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5/10/2018 Parere Legale in Merito a Rimborso Spese Amministratori Comunali - slidepdf.com
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PARERE LEGALE IN MERITO A RIMBORSO SPESE AMMINISTRATORI COMUNALI-
In assenza di un nesso eziologico tra l'adempimento dell'ufficio e la perdita pecuniaria, non può essere
riconosciuto agli amministratori locali il diritto al rimborso delle spese legali sostenute per la difesa in unprocedimento penale. Tanto più che il danno risarcibile presuppone un comportamento incolpevole dei
ricorrenti, che si sono limitati a richiedere il rimborso sulla base del semplice dato della corresponsione
delle spese legali, senza nulla dedurre sulla loro condotta.
A far luce sulla dibattuta questione la prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con Sent. n. 12645 del
24 maggio 2010. Nella specie, sei amministratori a vario titolo di un Comune piemontese, hanno convenuto
in giudizio innanzi il Tribunale ordinario l'Ente Locale chiedendone la condanna al rimborso delle spese
legali da essi sostenute per la difesa, in sede penale, di reati contestati in relazione all'esercizio delle
funzioni pubbliche svolte, fatti da cui erano stati assolti.
Il Tribunale ha accolto la domanda ed, avverso la pronuncia, il Comune ha presentato appello.
In secondo grado la sentenza è stata riformata e la controversia infine è giunta in Corte di Cassazione, ove
la prima Sezione Civile con sentenza n. 12645 del 2010, ha respinto il ricorso.
Gli Ermellini si sono pronunciati sull'applicazione analogica agli amministratori locali delle norme sui
dipendenti che espressamente prevedono il rimborso delle spese legali per fatti di reato contestati a causa
delle funzioni pubbliche svolte.
Non solo. I giudici di Palazzaccio si sono anche espressi in merito all'applicazione, al caso di specie, della
disciplina del mandato all'attività degli amministratori pubblici. In merito al primo quesito, l'art. 16, D.P.R.
n. 191 del 1979, prevede l'assistenza processuale per i dipendenti degli Enti Locali in conseguenza di fatti ed
atti connessi all'espletamento dei compiti d'ufficio, purchè non vi sia conflitto di interesse con l'ente e non
ricorra il dolo o la colpa grave del dipendente.
Non mancano pronunce giurisprudenziali, sia civili che amministrative, favorevoli a ritenere indenni dalle
spese legali sostenute anche gli amministratori locali che abbiano dovuto affrontare giudizi penali per atti,
fatti o omissioni connessi all'esercizio delle proprie funzioni.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2242 del 2000 ha evidenziato la sostanziale eccezionalità del rimborso
rimesso da un lato a valutazioni rigorose della P.A. in merito all'assenza di conflitti di interessi tra l'attività
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dell'ente e la condotta dell'amministratore - da valutarsi ex post a conclusione del procedimento - e,
dall'altro, all'assenza di responsabilità dell'amministratore assolto nel giudizio penale con formula piena.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, tuttavia, con sentenza n. 479 del 2006, hanno chiarito chel'amministratore di un Ente Locale presta la propria attività lavorativa non come un pubblico impiegato e
non può essere assimilato ad un lavoratore subordinato.
L'estensione della disciplina dei dipendenti pubblici anche agli amministratori locali, relativamente al
rimborso delle spese legali, va fatta utilizzando l'analogia, con un ragionamento per similitudine. Gli
Ermellini, nel caso di specie, in conformità con l'orientamento delle Sezioni Unite, hanno ricordato che il
ricorso all'analogia è giustificato dalla presenza dell'ordinamento di un vuoto normativo e dalla necessità di
dover colmare la lacuna ma tali presupposti non sono stati riscontrati nel caso in esame.
Il Legislatore, infatti, intenzionalmente non ha esteso la disciplina dei dipendenti pubblici agli
amministratori locali poiché si tratta di due fattispecie distinte e non identiche; gli amministratori pubblici,
infatti, non sono dipendenti dell'ente ma sono eletti dai cittadini e solo a questi - e non al Comune di
appartenenza - rispondono del proprio operato.
Gli amministratori dell'Ente Locale sono, infatti, dei funzionari onorari e sono legati da un rapporto di
rappresentanza con la collettività.
In merito alla seconda questione, si può ricordare che il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 2242/2000
citata, ha assimilato sindaco ed assessori al mandatario, in mancanza di una disposizione specifica che
regoli i rapporti patrimoniali con l'ente rappresentato ma la similitudine è stata fatta solo in via di astratta
ipotesi.
L'art. 1720 c.c. dispone il rimborso delle spese al mandatario nonché il risarcimento dei danni subiti a causa
dell'incarico.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 10680 del 1994, nell'interpretare tale norma
civilistica, hanno chiarito che il rimborso può avere ad oggetto solo le spese sostenute dal mandatario in
stretta dipendenza dall'adempimento dei propri obblighi.
In altri termini, possono essere restituite solo le spese che per natura sono collegate necessariamente
all'esecuzione dell'incarico conferito, in quanto rappresentino il rischio inerente l'esecuzione dell'ufficio
dovuto.
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La Corte di Cassazione, nel caso di specie, in conformità con i propri precedenti, ha ritenuto inapplicabili agli
amministratori locali le norme sul mandato relative al rimborso delle spese nell'ipotesi in cui l'attività di
esecuzione dell'incarico abbia dato luogo ad azione penale contro il mandatario e questi abbia dovuto
sostenere spese di difesa.
In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella pronuncia citata, hanno chiarito che un
diritto del mandatario al rimborso delle spese sostenute a causa dell'espletamento del proprio ufficio di
funzionario onorario non è configurabile con riferimento alle spese di difesa in un procedimento penale,
non sussistendo un rapporto di causalità diretta tra l'esercizio del mandato e le spese di cui si chiede il
rimborso.
Anche nel caso in cui l'imputato venga prosciolto, infatti, la necessità di sostenere spese di difesa non si
pone in rapporto di causalità diretta con lo svolgimento delle proprie funzioni, poiché, tra un fatto e l'altro,
si pone un elemento intermedio dovuto all'attività di una terza persona e dato dall'accusa rivelatasi
successivamente infondata.
Ne consegue che, in assenza di un nesso eziologico tra l'adempimento dell'ufficio e la perdita pecuniaria, gli
Ermellini, nella sentenza n. 12645 in commento, non hanno riconosciuto il diritto al rimborso delle spese da
parte del mandatario, nella specie, degli amministratori ricorrenti.
A ciò si aggiunge che il danno risarcibile presuppone un comportamento incolpevole dell'istante, fatto che
nel caso di specie non poteva valutarsi dato che i ricorrenti si erano limitati a richiedere il rimborso sulla
base del semplice dato della corresponsione delle spese legali, senza nulla dedurre
_______________________________________________---
Nello specifico dei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile, la legge 14 gennaio 1994, n.20,
modificata dall’art. 3 della legge 20 dicembre 1996, n. 639, di conversione del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543,
ha stabilito che, per i procedimenti avanti alla Corte dei Conti nei confronti di amministratori e dipendenti
degli enti locali, in caso di definitivo proscioglimento, (quando viene esclusa la commissione di fatti con
dolo o con colpa grave), il soggetto prosciolto dall’azione di responsabilità ha diritto al rimborso delle spese
defensionali sostenute e, questo rimborso è a carico dell’amministrazione di appartenenza (Cassazione
Sezioni unite civili, sentenza n. 8455 del 2.4.2008
2. Il regime delle spese legali nei giudizi di responsabilità amministrativa.
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In questo quadro normativo e giurisprudenziale deve essere calata la questione del regolamento delle
spese legali e di giudizio innanzi alla Corte dei conti.
Dinanzi al giudice della responsabilità amministrativo - contabile, il regolamento delle spese trova disciplinanell'art. 3, comma 2 bis, del decreto legge 23 ottobre 1996 n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996
n. 639, secondo il quale le spese legali e, dunque, quelle sostenute per il proprio avvocato[8], sono a carico
dell'amministrazione di appartenenza quando l’incolpato viene definitivamente prosciolto*9+.
Il definitivo proscioglimento emerge, dalla lettura dell’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20,
quando viene esclusa la commissione di fatti con dolo o con colpa grave. Il tutto viene visto come diritto del
soggetto, prosciolto dall’azione di responsabilità, al rimborso delle spese defensionali sostenute e questo
rimborso è a carico dell’Amministrazione di appartenenza (Cass. Sezioni unite civili, sentenza n. 8455 del
2.4.2008).
A questo punto, per i giudizi di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, si è introdotta la possibilità di un
generalizzato rimborso da parte dell’Amministrazione delle spese sostenute dai dipendenti convenuti in
giudizio di responsabilità contabile e definitivamente prosciolti. Questa norma non aveva però previsto le
modalità attuative di tale previsione[10] che sono intervenute, in parte, con la successiva legislazione di
interpretazione autentica.
La disposizione sul rimborso delle spese è stata autenticamente
interpretata dall'art. 10 bis, comma 10, del decreto legge 30
settembre 2005 n. 203, convertito nella legge 2 dicembre 2005
n. 248, secondo cui «le disposizioni dell'art. 3 comma 2 bis del
D.L. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito dalla legge 20 dicembre
1996 n. 639 e dell'art. 18 comma 1 del D.L. 25 marzo 1997 n. 67,
convertito dalla legge 23 marzo 1997 n. 135, si interpretano nel
senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel
merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con
le modalità di cui all'art. 91 del c.p.c., liquida l'ammontare degli
onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto…»[11].
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Questa normativa prevede il potere - dovere del giudice contabile di liquidare le spese legali e di difesa in
favore dei convenuti assolti nel merito e di provvedere alla liquidazione delle stesse anche in assenza di
presentazione da parte del difensore del convenuto della nota spese[12] di cui all'art. 75 disposizioni di
attuazione del c.p.c.[13]
Pertanto, l’attuale normativa dispone che le pubbliche amministrazioni non possono provvedere al
rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori e/o dipendenti assolti nel giudizio di
responsabilità amministrativa, perché sulle stesse si deve obbligatoriamente pronunciare il solo giudice
contabile al quale è rimessa la decisione, dal momento che non esiste nell’ordinamento nessun altro
organo giudiziario ed amministrativo che disponga del potere di liquidazione delle spese in favore dei
convenuti assolti nel merito nei giudizi di responsabilità amministrativa, così come chiaramente disposto
dal legislatore intervenuto nel 2005 con l’interpretazione autentica di cui sopra.
