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IL LAVORO, ESSENZA NATURALE DELL’INDOLE UMANA
di Tommaso Felici - classe 5 AC
Tesi maturità 2015 (a.s. 2014-2015)
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Mappa concettuale
IL LAVORO, ESSENZA NATURALE DELL’INDOLE UMANA
Cos’è il lavoro
Dinamicità, cambiamento e progresso: tendenze del
genere umano
L’importanza di laborare
Marx: l’alienazione dal
lavoro come alienazione
dalla propria essenza
La tensione umana verso
l’infinito
L’infinito come
superamento dei propri
limiti
-“Viandante sul mare di nebbia”, Friedrich
-Fichte-“L’infinito”, Leopardi
Il lavoro, essenza naturale
dell’indole umana
Laboromnia vincit
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SOMMARIO
MAPPA CONCETTUALE 2
INTRODUZIONE 4
CHE COS’È IL LAVORO 4
DINAMICITÀ, CAMBIAMENTO E PROGRESSO: TENDENZE DEL GENERE UMANO 5
L’UOMO COME SOGGETTO ATTIVO DEL CAMBIAMENTO 5
L’UOMO TENDE AL PROGRESSO 6
IL LAVORO IN FISICA Errore. Il segnalibro non è definito.
L’IMPORTANZA DI LABORARE 9
LABOR OMNIA VINCIT 11
MARX: L’ALIENAZIONE DAL LAVORO COME ALIENAZIONE DELLA PROPRIA ESSENZA 13
LA TENSIONE UMANA VERSO L’INFINITO 14
INFINITO COME SUPERAMENTO DEI PROPRI LIMITI 14
“VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA” 15
L’IO ETICO FICHTIANO 16
“L’INFINITO” 18
CONCLUSIONE 19
IL LAVORO, ESSENZA NATURALE DELL’INDOLE UMANA 20
FONTI: 21
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INTRODUZIONE
Nei cinque anni di carriera liceale mi sono più volte domandato quale fosse lo scopo della
scuola. Dopo tante riflessioni, dopo numerosi confronti con compagni di classe, parenti, amici,
docenti, in questo ultimo anno sento di essere più vicino alla tanto agognata risposta.
Il compito principale della scuola è quello di formare individui, con una propria
personalità, con idee proprie, con una capacità critica che li renda pronti ad affrontare il mondo
circostante una volta lasciate le aule scolastiche, considerate spesso una barriera che isola dal
mondo esterno, all’interno delle quali ci sentiamo quasi rassicurati, perché siamo ancora giovani,
possiamo ancora sbagliare e non siamo ancora costretti ad affrontare i veri problemi della vita
adulta.
Lo scopo di questa breve introduzione è giustificare la mia scelta verso questo genere di
tesina. Infatti, dovendomi tra pochi mesi relazionare con realtà completamente diverse da quella
odierna e con ogni probabilità anche più difficili e rischiose, ho deciso di voler mostrare in
questo lavoro la mia presunta e sperata maturazione quale individuo “pronto per il mondo
esterno”, capace di analisi critica, di sapersi orientare autonomamente, ma soprattutto di riuscire
a sviluppare e portare avanti proprie idee.
Di conseguenza, piuttosto che riportare nella tesina il pensiero di altri e di limitarmi ad
esporlo, ho preferito delineare la mia analisi dell’argomento preso in visione, ovvero la tematica
del “lavoro”, come a breve espliciterò, e di usufruire dei vari argomenti studiati in questi cinque
anni solo a testimonianza e conferma di ciò che IO penso.
Che COS’È IL LAVORO
Il termine “lavoro” sta ad indicare l’applicazione di una energia fisica e/o intellettuale al
conseguimento di un fine determinato. Il termine deriva dalla parola latina “labor”, che
letteralmente significa “fatica”. Il lavoro è dunque una fatica, una fatica di diverso genere che
l’uomo compie per raggiungere un obiettivo attraverso una sfida contro se stesso.
Non bisogna però dare per scontato quale sia il fine del lavoro: infatti, oltre al compenso
monetario, si accostano una serie di altre potenziali motivazioni che spingono un essere umano a
lavorare. Primo fra tutti può venire alla mente il fine sociale, come nel volontariato, che non
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porta un guadagno economico a chi laborat, ma un compenso morale, ovvero la felicità di aver
fatto del bene alla società.
