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MANIFESTO PER PADOVA
SENZA RAZZISMO E DISCRIMINAZIONE RELIGIOSA
("filo spinato"- foto di Oliviero Toscani, contributo alle attività di “Manifesto per
Padova senza razzismo e discriminazione religiosa”)
Sommario
Il testo dell’appello del 20 luglio 2014
I promotori e i firmatari
Le reazioni dalla rete: insulti e consensi
Dalla stampa locale: scritti di Umberto Curi, Giuseppe Mosconi, Paolo
Berti (su mendicanti, immigrazione, ordinanza anti Ebola,attentati di
Parigi)
Le iniziative successive: - appello per solidarietà a don Albino Bizzotto;
presentazione Dossier Statistico Immigrazione 2014 UNAR/IDOS
La sentenza del TAR Veneto sull’ordinanza anti Ebola
Le parole crociate del Crociato
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Il testo dell’appello del 20 luglio 2014
Alle ultime elezioni amministrative per il Comune di Padova ha prevalso una coalizione il cui leader aveva già ampiamente dimostrato nel suo precedente percorso politico quali
siano i suoi principi ispiratori, puntualmente riproposti nei primi atti di governo
comunale:
la minaccia di revoca alla concessione di una palestra scolastica (tra l’altro in periodo di non utilizzo) per i giorni di preghiera del Ramadan di una comunità marocchina;
l’annuncio dell’obbligo di affissione del crocifisso in tutti gli uffici pubblici, scuole comprese.
Nei fatti, inequivocabilmente il sindaco Bitonci va contro alcuni fra i più importanti principi della nostra convivenza civile:
il diritto all’esercizio della libertà religiosa, sancito dalla Costituzione, alla quale lui stesso ha giurato fedeltà al momento dell’insediamento;
il principio dell’assoluta laicità dello Stato, secondo quanto fissato dai rinnovati Patti Lateranensi del 1984, per cui quella cattolica non è più “religione di Stato”.
Risulta, quindi, evidentemente falsa l’iniziale dichiarazione di voler essere “il sindaco di tutti”. Dall’insieme di questi fatti emerge, invece, la gretta concezione di un sistema di rapporti umani, sociali e istituzionali basato sul disprezzo del “diverso”, sull’egoismo
come valore fondante della vita, in nettissima, voluta contrapposizione con le esigenze
ormai ineludibili del mondo globalizzato. A questo proposito, non come ultima considerazione, va rilevato che i recenti interventi del Vaticano in materia di politica
religiosa non solo vanno nella direzione di una serena convivenza delle diverse fedi, ma fanno intravvedere la valorizzazione della coincidenza di molti aspetti delle grandi
religioni monoteiste.
Infine, l’atteggiamento antistorico e la sostanziale incultura che sta caratterizzando l’avvio di questa prima fase dell’amministrazione comunale suona come irrisione nei
confronti di una radicata tradizione cittadina che, all’insegna dell’ ”universa universis patavina libertas”, ha saputo esprimere valori, personalità e iniziative in vari ambiti
scientifici e artistici, senza delimitazioni di campo dal punto di vista delle etnie e delle
confessioni religiose.
I sottoscrittori di questo manifesto sono persone che nella città di Padova affondano le loro radici, o che in essa hanno posto l’avvio del loro percorso professionale o che ,
infine, con essa hanno avuto fecondi rapporti di frequentazione o di scambio culturale. Si tratta di un manifesto al quale, comunque, si chiede l’adesione di chiunque ne
condivida lo spirito e la volontà di studiare e promuovere iniziative idonee a contrastare l’immagine di una città negatrice dell’accoglienza, della laicità
della cosa pubblica e dell’apertura all’universalità della cultura.
L’ adesione a questo manifesto rimane aperta anche nel periodo estivo, allo scopo di verificare - alla ripresa autunnale - la fattibilità di iniziative finalizzate alla maggior presa di coscienza possibile sull’insostenibilità di quanto sta avvenendo a Padova.
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I promotori e i firmatari
Paolo Crepet (psichiatra), Oliviero Toscani (fotografo), Sebastiano Bagnara (docente universitario di psicologia), Caterina Virdis Limentani (docente storia
dell’arte fiamminga), Paolo Berti (avvocato), Caterina Griffante (pastora Chiesa Valdese), Umberto Curi (docente universitario di filosofia), Giovanni
Palombarini (ex magistrato Cassazione e CSM), Ivano Paccagnella (docente universitario di italianistica), Gabriella Imperatori (giornalista e scrittrice),
Giuseppe Mosconi (docente universitario di sociologia), Martina Meneghello (avvocato), Ugo Funghi (avvocato), Renato Rizzo (consulente progetti ricerca
per Commissione U.E.).
Questo appello è stato pubblicato dalla stampa locale con ampio risalto il 20 luglio
2014, con l’invito a sottoscriverlo per contrastare l’immagine di una città negatrice della
accoglienza, della laicità della cosa pubblica e dell’apertura all’universalità della cultura.
Alla data del 14 gennaio 2015 hanno aderito 286 persone: una dozzina di
avvocati, docenti universitari e di istituiti superiori, medici, dirigenti politici, dirigenti e
operatori di centri culturali, pensionati, disoccupati, casalinghe, studenti. I loro nomi
sono elencati qui sotto. I primi 12 nomi sono di avvocati: l’adesione di così numerosi
esperti del diritto è particolarmente significativa, in quanto testimonia che il sindaco
Massimo Bitonci, mentre enfatizza in tutti i modi l’esigenza di rispettare le regole,
all’atto pratico il suo è un clamoroso esempio di contraddizione fra il dire e il fare.
Avvocati Luigi Pasini, Luigi Ficarra, Carlo Cappellari, Marco Paggi, Annalisa Grecchi,
Elena Donzi, Marco Ozzimo, Giancarlo Moro, Giovanna Berti, Aurora d’Agostino, Elio Zaffalon, Maria Monica Bassan.
Altri firmatari
Sisto Luciani, Federica Ambrosini, Michele Lorenzoni, Claudia Bortolami, Piero Ruzzante, Aristea Ruggiero, Lorenzo Mazzucato, Paolo Minchio, Daniela
Pancheri, Stefania Rampin, Giorgio Lazzarini, M. Cristina Pasqualetto, Alberto Marcellan, Valentina Simeoni, Ducciomaria Ellero, Marzio Sturaro, Ilaria
Zimbelli, Nicola Grigion, Emanuela Barbozza, Gianfranco Losego, Floriana
Rizzetto, Giorgio Moro, Paola Fioretti, Leonardo M. Fabbri, Alberto Trevisan (cittadino onorario di Padova), Maurizio Angelini, Aristea Ruggiero, Giorgio
Pecorini, Ferdinando Peron, Carlo Nicolin, Marco Sangiovanni, Cristiana Mescalchin, Francesco Maracci, Cristina Varotto, Carmine Alba, Enrico
Zampiron, Luigi Calesso, Patrizia Veronese, Marianita De Ambrogio, Corrado Blando Canto, Pinuccia Selis, Margherita Bravo, Loris Pietro Ramazzina, Maria
Laura Pistritto, Maria Luisa Venturin, Rosa Taschin, Salvatore Virdis, Sergio Pergher, Massimo Pilotto, Marco Sangiovanni, Cristiana Mescalchin, Francesco
Maracci, Cristina Varotto, Carmine Alba, Enrico Zampiron, Luigi Calesso, Patrizia Veronese, Marianita De Ambrogio, Corrado Blando Canto, Pinuccia
Selis, Margherita Bravo, Loris Pietro Ramazzina, Maria Laura Pistritto, Maria Luisa Venturin, Brigida Salmaso, Harpreet Singh, Rossella Codenotti, Fabiana
Todaro, Emiliano Pecalli, Fabio Sangiovanni, Daniela Cosulich, Giuseppe
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Zambon, Michele Salinitro, Marta Marchi, Rosa Maria Puca, Federico
Mitaritonna, Tina Salviato, Pierdomenico Daniele, Maria Antonietta Danieli, Pietro Maddalosso, Francesco Tognon, Nino Pizzardo, Giacomo Secco, Fiorenza
Rigoni, Alberto Dussin, Anna Maria de Andrea, Giuseppe Viesti, Fabio Scrocco,
Roberto Bottaro, Ferdinando Piezzi, RitaTana, Giovanna Deserra, Mario Ibba, Giorgio Meneghetti, Lucia Viola Zampieri, M. Rita Spitaleri, Giovanna
Gasparello, Luciana Carli, Miriam Silvestri, Massimo Vassallo, Maria Antonietta Taschin, Madia Madeddu, Michele Martignago, Alexandra Foffano, Maria Monica
Bassan, Agostino Aldrigo, Francesco Marzari, Simona Serra, Simone Longato, Francesca Buin, Antonio Giacobbi, Cornelia Isabel Toelgyes, Roberta Auzzas,
Enrico Corte, Riccardo Aledda, Lavinia Fantini, Antonio Marra, Vittoria Vecchiarelli, Patrizia Targa, Giampiero Fabris, Mariella Cogo, Anna Lucia
Pizzati, Massimo Rizzato, Alberto Suni, Francesca Tiso, Luciano Testa, Roberto Marchioro, Armando Penzo, Sandra Peroni, Isabella Menegazzo, Stefania
Giacoppo, Emanuela Commisso, Gabriella Commisso, Charlotte H. Browne, Giorgia Corò, Gaetano Zampieri, Mattia Di Carlo, Sandra Zabeo, Maria Luisa
Petrucci, Serafina Gelao, Lisa Zanovello, Elena Peruzzo, Ester Bruni, Chiara Galimberti, Marina Toffanin, Martina Camarda, Tommaso Bisoffi, Luisa
Frizziero, Laura Baccega, Cristina Fasolato, Anna Lucia Pizzati, maria vittoria
merella, Renzo Rovaris, Giuliana Biasio,Manlio Padovan, Giovanna De Bernardis, Antonella Meola, Daniele Centenaro, Maria Vittoria Spissu, Sara
Monaci, Carlo Ridolfi, Giulietta Poli, Franca Guelfi, Salah Garnaoui, Alessandro Vecchia, Stefano Piva, Francesca Cimino, Giuliana Frizziero, Anna Rosa Lazzaro,
Angela Pancucci, Martina Benvenuti,Nereo Turati,Bianca Busato,Davide Galati, Giuseppe Frizziero,Edoardo Mele,Andrea Lazzarotto, Marina Mancin, Gloria
Casteller, Agnès Levillayer, Marcello Tucci, Osteria di Fuori Porta, Legambiente
Volontariato Limena, Comitato Lista Tsipras.