In questo senso, sembra collocarsi anche l’orientamento della Cassazione (Sezione unite n. 8455 del 2 aprile
2008), il quale afferma che la disposizione in parola ha carattere innovativo con effetto retroattivo[14], non
essendo evidentemente interpretativa, in quanto aggiunge un aliquid novi alla disposizione interpretata
che riguardava i giudizi innanzi alla Corte dei conti. L’elemento di novità è dato, appunto, dal potere –
dovere del giudice contabile di liquidare le spese legali in favore dell’incolpato prosciolto. Queste ultime
possono essere assistite, sul piano formale e probatorio, dalla valutazione di congruità dell’Avvocatura
dello Stato che consente all’Amministrazione di appartenenza di procedere al rimborso delle stesse, Il
parere di congruità deve essere richiesto da chi richiede la liquidazione degli onorari e dei diritti[15].
Nell’occasione, occorre poi ricordare che, sempre la Cassazione, nella qualità di giudice regolatore della
giurisdizione, era intervenuto sul tema quando, con la precedente sentenza n. 1714 del 12.11.2003
(antecedente alla legge d’interpretazione autentica), aveva affermato che la Corte dei conti non superava i
limiti della propria giurisdizione quando stabiliva, a conclusione del giudizio di responsabilità
amministrativa, la compensazione delle spese. Con questa decisione la Cassazione rilevava che il potere
giudiziale di regolazione delle spese restava intestato a ciascun giudice, il quale aveva il potere governarle
secondo il principio della soccombenza, della compensazione o della rilevanza dei giusti motivi, considerato
che la giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda (art. 386 c.p.c.).
In merito alla compensazione delle spese legali in presenza di parte pubblica, occorre evidenziare che lo
scopo della stessa compensazione delle spese legali resta quello di proteggere l’Erario dal relativo esborso,
circostanza che può essere ritenuta rispondente a causa di pubblica utilità[16].
Da ultimo si cita anche la giurisprudenza*17+ che ha affrontato il tema della “soccombenza virtuale”, da
richiamare in presenza di un intervenuto recupero o risarcimento del danno, quando la decisione non è
ancora intervenuta. In questo caso si può definire il giudizio con la dichiarazione della cessata materia del
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contendere e la contestuale condanna del convenuto alle spese di giudizio (in favore dello Stato) per il
principio della "soccombenza virtuale", risultando evidente la responsabilità amministrativa del convenuto.
3. Posizioni della giurisprudenza contabile.
Dopo quest’ultima sentenza lo scenario è certamente mutato, essendo intervenuto il legislatore con una
norma contenente un aliquid novi, pertanto, si pone la domanda se il giudice contabile è, comunque,
tenuto a rimborsare le spese defensionali a fronte di tutte le possibili forme di assoluzione (assenza di dolo,
di colpa grave, prescrizione dell’azione, inammissibilità della stessa, ecc…), ovvero conservi il potere di
compensazione previsto per il giudice civile all’art. 92 del codice di rito, dove il giudice può compensare le
spese tra le parti, parzialmente o, per intero, in presenza di giusti motivi, esplicitamente indicati nella
motivazione.
Prima di esaminare le posizione della giurisprudenza contabile occorre ricordare alcuni principi
fondamentali sull’azione di responsabilità amministrativa compendiati nella sentenza delle Sezioni Unite
della Cassazione n. 17014 del 2003.
Ebbene, l’articolo 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti (regio decreto n.
1038 del 1933) dispone che nei procedimenti contenziosi si osservano le norme e i termini della procedura
civile, in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle disposizioni di quel regolamento.
Conseguentemente, nei giudizi di responsabilità amministrativo - contabile si applicano anche le norme
della procedura civile in tema di spese del processo, ispirate al principio che la parte soccombente deve
sopportarne la condanna, sia pure con gli adattamenti derivanti dalla natura del giudizio.
A questo proposito, la Cassazione ricorda che la struttura dei giudizi di responsabilità amministrativo –
contabile è tale che il Procuratore Generale (o Regionale) della Corte dei conti non può chiedere la rifusione
delle spese legali[18], quando sia accolta la domanda di condanna, perché si tratta di parte pubblica, che
esercita d’ufficio la relativa azione. La parte pubblica come non può chiedere la rifusione delle spese legali,
non può nemmeno essere condannata al rimborso in favore della parte assolta, dal momento che svolge
un’azione pubblica, doverosa, officiosa, nell’interesse della collettività e, più in generale, per la difesa della
finanza pubblica dai fenomeni degenerativi, quali gli sprechi, il cattivo uso, le appropriazioni per fini
personali, ecc...
A tal punto, in caso di rigetto della domanda del Procuratore Generale, la parte assolta dovrebbe farsi
carico delle spese affrontate per la sua difesa nel processo, soltanto che per sopperire all’inconveniente di
far ricadere le spese del giudizio contabile sulla parte prosciolta, l’attuale sistema ha previsto normeparticolari che consentono ai dipendenti pubblici, sottoposti a giudizio di responsabilità amministrativo -
contabile, di essere rimborsati quando assolti nel merito.
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In questo contesto, a fronte di sentenze che liquidano le spese legali nei confronti dei convenuti assolti (cfr.
Corte dei conti, I Sezione centrale, n. 386 del 5.11.2007), esistono orientamenti dove di perviene alla
compensazione delle spese del patrocinio legale (sempre Corte dei conti, I Sezione centrale, n. 387 del
5.11.2007), in ragione della complessità della vicenda e, quindi, pur in presenza di pronuncia assolutoriaviene disposta la compensazione delle spese legali[19], specialmente quando il giudizio deve essere avviato
proprio per la condotta delle persone convenute nel processo, indipendentemente dalla configurabilità
della colpa grave.
Su questo punto ha cercato di fare chiarezza la recente giurisprudenza delle Sezioni regionali (cfr. Corte dei
conti, Sezione Lombardia, sentenza n. 263 del 28.4.2008 e n. 171 del 17.3.2008), dove si afferma che, in
presenza di un danno erariale venuto meno, perché la pretesa risultava per altro verso soddisfatta, vadano
integralmente compensate ai sensi dell'art. 92, secondo comma, del codice di rito, sia le spese del giudizioe, in particolare, quelle legali, sostenute dai convenuti che restano a carico degli stessi e non sono
rimborsabili dall’Amministrazione stessa.
Nell’occasione, la predetta giurisprudenza ha affermato la compatibilità della nuova disposizione sul
rimborso con il potere di compensazione delle spese processuali, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c.
anche, perché la Corte di Cassazione[20] ha ritenuto che l'esercizio di detto potere - in caso di rigetto della
domanda di condanna - non eccede i limiti della giurisdizione della Corte dei conti.
In questo contesto, si sostiene che la disposizione di cui all'art. 10 bis, comma 10, del decreto legge 30
settembre 2005 n. 203, convertito nella legge 2 dicembre 2005 n. 248, non può essere intesa come non
abilitante la Corte dei conti, in veste di giudice nel giudizio di responsabilità amministrativa, a statuire la
compensazione delle spese, nel senso di porre parte di queste ad effettivo carico delle parti o di talune di
esse, anche se non soccombenti[21].
Il potere - dovere di delibare l'aspetto degli oneri processuali è connaturato all'esercizio della giurisdizione,
anche quando ricorrono i “giusti motivi” per compensare, la sentenza che omette la pronuncia sulle spese
incorre nel vizio di motivazione ex art. 112 c.p.c.
Ciò comporta che, a carico delle parti, possono rimanere, sia pure parzialmente, quelle spese per l'esercizio
delle funzioni giurisdizionali (tra le quali rientrano, com'è ovvio, le spese legali per i difensori che svolgono
l’assistenza tecnica necessaria nel processo) che le parti stesse, con comportamento non esente da
censure, ancorché per altro verso assolte, abbiano contribuito a causare (cfr. Corte dei conti, Sezione
Lombardia, cit.).
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Sempre la giurisprudenza regionale (Corte dei conti, Sezione Lazio, sentenza n. 1563 del 6.11.2007 e n.
1562 del 5.11.2007) afferma che, in presenza di un’obiettiva illiceità dell'evento (così, come per la presenza
di anomalie nella fattispecie), la sussistenza di una condotta censurabile seppur non connotata da colpa
grave, costituiscono giusti motivi per dichiarare la compensazione delle spese legali.
Ovviamente, esiste anche giurisprudenza (Corte dei conti, Sezione Calabria, n. 970 del 31.10.2007, Sezione
Abruzzo, n. 191 del 7.5.2008, Sezione Appello Sicilia, n. 178 e n. 183 dell’8.5 .2008) che non si pone il
problema di dovere compensare le spese legali in caso di proscioglimento del convenuto nel giudizio di
responsabilità amministrativa, anche in presenza di comportamenti non del tutto lineari, liquidando, di
conseguenza, le stesse all’incolpato che si era costituito nel giudizio e poi assolto per assenza di colpa
grave[22].
Questo orientamento tiene conto della stretta interpretazione letterale della norma, così come formulata,
ma anche della circostanza che il presunto responsabile viene chiamato a rispondere dei suoi
comportamenti da parte del pubblico ufficio di Procura e, pertanto, deve essere lasciato indenne dalle
conseguenze patrimoniali della difesa in giudizio, quando riconosciuto esente da responsabilità a titolo di
dolo o colpa grave[23].
