorker e Wired. L’articolo descrive diversi
aspetti di un vasto e trasversale dibattito esistente anche in Italia: quello che riguarda il
trattamento della sordità sul piano sociale e la considerazione della lingua dei segni,
tenuto conto della profondità storica e della produzione artistico-culturale dei gruppi che
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apprendono e utilizzano questa lingua. Alcune di queste persone reputano oggi ostile e
dannoso nei confronti della loro minoranza linguistica il fatto che diversi genitori udenti,
ritenendo la sordità dei loro figli un deficit a tutti gli effetti, decidano in molti casi di ricorrere
all’impianto cocleare e di sottrarre se stessi e i propri figli all’apprendimento della lingua
dei segni, causandone – volontariamente o involontariamente – un progressivo
impoverimento. Anche causa della complessa stratificazione del fenomeno e delle
oggettive difficoltà nelle rilevazioni su larga scala, non esistono statistiche univoche e
sufficientemente aggiornate sulla sordità. In Italia, secondo i dati citati più frequentemente,
le persone sorde sono in un numero compreso tra 60 mila e 70 mila (perdite dell’udito più
o meno gravi, in generale, interessano invece molte più persone: circa l’8-10 per cento
della popolazione, in diverse fasce d’età). Negli Stati Uniti le persone con problemi di udito
sono oltre 38 milioni (circa il 13 per cento della popolazione) e quelle tecnicamente sorde
– non in grado di ascoltare una voce in modo comprensibile – sono almeno 550 mila.
Circa 250 mila sono le persone che utilizzano la lingua dei segni.Le cause della sordità
non sono ancora del tutto chiare: esistono sordità ereditarie, pre e postnatali;; sordità
acquisite, a causa di malformazioni congenite, tossiche o dismetaboliche;; e sordità
“perinatali”, cioè subentrate alla nascita a causa di traumi, parti prematuri o altre
complicazioni. Due giorni dopo la sua nascita, Ellie fu sottoposta da un tecnico del
personale ospedaliero a uno screening audiologico (un’indagine per una diagnosi precoce)
per rilevare eventuali deficit uditivi: pur non essendo doloroso, viene preferibilmente fatto
mentre il neonato dorme, ma in questo caso la neonata era sveglia. Il tecnico inserì nel
condotto uditivo esterno delle orecchie di Ellie due piccoli auricolari: emettono un suono
prolungato e, perché il test sia superato, devono registrare la risposta della coclea, una
delicata parte dell’orecchio interno – a forma di chiocciola – che percepisce il segnale
acustico e lo traduce in impulso nervoso. Nel caso di Ellie l’apparecchio non registrò
alcuna risposta. Il tecnico aveva rassicurato i Reid sul fatto che l’assenza di risposta della
coclea non significa necessariamente deficit uditivi: a volte il pianto del neonato può
interferire con l’esito del test, altre volte c’è del liquido nelle orecchie che impedisce di
effettuare correttamente la rilevazione. Ad ogni modo, per escludere una diagnosi di
sordità, ai Reid fu suggerito di portare Ellie in clinica per un successivo controllo entro
poche settimane. Il risultato del primo screening non ha valore diagnostico, appunto, ma
segnala l’eventuale necessità di valutazioni ed esami più accurati e approfonditi. In Italia –
in assenza di un protocollo sanitario condiviso a livello nazionale, e al netto dei recenti e
incoraggianti progressi di un programma nazionale autonomo di screening audiologico nei
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reparti di neonatologia – il controllo dell’udito non sempre e non in tutte le regioni è
compreso tra i controlli abitualmente effettuati sui neonati nei primi giorni e nelle prime
settimane di vita. E già da diversi anni il Ministero della Salute ha indicato la necessità che
la diagnosi precoce delle sordità congenite rientri stabilmente nelle buone pratiche cliniche
di assistenza ai neonati. Al Braintree Rehabilitation Center, dopo essere stata allattata da
Christine, Ellie si addormentò e gli addetti del reparto di otorinolaringoiatria poterono
esaminare approfonditamente la parte interna delle sue orecchie e monitorare l’attività
cerebrale connessa agli stimoli acustici. Dopo oltre due ore di esami, l’audiologa uscì dalla
stanza e rientrò con una pila piuttosto alta di opuscoli informativi, dicendo a Christine,
madre di Ellie: «sua figlia ha una sordità profonda». Gli esami avevano mostrato
l’incapacità di Ellie di sentire qualsiasi suono al di sotto dei 120 decibel (dB): le normali
conversazioni avvengono solitamente intorno ai 60 dB. Per Ellie, in base a questi risultati,
“un colpo di pistola sarebbe stato niente più che un sussurro”. La classificazione della
sordità – lieve, media, grave e profonda – è solitamente fatta sulla base dei risultati di
appositi esami audiometrici che quantificano la perdita uditiva in termini di decibel: si parla
di sordità profonda quando la soglia di percezione uditiva è pari o maggiore a 90 dB
(valutata su una scala di frequenze da 125 a 4.000 Hertz). In pratica chi presenta sordità
profonda è in grado di sentire, piuttosto lievemente, soltanto rumori talmente forti da
essere percepiti da tutto il corpo attraverso le vibrazioni. Il quadro clinico di Ellie è quello in
cui si ricorre più frequentemente a un intervento chirurgico per impiantare una coclea
artificiale, un dispositivo che svolge le stesse funzioni della coclea biologica: è composto
da un trasmettitore digitale, un processore di suoni e un microfono esterno posto su un
supporto retroauricolare (in questo video è spiegato più estesamente come funziona). Non
va confuso con le protesi acustiche, o apparecchi acustici, il cui utilizzo è indicato ed
efficace soltanto nei casi di sordità meno gravi, quelli in cui l’udito è compromesso ma non
funzionalmente assente. Decidere se ricorrere o no all’impianto cocleare non è una scelta
così semplice come potrebbe sembrare, e non lo fu neppure per i Reid. La coclea
artificiale, scrive Matter, non è ancora uno strumento perfetto: dopo l’impianto e dopo il
necessario e paziente lavoro di “mappatura” del dispositivo, l’ascolto e la comprensione
delle conversazioni quotidiane può a volte rivelarsi un’operazione comunque complicata
per il paziente, soprattutto in presenza di molti rumori ambientali di sottofondo. Inoltre,
come i Reid scoprirono cercando maggiori informazioni, l’impianto cocleare avrebbe
potuto – in un senso molto stretto e particolare – “escludere” Ellie da una cultura che,
secondo alcuni, le spettava come una sorta di diritto di nascita: la “cultura sorda”, le cui
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espressioni sono prevalentemente realizzate nella lingua dei segni e in cui la mancanza
dell’udito, spiega la giornalista di Matter, non è vista come una disabilità da curare ma
come un’identità da apprezzare. Tra gli udenti sono davvero in poche le persone a
conoscenza della vitalità e profondità della cultura Sorda. È un mondo con le sue
convenzioni sociali e le sue regole. Possiede linguaggi – le tante diverse forme di segno –
ricchi e con sfumature come qualsiasi lingua parlata. E come qualsiasi cultura ha un modo
proprio di tramandare la storia. Esistono compagnie teatrali dei sordi, festival del cinema
dei sordi e spettacoli comici dei sordi. E non si tratta di copie delle versioni per udenti, con
i segni al posto del parlato. L’esperienza condivisa della sordità, e la natura fisica del
segno, rende l’arte dei sordi differente in un senso che la maggior parte degli udenti non
può cogliere. Essendo nata da genitori udenti, la gran parte delle persone con sordità
profonda non apprende questa cultura in famiglia: la conosce, e in un certo senso la
“costruisce”, attraverso le frequentazioni con maestri e compagni nella stessa condizione.
L’impianto cocleare rende questa scoperta meno probabile, sostengono molte persone
all’interno della cultura sorda. E questa tendenza è da alcuni definita persino “un processo
di genocidio culturale”, spiega Matter. Le prime e più rilevanti attestazioni storiche delle
lingue dei segni – che mancano di una forma scritta e presentano, come le lingue parlate,
differenze piuttosto marcate da paese a paese – risalgono alla seconda metà del XVIII
secolo in Francia, quando cominciarono a sorgere le prime scuole di insegnamento per i
sordi. Tra queste la più importante fu fondata nel 1760 a Parigi dall’abate Charles-Michel
de l’Épée, autore di un metodo di istruzione che ebbe un’ampia diffusione anche al di fuori
della Francia (negli Stati Uniti e in Italia). Nel 1817, infatti, il reverendo americano Thomas
Hopkins Gallaudet – con la collaborazione di Laurent Clerc, uno dei migliori allievi e poi
maestri di quella scuola francese – fondò a Hartford, nel Connecticut, la American School
for the Deaf, tra i primi e più noti istituti americani per l’insegnamento della Lingua dei
segni. È per questa ragione storica, per capirci, che l’American sign language (ASL) e la
Langue des signes française (LSF) hanno più rapporti e somiglianze linguistiche di quanto
l’ASL non ne abbia con il British sign language (BSL), diversamente da quanto avviene per
le lingue vocali. In seguito e per lungo tempo, tuttavia, l’insegnamento e l’uso delle lingue
dei segni negli Stati Uniti furono aspramente criticati e contrastati da un movimento
d’opinione maggioritario contrario alla diffusione di questa lingua, non riconosciuta come
tale e ritenuta piuttosto un ostacolo all’integrazione delle persone sorde nella società. Per
questo motivo, dopo il Congresso internazionale degli insegnanti dei sordi svolto a Milano
nel 1880, fu favorito un approccio metodologico “oralista” – basato sull’insegnamento della
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lingua parlata e sulla lettura del labiale – di cui lo scienziato, inventore ed educatore
americano Alexander Graham Bell fu uno dei promotori più attivi e convinti. Soltanto negli
anni Settanta del Novecento, a partire dagli studi del linguista William Stokoe, nelle lingue
dei segni furono individuati e analizzati – al di là delle funzioni comunicative e sociali –
aspetti grammaticali, fonologici, sintattici e lessicali assimilabili a quelli delle lingue parlate.
“La gente cominciò a parlare della cultura Sorda (Deaf culture), con la ‘s’ maiuscola per
distinguere la cultura dalla condizione”, sintetizza Matter, e le lingue dei segni
cominciarono sempre più spesso a essere oggetto non soltanto di studi accademici ma
anche di maggiori attenzioni nella cultura di massa. Nel 1968 fu fondato il National Theatre
of the Deaf, la prima compagnia teatrale americana le cui produzioni erano composte in
lingua dei segni e lingua inglese, per favorire – secondo lo statuto stesso della compagnia
– l’integrazione tra le due diverse culture linguistiche. Inoltre, in uno dei maggiori spettacoli
televisivi per bambini, Sesame Street (quello con i pupazzi Muppet), cominciò a comparire
stabilmente l’attrice statunitense sorda Linda Bove, nella parte di una blibliotecaria sorda
che usava la lingua dei segni. Nel 1987, poi, l’attrice sorda Marlee Matlin vinse l’Oscar
come migliore attrice protagonista per la sua interpretazione di una giovane dipendente di
un istituto per sordi in Figli di un dio minore, un film con l’attore William Hurt – con il quale
Matlin ebbe allora una relazione – che raccontò e descrisse a milioni di spettatori nel
mondo la realtà sempre più diffusa della lingua dei segni. In anni recenti Matlin ha avuto
altre parti in serie televisive molto note come West Wing, Desperate Housewives e
Seinfeld. Insieme ai temi legati alla sordità e alla lingua dei segni, presto cominciarono a
emergere alcune avversioni all’interno delle comunità sorde nei riguardi di quella parte di
opinione pubblica comunque incline a considerare la sordità una menomazione, una
condizione fisiologicamente deficitaria da “correggere”. Un episodio significativo delle
difficoltà di integrazione tra i due modelli di pensiero capitò alla stessa Marlee Matlin, che
comprende e parla anche la lingua inglese (è sorda dall’età di un anno e mezzo, e
conserva un udito molto residuo). Alla cerimonia degli Oscar del 1988, e cioè l’anno dopo
il successo di Figli di un dio minore, fu invitata a premiare la migliore interpretazione
maschile. Dopo aver introdotto il premio usando la lingua dei segni, presentò le nomination
e premiò Michael Douglas usando la voce in un modo pienamente comprensibile, per
quanto privo di alcuni tratti soprasegmentali. Per aver scelto di parlare in quell’occasione,
Matlin ricevette numerose critiche da quella parte della comunità dei sordi che vedeva in
lei la rappresentante ideale di un modello culturale composto da persone segnanti, non
necessariamente costrette a parlare per sentirsi integrate nella società. Intanto, verso la
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fine degli anni Ottanta, lo sviluppo tecnologico e la progressiva diffusione dei primi impianti
cocleari favorirono una riconsiderazione positiva dell’approccio “oralista” puro, secondo la
teoria per cui i bambini sordi eventualmente dotati di coclea artificiale in età infantile
potessero apprendere la lingua scritta e parlata al modo dei bambini udenti. Non è
esattamente la stessa cosa, ricorda Matter: tecnicamente l’impianto cocleare non
“aggiusta” niente: è una protesi a tutti gli effetti, che viene solitamente disattivata durante
la notte e in altri momenti della giornata. Per sottolineare le differenze che sussistono tra
l’approccio “oralista” e quello “segnista” – benché una parte del dibattito sia oggi incline a
non considerarli incompatibili – Matter riporta il caso di una ragazza dell’Arizona sorda
dalla nascita, cresciuta imparando l’inglese scritto e parlato, e poi sottoposta da ragazza
anche all’intervento per impiantare la coclea artificiale, prima di conoscere – soltanto a 17
anni – la lingua dei segni per la prima volta. Sul suo blog scrive: Prima che imparassi la
Lingua dei segni americana (ASL) e che fossi parte della comunità dei Sordi, mi sentivo
come se stessi vivendo in un vecchio film straniero in cui niente era chiaro, in cui il mondo
era come attutito, in cui ero sola, senza amici, senza vera comprensione. Ero capace di
afferrare una parola ogni tanto, di capire alcune cose semplici, ma mai fluentemente, mai
con la capacità di cogliere le cose realmente. Quando ho imparato l’ASL e sono diventata
parte della mia comunità di sordi, il mio mondo ha improvvisamente trovato colore,
vivacità, comprensione continua, scambio di idee. Una parte della cultura sorda ritiene che
l’esistenza stessa dell’impianto cocleare sia l’effetto di un pregiudizio teorico: che una
persona sorda abbia bisogno di una “cura”: è un tema, quello dell’alternativa tra
menomazione e diversità, tra omologazione e convivenza, che ha investito nella storia
molte identità. Alcuni sordi utilizzano il termine “audismo” per riferirsi a questo tipo di
atteggiamento per loro discriminatorio. Parlando con un’attivista del gruppo Audism Free
America, la giornalista di Matter ha scoperto che – quando emerge la nozione di cura –
alcuni membri del gruppo accomunano i pregiudizi nei loro riguardi a quelli nei confronti
dei neri o dei gay. Potrebbe essere vista come un’analogia un po’ forzata, segnala la
giornalista, visto che la sordità è pur sempre l’assenza di un senso chiave. Ma Karen
Christie, attivista del gruppo, rigettando l’idea della sordità come senso assente, sostiene:
“Le persone [nere] non mancano della bianchezza. Io sono una donna, non sono una
senza-pene”. Esistono anche posizioni molto meno nette e rigide, all’interno della cultura
sorda. Matter sostiene di avere ricevuto indirettamente informazioni riguardo diverse
famiglie composte da genitori entrambi sordi che hanno scelto l’impianto cocleare per i
loro figli sordi (e a volte anche per se stessi). Trevor Johnston, esperto in linguistica delle
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lingue dei segni alla Macquarie University di Sydney, in Australia, è una persona udente
cresciuta con familiari sordi. In un suo articolo del 2005 sosteneva che la perdita di alcune
comunità sorde e delle loro lingue dei segni sarebbe “una inequivocabile tragedia culturale
e linguistica”, ma poi tirava una conclusione su cui, secondo Matter, gran parte delle
persone udenti si troverebbe d’accordo: “Io, per primo, non potrei garantire la
perpetuazione di una cultura e di una lingua fondate, in ultima istanza, su una disabilità”.
Secondo Aaron Kelstone, direttrice del programma di arti performative al National
Technical Institute for the Deaf di Rochester (stato di New York), è possibile che la cultura
sorda sopravviva ai margini, cioè tra fasce della popolazione e in zone del mondo – Africa,
sud-est asiatico, America Centrale – in cui, per ragioni di disponibilità, la scelta tra
impianto cocleare e lingue dei segni neanche si pone.
Mentre erano alla ricerca di informazioni per prendere in modo preparato e consapevole la
scelta migliore per la loro figlia, Christine e Derek Reid conobbero un particolare metodo
“bilingue” del Learning Center for the Deaf, una scuola per sordi di Framingham, in
Massachusetts. I maestri del Learning Center for the Deaf hanno una filosofia piuttosto
chiara riguardo l’educazione dei bambini sordi: insegnare la lingua dei segni come lingua
madre e far sviluppare competenze nella lettura e scrittura dell’inglese come seconda
lingua (parlarla non è giudicato indispensabile). Si tratta, chiaramente, di una soluzione
che richiede grande impegno da parte della famiglia del bambino oltre che l’accettazione
di una serie di compromessi e rinunce. Favorire l’ingresso di Ellie nella cultura sorda da
subito implicava per i Reid la possibilità di un loro inevitabile allontanamento sul piano
della comunicazione, almeno da un certo punto in poi. Per quanto bene potessero
imparare la lingua dei segni alla loro età, i genitori di Ellie erano consapevoli che non
avrebbero verosimilmente potuto raggiungere più di un livello intermedio di competenza
linguistica, come conferma Barbara Herrmann, un’audiologa alla Massachusetts Eye and
Ear Infirmary. I genitori udenti che accettano di favorire al più presto l’ingresso di un loro
figlio sordo nella cultura sorda si trovano di fronte a questo rischio: se le loro capacità di
“segnare” non miglioreranno fino a certi livelli, a un certo punto non saranno in grado di
rivolgersi a loro figlio nella lingua in cui lui si sente più a suo agio. E d’altra parte, senza un
impianto cocleare, Ellie avrebbe dovuto imparare a leggere e a scrivere in una lingua
(l’inglese) che non aveva mai ascoltato, con tutte le difficoltà del caso e con pesanti e
inevitabili ricadute sulla sua futura vita sociale e professionale al di fuori della cultura
sorda. È per questo motivo che i Reid hanno deciso di non rinunciare a nessuna delle due
strade possibili, pur consapevoli che Ellie in questo modo non avrebbe fatto parte della
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cultura sorda nel senso più radicale (cioè senza impianto cocleare). A febbraio 2013, Ellie
Reid ha fatto l’intervento di impianto della coclea artificiale per entrambe le orecchie.