Le reazioni dalla rete: insulti e consensi
Indubbiamente i più tempestivi sono stati coloro che hanno riempito di insulti e
volgarità sia per via telefonica, sia –soprattutto – attraverso il sito del “mattino di
Padova”, oltre ad alcuni social network e blog. Si è potuto leggere di una sorta di
“antologia culturale”, della quale è preferibile non dar conto per non attribuire troppa
importanza a questi signori e signore. È un fenomeno né nuovo né inspiegabile. Lo
interpreta molto bene la psicologa Brunella Gasperini sul “mattino di Padova ”
del 30 luglio nell’ articolo “Prigionieri dei social”, in cui a un certo punto scrive:
(…) Certe volte esce il peggio (…) i social non inventano nuove patologie, ma
di contro danno sfogo, potenziando a volte, parti complicate di noi, diventando
il mezzo privilegiato attraverso il quale esprimere disagi”.
Disagi che alcuni, appunto, sfogano sui social network insultando (forse non ne
vedevano l’ora) coloro che il giornale per ovvie necessità di sintesi aveva citato nel
titolo (“Intellettuali contro Bitonci”), invece che sforzarsi di leggere il manifesto che
semplicemente invita il sindaco a rispettare le regole della Costituzione: diritto di libertà
religiosa e laicità dello Stato. Significativo è anche il fatto che nella gara a chi insulta di
più e meglio i 14 promotori del “manifesto per Padova” si sia distinto anche il noto
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opinionista politico e blogger di Telenuovo Mario Zwirner. L’incipit del suo
editoriale non è male, addirittura blandamente critico verso il sindaco:
“Giorni fa avevo criticato alcune proposte del neo sindaco di Padova Massimo
Bitonci: crocefissi in tutti i luoghi pubblici (roba da repubblica islamica), niente
palestre comunali per la preghiera del Ramadan (ma lasciali pregare, sono
altre le “attività” inquietanti).”
Ma poi non ce la fa a trattenere il livore che tracima dalla pancia appena i suoi occhi
leggono il titolo del “mattino di Padova”del 20 luglio: “Intellettuali contro Bitonci”. In
questo slancio impetuoso sembrava emulare quel personaggio d’una pièce teatrale
che al sentir pronunciare la parola “cultura” si diceva pronto a metter mano alla
pistola:
“Adesso però sono scesi in campo gli intellettuali con il loro manifesto ‘Per
Padova senza razzismo e discriminazioni religiose’, e mi rimangio subito le critiche a Bitonci. Che palle questo rituale stantio dei presunti intellettuali
(autonominati tali) che – pur di mettersi in mostra – firmerebbero di tutto: anche il manifesto contro la carta igienica a quattro veli che fa abbattere gli
alberi (…). E poi chi sarebbero questi autonominati? Da ignorante, non facendo parte dell’elite, non so chi siano gran parte dei sessanta firmatari. Alcuni li
conosco. Un paio di politici. Sarebbero questi gli intellettuali? Qualche professore universitario. Basta la cattedra per essere intellettuali? allora ne
abbiamo decine di migliaia. Un milione se estendiamo il titolo anche ai docenti delle medie (e i maestri niente?).C’è un magistrato, Palombarini, che mi pare
faccia parte dell’Associazione nazionale magistrati, che non risulta sia
l’Associazione nazionale intellettuali. C’è Paolo Crepet, il sociologo per tutte le stagioni e tutti i salotti televisivi. E qui la prospettiva si fa inquietante: se basta
essere sociologo per definirsi intellettuale, va a finire che il titolo lo rivendica anche la fiumana degli psicologi…(…). Il caso più ecclatante: ha firmato anche
Oliviero Toscani, quello delle foto spot a Benetton. Mettiamo sia un bravo fotografo. Anche Telenuovo ha bravi operatori, fanno ottime riprese. D’ora in
avanti non li chiamerò più cameramen ma intellettuali. (…) Non serve entrare nel merito dei manifesti, basta il disgusto che provoca la presunzione, la
vanità, l’arroganza di chi si considera il sale della terra. Mentre vivono nell’empireo dell’autostima. (……..) Invece che firmare andassero tutti a
Capalbio, al mare “a mostra’ le chiappe chiare”.
Chi volesse andare fino in fondo si guardi il sito di Telenuovo.
Le reazioni delle forze politiche.
Nessun interevento ufficiale dalle opposizioni in Consiglio Comunale; anzi addirittura un penoso tentativo d’ironia di tale Matteo Righetto, responsabile culturale(!) del Pd che
sul “mattino di Padova” si chiede “dove erano finora questi intellettuali”, come se a loro spettasse fare campagna elettorale e non, invece, a chi è stato solo in grado di porre in
atto una lucida, lenta eutanasia. Come ha fatto, appunto, la parte politica che gli ha
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conferito il ruolo di cui si fregia. Al contrario, piena adesione è arrivata dall’ex
parlamenterà e ora consigliere regionale Piero Ruzzante, un apprezzabile segnale di autonomia di pensiero, all’interno di una formazione politica che sembra non aver
ancora elaborato il k.o. post elezioni amministrative. Al di fuori del Consiglio Comunale,
hanno firmato l’appello anche altri rappresentanti di forze politiche dell’opposizione: Giuliana Beltrame, Daniela Ruffini, Marina Mancin.
I consensi
Molte firme sono state accompagnate da frasi di apprezzamento, sarebbe troppo lungo
riportarle tutte. Ci si limita una sola, particolarmente significativa, quella di Giorgio
Pecorini, giornalista e scrittore di 83 anni, amico di don Lorenzo Milani. Ci ha
inviato una mail con allegato un suo articolo dal titolo “Il crocifisso di don Milani”,
pubblicato dalla rivista cattolica “Il Segno” (n. 313, marzo 2010). La pubblicazione di
alcune parti di quell’ articolo vale sicuramente la pena anche perché nella lunga
intervista sul”mattino di Padova” del 22 dicembre il sindaco Bitonci ripropone la sua
visione di quel particolare cattolicesimo ultratradizionalista, tra l’altro fieramente
basato sull’obbligò di esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, da un lato, e
sull’assoluto divieto di pratica religiosa per i musulmani, dall’altro.
da”Il crocifisso di don Milani”:
(…) A questo punto gli allievi di don Lorenzo, riuniti nel Gruppo don Milani di
Calenzano, prevedendo risaltar fuori da più parti e con varie approssimazioni e
strumentalizzazioni la storia della rimozione del crocifisso dalla loro scuola,
hanno messo le mani avanti con questa lettera inviata al quotidiano Avvenire,
che l’ha pubblicata l’8 novembre:
“Dopo che la Corte Europea ha sentenziato di togliere il crocifisso dalle scuole,
qualcuno tirerà in ballo don Milani per dire che lui il crocifisso lo tolse 62 anni
fa alla Scuola Popolare di San Donato. E' vero, ma lo fece esclusivamente per
contribuire a vincere l'iniziale resistenza dei giovani comunisti a frequentare la
sua scuola, trattenuti dalla propaganda del loro partito che additava Chiesa,
preti e simboli religiosi come nemici del popolo e servi dei padroni. Noi, allievi
di quella scuola laica, attestiamo che questa è la verità. La scuola si riempì e
nel 1948, mentre in tutta Italia si consumava il più duro scontro ideologico del
dopoguerra, nella parrocchia di San Donato, ogni sera, giovani di diversi colori
politici discutevano animatamente ma in modo civile e rispettoso sotto la guida
di un prete: don Lorenzo Milani. (…)”
La prima testimonianza diretta su quella storia l’aveva resa nel 1974 uno di
quegli allievi, ancora oggi operante nel gruppo sandonatese: Giorgio Pelagatti,
per autorevolezza e per stazza detto Giorgione:
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“Don Lorenzo arrivò a togliere il crocifisso, a metterlo sull’armadio di un’altra
stanza. Se lo immagina che cosa generò con un gesto simile? Tra l’altro, quello
era il locale dove si tenevano anche le riunioni dell’Azione Cattolica, delle Figlie
di Maria eccetera. Tolse il crocifisso perché non doveva esserci neppure un
simbolo che facesse pensare che quella era una scuola confessionale. Lì
c’erano solo uomini che studiavano e discutevano per la propria elevazione
civile e morale. Si figuri se don Lorenzo discriminava un comunista o un
socialista! Non ci pensava nemmeno!”
S’era nella seconda metà degli anni ’40 del XX secolo. Le motivazioni di un
prete a levare allora il crocifisso dall’aula in cui fa scuola non per indottrinare
ma per educare a “cittadini sovrani”, come lui diceva, sono le stesse per cui
nella prima decade del XXI la Corte europea dei diritti dell’uomo invita a
toglierlo (e se non ci fosse a non metterlo) nelle aule in cui uno stato
indipendente e laico deve educare i propri cittadini alla democrazia. Il
problema è che oggi come allora quelle motivazioni seguitino a scandalizzare
qualcuno e soprattutto chi, detentore di un qualunque potere, civile e religioso,
si intestardisca a contestarne la legittimità scomunicando chi ne pretende
rispetto e applicazione. Andiamo allora a vedere come Milani cercava non tanto
di difendersi quanto di spiegare meglio il come e il perché della propria scelta
nella speranza (illusoria) di aprire il cervello e il cuore a chi s’ostina a tenerli
chiusi. Il primo cui si rivolge il 29 aprile 1953 è il proprio vescovo, quel vecchio
cardinale Elia Dalla Costa che tanto stima e ama ma non sino a consentirgli
giudizi iniqui e pregiudizi dovuti a disinformazione o a calunnie:
“Mi si accusa di non avere in classe il crocifisso e che in classe non parlo mai ex
professo di religione. Prima di trovarci a ridire bisogna esaminare con serenità
gli scopi e i risultati. [...] Un apostolato complesso, documentato, ragionato,
coerente come il mio avrà certo infiniti difetti e miserie, ma quel che è più certo
ancora è che non lo si può giudicare di lontano in pochi minuti valendosi di
informazioni approssimative e interessate.”
