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Prof. A. Vega – Appunti di meteorologia 5
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LA PRESSIONE ATMOSFERICA
Il primo studioso a dimostrare che l’aria avesse un
peso fu Giovanbattista Torricelli che, con la sua
celebre esperienza, misurò il valore la pressione
atmosferica al livello del mare.
Torricelli evidenziò che la pressione atmosferica era
bilanciata da una colonna di mercurio alta 760 mm.
Poiché il mercurio ha densità di 13,6 gr/cm3, si ha
che l’aria al livello del mare, ad una latitudine di 45°
e con una temperatura di 15° C ha una pressione di
circa 1,033 Kg/cm2; che è il valore di una
atmosfera o valore normale.
Poiché la pressione atmosferica diminuisce con
l’altezza, ogni barometro deve essere tarato per la
quota alla quale viene usato. Evidentemente nella
misura della pressione bisogna anche tener conto
della forza di gravità.
In meteorologia un ruolo fondamentale hanno le
isobare, ovvero le linee che uniscono i punti che
hanno contemporaneamente la stessa pressione; la
distribuzione delle isobare fornisce una descrizione del
campo barico che, come vedremo, è fondamentale
nello studio e nella comprensione del vento. Le isobare
vengono tracciate ad intervalli di 4 hPa o 4 mb.
Le superfici isobariche, invece, sono l’insieme dei
punti che hanno contemporaneamente la stessa
pressione.
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Come mostrato dalla figura una superficie isobarica si estende in maniera diversa alle varie quote, determinando al suolo campi di alta e di bassa pressione. Semplificando il concetto
solitamente un’alta pressione si sviluppa in altezza come una collina, mentre una bassa pressione si presenta come un avvallamento. Con il tempo la pressione tende a livellarsi e in gergo si usa dire che le basse pressioni si colmano.
Oggi si discute molto circa l’influenza esercitata sul clima locale da cause non naturali. Molti indicatori sembrano confermare che l’attività antropica con la costruzione sistematica
di zone residenziali, di bacini d’acqua artificiali che modificano i percorsi dei fiumi, il di-sboscamento e altri fattori artificiali, influenzano il clima locale. Per il momento, tuttavia,
non si è in grado di affermare in modo certo che sulla Terra sia in atto una trasformazione climatica come risultato dell’azione dell’uomo sulla natura.
LE AREE DI ALTA PRESSIONE
Una zona di alta pressione (H) è caratterizzata da assenza di vento o da venti leggeri e regolari brezze di mare e di valle. Il cielo si presenta azzurro, con nubi isolate che si
dissolvono rapidamente. Se questa situazione dura più giorni, si ha anche un aumento della temperatura. D’inverno un’area di alta pressione causa una bassa temperatura nelle zone di pianura e clima relativamente mite in montagna ciò da luogo alla formazione di
nebbie e foschie dense ( come in Valpadana ) con spiccate inversioni termiche – ossia aumenti di temperatura in quota al posto di normali diminuzioni.
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La massa d’aria sotto l’azione di una alta pressione si abbassa e contemporaneamente si riscalda per compressione, e ciò fa dissolvere le nubi perché diminuisce la percentuale di umidità. Nelle zone subtropicali si hanno le aree di alta pressione più stabili (notissima
quella delle Azzorre, meglio nota come Anticiclone delle Azzorre). La distribuzione delle zone di alta (H) e di Bassa (L) pressione su vaste aree da origine ai
cunei o promontori di alta pressione che si insinuano in zone di bassa pressione.
Nell’immagine qui sopra è mostrata una carta sinottica al suolo dove sono chiaramente indicate le isobare e le zone di alta (H) e di bassa (L) pressione, oltre ai fronti che
verranno di seguito illustrati.
LE AREE DI BASSA PRESSIONE
Le zone di bassa pressione sono caratterizzate da cirri isolati nel cielo, seguiti da una
apparizione di altostrati e cirrostrati, che caratterizzano un cambiamento del tempo. Con il passare del tempo l’annuvolamento si ispessisce fino a quando non cadono le prime gocce
di pioggia. Il progressivo annuvolamento è accompagnato da una ulteriore diminuzione di pressione e da un salto di vento orario (in genere da sud-ovest a nord-ovest per le nostre regioni). Questo processo può protrarsi per uno o due giorni.
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A livello planetario le basse pressioni caratterizzano il fronte polare, ovvero il confine che separa le masse di
aria calda subtropicale dirette verso est, dalle masse di aria artica
dirette verso ovest. Lungo il fronte polare si hanno delle ondulazioni (le
onde di Rossby) che spingono l’aria fredda ad incunearsi sotto quella calda. Queste ondulazioni scorrono
verso est e danno origine a zone di bassa pressione dalle quali si
sviluppano i cicloni extratropicali. Queste aree di bassa pressione
hanno estensione iniziale di un paio di centinaia di chilometri, ma entro due o tre giorni raggiungono
diametri da 1000 a 4000 chilometri. L’evoluzione tipica (detta ciclogenesi) è la seguente:
Presenza di aria fredda, di origine nord orientale. Venti di sud ovest fanno scorrere aria calda al di sopra dell'aria fredda, dando
origine a un fronte caldo (avente in genere orientamento iniziale da NW a SE). Irruzione di aria fredda da W o NW, che va ad incunearsi al di sotto del settore di
aria calda, dando origine al fronte freddo (avente in genere orientamento iniziale NE - SW)
Il settore caldo si rimpicciolisce sempre più, dato che il fronte freddo avanza verso est più velocemente di quello caldo
Incontro del fronte freddo con quello caldo, che dà origine alla fase detta di
occlusione (oppure anche di fronte occluso). Il ciclone si colma progressivamente (frontolisi).