“Preferisco che Ellie ci detesti perché siamo andati avanti con questa decisione senza il
suo permesso, piuttosto che detestarci per non averle mai dato questa possibilità”, ha
detto suo padre Derek. Poco dopo l’intervento e la mappatura dell’impianto cocleare, i
Reid hanno iscritto loro figlia al Learning Center for the Deaf, dove Ellie sta comunque
imparando la lingua dei segni americana come sua prima lingua. Per il momento Ellie non
porta l’impianto cocleare tutto il giorno: ne fa uso principalmente durante i suoi esercizi di
ascolto in casa, guardando la televisione. I genitori si rivolgono a lei sia in lingua dei segni
sia parlando inglese. Christine è consapevole del fatto che, nonostante l’impegno e tutto,
non sarà un percorso facile. Però non si scoraggia e non si pone obiettivi troppo specifici
per Ellie. «Se imparerà ad ascoltare e a parlare, ottimo. E se non riuscirà, va bene lo
stesso. Se è una segnante allora è una segnante», ha detto alla giornalista di Matter, che
conclude l’articolo scrivendo:I Reid non hanno scelto di avere una figlia sorda, o di essere
spinti in una cultura a loro estranea. Sanno che Ellie potrebbe scegliere un mondo che è
oltre la loro possibilità di raggiungerlo. La cosa migliore che Christine e Derek possono
fare è dare a Ellie l’accesso alla sua eredità culturale di Sorda – un riparo, se dovesse
servirle, da un mondo udente in cui potrebbe non sentirsi mai pienamente a casa. E se
facendo questo contribuiscono per di più a tenere viva la cultura Sorda, allora tanto
meglio.
1.8Una nuova ricerca
La ricerca, pubblicata su ‘Science Translational Medicine’, apre speranze per lo sviluppo di
nuove cure. Lo studio, sui topo da laboratorio, apre la strada a nuove cure contro la
sordità. E’ un passo in avanti significativo verso il trattamento di alcune forme di sordità.
Un gruppo di scienziati svizzeri e statunitensi è riuscito a dimostrare sulle cavie da
laboratorio che, grazie a un virus, è possibile correggere il difetto genetico alla base di
molti casi di sordità, ripristinando in alcuni casi l’udito. I difetti nel Dna sottendono a circa la
metà dei casi di perdita dell’udito nella prima infanzia. La ricerca sui topi, secondo gli
esperti, potrebbe portare a trattamenti specifici nell’arco di un decennio. L’équipe medica
si è concentrata sui piccoli peli all’interno dell’orecchio. Convertono i suoni in segnali
elettrici che possono essere interpretati dal cervello. Ma le mutazioni nel nostro Dna
rendono questi peli incapaci di creare il segnale elettrico, impedendo alle persone di
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sentire. Il gruppo di ricerca ha dunque sviluppato un virus geneticamente modificato che
‘infetta’ le cellule ciliate e corregge l’errore. Il sistema è stato testato su topi
“profondamente sordi, che non si sarebbero accorti della musica nemmeno a un concerto
rock ad alto volume (115 decibel)”, spiegano. L’iniezione del virus nelle orecchie ha
portato a un “sostanziale miglioramento” dell’udito, anche se non a livelli normali: gli
animali sono arrivati a sentire l’equivalente del rumore all’interno di una macchina in
movimento (85 decibel). I roditori hanno anche modificato il loro comportamento in
risposta ai suoni durante lo studio, durato 60 giorni. Lo studio ha ‘riparato’ una mutazione
in un gene chiamato Tmc1, che sottende a circa il 6% dei casi di sordità familiare. Il
problema è che esistono più di 100 geni che sono stati collegati a questo disturbo, per
questo gli autori sono prudenti: “Siamo cautamente ottimisti – dice Jeffrey Holt del Boston
Children’s Hospital – ma non vogliamo dare false speranze. Sarebbe prematuro dire che
abbiamo trovato una cura. In un futuro non troppo lontano, però, il nostro potrebbe
diventare un trattamento per la sordità genetica, quindi è un dato importante”.
BIBLIOGRAFIA
• Centro di documentazione per l’integrazione, via Marconi 47 Crespellano (Bologna) tel. 051 964054 e-mail: cdi@comune.crespellano.bo.it;; metodo bilingue, metodo bimodale e italiano segnato.
• Un pò di storia della sordità per riflettere sul presente;; Lingua dei segni, un progetto dei segni per il suo riconoscimento di Stefania Delendati.
• L’impianto cocleare e la “cultura sorda” di Antonio Russo @il mondosommerso. • Ricerca su “Scienze Translational Medicine”: un virus cura la sordità. • L’identità sorda attraverso il linguaggio di Maria Tagarelli De Monte. • Etnicità, etica e il mondo dei sordi di Harlan Lane. Northeastern University, Boston MA
02115 USA. (Traduzione dall’inglese di Sandro Zucchi). • Il sordomutismo: evoluzione storica e successi nei secoli. G. Caramia, Primario Emerito di
Pediatria e Neonatologia Azienda Ospedaliera “G. Salesi” – ANCONA. • Convenzione Onu per disabili. Stampato per il Ministero della solidarietà sociale nel mese
di novembre 2007 da S.UP.E.MA. s.r.l. Via Dei Piani di Monte Savello, 34 - 00041 Pavona di Albano Laziale (Roma) www.supemasrl.it
• Manuale leggi in favore della persona con problemi di udito di Umberto Ambrosetti.
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2. Aspetti fisici e fisiopatologia del sistema uditivo (Carmen Maccarrone)
Il sistema uditivo è il primo dei cinque organi di senso a svilupparsi nel feto e a favorire il
contatto con l'ambiente esterno. Il sistema comprende sia gli organi sensoriali (orecchie,
organi preposti alla percezione e alla traduzione del suono), sia le parti uditive del sistema
sensoriale. Il sistema uditivo periferico inizia con l'orecchio ed è deputato alla prima fase
della trasduzione del suono. Questi primi componenti del sistema uditivo non fanno
direttamente parte del sistema nervoso, tuttavia sono strettamente connessi ad esso.
Eseguono la trasduzione meccanoelettrica delle onde pressorie sonore in potenziali
d'azione neuronali.
L'orecchio è suddiviso in tre parti: esterno, medio e interno.
• L'orecchio esterno è composto dal padiglione auricolare che comprende la pinna, la
conca e il meato uditivo. Il padiglione auricolare è l'unica parte visibile dell'orecchio,
è costituito da cartilagine rivestita dalla pelle e presenta vari solchi e rilievi. La sua
funzione è quella di raccogliere i suoni per convogliarli nel condotto uditivo. Le onde
sonore vengono riflesse e attenuate quando colpiscono il padiglione auricolare, e
questi cambiamenti forniscono ulteriori informazioni che aiuteranno il cervello a
determinare la direzione da cui provenivano i suoni.
Le onde sonore entrano nel canale uditivo, un semplice condotto le cui pareti sono
ricoperte del cerume, una sostanza lubrificante e protettiva e che viene espulsa
fuori dal condotto tramite delle ciglia presenti sulle cellule che rivestono il condotto
ed effettuano la cosiddetta autodetersione[1]. Ha la funzione di mettere in
comunicazione la conca del padiglione auricolare con l'orecchio medio. Il condotto
uditivo amplifica i suoni che si collocano tra i 3 e i 12 kHz. Al fondo del condotto
uditivo è posizionata la membrana timpanica, che segna l'inizio dell'orecchio medio.
• L'orecchio medio misura appena un centimetro cubo di spazio e la sua funzione è
quella di risolvere un problema fisico. Le onde sonore liberate nell'aria viaggiano ad
una bassa impedenza mentre nell'orecchio interno vi è del liquido. Dal momento
che l'impedenza dell'acqua è maggiore di quella dell'aria il suono rischia di non
arrivare a destinazione (in questo caso per impedenza si intende un mezzo che
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rallenta/impedisce il movimento). La soluzione a questo problema è data dunque
dall'orecchio medio, il quale amplifica il suono di circa 20 volte e lo convoglia
all'orecchio interno. Le onde sonore che viaggiano attraverso il canale uditivo vanno
infatti a colpire la membrana timpanica o timpano e la mettono in vibrazione.
Questa informazione onda viaggia attraverso la cavità dell'orecchio medio piena
d'aria attraverso una serie di ossa delicate: il martello, l'incudine e la staffa. Il
martello è intimamente collegato alla membrana timpanica, mentre la staffa, l'ultimo
degli ossicini, è articolato direttamente con la finestra ovale dell'orecchio interno.
Questa serie di ossicini agisce come una leva, convertendo le vibrazioni sonore del
timpano (a bassa pressione) in vibrazioni sonore ad alta pressione che vengono
proprio trasmesse alla piccola membrana rappresentata dalla finestra ovale (o
ellittica). La necessità di una maggiore pressione in corrispondenza della finestra
ovale rispetto alla membrana timpanica si spiega con il fatto che nell'orecchio
interno (al di là della finestra ovale) è contenuto del liquido e non più
semplicemente aria. Grazie all'azione di leva degli ossicini, i movimenti della
membrana timpanica, provocati dal suono, vengono così amplificati e trasmessi
all'orecchio interno in tutta la sofisticata ricchezza dei suoni, da quelli singoli a quelli
di un'intera orchestra. Il riflesso stapediale dei muscoli dell'orecchio medio aiuta a
proteggere l'orecchio interno da possibili danni, riducendo la trasmissione di energia
sonora quando il muscolo stapedio viene attivato in risposta al suono.
Evidentemente nell'orecchio medio le informazioni audio sono ancora contenute in
forma d'onda: la conversione in impulsi nervosi avviene nell'orecchio interno, grazie
alla coclea.
• L'orecchio interno è costituito dal labirinto osseo, un complicato sistema di cavità
che risultano scavate nello spessore dell'osso temporale, e dal labirinto
membranoso, un insieme di organi cavi delimitati da pareti connettivali che
contengono del liquido (endolinfa) e che comunicano fra loro. Il labirinto è rivestito
internamente da epitelio. La coclea (chiocciola ossea) si compone di tre sezioni
piene di liquido (scala vestibolare, scala media con il condotto cocleare, e la scala
timpanica) divise da membrane e supporta un'onda di fluido dovuta alla pressione
che si scarica attraverso la membrana basilare, interposta tra la lamina spirale e la
superficie interna del canale cocleare osseo. L'orecchio interno si divide
dall'orecchio medio tramite la finestra ovale e quella rotonda, che si trovano all'inizio
52
della coclea. La coclea è alta circa 10 mm e lunga 35. Questa struttura viene
definita anche "chiocciola" o "chioccia", poiché si avvolge per due giri e mezzo
attorno al modiolo, il suo centro. All'interno della coclea si trova l'organo del
Corti collocato su questo condotto sulla membrana basilare. Si tratta di una
particolare struttura caratterizzata dalla presenza di numerose cellule ciliate,
deputata a trasformare le onde meccaniche in segnali elettrici di tipo neuronale.
Altre due importanti sezioni di questo organo uditivo sono conosciute con il nome di scala
timpanica e scala vestibolare. Queste ultime due strutture si trovano all'interno del labirinto
osseo, che viene riempito con un fluido chiamato perilinfa, simile nella composizione al
liquido cerebrospinale. La differenza chimica tra i fluidi perilinfatici ed endolinfatici è
importante per la funzione dell'orecchio interno, a causa di differenze di potenziale
elettrico indotte da differenti concentrazioni tra ioni potassio e calcio. La vista di una coclea
umana sezionata (similmente a quanto avvale per i mammiferi e la maggior parte dei
vertebrati) mostra che lungo la sua lunghezza vengono percepite frequenze specifiche. In
particolare è stato verificato che la frequenza è una funzione esponenziale della lunghezza
della coclea all'interno dell'organo di Corti. In alcune specie, come i pipistrelli e delfini, il
rapporto si espande in aree specifiche per permettere la loro capacità di sonar attivo.
Il suono è una forma di energia che si trasmette attraverso un’onda pressoria
longitudinale. Si tratta di una serie di compressioni e rarefazioni delle molecole di un
mezzo che può essere solido, liquido o gassoso. Esso può essere descritto in base alla
sua frequenza, intensità e alle sue proprietà temporali. L’intensità del suono viene
percepita come loudness ed è misurata in una scala logaritmica la cui unità di misura è il
decibel (dB). Per poter parlare di intensità sonora l’unità di riferimento è stata definita
attraverso l’uso di uno standard che è rappresentato dallo 0dB che corrisponde ad un
livello di pressione sonora (sound pressure level – SPL) di 0.0002 dynes/cm2 (o 10
Watt/m) Data l’enorme variazione di livelli di pressione sonora udibili dall’uomo si è infatti
convenzionalmente introdotta una scala logaritmica rappresentata dal decibel nella quale
si opera una compressione del campo di pressioni sonore udibili dall’orecchio umano. Un
incremento di soli 6dB è percepito come il doppio dell’intensità di un suono. I suoni sono
inoltre caratterizzati dalla loro frequenza. La frequenza di un particolare suono è in
relazione al numero di cicli per secondo dell’onda sonora e si misura in Hertz (1 Hertz = 1
ciclo per secondo). L frequenza di un suono viene percepita come altezza di quel suono.
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L’udito umano ha un range di percezione tra i 20 ed i 20.000 Hertz. Le frequenze della
voce sono principalmente comprese tra i 250 ed i 4000 Hertz. Il padiglione auricolare
adempie soltanto alla funzione di captare le onde sonore dall’ambiente circostante che,
tramite il condotto uditivo esterno vengono convogliate alla membrana timpanica. In molti
animali il padiglione auricolare può essere ruotato in modo da raggiungere un optimum di
intercettazione del suono;; nell’uomo i muscoli auricolari esterni hanno perso questa
funzione ed il padiglione auricolare non ha possibilità di movimento. Comunque il
padiglione auricolare ha la capacità di modificare significativamente i suoni in particolare le
alte frequenze, così come è importante per la localizzazione antero-posteriore e verticale
dei suoni. (Plenge G) Il meato acustico esterno, grazie alla sua particolare conformazione
anatomica è in grado di amplificare le frequenze sonore comprese tra i 2500 ed i 5500 Hz.
In questo range la pressione sonora alla membrana timpanica può raggiungere le 10 volte
di quella al padiglione. Il sistema timpano-ossiculare dell’orecchio medio permette la
trasmissione del suono dal condotto uditivo esterno alla coclea determinandone
un’amplificazione grazie alla sua funzione di adattatore di impedenza. Per impedenza di
un sistema si intende l’insieme di tutti quei fattori che si oppongono al passaggio dell’onda
sonora. Quando un suono che si trasmette attraverso un mezzo a bassa impedenza
(come l’aria) incontra un mezzo ad alta impedenza (ad esempio l’acqua), la maggior parte
dell’energia viene riflessa. Se non esistesse l’orecchio medio il suono trasmesso dall’aria
avrebbe notevoli difficoltà ad essere utilizzato dalla coclea: a livello della finestra ovale si
creerebbe infatti un contatto diretto fra un mezzo a bassa impedenza ed uno ad alta
impedenza (perilinfa) con una conseguente elevata dispersione di energia. Il sistema
timpano-ossiculare accoppia due mezzi a diversa impedenza determinando
un’amplificazione del suono che supera in parte la dispersione di energia. Ciò avviene
grazie all’ampia superficie del timpano rispetto alla finestra ovale (il rapporto tra queste
due superfici è all’incirca pari a 18,3) ed alla maggior lunghezza del manico del martello
rispetto all’apofisi lunga dell’incudine che fa del sistema incudo-malleolare una leva
vantaggiosa. Alla catena ossiculare ed in particolare alla staffa e al martello si inseriscono
due piccoli muscoli (stapedio e tensore del timpano) la cui contrazione si ha come riflesso
a suoni di elevata intensità. Questi riflessi riducono la trasmissione dei suoni attraverso
l’orecchio medio ma solo alle basse frequenze, inoltre dato che è richiesta una certo
tempo (latenza) per la risposta essi non proteggono dai suoni impulsivi (Esplosione di una
bomba per es.).
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In conclusione nei 4 centimetri circa dell’orecchio esterno e medio tre meccanismi diversi
intervengono nell’amplificazione del suono, la risonanza del condotto uditivo che aumenta
la pressione di circa 10 volte, il sistema di leve ossiculari che lo triplica così come il diverso
rapporto di superficie tra membrana timpanica e finestra ovale. Il risultato di questi tre
meccanismi risulta in una notevole amplificazione dell’onda sonora prima ancora che
vengano messi in movimento i liquidi dell’orecchio interno. Una volta che il segnale sonoro
raggiunge la finestra ovale, la coclea trasforma il segnale da energia meccanica in energia
elettrica. I liquidi all’interno della coclea sono incompressibili per cui l’infossamento della
platina della staffa entro la finestra ovale determina un’onda di pressione nella perilinfa
della rampa vestibolare della coclea. Tale onda pressoria non si può scaricare nella rampa
timpanica attraverso la porzione apicale della coclea in quanto l’elicotrema è di calibro
molto ridotto. La pressione generata nella scala vestibolare si trasmette pertanto
attraverso la membrana di Reissner al dotto cocleare e tramite questo alla membrana
basilare che viene messa in vibrazione. La membrana basilare è costituita da un nastro
fibro-elastico che si allarga e si assottiglia progressivamente dalla base verso l’apice della
coclea. Questa caratteristica anatomica determina un diverso grado di elasticità della
membrana lungo la coclea. A livello del giro basale la membrana basilare, più stretta e più
spessa, ha una maggiore rigidità e viene sollecitata preferenzialmente da stimoli sonori ad
alta frequenza (toni acuti);; nel giro apicale la membrana, più larga e sottile, possiede una
maggiore elasticità ed entra facilmente in vibrazione per stimoli a bassa frequenza (toni
gravi). La vibrazione della membrana basilare ha la forma di un’onda simil-sinusoidale che
origina sempre dalla base della coclea e si propaga verso l’apice. L’ampiezza dell’onda
sinusoidale aumenta in modo graduale mentre ha un decremento rapido.. In rapporto alle
proprietà elastiche della membrana basilare, il punto di massima ampiezza della
vibrazione dipende dalla frequenza del suono stimolante (teoria dell’onda viaggiante di
Von Békésy). Per suoni di elevata frequenza l’onda viaggiante presenta un punto di
massima ampiezza in vicinanza della platina della staffa, per suoni di frequenza
progressivamente più bassa, tale punto si sposta gradatamente verso l’apice della coclea.