Appena un mese dopo, 20 maggio, all’amico Alberto Parigi che, giovane
insegnante laico di filosofia chiamato la sera prima a far lezione sull’Apologia
di Socrate, s’era sorpreso della libertà di pensiero e di lingua trovata a scuola,
scrive così:
“Coi ragazzi che da sei anni frequentano ogni sera la nostra scuola popolare io
posso benissimo permettermi di dire le cose più sporche e eretiche perché la
conoscenza fatta in sei anni della mia fede e ortodossia non si disfa in una sera.
Chi mi ha conosciuto cattolico in anni di così profonda convivenza intellettuale
e morale qual è la scuola, se mi vede eliminare un crocifisso non mi dirà mai di
eretico ma si porrà piuttosto la domanda affettuosa del come questo atto
debba essere cattolicissimamente interpretato cattolico, dato che da un
cattolico è posto.”
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Un anno e mezzo dopo, a ridosso di Natale del ’54, don Lorenzo, 31 anni
compiuti a maggio, è “promosso” priore a Sant’Andrea di Barbiana, la
parrocchia spopolata e isolata senza strada senza acqua e senza luce di cui
s’era già stabilita e annunciata la chiusura: il vecchio cardinale Dalla Costa gli
vuol bene e lo stima, tuttavia da arcivescovo s’è dovuto piegare alle ragioni e
alle convenienze della curia. La scuola popolare di San Donato è finita, quella
nuova sta nascendo, ovviamente diversa, costruita attorno ai sei ragazzetti che
il neo priore ha trovato arrivando.
A Milani l’esilio sui monti del Mugello rende parecchio scomoda la vita
quotidiana e particolarmente difficili i rapporti con l’universo mondo. Ma gli dà
anche libertà di ricerca e sperimentazione pratica su come fare il proprio
mestiere di prete in una realtà contadina così diversa tanto da quella astratta
ipotizzata in seminario quanto da quella operaia incontrata durante il rodaggio
da cappellano nella cintura industriale fiorentina.
Dalla stampa locale
La sicurezza elettorale- Giuseppe Mosconi, ordinario di Sociologia del diritto, Mattino di Padova 17.05.2014.
Ha avuto ragione il questore Coccia nel
richiamare comitati e politici al senso del limite
e della responsabilità in tema di sicurezza, a
fronte del proliferare di proposte di ogni tipo,
votate a giocare al rialzo in una sfrenata corsa
pre-elettorale alla conquista del consenso
(presunto). Tanto che un apologeta del “Law
and Order” doc, come Maurizio Saia, ha
intelligentemente abbassato i toni, arrivando a
parlare di ricette bizzarre, di grande
confusione, e di necessario rispetto della legge,
riconquistando così una posizione autonoma a
fronte della gazzarra sicuritaria. In effetti, a
rileggere la sintesi delle posizioni degli
candidati sindaco in materia di sicurezza,
pubblicata sul mattino del 5 maggio, si nota un
deciso contrasto tra due dimensioni, pur tra loro intersecate e contaminate. Da
un lato una egemone e dilagante rincorsa alle maniere forti, in termini di
rafforzamento assolutizzante del controllo da parte delle Forza dell’Ordine ( da
parte, in primis, dello stesso Saia) e di capillare diffusione della video
sorveglianza ( i “mille occhi sulla città” proposti dal vicesindaco reggente,
insieme a una monumentale tomba per Orwell), fino al parossismo dei
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pentastellati, che riesumano le famigerate ronde, in salsa populista. Su questo
versante si consuma una specie di corto circuito comunicativo tra proposte
istituzionali e pubblico tale per cui la qualità delle risposte alle richieste di
rassicurazione necessariamente presume quel tipo di richieste, e al tempo
stesso le produce e le rafforza, in una univoca e ineluttabile diffusione di senso
comune, che rischia di appiattire tutte le posizioni, o di scatenare assurde
competizioni al rialzo. Dall’altro un bricolage di microproposte, più ispirate al
buon senso e all’innovazione: gli agenti di prossimità, l’illuminazione delle
strade, i mediatori culturali, il recupero di aree abbandonate, gli sportelli della
salute, i taxi rosa per l’autonomia di movimento delle donne; fino a quella che,
non per partito preso, ma oggettivamente mi sembra la proposta più
appropriata ed efficace; quella degli sportelli contro l’evasione fiscale, per
recuperare risorse utili ad investimenti di promozione sociale (Daniela Ruffini).
Il proliferare di questo tipo di proposte è chiaramente il segno che le politiche
securitarie alla “0 tolerance” non pagano più, non incontrano la varietà e la
complessità dei problemi in campo, non risultano abbastanza rassicuranti né per
i politici alla ricerca di consenso, né per i cittadini alla ricerca di risposte
appropriate. Ma questo contrasto tra diversi livelli pone due questioni
fondamentali. Quella di un coordinamento organico di proposte in un
programma razionale ispirato ad una reale conoscenza e ad una adeguata
interpretazione dei problemi di sicurezza , che non si configuri come scomposta
e strumentale reazione a più o meno immaginate emergenze; quella del
rapporto tra le politiche più tradizionali, necessariamente ispirate al controllo e
alla repressione, e le politiche più innovative, ispirate alla reale conoscenza dei
problemi, all’abbattimento dei pregiudizi, all’accoglienza, alla ricostruzione dei
legami sociali, in sintesi alla prevenzione sociale. L’esperienza dei progetti di
sicurezza in molte città italiane ha dimostrato che la semplice idea di combinare
le due dimensioni, in progetti di “prevenzione integrata”, porta inevitabilmente
alla riaffermazione dei metodi tradizionalmente repressivi, più consolidati,
supportati da risorse e spendibili come immagini rassicuranti. Per innovare
seriamente le politiche di sicurezza è necessario intraprendere con decisione la
seconda strada, in disegni organici ed efficienti, supportandola di conoscenza
approfondita dei problemi e delle situazioni di disagio sociale che ne stanno a
fondamento e di interventi realmente ispirati metodi di progettazione, di
sperimentazione e di sistematica verifica che vadano a fondo nel gestire le
questioni in campo. E’ una questione di metodo e di scelte, senza le quali
continueremo a rafforzare pregiudizi, a incentivare paure, a lasciar deteriorare
senza limite le situazioni che si prestano a produrre devianza, a riempire
all’inverosimile le carceri, in un processo in caduta libera, in cui l’inevitabile
riprodursi di comportamenti socialmente dannosi andrà di pari passo con
l’approfondirsi della sfiducia nelle istituzioni e con il pericoloso riemergere di
istanze autoritarie.
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La lotta all’accattonaggio- Umberto Curi, filosofo, Corriere del Veneto.
Sul tema della lotta contro l’accattonaggio molesto, e più in generale dei
provvedimenti per migliorare la sicurezza nelle città venete, si sta ripetendo lo
stesso sciagurato copione già sperimentato in passato con la questione degli
immigrati. Da un lato, la Lega Nord, rivitalizzata dal piglio combattivo del neo
segretario Salvini, cavalca con cinica spregiudicatezza i timori e le ansie (come
si vedrà, in gran parte immotivati) dei cittadini, puntando ad alimentare
l’insicurezza, piuttosto che a ridimensionarla. Dall’altro lato, il centrosinistra
veneto ribadisce la sua cronica subalternità, limitandosi a rincorrere
pateticamente gli avversari politici sul loro stesso terreno, apparendo
inevitabilmente meno credibile e meno efficace sul piano delle proposte e delle
iniziative. L’esito largamente scontato di questo processo sembra essere già
scritto: come è avvenuto per le elezioni amministrative a Padova alcuni mesi
fa, il prossimo anno saranno Zaia e il centrodestra a prevalere nella
competizione per la poltrona di governatore regionale. E il centrosinistra
mancherà ancora una volta quella che avrebbe potuto essere un’occasione
storica, vale a dire la conquista del governo regionale.
Proviamo a indicare schematicamente per punti quale dovrebbe essere un
percorso che inverta questa tendenza apparentemente inesorabile. Il primo.
Stando alla relazione annuale del Procuratore generale di Venezia, Padova è
una delle città più sicure d’Italia; lo stesso, con lievi differenze, si può dire
anche per gli altri capoluoghi regionali, nei quali da alcuni anni si registra una
continua diminuzione dei reati più invisi ai cittadini, quali i furti negli
appartamenti e la piccola criminalità da strada. Da ciò risulta che, dati oggettivi
alla mano, sarebbe anzitutto necessario sdrammatizzare il clima di città
assediate dalla delinquenza, propagandato strumentalmente dalla Lega. Il
secondo passo da compiere potrebbe sembrare – ma non è – contraddittorio
rispetto al primo. Le statistiche ai cittadini interessano fino ad un certo punto.
Ed è inoltre inutile discettare sulla differenza fra l’insicurezza effettiva e la
percezione soggettiva di essa. Il problema c’è – inutile negarlo. Anzi, una forza
politica che si candidi al governo della regione non può che registrare una
diffusa sensibilità a questo problema, che va dunque affrontato con decisione e
coerenza, possibilmente il giorno prima, e non il giorno dopo, le elezioni. Ma, e
questo è il terzo passo, è proprio questo il terreno sul quale finora il Partito
democratico ha mostrato in maniera palese la sua inadeguatezza, denunciando
drammatici limiti culturali, prima ancora che di iniziativa politica. Ciò che si
tratterebbe di dimostrare, infatti, è che le misure assunte dai sindaci di
centrodestra per combattere l’accattonaggio molesto non sono soltanto odiose
o disumane (aspetto, questo, assai poco interessante per una larga fetta della
popolazione). ma sono controproducenti e inefficaci. Nel primo caso, perché
divulgano a livello nazionale e internazionale un’immagine del Veneto
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inospitale e militarizzato, assai nociva per una delle principali risorse
economiche, quale è quella del turismo. Nel secondo caso, perché è fin troppo
evidente che se l’obbiettivo che si vuole colpire non sono i poveracci della
manovalanza, ma il racket che li organizza e li sfrutta, multare gli accattoni o
trattenerli preso il comando della polizia urbana non può sortire alcun effetto
concreto e serve solo a ingannare i gonzi. Di qui un’opportunità ghiotta per una
forza quale l PD, che si dichiara riformista: sfidare la Lega su questo stesso
terreno, mostrando l’insufficienza e la miseria di una linea di governo capace di
“fare cinema”, ma alla prova dei fatti clamorosamente inadeguata. Un’iniziativa
forte, tecnicamente e culturalmente attrezzata, dalla quale emerga lo scarto fra
un soggetto politico che vive parassitariamente sulla drammatizzazione delle
emergenze, e un partito in grado di governare i processi di sviluppo di una
società complessa. Volete scommettere? Anche questo ragionevole appello
rimarrà inascoltato
A proposito di “accattoni molesti” - Giuseppe Mosconi, ordinario di
sociologia del diritto, Mattino di Padova.