In realtà, l’evoluzione meteorologica non sempre si svolge nel modo descritto,
poiché gli ostacoli naturali, come ad esempio la terraferma, le montagne e il
mare disturbano e/o alterano il processo. Nell’Europa settentrionale le depressioni
presentano percorsi preferenziali, con zone ove esse nascono e si sviluppano con maggior frequenza.
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Nel Mediterraneo è tipica l’area di bassa pressione che spesso si forma del Golfo di Genova, determinando spesso un accentuato maltempo e forti venti sulla penisola di derivazione atlantica che entrano dal Golfo del Leone tra Francia e Spagna.
I FRONTI
Ma vediamo da vicino cosa sono i fronti. Quando due masse d’aria di origine e
caratteristiche diverse entrano in contatto tra loro fronteggiandosi, tendono comunque a mantenere le proprie caratteristiche in termine di temperature. Si viene quindi a creare, lungo la zona di contatto tra le due masse d’aria uno strato intermedio detto superficie di separazione o di discontinuità; l’intersezione tra questa superficie ed il suolo è detta fronte. Asseconda di quale delle due masse si muove “spostando” l’altra nasce il concetto
di fronte caldo e di fronte freddo che, evidentemente hanno caratteristiche diverse e diversi risulteranno i fenomeni meteorologici associati.
Il fronte caldo (aria calda che scivola sopra aria fredda relativamente immobile, fronte ascendente) tende a
manifestarsi con cirri radi da sud ovest, e l’approssimarsi del fronte caldo avviene in ma-
niera tranquilla e progressiva. L’annuvolamento assume una forma stratificata e, quasi senza aumento di intensità del vento, incomincia una
debole precipitazione che diviene sempre più continua. Il barometro indica una caduta di
pressione.
Il fronte freddo (aria
fredda che si incunea sotto aria calda
relativamente immobile, fronte di irru-
zione) si annuncia invece con alto cumuli
anche imponenti da ovest e nord ovest. Il
vento si manifesta con una certa intensità e
arriva subito il maltempo, con nubi
stratificate oscure e abbassamento di
temperatura.
Il fronte freddo, legato a una zona di bassa pressione, riconoscibile dall’allineamento
ammassato di nubi cumuliformi, porta vento, rovesci di pioggia e temporali. L’osservatore
investito da un fronte freddo proveniente da ovest, assiste a precipitazioni violente,
diminuzione di temperatura e vento a raffiche. Ma il fronte freddo si muove velocemente.
Dopo il suo passaggio torna il sereno, la visibilità migliora, la pressione aumenta e il vento
gira a nord ovest. Il fronte freddo è un elemento tipico delle depressioni allo stadio
iniziale. Esso può essere esteso anche per un migliaio di chilometri attraverso l’Europa e si
sposta preferibilmente da ovest a est. Le Alpi costituiscono un forte ostacolo per le masse
d’aria che accompagnano il fronte. I venti di NW e N dietro al fronte spingono e avvicinano
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le nubi al versante alpino settentrionale. Costrette a salire, si raffreddano ulteriormente. Si
hanno così quelle che i Tedeschi chiamano piogge da stau. Ricordare che in una zona di
bassa pressione, in luogo di un unico fronte freddo, possono apparire più fronti freddi
scaglionati, uno dietro l’altro. In un’area di bassa pressione che si sposta verso est, come
nelle nostre zone, nella zona anteriore si hanno venti meridionali (da SE a SW in senso
orario), mentre in quella posteriore si hanno venti settentrionali (da NE a NW in senso
antiorario). Dopo il passaggio del fronte freddo, con la diminuzione delle correnti d’aria si
ha una dissoluzione transitoria delle nubi che porta a un miglioramento effimero delle
condizioni atmosferiche.
Dopo un breve intervallo si formano nubi
cumuliformi imponenti: il Sole riscalda lo
strato di aria fredda in prossimità del
suolo, molto ricco di vapore acqueo in
conseguenza delle precipitazioni avvenute.
Questa aria calda e umida sale e si
condensa in cumulonembi. Il progressivo
raffreddamento porta a nuove
precipitazioni.
Può accadere che dietro al fronte la pressione non aumenti e che addirittura il vortice si
approfondisca. In casi di elevata velocità del vento viene apportata aria molto fredda. Si
hanno venti impetuosi e rovesci di pioggia molto forti. Vale la regola secondo cui il tempo
sarà tanto più instabile quanto più rapidamente interviene la dissoluzione delle nuvole
dopo il passaggio del fronte freddo. Indizi di un miglioramento del tempo si hanno solo
quando l’aumento della pressione atmosferica è prolungato e il vento gira a nord e a
nordest.
Quando un fronte freddo raggiunge un fronte
caldo si ha un fronte occluso Il fronte occluso può essere a carattere
caldo o a carattere freddo, a seconda delle temperature. Il fronte occluso a carattere caldo è più frequente.
Se un fronte freddo a 5 °C raggiunge un fronte caldo a 7 °C che sovrasta una massa d'aria a 3
°C, entrambi salgono sopra quest'ultima, generando una situazione simile al fronte caldo. Se invece il fronte freddo ha l'aria più fredda di
tutte si incunea sotto tutte e due le masse d'aria generando una situazione simile al fronte
freddo.
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I fenomeni del fronte occluso sono però più violenti, spesso associati a temporali
persistenti. Sulle carte meteorologiche difficilmente si fa la distinzione fra i due tipi di fronti occlusi: se c'è un fronte occluso a carattere caldo i semicerchi sono pieni e i triangoli vuoti, in quello a carattere freddo i triangoli pieni e i semicerchi vuoti.