La risposta della membrana basilare ai suoni di diversa frequenza dipende infatti dalle sue
proprietà elastiche che variano dalla base all’apice In particolare mentre la base è
relativamente stretta e rigida l’apice è più largo e più elastico. La capacità della membrana
basilare di fare un’accurata analisi in frequenza dei suoni è stata dimostrata nell’animale
da esperimento dove si è visto che essa dipende anche da meccanismi attivi e quindi dalle
condizioni fisiologiche della coclea (Khanna e Leonard, 1982). Questa teoria della
55
discriminazione in frequenza è conosciuta come del “ principio di sede”. Comunque esiste
un’altra ipotesi, quella “temporale” secondo la quale la discriminazione in frequenza del
sistema uditivo è il risultato di un codice temporale dei suoni nella frequenza di scarica
delle fibre uditive. Lo spostamento della membrana basilare determina la flessione delle
ciglia delle cellule sensoriali ciliate dell’organo del Corti chepoggia appunto sulla
membrana basilare. Le cellule così stimolate liberano i neurotrasmettitori presinaptici con
conseguente attivazione dei neuroni sensitivi bipolari del ganglio spirale del Corti
localizzato nel modiolo (primi neuroni della via acustica). Il prolungamento centrale di
questi neuroni va a costituire la componente acustica dell’ottavo nervo cranico ed inoltra lo
stimolo ai nuclei cocleari del tronco encefalico dove le fibre mantengono
un’organizzazione tonotopica con le alte frequenze dirette principalmente al nucleo
dorsale e le basse frequenze al ventrale. Lo stimolo nervoso viene quindi condotto al
complesso olivare superiore che nell’uomo è rappresentato da una serie di nuclei posti nel
tronco dell’encefalo e che è considerato come la localizzazione periferica nella quale la
maggior parte delle fibre si incrocia. Esso è importante per la localizzazione dei suoni in
base alla provenienza spaziale che è caratteristica dell’udito binaurale e che permette di
distinguere un interlocutore dall’altro quando ascoltiamo più persone. L’uso dell’udito
binaurale per questo proposito è conosciuto come “fenomeno del cocktail party”. Le fibre
ascendono quindi attraverso i lemnischi laterali al collicolo inferiore che è stato associato
con diversi riflessi acustici come risposte muscolari del collo e dei muscoli extraoculari
oltre che anch’esso con l’udito direzionale. La via acustica attraverso il corpo genicolato
mediale si porta fino alle aree della corteccia cerebrale poste a livello del lobo temporale
(aree 41 – 42 di Brodmann). Da qui partono delle vie efferenti una che raggiunge
l’orecchio attraverso il fascio olivocoleare e una che termina in vari nuclei della via
ascendente. La prima sarebbe importante nella protezione contro la sordità da rumore ed
in generale da esse dipendono i riflessi motori e del sistema nervoso autonomo agli stimoli
uditivi. La cosiddetta via corticoefferente quando stimolata dall’attenzione è in grado di
modificare il messaggio afferente e ha degli effetti che differiscono da un lato all’altro e tra
sessi. Dalle aree corticali primarie lo stimolo viene quindi inoltrato alle aree integrative ed
associative della corteccia tra cui l’area di Wernicke, area di interpretazione del linguaggio.
È importante ricordare infine che, come nella coclea, lungo tutto il decorso delle vie uditive
centrali, sino a livello corticale, vi è una corrispondenza tonotopica che contribuisce alla
discriminazione delle componenti ad alta e bassa frequenza dei suoni .
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2.1 Le patologia dell’apparato uditivo
La Patologia che può interessare un solo orecchio o entrambi, comporta una riduzione
uditiva lieve, media o grave. La compromissione dell'udito può seriamente incidere sulla
vita del soggetto colpito. Si stima che circa il 40 % della popolazione sopra i 75 anni soffra
di riduzione uditiva legata all'età: la presbiacusia. In base alla sede del danno causante,
è classificata come:
Ipoacusia trasmissiva: quando il danno è localizzato nell'orecchio esterno o nelle strutture trasmissive dell'orecchio medio. Il deficit è in genere pantonale, anche se può accentuarsi per frequenze medio-gravi. Il deficit trasmissivo è solitamente inferiore a 50-60
decibel.
Ipoacusia neurosensoriale: il danno è localizzato nella coclea (ipoacusia neurosensoriale cocleare, orecchio interno) o nel nervo acustico (ipoacusia neurosensoriale retrococleare). Il deficit varia in base all'entità del danno ed alla
localizzazione (monolaterale o bilaterale).
Le perdite uditive monolaterali e bilaterali pari o inferiori a 275 dB dovranno essere valutate utilizzando
i valori percentuali che derivano da una
semplificazione e rielaborazione (con arrotondamenti
in eccesso o in difetto) della tabella per le perdite
uditive monolaterali o bilaterali proposte dal
Committee on Conservation of Hearing secondo il metodo A.M.A. 1961. Alla sordità
monolaterale totale viene attribuito un punteggio di invalidità del 15%, alla sordità
bilaterale totale un grado del 58.5%. Lì dove i valori percentuali in tabella siano espressi
da numeri decimali con frazione di mezzo punto sarà a discrezione della Commissione,
caso per caso attribuire mezzo punto al punteggio pieno in eccesso o in difetto (per
esempio il punteggio di 58.5 può essere portato a 59 o 58).
1) Il punteggio relativo ad ipoacusie ad andamento fluttuante e fortemente discontinuo nel
tempo (ipoacusie di trasmissione, ipoacusie di tipo misto, ipoacusie neuro-sensoriali con
timpanogramma patologico, malattie di Ménière ecc.) deve scaturire da un periodo di
osservazione di almeno 1 anno, mediante l'esecuzione di almeno 3 esami oto-funzionali
effettuati ogni 3-4 mesi. Il punteggio deriverà dalla media della perdita fra i tre esami.
Inoltre è raccomandata la revisione ogni tre anni.
57
2) La valutazione del grado di ipoacusia e il calcolo del punteggio vanno effettuati sempre
a orecchio nudo, cioè senza protesi.
Ciò per n- non è possibile valutare l'efficacia e la resa protesica se non dopo un adeguato
periodo di allenamento e adattamento variabile da caso a caso;;
- la valutazione tradizionale della resa protesica mediante esame audiometrico tonale in
campo libero non è idonea ed inoltre non è acusticamente corretto paragonare risposte
in campo liberocon risposte in cuffia;;
- l'unico test valido per verificare la resa protesica è l'audiometria vocale effettuabile solo in
pochi centri specializzati;; inoltre in tale metodica vengono utilizzati come unità di misura
dB SPL difficilmente convertibili in dB HTL;; e vengono introdotti gli stessi problemi
valutativi legati all'impiego del campo libero di cui si è già accennato;;
- la verifica del guadagno prodotto dalla protesi presuppone la contestuale verifica da
parte della Commissione della correttezza sia della prescrizione che dell'applicazione
della protesi;;
- notevolmente difficoltosa e aleatoria è la valutazione in termini medico-legali del
vantaggio prodotto dall'uso di protesi acustiche, considerati gli svantaggi che presentano,
i danni esteticiche comportano l'impossibilità di impiegarli in ambienti rumorosi, le
difficoltà di usarle durante il lavoro, l'affaticamento uditivo ecc;;
- appare più opportuno effettuare una valutazione teorica sulla possibilità o meno di
applicazione di una protesi per ciascun grado di ipoacusie e laddove tale possibilità
teorica sussista applicare una limitata riduzione del punteggio di invalidità;;
- la riduzione dell'invalidità nei casi di ipoacusia protesizzabile riguarda tutte le ipoacusie
pari o inferiori a 275 dB sull'orecchio migliore;; per cui partendo dalle ipoacusie bilaterali
superiori a 275 dB difficilmente protesizzabili a cui è riconosciuta una invalidità del 65%
si passa alle ipoacusie bilaterali pari o inferiori a 275 dB sull'orecchio migliore in cui la
protesizzazione è possibile e a cui è riconosciuta una invalidità fino a un massimo del
59%;; il livello critico di passaggio da una ipoacusia ben protesizzabile a una ipoacusia
difficilmente protesizzabile è stato pertanto fissato sui 275 dB;; al di sotto di tale livello di
perdita viene automaticamente applicata una riduzione di 9 punti proprio in base alla
possibilità dell'applicazione di un apparecchio protesico che può garantire in modo totale
o parziale il ripristino funzionale dell'apparato uditivo.
58
3) Nei casi in cui non è possibile utilizzare l'audiometria tonale liminare soggettiva, e quindi
valori espressi in dB HTL, ma solo tests obiettivi come i potenziali evocati uditivi, e quindi
valori espressi in dB SPL la tabella può essere impiegata nel modo seguente:
a) conversione dei dB SPL (pressione acustica) in dB HTL (soglia soggettiva) ove la soglia
ricavata sia stata espressa appunto in dB SPL;;
b) somma della perdita in dB HTL sulle tre frequenze 500, 1000 e 2000 Hz nel caso siano
stati impiegati toni puri o stimoli caratterizzati in frequenza;;
c) moltiplicazione per 3 del valore di perdita riscontrato e convertito in dB HTL, ove sia
impiegato un solo tipo di stimolo (per es. il click) non caratterizzabile in frequenza.
Ai fini della concessione della indennità di comunicazione la dizione "sordo pre-linguale",
di cui all'art. 4, della legge 21 novembre 1988, n. 508, deve considerarsi equivalente alla
dizione di "sordomuto" di cui all'art. 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381 ("...si considera
sordomuto il minorato sensoriale dell'udito affetto da sordità congenita o acquisita durante
l'età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato,
purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di
guerra, di lavoro o di servizio").
I fattori che in una ipoacusia possono rendere difficoltoso il normale apprendimento del
linguaggio parlato sono molteplici e complessi: primi, tra tutti, l'epoca di insorgenza
dell'ipoacusia in relazione all'età evolutiva. Altri fattori importanti, ma aleatori e quindi non
quantificabili né valutabili in sede normativa sono la precocità e la correttezza della
diagnosi e del trattamento e il livello socioculturale della famiglia.
SITOGRAFIA
• https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_uditivo • http://fisicaondemusica.unimore.it/Anatomia_del_sistema_uditivo.html • http://www.treccani.it/enciclopedia/tag/apparato-uditivo/ • http://boccignone.di.unimi.it/Modelli_Percezione_files/LezPMPAcustica.pdf • http://www.audiologia.unina.it/anatomia%20e%20fisiologia.htm
59
3. La rieducazione logopedica (Carmen Maccarrone)
L'efficienza e la tempestività dell’intervento su una sordità pre-verbale non deve esaurirsi
nella identificazione precoce, nell'accurato iter diagnostico e nell'abilitazione protesica del
bambino, ma deve considerare la gestione dinamica del processo riabilitativo soprattutto
nel primo periodo di trattamento. Durante questo periodo infatti potranno essere prese
decisioni cruciali per lo sviluppo delle abilità linguistiche del bambino che condizioneranno
la presenza o meno di un handicap comunicativo per tutta la vita.
Alla luce delle possibilità di amplificazione acustica oggi possibili, in quanto la sogliauditiva
è sicuramente ripristinabile attraverso protesi acustiche ad elevata potenza oimpianto
cocleare, anche le tecniche riabilitative nel bambino ipoacusico sono andatemodificandosi
negli ultimi dieci anni. La stimolazione verbale associata allo sviluppo diabilità
comunicative accessorie, quali l'integrazione costante con la labio-lettura, l'utilizzodella
lingua dei segni, il ricorso a diverse metodiche accettate nell'ambito di una
totalcommunication, oggi è definitivamente scomparsa a vantaggio di un training sempre
piùspecifico di tipo percettivo-verbale finalizzato all'acquisizione della comunicazione
verbale,entro tappe fisiologiche di sviluppo, necessaria per un normale inserimento nella
scuola dell'obbligo.
Il personale logopedico che si dedica alla riabilitazione del bambino ipoacusico oggi, deve
avere quindi una preparazione adeguata a questo iter riabilitativo, e deve mantenere stretti
contatti con lo specialista audiologo-foniatra per un'ottimale gestione della protesizzazione
che è frutto di vari aggiustamenti successivi a cui tutti devono collaborare.
Infatti è la logopedista che ha un contatto continuo e quotidiano con il bambino che è in
grado di monitorare e rilevare eventuali problemi di malfunzionamento nel presidio
protesico utilizzato.Ovviamente anche gli altri operatori sanitari che collaborano all'iter
diagnostico-riabilitativo del bambino, e che spesso operano a livello territoriale, devono
essere informati e coinvolti nel programma riabilitativo in modo da fornire alla famiglia una
continuità di intervento necessaria soprattutto quando diverse figure sanitarie e scolastiche
intervengono sullo stesso bambino.
E' necessario comunque effettuare sempre un programma individuale che sia modulato
nel tempo, longitudinale, e monitorato attraverso l’utilizzo di strumenti diagnostici oggettivi.
Un altro fattore importante da non sottovalutare è l'ambiente in cui vive il bambino, non
solo in termini di rapporti interpersonali nell'ambito della famiglia, ma anche in termini
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piùspecifici di coinvolgimento dei genitori nell'iter riabilitativo e di stimolazione linguistica
ingrado di favorire l'apprendimento del linguaggio.
Il trattamento riabilitativo quindi deve essere concordato innanzi tutto con la famiglia e con
gli operatori territoriali, se il bambino viene rieducato in un luogo diverso da quello dove è
stata effettuata la diagnosi, e deve prevedere una precisa informazione circa:
modalità,tempi e mezzi riabilitativi utilizzati in accordo con le tappe evolutive del bambino.
Ovviamente l’efficacia del trattamento riabilitativo non può essere
considerataindipendentemente dagli obiettivi del trattamento stesso e gli obiettivi sono
tanto diversiquanto è eterogenea la popolazione dei bambini ipoacusici;; questo
presuppone chedobbiamo effettuare un programma mirato alle esigenze del singolo
bambino.
3.1 Gli obiettivi del trattamento logopedico In generale comunque possiamo sintetizzare gli obiettivi che si pone un
trattamentologopedico dopo una protesizzazione precoce nello sviluppo delle seguenti
abilità aseconda delle diverse fasce di età, all'interno delle quali vanno stimolate
attivitàspecifiche:
1. Sviluppo delle abilità percettive e sensoriali
-utilizzo costante dell'amplificazione acustica
-migliorare la percezione uditiva
-imparare ad utilizzare stimoli elettrici e tattili
-integrare le informazioni uditive, visive, elettriche e tattili.
2. Sviluppo delle abilità linguistiche:
-promuovere la relazione genitore-bambino
-sviluppare la comprensione di unità linguistiche e concetti progressivamente più
complessi
-aumentare l'acquisizione lessicale-semantica
-sviluppare le abilità verbali di supporto alle attività scolastiche
-favorire l'espressione spontanea e l'acquisizione delle regole pragmatiche, sintattiche e
semantiche
-sviluppare le abilità narrative
3.Sviluppo delle abilità fono-articolatorie:
-favorire la vocalizzazione con corretto utilizzo del tratto vocale
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-aumentare il repertorio fonetico-fonologico
-stabilire una relazione tra percezione e produzione
-migliorare la voce e la prosodia
-migliorare l'intelligibilità del parlato
4. Sviluppo delle acquisizioni scolastiche:
-incrementare le abilità di letto-scrittura
-ottimizzare i livelli educativo-scolastici
5. Favorire la crescita emotiva e sociale
-stabilire un'accettazione della perdita uditiva
-ridurre l'ansia della famiglia
-promuovere lo sviluppo socio-relazionale del bambino.
Infine, molti sono i quadri sindromici in cuiun'ipoacusia neurosensoriale e/o trasmissiva
come sintomo associato.
Tra le disabilità associate sia congenite che acquisite nei primi anni di vita, che
rivestonouna particolare importanza, sono quelle relative alla presenza di altri deficit
sensoriali ocognitivi. In particolare un deficit visivo importante può compromettere il
miglioramentodelle abilità comunicative in quanto il bambino non può utilizzare un
importante canalevicariante;; l'eventuale associazione di un deficit cognitivo, nella maggior
parte dei casi,limita le possibilità di acquisizione linguistica.
In questi casi un'adeguata amplificazione acustica, fornita attraverso una protesi acusticao
l'impianto cocleare, anche se sfruttata in modo limitato, sarà di fondamentaleimportanza per
la vita di relazione. Quindi ancor più se ci troviamo di fronte a bambini condisabilità
associate va effettuato un programma abilitativo mirato ed individualizzato e siha la
necessità di disporre di personale preparato ad affrontare l'iter riabilitativo in
modoadeguato.
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SITOGRAFIA
• http://www.ilgazzettino.it/home/rieducazione_linguaggio_la_logopedia_migliorare_la_qualita_vita-181292.html
• http://www.parlobene.it/site/logopedia-per/logopedia-per-adulti/ • http://www.medicina.unibo.it/it/corsi/insegnamenti/insegnamento/2015/360881 • http://www.lumsa.it/sites/default/files/UTENTI/u884/Lez2%20-%20Disabilita%27%20uditiva.pdf
• http://www.anastasis.it/corsi-formazione-ed-ecm/la-logopedia-ed-il-logopedista
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4. LIS: Lingua Italiana dei Segni (Ombretta Bocci)
4.1 Introduzione:
La LIS è la lingua adottata per comunicare dalle persone sorde e udenti che appartengono
alla Comunità Sorda Italiana. Si tratta di una vera e propria lingua che utilizza il canale
visivo-gestuale ed ha una propria struttura (livello fonologico, morfologico, lessicale) .
Come le lingue vocali, anche la Lingua dei Segni si differenzia a seconda delle Nazioni;;
nel suo sviluppo, infatti, essa è influenzata dalla cultura del Paese nel quale viene usata.
Purtroppo la Lingua dei Segni Italiana non ha ancora ricevuto un riconoscimento ufficiale
dallo Stato Italiano.
4.2 Origine della Lingua dei Segni
La tendenza a sviluppare una forma di comunicazione visivo-gestuale nelle persone non
udenti esiste fin dall’antichità;; lo stesso Platone si è interessato al linguaggio dei segni
usato dai sordi, che all’epoca erano relegati ai margini della società;; anche nella cultura
cristiana le persone sorde erano considerate “marchiate” dal peccato e quindi emarginate.
Tra XVI fino alla metà del XVII secolo (data della fondazione delle prime scuole pubbliche
per sordomuti) ha origine la vera e propria istruzione dei sordomuti.
Proliferano gli studi e le ricerche in campo medico e linguistico che possono facilitare il
percorso educativo delle persone non udenti
Le prime testimonianze sull’esistenza di una lingua dei segni come strumento di
comunicazione risalgono al 1700: l’Abate Charles Michel de l’Epée creò un sistema di
comunicazione gestuale e nel 1760 fondò, in Francia, la prima scuola per non udenti.
