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Le leve di cambiamento dell’assistenza primaria: una proposta
Antonio Brambilla1, Francesco Longo2, Davide Botturi3
1 Responsabile Servizio assistenza distrettuale, medicina generale, pianificazione e sviluppo dei servizi sanitari, Regione Emilia-Romagna, Bologna.
2 F. Longo, Prof. Management pubblico e sanitario, direttore Osservatorio Oasi, CERGAS e SDA, Università Bocconi
3 Ricercatore Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale dell’Emilia-Romagna, Bologna.
Intendiamo contribuire alla discussione odierna dell’Assemblea Nazionale della CGIL “Salviamo la
Salute” (Roma, 20 giugno 2014), in coerenza col mandato ricevuto, proponendo una serie di
riflessioni sulle leve di cambiamento per lo sviluppo dell’assistenza primaria in Italia.
Il nostro intervento si articola secondo 3 contenuti principali:
1) il contesto (pg. 2-5): il quadro economico-finanziario, l’appropriatezza/efficacia dell’assistenza
sanitaria, la variabilità inter- / intra- regionale;
2) lo sviluppo dell’assistenza primaria (pg. 6-9): il quadro europeo, il dibattito nazionale,
l’esperienza delle Case della Salute in Emilia-Romagna;
3) le leve di cambiamento dell’assistenza primaria (pg. 10-13): una differente metrica, lo sviluppo
delle professioni sanitarie, l’appropriatezza dell’assistenza specialistica, la ricomposizione dell’area
socio-sanitaria e socio-assistenziale.
Nell’ultima pagina abbiamo riportato una serie di riferimenti bibliografici essenziali.
2
1) Il contesto
1.1. Il quadro economico e finanziario
L’Italia presenta una spesa sanitaria complessiva e pubblica, pro-capite e in rapporto al PIL, e una
variazione di spesa inferiori alla media europea (UE a 15) (figura 1).
Figura 1. Spesa sanitaria: Italia vs UE 15. Anno 20101.
Fonte: CERGAS, Rapporto OASI 2013.
Negli anni 1991-2011 il tasso di crescita della spesa sanitaria corrente è progressivamente
diminuito, seppur con qualche oscillazione (negli anni 1996, 2000 e 2004), fino a raggiungere valori
prossimi allo 0,0%, nel 2011 (figura 2), diversamente alla serie storica precedente in cui la spesa
del SSN cresceva del 4% all’anno. Negli stessi anni, il divario tra tasso di crescita della spesa
corrente e tasso di crescita del PIL è stato piuttosto contenuto, presentando valori di scostamento
al massimo di 4-5 punti percentuali (solo in alcuni anni).
Figura 2. Tasso di crescita della spesa sanitaria corrente e del PIL in Italia. Anni 1991-2011.
-5,0%
0,0%
5,0%
10,0%
15,0%
20,0%
Tasso crescita spesa san corr Tasso crescita PIL
1 Ultimo anno disponibile per confronti internazionali.
3
Fonte: Rielaborazione CERGAS su dati RGSEP 2011 e ISTAT 2012
Le due osservazioni sulla spesa sanitaria e sul tasso di crescita trovano riscontro anche in
documento pubblicato l’anno scorso dalla stessa CGIL (CGIL, 2013). Ad esse, è da aggiungere come
nel 2012 il disavanzo del SSN sia stato sostanzialmente azzerato essendo pari allo 0,9% della spesa
sanitaria pubblica corrente (1,04 miliardi di euro), essendo progressivamente diminuito dal 1990,
in cui era pari al 12,3% (figura 3). Si tratta di un risultato particolarmente positivo se letto alla luce
dell’attuale situazione di forte tensione finanziaria.
Figura 3. Spesa sanitaria pubblica in Italia (mln €): finanziamento e disavanzo. Anni 1990 – 2012.
Fonte: CERGAS – Bocconi (a cura di). Rapporto OASI 2013. Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario italiano. Egea: Milano.
2014.Elaborazione su dati RGSEP. Per l’anno 2012 i dati sono provvisori.
