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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO
PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA
LA DROSOPHILA: QUANDO UN MOSCERINO FA NOTIZIA… 9 di Maria Furia QUANDO UN MOSCERINO FA… LA STORIA 11 di Ferruccio Ritossa CAENORHABDITIS ELEGANS: UN DONO DELLA NATURA ALLA SCIENZA 13 di Paolo Bazzicalupo ARABIDOPSIS: ANCHE DA UNA ERBACCIA C’È TANTO DA IMPARARE 15 di Stefania Grillo e Luigi Monti IL TOPO COME MODELLO EVOLUTIVO 17 di Mario de Felice UN PICCOLO PESCE PER LA CURA DELLE MALATTIE 19 di Paolo Sordino
I meccanismi fondamentali dell'eredità e dello sviluppo sono conservati nel corso dell'evoluzione.
Così può accadere che lo studio di un semplice moscerino possa rivoluzionare la storia della biologia.
Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo
www.comeallacorte.unina.it
Maria Furia
Maria Furia, laureata in Biologia, è professore ordinario di
Genetica presso la Facoltà di Scienze dell’Università degli Studi di
Napoli Federico II. È stata Direttrice del Dipartimento di Genetica
e dal 2006 è Vice-Presidente del Polo delle Scienze e delle
Tecnologie.
Le sue ricerche, per un primo periodo orientate nel campo
dell’enzimologia, sono dagli anni ottanta indirizzate sullo studio
dell’espressione e l’organizzazione di geni e genomi, utilizzando
prevelantemente la Drosophila melanogaster come sistema sperimentale modello. Nel biennio 1983/84
ha lavorato presso l’Imperial College di Londra e nel 1992 presso l’Università di Bloogmington, Indiana.
Ha scritto articoli divulgativi sulle ‘Le Scienze’ e i ‘Quaderni delle Scienze’ e nel 2003 ha contribuito ad
organizzare, in qualità di delegato del Rettore, la Mostra divulgativa ‘La doppia elica del DNA
cinquant’anni dopo - I geni del golfo’, che si è svolta a Napoli nell’ambito delle manifestazioni promosse
dal MIUR, per celebrare la scoperta della struttura del DNA.
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II La Drosophila: quando un moscerino fa notizia…
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
LA DROSOPHILA: QUANDO UN MOSCERINO FA NOTIZIA... Maria Furia Professore di Genetica Università degli Studi di Napoli Federico II
In biologia, le principali informazioni sui
meccanismi fondamentali sono state per lo più
ottenute in organismi semplici, utilizzati come
‘modello’. Questi organismi possono essere
facilmente maneggiati e analizzati in grandi
numeri, semplificano notevolmente il lavoro
sperimentale e le successive analisi, e svolgono,
di fatto, una funzione ‘pilota’. Fra di essi, un
ruolo del tutto particolare è rivestito dal
moscerino della frutta, la Drosophila
melanogaster. Da più di un secolo la Drosophila
viene infatti utilizzata nei laboratori di tutto il
mondo come sistema ideale per lo studio dei
processi di eredità e sviluppo. Eppure investire
finanziamenti ed energie nello studio dei
moscerini potrebbe sembrare un po’
stravagante, o addirittura inutile. Cosa potrebbe
esserci in comune fra un moscerino e l’uomo? A
prima vista, non molto. Tuttavia, è sorprendente
come la storia della biologia ci dimostri il
contrario. L’evoluzione è infatti un processo
molto ‘parsimonioso’, cosicché quando si evolve
un meccanismo efficiente esso viene spesso
conservato, in maniera pressoché identica,
anche in organismi distanti evolutivamente
parecchie centinaia di milioni di anni. Così, molti
processi svelati in Drosofila si sono
successivamente dimostrati di validità generale
ed applicabili anche agli organismi più complessi,
compreso l’uomo. La lista dei contributi forniti
dalla Drosofila è davvero numerosa. Ad esempio,
quanti di noi sanno che l’identificazione dei
cromosomi quali ‘veicoli’ della trasmissione
ereditaria dei geni è avvenuta in Drosophila, e
successivamente confermata in tutti gli altri
organismi? Che la dimostrazione del
meccanismo di determinazione genetica del
sesso più diffuso in natura, basato sulla
presenza di una coppia di cromosomi X nelle
femmine e di una coppia XY nei maschi, è stato
anch’esso svelato dal moscerino? O che le prime
prove dell’effetto dannoso e mutageno delle
radiazioni X e γ sono state anche esse state
ottenute in Drosofila, fruttando il premio Nobel
al ricercatore che vi dedicò decenni di
appassionate ricerche?