Partendo dal linguaggio mimico, elemento naturale e caratterizzante l’essere umano, creò
una vero e proprio sistema di segni convenzionali con i quali i bambini sordi potevano
esprimersi. L’insegnamento della lingua dei segni utilizzava la dattilologia manuale
(comunicazione attraverso le diverse posizioni delle dita), l’uso delle espressioni del volto,
uso di segni metodici, attraverso i quali potevano essere comunicate idee astratte ma con
nessi logici e regole grammaticali.
64
Un’altra Istituzione per non udenti fu fondata a Lipsia nel 1778 da Samuele Heinicke
(1727-1790). Questi, opponendosi al metodo mimico elaborato da Michel de l‘Epée,
utilizzò la lingua scritta e parlata come strumento di istruzione per i bambini sordi,
considerando il metodo orale come il metodo più efficace.
Molti educatori studiarono alla scuola di Charles Michel de l’Epée, tra i quali Tommaso
Silvestri che portò questo metodo di comunicazione (detto “mimico”) in Italia;; egli istruiva i
suoi allievi non udenti utilizzando questo metodo e la lettura labiale. In questa seconda
metà del XVIII secolo sorgono gran parte degli Istituti Speciali per i sordi;; nel 1880 il
Congresso di Milano pose fine all’uso dei segni nelle scuole per i sordi prediligendo il
metodo “oralista” (basato sulla comunicazione orale), affermando che “il gesto uccideva la
parola”. Il codice gestuale comunque veniva utilizzato in ambito privato.
In Italia, negli anni ‘80, alcuni ricercatori dell’Istituto di Psicologia del CNR di Roma, diretto
dall’équipe della neuropsicologa Virginia Volterra, iniziarono una ricerca sistemica sulla
LIS, mostrando come essa sia una vera e propria lingua con regole sintattiche,
semantiche , morfologiche e fonologiche.
Alcune persone ritengono che non sia necessario utilizzare la Lingua dei Segni, in quanto
le protesi e gli impianti cocleari permettono ai bambini sordi di comunicare con gli udenti,
ma l’applicazione del bilinguismo bimodale mostra che la lingua nazionale parlata e scritta
viene completata dalla Lingua dei Segni.
E’ abbastanza diffusa l’idea che utilizzare le lingue dei Segni possa “ghettizzare” le
persone non udenti, le quali sarebbero costrette a comunicare solo con chi conosce
questa Lingua , ciò risulta infondato. Infatti è attraverso la LIS che si attiva un processo di
inclusione a livello sociale per i sordi;; essi apprendono meglio la lingua parlata e scritta
dopo aver acquisito la Lingua dei Segni e sviluppano un forte senso di appartenenza ad
una comunità (quella dei sordi).
La Lingua dei Segni diventa veicolo di integrazione, come è avvenuto alla scuola
elementare di S. Onofrio a Rimini, dove i bambini dal 2011 studiano la LIS per comunicare
e giocare con due compagni non udenti;; inoltre, come afferma Virginia Volterra, alcune
esperienze di insegnamento della Lingua dei Segni ai bambini udenti hanno dimostrato
come questa potenzi nei bambini udenti alcune aree cognitive legate all’attenzione e alla
memoria visiva, poiché viene stimolata la modalità di espressione visivo-gestuale.
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In“I segni raccontano. La lingua dei segni italiana tra esperienze, strumenti e metodologie”
(2009) Bagnara-Fontana -Tomasuolo-Zuccala affermano che la LIS è un buon strumento
di comunicazione anche per i soggetti autistici: sfrutta le abilità visive e riduce l’impegno di
spostare l’attenzione dallo stimolo visivo a quello uditivo. Si evita il sovraccarico degli
stimoli fonetici che per bambini affetti da autismo risultano fastidiosi;; la LIS favorirebbe,
quindi, l’apertura comunicativa riducendo il ricorso all’isolamento.
In Italia, oltre al metodo educativo bilingue (acquisizione precoce della LIS e apprendimento della lingua italiana) sono utilizzati anche altre due metodi educativi:
il metodo orale, basato sulla lingua orale utilizzando però anche la lettura labiale, la lettura e la scrittura precoci;; il metodo bimodale, basato sulla modalità acustico-vocale e visivo-gestuale;; la comunicazione avviene tramite la parola e il segno fatti in maniera
contemporanea, seguendo la struttura sintattica dell’italiano.
Le varie Lingue dei Segni nazionali hanno ottenuto un riconoscimento dal Parlamento
europeo nel 1998 e la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, approvata
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2006 ha ribadito la necessità di sostenere
l’identità linguista e culturale delle persone non udenti.
In Italia, al momento, la LIS non ha ancora ottenuto un riconoscimento ufficiale, ma dal 2
dicembre 2005 è in corso un iter legislativo per ufficializzare la LIS e quindi il suo
insegnamento nelle scuole primarie e secondarie di primo grado: ciò significherebbe
estendere a livello nazionale il modello proposto dalla scuola elementare S.Onofrio di
Rimini.
4.3 Aspetti strutturali
Nel 1960 William Stokoe, studiando la Lingua dei Segni americana, individuò le unità
minime, chiamate cheremi ( dal greco khèir=mano);; essi sono n. 4 e costituiscono i
parametri di formazione del segno:
1. il luogo di articolazione (comprende parti del corpo del segnante, lo spazio avanti al
segnante e lo spazio neutro);;
2. la configurazione della mano, cioè la forma che essa prende posizionando le dita;;
3. l’orientamento del palmo della mano rispetto al corpo del segnante;;
4. il movimento della mano o delle mani.
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Questi parametri vengono articolati in modo simultaneo usando una o entrambe le mani.
Le variazioni nei parametri e le loro combinazioni generano altri segni e quindi una grande
varietà di parole che possono essere usate per esprimere concetti e pensieri.
Un segno può essere più marcato o meno a seconda della velocità di esecuzione e
all’ampiezza del gesto che si compie per realizzarlo.
Il movimento del corpo, l'ampiezza, la velocità sono gli elementi fondamentali della
corretta espressività nella lingua segnica, costituiscono categorie logiche di riferimento,
senza le quali la gestualità sarebbe solo un disarmonico, inutile agitarsi.
Oltre ai parametri, svolgono una funzione importante a livello comunicativo: la posizione
delle spalle e quella del busto, l’espressione facciale, lo sguardo e particolari
configurazioni della bocca;; per esempio nell’esprimere una frase interrogativa: il busto e le
spalle del segnante si protendono e le sopracciglia si alzano (se è una domanda
chiusa:si/no) o la fronte è corrugata (domanda aperta)
La grammatica della lingua dei segni risulta, quindi, costituita dalle relazioni spaziali, dalla
direzione e dall'orientamento dei movimenti delle mani, dalle espressioni del volto, il
movimento degli occhi, delle sopracciglia, delle labbra, delle posizioni del corpo. Questi
elementi servono ad esprimere variazioni di grado, quantità o misura. Come nella lingua
parlata,anche la LIS usa i diminutivi o i superlativi.
La Lingua dei Segni ha, quindi, una struttura propria, diversa dalla lingua parlata, cioè
nella strutturazione di una frase, i segni vengono eseguiti indicando:il luogo e il tempo (e
viceversa), il soggetto, l'oggetto, il verbo, la negazione e/o il pronome interrogativo (a
differenza della lingua parlata, nella quale l’ordine è :soggetto, verbo, complemento
oggetto, ecc... ). Il sordo ragiona per immagine e non per parole come l'udente, vede per
primo l'oggetto o il soggetto poi ne codifica l'azione.
Esiste anche una Lingua dei Segni tattile, utilizzata dalle persone sordo cieche, in genere
persone nate sorde che hanno appreso la lingua dei segni e successivamente diventate
cieche.
La LIS ha diversi dizionari;; i primi sono stati realizzati negli anni ‘90 da persone sorde.
Sono stati creati anche dizionari specialistici, per esempio quelli riportanti la terminologia
informatica, la catechesi cattolica e l’arte. Accanto all’immagine del segno (lemma) si
trovano la traduzione in italiano e le indicazioni sull’esecuzione del segno.
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4.4 Aspetti sociolinguistici
L’acquisizione e l’uso del linguaggio (parlato,scritto e a segni) è un fattore importante per
un bambino;; esso implica una crescita a livello neurologico (maturazione del sistema
fonatorio e discriminazione dei suoni) ma anche sociale, in quanto il linguaggio è uno
strumento di comunicazione che permette di relazionarsi con altri che usano lo stesso
codice linguistico;; ne consegue uno sviluppo del senso di appartenenza ad una comunità,
la sensazione di controllo dell’ambiente di vita e di sicurezza : questi elementi sono
importanti anche per raggiungere un equilibrio dal punto di vista emotivo..
Un bambino non udente acquisisce la LIS in maniera spontanea,spesso in ambito
familiare, mentre apprende l’italiano (scritto e parlato) in un contesto istituzionale (es. la
scuola) e in modo artificiale, con grande difficoltà;; infatti il processo è più lento rispetto a
quello messo in atto dai bambini udenti.
Non tutti i bambini sordi hanno una padronanza completa della lingua dei segni, poiché
dipende da vari fattori: l’età nella quale è iniziato l’iter di apprendimento, la presenza di
genitori sordi o udenti: nel primo caso è più probabile che l’insegnamento della lingua dei
segni avvenga nei primi anni di vita e quindi il bambino acquisisce una competenza
completa;; nel secondo caso invece essa viene appresa durante l’infanzia o addirittura in
adolescenza.
In alcuni casi i figli sordi delle persone udenti entrano in contatto con la Lingua dei Segni a
scuola, dove incontrano altre persone sorde e personale udente segnante (es, interpreti e
assistenti alla comunicazione) .
In ambito informale sono utilizzati sia la LIS che la lingua italiana, es. in famiglia o in quei
luoghi di socializzazione,dove la LIS sia abitualmente praticata. La lingua scritta (lettere,
sms, e.mail, ...) è impiegata dai sordi per comunicare con le persone (udenti e non) a
distanza.
Da qualche anno la Lingua dei Segni è utilizzata anche in numerose situazioni ufficiali, per
esempio: durante i convegni, all’università o nelle trasmissioni televisive (specialmente nei
TG) si nota spesso, accanto al relatore, un interprete in LIS con la funzione di tradurre
quanto viene detto. Sul territorio nazionale, non esiste un’unica forma di LIS, ma una serie
di “variazioni” (soprattutto rispetto al lessico) della lingua dei segni;; queste variazioni
dipendono dalla zona geografica nella quale si sviluppano, cioè sono condizionate dalla
cultura vigente nel luogo geografico dove la LIS è utilizzata. Alcune di queste varietà sono
utilizzate nei media e quindi sono maggiormente conosciute rispetto alle altre.
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Oggi le nuove generazioni di persone non udenti hanno una maggiore consapevolezza del
patrimonio linguistico che possiedono;; non vivono più il comunicare attraverso la lingua dei
segni come uno stigma (come avveniva fino al secolo scorso), ma sono attive nelle attività
di ricerca e di trasmissione della LIS;; alcuni producono anche poesie o testi teatrali.
E’ importante sensibilizzare la comunità degli udenti adulti rispetto alla disabilità uditiva e
soprattutto alla possibilità di comunicare con le persone sorde, imparando la lingua dei
segni, in modo da rafforzare i rapporti interrelazionali e contribuire a creare una società
accogliente, aperta, inclusiva. A questo proposito si riporta un’esperienza personale
vissuta a dicembre 2016: chi scrive ha assistito ad un concerto di canzoni natalizie
tenutosi a Tuscania da un coro parrocchiale, una banda musicale e un gruppo di allievi di
un corso LIS;; le persone che hanno assistito al concerto sono rimaste affascinate da
questa doppia modalità di interpretare dei brani natalizi molto conosciuti;; l’esecuzione in
LIS ha “sottolineato” e reso più evidente il loro significato. Alla fine del concerto è stata
offerta la possibilità agli spettatori-uditori di provare le stesse sensazioni che le persone
non udenti provano quando ricevono input sonori: mentre la banda suonava è stato
chiesto di tenere in mano un palloncino e di sentire, attraverso di esso, le vibrazioni e
l’effetto del suono;; dai commenti ascoltati a fine concerto si comprendeva che le persone
avevano raggiunto un maggio grado di consapevolezza rispetto alla disabilità uditiva.
4.5 LIS: strategia di apprendimento
Il bambino sordo, non riuscendo a distinguere i tratti fonetici della lingua italiana orale,
costruisce le sue strutture semantiche, lessicali, morfologiche e sintattiche con elementi
incompleti;; egli deve usare gli organi percettivi, i quali però non sono nati per la
comunicazione orale. La LIS fornisce un aiuto importante per l‘apprendimento generale e
anche funzionale (almeno con una parte ristretta della società: cioè con coloro che
conoscono la lingua dei segni). Essa rappresenta l’opportunità per i bambini non udenti di
migliorare l’interazione a livello sociale, li rende capaci di esprimere non solo nozioni ma
anche il loro pensiero autonomo.
Le ricerche in questo ambito dimostrano come i bambini sordi che hanno appresso la LIS
nella prima infanzia raggiungono un profitto maggiore nell’apprendimento e nella capacità
di comunicazione (scritta e orale) rispetto ai coetanei sordi che non conoscono la lingua
dei segni e si affidano soltanto alla lettura labiale. L’apprendimento è facilitato se si
utilizzano strumenti di tipo visivo, per esempio le mappe concettuali che contribuiscono a
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visualizzare i concetti, esplicitare la relazione tra essi, a rappresentare in maniera grafica
le conoscenze.
La LIS è un importante supporto all’apprendimento delle lingua orale e scritta, non solo per
i bambini sordi ma anche per quelli udenti, come mostra un articolo di “Ischool-il futuro
della scuola” pubblicato il 29 febbraio 2016 e scritto da Alex Corazzoli. L’articolo riporta
l’esperienza fatta da una classe della scuola primaria “Don Nicolino Merlo” a Ladispoli,
dove la presenza in classe di una bambina con impianto cocleare ha fornito l’occasione
per proporre ed insegnare la lingua dei segni (anche con l’ausilio di cartoncini
appositamente creati e appesi su una parete) agli alunni. All’iniziativa messa in atto da un
gruppo di insegnanti hanno aderito anche i genitori dei bambini, aiutandoli così ad
esercitarsi a casa.
La LIS si presenta come un importante strumento di comunicazione e inclusione sociale,
ma essa contribuisce anche allo sviluppo della capacità di lavorare in gruppo (grazie al
potenziamento dei neuroni-specchio),facilitando l’apprendimento collaborativo sia nei
bambini sordi che nei loro coetanei udenti.
Un altro strumento importante, ai fini dell’apprendimento nei bambini non udenti, è
costituito dalla didattica multimediale, che può essere modificata “ad hoc” in base al grado
del deficit uditivo .
L’apprendimento scolastico dei bambini con disabilità uditiva è facilitato dalla presenza a
scuola e/o a casa di alcune figure professionali:
Ø L’educatore sordo, che ha una competenza LIS e anche pedagogica. Questa figura rappresenta per il bambino sordo un aiuto importante per la costruzione della sua
identità, lo sostiene nel cammino verso l’autonomia e gli trasmette la cultura;;
l’educatore sordo fornisce al bambino il modello di ciò che egli può diventare in futuro:
un uomo adulto realizzato. Egli interviene soprattutto nei primi anni di vita, lavora in
ambito scolastico e domiciliare.
Ø L’Assistente alla Comunicazione: questa figura è prevista dalla Legge 104/92 ma ancora non ha un profilo giuridico ed economico definito. Il compito principale
dell’assistente alla comunicazione è quello facilitare la comunicazione tra il bambino
non udente, i compagni di classe e i docenti;; egli collabora con l’équipe della scuola e
concorda con gli insegnanti le strategie e i percorsi più idonei. Requisiti fondamentali:
la perfetta padronanza della Lingua dei Segni Italiana e avere un titolo di studio
adeguato, inoltre egli deve frequentarela comunità dei sordi. L’Assistente alla
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Comunicazione non va confuso con l’insegnante di sostegno;; egli lavora con ragazzi/e
dai 10 ai 18 anni.
Ø L’interprete scolastico: è la persona abilitata a tradurre dalla lingua parlata alla LIs e viceversa.;; la traduzione può essere simultanea o consecutiva.
Egli non filtra o interpreta le informazioni da riportare, né interviene nella didattica;;
questa figura professionale è lo strumento attraverso il quale il bambino assimila
informazioni e concetti. In considerazione di questo suo ruolo, l’interprete deve
conoscere e comprendere la lingua e la cultura nella quale opera poiché la
trasmissione del messaggio avviene a livello non solo linguistico ma anche culturale.
In Italia si sta diffondendo questa figura professionale, cheè prevista dagli articoli 9-
13, 16 della legge 104/92;; la normativa vigente però ancora non ne ha definito il profilo
professionale, una seppur minima regolamentazione è stata istituita dalla
Associazione Nazionale di Categoria degli Interpreti di Lingua dei Segni Italiana
(A.N.I.M.U.) che tra i requisiti professionali annovera : il titolo di studio (diploma
scuola superiore per operare fino alla scuola media inferiore- diploma universitario o
laurea per operare nella scuola media superiore e nelle Università);; perfetta
conoscenza e padronanza della LIS tanto da tradurre in maniera fluida le parole con i
segni e viceversa;; abilità di labiolettura, ampia cultura (in quanto la traduzione può
riferirsi ad ambiti e discipline diversificate tra loro), capacità di lavorare in équipe,
avere equilibrio emotivo e comportamentale.
Da quanto esposto si delinea in maniera chiara che la Lingua dei Segni non “uccide la
parola” (come si credeva nel XIX° sec.) né è uno mezzo che “salva” i sordi permettendo
loro di esprimersi ma “è un sofisticato strumento che permette integrazione, identità,
cultura;; vitale per i sordi, ma importante anche per gli udenti che imparandola avranno la
possibilità [...] di comprendere e apprezzare appieno una vera comunità e di rispettarne le
esigenze” (da: SegnAli di comunicazione).
71
SITOGRAFIA
• Da http://www.grupposilis.it/ • https://oggiscienza.it/2016/03/07/lis-sordita-segni-lingueggio/
• Da sito internet Enciclopedia TRECCANI
• www.ens.it(Ente Nazionale Sordi-onlus)
• https:// segnalidicomunicazione.jimdo.com
• ricerca : LA L.I.S. COME STRATEGIA DI APPRENDIMENTO (diSansonna Loredana- Università degli Studi di Bari)
• http:// ischool.startupitalia.eu: articolo “Una bimba è non udente, e tutta la classe
impara la lingua dei segni. Succede alla “Don Merlo” di Ladispoli” – Febbraio 2016
72
5. Scuola, tecnologia, attività ludica: per la realizzazione di interventi educativi. (Sara Sgamma)
5.1 Lo sviluppo del linguaggio
Nei primi anni di vita il bambino udente acquisisce naturalmente la lingua italiana, mentre il
bambino sordo apprende la lingua parlata più tardi, con difficoltà.