In particolare, altra giurisprudenza (Corte dei conti, Sezione Appello Sicilia, n. 151 del 9.5.2007) ritiene che,
attraverso il criterio di interpretazione letterale, l’espressione “proscioglimento nel merito” non ha nel
processo contabile e in quello civile alcun preciso significato tecnico. Inoltre, si ammette, generalmente,che la nozione di proscioglimento al quale fa richiamo l’art. 3 corrisponde, nella sostanza, al rigetto
dell’azione di responsabilità amministrativa, ovvero alla dichiarazione di esenzione della responsabilità. Il
problema interpretativo si pone riguardo il significato da attribuire al termine “merito”. Questo termine,
per la giurisprudenza civilistica, è contrapposto al termine “rito” o “processuale”; infatti, con il termine
“merito” si indicano le questioni sostanziali della domanda. Sulla base di questa premessa, l’ultima
giurisprudenza citata perviene alla conclusione che l’intervenuta prescrizione eccepita nel processo
contabile si configura come eccezione preliminare di merito*24+, quindi, una volta accertata l’avvenuta
estinzione dell’obbligazione risarcitoria diviene inutile l’esame degli altri aspetti di merito della domanda
(danno, elemento psicologico, nesso causale, ecc…), con la conseguenza che la domanda diviene
irreversibilmente priva di fondamento sostanziale, pervenendo, così, il giudice, all’applicazione della norma
sul rimborso delle spese legali.
Comunque, tutto questo non impedisce, in base alla vigente normativa sugli onorari degli avvocati, che il
cliente sia obbligato a pagare al proprio difensore gli onorari per ogni atto sostenuto a suo favore[25], dal
momento che il diritto dell'avvocato di essere retribuito dal suo cliente persiste nell’ordinamento (cfr. ex
multis Cassazione, sentenza n.. 5467del 13.05.1993). Infatti, l’art. 2 del capitolo 1, allegato al decreto 8
aprile 2004 n. 127 del Ministero della Giustizia, stabilisce che gli onorari e i diritti sono sempre dovuti
all’avvocato dal cliente indipendentemente dalle statuizioni del giudice sulle spese giudiziali*26+. Com’è
noto i “diritti” sono fissati dal tariffario forense per le singole attività svolte dal difensore (l’elenco è
riportato nel Decreto del Ministero della Giustizia n. 127 dell’8.4.2004*27+), mentre, l’onorario retribuisce la
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qualità del lavoro svolto. Per i diritti e gli onorari (per tutte le attività incluse nel tariffario e per le diverse
fasce di valore della causa) sono previste per legge una tariffa minima e massima, entro le quali il
compenso del professionista deve essere quantificato.
4. Conclusioni.
In questo scenario, ad oggi, non si rileva ancora una posizione definita
ed univoca da parte della giurisprudenza su questo problema, dal
momento che spesso i giudici preferiscono affrontare la questione
guardando il caso particolare portato alla loro attenzione. Infatti,
proprio in quest’ottica si colloca l’indirizzo giurisprudenziale che
preferisce compensare le spese di patrocinio legale quando i
comportamenti e/o le situazioni trattate presentano tratti di opacità od
irregolarità gestorie che, in ogni caso, hanno danneggiato
l’amministrazione e la regola del buon andamento, anche se non state
sufficienti per raggiungere la soglia della colpa grave, necessaria per
emettere una sentenza di condanna.
Esiste anche l’orientamento che segue l’interpretazione letterale della norma (cfr. Corte dei conti, Sezione
Appello Sicilia n. 151 del 2007) che non consente il potere di compensare le spese in caso di
proscioglimento del convenuto, rimettendo poi al giudice la liquidazione delle spese.
In questo caso esistono sentenze che pervengono alla liquidazione forfetaria, dove devono essere sempre
diversificati gli onorari dalle spese, in assenza di presentazione di apposita nota da parte del difensore[28].
Infatti, la Cassazione (Sezione I, sentenza n. 16993 dell’1.8.2007, Sezione III, n. 2748 del 2007) ha indicato
che, in tema di spese processuali, quando la parte alla quale vanno rimborsate abbia presentato la relativa
nota, è ammissibile la liquidazione globale, sempre che siano indicati separatamente gli onorari di avvocato
rispetto ai diritti di procuratore, mentre, se la nota non viene presentata, il giudice, pur avendo il potere -
dovere di provvedere ugualmente alla liquidazione delle spese sulla base degli atti di causa, è tenuto ad
indicarle in maniera specifica.
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Il giudice contabile, anche per le ipotesi di assoluzione, conserva, comunque, il potere di liquidare le spese
legali con l’unico limite riguardante l’inderogabilità dei minimi*29+, anche se si deve segnalare che il
problema dell’inderogabilità dei minimi viene visto (o sospettato) come una misura di favore per gli
appartenenti all’ordine professionale interessato, in difformità dagli artt. 81 e 10 (ex 85 e 5) del
Trattato[30].
Al giudice contabile non è precluso di ridurre le voci richieste in misura eccessiva ovvero di eliminare quelle
non dovute, così come non può essere precluso allo stesso di valutare il valore della causa in base al
principio del contenuto effettivo della sua decisione, perché rispondente ai criteri di proporzionalità ed
adeguatezza della prestazione legale. Questo comporta, alla stregua della giurisprudenza della
Cassazione*31+, di tenere conto del criterio del “decisum” e non del ”disputatum”, specialmente in un
processo, come quello contabile, dove la pretesa risarcitoria viene spesso mitigata dall’uso del potere
riduttivo dell’addebito*32+, il quale costituisce applicazione del principio generale di colpa del creditore (art.
1127 del c.c.), in conformità al carattere impersonale dell’organizzazione amministrativa, con riferimento amanchevolezze rinvenibili nel modulo organizzativo adottato, oltre la circostanza che non possono essere
escluse nella quantificazione del pregiudizio finanziario concorrenti responsabilità di persone non
convenute[33] (perché il P.M. non ha ravvisato condotte gravemente colpose) che il giudice deve,
perlomeno, indicare nella funzione o nell’incarico svolto.
Ai fini del contenuto effettivo della decisione, necessario per la liquidazione delle spese, si deve tenere
conto anche della circostanza che spesso (si pensi ai danni per la lesione all’immagine pubblica) per la
determinazione del danno erariale si deve ricorrere al criterio equitativo (art. 1226 c.c.), per cui il valoredella causa più che sulla base di quanto indicato dal P.M. deve far riferimento a quanto ritenuto equo dal
giudice nella fattispecie esaminata.
Alla luce di queste argomentazioni il giudice contabile, nello stabilire la misura del rimborso, dispone del
potere di correggere notule indicanti spese eccessive, tenendo conto del valore effettivo della causa che
non è necessariamente quello indicato dal P.M. per i motivi sopra richiamati. È importante che il giudice
indichi i diritti e gli onorari spettanti, motivando dettagliatamente sia le singole voci che riduce, perché
richieste in misura eccessiva, sia quelle che elimina, perché non dovute (ad esempio quelle relative all’invito
a dedurre, dove non è prevista la presenza della difesa tecnica), con l’unico limite di non violare
l'inderogabilità dei minimi.
Di certo, è necessario che il potere di compensazione delle spese sostenute dalle parti per i propri difensori
sia meglio chiarito dalla giurisprudenza (in particolare dalle Sezioni Riunite, con indicazioni di quali siano le
circostanza per le quali si può esercitare[34]), per verificare se detto potere appartenga al giudice contabile,
così come appartiene agli altri giudici.
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Resta fermo il principio che il giudice contabile dispone degli strumenti per il corretto esercizio del diritto al
rimborso per la parte totalmente vittoriosa nel processo di responsabilità amministrativa, consentendogli di
provvedere in ordine alla liquidazione (dietro presentazione di note, altrimenti si procede in via forfetaria),
evitando che questa tipologia di spesa, che grava sui pubblici bilanci, sfugga a una qualche forma di
controllo, cosa che avveniva quando il rapporto intercorreva solo tra il convenuto prosciolto e
l’amministrazione danneggiata, con l’utilizzo della vecchia formula “nulla per le spese” che, a volte, ancora
viene riportata in qualche sentenza, nonostante l’intervento legislativo del 2005.
La scelta del legislatore di rimettere tale controllo al giudice deve essere giudicata positivamente e, de iure
condendo, sarebbe auspicabile, che venisse introdotta anche in sede penale, quando vengono perseguiti
amministratori e/o agenti pubblici, perché sicuramente si eviterebbero tanto i possibili abusi per rimborsi
eccessivi, quanto la lunga e frequente fase contenziosa che segue alla negazione del rimborso da parte
delle amministrazioni.
In un momento storico come quello attuale, dove si rileva maggiore sensibilità per la spesa pubblica, la
quale non deve essere abbandonata a forme prive di controllo, la via di affidare questo controllo al giudice,
il quale è colui che effettivamente ha giudicato la fattispecie, nonché valutato la sua effettiva portata, è
senz’altro la misura più corretta ed imparziale per il pubblico bilancio.
A questo proposito, il problema del rimborso delle spese legali nei procedimenti avviati obbligatoriamente
dal P.M. (compreso quello penale) è stato intuito dalla dottrina[35] che ha invitato il giudice ordinario(penale) ad intervenire sull’argomento, in quanto «la statuizione sulle spese è intimamente connessa ad
ogni sentenza e la sottrazione del relativo potere al giudice oltreché di difficile compatibilità con
l’Ordinamento costituzionale costituisce un sostanziale impoverimento delle garanzie del cittadino sia uti
singulus che uti societas».
Su questa linea argomentativa dovrebbe muoversi il nuovo Esecutivo, intervenendo e/o proponendo
norme adeguate e razionali che consentano di mantenere in equilibrio sia l’esigenza del pubblico
accertamento giurisdizionale dei comportamenti degli agenti pubblici rilevanti tanto penalmente, quantoamministrativamente, sia il principio del rimborso delle spese legali per coloro che vengono prosciolti nel
processo dalle imputazioni contestate, sempre che le condotte tenute siano del tutto esenti da censura.
Il tutto deve rientrare nell’ottica del controllo della spesa pubblica per evitare che la stessa abbia spazi
incontrollati ed incontrollabili.
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[1] Cfr. Manuale breve del Diritto processuale civile di B. SASSANI e C. DELLE DONNE, pag. 41, Milano, 2007.