Con lo svilupparsi delle metodiche di
ingegneria genetica, l’analisi molecolare ha poi
fornito risultati ancora più sorprendenti. Per
citare solo un esempio, nel 1983 si è scoperto
che oltre una dozzina di geni di Drosophila
coinvolti nella regolazione dello sviluppo, i geni
omeotici, contenevano un’identica sequenza di
DNA chiamata omeobox. Dopo pochi anni questa
sequenza è stata ritrovata nel genoma di molti
animali, compreso l’uomo, e perfino nelle piante.
Come in Drosofila, in tutti gli organismi i geni
che contengono l’omeobox dirigono i processi di
sviluppo, regolando l’espressione di moltissimi
altri geni, ed è oggi noto che nell’uomo la loro
alterata espressione può rappresentare causa di
malattie genetiche ed aborti spontanei.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II La Drosophila: quando un moscerino fa notizia…
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
Lo studio della Drosofila è stato costantemente
accompagnato dallo sviluppo di innovative,
sofisticate ed efficienti metodiche di
manipolazione genetica. Ciò ha portato a
collezionare quasi 30.000 diversi ceppi mutanti
la cui disponibilità, unita a quella della sequenza
genomica, rende oggi il moscerino l’organismo
pluricellulare il cui genoma può essere decifrato,
a livello funzionale, in maggiore dettaglio. Non
c’è quindi da stupirsi se la Drosofila sia stata
utilizzata dall’agenzia spaziale americana per
saggiare gli effetti della perdita di gravità sulla
risposta immunitaria o sull’ apprendimento, o
che il suo studio nel campo delle ricerche
biomediche sia raccomandato dal Centro
Europeo di validazione dei metodi alternativi…
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QUANDO UN MOSCERINO FA… LA STORIA Ferruccio Ritossa* Professore di Genetica a riposo Università degli Studi di Bologna
Non ho fatto mai mistero della mia
attrazione per le Drosofile. Non per tutte
ovviamente. Sono affascinato da un fenotipo
nero lucente con grandi e dolcissimi occhi bianchi
(w; ele) e sono commosso da quelle rese
Parkinson che zoppicano e cadono. Quelle con cui
ho lavorato non posso dire fossero tanto belle ma
erano potenti, questo sì. Simili a quei tipi che non
mollano mai, che devi circuire un poco, con
garbo, e se le cose vanno i rapporti saranno
eterni. Voglio raccontarvi di tre volte.
La prima volta abbiamo evidenziato i puffs
(rigonfiamenti) heat shock (HS). Le Drosofile
erano buscki grigie e selvatiche, non belle ma con
stupendi cromosomi giganti. Siccome tutte le
specie hanno i geni HS e questi geni codificano per
proteine molto conservate, si può parlare di origine
comune, cosi facciamo contento Darwin, visto
che quest'anno è anche la sua festa. C'è da dire
che questo gruppo di Drosofile non ha affatto finito
di stupire. Risulta già chiaro che ne vedremo ancora
della belle.
La seconda volta abbiamo evidenziato che
c'è proporzionalità tra numero di Organizzatori
Nucleolari e quantità di geni per gli RNA
ribosomali. In altre parole tutti i geni per gli rRNA
stanno in un sito sui cromosomi X e Y dove
vengono trascritti e cominciano a maturare i
ribosomi. Ma questo secondo gruppo ha pure
evidenziato che gli organizzatori nucleolari
possono avere numeri variabili di geni per l'rRNA.
Drosofile con 150 geni sono fenotipicamente
normali. Da 70 fino a 100 geni hanno un fenotipo
alterato detto bobbed e cioè hanno setole corte,
cuticola lacerata, ciclo vitale più lungo. Sintomi
che palesano scarsa sintesi proteica. Se il numero
di geni è inferiore a circa 15 le Drosofile muoiono.
(bbl)
Ci sono infine le Drosofile della terza volta.
Sono quelle della ‘magnificazione’ dell’rDNA. Bei
colori: giallo, bianco, albicocca, altri. Ma sono in
un angolo quasi si sentissero escluse. Queste
hanno mostrato che se si incrociano maschi
fortemente bobbed, cioè con pochissimi geni per
l'rRNA, cercando di mantenere quel fenotipo
fortemente bobbed non ci si riesce. Nei figli di quei
maschi bobbed si constata un aumento rapido di
rDNA che li rende sani. Anche loci bb letali
(circa 15 geni) sono stati riportati alla normalità
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(150 geni) in uno o due cicli di magnificazione.