I bambini sordi figli di sordi che comunicano con la lingua dei segni sviluppano le stesse
fasi di acquisizione dei bambini udenti esposti alla lingua parlata, la sordità non comporta
una mancanza di abilità di linguaggio.
Tuttavia essendo il canale uditivo carente e la lingua parlata viene percepita attraverso la
vista, non possono cogliere tutti gli aspetti che viaggiano insieme ad una lingua.
La lettura è importante per avere accesso alla cultura scritta,è perciò indispensabile
continuare l’apprendimento dell’italiano, evitando l’abbandono scolastico.
Per la comprensione del testo gli aiuti possibili sono: riscrivere completamente il testo
semplificando e aggiungendo vari aiuti al testo originale.
5.2 I bambini sordi e la scuola
La didattica speciale del bambino sordo necessita di essere rivisitata sia riguardo
l'accessibilità ai contenuti scolastici, che all’ acquisizione di parametri adeguati e necessari
per ridurre le difficoltà comunicative dell'alunno sordo nella scuola di tutti.
Chi lavora con e per i soggetti sordi deve approfondire la conoscenza dei bambini che
vengono educati, dietro ai quali si celano mille storie di vita diverse, considerando che il
percorso scolastico del bambino sordo risulta influenzato dalla sua storia personale. Le
difficoltà saranno minori se vi è stata una diagnosi di sordità precoce, una protesizzazione
tempestiva, una terapia logopedica valida e continuativa e la collaborazione costante ed
intelligente dei genitori.
L’efficacia delle scelte educative dei genitori nel periodo precedente quello scolare, si
manifesta, nella capacità di comunicazione che possiede il bambino, quando è inserito
all'interno di una classe di udenti, scelta oggi fatta dalla maggioranza dei
genitori,sostenuta da una forte flessibilità da parte degli insegnanti e degli alunni stessi, in
modo da garantire un soddisfacente integrazione.
Tuttavia, la scuola di tutti non è sempre in grado di accogliere ed intervenire sui bisogni
73
educativi del bambino sordo: per garantire la sua integrazione scolastica, è importante
organizzare nella classe un ambiente in cui la comunicazione avvenga in contesti
caratterizzati da pluralità di lingue e modalità comunicative (lingua verbale e scritta, lingua
dei segni, italiano segnato esatto, dattilologia e lettura labiale) e da vari strumenti
tecnologici (computer, Smart Board).
Tali strumenti e modalità comunicative possono essere realmente utilizzate all'interno del
contesto classe, anche grazie all'intervento dell'Assistente alla Comunicazione.
5.3 Figure professionali
Il ruolo delle due figure professionali di sostegno e curricolare è indicata nell'art. 13 della
L. 104/94: nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando l'obbligo per gli enti locali di
fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con
handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione
di docenti specializzati.
L'insegnante di sostegno, dunque, introdotto dalla L. 517/77, è un docente, specializzato
nella didattica speciale per l'integrazione degli alunni con disabilità certificati in base alla L.
104/92. Assume la contitolarità di cattedra della classe in cui opera e pertanto firma i
documenti di valutazione di tutti gli alunni. L'insegnante di sostegno è assegnato alla
classe e non all'alunno con disabilità, con il compito prioritario di attuare interventi
di integrazione attraverso strategie didattiche specifiche, insieme agli insegnanti
curricolari. A rigore, è superflua anche la distinzione tra docenti di sostegno e curricolari ed
è invece
sufficiente parlare di insegnanti della classe.
Vi è poi la figura professionale di assistenza di tipo educativo, cioè l'assistente
all'autonomia ed alla comunicazione, previsto dal citato articolo 13 della L. 104/94 ed
assegnato ad personam. Si tratta di un operatore che ha il compito precipuo di facilitare la
comunicazione dello studente disabile, stimolare lo sviluppo delle abilità nelle diverse
dimensioni della sua autonomia, mediare tra l'allievo con disabilità ed il gruppo classe per
potenziare le loro relazioni, supportarlo nella partecipazione alle attività, partecipando
all'azione educativa in sinergia con i docenti. I due ruoli, sia pure nelle finalità comuni e
nella collaborazione costante, sono chiaramente distinti anche se troppo spesso vengono
confusi.
74
5.4 L’assistente alla comunicazione
L’Assistente alla Comunicazione è una nuova figura professionale che opera in ambito
scolastico accanto al bambino sordo ed ha il compito di facilitare la comunicazione nel
contesto di apprendimento tra i docenti (curricolari e di sostegno), gli allievi normodotati e
l’alunno sordo;; fungendo da ponte comunicativo rende accessibile a quest'ultimo i
contenuti scolastici e le informazioni che lo riguardano.
L’Assistente alla Comunicazione deve possedere conoscenze specifiche per lavorare con i
bambini sordi ed essere principalmente un educatore specializzato disponendo di una
conoscenza approfondita sia delle due lingue (verbale e dei segni) che delle due culture
(cultura sorda e cultura udente). Per il bambino sordo, egli, diviene: un modello
comunicativo relazionale, un modello linguistico, un punto di riferimento emotivo e
un mediatore comunicativo con i coetanei e gli adulti,oltre che un supporto
all’apprendimento.
L’Assistente alla Comunicazione non ha alcun compito didattico (competenza esclusiva
dei docenti curricolari e di sostegno), ma deve essere in grado di decodificare il messaggio
all'alunno sordo utilizzando la strategia comunicativa più adatta.
Utilizzando strategie di comunicazione soprattutto in base alle competenze linguistiche del
bambino sordo, l’assistente alla comunicazione spesso rappresenta, anche l’unico
modello comunicativo adeguato, con cui il soggetto si relaziona più, che con compagni
udenti e con gli insegnanti.Il suo ruolo acquista particolare rilievo se consideriamo che il 95
% dei bambini sordi nasce da genitori udenti e si trova inserito in un contesto in cui si
sente, isolato, diverso e senza modelli rischiando di cadere in preda a paure e ansie,
avendo un vissuto tutto personale ed esclusivo
L’inserimento dell’assistente alla comunicazione nel contesto scolastico, sembra essere, al
momento, l'unico passo avanti delle istituzioni nel riconoscimento al bambino sordo delle
stesse capacità di un bambino udente. Inoltre, la presenza di questa figura professionale
nella scuola, può contribuire alla diffusione e alla conoscenza della Lingua dei Segni,
l’unica vera lingua madre per i sordi. Questa possibilità rappresenta un fecondo
rinnovamento dei contenuti scolastici, che esigono di essere resi più idonei a soddisfare le
esigenze di uno studente le cui capacità non sono messe in atto e valorizzate, perché
limitate dal contesto in cui è inserito.
L’obiettivo di ogni assistente alla comunicazione deve essere quello di ridurre il limite di
comunicazione che non permette allo studente sordo di sentirsi parte integrante della vita
75
di classe. Esiste il rischio che questa figura possa diventare, agli occhi del ragazzo, un
docente vero e proprio ma se si rispettano i ruoli all'interno della grande famiglia quale è
la scuola, la sinergia tra docenti e collaboratori, l’armonia tra le varie parti,il pericolo sarà
evitato
5.5 Le nuove tecnologie
La comunicazione didattica tra docenti e studenti è basata prevalentemente sulla
comunicazione verbale e per molti alunni sordi questo comporta evidenti difficoltà
nell’apprendimento. E’ utile pertanto l’utilizzo di strumenti che facilitino i processi di
apprendimento tra cui certamente, l’utilizzo delle nuove tecnologie per la didattica può
aiutare a superare o diminuire le difficoltà di apprendimento e contribuire al successo
formativo.
Le tecnologie informatiche consentono infatti semplificazioni nell’utilizzo dei
computer,tramite l’uso di immagini e di animazioni, sottotitoli ecc.
Nella didattica, i docenti possono preparare lezioni con PowerPoint o costruire ipertesti,
mentre gli alunni possono utilizzare diversi software specifici di supporto
all’apprendimento, vocabolari multimediali, editor testuali con immagini ed altro ancora.
Esistono infatti sistemi interattivi dinamici, che consentono metodologie didattiche attive e
costruttivistiche e soluzioni strategiche centrate sulla rappresentazione, come ad esempio
le mappe concettuali per lo studio. Per chi utilizza la Lingua Italiana dei Segni (LIS),
inoltre, sono disponibili dizionari italiano-LIS.
Sono inoltre molto utili gli strumenti di uso personale, come i cavi ad induzione, collegabili
ai computer per le comunicazioni audio-video o gli strumenti per il riconoscimento vocale,
nonché la lettura labiale ingrandita su video, che facilitano notevolmente le comunicazioni
a distanza.
Le tecnologie a supporto della didattica, dunque, sono oggi numerose e possono essere
un ottimo supporto per favorire l’autonomia e la comunicazione, nonché gli apprendimenti
e l’organizzazione dello studio.
76
5.6 Il gioco
Le funzioni delle attività di gioco nell'età evolutiva nei bambini sono molteplici e
rappresentano uno dei modi privilegiati per esplorare il mondo esterno e quello delle
relazioni interpersonali, per sviluppare abilità motorie e cognitive, per sperimentare ruoli,
per realizzare la propria creatività.
E' evidente che le attività ludiche ricoprano nei bambini disabili le medesime funzioni e per
questo motivo è dannoso e fuorviante considerare il gioco con i bambini disabili
unicamente in un'ottica terapeutica, il gioco rappresenta infatti un'attività spontanea cui
tutti i bambini hanno diritto.
Giocare, come comunicare, risponde ad un bisogno intrinseco dei piccoli, non può divenire
un mero atto riabilitativo in cui non vengono prese in considerazione le dimensioni della
spontaneità e del genuino divertimento,va comunque sottolineato che in presenza di deficit
sensoriali, cognitivi o motori possa essere molto complesso per i bambini giocare nel
medesimo modo dei coetanei.
Questo ordine di problemi può essere parzialmente o del tutto risolto strutturando il setting
di gioco in modo da aggirare gli ostacoli specifici posti dalle situazioni di handicap e offrire
così ai bambini un maggiore grado di autonomia ed una più ampia libertà nel gioco.
Le strategie facilitanti possono riguardare diversi aspetti del contesto di gioco come ad
esempio:
- con bambini audiolesi molto piccoli si dovranno scegliere giocattoli che vibrano, si
muovono e si illuminano.
- con bambini più grandi si dovrà cercare di aggirare gli ostacoli di natura linguistica.
L'accorgimento principale consisterà quindi nel progettare e strutturare attività all'interno
delle quali sia previsto il ricorso a forme alternative di linguaggio (linguaggio dei segni Lis,
parole scritte etc.).
Per quanto riguarda l'utilizzo di videogiochi e di software di vario tipo occorrerà scegliere
dei prodotti che contengano istruzioni sottotitolate.
Si possono infine facilitare le attività inerenti la musica, oltre che con appositi percorsi di
musicoterapia basati su costrutti di psicomotricità, anche con dei programmi
di composizione musicale per P.C. che traducono in forma grafica le note attraverso l'uso
di diagrammi, animazioni e colori.
77
SITOGRAFIA
• http://www.usp.pesarourbino.it
• http://www.rivistadidattica.com
• https://www.disabili.com
• http://www.assistentecomunicazione.it
• https://www.disabili.com
• http://www.leonardoausili.com
• http://www.ckbg2015.disu.units.it
78
6. Esperienze di Musicoterapia (Teresa Peruzzi)
Non sono ancora moltissime le esperienze significative relative alla ricerca in ambito
musicoterapico nei pazienti affetti da sordità/ipoacusia.
L’esperienza sonora di un sordo diventa un’esperienza multisensoriale, sia nel bambino
che nell’adulto. Lo stimolo sonoro viene percepito dalle vie sensoriali attive e tradotto in
forma diversa da quella uditiva. Una nuova dimensione di ascolto dunque, soggettiva e
forse molto più aperta, non limitata alle sole “orecchie”…Esiste però una distinzione
nell’approccio musicoterapico verso un bambino o un adulto con deficit uditivo: nel
bambino la musicoterapia affianca la logopedia donando stimoli sonoro percettivi nuovi,
fatti di vibrazioni, di riconoscimento di fonti sonore, modulazioni di voce e ritmo. Il ritmo è
infatti un elemento interno, percepito all’interno, che può essere espresso pur non
potendolo udire. Negli adulti la prassi è diversa in quanto alcune abilità sono già state
acquisite nel tempo. L’approccio è più empatico e strutturato in forme “laboratoriali”
gruppali esplorative della dimensione sonora, sia prodotta che percepita.
A questo proposito esistono due pubblicazioni interessanti che riguardano proprio
l’approccio multisensoriale verso il mondo sonoro. Un testo è dedicato più al bambino,
l’altro è un’esplorazione nel mondo musicale di un sordo adulto. I testi sono:
- QUANDO LA MUSICA PARLA AL SILENZIO Autore: Carré Alain
Il testo rappresenta un vero e proprio manuale di musicoterapia per sordi, analizzandone
con precisione e scientificità tutte le componenti e le interazioni. La prima parte, “Il sordo in
tutti i suoi stati”, è un’analisi accurata della sordità secondo la prospettiva medica,
psicologica e comunicativa. La seconda, “Tra musica e linguaggio”, è invece
un’esposizione della musicalità dal punto di vista acustico, strutturale e percettivo. La terza
ed ultima parte del testo, “La musica come contributo allo sviluppo armonioso del bambino
sordo”, è, infine, il ponte di collegamento tra le prime due, il terreno di interazione
completo, in cui si definisce la disciplina e se ne espongono i fondamenti, giungendo con
consapevolezza alla presentazione delle modalità applicative.
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- IL PIANISTA CHE ASCOLTA CON LE DITA. APPUNTI SULL’ARTE, I LINGUAGGI, LE INTERAZIONI SENSORIALI.Autore:Paola Magi
"Il pianista che ascolta con le dita" è un viaggio nel paese delle disabilità sensoriali fatto
attraverso gli occhi di una docente di storia dell'arte. L'autrice ha annotato osservazioni e
riflessioni legando insieme, nel nodo cruciale dell'analisi dei linguaggi, mondi diversi:
dell'arte, della matematica, della logica e della letteratura da un lato, e dall'altro delle
persone ipoudenti e ipovedenti dalla nascita e dei percorsi che esse affrontano nella
formazione del linguaggio e del pensiero astratto. In appendice, la testimonianza di due fra
gli incontri più significativi: quello con Martina Gerosa, che racconta della sua esperienza
di bambina con sordità e dei "cartoncini" che l'hanno aiutata a imparare a parlare, e quello
con Daniele Gambini, compositore, musicologo e pianista sordo dalla nascita.
Esistono alcune interessanti ricerche relative al recupero del deficit uditivo: a Milano
invece si è svolta una sperimentazione su ipoacusie gravi che unisce un impianto cocleare
(chiamato orecchio bionico) con la terapia musicale che prevede l’ascolto di musica
classica (nello specifico è stato scelto Mozart per la linearità e modularità dello stile)come
“allenamento all’ascolto “per aiutare a risvegliare la memoria acustica cerebrale. Di seguito
riporto un articolo che spiega nel dettaglio la prassi:
Un impianto cocleare e una terapia musicale con musica classica di almeno due mesi è in sperimentazione a Milano. Confortanti i risultati preliminari, fra un anno la validazione scientifica della metodica
Musica di Mozart, inserita in un programma di allenamento all’ascolto, previo impianto di
un orecchio bionico: è la metodica seguita a Milano per aiutare a risvegliare la memoria
acustica cerebrale in pazienti affetti da sordità totale o parziale e favorire il recupero dei
suoni dimenticati. La tecnica, che è stata anche presentata ad un Congresso specialistico,
sarà testata per un anno per la definitiva validazione scientifica.
6.1 La Metodica E’ attuata in una struttura milanese e sperimentata in adulti che hanno perso la capacità uditiva a seguito di traumi, lesioni, malattie correlate all’invecchiamento delle cellule. «La metodica – spiega Carmelo Monaco, audioprotesista e ideatore di questa
particolare ‘musicoterapia’ – prevede un lavoro di coinvolgimento simultaneo dei sensi che
80
dettagliano il suono nel cervello: la vista, con l’invito alla lettura e alla memorizzazione di
una serie di parole o frasi;; l’udito attraverso l’ascolto per brevi periodi della musica di
Mozart, privilegiata per la sua modularità (i toni hanno frequenze né troppo alte né troppo
basse), che favorisce la concentrazione mentale senza generare attimi di disagio per il
cervello come potrebbe avvenire con l’ascolto della musica di Beethoven ricca di forti e di
piani, e la voce attraverso un canto gregoriano che consente il rilassamento del cervello
dopo un esercizio impegnativo».
A trarre beneficio da questa particolare musicoterapia sono le sordità molto elevate con perdite tra i 2500 e i 20 mila hertz che possono riguardare sia frequenze acute sia suoni a basso contenuto energetico, come la lettera ‘f’, la ‘s’ o la ‘c’ spesso confuse con altre
consonanti. Tempo medio di recupero? Da un minimo di 2 mesi fino a un massimo di 6 con sedute settimanali da un’ora ciascuna. «Due mesi possono già essere sufficienti per il recupero di circa l’80% dell’udito – continua il tecnico – e il reintegro nella vita sociale». Ma la terapia, per essere efficace, richiede anche i compiti a casa: «Agli incontri
– aggiunge Monaco – i pazienti devono arrivare preparati, avendo appreso le liste di
parole e ascoltato i brani assegnati sui quali saranno testati di volta in volta».
6.2 L’impianto Cocleare La terapia, però, non potrebbe funzionare se non fosse preceduta dall’impianto cocleare, noto come orecchio bionico. «Consiste in un intervento chirurgico – spiega Francesco Ottaviani, professore ordinario e direttore della Divisione di Otorinolaringoiatria
dell’Ospedale San Giuseppe di Milano – che prevede il posizionamento di un sottile
ricevitore a disco che si fissa all'osso temporale dietro il padiglione auricolare, al di sotto
del cuoio capelluto, e di una sottilissima guida flessibile per allocare micro-elettrodi
all’interno della coclea (parte dell’orecchio)».
Dopo un mese, a guarigione della ferita avvenuta, il processore dell'impianto viene
applicato mediante un magnete sopra la zona del ricevitore ed iniziano la progressiva attivazione dei canali di stimolazione (mappaggio) e la riabilitazione. «Quest'ultima – continua Ottaviani - è necessaria per apprendere la nuova modalità uditiva, utile per la
comprensione della parola». Dura diversi mesi se l'impianto è utilizzato in bambini prima
dei due anni di vita o in persone che non hanno ancora acquisito il linguaggio, ma è molto
più breve per chi già possiede la conoscenza verbale.