La mancata registrazione nel testo del “nuovo” regolamento di Polizia urbana
dell’ emendamento che introduce una distinzione di sanzioni a carico degli
“accattoni”, ( 50 euro se semplici, 100
euro se molesti) ha tutto il sapore di
un lapsus procedurale, tale da far
emergere l’inconscio motivazionale
della disposizione, Non tanto per la
patetica pretesa differenza tra le due
figure, quanto per l’emergere con
evidenza della volontà di fondo di
sanzionare comunque chi chiede
l’elemosina, oltre al sequestro dei
favolosi proventi dell’attività. Diversi
sono gli aspetti di illegalità che mi
risultano inficiare questa disposizione.
Non solo, (ma questo potrebbe
riguardare l’intero regolamento) la
dichiarazione di incostituzionalità
della norma che autorizza i sindaci ad
emanare ordinanze in tema di ordine
pubblico, pronunciata dalla Corte con
sentenza 115/2011; ma diversi altri
aspetti.
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La donazione, secondo il codice civile, costituisce un titolo legittimo di
acquisizione di un diritto reale su un bene, in quanto espressione della libera
volontà del donante a favore del donatario. Non può certo, per il principio della
gerarchia delle fonti, una disposizione in tema di ordine pubblico, emessa da
un’amministrazione locale, disattendere una norma generale nazionale,
emessa a tutela della libera circolazione dei beni nei rapporti tra privati.
Potremmo pensare che solo la necessità di tutelare un bene fondamentale,
minacciato da atti illegali e lesivi di beni giuridici di interesse generale,
potrebbe giustificare una
deroga a tale diritto. Ma, a
parte l’assoluta
incompetenza, in questo
caso, dell’autorità che si
arroga la potestà di legiferare
in merito, quale sarebbe il
superiore bene fondamentale
minacciato al punto da
giustificare una disposizione
del genere? Il fatto che
diverse persone hanno
bisogno, per sopravvivere, di
chiedere l’elemosina?
Il fatto che alcuni più generosi e “spregiudicati” assumono un comportamento
liberale, mal visto dalla maggioranza, ponendo mano al portafoglio, peraltro
dando seguito ad una diffusa e antica tradizione, divenuta precetto evangelico,
e dando prova di un’attitudine semplicemente encomiabile? Il fatto che da
fastidio al cittadino medio, conformista e consumatore, vedere per le strade
persone che non godono dello stesso benessere e che evidentemente hanno un
diverso “stile di vita”?
Non bisogna essere dei fini giuristi per cogliere che si tratterebbe di
giustificazioni assolutamente ridicole e prive di fondamento: Infatti, se
dovessero essere prese sul serio, i primi a dover essere perseguiti, come
“disturbatori dell’ordine pubblico” dovrebbero essere gli stessi donanti, magari
passibili di venire sanzionati per “istigazione a delinquere”. E poi la stessa
legge penale prevede l’esimente dello “stato di necessità”, parificato alla
“legittima difesa”, per escludere la perseguibilità di chi lo pone in essere: Sarà
dunque un sindaco che potrà disconoscere questo elementare principio di
civiltà giuridica? E ancora con quali soldi il malcapitato “accattone” molestante
pagherà la multa, se gli vengono sequestrati i pochi spiccioli raggranellati? Non
avrà altro mezzo che continuare a mendicare. Allora l’istigatore a delinquere
diviene paradossalmente la stessa autorità sanzionante, con buona pace del
preteso ordine ristabilito. E ancora, chi decide, se vogliamo assumere la
distinzione proposta tra “molesto” e non, chi è tale, così da meritare la
13
sanzione superiore? Nessuna valutazione di una prova, nessuna difesa,
nessuna garanzia, a fronte di una pesante limitazione della libertà del singolo;
solo la parola accusatrice dell’agente, o, peggio, la delazione del passante
infastidito, magari istigato a calcare la mano per togliersi di torno presenze a
lui sgradite: Non è chi non veda il groviglio di illiceità e di insensatezze che
caratterizzano queste disposizioni, tali da far emergere una sola, triste e
inquietante realtà: La volontà di perseguire ed espellere, con questa, come con
molte altre disposizioni del regolamento, i soggetti socialmente più deboli, o
che per vari aspetti si differenziano dalla massa consenziente, additandoli a
reietti e inacettabili, nemici pubblici da respingere per sfogare le proprie
insicurezze e consolidare il consenso verso le autorità rassicuranti. Non c’è
altra logica, al di là di questa avvilente e cinica produzione simbolica.
L’ordinanza di Bitonci per Ebola - Umberto Curi, filosofo. Corriere del
Veneto.
L’ordinanza del sindaco di Padova, Massimo Bitonci, con la quale si vieta “la
dimora, anche occasionale, alle persone provenienti da Paesi dell’area africana,
se non in possesso di certificato attestante lo stato di salute”, è illegale,
inefficace, dannosa, pericolosa. Illegale, e dunque inapplicabile, perché, come
hanno riconosciuto eminenti costituzionalisti, lede alcuni principi che sono alla
base della nostra Carta fondamentale. Inefficace, perché, non svolge alcuna
azione di effettiva tutela della popolazione residente, la cui esposizione al
rischio del contagio, come ha affermato l’Organizzazione mondiale della Sanità,
può dipendere da molti altri fattori, ma non certamente dalla generica “dimora
anche temporanea” di persone provenienti dall’Africa. Dannosa, perché
diffonde un’immagine di Padova e dei suoi abitanti negativa e distorta, dove vi
è la possibilità concreta che siano i cittadini padovani, e non i profughi o i
migranti, ad essere considerati rozzi, incivili e arretrati dalla pubblica opinione.
Pericolosa, perché in una fase obbiettivamente delicata e carica di incognite,
quale è quella che stiamo attraversando, compito di chi abbia responsabilità di
governo sarebbe quello non di alimentare l’insicurezza, ma al contrario di
lavorare per garantire per quanto possibile la serenità d’animo dei membri
della comunità.
Per dirla in sintesi: ci stiamo facendo ridere dietro dall’universo mondo per via
di un provvedimento ottuso e totalmente privo di fondamento, consolidando
l’idea che i Veneti siano un popolo inospitale e retrivo, incapace di reagire in
maniera razionale e ponderata ad emergenze come quella connessa con
l’epidemia di Ebola. Con l’aggiunta di un particolare che conferisce un carattere
perfino grottesco all’ordinanza di Bitonci. Come è stato ribadito da fonti diverse
e indipendenti, coloro che giungono nel nostro paese attraverso i viaggi della
disperazione lungo le rotte del Mediterraneo sono paradossalmente i soggetti
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meno pericolosi. Da un lato perché, data la lunghezza del viaggio, ove vi fosse
la malattia, essa sarebbe già esplosa, e poi perché già all’arrivo sono sottoposti
di routine ad accurati controlli sanitari. Cosa che, invece, non si può dire delle
migliaia di veneti che tutti i giorni vanno e vengono lungo i cinque continenti,
senza essere assoggettati ad alcuna verifica particolare. Il fatto è che – a dirla
tutta – l’obbiettivo dell’ordinanza non è affatto quello di promuovere interventi
di reale salvaguardia della salute dei cittadini. Basti pensare, per convincersi
definitivamente di questo punto, che mentre Bitonci legiferava, Obama
promuoveva un supervertice con i leader dei paesi europei per mettere a punto
una strategia mirata a impedire o circoscrivere la diffusione dell’epidemia. Il
tutto, nella consapevolezza che, data la natura della minaccia, interventi
settoriali, di un singolo paese o anche di più di uno, non sarebbero serviti a
nulla. Da quanto si è detto emerge una verità amara, sulla quale converrebbe
riflettere col rigore dovuto. Indipendentemente dal merito specifico dei singoli
interventi, alla base dei provvedimenti assunti da Bitonci vi è una visione
culturale, prima ancora che una posizione politica, che è in aperta e diretta
contraddizione con la storia, la tradizione, la realtà di una città evoluta e civile
quale da secoli è stata Padova.
Fra la lotta all’accattonaggio, il divieto di agganciare le biciclette, la proibizione
dei consumo di alcolici e il vade retro alle persone provenienti dall’Africa, vi è
una coerenza stringente di mentalità e di approccio, incompatibili con il livello
civile e culturale medio dei padovani, come di qualunque altra persona di buon
senso. Diventeremo la favola del Nordest. Manca solo che, per evitare gli effetti
dannosi dello smog, ci si proibisca di respirare.
Il clochard dal vero, decostruendo gli stereotipi –Giuseppe
Mosconi, ordinario di Sociologia del Diritto, Mattino di Padova
21.08.2014.
Alla fine i nodi vengono al pettine. L’avevano detto, preconizzato e promesso i
paladini della nuova sicurezza in città, candidati sindaci e assessori: guerra
all’accattonaggio, “pulizia” delle strade dal “degrado”, videosorveglianza,
tolleranza zero, militarizzazione della polizia locale, dislocamento del controllo.
E adesso lo stanno facendo, a modo loro, cioè non ripristinando il tessuto
sociale e andando a fondo nelle problematiche implicate ( come dimostra la
situazione della stazione), ma con singoli atti puramente simbolici: Lo sfratto
di una famiglia di sinti, pur assistita da un notissimo e stimatissimo religioso;
ora l’ammanettamento e la brutale rimozione di un homeless, affetto da una
grave ed evidente menomazione fisica, sotto gli occhi di tutti. Ma quando le
promesse di sicurezza contro gli enfatizzati nemici pubblici diventano realtà, la
gente non ci sta. Le immagini e le aspettative entrano in conflitto. Quel
guazzabuglio di emotività, di malessere, di risentimenti, di sfiducia, di luoghi
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comuni, di preoccupazioni, ma anche di pietà e di umanità, che si aggroviglia
attorno al tema della sicurezza, si dipana almeno in parte di fronte alle persone
concrete, ai protagonisti reali dell’esercito dei “nemici” e degli invasori.