1.2 La appropriatezza/efficacia dell’assistenza sanitaria
E’ opinione sufficientemente condivisa tra gli esperti che l’Italia, a confronto con i Paesi europei e dell’area OCSE, presenti discreti livelli di appropriatezza dell’assistenza sanitaria come di esiti di salute (es. mortalità), seppur con forti variabilità inter-regionali. Riportiamo, a titolo esemplificativo, due esempi.
Il primo esempio riguarda l’ospedalizzazione potenzialmente evitabile, ritenuta frequentemente a livello internazionale una misura indiretta della appropriatezza/efficacia dell’assistenza primaria2. In particolare, con ospedalizzazione potenzialmente evitabile si intendono i ricoveri per una serie di patologie (es. asma, bronco pneumopatia cronico-ostruttiva, diabete – complicanze, scompenso cardiaco congestizio) che potrebbero essere efficacemente gestite in un setting territoriale e non
2 Si precisa che la spiegazione dei valori delle due misure selezionate richiede una analisi specifica dei singoli casi.
Sono, infatti, diversi i fattori che concorrono a determinare tali valori, non solo riconducibili alla appropriatezza
dell’assistenza primaria e/o ospedaliera. Tra questi, bisogna sicuramente includere la qualità delle informazioni
disponibili e il livello di gravità clinica della persona.
4
ospedaliero. Pertanto, un elevato ricorso al ricovero ospedaliero da parte della popolazione sofferente di tali patologie rappresenta un segnale di criticità (da approfondire) a livello dell’assistenza primaria. Nel 2009, l’Italia presenta un tasso di ospedalizzazione *100.000 abitanti per asma, broncopneumopatia cronico-ostruttiva (BPCO) e complicanze del diabete inferiore alla maggior parte dei Paesi dell’area OCSE, se analizzato sia a livello complessivo che per singola patologia (figura 4).
Figura 4. Tasso di ospedalizzazione potenzialmente evitabile *100.000 abitanti. Anno 2009.
Fonte: CERGAS, 2014. Elaborazione su dati WHO 2013.
In Italia si registra, inoltre, un decremento rispetto al 2006 del tasso di ospedalizzazione
potenzialmente evitabile per tutte e tre le patologie considerate, a differenza della maggior parte
dei Paesi OCSE dove la situazione tende a rimanere sufficientemente stabile.
Il secondo esempio riguarda la mortalità a 30 giorni dopo infarto miocardico acuto (IMA), ritenuta
frequentemente a livello internazionale una misura indiretta dell’appropriatezza/efficacia
dell’assistenza ospedaliera2. Nel 2011, l’Italia presenta una proporzione di persone (età >= 45 anni)
decedute entro 30 giorni da un ricovero per IMA (sul totale delle persone ricoverate per IMA)
inferiore alla maggior parte dei Paesi dell’area OCSE3 (figura 5). Nel grafico sono presenti delle
barre nere orizzontali le quali esprimono il livello di variabilità del valore puntuale nel singolo
Paese: maggiore è l’ampiezza delle barre e maggiore è la dispersione del valore, il quale risulta
essere pertanto scarsamente rappresentativo della reale situazione di tale Paese. Analizzando tali
barre, emerge come la variabilità nella proporzione di decessi per IMA entro 30 gg. In Italia sia
inferiore rispetto a quella di tanti altri Paesi.
3 Si precisa come tale proporzione rappresenti una sottostima della reale proporzione, dal momento che vengono considerati solo i
decessi avvenuti presso il medesimo ospedale sede del ricovero, e non tutti i decessi indipendentemente dal luogo in cui sono
avvenuti.
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Figura 5. Proporzione (%) di persone decedute entro 30 giorni dal ricovero per infarto miocardico acuto
(IMA), presso il medesimo ospedale sede del ricovero. Anno 2011.
Nota: standardizzazione per età e sesso; intervalli di confidenza al 95% rappresentati da . Fonte: OECD Health Statistics 2013
In Italia si registra, inoltre, un decremento rispetto al 2001 e al 2006 nella proporzione di decessi
entro 30 gg. per IMA, tendenza comune a tutti i Paesi dell’area OCSE.