I FENOMENI METEOROLOGICI
Il vento e le precipitazioni sono i fenomeni meteorologici più significativi che l’uomo nota. Alla base di essi vi è una continua interazione dei parametri atmosferici pressione,
temperatura ed umidità.
L’aria contiene sempre vapore acqueo cioè “acqua allo stato gassoso” (goccioline d’acqua
composte da molecole molto distanziate tra loro rispetto alle molecole componenti le ordinarie
gocce d’acqua). Più l’aria è calda e più vapore acqueo può contenere. Questo è ciò che si intende per umidità.
Viceversa, il raffreddamento diminuisce la capacità dell'aria di contenere vapore acqueo. Ad ogni metro cubo di aria a temperature diverse si hanno i contenuti massimi di vapore
acqueo indicati nella soprastante tabella.
Conoscere semplicemente la quantità in grammi di vapore acqueo contenuta per metro
cubo di aria (detta umidità assoluta) non è quindi una indicazione sufficientemente chiarificatrice del suo grado effettivo di umidità. E’ meglio conoscere il rapporto espresso in percentuale, tra l’umidità assoluta di una massa d’aria a una certa temperatura e
l’umidità assoluta massima che quella temperatura può consentire.
Ad esempio, per aria che si trovi alla temperatura di 20º C e che contenga 10 grammi di
vapore acqueo per metro cubo, l’umidità relativa è 10•100/17.3 = 60 cioè del 60 %. Se il metro cubo di aria pur mantenendo i 10 grammi di vapore acqueo subisce un
raffreddamento, portandosi alla temperatura di 10º C, siccome a quella temperatura l’umidità di saturazione è di 9,4 grammi, la differenza per metro cubo (10 - 9,4 = 0,6 grammi) si deposita al suolo sotto forma di rugiada (di brina se il raffreddamento si
spinge fino a sotto zero). La temperatura alla quale una data massa d’aria (con una data umidità assoluta) deve essere raffreddata a pressione costante per aversi la formazione di
rugiada è il cosiddetto punto di rugiada (dew point).
L’aria riscaldata tendendo a mantenere la propria quantità intrinseca di vapore acqueo fa sì che la sua umidità relativa diminuisca sempre più (diventa sempre più secca), a mano a
mano che si riscalda. Il contrario avviene per aria che subisce raffreddamento: la sua umidità relativa aumenta fino al limite di condensazione (sotto forma di nebbia o di
nuvole) oppure fino al limite di sublimazione, sotto forma di cristalli di neve o di ghiaccio. La formazione di nubi e nebbie è tanto più facile quanto più alto è il valore di umidità
relativa.
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NEBBIA E FOSCHIA
Per convenzione internazionale, con visibilità inferiore al chilometro si parla di nebbia, altrimenti di foschia. Si suole distinguere poi tra caligine e foschia propriamente detta. La prima è costituita da una mescolanza di polvere, fumo, sabbia e impurità negli strati
inferiori dell’atmosfera – il cosiddetto smog. La foschia è invece data dalla presenza nell’aria di minuscole goccioline d’acqua in numero limitato. Se il numero aumenta si ha la
nebbia. Perché il numero di goccioline aumenti, è in genere sufficiente un leggero raffreddamento. Fino a quando l’umidità dell’aria è scarsa, la caligine prevale sulla
foschia.
Invece, una progressiva scarsa visibilità per afflusso di aria marittima, perciò molto umida, può indicare un prossimo mutamento del tempo, foriero, in genere, di precipitazioni.
Un indizio di prossima formazione di nebbia è una densa foschia alla sera.
A stretto rigore fisico, la nebbia è una nube che si sviluppa in prossimità del suolo. Determinante per la sua formazione è il contatto di aria calda e umida con il suolo freddo (nebbia da irraggiamento), oppure il contatto di aria calda e umida superiore, con aria più
fredda inferiore (nebbia d’avvezione).
Le grandi nebbie della Valpadana sono tipiche nebbie di irraggiamento. Si mantengono a
lungo, talvolta per diversi giorni, se con calma atmosferica ed in assenza di inversione termica. Le nebbie d’irraggiamento sono legate ad assenza di venti ed al sereno
(situazione di alta pressione). Le nebbie di avvezione (caratteristiche delle zone costiere) si hanno con cielo coperto e con presenza di vento che le trasporta, specialmente durante l’inverno.
LE NUBI
La formazione delle nubi è, in apparenza, un processo molto semplice, dovuto alla
condensazione dell'umidità atmosferica in gocce d'acqua, ma nella realtà si tratta di un processo complesso, in cui entrano diversi fattori e diversi meccanismi.
Tutti i processi hanno comunque alla base i moti convettivi, cioè l'ascesa di una massa d'aria
umida e il successivo raffreddamento fino al punto di
rugiada. In questo processo per azione della radiazione solare si forma un volume d'aria calda e
umida che lentamente inizia a salire, essendo l'aria calda e
umida più leggera di quella circostante.
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Salendo, per effetto della riduzione di pressione la massa d'aria si espande e a causa della
riduzione di temperatura dovuta alla quota crescente, la massa d'aria si raffredda fino a raggiungere il punto di rugiada: la massa d'aria diviene satura e il vapore condensa in piccole gocce d'acqua allo stato liquido. La nube è la manifestazione visibile di questo
processo. Il processo di condensazione è facilitato se sono presenti particelle e impurità che fungono da nuclei di condensazione, sui quali le piccole gocce si depositano. In
mancanza di queste, la massa d'aria può diventare sovrassatura di vapor d'acqua.