Risultati di questo tipo non sono certo a sostegno
del Neodarwinismo, ma rientrano in fenomeni di
amplificazione noti in vari animali ed a carico di
pochi e specifici loci. Il nostro modello di
magnificazione prevede, come negli Anfibi, la
formazione di circoli di rDNA extracromosomico
che possono essere integrati nel corso della
meiosi. Una trentina di anni fa i circoli non li
abbiamo trovati. I fautori di modelli alternativi ci
hanno pesantemente criticato.
Oggi tecnologie più fini hanno evidenziato la
presenza di circoli di DNA nella Drosofila. Si potrà
vedere se i circoli di rDNA aumentano oppure no
nel corso della magnificazione.
Auguri amatissime Drosofile del terzo gruppo
*L’autore è anche scultore
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CAENORHABDITIS ELEGANS: UN DONO DELLA NATURA ALLA SCIENZA Paolo Bazzicalupo Dirigente di Ricerca Istituto di Genetica e Biofisica - CNR
Agli inizi degli anni '70 la biologia
molecolare moderna iniziò a cimentarsi con
fenomeni biologici più complessi di quelli dei due
decenni precedenti. Sydney Brenner definì con
grande lucidità due grandi obiettivi della biologia
negli anni a venire:
- spiegare in termini di geni e molecole come si
sviluppa un intero organismo multicellulare,
dall'embrione all'adulto;
- come si forma e funziona un sistema nervoso
(cervello).
Brenner intuì che cruciale sarebbe stata
la scelta di un modello animale che combinasse
nelle giuste dosi semplicità e complessità.
Batteri e virus, fondamentali per la ricerca dei
decenni precedenti, erano troppo semplici. I
mammiferi invece troppo complessi, impossibile
venirne a capo affrontando direttamente il loro
studio.
Scelse un piccolo verme, il nematode
Caenorhabditis elegans. Lungo circa un
millimetro e composto da un migliaio di cellule, il
C. elegans si è dimostrato una scelta fortunata.
Il numero limitato e costante di cellule e
l’invarianza del suo sviluppo ne hanno consentito
una descrizione cellula per cellula che è stata la
chiave per interpretare correttamente gli effetti
delle manipolazioni sperimentali, specialmente
quelle genetiche. Questo riferimento e la
adattabilità di C. elegans all’analisi genetico-
molecolare hanno prodotto nei successivi trenta
anni risultati e riconoscimenti straordinari.
Primo organismo multicellulare di cui sia stata
determinata la sequenza completa del genoma
(1998) ha aperto la strada e indicato strategie e
metodologie per il sequenziamento di altri
genomi e in particolare di quello umano. Nel
2002 il premio Nobel per la medicina è stato
conferito a S. Brenner, RH Horvitz e J. Sulston
per aver scoperto, nel Caenorhabditis,
meccanismi e molecole dell’organogenesi e della
morte cellulare programmata (apoptosi).
Meccanismi e molecole conservate
dall’evoluzione fino all’uomo e fondamentali sia
nel normale sviluppo che nelle patologie, dal
cancro alle malattie neurodegenerative.
La regolazione differenziale della
espressione dei geni nelle diverse cellule di un
organismo è il modo con cui gli organismi
multicellulari sono costruiti. Negli anni ‘90
pensavamo di conoscere ormai tutti i
meccanismi fondamentali. A partire dal 1994 si è
poi scoperto tutto il nuovo mondo dei piccoli
RNA che non portano l’informazione per la
sequenza delle proteine, ma regolano
l’espressione di molti se non tutti i geni, dalle
piante all’uomo. Il ruolo cruciale giocato dal
nematode in questa vera e propria rivoluzione è
testimoniato dal premio Nobel 2006 ad A. Fire e
C. Mello che avevano scoperto, nel nematode
(1998), il fenomeno dell’interferenza di RNA a
doppia elica sull’espressione genica e ne
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II La Drosophila: quando un moscerino fa notizia…
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avevano spiegato il meccanismo di
funzionamento. Più di recente il premio Lasker
2008 a V. Ambros e G. Ruvkun per la scoperta,
anche questa nel nematode, dei micro RNA e del
loro ruolo nello sviluppo. Anche per queste
scoperte l’impatto sulla medicina è straordinario.