1.3 La variabilità inter- / intra- regionale
Esiste una variabilità nell’assistenza sanitaria, sotto diversi punti di vista (es. spesa, organizzazione,
appropriatezza/efficacia, efficienza), tra le Regioni italiane, come pure all’interno delle Regioni (es.
tra Aziende Sanitarie, distretti). Non occorre approfondire ulteriormente, dal momento che sono
ormai documentati da anni i principali fattori che concorrono a spiegare tale variabilità e la sua
ampiezza. La notizia positiva è che c’è stata una convergenza tra le regioni sul piano dei livelli degli
equilibri di bilancio, mentre i differenziali di servizio sono crescenti.
6
2) Lo sviluppo dell’assistenza primaria
2.1 Il quadro europeo
L’assistenza primaria rappresenta una delle principali strategie nella realizzazione della nuova politica
europea per la salute: “Health 2020”. Il 27 febbraio 2014 la Commissione Europea ha, inoltre, pubblicato un
rapporto preliminare dedicato alla “definizione di un modello di riferimento relativo all’assistenza primaria
con particolare attenzione ai sistemi di finanziamento e di referral” (EXPH, 2014). Il panel di esperti
internazionali, che ha redatto il documento, definisce l’assistenza primaria come (citando letteralmente):
“the provision of universally accessible, person-centered, comprehensive health and community services
provided by a team of professionals accountable for addressing a large majority of personal health needs.
These services are delivered in a sustained partnership with patients and informal caregivers, in the context
of family and community, and play a central role in the overall coordination and continuity of people’s
care”.
2.2 Il dibattito nazionale
Nella definizione proposta dagli esperti internazionali sono contenuti espliciti riferimenti a concetti già da
tempo oggetto del dibattito italiano, scientifico e politico. Rispetto a quest’ultimo, richiamiamo alcune
proposte al centro della attuale discussione per il nuovo Patto della Salute:
il consolidamento delle equipe multiprofessionali territoriali, con il coinvolgimento di tutti i
professionisti delle cure primarie e l’integrazione, anche funzionale, con gli operatori del servizio
sociale professionale degli Enti Locali;
lo sviluppo di strutture territoriali di riferimento per l’erogazione dell’assistenza primaria, con la
attivazione di ambulatori a gestione infermieristica per la gestione delle principali patologie
croniche in collaborazione con i medici di medicina generale.
Nell’ambito del dibattito nazionale non è, tuttavia, ancora stato chiarito, e nemmeno sufficientemente
condiviso che cosa si intenda per “assistenza primaria” (“E’ un sinonimo di cure primarie ?”). Tale criticità
dipende da diversi fattori, tra cui la assenza di un quadro normativo. Secondo Corsalini e Fattore (2012),
infatti, in Italia “il termine assistenza primaria riguarda principalmente le attività legate ai medici di
medicina generale, non esistendo nemmeno un riferimento normativo che espliciti formalmente i servizi
che essa è chiamata a offrire: il Dpcm del 29 novembre 2011, che definisce i Livelli essenziali di assistenza
(Lea), contiene indicazioni riguardo all’Assistenza distrettuale, a sua volta formata dai servizi dell’Assistenza
sanitaria di base (e, cioè, Mmg e Pediatri di libera scelta) e dell’Assistenza specialistica ambulatoriale. Non
esiste una sezione dedicata all’assistenza primaria”. La definizione di assistenza primaria proposta dal panel
di esperti europei potrebbe essere fatta coincidere in Italia col termine “assistenza territoriale”, intesa
sostanzialmente come tutto ciò che non è “assistenza ospedaliera per acuti”.
2.3 L’esperienza delle Case della Salute in Emilia-Romagna
In Emilia-Romagna, come in altre Regioni italiane, sono state avviate diverse iniziative orientate allo
sviluppo dell’assistenza primaria, coerenti con l’impostazione europea. Vi presentiamo sinteticamente
7
l’esperienza emiliano-romagnola delle Case della Salute (CdS), anche attraverso la breve descrizione di due
casi: la Casa della Salute di San Secondo Parmense (PR) e la Casa della Salute di Forlimpopoli (FC).