Emergono dimensioni diverse, che pure potevano essere presenti nella
“domanda di sicurezza” degli orientamenti elettorali.Allora le motivazioni del
voto per i profeti dell’ordine metropolitano si incrinano, le certezze rassicuranti
vacillano. Di fronte alle situazioni concrete delle persone fisiche, alle loro
storie, gli stereotipi si destrutturano, il gioco non regge più. Il fatto è che
dietro a ogni “nemico”, a ogni immigrato, detenuto, mendicante,
tossicodipendente, senza casa, anche dietro i comportamenti meno accettabili
e più drammatici, c’è una persona, una storia, un insieme di desideri, di
tentativi, di fallimenti, propri di ogni essere umano. Perché bisogna aspettare il
suicidio, il naufragio, lo scandalo, il dramma, la palese e inaccettabile
ingiustizia per rendersene conto? Allora le retoriche della “zero tolerance”
rivelano tutta la loro inconsistenza. Ma anche il semplice appello ai sentimenti
di umanità e la ricerca di dialogo rischiano di restare invischiati
nell’ambivalenza dei modelli culturali diffusi, così come negli strumentalismi
del mondo della politica e dei suoi linguaggi.
A fronte di queste riflessioni alcuni riferimenti vanno messi a fuoco. La
sicurezza è il prima battuta una questione di diritto e di diritti. La Corte
Costituzionale, con sentenza n. 115/2011, ha dichiarato l’incostituzionalità
dell’articolo 54 della legge 92/2008 ,”limitando il potere di emanare ordinanze
a tutela dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana ai casi in cui
sussistano presupposti di contingibilità e urgenza, a condizione della
temporaneità dei loro effetti e, comunque, nei limiti della concreta situazione di
fatto che si tratta di fronteggiare”(ANFP). I riferimenti vanno ai principi
costituzionali dell’eguaglianza e della riserva di legge nella limitazione della
libertà delle persone artt. 3 23, 97).Non solo, nel vuoto applicativo, ordinanze
di questo genere prosperano, sull’onda delle propagande sicuritarie, ma, come
nel caso del clochard in questione, il comportamento degli agenti risulta un
atto del tutto arbitrario, motivato e legittimato in modo emblematico solo dal
clima e da questo tipo di orientamenti, rispondente a puri criteri di prassi e di
scelte di modalità d’intervento, a fronte di un comportamento (il rifiuto di
pagare una multa, per quanto accompagnata, a quanto risulta dalla lacerazione
del documento) del tutto legittimo e azionabile nelle procedure di ricorso
previste, di cui gli agenti avrebbero dovuto informare l’interessato. E’ invece
evidente dalla cronaca l’escalation di una coercitività smisurata agita
teatralmente contro una figura simbolo del “degrado”, legittimata da un clima
e una cultura che debordano i limiti della legge. Per non parlare dei principi e
dei testi posti a tutela dei diritti umani, che a fronte di questi e di molti altri
consimili casi restano totalmente lettera morta.
Solo la capacità e la volontà di capire, prevedere e gestire le situazioni di
marginalità e di disagio possono prevenirne gli esiti più insicurizzanti,
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nell’interesse di una collettività non solo diffusamente afflitta dalla crisi, ma
anche da inaccettabili strumentalità per catalizzare il consenso politico.
Il Veneto e la Fao. Umberto Curi, filosofo. Mattino di Padova
Oltre ottocento milioni di persone nel mondo non accedono al minimo di calorie
necessarie per sopravvivere. Una persona su 9 va a dormire con lo stomaco
vuoto. Quasi due miliardi di individui devono accontentarsi di una dieta carente
di vitamine, proteine e sali minerali. Contemporaneamente, nel corso
dell’ultimo decennio, è aumentato il numero di individui affetti da patologie
connesse con l’obesità, giungendo a superare i 500 milioni. La distribuzione
geografica evidenzia che molto spesso denutrizione e sovralimentazione sono
simultaneamente presenti negli stessi paesi, il che significa che in quelle zone
un’alta percentuale di malattie e di decessi dipende non dalla carenza di
risorse, ma dalla loro squilibrata suddivisione. Quelli appena citati, sono i dati
più significativi emersi dalla seconda conferenza internazionale sulla nutrizione
promossa dalla FAO (organizzazione intergovernativa alla quale aderiscono
oltre 194 paesi), svoltasi a Roma pochi giorni fa, durante la quale Papa
Bergoglio ha indirizzato un vibrante appello ai governi del pianeta. I numeri
forniti in occasione dell’assise romana, già di per sé drammatici, vanno poi
integrati con altri dati analiticamente riportati in una pubblicazione curata
dalla FAO. In essa si può leggere che tuttora trequarti della popolazione
mondiale può contare su un quarto di tutte le risorse disponibili, mentre poco
più di un miliardo di persone dispongono di tre quarti delle risorse. Ciascuno
dei primi cinque contribuenti degli Stati Uniti (fra i quali lo stesso Bill Gates)
dichiarano un reddito annuo superiore al Pil di cinque paesi africani messi
insieme. Un bambino americano consuma quanto 341 bambini etiopi. Una
donna su sei nell’Africa sub-sahariana muore durante la gravidanza o il parto,
mentre per una donna che viva in regioni sviluppate le probabilità scendono a
una su 2800. Ogni giorno, sono 17 mila i bambini che muoiono per cause
connesse ad un’alimentazione insufficiente o malsana. L’obbiettivo fissato nel
vertice mondiale sull’alimentazione, svoltosi nel 1996 – dimezzare il numero
delle persone affamate nel mondo entro il 2015 – può dirsi fin d’ora
clamorosamente fallito, al punto da dover spostare al 2115, e dunque di un
secolo, non l’eliminazione, ma semplicemente il dimezzamento, della quota di
popolazioni afflitte dalla fame. Tutto ciò tenendo presente che, come lo stesso
Pontefice ha ricordato, il mondo produce globalmente molto più di quanto
abbia bisogno, producendo un sempre crescente inquinamento della terra,
dell’aria e dell’acqua, senza tuttavia riuscire a ridurre in maniera significativa
la diffusione della fame in tutti i continenti. Da un lato, insomma, avanza il
degrado ambientale, connesso ad un eccessivo e irrazionale sfruttamento delle
risorse naturali, mentre dall’altra parte non si riduce, e tende anzi ad
aumentare, la forbice fra povertà e ricchezza, fra mancanza e sovrabbondanza
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di risorse. Quando non fuggono da situazione ancora più tragiche, quali sono
quelle collegate a guerre sanguinose e spietate, i migranti che giungono nella
nostra regione provengono in larga parte dalle realtà descritte dalla conferenza
della FAO. Cercano di evadere da condizioni di sottosviluppo e di miseria che il
cittadino veneto, al quale è toccato in sorte il privilegio di vivere in una delle
zone più prospere e fortunate del pianeta, non riesce neppure ad immaginare.
Chiedono spesso di poter accedere anche solo alle briciole dei ricchi banchetti,
reali e metaforici, dei cittadini autoctoni, magari evitando sprechi che gridano
vendetta. Si conoscono già, perché più volte ripetuti, gli argomenti addotti per
motivare ciò che in realtà non è in alcun modo moralmente e umanamente
giustificabile, e cioè il rifiuto dell’ospitalità a nostri simili che richiedono
solidarietà. Si dice: aiutiamoli nei loro paesi, impieghiamo le risorse affinchè
risolvano i loro problemi senza dover abbandonare la terra di origine. Ebbene,
un altro dato emergente dalla riunione della FAO dimostra quanto ipocrita sia
questa motivazione. L’Italia si era impegnata ad azzerare il debito dei paesi
africani, e non lo ha fatto. Aveva promesso di stanziare lo 0,33 del Pil per gli
aiuti allo sviluppo, e non lo ha fatto. L’Italia è ancora all’ottavo posto fra i paesi
industrializzati, ma è ventiquattresima per il sostegno al continente africano.
Eppure, dovremmo ricordarcelo sempre: non possiamo pretendere che il mondo
sia più sicuro, se non operiamo concretamente in modo che esso sia più giusto.
La questione dell’accattonaggio –
Paolo Berti, avvocato. Mattino di Padova,
20.10.2014.
Egregio Direttore, Le scrivo in margine alla polemica, alquanto contenuta, a mio
modo di vedere, relativa al problema dei provvedimenti del nuovo Sindaco sul
problema dell’accattonaggio, suggeriti, immagino, dall’Assessore Saia (che,
evidentemente, ha dimenticato l’epiteto rivoltogli, anni orsono (2006), dall’allora
on. Fini, per il giudizio espresso sull’on. Bindi). Ho appena finito di leggere l’art
10 del Regolamento di Polizia Urbana del
Comune di Padova (in vigore dal 29 settembre 2014 !), in tema di accattonaggio, e mi sono persuaso che con tale norma si persegue un unico
evidente fine: i mendicanti devono sparire. Sono convinto che il livore con cui si procede contro gli stessi, anche da una buona parte dell’opinione pubblica,
purtroppo, oltre che, soprattutto, dall’Amministrazione Comunale, dipenda dal fatto, da un lato, che qualche cittadino sia infastidito dal vedere che esistono
persone indigenti, che non hanno di che sfamarsi o dove dormire, mentre egli tali beni possiede; dall’altro, dal senso di vergogna che prova
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l’Amministrazione principale responsabile della disperata condizione in cui
lascia vivere quella categoria di disgraziati.
Spero che non Le manchi lo spazio nel riportare questa mia opinione nella pagina de il mattino e Le invio distinti saluti.
La sentenza del TAR- Umberto Curi, filosofo, Corriere del Veneto.
La notizia è passata quasi completamente inosservata. Eppure si tratta di una novità molto importante, sulla quale sarebbe necessario avviare una
riflessione, anche al di fuori delle convinzioni politiche di ciascuno. Accogliendo il ricorso promosso da due associazioni (Razzismo stop e Studi Giuridici
sull’immigrazione), la terza sezione del Tribunale Amministrativo regionale ha sospeso l’efficacia del provvedimento emanato dal Sindaco di Padova in data
17/10/14, col quale si prescriveva il divieto di dimora anche occasionale per
persone prive di certificato medico e di documento di identità.