Le caratteristiche biologiche di C. elegans sono
alla base del suo successo come modello
sperimentale e S. Brenner, nella sua Nobel
Lecture, lo ha definito ‘un dono della natura alla
scienza’.
Per spiegare però i successi ottenuti non si può
non tener conto dell’atteggiamento
straordinariamente collaborativo e della filosofia
complessiva che hanno ispirato la ‘C. elegans
research community’, come ama chiamarsi
l’insieme di ricercatori che lo ha studiato. Ma
questa è un’altra storia.
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ARABIDOPSIS: ANCHE DA UNA ERBACCIA C’È TANTO DA IMPARARE Stefania Grillo Primo Ricercatore Istituto di Genetica Vegetale - CNR Portici Luigi Monti Professore di Genetica Agraria Università degli Studi di Napoli Federico II
La genetica ha da sempre utilizzato
organismi modello per la comprensione dei
meccanismi biologici di base. Dopo Mendel e i
suoi ‘famosi’ piselli, l’inizio del XXI secolo ha
regalato alla comunità scientifica mondiale la
sequenza del primo genoma vegetale, quello di
Arabidopsis thaliana, una pianta infestante
largamente diffusa nelle zone temperate dei
cinque continenti.
Arabidopsis, della famiglia delle
Brassicaceae e simile alla rucola, si è affermata
come pianta modello per una serie di
caratteristiche che la rendono particolarmente
adatta agli spazi e ai tempi della ricerca. Infatti,
è una pianta piccola (30-40 cm), con un genoma
nucleare compatto di 125Mbp (950 Mbp in
pomodoro; 13500 Mbp in frumento) distribuito
su 5 cromosomi. Essendo autogama, si
riproduce per autofecondazione, producendo,
con un ciclo di soli due mesi, migliaia di semi per
pianta, permettendo così di effettuare i più
svariati esperimenti su progenie numerose e con
corredo genetico uniforme. Ma, oltre ad essere
una pianta molto malleabile per i ricercatori,
Arabidopsis è anche un ottimo sistema
sperimentale, rappresentativo di quello che
avviene nelle piante utili, quelle coltivate, e che
ci illumina su tutto il mondo vegetale, grazie
anche all’elevata sintenia di estese porzioni del
suo genoma con quello di altri vegetali anche
filogeneticamente lontani, che facilita il
trasferimento delle conoscenze dal modello
sperimentale alle più importanti specie agrarie.
La capacità di Arabidopsis di colonizzare
tutti i continenti ha favorito la diversificazione di
molti ecotipi, cioè di individui adattati agli
ambienti in cui vivono, che ci consentono oggi di
analizzare come piccole differenze nel genoma si
traducano in differenze visibili nell’aspetto o
nella capacità di adattarsi a climi diversi.
Inoltre, il genoma di Arabidopsis si può
facilmente e rapidamente modificare,
consentendo di ottenere ampie collezioni di
mutanti, dimostratisi uno strumento formidabile
per assegnare un ruolo a geni con funzione non
nota e caratterizzare fenomeni complessi tipici
delle piante quali lo sviluppo del fiore o la
formazione del seme.
Le piante differiscono dalla maggior
parte degli organismi animali per una
caratteristica fondamentale, che è la sessilità:
quando arriva un predatore o una condizione
climatica avversa, le piante non possono
‘scappare’. Perciò, sono necessariamente
organismi molto plastici, che modulano le
proprie caratteristiche fisiche, cellulari,
molecolari e metaboliche per adattarsi anche ad
ambienti non ottimali ed estremi. Arabidopsis è
in grado di attivare/disattivare geni in risposta,
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II La Drosophila: quando un moscerino fa notizia…
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ad esempio, a stimoli ambientali, in modo del
tutto paragonabile alle piante coltivate e si rivela
un modello prezioso per studi sulla plasticità e
adattabilità che travalicano le frontiere del
mondo vegetale aprendo affascinanti prospettive
e nuove ipotesi sui meccanismi di evoluzione e
selezione di tutti gli organismi viventi. Gli studi
su Arabidopis e i suoi circa 30mila geni hanno
consentito quindi un enorme passo in avanti
nella nostra conoscenza delle piante e di come
queste crescono e si riproducono, costituendo
inoltre un propulsore per il recente avvio di
numerosi progetti internazionali per lo studio dei
genomi delle più importanti specie agrarie. I
risultati di tali studi stanno rapidamente
contribuendo a identificare geni e funzioni
geniche necessarie per garantire il corretto
sviluppo delle piante e l’ottenimento dei tanti
prodotti (semi, frutti, oli, legno, farmaci) di
origine vegetale che ben conosciamo. In
particolare, l’Italia è protagonista di questa
rivoluzione culturale partecipando con
investimenti pubblici a progetti di
sequenziamento dei genomi di specie agrarie
alla base di prodotti del Made in Italy, quali
pomodoro, vite e frumento, e ponendo le basi
per l’innovazione, tanto auspicata, dell’intero
settore agricolo che dovrà garantire nel
prossimo futuro alte rese e prodotti di elevata
qualità con l’uso di tecniche sostenibili per
l’ambiente.