Per la Cassazione (cfr. sezione II, sentenza n. 8160 del 15.6.2001 e Sezione III, sentenza n. 2748dell’8.2.2007), il giudice quando riduce l'ammontare dei diritti e degli onorari riportati nella nota prodotta
dalla parte, deve indicare il criterio di liquidazione adottato e deve indicare le ragioni della riduzione delle
spese eccessive, in modo da consentire il controllo sulle variazioni effettuate. In mancanza di queste
indicazioni, la sentenza incorre nel vizio di carenza di motivazione. Altra giurisprudenza della Cassazione
(Sezione III, sentenza n. 22347 del 24.10.2007) precisa che il giudice del merito non è tenuto a motivare
circa la “diminuzione o riduzione di voci” tariffarie tutte le volte, e per il solo fatto, che liquidi i diritti e/o gli
onorari di avvocato in importi inferiori a quelli riportati nella notula, fermo il dovere di non determinarli in
misura inferiore ai limiti minimi (o superiore a quelli massimi) indicati nelle tabelle in relazione al valore
della controversia.
[2] Cfr. Corte di cassazione, Sezione Lavoro, sentenza 23 gennaio 2007 n. 1418, dove è stato ritenuto
legittimo il parere espresso dall’Avvocatura dello Stato in ordine ad una istanza di rimborso delle spese
avanzata da un pubblico dipendente ex art. 18 D.L. n. 67 del 1997, con il quale è stato negato il rimborso
delle spese relative ad uno dei due difensori adibiti dal dipendente pubblico, motivato facendo riferimento
al fatto che il processo penale, per quanto delicato e non semplice, non era di tale importanza da
consigliare la nomina di due difensori. Vi è da dire, a questo proposito che l’art. 7 del Capitolo I allegato al
Decreto del Ministero della Giustizia dell’8.4.2004, n. 127, stabilisce che quando per la difesa sono incaricati
più avvocati nella liquidazione a carico del soccombente sono computati gli onorari per un solo avvocato.
[3] cfr. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1996, pag. 340 e segg.
[4] cfr. Proto Pisani, cit.
*5+ Il comma 2 dell’art. 92 del c.p.c. è stato sostituito dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 28 dicembre2005, n. 263, questa disposizione è entrata in vigore il 1° marzo 2006, con applicazione ai procedimenti
instaurati successivamente a tale data. Nel precedente testo il potere di compensazione delle spese non
era vincolato espressamente dalla esplicitazione dei giusti motivi da indicare nella motivazione.
[6] Cassazione Sez. III, Sentenza n. 2397 del 31.1.2008, ritiene che la compensazione non abbia la necessità
di precisare i motivi, essendo sufficiente il rinvio alla motivazione, con tutte le vicende processuali della
causa.
[7] Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 20 maggio 2008 n. 2373 e sentenza 21 novembre 2007 n. 5921.
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[8] Si tratta degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, i quali devono, comunque, rispondere a
criteri di congruità che, nel caso di amministrazioni statali, devono avere il parere di congruità
dell’Avvocatura dello Stato, per quanto non vincolante per il giudice (cfr. Cass. S.U. n. 8455 del 2.4.2008).
L’art. 18 della legge 23 maggio 1997, n. 135, stabi lisce che le spese legali relative a giudizi per responsabilitàcivile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in
conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi
istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate
dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Il parere
reso dall’Avvocatura di Stato rientra nell’ambito della discrezionalità tecnica e non può essere sostituito dal
parere di congruità espresso dal Consiglio dell’Ordine Avvocati, perché attiene al rapporto fra l'importanza
e delicatezza della causa e le somme spese per la difesa e delle quali si chiede il rimborso a carico del
pubblico bilancio (cfr. Cassazione sezione Lavoro, sentenza 23 gennaio 2007 n. 1418).
[9] La Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 15054 del 4.7.2007, ha affermato che in tema di
giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, la norma di cui all'art. 3, comma 2 bis,
del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, la
quale stabilisce che, in caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dall'art. 1, comma 1,
della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come novellato dal predetto art. 3, le spese legali sostenute dai soggetti
sottoposti al giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti sono rimborsate dall'amministrazione di
appartenenza, non ha efficacia retroattiva e si applica, pertanto, ai soli giudizi iniziati dopo la sua entrata in
vigore.
*10+ Michele ORICCHIO, “Il regolamento delle spese nei processi ad iniziativa officiosa”, in
http://www.lexitalia.it/private/articoli/oricchio_spese.htm.
[11] Corte dei conti, Sezione Lombardia, n. 239 del 18.5.2007 afferma che la predetta normativa si
interpreta nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che
definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 c.p.c., liquida l’ammontare degli onorari e
diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato
da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza.
*12+ La Cassazione, sezione I, con la sentenza n. 16993 dell’1.8.2007, ha stabilito che quando la parte alla
quale vanno rimborsate le spese legali abbia presentato la relativa nota, è consentita la liquidazione
globale, purché siano indicati disgiuntamente gli onorari di avvocato rispetto ai diritti di procuratore,
dovendosi presumere che il giudice abbia voluto liquidare le spese in rispondenza alla predetta nota;
quando, invece, la nota non viene presentata, il giudice, pur avendo il potere-dovere di provvedere
ugualmente alla liquidazione delle spese sulla base degli atti di causa, è tenuto ad indicarle in manieraspecifica.
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[13] La Cassazione (Sezione I, sentenza n. 17059 del 3.8.2007) ha affermato che il carattere unitario della
prestazione difensiva comporta che gli onorari di avvocato debbano essere liquidati in base alla tariffa
vigente nel momento in cui la prestazione è condotta a termine per effetto dell'esaurimento o della
cessazione dell'incarico professionale; conseguentemente non si possono invocare variazioni della tariffaapprovate dopo l’esaurimento della prestazione professionale.
[14] Questa interpretazione della Cassazione esclude la natura di pura norma interpretativa dell'art. 10 bis,
comma 10, del decreto legge 30 settembre 2005 n. 203, convertito nella legge 2 dicembre 2005 n. 248, dal
momento che non si limita a ripetere o a confermare l’indirizzo interpretativo, ma le riconosce un carattere
innovativo, il quale comporta certamente la sostituzione della precedente formulazione con quella
dell’ultima disposizione intervenuta in materia (cfr. M. PATRONO, Legge, Enc. Diritto, vol. XXIII, pag. 928 e
929).
[15] Così, Cassazione, S.U. n. 8455 del 2.4.2008, cit.
[16] Così la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso AMBRUOSI contro Italia, sentenza del 19 ottobre
2000 (Ricorso n. 31227/1996) riguardante la compensazione delle spese legali fissata per legge con il D.L.
28 marzo 1996 n. 166.
[17] cfr. Corte dei conti, Sezione Sicilia, n. 2876 del 13 ottobre 2005.
[18] Corte dei conti, sezione Basilicata - sentenza 5 giugno 2006 n. 159.
*19+ Esistono anche sentenze che si limitano a compensare “le sole spese di giudizio”, in questo caso
occorre segnalare che queste spese, generalmente sono assai contenute, perché, salva l’ipotesi in cui nelprocesso vengano disposte consulenze tecniche d’ufficio, nel giudizio di primo grado le spese di giudizio
vengono anticipate dallo Stato, mentre, in caso di appello del soccombente privato, sono di misura
contenuta come, ad esempio, le spese di notifica (cfr. Corte dei conti, II Sezione Giurisdizionale Centrale di
Appello, n. 162 del 28/4/2003). Riguardo la consulenza tecnica d’ufficio cfr. Cassazione Sezione I, sentenza
n. 17953 dell’8.9.2005, che riconduce tra le spese processuali, quelle per la consulenza tecnica d'ufficio,
essendo questa strutturata, essenzialmente, quale ausilio fornito al giudice da parte di un suo
collaboratore.
[20] Sezioni Unite Civili, 12 novembre 2003, n. 17014. In questa occasione, la Suprema Corte ha sostenuto
che l’effetto perseguito dalla legge, tuttavia, non è quello di porsi come disposizione speciale rispetto alla
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disciplina generale del fenomeno come si presenta nei giudizi ordinari, ma quello di stabilire una disciplina
surrogatoria di quello, cioè il rimborso delle spese legali in favore dei convenuti assolti.
[21] Si deve evidenziare che la verifica giudiziale dei comportamenti degli agenti pubblici, promossa perimpulso della Procura Regionale è, comunque, sottoposta all’alea del processo, non potendosi sostenere
l’idea che qualsivoglia azione pubblica di responsabilità sia sempre fondata. In molti casi, deve essere
proprio il giudice con le sue sentenze, tanto di condanna, quanto di assoluzione, ad indicare se il
comportamento dei convenuti sia non solo esente da responsabilità, ma conforme o meno ai principi del
buon andamento dell’amministrazione.
*22+ Nell’occasione, il giudice liquidava la somma differenziando le spese per onorari e quelle per diritti, cui
dovevano essere aggiunte l’IVA, C.A.P. e le spese generali. Questa ripartizione non sempre viene effettuata,
specialmente quando il rimborso viene corrisposto forfetariamente per la mancata presentazione di nota
da parte del difensore (cfr. Sezione Abruzzo, n. 191 del 2008 cit.). È bene ricordare che la Cassazione
(Sezione III, n. 6338 del 10.3.2008) ha affermato che sussiste l'illegittimità della mera indicazione
dell'importo complessivo e della mancata specificazione degli onorari e delle spese, in quanto non consente
il controllo sulla correttezza della liquidazione, anche in ordine al rispetto delle relative tabelle.
[23] Anche se è vero che il convenuto nel giudizio di responsabilità amministrativa viene chiamato
dall’Ufficio del P.M., la circostanza di ricoprire un incarico pubblico, con l’esposizione al rischio
professionale di incorrere in responsabilità amministrativa, non deriva da obblighi giuridici e, pertanto, nonviene imposta dall’ordinamento. In molti casi il rischio in parola è connaturato a percorsi di carriera
(compresa quella politica) che consentono visibilità nella società e retribuzioni pubbliche adeguate.
*24+ Sempre nel senso di ritenere l’eccezione di prescrizione come eccezione preliminare di merito, distinta
dalle eccezioni preliminari di rito, vedi Corte dei conti, II Sezione centrale n. 183 del 5.6.2007.