L’impianto cocleare rappresenta un'opzione riabilitativa sicura ed ottimale per pazienti profondamente sordi, sia bambini che adulti, le cui raffinate tecniche e strumentazioni
81
hanno portato oggi fino alla possibilità di riconoscere ed utilizzare normalmente la voce e
di apprezzare la musica. Un traguardo solo fino a foco tempo fa insperato.”
6.3 Le Ricerche Sempre sul recupero del deficit uditivo molto interessante la ricerca svolta nelle province di
Verona, Trento, Brescia, Bolzano, Cremona, Como e Vicenza dove viene proposta una
ricerca su due fronti: una parte su 60 medici e operatori che lavorano con ipoacusici
sottoposti a trattamenti di musicoterapia, un’altra parte su un gruppo di 8 genitori di
bambini ipoacusici, sottoposti anche loro a sedute di musicoterapia.L’obiettivo di valutare il
riscontro dell’attivita musicoterapica nell’ambito riabilitativo psico-comportamentale e
acustico verbale. I risultati mostrano che gli effetti riabilitativi della musicoterapiasono
ancora poco conosciuti tra i professionisti,mentre i genitori rilevano un miglioramento
dell’attenzionesonora al termine delle sedute e un’effettiva valenza
riabilitativadell’intervento sui propri figli.
Di seguito riporto l’integrale dell’articolo:
Introduzione
È noto che l’ipoacusico, avendo una menomazione della capacità di udire, presenta
difficoltà nella produzione verbale, come la modulazione della propria emissione vocale, la
percezione e produzione degli aspetti soprasegmentali del linguaggio e l’alterazione del
ritmo e della fluidità linguistica del parlato.
Diversi studi hanno dimostrato come l’uso della musica ben strutturata renda possibile il
recupero di una serie di abilità nei bambini sordi, tra cui: lo sviluppo delle capacità uditive e
del linguaggio orale;; l’utilizzo di un linguaggio più
fluido3 e lo sviluppo dei residui uditivi, stimolando il cervello con appositi suoni presentati
secondo un preciso allenamento acustico4,5;; il miglioramento dell’organizzazione del
discorso, dell’uso delle strutture sintattiche, della costruzione di frasi semplici, nonché
degli aspetti sopra-segmentali del linguaggio e della qualità della voce.
Tuttavia, affinché ci sia un’azione positiva della musica sul soggetto ipoacusico, sono
necessari alcuni presupposti:
• che il soggetto ipoacusico portatore di protesi sia in grado di rispondere agli stimoli
musicali
e di stabilire una relazione terapeutica;;
82
• che la spigliatezza con cui il soggetto ipoacusico risponde allo stimolo musicale sia
messa
in relazione con il tempo di esperienza dell’impianto8 o della protesizzazione acustica;;
• che la musica costituisca un evento gradevole, o quantomeno non negativo, nella vita
della
persona con deficit uditivo.
La proposta di un allenamento acustico consente, anche in caso di sordità profonda, di
percepire gli elementi soprasegmentali del linguaggio e di cogliere il modificarsi, all’interno
del discorso stesso, dei parametri di durata, intensità ed altezza. Questi parametri
permettono non solo di percepire la melodia del discorso, ma anche di distinguere le
parole, talvolta anche i fonemi, nonostante il deficit uditivo9. In altre parole, se un
ipoacusico è allenato alla percezione di durata, intensità ed altezza di un suono, è
agevolato nella comprensione di determinate parole, anche senza discriminare tutti i
fonemi che le compongono. Secondo Carré, l’allenamento acustico – se praticato con la
musica, purché correttamente presentata nei suoi parametri tecnici di durata, ritmo,
frequenza, intensità – è migliore rispetto all’allenamento acustico verbale.
Tale considerazione viene dedotta partendo dal presupposto che un individuo con deficit
uditivo percepisce ed analizza meglio i suoni musicali rispetto a quelli linguistici, nonché la
voce cantata rispetto alla voce parlata, dal momento che la voce cantata costituisce
un’informazione semplice, caratterizzata da una curva periodica del suono, mentre la voce
parlata è caratterizzata da una curva irregolare e aperiodica. Ne deriva che l’allenamento
acustico musicale risulta un valido aiuto al recupero delle capacità uditive in un soggetto
protesizzato in quanto:
– utilizza suoni sinusoidali più facilmente memorizzabili dal cervello;;
– utilizza una maggiore ricchezza di armoniche della frequenza fondamentale, dal
momento che siserve di un campo molto più vasto di frequenze (16- 18000Hz) rispetto
a quello della voce umana (400- 4000Hz), permettendo di stimolare le frequenze e i toni
che normalmente una persona ipoacusica percepisce in modo distorto o debole.
La musicoterapia costituisce, quindi, un ausilio riabilitativo potenzialmente assai efficace
nel favorire il recupero acustico-verbale dell’ipoacusico;; tuttavia la conoscenza di tale
approccio non appare ancora diffusa tra gli operatori sanitari che si occupano di bambini
83
affetti da sordità, così come non sono stati altrettanto indagati i beneficî percepiti dai
fruitori.
Obiettivo della presente ricerca è di esaminare le opinioni e la conoscenza sulla
musicoterapia applicata
ai deficit uditivi da parte del personale medico e sanitario che si occupa di soggetti affetti
da ipoacusia, ma anche di comprenderne l’efficacia percepita in un gruppo di genitori di
bambini sordi che hanno svolto un percorso di musicoterapia.
Materiale e metodi
Durante la primavera del 2011 sono state svolte due indagini, una rivolta a 60
professionisti (età media 41 ±11 anni, 32 femmine), coinvolti nel trattamento della sordità,
l’altra a genitori di bambini ipoacusici che hanno praticato il Laboratorio di musicoterapia
presso l’Associazione dei Genitori dei sordi bresciani, al fine di valutare il riscontro di
questa attività sui loro figli. Il campione dei professionisti è composto da 37 audioprotesisti,
7 audiometristi, 7 logopedisti, 5 medici otorinolaringoiatri, 2 medici di base, 2
psicoterapeuti che lavorano in media da 15 (± 10) anni, operanti nelle province di Brescia,
Verona, Trento, Bolzano, Cremona, Como e Vicenza in strutture ospedaliere (15) e/o in
studi sanitari (46) e/o in aziende sanitarie locali (6). Il questionario proposto ai
professionisti, oltre a raccogliere alcuni dati anagrafici quali età, sesso, professione, anni
di lavoro e contesto lavorativo, indaga
l’esistenza o meno di esperienze con pazienti sordi che abbiano usufruito di musicoterapia
e la loro opinione al riguardo, mediante una domanda aperta («Che opinione ha
dell’utilizzo della musicoterapia per persone affette da ipoacusia?»).
Il campione di genitori che hanno partecipato al secondo studio è composto da otto adulti,
a cui sono stati chiesti: sesso ed età del figlio assistito;; le patologie da cui è affetto;; l’anno
di partecipazione alle sedute di musicoterapia (I, II…);; se le sedute di musicoterapia si
svolgono in seduta individuale o di gruppo, e, nel caso vengano svolte entrambe, se il
genitore ha notato differenze dopo le sedute di gruppo rispetto a quelle individuali (con
invito a descriverle);; se il genitore è presente durante la seduta (sempre,
a volte, mai);; il numero delle sedute settimanali;; se il/la bambino/a partecipa volentieri alle
sedute;; come il bambino/ a si mostra alla fine della seduta rispetto all’inizio della stessa,
da un punto di vista comportamentale (apatico, tranquillo, vivace, iperattivo), emotivo
84
(allegro, triste, divertito, annoiato, rilassato, scosso) e nel rapporto con l’ambiente
circostante (maggiore/minore attenzione ai suoni
che ode, o nessuna variazione). Sono stati quindi chiesti alcuni giudizi sull’efficacia
percepita della musicoterapia rispetto
alla riabilitazione uditivo-comportamentale del/la bambino/a e al suo effetto sulla capacità
di interagire con l’ambiente circostante. Infine, con una domanda aperta, sono stati
indagati i cambiamenti che il genitore ha notato nel bambino/a rispetto all’inizio del
trattamento con musicoterapia.
Risultati
INDAGINE SU 60 PROFESSIONISTI COINVOLTI NEL TRATTAMENTO DELLA
SORDITÀ
Dall’indagine è emerso che il 42% degli intervistati non ha avuto modo di trattare soggetti
ipoacusici praticanti attività di musicoterapia e quindi di non poter esprimere un’opinione a
riguardo. Il restante 58% degli intervistati, proveniente prevalentemente da Brescia, ha
invece espresso un giudizio, dal momento che in tale sede è attivo un Laboratorio
specializzato in musicoterapia nell’intervento sull’ipoacusico. Inoltre, tra coloro che hanno
espresso giudizi riguardo l’attività di musicoterapia, solo il 27% ha personalmente avuto
modo di trattare ipoacusici che hanno seguito tale attività. Per la maggior parte del
campione, ad esclusione degli audiometristi, il principale vantaggio ricavato dall’attività di
musicoterapia è relativo a un beneficio psicologico. Rimangono, invece, in secondo piano
gli effetti più prettamente legati all’intervento sulla distinzione e discriminazione dei suoni
nonché sul linguaggio e sulla prosodia. La percentuale di professionisti che riconosce in
una stimolazione musicale appropriata un beneficio alla memoria uditiva e all’attenzione
nei confronti dell’ambiente
circostante, è ancora più bassa. Ciononostante, non è emersa una chiusura nei confronti
di questa attività. Anche chi non ha mai trattato soggetti ipoacusici praticanti questo tipo di
intervento, si è mostrato ben disposto a conoscerne gli effetti, al fine di intraprendere il
percorso riabilitativo più completo e idoneo per il soggetto con deficit uditivo,
parallelamente agli interventi
tradizionali di logopedia e di applicazione protesica. Di seguito sono riportati alcuni dei
giudizi liberamente
formulati dai partecipanti allo studio:
– applicazione utile per stimolare l’ascolto;;
85
– buona tecnica riabilitativa, utile per l’approfondimento del linguaggio e dei suoni;;
– attività complementare utile a potenziare aree critiche dell’ipoacusico come la
percezione
del ritmo, della prosodia e della percezione uditiva (discriminazione del suono).
Ha influssi positivi sul linguaggio e la voce. Attività motivante e gratificante;;
– attività utile anche se poco conosciuta per stimolare determinate frequenze di solito non
sollecitate;;
– ausilio da sottoporre all’attenzione dell’ambiente medico: dovrebbe essere più diffusa
l’informazione a proposito;;
– da coordinare con altre terapie, permette una maggiore discriminazione del suono e
maggiore sviluppo della memoria uditiva;;
– genera benessere psicofisico necessario per accettare la protesi acustica;;
– influenza l’attenzione e favorisce lo sviluppo dei canali percettivi alternativi
dell’ipoacusico;;
– favorisce un maggior contatto con l’ambiente esterno;;
– migliora l’elaborazione dei suoni, migliora la percezione dell’ambiente, aumenta la soglia
dell’attenzione, permette l’acquisizione del controllo dei suoni e della voce parlata e
cantata;;
– migliora l’attenzione e i rapporti di relazione con gli altri;;
– dovrebbe essere presente in ogni Centro che si occupa di ipoacusici;;
– valido ausilio se svolta con costanza. Influenza la psicologia della persona e velocizza la
percezione dei suoni stimolando la memoria uditiva.
INDAGINE SUI GENITORI DI BAMBINI AUDIOLESICHE USUFRUISCONO DI
MUSICOTERAPIA
I bambini in trattamento presentavano tutti ipoacusia, più o meno marcata. Alcuni di essi
avevano comorbilità con patologie neurologiche e fono-articolatorie. Il campione analizzato
ha frequentato le sedute di musicoterapia con periodicità di almeno una volta a settimana
per un anno. Nella metà dei casi il genitore è stato presente saltuariamente alla terapia, in
tre casi lo è stato sempre, in un solo caso mai. Questo in funzione delle capacità e delle
esigenze del bambino stesso. Nella totalità dei casi, indipendentemente dalla patologia del
figlio, dagli anni di partecipazione alle sedute, dall’età dei bambini, i genitori hanno
affermato che i loro figli hanno partecipato volentieri all’attività di musicoterapia.
86
Ogni genitore ha potuto dare più di una risposta riguardo il tipo di comportamento assunto
dal proprio figlio.
In sei casi su otto, i genitori dei bambini ipoacusici hanno percepito, al termine della
seduta, una maggiore
attenzione da parte del figlio nei confronti dei suoni del mondo circostante. Negli altri due
casi non è stata riportata
alcuna variazione significativa. Infine, i genitori di tutti i bambini intervistati hanno affermato
di ritenere la musicoterapia un valido aiuto da utilizzare, allo scopo di coadiuvare la
riabilitazione uditivo-comportamentale e di migliorare l’interazione del bambino con
l’ambiente.
Discussione
L’analisi dei risultati estratti dai questionaripresentati ai professionisti attivi nell’ambito
dell’ipoacusia,ha evidenziato che gli effetti della musicoterapiasono ancora poco
conosciuti e che lamaggior parte delle conoscenze è ancora strettamentelegata più
all’intervento psicologico e comportamentale,che alla valenza riabilitativa. I vantaggi ottenuti dall’utilizzo dell’allenamento acustico praticato attraverso la musica, tra i
quali: aiutare l’ipoacusico a sviluppare il senso del ritmo della macro e della micro motilità,
utilizzare il suono nella comunicazione, migliorare la qualità della propria emissione vocale
e stimolare determinate frequenze al fine di velocizzare e migliorare l’adattamento
protesico, sono ancora poco conosciuti dalla maggior parte dei professionisti sanitari che
operano nel campo dell’ipoacusia. Ciò può essere in parte dovuto alla diffusa convinzione
che la musicoterapia, proprio per l’etimologia del termine, abbia come finalità il
miglioramento del benessere generale e non tanto quello di competenze specifiche quali
la stimolazione della fono-articolazione e l’arricchimento dell’allenamento acustico
tradizionale.
Ciononostante, l’atteggiamento nei confronti della musicoterapia sta cambiando. Alcuni
professionisti hanno mostrato consapevolezza del fatto che essa, se strutturata come
allenamento acustico musicale, è in grado di dare beneficî alla percezione, alla
discriminazione e al riconoscimento dei suoni.
Molti degli operatori hanno inoltre dichiarato di voler accrescere la loro conoscenza di
questa pratica al fine di individuare il più completo intervento riabilitativo per il soggetto
ipoacusico, in particolare pre-verbale, in modo tale da garantire un migliore inserimento
sociale. A dimostrazione del fatto che la musicoterapia, se praticata da persone
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opportunamente formate in tale ambito, induce alcuni beneficî agli interventitradizionali
riabilitativi, sono da tenere presenti le opinioni raccolte dai genitori dei bambini ipoacusici,
frequentanti il laboratorio di musicoterapia. Il 75% degli intervistati ha affermato di aver
notato un miglioramento dell’attenzione sonora al termine delle sedute, mentre il 100% ha
ammesso di ritenere la musicoterapia un valido aiuto, da coordinare agli altri interventi
riabilitativi.
Il numero di casi da noi analizzato è esiguo;; sarebbe interessante indagare se tali
percentuali sarebbero confermate da indagini condotte su più ampia scala.
L’ultimo interessante articolo che riguarda la relazione corpo-mente-suono nei soggetti
sordi è stato scritto da Giulia trovesi Cremaschi, musicista, musicoterapeuta, co-fondatrice
della Musicoterapia Umanistica, presidente e fondatrice dell’Associazione Pedagogia
Musicale e Musicoterapia «Giulia Cremaschi Trovesi», presidente della Federazione
Italiana Musicoterapeuti. È fondatrice, con Simona Colpani, della modalità terapeutica
«Relazione Circolare», utilizzata nella riabilitazione delle patologie anche molto gravi
(autismo) e nei casi di plurihandicap (lesioni cerebrali,sordocecità, esiti da nascita
gravemente prematura, sindromi particolari).
Autore: Cremaschi Trovesi Giulia Art. 1° - Articolo pubblicato dalla rivista "I Care" Che cosa accade se un musicista accosta una persona sorda alla musica? Quello che
accade dipende dalla relazione che si genera fra il musicista e la persona sorda. La
relazione, il tramite che unisce le due persone è la musica che viene suonata. Non si
tratta di esecuzione: le frasi musicali che il musicista crea (improvvisazione clinica)
sono il linguaggio che intesse la rete comunicativa. Lo strumento musicale deve avere
determinate caratteristiche: una gamma di registri sonori ampia che consente il gioco
musicale ritmico-melodico-armonico, ricchezza di suoni armonici. Tutto questo avviene
attraverso uno strumento dotato di una grande cassa armonica.
Il principio acustico della cassa armonica, presente in tutti gli strumenti musicali
(esclusi quelli elettronici che ottengono l’amplificazione attraverso la corrente elettrica)
da dove nasce? Dalla messa a punto di quello sto proponendo per far nascere l’ascolto
in una persona sorda. Il nostro corpo è una rete di trasmissioni (i nostro tessuti) e casse
armoniche. L’aria che inspiriamo si trasforma in voce nell’espirazione, passando
attraverso la laringe tesa e risuonando nelle casse armoniche del nostro corpo, dette
88
cavità risonanti. Il corpo di una persona sorda è fatto come il corpo di ogni essere
umano. All’interno della coclea ci sono zone di cellule cigliate che non entrano nel gioco
della risonanza (la sordità). Tutto ciò che chiamiamo ascolto ed il formarsi della voce
dipendono dal fenomeno acustico-meccanico della risonanza. Tutti gli strumenti
musicali acustici sono costruiti seguendo le regole acustiche sulla risonanza.
Nelle percussioni, strumenti ritmici per eccellenza, le casse di risonanza sono i corpi
(ancor oggi copia fedele di tronchi d’albero scavati) sui quali sono fissate pelli, regoli (le
sbarre sonore di marimba, xilofoni, metallofoni, ecc…), scatole sonore in legno o altro
materiale ecc…
Negli strumenti a fiato i tubi sonori sono il corpo degli strumenti stessi. Il modo di
produrre le sonorità dipende dall’imboccatura degli strumenti (bocchino, becco, ancia
ecc…), dalla pressione del fiato, dalla pressioni vibrante delle labbra. All’interno dei tubi
sonori si formano vortici d’aria (nodi e ventri) che chiamiamo suoni. I tubi sonori,
escluso
il flauto traverso, sono aperti dai due lati.
Negli strumenti a corda le casse di risonanza sono il corpo degli strumenti. Guardiamo
ad una chitarra, agli archi, all’arpa e vediamo, tocchiamo, siamo toccati da casse
armoniche le cui dimensioni sono in proporzione con la lunghezza delle corde. Nel caso
degli archi siamo di fronte ad una famiglia di strumenti.