Nel 2010 sono state deliberate dalla Giunta regionale dell’Emilia-Romagna (DGR 291/2010) le linee di
indirizzo per la realizzazione e l’organizzazione delle Case della Salute, che definiscono la Casa della Salute
come un presidio del Distretto, sede di accesso e di erogazione di servizi rivolti alla popolazione dell’ambito
territoriale di riferimento del Nucleo di Cure Primarie (NCP). Le Linee regionali individuano tre tipologie di
CdS (piccola, media, grande) a diversa complessità, in relazione alle caratteristiche orogeografiche del
territorio e alla densità della popolazione. La tipologia “Piccola” è finalizzata all’erogazione dell’assistenza
primaria, mentre quella “Grande” ad un’ampio range di servizi: sanitari, socio-sanitari e sociali (figura 6).
Figura 6. Schema organizzazione funzionale Casa della Salute “Grande”
Fonte: Regione Emilia-Romagna, DGR 291/2010
Nel 2013 (dati aggiornati a novembre 2013) risultano pianificate 124 Case della Salute, rispetto ad una
popolazione residente di 4 milioni e 471 mila abitanti (dato provvisorio, aggiornato al 01.01.2013), per un
investimento complessivo stimato pari a 117.146.413 euro, di cui 19.050.329 euro di fonte regionale
(Curcetti et al., 2013). Sul totale delle Case della Salute, 55 sono funzionanti e 69 sono programmate. Delle
55 Case della Salute funzionanti, 26 sono di tipologia “Piccola”, 17 “Media” e 12 “Grande”.
La Casa della Salute di San Secondo Parmense
La Casa della Salute appartiene alla tipologia “Grande” ed è stata avviata nel 2012. La Casa della Salute di
San Secondo Parmense offre i suoi servizi ad una popolazione di 16.787 abitanti, residenti nel territorio di
competenza del Nucleo di Cure Primarie, i cui Medici di Medicina Generale lavorano all’interno della Casa.
La sede della Casa della Salute era un ospedale per acuti, rispetto a cui era stato avviato un processo di
conversione in polo socio-sanitario prima dell’ipotesi di realizzare una Casa della Salute. Negli ultimi anni
8
precedenti l’avvio della Casa della Salute tale polo offriva già un ampio range di servizi, con la presenza di
diverse figure professionali, come ad esempio: alcuni medici di medicina generale e pediatri di libera scelta;
la sanità pubblica; il consultorio familiare (anche diagnostica ecografica); un centro di salute mentale, e la
neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza; diversi ambulatori specialistici (es. neurologia, ortopedia,
fisiatria, urologia, oculistica, odontoiatria, dermatologia, gastroenterologia); un servizio di radiologia (RX,
ecografia, mammografia); un punto prelievi con connessa attività di distribuzione ausili per diabetici e
incontinenti e farmaci classe A; l’assistenza domiciliare integrata; la unità di valutazione geriatrica; il
servizio sociale comunale con assistenti sociali ed educatori dedicati a diverse popolazioni target (anziani,
disabili, minori, famiglie ed immigrati).
La attivazione della Casa della Salute è stata preceduta nel 2011 da un percorso formativo rivolto ad un
gruppo di professionisti, individuati come facilitatori, rappresentativi dei diversi servizi che ne avrebbero
fatto parte. L’obiettivo della formazione è stato lo sviluppo di una serie di competenze: tecnico-
professionali (es. gestione dei percorsi integrati, presa in carico multi professionale); trasversali-relazionali
(es. lavorare in gruppo, svolgere funzioni di coordinamento e connessione nella rete multiprofessionale);
organizzative e gestionali (es.progettazione organizzativa, valutazione del contesto, della domanda e
dell’attività svolta); di miglioramento continuo, ricerca e innovazione (es. audit, gruppi di miglioramento,
utilizzo informazioni scientifiche). L’iniziativa formativa è stata supportata da una piattaforma di
formazione a distanza (FAD), nella quale è stato predisposto anche un blog di discussione.