[25] È interessante segnalare che per la Cassazione (Sezioni Unite, sentenza 10 maggio 2006 n. 10706) nelcaso di azione o impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte
del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase del giudizio di che trattasi (sulla base
di una procura inesistente o, ad esempio, falsa, o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente
rappresentato), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di
cui il legale assume esclusivamente la responsabilità con conseguente ammissibilità della condanna del
difensore stesso a pagare le spese del giudizio.
[26+ Ad esempio, lo svolgimento di attività difensiva nella fase preliminare dell’invito a dedurre non puòcomportare alcun rimborso a carico dell’amministrazione, non essendo obbligatoria la presenza del
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difensore. Ovviamente, se l’intimato decide di farsi assistere dall’avvocato anche in questa fase, dovrà
sostenere personalmente questa spesa.
[27] Con il predetto Decreto, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 95/L del 18 maggio 2004, è statoapprovato il vigente “Regolamento recante approvazione della delibera del Consiglio Nazionale Forense in
data 20.9.2002, che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità
spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, penale, amministrativa, tributaria e
stragiudiziale”.
[28] Non si può escludere che la mancata presentazione di apposita nota contenente le spese sostenute da
parte dei difensori rientri in una legittima strategia processuale, dovendosi la difesa confrontare non con
una parte privata, ma con una pubblica. Di conseguenza, la presentazione di una nota spese potrebbe
anche comportare una valutazione non positiva da parte del giudice della fattispecie di giudizio, dove, quasi
sempre l’inefficienza e la cattiva amministrazione sono sempre presenti, non potendosi immaginare, salvo
casi limite, dove il P.M. chiami in giudizio coloro che ben amministrano la cosa pubblica. Ormai la
prevalente giurisprudenza (ex multis, Corte dei conti, Sezione Valle d’Aosta, sentenza n. 12 del 15.5.2007),
in caso di mancato deposito della notula, liquida d’ufficio le spese di lite ai convenuti assolti, in conformità
alle tabelle allegate al decreto del Ministero della Giustizia.
*29+ La Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 5318 dell’8.3.2007, ha affermato che la liquidazione delle spese
processuali effettuata dal giudice deve essere eseguita in modo tale da mettere la parte interessata ingrado di controllare se il giudice abbia rispettato i limiti delle relative tabelle. Tuttavia, non è ammissibile,
per carenza di interesse, censurare la liquidazione quando non sia stato specificamente comprovato che la
liquidazione globale arreca un pregiudizio alla parte vittoriosa, in quanto attributiva di una somma inferiore
ai minimi inderogabili, essendo, appunto, irrilevante la mera allegazione della violazione dei criteri per la
liquidazione delle spese.
*30+ Cfr. Consiglio di stato, Sezione V, ordinanza 31 maggio 2007 n. 2814, la quale ai sensi dell’art. 234 del
Trattato CE, ha rimesso alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, in relazione alle norme degli artt. 81e 10 del Trattato, le questioni pregiudiziali in materia dei minimi tariffari stabiliti per gli Avvocati.
*31+ Cassazione Sezioni Unite, sentenza n. 19014 dell’11.9.2007.
[32] cfr. Corte dei conti, Sezione Lombardia, sentenza n. 233 del 9.5.2007. In ogni caso si deve escludere
che il giudice contabile abbia un potere discrezionale nella quantificazione del danno, dovendo sempre
procedere ad una puntuale quantificazione dello stesso supportata da adeguata motivazione, escludendovalutazioni che fondano su mere ipotesi di probabilità (cfr. Corte dei conti, Sezione I centrale di appello,
sentenza n. 143 del 30.5.2007).
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[33] cfr. Corte dei conti, Sezione Sardegna, sentenza n. 869 del 9.8.2007, la quale afferma che il giudice nel
determinare il danno da imputare ai convenuti, deve tener conto anche alla quota di danno imputabile a
soggetti responsabili non chiamati in giudizio. Questo giudizio incidentale sulla posizione di persone non
convenute potrebbe sollevare qualche perplessità alla luce dell’art. 111 della Costituzione, in particolare
quando il giudice si fa promotore di valutazioni personali di responsabilità in assenza di eccezioni formulate
dalle parti in giudizio (n.d.r.).
[34] Non si può nemmeno escludere che la materia ritorni anche al giudizio delle Sezioni Unite della
Cassazione, come già avvenuto in passato, qualora qualche convenuto assolto, ma con le spese legali
compensate, voglia ricorrere contro tale decisione.
[35] M. ORICCHIO, Il regolamento delle spese nei processi ad iniziativa officiosa, cit.
Per quanto attiene ai giudizi di responsabilità amministrativo-contabile
occorre fare riferimento all’art. 3 del D.L. n. 543/1996, convertito nella legge n. 639/1996 per il quale “in
caso di definitivo proscioglimento, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei
conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”.
Le norme che consentono l’assunzione delle spese legali da parte del Comune, rappresentano espressione
di un principio generale e fondamentale desunto dall’art. 1720 del Codice civile in materia di mandato.
In base a tale norma, come sostiene il Consiglio di Stato nella decisione n. 2242/2000, il mandante deve
risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico.
Ciò comporta che le conseguenze economiche dei comportamenti posti in essere da chi agisce per curare
un interesse altrui devono essere poste
a carico del titolare dell’interesse.
Pertanto occorre che il procedimento sia riferito a fatti verificatisi nell’esercizio e a causa della funzione
esercitata, e che non vi sia
conflitto di interessi tra l’attività dell’amministrazione e la condotta
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dell’amministratore. Occorre inoltre che il procedimento si sia concluso
con una sentenza di definitivo proscioglimento.
In merito la Corte dei conti (Sezione III centrale Appello, sentenza n. 18/2004), con riferimento ad alcune
pronunce che avrebbero limitato il rimborso delle spese legali al solo caso di assoluzione per difetto di
colpa e non anche a quelle assolutorie per difetto di gravità della stessa, ha ritenuto che si tratta di una
distinzione infondata sul piano normativo e processuale. Infatti la norma parla di definitivo proscioglimento
è tale è la sentenza di assoluzione anche se solo per difetto di gravità della colpa.
Da un punto di vista processuale le sentenze sono di condanna, di assoluzione o di parziale accoglimento
della domanda. Nel procedimento penale perché l’amministrazione possa farsi carico delle spese legali,
questo deve essersi concluso con sentenza di assoluzione che accerti l’inesistenza dell’elemento psicologico
del dolo o della colpa grave.
Per quanto riguarda il parere di congruità questo è richiesto soltanto per i dipendenti delle Amministrazioni
dello Stato, dall’art. 18 del D.L. n. 67/1997, mentre nulla è previsto per i dipendenti delle altre
amministrazioni pubbliche che possono comunque assoggettare la notula professionale al visto dell’Ordine,
sostenendo le relative spese.
Infine per quanto riguarda il rimborso di cui al D.L. n. 543/1996, questo determina un rapporto tra
convenuto assolto e l’amministrazione di appartenenza, per cui è all’interno dello stesso che si
determinano le modalità con cui può essere effettuato.
N. 08953/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
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in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 8953 del 2010, proposto dal generale Giovanni CAVATORTA, rappresentato e
difeso dal prof. avv. Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via G. Paisiello,
55,
contro
il MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, la PROCURA REGIONALE PER IL LAZIO
PRESSO LA CORTE DEI CONTI e la PROCURA GENERALE DELLA CORTE DEI CONTI, in persona dei rispettivi
Procuratori pro tempore, non costituiti,
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza nr. 21754/10 del 30 giugno 2010 emessa dalla Sezione Prima bis del T.A.R. del Lazio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 12 aprile 2011, il Consigliere Raffaele Greco;
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Udito l’avv. Scoca per l’appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il generale Giovanni Cavatorta ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del
Lazio ha respinto il suo ricorso inteso a ottenere, previo annullamento degli atti di diniego emessi dal
Ministero della Difesa, il riconoscimento del proprio diritto al rimborso delle spese legali sostenute per il
primo e il secondo grado del processo subito dinanzi alla Corte dei Conti.
A sostegno dell’appello, egli ha dedotto:
1) error in procedendo: omessa pronuncia sul primo motivo di diritto e violazione dell’art. 112 cod. proc .
civ., in relazione all’art. 360, comma 4, cod. proc. civ.; error in iudicando: violazione e falsa applicazione
dell’art. 3, comma 2 bis, del decreto legge 23 ottobre 1996, nr. 543, convertito, con modificazioni, dalla
legge 20 dicembre 1996, nr. 639, e dell’art. 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, nr. 67,
convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, nr. 135; falsa applicazione dell’art. 10 bis,
comma 10, del decreto legge 30 settembre 2005, nr. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2
dicembre 2005, nr. 248, e s.m.i.; falsa applicazione degli artt. 78 del r.d. 12 luglio 1934, nr. 1214, 25 del r.d.
13 agosto 1933, nr. 1038, 6 del d.P.R. 24 giugno 1998, nr. 260; falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis dellalegge 7 agosto 1990, nr. 241, e succ. mod.; eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta,
incompetenza e sviamento; violazione dei principi generali dell’imparzialità, correttezza, proporzionalità e
buon andamento dell’azione amministrativa (con riguardo all’omessa pronuncia del primo giudice in ordine
all’anomalia procedimentale lamentata nel ricorso di primo grado, stante l’impropria richiesta di pareri
interpretativi rivolta dall’Amministrazione, dopo l’assoluzione dell’istante dinanzi alla Corte dei Conti,
dapprima all’Avvocatura Generale dello Stato e quindi alla Procura Regionale e alla Procura Generale della
stessa Corte dei Conti);
2) error in procedendo: erronea valutazione di statuizioni giudiziali e del giudicato formatosi; error in
iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, del d.l. nr. 543 del 1996, convertito, con
modificazioni, dalla legge nr. 639 del 1996, e dell’art. 18, comma 1, del d.l. nr. 67 del 1997, convertito, con
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modificazioni, dalla legge nr. 135 del 1997; falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonché
dell’art. 8 del d.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115; mancata considerazione dei fatti; difetto di istruttoria e di
motivazione; violazione dell’art. 2 della tariffa professionale forense approvata con d.m. 8 aprile 2004, nr.