Volendo riassumere la formazione delle nubi può essere generata:
Nelle notti serene, il suolo perde una parte del calore fornitogli dal Sole. Questa
perdita di calore, non compensata adeguatamente dalla successiva radiazione
solare, fa sì che il suolo si raffreddi sempre di più. A contatto con il suolo freddo,
l'aria - se è molto umida - può raffreddarsi al di sotto del punto di rugiada e dare
origine a nubi basse stratiformi o a nebbie.
A contatto con una superficie calda che può essere una zona brulla e assolata, l'aria
si riscalda e riscaldandosi si dilata, diventando più leggera e innalzandosi. La
dilatazione abbassa la temperatura e più l'aria si alza, più si raffredda. Questa
perdita di calore, detta raffreddamento adiabatico, è come sappiamo pari a circa
0,65°C ogni 100 metri di altitudine, ed è la causa principale della formazione delle
nubi, per le nubi cumuloformi, quindi nelle zone di instabilità dell’aria il valore del
gradiente termico verticale T risulta all’incirca pari a 1° ogni 100 metri.
L'aria che sovrasta una data regione può essere costretta, da aria più fredda che vi
si incunea sotto, ad innalzarsi violentemente. Elevandosi, l'aria subisce il
raffreddamento adiabatico e si formeranno nubi cumuliformi. (Fronte freddo)
L'aria calda può anche spostarsi per scorrimento su un piano inclinato costituito da
aria più fredda. Con la quota subisce il raffreddamento adiabatico e, se la
temperatura dell'aria scende al di sotto del suo punto di condensazione (punto di
rugiada), si avranno nubi stratificate. (Fronte caldo)
Quando il vento investe una catena montuosa e l'aria è costretta a innalzarsi lungo
un pendio, essa si raffredda sotto il punto di condensazione, si avranno nubi
orografiche e, se il fenomeno è rilevante, anche piogge forti e persistenti nel lato
sopravvento della montagna. (Pioggie di Stau)
Anche la pioggia e la neve provenienti da nubi alte, attraversando uno strato
relativamente caldo lo raffreddano. Se il raffreddamento scende al di sotto del
punto di rugiada dell'aria attraversata, si avranno nubi di solito stratificate.
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Le nubi vengono classificate in base all’altezza, da intendersi come l’altezza della base
delle nubi, ovvero la quota alla quale la massa d’aria umida raggiunge la saturazione e si avvia quindi il fenomeno della condensazione.
Le nubi basse comprendono gli strato-cumuli, gli strati e i nembo-strati. Hanno quote
sempre inferiori ai 2.500 metri e sono costituite di goccioline d’acqua. Le nubi stratiformi basse o medie hanno vita più lunga, potendo rimanere nel cielo intere giornate. Infatti, nella porzione dell'atmosfera occupata da nubi stratiformi, l'aria è stabile, cioè non ha
tendenza a salire o a scendere, per cui la nube si trova in posizione di relativa quiete o, come si dice in meteorologia, in equilibrio stabile.
Le nubi medie comprendono gli alto-strati e gli alto-cumuli. Si possono scorgere nella
loro più completa espressione nella stagione invernale, sull’Italia settentrionale, all’avvicinarsi di aria calda, in una zona ancora occupata da aria fredda in superficie. Gli alto-strati appaiono inizialmente come un velo sottile che lascia trasparire il Sole.
Le nubi alte si dividono in: cirri, cirro-strati e cirro-cumuli. I cirri incominciano a
manifestarsi a oltre seimila metri. Dove si manifestano, la temperatura è inferiore ai 40º C. Essi sono la spia di un fronte caldo in avvicinamento, suscettibile di portare precipitazioni
prolungate. Quando compaiono in un cielo terso, e si avvicinano velocemente provenendo da quadranti occidentali, sono seguiti da cirro-strati e alto strati.
In questo caso l’approssimarsi di una perturbazione è considerato sicuro. Se invece rimangono isolati, può significare che ci troviamo ai margini estremi di un sistema nuvoloso, e in questo caso è probabile che la pioggia non sia in arrivo.
Nubi spettacolari sono i cumuli, originati dalla rapida ascesa dell'aria. Se sono piccole la
loro vita sarà di 10-15 minuti, mentre se sono grandi avranno una vita di circa 30 minuti.
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NUBI A SVILUPPO VERTICALE
Questa è una categoria di nubi del tutto particolare, perché la loro genesi ed evoluzione sono legate a processi convettivi, cioè a movimenti dell'aria secondo una direttrice verticale. Si tratta essenzialmente di cumuli e di cumulo-nembi.
In primavera ed estate notiamo spesso la formazione di cumuli che svaniscono
spesso con la stessa rapidità con cui sono nati. (cumuli di bel tempo). All'opposto
delle nubi stratificate, i cumuli hanno sviluppo verticale.
Si formano grazie alla rapida ascesa di aria calda e sono anche definite nubi termiche.
Le correnti ascendenti portano queste nubi temporalesche anche a diecimila metri
d'altezza. Nelle parti superiori essi assumono forma tipicamente tondeggiante e tendono al bianco (scarsità di umidità), mentre nelle parti inferiori tendono ad appiattirsi e tendono al grigio (abbondanza di umidità): la loro base piatta segna il livello di condensazione.
Spesso le formazioni cumuliformi del mattino, in seguito all'arrivo di aria fredda si trasformano in cumulo-nembi che segnano l'arrivo di un temporale e rappresentano il
segnale di un temporale in arrivo.