Come si ricorderà, l’iniziativa era stata assunta da Massimo Bitonci nelle
settimane in cui più alto era il livello di allarme per l’ipotesi del diffondersi di Ebola, anche se il territorio veneto non era stato neppure sfiorato
dall’epidemia. Al di là di altre considerazioni, che pure sarebbero non prive di
significato, importante è la motivazione con la quale il Tar ha accolto il ricorso, sospendendo di conseguenza l’efficacia del provvedimento. L’ordinanza del
sindaco – si legge nella sentenza – “non evidenzia la sussistenza dei presupposti di contingibilità e urgenza e l’esistenza di un’emergenza sanitaria
locale che giustifichi il potere di ordinanza”. In termini più semplici, il Tribunale ha constatato che, emanando quel provvedimento, Bitonci ha
abusato del suo potere, in quanto ha assunto un’iniziativa senza che ricossero i presupposti che avrebbero potuto legittimare l’adozione di una misura di quel
genere. Ciò vuol dire, senza giri di parole, che il comportamento del sindaco di Padova in quel frangente è stato contrario a quanto previsto dalla legge. Si
sbaglierebbe se si considerasse quella commessa come una trasgressione soltanto veniale. E’ perfino elementare affermare che il sindaco di una città,
soprattutto se rilevante come il capoluogo euganeo, non solo non può essere responsabile di atti illegali, ma dovrebbe essere un esempio di correttezza
anche per i suoi concittadini.
Anche se limitata tecnicamente all’ambito giurisdizionale amministrativo, la sentenza del Tar evidenzia una condotta fortemente censurabile, e configura
dunque qualcosa che potrebbe rientrare nei casi previsti dal codice penale. La proibizione o la limitazione della “dimora anche occasionale” colpiscono infatti
alcuni diritti fondamentali, tutelati dalla stessa Costituzione del nostro paese.
Questa volta la motivazione addotta per una ordinanza illegittima è stata una – inesistente – emergenza sanitaria. La prossima volta, misure analoghe
potrebbero essere prese sulla base di considerazioni ancora più opinabili e prive di fondamento oggettivo. Insomma, corruzione e concussione, nei quali
spesso incorrono gli amministratori locali, sono certamente reati odiosi e meritevoli di essere severamente sanzionati. Ma non è detto che, accanto ad
essi, non vi siano reati meno appariscenti, ma forse ancor più gravi e pericolosi.
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La sentenza del TAR del Veneto sull’ordinanza anti Ebola.
REPUBBLICA ITALIANA - Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza),ha pronunciato la presente ORDINANZA sul ricorso numero di registro generale 1630 del 2014, proposto da:
Razzismo Stop, Associazione per Gli Studi Giuridici sull’Immigrazione - Asgi, rappresentati e difesi dagli avv.ti Giovanna Berti, Fabio Corvaja, Marco Ferrero e Marco Paggi, con domicilio eletto presso Fabrizio Ippolito D'Avino in Venezia, San Polo, 2988;
contro
Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marina Lotto, Vincenzo Mizzoni, Paolo Bernardi, Paola Munari e Antonio Sartori, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia - Mestre, Calle del Sale, 33; Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Venezia, San Marco, 63; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, dell'ordinanza del sindaco di Padova del 17.10.2014 n. 42 del Registro delle ordinanze, pubblicata all'Albo Pretorio "ON LINE", che prescrive il divieto di dimora, anche occasionale, presso qualsiasi struttura di accoglienza, per persone prive di regolare documento di identità e di regolare certificato medico, nonchè l'obbligo, da parte dei soggetti privi di regolare permesso di soggiorno ovvero di tessera sanitaria ed individuati nel corso di accertamenti da parte della Polizia Locale, di sottoporsi entro tre giorni a visite mediche presso le compententi ULSS.
Visti il ricorso e i relativi allegati; (…) Considerato: - che in relazione alle censure proposte sembra sussistere la legittimazione al ricorso in capo alle Associazioni ricorrenti (cfr. Ord. Tar Veneto, Sez. III, 22 marzo 2010, n. 40); - che i presupposti di contingibilità ed urgenza o la sussistenza di un’emergenza sanitaria costituiscono l’imprescindibile fondamento dell’esercizio del potere di ordinanza da parte dei sindaci ai sensi degli artt. 50 e 54 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267 (cfr. Corte Costituzionale 7 aprile 2011, n. 115); - che il provvedimento impugnato non evidenzia la sussistenza dei presupposti di contingibilità ed urgenza o la sussistenza di un’emergenza sanitaria di carattere locale che giustifichi l’esercizio del potere di ordinanza (dalla documentazione versata in atti allo stato attuale risulta da escludere la sussistenza di un’emergenza sanitaria: cfr. il protocollo per la gestione della malattia da virus Ebola redatto dall’Ulss n. 16 di Padova di cui al doc. 16 allegato al ricorso); - che anche le argomentazioni contenute nella memoria del Comune (cfr. pagg. 19 e 20 della memoria del 12 dicembre 2014) circa l’esistenza di accurati ed efficaci controlli sanitari nei confronti dei profughi che sbarcano in Italia sembrano contraddire i presupposti fattuali sui quali si fonda l’ordinanza, mentre per quanto riguarda gli stranieri privi di titolo di soggiorno già presenti in Italia non sembra allo stato esservi un tasso di rischio diverso da quello riscontrabile per la generalità della popolazione residente; - che, come dedotto nel ricorso, sussiste il requisito del periculm in mora perché l’ordinanza è rivolta anche nei confronti di categorie di soggetti che, non essendo nelle condizioni di poter adempiere tempestivamente agli obblighi imposti, soggiacciono al divieto di dimora anche occasionale nel territorio del Comune di Padova, e ciò, oltre a costituire una limitazione all’esercizio delle misure che devono essere adottate dal Prefetto ai sensi degli artt. 5 e 6 del
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Dlgs. 30 maggio 2005, n. 140, integra una misura che, essendo stata adottata in mancanza di un’emergenza sanitaria e dei presupposti di contingibilità ed urgenza, produce effetti lesivi privi di giustificazione; - che sussistono pertanto i presupposti richiesti dall’art. 55 del codice del processo amministrativo, e le spese della fase cautelare possono tuttavia essere compensate;
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione - accoglie la suindicata domanda cautelare e, per l’effetto, sospende l’efficacia del provvedimento impugnato; - fissa la trattazione della causa l’udienza di merito del 20 maggio 2015. Spese compensate. La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Di Nunzio, Presidente, Stefano Mielli, Consigliere, Estensore, Marco Morgantini, Consigliere
Quella reprimenda a don Albino Bizzotto. Renato Rizzo, Mattino di
Padova, 27.12.2014.
La collana del sindaco Bitonci si è arricchita di un'altra perla preziosa. Dopo
quella dell'incontro rifiutato al console del Marocco e quella della sentenza di sospensione dell'ordinanza anti Ebola, il Nostro ha pensato bene di infilare una
perla perfettamente intonata col Natale, quello tutto suo, dallo schietto sapore padano, ovviamente. Si tratta della robusta reprimenda nei confronti di don
Albino Bizzotto che, in spregio al quinto Vangelo (scritto a Cittadella e ora importato a Padova), ha osato dir Messa nel campo Rom di via Bassette.
Per coerenza con la sua visione da Sacro Padano Impero, il sindaco dovrebbe recarsi la mattina di Natale nel Campo del Sacrilegio e addobbato, come ama
farsi ritrarre, con tre o quattro crocifissi addosso, procedere alla purificazione, con opportuni riti celtico-padani, dall'immonda deturpazione
avvenuta con la Messa notturna. Infine, in forza di un comma aggiunto nel frattempo dal fedele Saia al
regolamento di Polizia Urbana, dovrebbe immediatamente sospendere "a divinis" il temerario don Bizzotto. Ma occhio ai giudici del TAR:
potrebbero invalidare la sua divina ordinanza. Ormai lo conoscono, anche se il
2015 è lungo assai e il filo della sua collana ha spazio per altre meravigliose perle.
L’attentato di Parigi e la Lega. Umberto Curi, filosofo- Corriere
del Veneto, 9 gennaio 2015.
Inveisce contro le “frontiere colabrodo”, il sindaco di Verona Flavio Tosi,
chiedendo l’adozione di “precise misure” per rafforzare la sicurezza nel nostro
paese. Gli fa eco il governatore regionale Luca Zaia, con un vibrante
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telegramma (scritto in un italiano un po’ zoppicante), indirizzato
all’ambasciatrice di Francia in Italia. E non poteva perdere l’occasione per
distinguersi il sindaco di Padova, proponendo ai gruppi islamici presenti nel
territorio un drastico aut aut: o condannare l’attentato, o andarsene. Insomma,
come era largamente previsto, ma anche come sarebbe stato auspicabile non
succedesse, i vertici della Lega nel Veneto hanno utilizzato il gravissimo
episodio di Parigi come pretesto per rispolverare, appena un po’ aggiornati, gli
slogan tradizionali del Carroccio, concentrandosi in particolare su
quell’inesauribile giacimento di consensi elettorali che è la xenofobia. Salvo
che, almeno in questa occasione, la pubblica opinione dovrebbe finalmente
essere in grado di comprendere l’equivoco di fondo – anzi, il vero e proprio
inganno – che sussiste alla base dei roboanti pronunciamenti leghisti. Come
risulta da un’analisi appena un po’ attenta e rigorosa di ciò che è accaduto a
Parigi. Cosa c’entrano le “frontiere colabrodo” con l’impresa compiuta da due
cittadini francesi, nati e cresciuti oltralpe? La stessa domanda, d’altra parte, si
potrebbe porre per altri attentati degli ultimi anni, come quello alla
metropolitana di Londra, nel quale furono coinvolti cittadini britannici, e non
immigrati clandestini.
Affiora qui il nodo principale della questione, abitualmente ignorato o
sottovalutato anche da coloro che dissentono dall’impostazione leghista. Nel
corso degli ultimi vent’anni, il Carroccio ha costruito la sua identità politica, e i
suoi successi elettorali, pressochè su un unico tema, vale a dire la questione
dell’immigrazione. Non vi sarebbe nulla da stupirsi se non fosse che è proprio
questo il terreno sul quale emerge in maniera macroscopica tutta
l’inadeguatezza politica, e la miseria culturale, del movimento fondato da
Bossi. Il quale ha ridotto tutte le delicate e impegnative questioni connesse con
il fenomeno dei flussi migratori al tema degli accessi, trascurando totalmente
di affrontare i problemi che riguardano la permanenza di milioni di cittadini
stranieri nel territorio nazionale. Salvini e Zaia non vedono – o, meglio, fanno
finta di non vedere – che il punto di fondo non è evitare che tante persone
arrivino in Italia, con l’assoluta ridicolaggine di schierare l’esercito alle
frontiere, o con la barbara parola d’ordine dei respingimenti in mare.