127; falsa applicazione degli artt. 78 del r.d. nr. 1214 del 1934, 25 del r.d. nr. 1038 del 1933, 6 del d.P.R. nr.
260 del 1998; illogicità manifesta; incompetenza e sviamento; violazione dei principi generali
dell’imparzialità, correttezza, proporzionalità e buon andamento dell’azione amministrativa; sconfinamento
dai limiti esterni della propria giurisdizione (con riguardo all’avere il T.A.R. condiviso le valutazioni
dell’Amministrazione, secondo cui la pur definitiva assoluzione dell’istante non escludeva in modo assoluto
la sussistenza di una sua responsabilità, ed inoltre si sarebbe trattato di sentenza non suscettibile di
soggiacere al principio del ne bis in idem, potendo essere superata da eventuali successive acquisizioni).
Le Amministrazioni appellate non si sono costituite.
All’udienza del 12 aprile 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il generale dell’Aeronautica Giovanni Cavatorta ha chiesto - ai sensi degli artt. 1 della legge 14 gennaio
1994, nr. 20, 3, comma 2 bis, del decreto legge 23 ottobre 1996, nr. 543, convertito con modifiche dalla
legge 20 dicembre 1996, nr. 639, e 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, nr. 67, convertito con
modifiche dalla legge 23 maggio 1997, nr. 135 - il rimborso delle spese sostenute per il primo e il secondo
grado del processo subito dinanzi alla Corte dei Conti per presunta responsabilità erariale.
Tale giudizio, conclusosi con sentenza definitiva di assoluzione, era relativo al coinvolgimento indiretto
dell’istante nella vicenda relativa al c.d. disastro di Ustica, con l’inabissamento di un aeromobile avvenuto il
27 luglio 1980; vicenda per la quale l’odierno appellante è stato anche imputato per gravi reati, finendo
anche in tale sede per essere prosciolto con formula piena già all’esito della fase istruttoria.
Più specificamente, con la sentenza nr. 2856 del 9 novembre 2004, la Sezione Giurisdizionale per la Regione
Lazio della Corte dei Conti ha escluso la sussistenza del danno erariale ascritto all’istante in relazione alle
spese sostenute per il recupero integrale del relitto dell’aeromobile, evidenziando che dette spese avevano
la natura di “spese di giustizia”, siccome finalizzate all’espletamento di operazioni ritenute indispensabili
dall’Autorità giudiziaria per l’accertamento della verità.
Malgrado ciò, all’esito di un lungo iter procedimentale – la cui anomalia è stata stigmatizzata dall’odierno
appellante nel ricorso introduttivo del giudizio -, segnato dalla richiesta di pareri all’Avvocatura Generale
dello Stato nonché alle Procure Regionale e Generale della Corte dei Conti, nonché da un giudizio di
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interpretazione promosso dinanzi alla stessa Corte dei Conti e conclusosi in Cassazione, l’Amministrazione
della Difesa ha negato il chiesto rimborso spese: donde il presente contenzioso, nel quale l’interessato oggi
impugna la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha confermato le statuizioni negative da lui censurate.
2. L’appello è fondato.
3. Ed invero, al di là di profili diversi e ulteriori che sono stati superati dal lungo e complesso iter sopra
richiamato, la ragione posta dall’Amministrazione a base del diniego di rimborso delle spese legali –
condivisa dal T.A.R. capitolino – consiste nell’asserita mancanza, nella specie, di una sentenza “di
proscioglimento nel merito ovvero completamente assolutoria”, che costituisce per legge il presupposto
della rimborsabilità.
Ciò in quanto, sempre a dire dell’Amministrazione e del primo giudice, nella citata sentenza nr. 2856 del
2004 non vi sarebbe stato un giudizio cognitorio pieno con conseguente esclusione in via assoluta di
responsabilità dell’interessato sotto il profilo del dolo o della colpa grave, trattandosi oltre tutto di
decisione assunta “allo stato degli atti”, e quindi suscettibile di essere superata da eventuali successive
acquisizioni.
Tale assunto non può essere condiviso.
4. Al riguardo, giova richiamare il recente orientamento di questo Consesso in ordine alla analoga
fattispecie della rimborsabilità delle spese legali a seguito di assoluzione in sede penale, laddove si è
affermato che l’Amministrazione non ha alcun margine di discrezionalità sulla formula e sulle ragioni
dell’assoluzione stessa, diversamente consentendosi un’inammissibile riedizione del giudizio di ascrivibilità
del fatto illecito per cui il dipendente è stato imputato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2011, nr. 1713).
Con specifico riguardo al giudizio di responsabilità contabile, si è poi affermato che il rimborso, da parte
dell’amministrazione di appartenenza, delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della
Corte dei Conti, ex art. 3, comma 2 bis, del citato d.l. nr. 543 del 1996, è subordinato al definitivo
proscioglimento dei succitati soggetti, prescindendo dalle ragioni che hanno condotto all’assoluzione; e,
pertanto, va riconosciuto il diritto al rimborso de quo anche in presenza di proscioglimento per mere
ragioni di rito (cfr. Cons. Stato, sez. I, 29 ottobre 2003, parere nr. 3218).
5. Pur senza aderire a tale ultimo e più “radicale” orientamento, non v’è dubbio che nel caso di specie si sia
in presenza di assoluzione piena, avendo la sentenza sopra citata del tutto escluso la sussistenza inconcreto di qualsivoglia profilo di responsabilità erariale: il fatto che ciò sia dovuto all’essere stata
riscontrata la carenza di danno erariale comporta semplicemente la superfluità di ogni approfondimento in
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ordine al profilo soggettivo della responsabilità (dolo o colpa), venendo a mancare addirittura l’elemento
oggettivo dell’illecito.
Quanto sopra rende palese l’errore di prospettiva in cui sono incorsi l’Amministrazione convenuta e ilprimo giudice, i quali si sono limitati a rilevare l’assenza di approfondimenti da parte del giudice contabile
sull’elemento soggettivo dell’illecito, senza considerare che questa era dovuta – come detto – alla
mancanza a monte dell’elemento materiale di esso (un po’ come se, mutatis mutandis, il dipendente
imputato in sede penale fosse stato assolto “perché il fatto non sussiste”, ciò che a fortiori rende del tutto
inconferente ogni indagine sull’elemento soggettivo del reato).
Nemmeno può condividersi l’assunto del giudice di prime cure secondo cui l’evocata sentenza della Corte
dei Conti non sarebbe soggetta al principio ne bis in idem, essendo stata dichiaratamente resa “allo stato
degli atti” e potendo quindi essere superata da successive acquisizioni.
Infatti, non v’è dubbio che il giudicato formatosi sull’assoluzione dell’istante è pieno, e che l’inciso “allo
stato degli atti” contenuto in sentenza va inteso semplicemente nel senso che la sussistenza di danno
erariale sia da escludersi sulla base delle risultanze acquisite agli atti del giudizio; ciò premesso, qualora in
futuro dovesse aprirsi un nuovo giudizio di responsabilità in seguito all’emergere di quel danno erariale oggi
ritenuto inesistente, ciò avverrà non certo in virtù di una “cedevolezza” del giudicato, ma semplicemente
perché si tratterà di fatti nuovi idonei a dar luogo a un diverso e autonomo giudizio.
6. Tali essendo le circostanze, è evidente la fondatezza delle censure riproposte col secondo motivo di
appello (che risultano assorbenti dei profili procedurali censurati col primo mezzo), non essendovi in capo
all’Amministrazione margine alcuno di discrezionalità valutativa in ordine ai contenuti e alle motivazioni
della sentenza di assoluzione piena riportata dall’istante.
Ne discende che vanno annullati gli atti impugnati in prime cure e va affermato il diritto dell’appellante al
rimborso delle spese legali sostenute.
7. Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in
dispositivo.
P.Q.M.
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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello,
come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il
ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.
Condanna il Ministero della Difesa al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado del
giudizio che liquida in Euro 5000,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
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L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/05/2011
IL SEGRETARIO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
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Sul ricorso numero di registro generale 10277 del 2007, proposto da:
Cavatorta Giovanni, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso lo
studio dello stesso in Roma, via G. Paisiello, 55;
contro
Ministero della Difesa, Procura Generale c/o la Corte dei Conti, Procura Regionale Corte dei Conti Lazio, non
costituiti;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
della nota in data 11.10.2007 emessa dal Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale
Militare, prot. n. M D GMIL 09VI 20 CNT 03 / GM 8437/12187, con cui è stata rigettata dell’istanza
presentata dal ricorrente per ottenere il rimborso delle spese legali relative al primo ed al secondo grado del
processo subito innanzi alla Corte dei Conti ; nonché della nota emessa dal Ministero della Difesa - Direzione
Generale per il Personale Militare in data 13 settembre 2007, prot. n. M D GMIL 09VI 20 CNT 03/ GM
8437/11064, con cui si informava l’attuale ricorrente di aver richiesto il giudizio di interpretazione alla
Procura della Corte dei Conti; e di ogni altro atto presupposto, conseguente ovvero connesso, ivi in
particolare inclusi la nota della Procura Generale presso la Corte dei Conti, prot n. PG 14914/2007 P del 18
settembre 2007, la nota della Procura Regionale presso la Sezione. giurisdizionale per il Lazio della Corte dei Conti, prot. n. G/2001/00006/SPE 54762 del 12 settembre 2007; nonché per quanto occorrere possa, le note
del medesimo Ministero resistente - DGPM prot. n. MD GMIL 09VI 20 CNT 03/GM 8437/8669 del 4 luglio
2007 e DGPM, prot. n.. M D GMIL 09VI 20 CNT 03/GM8437/4695 del 5 aprile 2007;.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
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Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2010 il dott. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i
difensori avv.to Stefano Gattamelata, con delega;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame, parte ricorrente – previa impugnazione in via strumentale degli atti con i quali
l’intimata amministrazione ha rigettato l’istanza per ottenere il rimborso delle spese legali relative al primo
e secondo grado del processo subito innanzi alla Corte dei conti – chiede il riconoscimento del proprio diritto
al rimborso di tali spese.