Sarà fondamentale tenere presente ciò durante questo percorso, ovvero considerare il
lavoro quale fatica che un uomo compie per raggiungere uno scopo, e non inteso, come più volte
avviene erroneamente ai nostri giorni, come un’attività svolta solamente per portare a casa uno
stipendio.
La visione di lavoro inteso come fatica la troviamo anche in Dante al tredicesimo verso
del I canto del Paradiso, dove egli scrivendo “all’ultimo lavoro”, si riferisce all’ultima fatica che
dovrà compiere per terminare la Divina Commedia.
Compreso ciò, si può ben capire come laborare può corrispondere al tentativo di un
uomo di sfidare se stesso, sfidare le proprie potenzialità e attraverso una serie di fatiche cercare
di raggiungere obiettivi prefissati, apportando un cambiamento nella propria vita. Ora dovremmo
chiederci quanto sia importante per l’uomo mettersi in gioco e ricercare il progresso, inteso come
un cambiamento in positivo delle proprie condizioni. Una volta esplicitata l’importanza o meno
di ciò, potremmo forse iniziare a definire quanto realmente laborare si possa considerare
fondamentale nella vita di ogni singolo individuo.
DINAMICITÀ, CAMBIAMENTO E PROGRESSO: TENDENZE DEL GENERE UMANO
L’UOMO COME SOGGETTO ATTIVO DEL CAMBIAMENTO
L’essere umano, sin dall’inizio della propria esistenza, ha sempre puntato al progresso
della propria razza, al tentativo di superare i proprio limiti per cercare di manovrare e governare
la realtà circostante, la quale nel corso dei secoli ha subito un processo di subordinazione nei
confronti dell’uomo, che nel tempo ha imposto il proprio dominio su gran parte del nostro
pianeta, sia sugli altri esseri viventi quali animali e vegetali, sia cercando di controllare sempre di
più gli eventi atmosferici, riuscendo in molti casi a limitarli o addirittura a sfruttarli a proprio
vantaggio.
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È questa forse una delle principali differenze che l’uomo ha nei confronti del regno
animale e vegetale. Questi ultimi infatti non hanno
mai puntato al cambiamento volontario, ma sono
sempre stati oggetto del cambiamento. Con ciò
intendo che essi sono mutati al variare
dell’ambiente circostante, tramite la selezione
naturale, diventando oggetto passivo del fenomeno
evolutivo. Viceversa l’uomo, sin dall’inizio, si è
fatto portavoce di un processo di evoluzione attivo,
ponendosi come soggetto del cambiamento, al
contrario, per l’appunto, dei restanti esseri viventi.
Effettivamente egli, al variare di una determinata situazione ambientale o riscontrando
alcune problematiche più o meno importanti, dove possibile, non ha mai aspettato che queste
criticità modificassero la sua stessa natura, ma viceversa ha cercato di modificare lui stesso
l’ambiente, divenendo per l’appunto soggetto attivo del cambiamento.
L’UOMO TENDE AL PROGRESSO
Possiamo dunque vedere come l’uomo sin dalla sua nascita abbia sempre cercato di
cambiare, di progredire, di migliorare le proprie condizioni. L’uomo della pietra decise di
modificare l’ambiente unendo una pietra appuntita ad un’asta per riuscire a cacciare, e non
aspettò millenni affinché tramite la selezione naturale spuntassero “delle lame” al posto delle sue
braccia, o che gli spuntassero dei canini degni dei migliori felini, o che potesse raggiungere una
velocità invidiabile anche al più veloce ghepardo; gli Egizi non si preoccuparono delle
inondazioni del Nilo e non si trasferirono lontano da esso, ma attraverso dighe, canali e serbatoi
d’acqua riuscirono a sfruttarlo al meglio fertilizzando i campi e di conseguenza promuovendo
l’agricoltura, nonché il commercio, grazie alle loro imbarcazioni; i Romani modificarono il
terreno per costruire strade che permettessero la migliore viabilità possibile all’interno del loro
territorio; nel Medioevo furono inventati nuovi strumenti agricoli, come l’aratro a due ruote, per
produrre di più e fu introdotto il sistema triennale per sfruttare al meglio i campi; durante le
rivoluzioni industriali si cercò di far nascere una serie infinita di nuovi prodotti che migliorassero
le condizioni di vita della popolazione; ai giorni nostri attraverso le energie rinnovabili siamo
arrivati a sfruttare fenomeni atmosferici pericolosi nell’antichità a nostro vantaggio…
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In ogni epoca, in ogni secolo, in ogni decennio, in ogni anno, in ogni mese e
probabilmente persino in ogni giorno della storia dell’uomo c’è sempre stato qualcuno che
mettendosi in gioco, cercando di superare le proprie difficoltà e quelle della società circostante,
ha cercato il progresso.