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IL TOPO COME MODELLO EVOLUTIVO Mario de Felice Professore di Patologia generale Università degli Studi di Napoli Federico II
Nell’immaginario collettivo i topi hanno
una pessima fama, ma nei secoli scorsi cinesi e
giapponesi amavano collezionare topi il cui
mantello presentava caratteristiche particolari e,
attraverso incroci ripetuti, svilupparono una
serie di ‘razze’ caratterizzate da colori e
pezzature inusuali. Nell’Ottocento la moda dei
cosiddetti fancy mice (topi a fantasia) si diffuse
anche nel mondo occidentale.
L’abate Mendel, incuriosito dal modo in
cui il colore del mantello veniva ereditato
attraverso le generazioni, avrebbe voluto
utilizzare i topi per i suoi studi, ma il vescovo
locale trovò immorale che in un monastero si
effettuassero esperimenti basati su
accoppiamenti sessuali e Mendel (con sollievo
dei topi) scelse i piselli per formulare le sue leggi
sull’eredità.
Agli inizi del XX secolo la genetica iniziò
a essere studiata sistematicamente utilizzando
vari organismi animali come modello. Questa
volta i topi non sfuggirono al loro destino: un
allevamento di fancy mice era nelle vicinanze
dell’Università di Harvard, dove lavorava un
giovane genetista, Little, che voleva capire quale
fosse il ruolo dei fattori genetici nel cancro. Little
intuì che i fancy mice, animali già selezionati,
sarebbero stati utili per creare un perfetto
organismo modello e con ripetuti incroci fratello-
sorella ottenne quelle che ora si definiscono
‘linee pure’ di topi. La caratteristica di una ‘linea
pura’ è quella di essere costituita da animali
geneticamente tutti uguali tra loro (come lo sono
i gemelli identici); ogni linea è geneticamente
diversa dalle altre (come ogni uomo è diverso da
un altro). L’utilizzo di questi modelli ha
contribuito alla comprensione di molti
meccanismi alla base della risposta immunitaria,
del rigetto dei trapianti, dello sviluppo dei
tumori.
Nel corso del secolo scorso, oltre al topo
i ricercatori hanno utilizzato altri modelli, quali
moscerini (drosofila) o vermi (c. elegans). Solo il
topo, però, essendo un vertebrato, è dal punto
di visto evolutivo non molto distante dall’uomo;
infatti, come ha dimostrato la genetica
molecolare, il 99% dei geni di topo ha una
controparte negli uomini. Questo rende il topo
un organismo privilegiato per studiare fenomeni
fisiopatologici propri della specie umana.
Agli inizi degli anni Ottanta, il felice
incontro tra competenze di studiosi di
embriologia classica e di biologi molecolari
innovatori ha trasformato il topo da uno dei
modelli utilizzabili dai ricercatori a formidabile e
finora unico ‘strumento’ per la comprensione di
fenomeni biologici complessi e delle loro
alterazioni. Sono state, infatti sviluppate
sofisticate tecnologie (praticabili con elevate
possibilità di successo solo nel topo) che
permettono di manipolare il genoma in maniera
mirata e trasmissibile alle progenie successive. Il
ricercatore può quindi creare con relativa facilità
nuove linee di topi nelle quali alcuni geni - e solo
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II La Drosophila: quando un moscerino fa notizia…
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quelli - sono stati modificati sulla base del
progetto dello sperimentatore. Dal momento che
molte patologie hanno come causa ultima un
difetto, congenito o acquisito, in uno o più geni,
queste procedure permettono di fatto la
generazione on demand di modelli di malattie.
Tutto questo rende incommensurabile il
contributo che i topi hanno dato e danno alla
ricerca biomedica: grazie allo studio di modelli
murini si possono individuare cause e proporre
rimedi per molte, gravi e frequenti malattie che
affliggono l’uomo. Molti premi Nobel sono stati
conseguiti anche grazie al sacrificio di molti topi:
qualcuno, a ragione, ha proposto di premiare
con un Nobel di formaggio i nostri insostituibili
piccoli collaboratori.