NUBI OROGRAFICHE, LENTICOLARI E FÖEHN
Questi fenomeni sono separati da vere e proprie perturbazioni ma sono per lo più effetti del vento. Volando sopra una catena montuosa, capita di vedere ammassi nuvolosi in un
versante e cielo sereno nell'altro. La nuvolosità in questo caso è legata dall'ascendenza dinamica o termica dell'aria. Quando un flusso d'aria trova uno sbarramento, che può
essere una catena montuosa o un monte isolato, parte di essa riesce a scavalcarlo assumendo una pressione minore. Per questo se è sufficientemente umida, il vapore acqueo contenuto si condensa. In tal caso, sopravvento al rilievo si formano nubi
orografiche di correnti ascendenti a grande estensione orizzontale. Se il fenomeno è vistoso e se la temperatura, a quella altitudine, e molto bassa, possono apparire anche
cumulonembi. Se lo sbarramento è costituito da un monte isolato, le nubi orografiche assumono spesso la forma di un immenso collare o di un cappuccio che ricopre la vetta. Si
possono avere nubi orografiche di origine termica o di origine dinamica. Sono di origine termica quando l'aria si innalza a causa del surriscaldamento degli stati più bassi e ciò spiega la formazione di temporali in alcuni punti particolari di una regione montuosa. Sono
di origine dinamica, quando è il vento che costringe l'aria a salire. Sottovento alle catene montuose, il flusso d'aria segue l'andamento del pendio. L'aria, scendendo, incontra strati
più densi, si riscalda per compressione e le goccioline che formavano le nubi evaporano. A questo flusso d'aria discendente che apporta cielo sereno e ottima visibilità, si dà il nome
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di foehn. Il foehn è un tipico vento di caduta che si riscontra spesso sottovento alle Alpi.
Sempre sottovento alle catene montuose, si possono formare nubi lenticolari che appaiono immobili nel cielo. Si formano soprattutto quando, ai livelli attorno ai 4000 metri, i venti sono costanti in forza e direzione. La presenza di questa nubi, di solito altocumuli
lenticulari, non è di alcuna utilità ai fini della previsione del tempo.
IL FÖEHN
Il föehn è un vento caldo secco, irregolare, a raffiche spesso impetuose, che scende dalle
vallate. Al suo apparire la temperatura registra un sensibile aumento, e l’aria diviene limpida. Soffia prevalentemente d’inverno e in primavera, in particolare lungo le valli alpine e in Valpadana, da nord verso sud.
Sull’Italia settentrionale il föehn compare quando la differenza di
pressione atmosferica tra il nord e il sud delle Alpi è elevata. Di solito, a sud della catena alpina vi è una
depressione in moto verso l’Adriatico, mentre su Svizzera e
Baviera vi è un promontorio di alta pressione in moto verso sud.
A Milano, magari dopo giornate di nebbia, il föehn arriva improvvisamente e la trasparenza è
tale da permettere di vedere le Alpi.
La frequenza del fenomeno è scarsa: l’alta Lombardia e il Piemonte lo registrano una
decina di giornate all’anno. Alla confluenza delle vallate alpine con la pianura padana può superare i 100 km orari.
Il föehn talvolta è presente anche a nord delle Alpi. In questo caso soffia da sud ed è particolarmente caldo. E
naturalmente, la distribuzione della pressione atmosferica è l’esatto
contrario della precedente. Premesso che per la genesi di questo tipo di vento sono necessarie le alte
montagne, venti discendenti di questo tipo si hanno anche sui due versanti
dell’Appennino. Quando il libeccio investe la costa tirrenica dell’Italia
centrale, la sponda adriatica diventa spesso sede di un vento di caduta di tipo föehn.
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Ma vediamo cosa succede concretamente. I monti costringono l’aria che li investe a salire
fino alla cresta, da cui essa scende a valle sull’altro versante. Nella salita si ha un raffreddamento adiabatico in media di un grado ogni 100 metri. Nell’aria in ascesa c’è vapore acqueo che si condensa, generando nuvole e precipitazioni. Ma la condensazione
libera anche calore (calore latente di condensazione) che riscalda l’aria. Il raffreddamento adiabatico viene quindi ridotto a circa 0°,5 ogni 100 metri, anziché un grado. Dopo aver
superato la cima, le nubi si dissolvono rapidamente perché l’aria che fluisce a valle si riscalda di un grado ogni 100 metri. Calcoliamo dunque cosa succede ad una massa d’aria
che ascende fino alla quota di 3.000 metri:
Raffreddamento adiabatico di 1º C ogni 100 metri dal suolo fino a quota 1500 m _______ - 15º C Da 1550 m a salire, raffreddamento adiabatico di 0.5º ogni 100 m, fino a 3000 m ________ - 7º,5 C
Riscaldamento adiabatico in discesa di 1º C ogni 100 m ___________________________ + 30º C Eccedenza termica _____________________________________________________ +7º,5 C
Notare che qui le caratteristiche intrinseche delle masse d’aria non svolgono alcun ruolo. Il föehn non può essere definito un vento caldo, ma il calore con cui si manifesta deriva
semplicemente dal processo di compressione dell’aria sopra descritto.
LE PRECIPITAZIONI
Allo sviluppo delle nubi spesso si associano le precipitazioni che possono manifestarsi in tre forme: pioggia, neve e grandine.
LA PIOGGIA
Possiamo osservare piogge di diversa intensità con gocce di differenti grandezze. Si comincia da quella molto fine, di solito associata alla nebbia cui segue la pioviggine o
acquerugiola.
La pioggia persistente deriva da nubi stratificate. Nei temporali si hanno scrosci di pioggia
violenti: in tal caso le gocce sono grosse e precipitano con forza. Il processo che porta al formarsi delle precipitazioni è detto coalescenza e fa si che le
gocce d’acqua o i cristalli di ghiaccio crescano per poi precipitare fino al suolo quando sono sufficientemente grandi e pesanti, altrimenti evaporano prima di giungere sulla superficie terrestre – in questo caso si parla di virga, pioggia che evapora prima di
giungere al suolo.