In punto di diritto, essa deduce:
1)violazione e falsa applicazione dell’art. 3, c. 2 bis, del D.L. 23/10/1996. n. 543 e dell’art. 18, c. 1, D.L. n.
67/1997 - falsa applicazione dell’art. 10 bis, c. 10, del D.L. n. 203/2005 e degli artt. 78, R.D. n. 1214/1934,
25, R.D. 1038/1933 e 6, DPR n. 260/1998 – violazione degli artt. 3 e 10 bis della L. n. 24171990 – eccesso di
potere sotto vari profili;
2) )violazione e falsa applicazione dell’art. 3, c. 2 bis, del D.L. 23/10/1996. n. 543 e dell’art. 18, c. 1, D.L. n.
67/1997 (sotto altri profili) – falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nonché dell’art. 8, DPR n. 115/2002
– mancata considerazione dei fatti – difetto di istruttoria e di motivazione – violazione dell’art. 2 della
tariffa professionale forense – falsa applicazione degli artt. 78 del R.D. n. 1214/1934, 25, R.D. 1038/1933 e6, DPR n. 260/1998 (sotto altri profili) – eccesso di potere sotto molteplici profili.
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Il ricorso è infondato nei sensi che seguono.
Recita l’art. 3, comma 2 bis, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (aggiunto dal D.L. 23/10/1996, convertito
con modificazioni in legge 20 dicembre 1996, n. 639 recane ad oggetto “Disposizioni urgenti in materia di
ordinamento della Corte dei conti. convertito in legge”): “In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di
quanto previsto dal comma 1 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1
del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono
rimborsate dall'amministrazione di appartenenza”.
L’art. 10 bis, c. 10, D.L. 30 settembre 2005 n. 203 - convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2005,
recante ad oggetto “Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria” ha statuito – nel testo ratione temporis vigente - che “Le disposizioni dell'art. 3, c. 2 bis del D.L.
23/10/1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 639/1996 … si interpretano nel senso che il
giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e
con le modalità di cui all'art. 91 del c.p.c. liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del
prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell'Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di
rimborso avanzate all'amministrazione di appartenenza”.
Con l’art. 17, D.L. 1/7/2009, n. 78, convertito in legge 3/8/2009, n. 102 (non applicabile, ratione temporis,alla fattispecie in esame) si è inserita, nella precedente disposizione interpretativa, la frase “non puo'
disporre la compensazione delle spese del giudizio …”.
Dispone, infine, l’art. 1, c. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20: “La responsabilità dei soggetti sottoposti
alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle
omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte
discrezionali. In ogni caso e' esclusa la gravita' della colpa quando il fatto dannoso tragga origine
dall'emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimita', limitatamente
ai profili presi in considerazione nell'esercizio del controllo. Il relativo debito si trasmette agli eredi secondo
le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento
degli eredi stessi”.
Quello sopra il quadro normativo di riferimento, come seguono le considerazioni in diritto.
Il Collegio non ignora la circostanza che in materia di rimborso spese legali ed in sede di interpretazione del
relativo disposto normativo debbano essere registrati pregressi, contrastanti orientamenti giurisprudenziali.
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Parte della giurisprudenza (cfr (cfr. Cons. St., sez. III, 11 novembre 2008, n. 1914/2008; id., 14 ottobre 2008,
n. 2391/2008; id., 29 gennaio 2008, n. 98/2008; Cass., sez. lav., 24 novembre 2008, n. 27871; sez. lav., 19
novembre 2007, n. 23904; Cons. stato), ritiene che il datore di lavoro pubblico sia tenuto a rimborsare le
spese legali sostenute dal dipendente implicato in giudizio amministrativo di responsabilità erariale, per
fatti connessi al servizio svolto o all'ufficio ricoperto, in ragione di un principio generalissimo e
fondamentale dell’ordinamento amministrativo che discende, per un verso, dall'interesse
dell'amministrazione allorquando l'inadempimento, l'imputazione o l'addebito riguardino un'attività svolta
in diretta connessione con i fini dell'ente e siano, in definitiva, ascrivibili all'ente stesso; per altro verso, dal
divieto di arricchimento senza causa e dalla regola generale di cui all'art. 1720, co. 2, c.c., dettata in tema di
rapporti fra mandante e mandatario, secondo la quale il mandatario ha diritto ad esigere dal mandante il
risarcimento dei danni subiti a causa dell'incarico.
Logico corollario di tali premesse sono:
a)l’applicazione del principio anche a fattispecie anteriori all’entrata in vigore delle specifiche norme;
b)l'affermazione che la pretesa al rimborso delle spese legali non ha consistenza di interesse legittimo ma di
diritto soggettivo, la cui sussistenza è subordinata al ricorrere di alcune condizioni normativamente stabilite.
Deve annotarsi, tuttavia, che l’affermazione di cui sopra sub a) non è del tutto pacifica.
Altro indirizzo giurisprudenziale (cfr per tutte Cd.s. sez. IV, 26/11/2009, n. 7439), che il Collegio condivide in
quanto più aderente alla peculiarità dell’ordinamento amministrativo, esclude, infatti, che la disposizione
normativa sul rimborso delle spese legali presenti portata confermativa di un principio già esistente
nell'ordinamento.
Si afferma, condivisibilmente, che non è presente nel nostro ordinamento giuridico un principio generale di
rimborsabilità delle spese legali; esistono singole, frammentate e limitate ipotesi espresse di rimborso delle
spese: trattasi, invero, di previsioni settoriali che, semmai, risultano indicative proprio della specificità del
beneficio, e non già della "generalità" dello stesso; e per il precipuo e differente carattere di normazione
diretta all'universo delle "amministrazioni statali" va esclusivamente ad essa attribuita una connotazione
introduttiva (e non meramente confermativa o ricognitiva) del generale principio di rimborsabilità, come
tale priva di efficacia retroattiva.
In altri termini, la disposizione normativa (art. 3, c. 2 bis del D.L. 23/10/1996, n. 543 convertito con
modificazioni dalla L. n. 639/1996) non può avere effetti che per l'avvenire e non può retroagire a momenti
anteriori all'evento generativo del beneficio.
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Si tratta, allora, di stabilire il momento dal quale origina il titolo alla fruizione del beneficio contemplato
dalla suddetta norma.
L'attenta lettura della stessa (“Le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei
conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”) evidenzia la inscindibile correlazione tra la
"conclusione" del giudizio con sentenza (o provvedimento) che escluda la responsabilità e la rimborsabilità
delle somme, con ciò configurandosi "la fattispecie nella sua compiuta integralità"; la stessa determinazione
del quantum ai fini del giudizio di congruità costituisce elemento attinente alla fase applicativa e non
costitutiva del beneficio stesso (in termini, C.d.s., sez. IV, 26/11/2009, n. 7439).
Ne consegue, che illegittimamente l’amministrazione ha denegato il rimborso sul presupposto che “i fatti inquestione risalgono a prima dell’entrata in vigore della legge cha ha previsto tale rimborso” dovendosi
porre attenzione, quanto all’insorgenza del diritto, all’evento generativo del beneficio come appena sopra
individuato.
La posizione di diritto soggettivo, posseduta ed azionata in giudizio, fa ragione, invece, sulla infondatezza
delle censure dedotte nel primo motivo di ricorso volte a far valere l’irritualità (rectius, illegittimità) delle
richieste che l’amministrazione ha inoltrato prima all’Avvocatura di Stato e poi alla Procura della Corte di
conti. Oggetto del presente giudizio è l’accertamento del buon diritto (azione confessoria) al rimborso dellespese legali, rispetto al quale gli atti, le lettere ed il procedimento adottati dall’amministrazione
(formalmente censurati) non svolgono alcuna funzione di intermediazione per il soddisfacimento della
pretesa sostanziale.
Ad ogni modo, nel comunicare alla parte ricorrente le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza,
l’intimat a amministrazione ha fatto proprie, per relationem, le ragioni addotte dalla Procura della Corte dei
Conti; sicché, quale che siano state le formalità seguite, l’atto di diniego, conclusivo del procedimento, resta
imputabile, nel contenuto, nella motivazione e nel dispositivo, esclusivamente all’amministrazione
procedente, mentre le richieste inoltrate alla Procura ed all’Avvocatura di Stato assumono, al più, natura e
consistenza di (legittimi) pareri facoltativi acquisiti all’istruttoria del procedimento.
Dal combinato disposto delle norme sopra evocate si evince, quale condizione normativamente stabilita
(art. 3, comma 2 bis, L. n. 639 del 1996) per il rimborso delle spese legali da parte dell’amministrazione, che
nei confronti dell’imputato in giudizi di responsabilità amministrativa sia stata pronunciata una sentenza di
proscioglimento nel merito ovvero completamente assolutoria (tanto che, è stata esclusa l’applicazione
dell’art. 3, comma 2 bis, L. n. 639 del 1996, nel caso di assoluzione per assenza di colpa grave: C. Conti reg.
Liguria, sez. giurisd., 3 dicembre 2005 , n. 1471).
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Non è dubbio che tale condizione manchi nella fattispecie in esame.