Gli organi, risalenti a strumenti antichissimi già presenti presso gli egizi, sono una
combinazione degli strumenti a fiato e a percussione (le dita percuotono i tasti). E’
interessante osservare che gli antichissimi organi idraulici sono fra i primi esempi di
tecnologia idraulica applicata dall’uomo. L’impianto idraulico serviva per far entrare
l’aria nel mantice. I tasti aprono il condotto dell’aria che, soffiando dentro alle canne, si
trasforma in suono. Le canne dell’organo sono tubi a fondo chiuso. Il funzionamento
dell’organo, con le canne a fondo chiuso, richiama la struttura dei polmoni (la fonte da
cui l’aria inspirata viene espulsa), della laringe (il luogo vibrante), il cavo orale (dove la
voce si espande), le cavità risonanti (gravi, medie, acute) dove la voce di modula e
arricchisce di timbro.
All’interno dei pianoforti a coda ritroviamo l’arpa (il telaio in ghisa che sopporta la forza
tensiva delle corde, pari ad una tonnellata), posta all’interno della cassa armonica
sorretta da grosse travi che partecipano ai giochi della risonanza. Sotto alle corde di un
pianoforte a coda sono posti i martelletti che picchiano contro alle corde non appena il
pianista percuote i tasti con le dita. Nel momento in cui il pianista toglie le dita da un
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tasto gli smorzatori bloccano i moti vibratori delle corde. Il pianoforte, strumento in
grado di suonare forte e piano (il suo primo nome agli inizi del settecento di fortepiano),
racchiude caratteristiche di altri strumenti. E’ strumento a percussione (ritmico), e a
corda (melodico e armonico).
Il musicista che accosta una persona sorda alla cassa armonica del pianoforte,
conosce i fondamenti della fisica acustica oltre che quelli del comporre musica. Per
agire in modo adeguato il musicista sa utilizzare il pianoforte in modo creativo. Il
pianista osserva le espressioni del viso, la postura della persona sorda, prova a
suonare un accordo, esegue lo stesso accordo o un altro rinforzando con un’ottava nel
basso, ancora un altro accordo… con la mano sinistra continua a suonare accordi in
registro medio – grave, con la mano destra crea una melodia (ritmo-melodia), con lo
sguardo osserva le espressioni del viso, i gesti, la postura della persona sorda…. Gli
elementi in gioco aumentano. Fra la persona sorda ed il pianista si sta creando un
gioco relazionale strettamente legato alla particolarità della situazione. A contatto con la
cassa armonica del pianoforte, la persona sorda è investita, coinvolta, compenetrata
dalle onde sonore (la risonanza corporea). Le onde sonore continuano a cambiare. Il
pianista non suona nello stesso modo. Il pianista si accorge delle emozioni della
persona sorda e crea, compone musica, genera contrasti sonori, gioca con ritmi diversi.
Il pianista sta parlando alla persona sorda con i suoni, con gli accordi, i ritmi, le melodie.
Suoni, accordi, ritmi, melodie sono una cosa sola. Quello che accade dentro alla
persona sorda come viene valutato dalle persone udenti? Per il momento non ha
importanza. Ciò che importa è la persona sorda. Ogni persona reagisce in modo
personale. Ne consegue che il musicista suona in modo diverso per ogni persona.
Che cosa ho sperimentato quando, per la prima volta, sono stata invitata ad accogliere,
in un piccolissimo gruppo di bambini di due anni, un bambino sordo? Il bambino sordo
si è interessato a quello che accadeva e mi ha guidato verso la scoperta di quello che
credevo di conoscere. Può accadere che anche il lettore pensi: “Certo, il sordo sente le
vibrazioni!”. Anche noi sentiamo le vibrazioni, i nostri corpi convibrano con l’ambiente in
ogni istante della nostra vita. Un modo di pensare tramandato da secoli ci ha convinto
che la ricezione dei suoni riguarda soltanto le orecchie. Proviamo a domandarci: “Che
cosa vuol dire vibrazioni?” La fisica acustica conferma che il suono è sempre dato da
vibrazioni. L’essere umano (non soltanto l’orecchio umano) percepisce da Hz 16 fino a
Hz 16.000-20.000. Una buona parte delle persone probabilmente non percepisce gli Hz
20.000 e vive benissimo. Pitagora (Samo 575 ca. - Metaponto 490 ca. a.C.), filosofo,
90
matematico, musicista, non lasciò nulla di scritto. I suoi studi sono giunti fino a noi
attraverso gli scritti di Aristosseno di Taranto. Pitagora si accorse che una corda tesa,
posta in vibrazione (ossia pizzicata), entra in vibrazione con movimenti complessi. Il
numero dei moti vibratori si moltiplica nel momento stesso in cui la corda incomincia a
vibrare. Le onde sonore che si propagano nell’aria, coinvolgono tutto quello che
incontrano.
“Proviamo a immaginare che dentro a un contrabbasso si possa inserire un violoncello;;
dentro al violoncello una viola;; dentro alla viola un violino. Avremmo così, come in un
gioco di scatole cinesi, uno strumento dentro all’altro. Dallo stesso strumento, visibile
all’esterno, potremmo ottenere le prestazioni di quattro strumenti. Passando l’archetto
sulle corde del contrabbasso, per simpatia (la Risonanza), convivrebbero le corde del
violoncello, della viola, del violino. Le casse di risonanza, comprese una dentro l’altra,
amplificano il gioco dei suoni armonici secondo precise proporzioni. A ogni suono
fondamentale che vibra corrispondono le armoniche, nelle giuste proporzioni, fra la
lunghezza delle corde e i volumi delle casse armoniche. Così accade per il nostro
corpo” (G. Cremaschi Trovesi “Il corpo vibrante” ed. scien. Ma.Gi, Roma 2000).
La fisica acustica è alla base dei fondamenti teorici della musicoterapia umanistica.
Soltanto attraverso le leggi dell’acustica sono spiegabili i comportamenti dei sordi a
contatto diretto con la musica, con strumenti musicali acustici [1]. I comportamenti dei
sordi sono i nostri comportamenti. Senza la musica non sarebbe mai sorta la danza.
Senza i suonatori non si danza nelle piazze;; senza l’orchestra che suona non avremmo
il balletto nei teatri;; senza gli amplificatori non si scatenerebbero i giovani nelle loro
vorticose contorsioni ed evoluzioni. Tutto è così ovvio che è finito per essere trascurato,
quasi dimenticato. Basta che ci domandiamo sul perché delle dimensioni degli
strumenti musicali per avere delle risposte. Cerchiamo le risposte attraverso noi stessi,
il nostro essere persone. La parola persona, di origine, latina indica “per – sonare”
ossia suonare attraverso se stesso. Dalla parola persona deriva il termine personaggio.
Prendiamo in mano una chitarra. Basta fare scorrere le dita della mano destra sulle
corde per avvertire i moti vibratori nel braccio sinistro, nel corpo. Proviamo con un
violoncello, con un contrabbasso. I corpi degli strumenti sono grandi, rispondono alle
regole sulla risonanza, al rapporto: qualità delle frequenze – volume corporeo. In altre
parole questo ci dice che una corda lunga per risuonare, ossia per essere udibile, deve
essere disposta sopra ad una cassa armonica grande;; una corda piccola deve essere
91
posta su una cassa armonica piccola. Sono proporzioni matematiche. Sono le regole
già note a Pitagora, al mondo antico. Poniamoci in ascolto di noi stessi. Pitagora ha
capito e teorizzato, attraverso i suoi discepoli, che una corda tesa produce moti vibratori
complessi, multipli del fondamentale. La ricezione di un solo suono, dato, nella
contemporaneità, da fondamentale e armonici, è complessa come è complesso il suono
stesso. Una sonorità grave comprende le sonorità acute (v. l’esempio degli strumenti
arco virtualmente compresi uno dentro all’altro).
I suoni puri In audiometria, nelle camere silenti, si utilizzano le frequenze pure, o suoni puri. In
natura non esistono i suoni puri. Entriamo, a questo punto, nella parte umana di questa
trattazione. Che cosa significa per ogni essere umano, ricevere dei suoni, dei timbri
sonori? Ogni timbro sonoro, sia esso suono (la voce di qualcuno) o rumore, è la
testimonianza della vita del mondo del quale tutti noi facciamo parte. Ogni timbro
sonoro può essere fonte di conferma alla realtà, allarme o altro. Ogni timbro sonoro è
caratterizzato dai suoi armonici. Senza suoni armonici otteniamo un suono puro che, in
natura non può esistere, perché ogni suono, verso, rumore è caratterizzato dal suo
timbro. Perché si utilizzano i suoni puri in audiometria? Perché il tecnico ha bisogno di
avere risposte sicure. Come rispondono i bambini di fronte a sonorità che non esistono
in natura?
Entriamo così nel mondo della musicoterapia umanistica: prendersi cura del mondo
affettivo, emozionale del bambino. Ogni timbro sonoro è fonte di emozioni. Un suono
sconosciuto quali emozioni può generare? Da più di trent’anni ormai è un dato di fatto
che le risposte dei bambini sordi ai suoni degli strumenti musicali sono diverse dalle
risposte in audiometria. Il gioco relazionale condiviso crea un tipo di partecipazione ed
attenzione diverso dal quello che si genera in un laboratorio.
6.4 Corpo – Mente o corpomente?
Accostare una persona sorda ai suoni, alla musica, ponendola a contatto diretto con la
cassa armonica di un pianoforte a coda, significa aver imparato ad apprezzare l’ascolto
come qualcosa di complesso, molto complesso. Guardiamo un contrabbasso, la sua
cassa armonica, il corpo del contrabbassista, in piedi con l’archetto in mano e
domandiamoci se quelle sonorità così ampie e gravi possono passare soltanto
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dall’orecchio. Prendiamo fra le mani un timpano [2] per domandarci perché si chiama
timpano, esattamente come il nostro timpano, la membrana tesa che si trova fra il
condotto uditivo esterno e l’orecchio medio. Invece che picchiare sul timpano, lasciamo
le mani con i polpastrelli appoggiati alla membrana e mettiamoci a parlare. Sentiremo le
nostre voci scorrere sotto ai polpastrelli delle dita. Non si tratta del solito: “sentire le
vibrazioni”, si tratta del fenomeno della risonanza, delle precise proporzioni fra il
numero dei moti vibratori al minuto secondo (frequenza) e il volume di un corpo. Il
nostro orecchio è specializzato a distinguere le formanti armoniche delle voci. La pelle
delle dita ricevono i fondamentali dalla pelle del timpano. Il suono è fondamentale e
armoni insieme. Produzione e ricezione dei suoni implica un parallelo di proporzioni fra i
moti vibratori (fondamentali e armonici) e le cavità risonanti che ricevono (corpo e
apparato uditivo). Nel mio ultimo libro “Leggere, scrivere, far di conto [3]” riporto
l’esempio di una giovane donna sordocieca dalla nascita. Questa persona parla
correttamente e conduce una vita di studio come i suoi coetanei. Ha imparato a parlare
tenendo, fin dalla nascita, tenendo le dita appoggiate al collo della mamma e del papà.
“I polpastrelli di questa bambina sono membrane timpaniche poste sulle dita. In effetti la membrana del timpano è pelle così come i polpastrelli delle dita sono pelle.
Che cosa ne sappiamo noi della sensibilità della pelle di un neonato, di un lattante, di
una creatura che scopre la vita attraverso il vibrare del corpo materno? I testi ci dicono
che un cucciolo di mammifero se non è sottoposto alle leccate della madre, muore. Le
leccate sono degli stimolatori del sistema nervoso centrale. Nella nostra cultura i
bambini vengono lavati, accarezzati, massaggiati;; il loro sistema nervoso viene
sollecitato in questo modo. Le madri, mentre riempiono di cure il figlio, non pensano
certo al suo sistema nervoso, amano il figlio e basta. L’amore è fatto di gesti, di
carezze, di bagnetti e pomate, di voce che racconta, canta, culla, di momenti di ansia,
preoccupazione, perfino paura di sbagliare ecc… Sono esperienze segnate nella storia
di ciascuno di noi in modo così radicato e profondo da essere sottoposte all’oblio, alla
dimenticanza. Nelle conferenze, nei libri si parla del bambino come di un oggetto che
cresce secondo le tappe dello sviluppo. Il linguaggio è un altro oggetto di studio, uno fra
i tanti canali della comunicazione.
Quando ci interessiamo alle tappe di sviluppo, al numero dei fonemi, al numero delle
parole, in realtà di che cosa ci stiamo interessando?
Parliamo di noi stessi, delle nostre esperienze compiute attraverso emozioni che ci
hanno fatto accogliere, gradire, diffidare, criticare, rifiutare eventi della vita. Anche le
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nostre dita avrebbero potuto rimanere sensibili alle onde vibratorie, alle formanti del
linguaggio materno;; non abbiamo conservato queste doti perché le nostre membrane
timpaniche hanno svolto il loro lavoro compartecipando al convribrare di tutto il corpo.
I polpastrelli delle dita di questa bambina sono i suoi occhi. Come hanno fatto i genitori ad ascoltare questa figlia, a non soccombere sotto il peso di
“sordocieca?”?
La ragazza ha conservato nelle sue dita la sensibilità primitiva che unisce la mani con
la bocca. Il lattante succhia il latte muovendo la bocca nel suo interno mentre le piccole
mani e le dita sperimentano il calore del seno. Bocca e mani procedono insieme. Le
dita di Federica hanno conservato e potenziato sensibilità originaria facendo vibrare il
corpo della figlia attraverso quello della madre. Il corpo materno ha continuato ad
accogliere e contenere il corpo della figlia attraverso il vibrare della voce materna. La
risonanza originaria della prima orchestra ha continuato a convibrare attraverso le dita
della bambina. Il convibrare originario è diventato il farsi della voce della bambina. Il
vocalizzo si è fatto lallazione, parola attraverso il gioco scambievole del dialogo. La
voce della bambina si è unita alla voce della mamma. Le dita e la bocca hanno giocato
con il cibo e con la voce, con la scoperta sempre più ampia del mondo. Conoscere il
mondo attraverso le dita (la ragazza è cieca);; dare il nome ad ogni cosa presente nel
mondo, ai gesti, alle persone attraverso dita (la ragazza è sorda). Le dita sono gli occhi.
Le dita sono i timpani. Le dita sono l’apertura verso il mondo della lettura e della
scrittura, verso la conoscenza,
verso la cultura.
Questa ragazza è un’occasione per pensare, per crescere, per guardarsi le mani e
chiedersi:
“A che cosa mi sono servite? A che cosa mi servono? Che cosa me ne faccio delle mie
mani?”
Questa esperienza non ha bisogno di commenti. A conferma riporto il testo di una
lettera che ho ricevuto recentemente, dopo la conclusione di un convegno svoltosi
recentemente
nella mia città:
“…...Ora ho 21 anni e sono venuta a fare musicoterapia da lei quando ne avevo 5 o 6 Il
papà aveva interrotto gli incontri di musicoterapia perché non condivideva i nostri criteri
terapeutici. La bambina, colpita dalla sindrome di Husher, era vivacissima, ricchissima
di idee [4]. All’epoca ero ipovedente, ma dai 10 anni circa sono diventata cieca totale.
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Prima di tutto, desidero ringraziarla di cuore per quello che è riuscita a fare per me.
Di quel periodo della mia infanzia ho un ricordo piacevolissimo, in particolare mi sono
rimasti impressi tutti quei giochi di suoni e di colori, di ritmi e filastrocche (ricordo
qualcosa che aveva a che fare con una palla rossa), e tante altre esperienze
entusiasmanti e per me sorprendenti. Insomma lei mi ha fatto scoprire un nuovo mondo
(fuori ma soprattutto dentro di me) e un nuovo linguaggio che ha stimolato in me una
spiccata sensibilità musicale e, più tardi, la capacità di esprimermi anche con la musica.
Probabilmente se i miei non mi avessero fatto fare questa esperienza con lei, io non
avrei mai saputo di possedere una certa predisposizione verso lo studio della musica,
in particolare lo studio del pianoforte. In questo momento sto preparando l’esame di
armonia e quello di ottavo.
Ora frequento l’ultimo anno dell’istituto superiore per i Servizi Sociali.
E appunto ieri, venerdì 16 novembre, assieme alla mia classe quinta, ero presente al
convegno dove lei ha parlato, durante la mattinata, del suo affascinante lavoro e di
questo strumento "magico" che è la musica, un altro modo per comunicare e per
approcciarsi al mondo reale… Vorrei poi ringraziare altrettanto cordialmente Simona [5],
di cui ricordo gli abbracci e gli esercizi sul quel suo enorme pianoforte (almeno per
me!). Grazie a voi, che nel vostro metodo curavate anche l’aspetto motorio, ho potuto
esplorare, accanto al linguaggio della musica e della parola, anche la percezione fisica
dello spazio che mi circondava, permettendomi di esprimermi e di comunicare anche
attraverso il movimento, magari a tempo di musica”.
Si parla di musica senza conoscere il suono.
Si parla di linguaggio verbale dimenticando che le vocali sono suoni, che le consonanti
sono rumori o, al colmo dell’incredibile, sono silenzi.
A questo punto è arduo entrare nel tema musica-sordità perché:
i suoni formano le parole;;
le parole non spiegano i suoni.
Nel 1838 il prete veronese che riusciva a far cantare i sordi di nascita, Antonio Provolo,
scrisse: “Quando avrete fatto le grasse risate potrete dare udienza…“. Carol & Clive
Robbins, nella loro dispensa Music for Hearing Impaired (Magnamusic-Bato 1980), con
il fisico A. Boothroyd introducono con queste parole: “Musica per bambini sordi? E’
ridicolo!”.
Al musicista che conduce una persona sorda a contatto diretto con la cassa armonica
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di un pianoforte, è richiesto di imparare a leggere un nuovo tipo di partitura: la partitura
vivente. La musicoterapia introduce questa novità. Ciascuno di noi è una partitura
vivente, come scrisse Edith Stein [6]nei suoi studi sull’empatia. Il pianista riesce a farsi
ascoltare dalla persona sorda se riesce a rivolgersi a lui attraverso le frasi musicali che
crea suonando.