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II La Drosophila: quando un moscerino fa notizia…
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UN PICCOLO PESCE PER LA CURA DELLE MALATTIE Paolo Sordino Ricercatore Stazione Zoologica Anton Dohrn - Napoli
L’obiettivo principale delle bioscienze
moderne è lo studio delle malattie umane
mediante uno strumento complementare che
permetta di studiare la formazione degli organi
con le moderne tecniche della genetica, e che
presenti delle patologie riconoscibili
clinicamente. A trent’anni dalla nascita, il
sistema modello zebrafish rimane per gran parte
della comunità scientifica italiana un’entità poco
conosciuta, nonostante sia diventato uno degli
strumenti più importanti della ricerca biomedica
contemporanea. Nome scientifico Danio rerio,
originario dei fiumi del sud-est asiatico, lo
zebrafish si afferma inizialmente in acquariologia
grazie ad alcuni aspetti biologici – fecondità ed
embriogenesi - che ne favoriranno l’avvento
anche nella comunità scientifica. Il concetto di
sistema modello, termine coniato per gli
organismi da sperimentazione, è emerso con la
biologia molecolare e la conseguente
frammentazione della conoscenza, tipica
dell’approccio riduzionistico. Il perché alcuni
sistemi modello siano più diffusi è dovuto a
fattori diversi, ovvero non solo l’adattabilità alle
metodologie scientifiche ma anche
l’organizzazione e le politiche d’assunzione e di
finanziamento della ricerca. Alcuni modelli
classici della genetica, come l’insetto Drosophila
e il verme Caenorhabditis, presentano evidenti
limiti legati alla distanza evolutiva dall’uomo, per
esempio un sistema nervoso dallo sviluppo
rudimentale e privo di cervello. Quindi, lo studio
dei meccanismi cellulari e molecolari alla base
delle patologie umane, in particolare quelli
connessi allo sviluppo embrionale, richiede
l’adozione di organismi più prossimi alle
condizioni che si osservano nell’uomo. Lo
zebrafish si è andato progressivamente
imponendo quale modello ideale per studiare lo
sviluppo e le malattie dell’uomo, grazie al fatto
che in esso ritroviamo i principali vantaggi degli
altri animali da laboratorio. Come la rana, gli
embrioni di zebrafish si sviluppano esternamente
e posso essere osservati e manipolati a
qualunque stadio. Ma rispetto alla rana lo
sviluppo di zebrafish è più rapido,
l’organizzazione dell’embrione è più semplice e
(come nei vermi e in Drosophila) l’embrione è
trasparente. Come in topo, lo zebrafish è
utilizzabile per le analisi genetiche e ha un
tempo di generazione di tre mesi. Tuttavia lo
zebrafish è più piccolo e produce più embrioni in
un tempo inferiore. Senza dimenticare che le
dimensioni ridotte di zebrafish comportano una
riduzione dei costi della ricerca fino a 1/1000
rispetto al topo. Molti geni dello sviluppo
responsabili di malattie congenite nell’uomo
possiedono una controparte in zebrafish, il cui
genoma è sorprendentemente simile a quello
umano nonostante i 450 milioni di anni di
evoluzione che separano le due specie. Poiché gli
organi dei pesci sono funzionalmente e
morfologicamente simili a quelli dell’uomo, il
fenotipo di molte alterazioni indotte nel genoma
di zebrafish rassomiglia a malattie umane che
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II La Drosophila: quando un moscerino fa notizia…
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causano difetti in particolari processi biologici. La
crescente disponibilità di mutanti di zebrafish
favorisce l’identificazione dei geni responsabili di
sindromi ereditarie e di predisposizioni genetiche
di vario tipo, per esempio neurodegenerazioni,
tumori e dipendenze comportamentali. L’elenco
dei modelli zebrafish per l’uomo è destinato a
crescere esponenzialmente, e già include
numerose malattie importanti, sia rare che
comuni, come Alzheimer e Huntington,
cardiomiopatia, anemia, leucemia, porfiria,
obesità, distrofia, cataratta, rene policistico e
cancro. Al culmine del potenziale medico dello
zebrafish, questi mutanti potranno essere
rapidamente sottoposti a test farmacologici,
favorendo lo sviluppo di terapie risolutive.
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