La sezione giurisdizionale del Lazio della Corte dei conti – con la decisione di primo grado - ha osservato che
“il danno di cui si chiede il risarcimento … è conseguente alle spese sostenute dall’erario per il recupero del relitto del DC9 ITAVIA; recupero che è stato effettuato nel corso delle indagini penali finalizzate ad accertare
la causa del disastro aer eo. Si tratta, in sostanza, di un’azione risarcitoria che è strettamente correlata a
condotte che hanno un rilievo penalistico e che sono tuttora sub iudice (…) ai convenuti si contesta di aver
indotto l’autorità giudiziaria penale ad ordinare il recupero integrale del relitto del DC9 ITAVIA al fine di
accertare le cause del disastro aereo di Ustica, recupero che non sarebbe stato necessario – almeno nella
sua integralità – ove gli stessi convenuti non avessero manifestato reticenze ed omissioni tali da impedire
una attendibile ricostruzione dei fatti (…). Posto che si tratta di questione appartenente alla giurisdizione del
giudice della responsabilità amministrativa, va, peraltro rilevato che la peculiarità della fattispecie induce a
ritenere … che l’element o oggettivo della responsabilità non abbia ancora i requisiti della attualità e della
concretezza necessari perché possa essere utilmente esercitata l’azione di responsabilità (…). Al riguardo si
ribadisce che il recupero del relitto aereo è stato chiesto dalla magistratura penale nell’ambito delle
complesse indagini finalizzate all’accertamento delle cause del disastro; le spese sostenute per il recupero
integrale del relitto hanno, quindi, la natura di spese di giustizia il cui regolamento avrà i caratteri della
definitività solo all’esito del processo nell’ambito del quale le spese sono state ordinate. Tale circostanza
riverbera i suoi effetti anche in termini di concretezza ed attualità del danno, tenuto conto che soltanto in
base alle risultanze definitive del processo penale sarà dato conoscere se le spese in questione vengano
addebitate – ed in quale misura – ai soggetti ritenuti responsabili dei reati loro ascritti o se, invece, vengano
considerate quali spese gravanti esclusivamente sul bilancio dello Stato, non ripetibili a carico dei
soccombenti. Ed è ovvio che del tutto diverse saranno le valutazioni che ne conseguono in termini sia di
effettiva sussistenza del danno erariale sia di esatta quantificazione del danno stesso. In definitiva, la
domanda non può, allo stato degli atti, essere accolta per mancanza dei requisiti dell’attualità e della
concretezza del danno”
La Sezione prima giurisdizionale centrale della Corte di conti – pronunciandosi sugli appelli (principale ed
incidentale) proposti da parti avverso la suddetta sentenza – ha definitivamente chiarito che “In tale
contesto decisorio, l’espressione “allo stato degli atti” utilizzata dal primo giudice, al fine di giustificare e
chiarire la portata del suo pronunciato, non può essere in alcun modo letta ed equivalere … quale sinonimo
di una non consentita “sentenza provvisoriamente assunta” o di una ”sentenza interlocutoria con sottesa
riserva di pronunciamento definitivo” … Quella espressione è, al contrario, meramente indicativa e
significativa d una pronuncia, come ogni altra, resa sulla base degli elementi e delle risultanze processuali
che per l’evidenziata carenza di alcune componenti essenziali dell’azione di responsabilità, non consentiva
una pronuncia nel merito delle contestazioni mosse (…) Pertanto, alla impugnata pronuncia della corte
territoriale … va assegnata carattere di definitività, quale tipico provvedimento recettivo dell’azione per
difetto di talune delle sue componenti essenziali, al quale, per il suo chiaro contenuto logico e lessicale, resta
estranea ogni statuizione od esigenza di provvedimento interlocutorio od istruttorio. A ciò consegue, altresì,
quale ulteriore corollario, che, entro i ristretti limiti di tale suo contenuto, l’indicata statuizione è destinata
ad acqui sire forza di giudicato che … non è idoneo a coprire altre deduzioni e/od a precludere ulteriori
iniziative dell’organo requirente che si rendessero praticabili in ragione di successive acquisizioni, nella
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chiarita assenza in quel pronunciamento, di ogni accertamento definitivo sulla responsabilità
amministrativa”.
Come si evince per tabulas dalla mera lettura del pronunciamento della Corte di conti, la sentenza definitivaresa nei confronti di parte ricorrente non reca alcuna statuizione in ordine all’accertamento della
responsabilità amministrativa. E’ una pronuncia affatto priva, nel suo contenuto, di qualsiasi valutazione e/
o accertamento in punto di siffatta responsabilità, escludendo solo il danno risarcibile con sentenza
definitoria del processo. Una sentenza che, ancorché definitiva quanto alla reiezione dell’azione per difetto
di talune sue componenti essenziali (est, danno risarcibile), non affronta né decide, però, il merito della
vicenda, nel senso che non prende in alcun modo in considerazione la condotta di parte ricorrente per
giudicarla ai fini della colpevolezza o della assoluzione dagli addebiti.
Tanto vero che, la pronuncia del giudice contabile non copre affatto “altre deduzioni” né preclude “ulteriori
iniziative dell’organo requirente che si rendessero praticabili in ragione di successive acquisizioni”; e tutto
ciò “nella chiarita assenza in quel pronunciamento, di ogni accertamento definitivo sulla responsabilità
amministrativa”.
E’ proprio la sentenza della Corte dei Conti ad affermare, in modo deciso, chiaro e tassativo, che è mancato
un accertamento definitivo sulla responsabilità amministrativa di parte ricorrente.
Non una sentenza in rito, quindi, avendo la Corte respinto l’azione della procura presso la Corte dei conti per
mancanza del danno risarcibile, ma neppure idonea ad inverare – per il suo contenuto - la condizione
normativa imposta dalla fonte paradigmatica occorrendo, affinché le spese legali sostenute dai soggetti
sottoposti al giudizio della Corte dei conti siano rimborsate dall'amministrazione di appartenenza, il
definitivo proscioglimento dell’agente nel merito - ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell'art. 1 della
legge 14 gennaio 1994, n. 20 (giusta art. 3, comma 2 bis, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, aggiunto dal
D.L. 23/10/1996, convertito con modificazioni in legge 20 dicembre 1996, n. 639: ratione temporis vigente) -
; ossia, un giudizio cognitorio pieno sui fatti e le omissioni contestate all’esito del quale sia stata accertata,
definitivamente, l’assenza di responsabilità amministrativa, ovvero del dolo o della colpa grave in capoall’agente: accertamento, questo, sull’elemento soggettivo, che nella fattispecie è del tutto mancato.
Né può inferirsi che la sentenza della Corte può essere assimilata, ai fini che qui interessano, ad un
pronunciamento di assoluzione e/o proscioglimento. La sentenza (di merito) ha escluso, come detto,
l’esistenza di un danno risarcibile, in difetto dei suoi presupposti, senza trattare, però, nel merito, la
responsabilità amministrativa dell’agente (condotta e nesso di causalità) alla luce dei fatti contestatigli
dalla Procura. A tutta evidenza, si tratta di una decisione che, accertativa della carenza del danno al
momento della proposizione dell’azione, non è tecnicamente qualificabile, allo specifico fine del giudizio
sulla rimborsabilità, come assolutoria dalla responsabilità amministrativa (tanto vero che, rispetto a tale
accertamento - e contestazione dei fatti – neppure trova applicazione il principio del ne bis in idem ed il
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giudice contabile ben potrà conoscere della stessa vicenda “in ragione di successive acquisizioni”); e
neanche appare condivisibile la tesi secondo cui ogni futuro accertamento resta precluso dall’assoluzione
disposta in sede penale, atteso che il proscioglimento è avvenuto, in quella sede, non già per assoluzione
piena (ovvero, perché il fatto non sussiste e/o per non aver commesso il fatto), bensì, per non luogo a
procedere “poiché il fatto non è più previsto dalla legge come reato … e perché estinti per prescrizione …”,
lasciando, così, predicabile un successivo giudizio di responsabilità ad altri fini (id est, disciplinari).
Sennonché, le disposizioni che prevedono il rimborso delle spese legali, nel fissare i relativi presupposti
costitutivi della fattispecie, devono ritenersi di stretta interpretazione; ciò in quanto, come sopra
argomentato, non esiste nel nostro ordinamento un principio generale che consenta di affermare,
indipendentemente dalla fonte normativa settoriale ed a prescindere dai limiti in cui il diritto viene
conformato, l’esistenza di un generalizzato diritto al rimborso di tali spese; circostanza, quest’ultima, che
rende, in parte qua, manifestamente infondati i rilievi di incostituzionalità adombrati nei riguardi dell’art. 10
bis, c. 10 della L. n. 248/2005.
La condizione normativa in commento (proscioglimento nel merito, rectius, accertamento della inesistenza
della responsabilità amministrativa) costituisce, pertanto, l’unico ed effettivo presupposto del credito
azionato, in difetto del quale manca la ragione causale stessa per chiedere ed ottenere il rimborso delle
spese legali sostenute nell’ambito di un giudizio contabile.
Si tratta di una condizione/presupposto tassativa, indefettibile ed indeclinabile, non altrimenti surrogabile in
via analogica, e neppure sospetta, sotto altri profili, di incostituzionalità (id est, violazione degli artt. 3, 24 c.
2^, 111 e 113 della Costituzione) in quanto omologa alle ipotesi di responsabilità penale per le quali il
rimborso delle s pese legali è anch’esso condizionato, dall’ordinamento, alla piena assoluzione dell’imputato
dalla responsabilità imputatagli (est, conclusione del procedimento con una sentenza di assoluzione, che
abbia accertato la insussistenza dell'elemento psicologico del dolo o della colpa grave).
Ne consegue, stante la carenza del citato presupposto, ed assorbita ogni altra considerazione,
l’infondatezza della pretesa azionata in giudizio per difetto di un elemento costitutivo della fattispecie paradigmatica.
La mancata costituzione delle parti evocate in giudizio esime il collegio dalla pronuncia sulle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I-bis – respinge, nei sensi in motivazione, il ricorso
meglio in epigrafe specificato.
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Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Franco Angelo Maria De Bernardi, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/06/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
Legge 20 dicembre 1996, n. 639
" Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543 recante disposizioni
urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti"
omissis
10. Le disposizioni dell'articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell'articolo 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che
il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi
e con le modalità di cui all'articolo 91 del codice di procedura civile «non puo' disporre la compensazione
delle spese del giudizio e» liquida l'ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto,
fermo restando il parere di congruità dell'Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso
avanzate all'amministrazione di appartenenza.».
__________________________________________
Legge 3 agosto 2009, n. 102
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti
anticrisi, nonchè proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali"
omissis
30-quinquies. All'articolo 10-bis, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con
modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: «procedura civile,» sono inserite le
seguenti: «non puo' disporre la compensazione delle spese del giudizio e».
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