Tra i principali aspetti qualificanti la Casa della Salute di San Secondo Parmense si citano:
l’apertura di ambulatorio infermieristico per le patologie croniche, che svolge diverse attività
legate alla gestione delle persone arruolate nei percorsi assistenziali, tra cui l’informazione e
l’educazione sanitaria e la chiamata proattiva;
l’apertura di un ospedale di comunità (10 posti letto) 4, che nasce da un progetto condiviso tra
l’Azienda USL di Parma e i Medici di Medicina Generale dei 3 NCP afferenti di riconversione della
area di degenza (lungodegenza). La gestione clinica è affidata ai Medici di Medicina Generale,
mentre la gestione e l’organizzazione dell’ingresso è affidata ad un Dirigente Infermieristico;
Nella Casa della Salute di San Secondo trovano, inoltre, spazio anche le sedi di alcune Associazioni di
volontariato.
4 Sono eleggibili al ricovero in Ospedale di Comunità i pazienti: prevalentemente anziani provenienti da struttura ospedaliera, per
acuti o riabilitativa; fragili e/o cronici provenienti dal domicilio per la riacutizzazione di condizione clinica preesistente; che
necessitano di assistenza infermieristica; che necessitano di riattivazione motoria o di supporto riabilitativo-rieducativo respiratorio
o di altro organo/distretto (rif. Servizio Assistenza distrettuale, medicina generale, pianificazione e sviluppo dei servizi sanitari –
Regione Emilia-Romagna. Un nuovo approccio allo sviluppo della rete dei servizi di assistenza primaria e la realizzazione degli
Ospedali di Comunità in Regione Emilia-Romagna. Documento programmatico 2013-2015).
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La Casa della Salute di Forlimpopoli (FC)
La Casa della Salute appartiene alla tipologia “Grande” ed è stata avviata nel 2012. La Casa della Salute di
Forlimpopoli offre i suoi servizi ad una popolazione di 24 mila abitanti, residenti nel territorio di
competenza del Nucleo di Cure Primarie, i cui Medici di Medicina Generale lavorano all’interno della Casa5.
La Casa della Salute si trova a 10 Km dall’Ospedale di Forlì e circa a 15 Km dall’Ospedale di Cesena,
entrambe ospedali multi-specialistici, attrezzati per la gestione in emergenza-urgenza e acuta di casi
complessi.
La sede della Casa della Salute era uno stabilimento ospedaliero per la gestione della acuzie, post-acuzie e
per la riabilitazione intensiva, che comprendeva al suo interno anche un punto di primo intervento e
l’hospice (11 posti letto). A differenza della Casa della Salute di San Secondo Parmense, la realizzazione
della Casa della Salute di Forlimpopoli ha comportato un’ampia operazione di trasferimento di servizi
ubicati altrove presso la sede della Casa (o nel caso dei Servizi sociali in una sede contigua), come ad
esempio: il consultorio familiare; la pediatria di comunità e di libera scelta, il centro di salute mentale e la
neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza, la sanità pubblica (es. vaccinazioni, screening), e una serie di
ambulatori specialistici (es. cardiologia, ortopedia, dermatologia, oculistica).
Tra i principali aspetti qualificanti la Casa della Salute di Forlimpopoli si citano:
l’ambulatorio infermieristico, secondo i principi del chronic care model, per la gestione delle patologie croniche (diabete, scompenso cardiaco, BPCO);
l’ambulatorio di osservazione e terapie6 (trasformazione del precedente punto di primo intervento);
un Ospedale di Comunità con 28 posti letto (riconversione di parte dei posti letto del precedente stabilimento ospedaliero);
l’Hospice (già presente prima della realizzazione della Casa della Salute). L’intero percorso di realizzazione della Casa della Salute è stato accompagnato da un costante confronto con le Amministrazioni locali e con la cittadinanza, e dalla organizzazione di eventi formativi, teorici e sul campo, orientati in particolare alla sviluppo delle competenze della professione infermieristica. La conclusione del progetto è prevista entro l’anno 2014, nel rispetto del Piano Attuativo Locale 2012-2014,
il principale strumento di programmazione di medio periodo dell’Azienda USL di Forlì (dal 2014 “sede
operativa dell’Azienda USL Romagna”) contenente gli indirizzi e le scelte che, in condivisione con la
Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria (CTSS), si intendono realizzare per assicurare i livelli essenziali di
assistenza.
