Nomadi iraniani in fuga verso le città - Indika

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Viaggio nella comunità dei Kouzari su un isolato altopiano da dove i giovani scappano verso il nulla

area nel mondo - 18 dicembre 2015, n° 20

Nomadi iranianiin fuga verso le città

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I nomadi Kouzari sono i discen-denti delle antiche comunità pa-storali presenti sull’altopianoiraniano sin dagli albori dell’Im-pero Persiano. L’origine di questigruppi non è del tutto chiara, masembra siano giunti in Irandall’Asia centrale, a seguito dilunghe transumanze alla ricercadi nuovi pascoli o per fuggire daguerre e persecuzioni. Negli ul-timi cinque anni, il numero dinomadi ancora attivi nella pasto-rizia è sceso da 3 milioni di indi-vidui a circa 1,2 milioni. Questopesante ridimensionamento èuna conseguenza della diasporainterna verso le città, avviata inparticolare dai più giovani, per iquali un’esistenza grama in qual-che sobborgo urbano è preferi-bile al lavoro itinerante sullemontagne. Incontriamo i Kouzari nel re-moto villaggio di Jiderzar, unadozzina di case di pietra e fangosparpagliate a 2500 metri diquota sopra la Behest-e-Gom-shodeh, rigogliosa vallata in cuiscorre il torrente Kor. Siamo nelcuore dei monti Dena, dorsalecompresa tra le città di Shiraz eIsfahan, sottogruppo della catenadei Monti Zagros, considerati laterra di origine dei curdi iraniani.Il villaggio di Jiderzar sembrasvincolato da qualsivoglia logicaurbanistica, non c’è un vero eproprio centro, tantomeno unedificio religioso che funga da ca-talizzatore per la comunità. Cio-nonostante i Kouzari di Jiderzarconvivono in piena armonia, os-servando le stesse gerarchie esi-stenti prima di diventare ungruppo semi-stanziale, basatesull’autorità indiscutibile delpater familias. Oggi come un tempo, il cuorepulsante della comunità è costi-tuito dalle greggi di pecore ecapre, preziosa fonte di redditoattorno alla quale gravita l’uni-verso di esperienze e saperi allabase dell’iper-specializzazione deiKouzari. Del resto «il mercatodella carne in Iran non conoscecrisi, in particolare per i pastorinomadi, i quali scelgono di sta-gione in stagione pascoli freschi,pertanto non devono sommini-strare integratori o mangimi aglianimali, così i loro costi d’impresarisultano estremamente bassi. Sonotra i lavoratori più agiati dell’Iran,guadagnano più di un tecnico lau-reato», come spiega Reza, la no-

di Emanuele Confortin, dall’Iran stra guida di Shiraz, 56enne in-gegnere delle telecomunicazionirimasto disoccupato a seguitodell’imposizione delle sanzionieconomiche americane, inflitte aTeheran come ritorsione e osta-colo alle ambizioni nucleari ira-niane. Spetta a Reza fungere dainterprete, mentre sediamo agambe incrociate sui tappeti dilana stesi al suolo nell’abitazionedi Muhammad Kouzar, membroinfluente della comunità di vil-laggio. È lui ad accoglierci sullaporta e a fare le presentazioni. Ifigli maschi vengono per primi,poi la moglie, l’unica donna apermettersi qualche passo nellanostra direzione, infine le nuore,che salutano impacciate affac-ciandosi appena dalla cucina.L’abitazione in cui siamo ospiti èabitata da una famiglia allargatacomposta dalle cinque figlie e daiquattro figli di Muhammad, cuisi aggiungono le due mogli deifigli maggiori e i rispettivi tre ni-potini. Jiderzar è un presidio relativa-mente recente, fondato qualchedecina di anni fa da alcune fami-glie kouzari che hanno scelto diadottare uno stile di vita semi-stanziale, sostituendo stuoie etende con dimore fisse, edificatenel rispetto dei canoni tradizio-nali dell’area. Nonostante lascelta di abbandonare la vita iti-nerante, Muhammad e le altrefamiglie kouzari del villaggiohanno mantenuto rapporti saldicon i gruppi nomadi tuttora at-tivi sui MontiDena, alcuni deiquali sono ac-campati nei din-torni. Lapastorizia ri-mane l’attivitàprimaria anche al villaggio, maresa più onerosa dalla necessità disomministrare mangimi e fienoagli armenti nei periodi di siccitào in inverno, problema inesi-stente per i transumanti. Vivereal villaggio significa però sfrut-tare al massimo il territorio, inparticolare la coltura di verdure,legumi e alberi da frutto, cui sisomma l’apicoltura e la raccoltadel miele selvatico, venduto a 65euro al chilo. «Nel villaggio vi-vono nove famiglie. Ci dividiamoi lavori in modo da poter sfruttarele competenze degli altri», spiegaMuhammad sorseggiando unbicchiere di dough, bevanda abase di acqua, yogurt e speziemescolati assieme, consumata

come digestivo, a fine pasto. «Leattività incominciano al mattinopresto con la mungitura dellecapre. Subito dopo sono condotte alpascolo da alcuni ragazzi che se-guono le greggi del villaggio». Aquel punto viene l’irrigazione ela cura dei frutteti, attività affi-date a famiglie specializzate ope-ranti per conto di tutto il clan,mentre qualcuno lavora il latteper ottenere yogurt e burro, i ra-gazzi scendono a valle a dorso