Quando una massa di aria calda affluisce
sopra uno strato di aria fredda, immobile, la prima sale e si formano allora nubi stratificate con piogge continue e uniformi.
Nel Mediterraneo ciò avviene, ad esempio, allorché aria marina umida affluisce da sudest
o sudovest, soprattutto nei mesi invernali, associata a perturbazioni come un fronte caldo (situazione atmosferica occidentale).
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Quando invece si ha irruzione di aria fredda, si hanno annuvolamenti verticali (cumuli) con scrosci di pioggia. Tale irruzione può provenire sia da occidente che da settentrione, associata a perturbazioni con un fronte freddo (situazione atmosferica settentrionale). I temporali di calore estivi e quelli frontali portano con sé forti cadute di pioggia.
In parecchie regioni l’orografia determina una ascesa dell’aria sopravvento alle montagne,
con conseguenti precipitazioni prolungate (situazione di stau). Lungo il versante sottovento si ha di solito tempo buono e secco (situazione di föehn). Lungo la penisola,
con situazione occidentale, piove in genere sul versante tirrenico. Quando invece i venti soffiano dai Balcani, le precipitazioni interessano il versante adriatico e jonico. Più spesso però nell’Italia meridionale è molto influente l’aria di origine africana che proviene dai
settori sud orientali e che comporta precipitazioni diffuse e copiose, soprattutto nelle stagioni intermedie – autunno e primavera.
LA NEVE
La neve è una forma di precipitazione che si materializza quando la temperatura si
avvicina a zero gradi, principalmente in inverno o alle alte quote. La neve si forma per il congelamento di gocce d’acqua a temperature comprese tra - 12º a -16º C. Si formano inizialmente cristalli di neve di diverse forme. Intorno allo zero centigrado i cristalli di neve
si uniscono tra loro dando luogo al fiocco di neve. Le nevicate abbondanti avvengono intorno allo zero, perché a temperature inferiori l’umidità è scarsa.
A temperature molto più rigide di zero
gradi le precipitazioni nevose scompaiono del tutto. Ciò spiega anche perché le nevicate abbondanti avvengono alle medie
latitudini e non nelle regioni polari. Se alla superficie terrestre la temperatura
raggiunge la soglia degli zero gradi, la precipitazione, altrimenti a carattere
piovoso, avviene sotto forma di neve. Per questa ragione, l’andamento del tempo in caso di neve è del tutto analogo a quello
che si ha in caso di pioggia. Da notare il fatto che le nevicate più abbondanti
avvengono durante l’ascesa di aria calda (fronte ascendente).
Quando il freddo è molto intenso, a partire dai -5º fino ai -10º centigradi circa, le nevicate sono molto rare e poco abbondanti come spesso accade in Valpadana e sulle grandi pianure dell’Europa centro settentrionale.
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LA GRANDINE
La grandine è un tipo di precipitazione atmosferica formata da tanti pezzi di ghiaccio
(chiamati comunemente "chicchi di grandine"), generalmente sferici o sferoidali, che
cadono dalle nubi cumuliformi più imponenti, i cumulonembi.
Lo studio dei granelli di grandine viene condotto con un particolare strumento di misura,
detto grelimetro. Il chicco di grandine più pesante è stato registrato nel distretto di
Gopalganj (Bangladesh) il 14 aprile 1986, con un peso di 1,02 chilogrammi.
La grandine si forma quando le correnti
ascensionali all’interno della nube ( in
genere un cumulonembo) sono abbastanza
forti; in questo caso accade che un primo
nucleo di ghiaccio viene trasportato in su e
in giù nella nube, dove si fonde con altri
piccoli aggregati di ghiaccio e gocce
d'acqua per poi ricongelarsi nuovamente e
diventare sempre più grande. Il processo si
ripete più volte fino a quando le correnti
non riescono più a sollevare e trattenere i
pezzi di ghiaccio perché divenuti troppo
pesanti e questi cadono al suolo.
Gli aggregati di particelle ghiacciate (i chicchi di grandine) che non riescono a fondersi
prima di essere arrivati al suolo causano spesso notevoli danni sia nelle campagne
(coltivazioni, frutteti, ecc.) sia nei centri urbani (alle abitazioni così come ai mezzi di
trasporto). Il fenomeno è più probabile d'estate, nonostante sia formata da ghiaccio,
essendo una conseguenza dell'afa.
I chicchi di grandine che cadono ad alte temperature sono trasparenti perché privi di bolle
d'aria; quelli che cadono a temperature più basse sono bianchi perché viceversa ne
contengono molte.
Durante e dopo una grandinata la temperatura si abbassa rapidamente (anche di dieci
gradi in mezz'ora) perché il ghiaccio solido per trasformarsi in acqua liquida sottrae calore
all'ambiente, con la possibilità a volte di generare trombe d'aria.
I TEMPORALI
I temporali sono generalmente provocati dalla rapida ascesa di aria caldo-umida a quote più elevate (temporali di calore) o dall’incontro violento di aria caldo-umida preesistente
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con un fronte di aria fredda (temporali frontali). In ogni caso, si hanno forti correnti
ascendenti che arrivano fino alla tropopausa a circa 10.000 metri. Il conseguente raffreddamento dell’aria provoca la condensazione e, poiché le nubi temporalesche presentano temperature sotto zero, le precipitazioni in esse contenute hanno forma di
cristalli di ghiaccio o di gocce sopraffuse.
I temporali di calore sono fenomeni circoscritti, prodotti da un’intensa radiazione solare; si
formano soprattutto sulle pendici dei monti e fanno parte del tipico tempo primaverile ed estivo.