5 Per la precisione, il Nucleo di Cure primarie si articola in due sedi: una a Forlimpopoli, ubicata presso la Casa della Salute e
comprendente 10 medici di medicina generale; una a Bertinoro, comprendente 5 medici di medicina generale. Presso la sede di di
Bertinoro sono anche presenti: un ambulatorio infermieristico, gli assistenti sociali per anziani, disabili, minori e famiglie, la
pediatria di comunità, il punto prelievi e il servizio di igiene pubblica.
6 L’ambulatorio presenta un’apertura H 12; è presente un infermiere che opera in forma collaborativa con il MMG; sono accolte
persone con modalità programmata e non. Le persone che accedono in modalità non programmata possono soffrire, ad esempio,
di odontalgie, otalgie, faringiti, rinofaringiti, tracheite, ulcere varicose, sindromi gastroenteriche e dermatiti.
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3) Le leve di cambiamento dell’assistenza primaria
Le nostre proposte si basano sull’ipotesi che nel breve-medio termine non si presentino variazioni
significative (di segno positivo o negativo), rispetto alla situazione presente, nella disponibilità di
risorse economiche pubbliche e nel quadro normativo.
Una differente metrica
Proponiamo che nel governo e anche nella gestione dei servizi sanitari, socio-sanitari e socio-
assistenziali si passi da una metrica “prestazionale” ad una metrica legata al tasso di
“reclutamento rispetto alle prevalenze epidemiologiche stimate”. Tale cambiamento è doveroso
non solo sul piano normativo, da decenni nella legislazione, ad esempio in materia sanitaria, si
parla di risposta ai bisogni di salute della popolazione, più che di prestazioni, ma anche sul piano
della appropriatezza/efficacia ed efficienza dell’assistenza fornita.
Proviamo ad offrire qualche chiarimento.
La stima dei bisogni di salute dovrebbe riguardare in particolar modo le popolazioni target che
ricorrono più frequentemente ai servizi e/o che necessitano di una risposta costante nel tempo da
parte del sistema pubblico, come ad esempio le persone sofferenti di una o più patologie croniche
(30% degli italiani), le persone non autosufficienti (4% degli italiani), le persone disabili. Sono, già,
disponibili alcuni strumenti di rilevazione del bisogno a livello nominativo, basati su fonti
amministrative correnti, sia a livello nazionale, come ad esempio “Matrice” (Moirano, Bellentani,
2014) per le patologie croniche, sia a livello regionale, come ad esempio un modello predittivo del
rischio di fragilità sanitaria e sociale sviluppato in Emilia-Romagna. Un nodo critico rimane “come
linkare” sulla singola persona fonti informative sanitarie, socio-sanitarie e sociali al fine di avere
una rappresentazione del bisogno nelle sue varie dimensioni, sanitarie e sociali, definendo dei
modelli di segmentazione standardizzabili.
Parlare di “servizi di presa in carico” e non di “prestazioni” vuol dire allargare l’orizzonte di lettura
della risposta pubblica. Per “servizi di presa in carico” intendiamo, infatti, un insieme di elementi,
di cui la singola prestazione è parte, che vanno dal sistema formale di accesso, alla valutazione del
bisogno (trasformazione del bisogno in domanda) fino alla appropriatezza/efficacia delle
prestazioni erogate.
La definizione della misura di copertura, in particolare il nostro numeratore (assumendo che il
denominatore sia rappresentato dal numero di persone che presentano un determinato bisogno,
ovvero la prevalenza epidemiologica), potrà quindi variare a seconda dell’elemento del servizio su
cui intendiamo porre l’attenzione.