Il punto di fondo è cosa fare il giorno dopo che i migranti sono arrivati, per
evitare che si creino conflitti potenzialmente esplosivi (e talora effettivamente
esplosi) con la popolazione autoctona. Invece che continuare a tuonare contro
gli arrivi, ben sapendo che non esiste alcuna possibilità concreta di evitare che
essi continuino a verificarsi, I leader leghisti dovrebbero indicare
analiticamente quali interventi concreti propongono per scongiurare l’ipotesi,
tutt’altro che remota, che si possano creare vere e proprie bombe sociali. E che
spieghino dunque quali politiche dovrebbero essere adottate per la casa, il
lavoro, l’assistenza sanitaria, la convivenza culturale, il pluralismo religioso.
Dovrebbero avere l’onestà di dire, insomma, di fronte al dato incancellabile
della presenza di circa 5 milioni di cittadini stranieri presenti in Italia, e
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all’inesorabile tendenza ad un costante incremento di questa già alta
percentuale, quale modello di società hanno in mente per i prossimi anni. Dove
dovrebbe essere evidente a tutte le persone di buon senso che l’unica strada,
per quanto impervia e difficile, per evitare la moltiplicazione di tensioni sociali
laceranti, e l’alimentazione di dinamiche terroristiche, è l’integrazione. A ciò si
aggiunga un dato che sta assumendo proprio in queste ultime ore proporzioni
allarmanti. L’accusa indiscriminata rivolta verso l’Islam “assassino”, oltre ad
alimentare fenomeni pericolosissimi, quali l’attacco alle moschee o la caccia al
musulmano, sta di fatto emarginando l’interlocutore fondamentale a cui ci si
deve rivolgere, vale a dire l’Islam moderato, tuttora largamente maggioritario
in Europa, ma esposto al rischio di essere schiacciato sulla minoranza eversiva
e antioccidentale.
E allora, cogliamo la funesta occasione dell’attentato a Parigi per ridiscutere
dalle fondamenta il tema decisivo della convivenza fra culture differenti,
consapevoli che, altrimenti, dovremo rassegnarci a coesistere con lo spettro
del terrorismo.
Le iniziative successive
Appello per solidarietà a don Albino Bizzotto, promosso da Giovanni
Palombarini , magistrato, e Umberto Curi, filosofo.
Ormai da molto tempo don Albino Bizzotto, noto come promotore di varie
iniziative volte alla pace (è stato punto di riferimento insieme a don Tonino
Bello del pacifismo italiano e ha fondato nel 1985 l’associazione “Beati i
costruttori di pace”), è quotidianamente impegnato nella città di Padova
nell’aiuto concreto a tante persone bisognose che di fatto sono senza diritti.
Minoranze abbandonate dalle istituzioni, dai rom e sinti agli immigrati, ai
poveri di vario tipo, dai mendicanti ai senza casa, che spesso sono stati oggetto
di strumentali campagne denigratorie a sfondo razzista, hanno trovato
costantemente in lui un punto di sostegno, anche materiale. In tale sua opera
di rado ha goduto di appoggi, molto spesso, soprattutto negli ultimi tempi, ha
incontrato resistenze e accuse senza fondamento, anche presso forze politiche
che attualmente rappresentano il governo della città.
In proposito va detto che Albino Bizzotto, contrariamente a quanto da alcuni si
vuole fare apparire, nella sua opera è sempre apparso rispettoso della legalità
e si è ispirato ai valori fondamentali non solo della sua religione, ma anche
della Costituzione della Repubblica, spesso dimenticati da chi proprio alla
costituzione dovrebbe guardare nello svolgimento dell’attività pubblica. Per
questo don Bizzotto merita la nostra solidarietà e quella dei cittadini padovani.
Padova, 5 dicembre 2014
23
Giovanni Palombarini, Umberto Curi, Sebastiano Bagnara, Renato Rizzo,
Ferdinando Piezzi, Sergio Pergher, Gaetano Zampieri, Lorenzo Mazzucato,
Spartaco Vitiello, Leonardo Arnau, Francesco Bolognini, Martina Meneghello,
Paolo Berti, Alberto Trevisan, Giuseppe Mosconi, Anna Lucia Pizzati, Gianni
Buganza, Luigi Calesso, Giovanna Berti, Ugo Funghi, Francesca d’Aracais,
Michele Salnitro, Rosa Puca, Giuseppe Viesti, Antonio Giacobbi, Carlo Ridolfi,
Auretta Pini, Gianni Tamino, Andrea Panzavolta, Grazia Luderin, Dante Ferrara,
Franca Gottardello, Christian Ferrari, Lorenza Favaro, Roberto Bettella, Paolo
Gobbi, Elvio Beraldin, Giovanna Mocellin, Antonio Parodi, Daniela Cosulich,
Renzo Ondertoller, Alessandra Stivali, Oriella Giuriatti,Gianni Ballestrin,
Michele Fassina, Giovanni Tognana, Aurora d'Agostino, Floriana Rizzetto, Enzo
Maso, Elvira Georgopoulos, Milena Da Rold, Francesca Contarello, Nenè
Paganin, Rosanna Bettella, Sergio Lironi, Giuliana Beltrame, Rosangela
Pesenti, Francesco Maracci, Barbara Tascini, Giuseppe Ortolan, Donatella
Gasperi, Gabriele Baldan, Rina, Zardetto, Margherita e Franca Lucchin, Paolo
Alfier, Alessandro Pollina, Patrizia Beghini, Maria Meneghini, Stefano Ferro,
Maria Antonietta Marescotti, Elisabetta Niero, Elisabetta Barbaro, Elena Amati,
Carla Montelatici, Alberta Angelini, Mirella Schoch, Guido Baggio, Antonino
Pollina, Donatella Erlati, Elisabetta Azzolini, Paola Lincetto, Lucia Pollina,
Mariagiorgia Pacini, Irene Jannello, Luigi Agostini, Umberto Bodon, Augusto
Da Rin , Gustavo Claros, Marianita De Ambrogio, Francesco Fassanelli, Carlo
Cappellari, Renata Sovilla, Mariano Marcolongo, Luca Maria Nicolussi, Roberta
Minozzi, Verena Jauch, Giovanna Tono, Sr. Gemma Gioco, Mariangela Varotto,
Romana Baseggio, Francesco Roghel, Luca Roghel, Cristina Fasolato, Ornella
Favero, Massimo Mazzuccato, Giorgio Ttrinca, Antonio Bernardi, Silvio
Zampieri, Alessandro Bazzan, Maria Lucia Genovese, Maria Chiara Frigo,
Mariassunta Piccinni, Giancarlo Moro, Patrizia Veronese, Paolo Brignole, Maria
Romagna, Paola Ellero, Mariella Genovese, Mario Breda, Raffaella Dal Moro,
Rosa Dragotto, Carolina Borgoni, Fabio Fante, Pier Matteo Parpagiola, Patrizia
Butelli, Scolastica Castrogiovanni, Michela Trento Alessandro Miotto, Luca
Pollina, Marzio Sturaro, Caterina Tono, Gianni Novelli, Mirella Sartori, Flavia
Ursini, Silvia Failli, Silvia Ropelato, Maurizio Borsatto, Virginia Spinnato, Maria
Ebe Bertini, Lorenzo Chiaro, Giacomo Chiaro, Beatrice Mazzetti, Milena Maines,
Giovanni Bosco, Attilio Motta, Beatrice Barbirato, Marcella Pascali, Patrizia
Masetti, Luigi D'Anna, Luisa Bertocco, Sergio Ventura, Fosco Ventura, Giulietta
Poli, Maria Antonietta Ventura, Alice Gambato, Mara Gambato, Flavio Busonera,
Maria Sofia Todeschini, Viviana Ferrato, Bianca Bianchi, Armando Balduino,
Gabriele Righetto, Massimo Quadro, Sergio Frigo, Marco Cinetto, Gianna
Benucci, Gianni Rocco, Franco Zecchinato, Francesca Vianello, Maria G. Lo
Duca, Elena Donzi, Gianna Tirondola, Maria Letizia Angelini, Silvia Vettori,
Gabriella Debetto, Gabriella Debetto, Silvana Martin, Annamaria Zanetti, Lucia
Nicoletti, Maria Cinzia Zanellato, Matteo Mally, Marina Saorin, Pino Lazzaro,
Lorenza Benozzi, Maria Francesca Longo, Addolorata Cavalera, Marina
Clementi, Rosa China, Franco Baraldi, Maria Monica Bassan, Elio Zaffalon, Luca
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Facco, Marina Bolletti, Sandro Facchi, Maria Luisa Biancotto, Andreamaria
Deganutti, Alberto Degan, Roberto Bottaro, Maria Cristina Spinnato, Maria
Nicheli, Angelo Ferrarini, Maria Barbera Piacenza, Gianfranco Orunesu, Claudia
Mantovan, Cristina Giacomelli, Giampiero Fabris, Maria Grazia Bergamin, Bruno
Lazzaro, Nona Evghenie, Romana Baseggio, Francesco Roghel, Luca Roghel,
Chiara Salandin, Marco Bonetti, Associazione "Incontro fra i popoli" di
Cittadella, Associazione Italia Laica, Associazione Migranti Padova,
Associazione Giuristi Democratici "Giorgio Ambrosoli", Gianna Benucci e
Associazione per la Pace, Legambiente, Ass.ne El Tamiso, Lista per Tsipras, Al
Quds e Comunità Palestinese del Veneto, Associazione A.I.E. e Coordinamento
Associazioni Migranti di Padova, Comunità Italo-Eritrea di Padova, Cristina
Zavloschi e Associazione interculturale "L'Albero dei desideri".
Molte firme sono accompagnate da attestazioni di stima e solidarietà.
Il Dossier Statistico UNAR/IDOS sull’immigrazione 2014. Umberto
Curi, filosofo, Corriere del Veneto
E’ stato pubblicato in questi giorni – e
presentato a Venezia lo scorso mercoledì 29
– il Dossier statistico sull’immigrazione,
realizzato dall’Ufficio Nazionale
Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), attivato
presso il Dipartimento delle pari opportunità
della Presidenza del Consiglio. Si tratta di un
volume di quasi 500 pagine, arricchito da
tabelle e grafici, contenente tutti i dati
relativi agli stranieri presenti nel territorio
nazionale alla fine del 2013. I dati raccolti
sono ordinati per materie (i flussi,
l’inserimento, il mondo del lavoro, ecc.) e
suddivisi per contesti regionali. Completano
l’opera alcune tavole statistiche che
ricapitolano in termini numerici la situazione
generale, aggiornata fino a pochi mesi fa.