I temporali frontali si producono quando un fronte freddo in movimento incontra una massa d’aria calda (riscaldata nei giorni precedenti e quindi caricatasi di umidità). Un fronte temporalesco può avere una estensione di alcune centinaia di chilometri attraverso
l’Europa e, generalmente, si sposta da ovest a est. Lungo le coste i temporali frontali sono più frequenti che all’interno e non si limitano all’estate.
L’INVERSIONE TERMICA
La distribuzione verticale della temperatura si misura con il gradiente termico verticale T e
fornisce informazioni sulla stabilità o instabilità dell’atmosfera in relazione al valore di cui
diminuisce la temperatura con la quota. Si parlerà di aria stabile se il gradiente termico T
risulta inferiore a 1° C ogni 100m, altrimenti si parlerà di aria instabile o instabilità se T
risulta maggiore di 1° C ogni 100m. L’inversione termica è un fenomeno che si
manifesta quando al di sopra di una certa quota il gradiente termico T ha segno inverso o
comunque è maggiore del valore registrato fino a quella quota, si presenta come uno strato di foschia nettamente delimitato orizzontalmente in alto. Si può osservare come il
fumo delle ciminiere non sale ma si prolunga solo orizzontalmente. Condizioni di cielo sereno e di alta pressione, specialmente nella fase autunnale / inizio inverno, favoriscono il
fenomeno dell’irradiazione notturna; l’aria fredda a contatto del suolo si raffredda fortemente, mentre al di sopra di questo strato si ha aria più calda. Nell’aria fredda il processo di condensazione porta spesso alla formazione di nebbia. La distribuzione di
temperatura diviene quindi la seguente: aumento di temperatura dal suolo fino al limite tra aria fredda e aria calda al di sopra del limite si ha un abbassamento di temperatura.
Lo strato di inversione funge da sbarramento e impedisce tanto l’ascesa di aria calda proveniente dal basso, quanto quella di fumi e gas di scarico contribuendo dunque
all’aumento di concentrazione di sostanze inquinanti. Appare perciò evidente che caratteristica principale dell’inversione termica è l’impedimento a una circolazione verticale dell’aria.
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Le condizioni di alta pressione autunnale e invernale, comuni in Valpadana, generano spesso problemi di elevata concentrazione di gas negli strati bassi dell’atmosfera ma anche
in situazioni di depressione, se, di notte, il cielo si rasserena e il vento è assente possono aversi delle inversioni termiche. Proprio la tendenza del fumo a mantenersi orizzontale e a non disperdersi in quota è indice di un andamento termico invertito. In tali condizioni in
montagna c’è allora Sole e fa relativamente caldo, mentre nelle vallate e pianure permangono nebbie, foschie e fa freddo. Nelle tre figure seguenti è illustrato il
meccanismo dell'inversione termica con conseguente nebbia per radiazione.
Nella prima si vede come, durante la notte, il forte raffreddamento del suolo provoca un
eccessivo raffreddamento degli strati bassi della troposfera. Il precedente equilibrio (temperatura decrescente uniformemente con l'altezza) viene alterato e prima dell'alba si
instaura l'inversione termica.
Al mattino è presente la nebbia di radiazione e,
se i raggi del Sole non acquisiscono forza sufficiente durante la giornata, la nebbia rimane. Nell’immagine successiva si vede
ristabilita la condizione di equilibrio normale: temperatura che decresce uniformemente con
l'altezza, per cui la nebbia si dissipa.
IL VENTO
Il vento ha origine dalla differenza di pressione ed è il movimento di una massa d'aria atmosferica da un'area di alta pressione ad un'area di bassa pressione. In genere si
fa riferimento alle correnti aeree di tipo orizzontale, mentre per quelle verticali si usa generalmente il termine di correnti convettive che si originano invece per instabilità atmosferica verticale.
In presenza di due punti con differente pressione atmosferica si origina
una forza detta forza del gradiente di pressione G
o forza di gradiente FG che agisce
premendo sulla massa d'aria per tentare di ristabilire l'equilibrio. Diversamente da come si potrebbe
immaginare il flusso d'aria non corre in maniera diretta da un punto all'altro, cioè
con stessa direzione della forza di gradiente, ma subisce una deviazione
dovuta alla Forza di Coriolis FD che tende a spostarlo verso destra nell'emisfero nord e verso sinistra nell'emisfero sud.
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A causa di questo effetto, alle alte quote il vento tende a soffiare parallelamente
alle isobare; si tratta del vento geostrofico, ossia il movimento dell’aria che nasce dall’equilibrio tra la forza di gradiente FG e quella deviante di Coriolis FD. Alle basse quote (meno di 600 m) non si può non tenere anche conto dell'azione della forza di attrito con la superficie terrestre FA, che è in grado di modificare la direzione del vento di circa 10°15°
sul mare e 15°30° sulla terra rispetto a quella del vento geostrofico, curvando il percorso
dall'alta pressione alla bassa pressione più diretto. Anche la curvatura delle isobare introduce un’azione deviante, la forza centrifuga FC (o centripeta) asseconda se ci si trova
in un campo di Alta Pressione (H) o di bassa pressione (L). La velocità del vento, o meglio la sua intensità, dipende dal gradiente barico, cioè dalla
distanza delle isobare (tracciate ad intervalli di 4 hPa), e si misura con uno strumento chiamato anemometro e può essere espressa in:
m/s km/h nodi
L'intensità del vento aumenta in media con la quota per via delle diminuzione dell'attrito con la superficie terrestre e la mancanza di ostacoli fisici quali vegetazione,
edifici, colline e montagne. In quota spesso si vedono le nubi correre in direzioni diverse da quelle del vento rilevato al suolo, essendo ciò indicativo della variabilità del vento in quota e della variazione di intensità delle diverse forze che contribuiscono al movimento
dell’aria; se ne possono trarre indicazioni sulla variazione del tempo. Il complesso dei venti e delle correnti aeree atmosferiche da vita alla circolazione atmosferica.