Passare quindi da una metrica prestazionale ad una orientata al bisogno potrebbe rappresentare
una modalità efficace nel supportare:
11
un approccio pro-attivo all’assistenza, attraverso la identificazione del bisogno prima che si
trasformi in domanda; ovviamente, si tratterebbe inizialmente di concentrarsi sulle
persone che presentano un livello elevato di bisogno;
lo sviluppo di programmi trasversali che integrino le attività di tutti gli operatori coinvolti
nei processi di assistenza (territoriali ospedalieri, servizi sociali, associazioni di volontariato
e associazioni dei pazienti)
la comprensione dei meccanismi impliciti di selezione (e pre-selezione) dei destinatari dei
servizi (Fosti et al, 2013).
Lo sviluppo delle professioni sanitarie
Lo sviluppo dell’assistenza primaria secondo i principi del chronic care model comporta necessariamente
una ridefinizione della composizione, del ruolo e dello skill-mix delle figure professionali che lavorano nel
territorio, con un investimento maggiore sulle professioni sanitarie, in primis, l’infermiere (ma non solo).
L’esperienza delle Case della Salute in Emilia-Romagna (ad es. l’ambulatorio a gestione infermieristica della
cronicità), come anche tante esperienze in Italia (per non citare i numerosissimi riferimenti internazionali),
rappresentano un punto di partenza verso questa direzione.
Condividere la necessità di investire sulle professioni sanitarie, richiede innanzitutto di discutere e
affrontare una prima importante criticità: la disponibilità di professionisti. Facciamo l’esempio degli
infermieri.
A livello europeo, l’Italia (figura 7) presenta un tasso di infermieri dipendenti del Servizio Sanitario
Nazionale inferiore (e in alcuni casi ampiamente inferiore) rispetto al tasso di infermieri di altri Paesi
europei, e anche dell’Emilia-Romagna, mentre presenta un tasso di medici di medicina generale
sufficientemente allineato agli altri Paesi.
Figura 7. Tasso di medici, infermieri e medici di medicina generale *1.000 abitanti. Anno 2010.
Italia Emilia-Romagna UK Francia Germania Spagna Grecia
Medici 1,78 2,19 2,67 3,27 3,64 3,78 6,13
Infermieri 4,39 6,17 10,36 8,45 11,26 5,04 3,31
Medici di medicina generale 0,77 0,73 0,79 1,64 0,65 0,75 0,3
0
2
4
6
8
10
12 Medici Infermieri Medici di medicina generale
12
Fonte: Italia: Annuario Statistico del Ministero della Salute; Emilia-Romagna: Banca dati regionale;
Altri paesi: European Health for All Database-2014
Nel periodo 2000-2010 il tasso di infermieri dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale italiano e anche
dell’Emilia-Romagna si è mantenuto costante e inferiore a quello di altri Paesi europei, i quali hanno,
invece, presentato un progressivo incremento, seppur di lieve entità, del tasso di infermieri (figura 8).
Figura 8. Tasso di infermieri *1.000 abitanti. Anni 2000-2010.
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
Italia 4,41 4,56 4,60 4,56 4,43 4,31 4,50 4,45 4,36 4,39 4,36
Germania 9,78 9,87 10,00 10,19 10,30 10,44 10,56 10,71 10,94 11,26 11,40
Francia 6,66 6,84 7,00 7,19 7,38 7,59 7,78 7,64 7,91 8,19 8,45
UK 10,14 10,19 10,36 10,12
Emilia-Romagna 5,98 6,04 6,09 6,09 6,16 6,20 6,22 6,19 6,17 6,11
Spagna 3,73 3,86 4,25 4,17 4,31 4,34 4,25 4,53 4,78 5,09 5,04
Grecia 2,72 2,93 3,28 3,29 3,27 3,3 3,21 3,19 3,22 3,31
0
2
4
6
8
10
12
Italia Germania Francia UK Emilia-Romagna Spagna Grecia
Fonte: Italia: Annuario Statistico del Ministero della Salute; Emilia-Romagna: Banca dati regionale;
Altri paesi: European Health for All Database-2014
L’appropriatezza dell’assistenza specialistica
Sulle prestazioni specialistiche converge un ampio insieme di temi (es. il contenimento dei tempi
di attesa, il sistema dei ticket e delle esenzioni, la regolamentazione dell’attività intramoenia, la
medicina difensiva, il consumismo sanitario, e altri ancora) oggetto di numerose discussioni,
interpretazioni circa le criticità, e proposte di soluzione.