d’asino per ven-dere noci, pe-sche, mele e altrifrutti di stagione.Ogni operazioneviene eseguita daipadri con il sup-

porto dei figli, a prescinderedall’età, fino a quando i giovanidiventano indipendenti. Così fa-cendo si creano le basi per la tra-smissione dei mestieri, requisitoindispensabile per favorire il ri-cambio generazionale, e la so-pravvivenza del gruppo. Nel caso dei Kouzari di Jiderzar,l’avvicendamento tra padri e figlisembra stia avvenendo senzaproblemi; tuttavia, a seguito diun recente censimento sulla po-polazione nomade iraniana, èemerso uno scenario allarmante.Dei quasi 3 milioni di pastorinomadi attivi nel 2010, oggi-giorno ne rimangono appena 1,2milioni, e il trend sembra desti-nato a peggio-rare. «I giovaninon sono più di-sposti a lavoraresugli altopianiisolati per mesi,vivendo in tendeassieme alla famiglia», spiegaReza. «Molti di loro sono affasci-nati dalla vita di città, pertantocercano la fortuna a Shiraz, a Isfa-han, a Teheran». Come se nonbastasse, aggiunge l’ex ingegnere,«molti giovani abbandonano unlavoro sicuro e redditizio, accet-tando occupazioni di basso profiloin città, talvolta degradanti, nellasperanza di costruirsi un’esistenzamigliore dentro quattro pareti dicemento in periferia». Ciò accade anche se la disoccu-pazione giovanile è arrivata al

25,2% (10,8% il tasso generale).Su 64 milioni di iraniani, 23 mi-lioni lavorano, ma di questi 7milioni operano in nero. Inoltre,il salario minimo legale arriva asoli 231 euro, ancora lontanodalla soglia di povertà di 672euro per una famiglia di quattropersone. Ciò significa che unsingolo lavoratore, in Iran, coprecirca un terzo del fabbisogno mi-nimo familiare. A poco sono ser-vite le accese manifestazioni delleorganizzazioni sindacali, a par-tire dalla Free Union of IranianWorkers che associa lavoratori li-cenziati o disoccupati. Ad inizio 2015 l’amministra-zione Rouhani è stata pesante-mente criticata per l’intro-duzione del nuovo minimo sala-riale, sproporzionato rispetto altasso di inflazione salito al 37%.Come conseguenza delle san-zioni economiche, il potere d’ac-quisto degli iraniani è crollato, alpari dell’economia nazionale cheha perso un ulteriore 20%. Inquesto scenario, a farne maggior-mente le spese sono gli abitantidelle città, dove il costo della vitaè maggiore, e maggiori sono ledifficoltà a trovare un’occupa-zione stabile. È qui, ai marginidei centri urbani, che la diasporadei nomadi alimenta le già gravisacche di povertà. Per i giovanikouzari il miraggio di una vita incittà vale un qualsiasi lavoro de-

gradante, nonimporta se sotto-pagato, saltuarioo in nero.«Vanno ad affol-lare ulteriormentele periferie, vi-

vendo in abitazioni fatiscenti –spiega Reza –, così si creano interearee degradate, dove le ammini-strazioni locali non possono inter-venire per mancanza di soldi».Ecco che in questi “slum”, feno-meno nuovo in Iran, mancanoacqua corrente, fognature, ospe-dali, forniture elettriche, raccoltadei rifiuti e tutte le infrastruttureminime per tener dietro allo svi-luppo urbano. Le conseguenze di questa dia-spora ricadono anche sulle gio-vani donne kouzari. All’interno

delle comunità nomadi, cosìcome nei villaggi rurali dell’Iran,è diffusa la pratica del matrimo-nio combinato anche all’internodella cerchia famigliare.«Quando un giovane in età damatrimonio abbandona il villag-gio, per le ragazze rimaste si ridu-cono le possibilità di essere prese inmoglie», spiega Reza. Mentre aimaschi è consentita piena libertàdi movimento, per le donnekouzari, al pari delle iraniane, lamobilità è ristretta all’ambitodomestico. Per loro è impensa-bile viaggiare senza accompagna-tore anche per brevi periodi,figuriamoci trasferirsi in città dasole: troppo alto il rischio dicompromettere l’onore della fa-miglia. Pertanto, una ragazza divent’anni non ancora sposa ri-schia di rimanere zitella per ilresto dei suoi giorni, vedendosicosì privata del diritto di diven-tare madre, talvolta unica formadi riscatto di un’esistenza margi-nale. «Piuttosto di rimanere sole,spesso, su pressioni della famiglia,queste ragazze finiscono per spo-sare uomini di città più anziani,che scelgono di avere una secondamoglie “segreta”, lasciata a viverenel villaggio di origine», concludeReza. «Questi mariti sono indivi-dui di dubbia morale e pochi scru-poli. Purtroppo gran parte di lorosono persone influenti, e spesso ri-vestono cariche religiose di spicco,ma non sono affatto dei sant’uo-mini».

Lasciano un lavorosicuro e redditizioper la precarietà

Confortin

Confortin

Confortin

La praticadel matrimoniocombinato