I venti hanno spesso una origine locale. Ad esempio, nelle zone montane, la brezza di
valle soffia durante il dì dalla valle verso il monte, e la brezza di monte soffia di notte in senso contrario. Sulle coste, la brezza di mare soffia durante il giorno, dal mare verso la costa, mentre la brezza di terra soffia di notte in senso contrario.
Un altro vento di tipo locale è il föhn precedentemente illustrato e presente in alcune particolari vallate.
La brezza di mare che si sviluppa nel
primo pomeriggio è data dall’aria più fresca sul mare che si spinge sotto l’aria di terra che ha subito un
riscaldamento. Nel corso della notte si alza un vento contrario: la brezza
di terra si stabilisce da terra verso il mare perché durante la notte la terra si è raffreddata più intensamente che
il mare.
Qualcosa di simile avviene in
montagna: nella tarda mattinata, in caso di bel tempo, verso il monte soffia
la cosiddetta brezza di valle: l’aria sovrastante una vallata avendo subito un riscaldamento, sale verso il monte.
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Si ha anche la brezza di monte perché nel corso della notte i pendii tendono a raffreddarsi
più intensamente del fondovalle per cui l’aria fredda, dopo il tramonto, tende a precipitare a valle. Queste brezze si presentano praticamente solo nei giorni estivi sereni, quando non c’è pericolo di ulteriori anomalie. Sono dette anche venti di bel tempo.
I venti si classificano in costanti, periodici, locali e ciclonici. I venti costanti sono quelli che soffiano tutto l'anno sempre nella stessa direzione e nello stesso senso. Tra questi vi
sono gli alisei, i venti extratropicali e i venti occidentali. Gli alisei si generano nelle zone di convergenza intertropicali e convergono verso l’equatore (alisei da NE e alisei da SE).
I venti extratropicali spirano nelle fasce equatoriali dove, per effetto del riscaldamento, si formano masse ascendenti di aria calda e umida. I venti occidentali spirano da sud-ovest a nord-est nell'emisfero boreale a latitudini comprese tra i 35° e i 60° e da nord-ovest a sud-
est nell’emisfero australe. Si dicono venti periodici quelli che invertono periodicamente il loro senso. La periodicità
può essere stagionale come nel caso dei monsoni o degli etesi o anche semplicemente diurno come nel caso delle brezze.
I monsoni sono caratteristici dell'Oceano Indiano e dei mari della Cina. Nel semestre
estivo, tra aprile ed ottobre, spirano dall'Oceano verso terra mentre durante quello invernale tra Novembre ed Aprile soffiano dal continente verso il mare. Gli etesi (dal greco ἐτησίαι (ἄνεμοι) = vento) soffiano durante l'estate dal Mar Egeo verso
l'Egitto e sul percorso inverso durante l'inverno.
I venti locali, tipici delle zone temperate dove soffiano irregolarmente quando si vengono a creare zone cicloniche e anticicloniche sono moltissimi e spesso legati alla nomenclatura
locale, a seconda delle zone in cui si generano. Nell'area interessata dal mar Mediterraneo si usa classificare i venti a seconda della direzione da cui provengono sulla base schematica dettata dalla Rosa dei venti,
riprendendo l'antica nomenclatura derivante dall'antica Grecia, che presumeva l'osservatore posto al centro del mar Ionio, a nord-ovest delle isole egee, in direzione
della Sicilia.
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La rosa dei venti più semplice è quella a 4 punte formata dai soli quattro punti cardinali:
Nord (N 0°) dal quale spira il vento di tramontana;
Est (E 90°) oriente o levante e dal quale spira il
vento detto levante;
Sud (S 180°) dal quale spira il vento detto ostro o
mezzogiorno;
Ovest (W 270°) dal quale spira il vento detto
ponente.
Tra i quattro punti cardinali principali si possono fissare 4 punti intermedi:
Nord-est (NE 45°), dal quale spira il vento di grecale (chiamato anche greco); Nord-ovest (NW 315°), dal quale spira il vento di maestrale;
Sud-est (SE 135°), dal quale spira il vento di scirocco (garbino umido); Sud-ovest (SW 225°), dal quale spira il vento di libeccio.
Un'altra importante classificazione dei venti provenienti dal largo (foranei), relativa alle condizioni locali di ciascun luogo al quale ci si voglia riferire (singole città o regioni, o
macro-aree ancora più estese), è la seguente:
" venti regnanti": presentano un'alta frequenza di apparizione (almeno il 50%).
" venti dominanti": sono caratterizzati da alte velocità (almeno 20 m/s).
I venti che eventualmente
presentassero contemporaneamente le due caratteristiche di alta
frequenza e velocità, sono detti prevalenti. La direzione, la durata e la velocità del vento sono in generale
rappresentati su diagrammi polari.
Queste considerazioni un tempo erano valutate con grandissima attenzione e tenute in conto non solo per
quanto riguarda gli aspetti della navigazione o la protezione di determinate colture agricole, ma persino nella costruzione delle città.
Non sono rari gli esempi di interi centri storici di molte città, soprattutto costiere, che portano nella disposizione planimetrica dei loro edifici il segno di questi criteri costruttivi.
come la tipica disposizione urbanistica detta "a lisca di pesce", che caratterizza i centri storici di molte città costiere che si affacciano sull'Adriatico meridionale, da Bisceglie fino a Monopoli, tra i quali il più rappresentativo è quello di Molfetta .
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