Noi intendiamo circoscrivere l’ambito a quello della appropriatezza delle prestazioni specialistiche
nelle persone sofferenti di patologie croniche, in prevalenza anziani. Una quota non trascurabile di
prestazioni specialistiche rappresentano, infatti, prestazioni di monitoraggio e controllo
dell’andamento della patologia cronica, previste dalle linee guida internazionali e nazionali per
l’appropriata gestione della patologia, e un’altra quota di prestazioni specialistiche sono legate
all’insorgenza di problemi acuti in persone sofferenti di patologie croniche. La presenza di un
quadro clinico di multimorbilità contribuisce, infatti, ad aumentare la vulnerabilità dell’organismo,
incrementando il rischio di insorgenza di problemi di salute acuti, non solo come complicanze di
problemi pre-esistenti.
13
Proponiamo che nell’ambito dei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) per problemi cronici di salute a più elevata prevalenza nella popolazione (diabete, post-scompenso cardiaco, post-infarto miocardico acuto, broncopneumopatie croniche) vengano condivisi e programmati tra medici di medicina generale e specialisti i luoghi (es. ospedale, Casa della Salute), le modalità ed i tempi di erogazione delle prestazioni specialistiche, e definite le modalità di accesso “facilitato” per problemi acuti.
La ricomposizione nell’area socio-sanitaria e socio-assistenziale
In Italia, i servizi socio-sanitari e socio-assistenziali sono caratterizzati, a livello locale, da una
frammentazione (ad esempio, rispetto ai servizi sanitari) delle fonti di finanziamento e dei soggetti
erogatori di prestazioni, istituzionali (es. Azienda Usl, Comune, INPS) e informali (es. famiglie, volontariato,
badanti), come anche dal mix di prestazioni offerte dagli erogatori istituzionali (trasferimenti finanziari e
prestazioni assistenziali). Uno degli aspetti più critici consiste nel fatto che ad oggi si conoscono le
prestazioni erogate da ogni attore pubblico, ma non si conoscono con sufficiente precisione e affidabilità i
destinatari, le persone in carico. Un altro aspetto particolarmente critico, legato al precedente, consiste
nella difficoltà di conoscere tutte le tipologie di interventi socio-sanitari e socio-assistenziali, erogate dai
diversi attori pubblici a favore del singolo destinatario. Tale situazione pone diversi rischi per la
appropriatezza e la efficienza dei singoli interventi erogati.
Proponiamo, pertanto, una “ricomposizione conoscitiva, fondata sull’identificazione di sistemi informativi
interistituzionali in grado di registrare e rendere comprensibili ai singoli attori pubblici l’insieme di soggetti
e di risorse che convergono su un singolo utente” (Fosti, Notarnicola, 2014)
Proponiamo, inoltre, che si approfondisca il dibattito necessario a giungere ad una definizione
sufficientemente condivisa:
- dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali, su cui da anni si discute;
- di criteri per la stima, con sufficiente precisione e affidabilità, dei bisogni delle principali popolazioni target
oggetto degli interventi (es. anziani non autosufficienti), coerentemente con l’impostazione suggerita nel
punto “Una metrica differente”.
I tre ingredienti proposti sono basilari per impostare una discussione sul finanziamento il più possibile
orientata alla equità nell’allocazione delle risorse ed alla appropriatezza degli interventi erogati.
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Bibliografia (riferimenti in ordine alfabetico)
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