I risultati di questo accurato lavoro di analisi
sono particolarmente importanti perché
offrono un quadro chiaro ed esauriente del
fenomeno immigrazione, comprendente i dati sui flussi migratori verso l’Italia,
la presenza straniera regolare, l’inserimento dei migranti nel mondo del lavoro
e nel tessuto sociale, la convivenza interreligiosa e lo stato delle pari
opportunità. In molti casi, i dati sono sorprendenti. Solo per citarne alcuni, fra i
molti possibili. Gli occupati stranieri sono 2,4 milioni, vale a dire oltre un
25
decimo del totale, con un netto incremento rispetto al 2001, quando la
percentuale era del 3,2%. La crisi economica internazionale ha colpito in
maniera proporzionalmente maggiore gli stranieri, sia per quanto riguarda il
tasso di disoccupazione (salito al 17,3%, contro il 11,5% degli italiani), sia per
quanto riguarda il divario della retribuzione a parità di funzioni, visto che la
retribuzione netta mensile media percepita dagli stranieri (959 euro) è
sensibilmente inferiore (-27%), rispetto a quella percepita dai lavoratori
italiani (1313 euro).
Circa 1 milione di stranieri, pari al 41,1% degli occupati, possiede un grado di
istruzione più elevato, rispetto alle mansioni che svolge, mentre fra gli italiani
si tratta del 18,5%, come è confermato dal fatto che il livello di studi degli
immigrati è generalmente medio-alto (il 10,3% ha una laurea e il 32,4% ha un
diploma). Un ruolo particolarmente positivo, e quasi sempre taciuto nelle
discussioni politiche, continua ad essere svolto dagli immigrati sul piano
previdenziale, grazie alla loro più giovane età (in media 31,1 anni, contro i i
44,2 degli italiani), cosa che fa degli stranieri occupati dei fruitori puramente
marginali del sistema pensionistico. Nel 2012 sono stati versati 8,9 miliardi di
euro di contributi da lavoratori stranieri.
Ancora più significativo lo scenario futuro: l’incidenza degli stranieri tra quanti
raggiungeranno l’età pensionabile sarà del 2,6% nel 2016, del 4,3% nel 2020 e
del 6,0% nel 2025, mentre tra i residenti stranieri i pensionati saranno
all’incirca 1 ogni 25. Il che vuol dire, in soldoni, che i lavoratori stranieri
pagano i contributi dei quali in larga misura beneficeranno i pensionati italiani.
Ancora più significativo, oltre che per molti aspetti sorprendente, è il dato
relativo alla spesa pubblica annuale sostenuta dallo Stato per le persone
immigrate. Risulta infatti che, a fronte di 12,4 miliardi di euro a costo standard
di spese sostenute dallo Stato, il gettito fiscale e contributivo proveniente dai
lavoratori immigrati supera i 13,5 miliardi di euro. Il che vuol dire che la
presenza degli stranieri sul territorio nazionale conferisce un beneficio sul
piano economico di oltre un miliardo all’anno.
Infine, un dato destinato a sfatare uno dei tanti pregiudizi diffusi – e alimentati
ad arte – relativi al fenomeno dell’immigrazione. Mentre nel corso dell’ultimo
decennio le denunce per episodi di devianza criminale a carico di italiani sono
aumentate del 37,6%, quelle contro stranieri hanno fatto registrare un
incremento del 29,6%, nonostante una diminuzione degli italiani residenti e il
raddoppio (da 2.210.478 a 4.387.721) degli stranieri.
Insomma, il Dossier predisposto dall’UNAR dovrebbe essere letto e meditato da
tutti i cittadini, non già per mettere tra parentesi problemi certamente
esistenti, ma per evitare un approccio emotivo e irrazionale, quale quello ancor
oggi largamente prevalente.
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Presentazione del DOSSIER - 22 gennaio 2015, ore 20.30
CENTRO UNIVERSITARIO, via Zabarella 82 Padova.
Relatori: Gianfranco Bonesso, esperto di immigrazione, referente locale
IDOS, Enrico Di Pasquale,fondazione Leone Moressa: Analisi costi/benefici
dell'immigrazione, Umberto Curi, filosofo, “Manifesto per Padova senza
razzismo e discriminazione religiosa”, Giovanni Palombarini, magistrato, ,
“Manifesto per Padova senza razzismo e discriminazione religiosa”
Associazioni aderenti:
Beati i Costruttori di Pace, Avvocato di Strada, Mimosa, Ass.ne per
la Pace, BiosLab, Razzismo Stop, Progetto Liberalaparola, Ass.ne
Antigone, CGIL, ACLI, ANPI, Ass.ne Giuristi Democratici, ASU,
Legambiente Volontariato Limena, Ass.ne Divietro di Sosta, Ass.ne
interculturale l’Albero dei Desideri
QUIZ FINALI
Otto dicembre 2014. Festa
dell’Immacolata a piazza Garibaldi.
Una delle persone nella foto a fianco ha
pronunciato le seguenti parole:
“Il degrado materiale è causato da quello
morale”.
Le ha pronunciate il signore con fascia
tricolore o quello con zucchetto rosso ?
Trentuno dicembre 2014.
Chi ha detto “Bisogna difendere
i poveri, non difendersi dai
poveri” ? Il signore qui a fianco
o quello in alto con la fascia
tricolore ? Infine, quale dei due
ha detto ai padovani “Non date
l’elemosina ai poveri” ?
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Le parole crociate del Crociato
Orizzontali 1- SCEMI IN VENETO 4- IL
CASSIERE ONESTISSIMO 8- ASSOCIAZIONE
PER L’UNITÀ D’ITALIA 9- LA FA CHI LITIGA
11- SIGLA DI ORISTANO 13- COMITATO AMICI
DELL’ORIENTE 14- CITTÀ DEGRADATA 16-
SIGLA DI COMO 17- UN PEZZO DI VIZIO 18-
SÌ AL CONTRARIO 19- ILLUSTRE LAUREATO
ALL’UNIVERSITÀ DI TIRANA 21- SIGLA DI
NOVARA 22- SINONIMO DI TESTA 25- OFFERTA PUBBLICA DI ACQUISTO 26- LO
SONO QUELLI ANALOGHI AL DIO PO 27- PARTE DEL BICCHIERE
29- LA PASIONARIA MAURO 30- LO SONO I GRANDI AMICI DELLA
LEGA 32- CAPO DELLA
MONARCHIA 33-
FEDERAZIONE EUROPEA PER
L’AUTONOMIA 35- IL
GENTLEMAN DELLA FOTO
QUI A FIANCO 40- PRIMA
PERSONA SINGOLARE 41- TU SEI IN LATINO
43- MURO CHE ATTRAVERSA VILLA BORGHESE
A ROMA 45- MITICO EDEN LEGHISTA 46-
UNICO INIZIALE FARO LUMINOSO DELLA
LEGA 48- MEZZA VITA 49- VIENE DOPO WEEK
52- OBELIX CHE GIOISCE QUANDO ANNEGANO
GLI EMIGRANTI 54- INZIO DEL GRINTA 55-
AVVERSARIO VERONESE DI SALVINI 58-
SIGLA DEL REGNO DELL’ EX SINDACO
SCERIFFO 60- COLOR DI PELLE CAUSA DI
ORTICARIA PER IL BRAVO LEGHISTA 63- LO È
QUELLO DE SAC 64- L’ INIZIO DELL’ORECCHIO
65- LA LEGA HA LE SUE 66- IL COLORE DEI
MUTANDONI DI COTA
Verticali 1- IL PIÙ FIERO NEMICO
DELL’EURO 2- L’INIZIO DELL’ EUROPA 3- ORBI 4- IL MESSIA ANTIDEGRADO 5- ENTE TERRITORIALE 6- ORGANIZZAZIONE BENEFICA 7- INIZIO D’ITALIA 10- … LADRONA! 12- ALTA FILOSOFIA LEGHISTA 13- LEGA, MA COOPERATIVA 15- VOCALE
SENZA ALE 16- BITONCI E I FANATICI DEL KU KLUX KLAN LO IMPUGNANO NELLE MARCE 20- INIZIO DELLA TARANTELLA 23- UNIONE TERRITORI INDIPENDENTI 24-
IL PRIMO UOMO ASSASINATO 26- SIGLA DI MODENA 28- IMPERO ROMANO 29- SIGLA DI REGGIO EMILIA 31- IL GOVERNATORE CON LA SCOPA LEGHISTA 32- ETNIA
MOLTO AMATA DA BITONCI 34- ENRICO OTTAVO 35- ULULATO RAZZISTA 36- QUARTIERE 37- RIGORI SENZA RI 38- METÀ DI ZERO 42- CULLE CULTURALI LEGHISTE 43- SIGLA DI TARANTO 44- TRENO ALTA VELOCITÀ 47- SERVIZIO
OPERATIVO DI SOCCORSO 50- CE L’HA OGNI BRAVO LEGHISTA 51- EXTRA TERRESTRE 52- SI GONFIA A BORGHEZIO QUANDO INSULTA 53- ASSOMIGLIA ALLA
STAZZA DI BOSO 56- ORGANIZZAZIONE CULTURALE 57- TIPICA AUTO PER ESIBIZIONISTI 59- CITTÀ DEI SERENISSIMI (SIGLA) 61- ENTE GOVERNATIVO 62- MEZZO OLIO 64- LA “O” PRIMA DI UNA VOCALE
28
SOLUZIONE
S E M I …. B E L S I T O ….
A U I …. L I T E …. T …. …. R
L …. O R …. T …. G …. …. C A O
V …. P A D O V A …. C O …. M
I …. I Z …. N O …. T R O T A
N O …. Z U C C A …. O P A ….
I …. M I T I …. B I C …. …. ….
…. R O S I …. N E R I …. …. M
R E …. M …. …. …. L …. F E P A
O …. B O R G H E Z I O …. R
M …. U …. I O …. …. E S …. …. O
…. C …. T O R T O …. S …. …. N
P A D A N I A …. B O S S I
…. V …. …. E …. V I …. …. O …. ….
…. E N D …. E …. …. B O S O ….
G R …. U …. T O S I …. …. T V
…. N E R O …. C U L …. O R E
R E G O L E …. V E R D E ….
Pubblicazione con distribuzione solo interna -a cura di Renato Rizzo – 22 gennaio 2015 -
info: manifestoperpadova@gmail.com
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