Suonare ascoltando / Ascoltare suonando
I sordi sono fortemente attratti dai suoni. Per quanto possa apparire strano i sordi
insegnano in che cosa consiste l’ascolto. La consuetudine nelle verifiche audiometriche
con le persone sorde (in particolare con i bambini) consiste nel verificare se “sente o
non sente”. Questa consuetudine ne nasconde altre. Per esempio i sordi insegnano che
non è vero che noi sentiamo soltanto con le orecchie. Da secoli queste informazioni
sono diventate delle convinzioni. In effetti queste convinzioni sono pregiudizi. Siamo di
fronte a qualcosa di molto grande, più grande di noi. Quando una persona, uno
specialista, è convinta di qualcosa (per es: il sordo sente le vibrazioni), non è disposta
al dialogo, non vuole mettersi in discussione. Figuriamoci se accoglie gli argomenti di
chi spiega accostando le dita alla tastiera di un pianoforte o prendendo in mano un
flauto dolce. I problemi veri nella relazione musica-sordità sono questi. Un bambino
sordo è pronto a fare tutto. I suoi genitori sono pronti a credere in lui? Il lavoro
terapeutico, graduale, progressivo, attento è rivolto verso i genitori perché imparino ad
ascoltare i suoni attraverso la sordità del figlio. Per questo motivo ho dato spazio alle
parole di due ragazze sordocieche. Ogni percepire è un evento soggettivo legato alle
caratteristiche di ogni persona, al momento, alla relazione che si stabilisce fra le
persone. Il mondo della musicoterapia è il mondo delle emozioni. Il mondo della
comunicazione è il mondo delle emozioni. Da molti anni si rinnovano in me le stesse
domande. Come mai i bambini sordi (non solo i bambini), amano e cercano i suoni?
Come mai, in altri contesti, si comportano da sordi? Potrò mai apprezzare il nascere
dell’ascolto in una persona sorda se, a priori, so già che non può ascoltare perché è
sordo? La risonanza corporea è un dato di fatto reale che vale per tutti noi.
“L’ascolto spontaneo” Testo di Daniele Gambini [7]
Facendomi coricare sul pianoforte a coda mentre lei suonava ho cominciato recuperare
quella dimensione corporea che avevo dimenticato da quando avevo messo le protesi
96
acustiche [8]. Sto scoprendo un modo di ascoltare molto bello, quello del “corpo
vibrante” come lo definisce Giulia.
La conoscenza del mio corpo per suonare ascoltando meglio, l’unità delle parti che
formano il mio essere, la consapevolezza di come rispondo al mondo circostante
formano la mia più che rara, unica persona! Più vado avanti e più mi rendo conto di
come il mio corpo è una continua scoperta di risorse e di emozioni.
Per certi versi il mio corpo sente meglio senza protesi acustiche.
Sto suonando il quinto preludio del primo libro del clavicembalo ben temperato di Bach.
Se lo suono senza apparecchi odo tutti i miei movimenti corporei, odo il convibrare
armonioso dei miei gesti con la musica. L’ascolto di se stessi comporta un controllo che
porta ad un piacere di sensi completi sia nel corpo che nella mente.
La mia sete di suoni e di corporeità non fa altro che aumentare per l’armonia che si
ricava.
Il contatto fisico mano-tastiera mi consente di essere un tutt’uno con i suoni, di essere
attraversato da essi stessi.
Quando sono arrabbiato non c’è musica che tenga, è come se non sentissi niente, il
disagio si manifesta anche nel corpo, soprattutto nel diaframma.
La scoperta dei piedi come ascolto della propria stabilità corporea dona sicurezza
psicologica e padronanza di sé, mentre nel suonare i piedi sono un banco di prova per
ascoltare senza protesi attraverso la vibrazione della materia dello strumento (anche se
dipende molto dall’ambiente in cui è situato il pianoforte e dalla qualità del legno della
cassa di risonanza).
La mia voce si sta aprendo sempre di più verso il grave, sto cambiando impostazione di
timbro.
Il recupero della percezione corporea attraverso la musica è una continua scoperta,
perché il suono è sempre nuovo.
Io ascolto anche così e dall’ascolto ho un apprezzamento di me stesso perché tutto
parte dall’interno di me”.
6.5 I fondamenti teorici Quanto ho esposto finora chiarisce in che cosa consiste l’agire in musicoterapia con
persone sorde. Attraverso la risonanza corporea i bambini sordi si accorgono di
qualcosa che investe il loro corpo. Non posso parlare di Risonanza Corporea
staccandola dall’Improvvisazione Clinica al pianoforte. I due eventi vanno insieme. Una
97
persona può anche stendersi sopra alla cassa armonica del pianoforte e non accorgersi
di quello che accade dentro di lei, semplicemente perché il pianista non le sta parlando,
sta soltanto suonando ed eseguendo qualcosa. Quante volte, nei film americani,
abbiamo visto le attrici (a partire da Marylin Monroe), cantare seduti sul pianoforte e
non accorgersi della risonanza? Per smuovere l’ascolto da “dentro” il musicoterapeuta
suona osservando, scrutando leggendo la Partitura Vivente che ha davanti a sé.
In contemporaneità abbiamo:
Risonanza Corporea
Improvvisazione clinica
Partitura Vivente
Questo non basta se non si arriva ad un “perché”.
Perché le persone sorde sono così attratte dai suoni? La risposta è la stessa che
riguarda tutti noi. Perché il mondo dei suoni è il mondo dal quale proveniamo tutti. Il
grembo materno è la Prima Orchestra che ha suonato ininterrottamente per tutti i mesi
della gestazione. Prima Orchestra porta con sé il valore dell’evocazione, della
provocazione (chiamare in favore di …), del ricordo, della Memoria Originaria. Le
persone sorde ritrovano un mondo conosciuto, una memoria intessuta nel corpo dal
momento del concepimento fino alla nascita. Il silenzio è venuto più tardi. Facciamo
convibrare nuovamente il Corpo Vibrante e vedremo le persone incominciare ad
accorgersi di un mondo che credevano perduto. Percepire indica “prendere attraverso”
(per capio). Questo prendere attraverso se stesso riguarda tutti noi. Come dice Deepak
Chopra, nel libro “Guarirsi da dentro” (Sperling Paperback 1997): “Il corpo è la casa
della memoria”.
Note [1] Le casse armoniche che riproducono musica registrata e gli strumenti musicali
elettronici, pur vibrando, non sono la fonte diretta delle onde sonore. Ciò che conta è la
fonte sonora, il suono vero, dal vivo, i moti vibratori che coinvolgono il corpo, passano
sotto alle dita.
[2] si tratta di grossi tamburi che possono essere intonati. I timpani sono per lo più
presenti nelle orchestre sinfoniche.
[3] Armandoeditore, Roma 2007
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[4] Il papà non sopportava che noi valorizzassimo questi aspetti della personalità della
figlia.
[5] La dott.ssa Simona Colpani, fondatrice con me e con il dottor Mauro Scardovelli
della musicoterapia umanistica. In particolare la dott.ssa Colpani ha creato la figura del
coterapeuta Per informazioni www.musicoterapia.it
[6] E. Stein (Breslavia 1891 - Auschwitz 1942), filosofa tedesca, santa. Studiò filosofia,
psicologia, storia e germanistica presso l’Università di Gottinga. Allieva di Edmund
Husserl, nel 1917 conseguì la laurea a Friburgo con una tesi sul Problema dell’empatia.
[7] Daniele Gambini, laureato in musicologia, pianista e compositore. si è rivolto a me,
all’età di 30 anni, perché voleva riuscire ad intonare la voce nel canto.
[8] Per il periodo dell’adolescenza Daniele non ha portato gli apparecchi acustici. Si
sentiva emarginato dai compagni. Non voleva che si vedesse la sua sordità.
BIBLIOGRAFIA
• Il ruolo della musicoterapia nel recupero del deficit uditivo. Un’indagine tra i professionisti che lavorano con bambini sordi e tra i fruitori. Valeria Comincini, Lidia Del Piccolo
• Musica e Sordità - L’arte di ascoltare Autore: Cremaschi Trovesi Giulia Art. 1° - Articolo pubblicato dalla rivista “I Care”
• Musicoterapia e Sordità nei bambini/ Musicoterapia e Sordità negli adulti • Il pianista che ascolta con le dita. Appunti sull’arte, i linguaggi, le interazioni sensoriali, Paola Magi, Ed Archivio Dedalus
• Quando la musica parla al silenzio, Carré Alain, Edizioni scientifiche magi • Orecchio bionico e Mozart per riacquistare l’udito, Francesca Morelli, NEUROSCENZE
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7. Le famiglie dei non udenti: prevenzione, riabilitazione e inserimento nel lavoro (Sara Sgamma)
Lo Stato ha il dovere di assicurare la piena partecipazione delle persone sorde e dei figli di
persone sorde alla vita collettiva, garantendone l'inclusione nella società con l'attivazione
di programmi che consentano la realizzazione di questo diritto.
Consapevole delle giuste istanze delle persone non udentiil 23 marzo 2011 la Camera dei
Deputati aveva formulato la proposta di legge n 4207, la quale reiterava e ampliava quanto
era già stato espresso dalla legge quadro del n.104 del 1992 n. 6 del 1999, rivolta a
garantire il rispetto della dignità umana delle persone con disabilità, assicurando la piena
integrazione e promuovendo la rimozione delle barriere che limitavano la partecipazione
delle persone sorde alla vita collettiva.
La proposta di legge proseguiva riconoscendo l'opportunità di usare la lingua dei segni
italiana (LIS) promuovendone l'acquisizione e l'uso, nonché l'acquisizione della lingua
orale e scritta con l'impiego delle tecnologie disponibili per l'informazione e la
comunicazione.
Inoltre, sentite le associazioni di rilevanza nazionale per la tutela delle persone sorde, la
proposta stabiliva alcune disposizioni per fare diagnosi precoci ai bambini nati o divenuti
sordi con interventi, protesi e logopedia per avviare processi abilitativi e riabilitativi.
Stabiliva anche le modalità per l'applicazione della LIS nell'ambito scolastico,
professionale.
Venivano anche proposti corsi post lauream per la formazione di docenti idonei a
comunicare con persone non udenti con la LIS, per consentirne l 'uso in ambito scolastico.
L'articolo 3 chiariva che dall’ attuazione della legge non dovevano derivare nuovi o
maggiori oneri alla finanza pubblica in quanto le pubbliche amministrazioni provvedono
all'attuazione delle attività previste con le risorse disponibili all'entrata in vigore della legge.
Il Comitato Nazionale Genitori Familiari Disabili Uditivi composto da genitori, professionisti,
ecc., in continuo contatto e scambio di informazioni attraverso tutti i mezzi di
comunicazione, sostenuti dalle associazioni di medici SIO(Società italiana
Otorinolaringoiatria) e SIAF (Società italiana audiologia e foniatria) con vari articoli inviati
(2011, 2014, 2016) alla Camera dei Deputati e al Senato aveva espresso il suo dissenso,
dichiarando pregiudizievole che il sordo sia anche muto e quindi per comunicare abbia
bisogno di una lingua di gesti LIS che lo relega in un mondo chiuso, perché la disabilità
uditiva non deve essere considerata uno stato differenziato ma un deficit da affrontare con
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un adeguato protocollo sanitario e logopedico.
Evidenziavano che la LIS è tardiva, (sin dagli anni '90 era stato riconosciuto il diritto di
usare i segni) inutile, costosa e dannosa, chiedevano perciò che la discussione fosse
portata in ambito sanitario e sul diritto ad un valido percorso riabilitativo.
Precisavano che già da decenni i bambini sordi potevano recuperare l'udito e parlare
attraverso un percorso iniziato con una diagnosi precoce, con uno screening audiologico
neonatale,seguito dalla protesizzazione o dall'impianto cocleare e completato da una
terapia logopedica.
Affermavano che non si poteva escludere che gli adulti e i bambini che non avevano avuto
servizi riabilitativi, (se non affetti da patologie complesse) con le nuove protesi avrebbero
potuto recuperare l'udito e procedere ad una riabilitazione orale e, se questo fosse stato
impossibile dovevano essere aiutati con corsi di scrittura della lingua italiana.
Ritenevano generica la legge per la formazione dei docenti, deploravano l'assenza di
investimenti, la mancanza di priorità per impianti cocleari e di protesi e, rilevando la
scarsezza di modelli organizzativi, strutture preventive e abilitative e fondi mirati e specifici
da prevedere a livello governativo per garantire i diritti di inclusione.
Non negavano l'utilità del linguaggio gestuale ma lo riconoscevano responsabile di un
isolamento dei sordi, che l'assunzione del linguaggio gestuale come lingua avrebbe
aumentato.
Anche sul piano del lavoro segnalavano forti discriminazioni osservando che la riserva di
posti per disabili stabilita dalla legge n. 68 del '99 era stata spesso disattesa da
amministrazioni pubbliche e private.
Per ultimo una riflessione interessante con la LIS: i sordi costituirebbero una minoranza
italiana che non parla italiano e se appartengono ad un’etnia non possono farne parte
sotto il profilo linguistico a meno di creare una minoranza nella minoranza.
Favorevole all'uso della lingua dei segni è la CODA (Children of Adults) Associazione di
Promozione sociale finanziata dai tesseramenti di figli, genitori, amici, parenti, sostenitori
di non udenti, che si occupa di sostenere i figli dei genitori sordi nelle problematiche che si
sviluppano nei giovani che vivono in un ambiente bilingue (Italiano e LIS) quando i genitori
si esprimono solo con il linguaggio dei segni.
L'iter delle proposte è proseguito fino a maggio di quest’ anno con modifiche e interventi
(sono stati dichiarati non attendibili interventi cocleari) puntando soprattutto
sull'inserimento nelle attività lavorative.
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Interessante la proposta di legge 7/4/2017 di Carrescia del gruppo “Dopo di noi” che con il
confronto con ENS e il contributo FNS ha richiesto una riserva di posti dell'1% per dare
alle persone sorde maggiori possibilità di entrare nel mondo del lavoro.
Il Comitato continua la sua lotta auspicando un serio impegno culturale, scientifico ed
economico che consenta alle persone sorde di esprimersi senza ricorrere alla gestualità e
con recuperi,sia pure parziali, possano con dignità svolgere attività di ogni genere
XVI LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI N. 4207
PROPOSTA DI LEGGE APPROVATA, IN UN TESTO UNIFICATO, DALLA 1a COMMISSIONE
PERMANENTE (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA
REPUBBLICA il 16 marzo 2011 (v. stampati Senato nn. 37-831-948-1344-1354-1391)
d'iniziativa dei senatori PETERLINI, COSSIGA, D'ALIA, PINZGER; PICCIONI; SACCOMANNO,
GASPARRI, TOMASSINI, GRAMAZIO, AMORUSO, BONFRISCO; BIANCHI; ZANETTA, BUTTI, D'AMBROSIO LETTIERI, CICOLANI, PALMIZIO,
ASCIUTTI, TOMASSINI, FLUTTERO, MUSSO, MALAN; INCOSTANTE Disposizioni per la promozione della piena partecipazione delle persone sorde alla vita
collettiva e riconoscimento della lingua dei segni italiana Trasmessa dal Presidente del Senato della Repubblica il 23 marzo 2011
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1. (Diritti delle persone sorde e riconoscimento della lingua dei segni italiana).
1. Nell'ambito delle finalità della legge 5 febbraio 1992, n. 104, rivolta a garantire il rispetto della dignità umana e dei diritti di libertà, di autonomia e di indipendenza delle persone con disabilità, assicurandone la piena integrazione nella vita sociale, economica,
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politica e culturale del Paese, e anche in armonia con i princìpi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 30 marzo 2007, di cui alla legge 3 marzo 2009, n. 18, la Repubblica promuove la rimozione delle barriere che limitano la partecipazione delle persone sorde alla vita collettiva. 2. In attuazione degli articoli 3 e 6 della Costituzione, ai sensi della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata dal Consiglio d'Europa a Strasburgo il 5 novembre 1992, ed in ottemperanza alle risoluzioni del Parlamento europeo del 17 giugno 1988, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C187 del 18 luglio 1988, e del 18 novembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C379 del 7 dicembre 1998, nonché ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 30 marzo 2007, di cui alla legge 3 marzo 2009, n. 18, la Repubblica riconosce la lingua dei segni italiana (LIS) e ne promuove l'acquisizione e l'uso, promuovendo altresì l'acquisizione e l'uso da parte delle persone sorde della lingua orale e scritta, da perseguire anche attraverso l'impiego delle tecnologie disponibili per l'informazione e la comunicazione. Nella provincia autonoma di Bolzano la LIS è riconosciuta
anche nell'uso corrispondente al gruppo linguistico tedesco. 3. La LIS gode delle garanzie e delle tutele di cui alla presente legge, conseguenti al riconoscimento di cui al comma 2. 4. È consentito l'uso della LIS, nonché di ogni altro mezzo tecnico, anche informatico, idoneo alla comunicazione delle persone sorde, sia in giudizio sia nei rapporti con le amministrazioni pubbliche.
Art. 2. (Regolamenti).
1. Nell'ambito delle finalità di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con gli altri Ministri competenti, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e sentite le associazioni di rilevanza nazionale per la tutela e la promozione dei diritti delle persone sorde, sono adottate le norme di attuazione di quanto previsto dall'articolo 1 della presente legge. I regolamenti di cui al presente comma:
a) recano disposizioni volte a disciplinare le modalità degli interventi diagnostici precoci, abilitativi e riabilitativi, per tutti i bambini nati o divenuti sordi, ai fini dei necessari interventi protesici e logopedici, quali livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
b) determinano le modalità di utilizzo della LIS in ambito scolastico e universitario, nel rispetto dell'autonomia universitaria, definendo i percorsi formativi e i profili professionali delle figure coinvolte, validi anche ai fini previsti dalla presente legge;
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c) promuovono, nel rispetto dell'autonomia universitaria, sia nell'ambito dei corsi di laurea sia nella formazione post lauream, l'insegnamento, e l'uso da parte degli studenti, della LIS e delle altre tecniche, anche informatiche, idonee a favorire la comunicazione delle persone sorde;
d) recano disposizioni volte a promuovere in ogni sede giurisdizionale e nei rapporti con le amministrazioni pubbliche l'uso effettivo della LIS e di ogni mezzo tecnico, anche informatico, idoneo a favorire la comunicazione delle persone sorde;
e) promuovono la diffusione della LIS e delle tecnologie per la sottotitolazione come strumenti e modalità di accesso all'informazione e alla comunicazione, con particolare riferimento alle trasmissioni televisive;
f) recano ogni altra misura diretta ad assicurare alle persone sorde, anche attraverso l'uso della LIS, la piena applicazione degli articoli 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, anche mediante convenzioni previste dall'articolo 38 della medesima legge;
g) dispongono circa i metodi di verifica sull'attuazione della presente legge.
Art. 3. (Neutralità finanziaria).
1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le pubbliche amministrazioni provvedono alle attività previste dall'articolo 2 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili secondo la legislazione vigente alla data di entrata in vigore della presente legge.
SITOGRAFIA • comitatonazionalegenitorifamiliaridisabiliuditivi.wordpress.com • www.superabile.it/cs/superabile/sportelli-e-associazioni/lis-ecco-perche-quel-testo-non-va
• I non udenti contro la lingua dei segni "Non sentire non vuol dire non parlare", www.repubblica.it
• www.codaitalia.org • Proposta di legge 4207 (Testo allegato) • Proposta di legge 4380
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