Logico che esso si sia spesso rivelato fallimentare, o che abbia portato più danni che
vantaggi, ma questo non esclude la continua ricerca dell’uomo di cambiare, prefigurandosi come
la specie animale dinamica per eccellenza, avversa alla staticità.
Considerato ciò, si potrebbe pensare che si stia per cadere in una generalizzazione
eccessiva, mettendo alla pari tutto il genere umano. Di conseguenza, è d’obbligo sottolineare che
sono ben cosciente che ogni individuo è diverso dall’altro, e che come c’è chi condanna
completamente la staticità, c’è anche chi condanna il tentativo di progredire, ma ciò non esclude
che anche l’essere umano più statico e avverso al progresso, paragonato al più dinamico animale
mai esistito, appare immensamente più intraprendente di quest’ultimo. Se ci si pensa, già
soltanto il fatto di schierarsi contro il cambiamento è il tentativo di farsi portavoce di un
cambiamento, e quindi di presentarsi quale soggetto attivo all’interno di una società. Anche chi
vorrebbe tornare ad una società passata, chi non desidera le innovazioni odierne, chi vorrebbe un
mondo “più tranquillo e meno caotico”, chi rimpiange il passato più o meno recente
condannando il progresso quale allontanamento dall’epoca prediletta, a conti fatti sta
promuovendo un tentativo di progresso.
Un animale non penserebbe mai di cambiare il proprio branco (inteso come società), o
per lo meno non lo farebbe volontariamente e nel tempo impiegato da un uomo. Ciò avverrebbe
tramite i processi di cui abbiamo parlato sopra, nell’arco di moltissimi secoli, se non di millenni.
All’uomo invece bastano pochissimi anni per rivoluzionare completamente il proprio modo di
vivere e di pensare.
An example of that is the second industrial revolution. Thanks to scientific discoveries
and new sources of energy, in about sixty years, it changed completely the way people lived.
First of all, electricity was discovered, it has allowed people to have a lot of energy with
little effort and at a low price. Afterwards, light bulbs were also invented. Light bulbs were
collocated in factories to let the workers work also overnight without problems, on roads and in
houses to improve people life conditions. Another important invention was the electric telegraph
and subsequently telephone. At the beginning, it was really difficult to use telephone, but in a
short time a lot of telegraph companies were interested in it and thanks to investments, its use
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was rapidly improved. Cars were also built by Ford, as well as a plane by Wilbur and Orville
Wright. Medicine made progress and scientific discoveries continued.
All this led to a complete transformation of the way of thinking and living of people: cars
and planes gave a new concept of space and time, the relationship between industry and
agriculture was modified, cities grew larger, immigration increased as it had never been seen
before, the capitalistic system developed and became more powerful.
Consequently, in less than a century people found themselves, for better or for worse,
living in a completely different way.
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L’IMPORTANZA DI LABORARE
Esplicitata la tendenza al cambiamento innata nell’essere umano, posso introdurre il
collegamento che vi è tra quanto detto e il “laborare”.
Il lavoro, inteso secondo la definizione in precedenza data, potrebbe essere per ogni
singolo individuo, la modalità quotidiana con la quale soddisfare il desiderio di dinamicità.
Lavorare può corrispondere quasi ad uno sfogo giornaliero per l’essere umano, attraverso
il quale, a fronte di alcune fatiche, può mettere in discussione se stesso e la realtà circostante,
impegnandosi di volta in volta per migliorare le proprie condizioni, manifestando una tendenza
che altrimenti resterebbe soffocata nel profondo del suo animo. E con ciò non miro solo a
sottolineare l’importanza del guadagno, ma affianco ad essa un’altra vittoria per il lavoratore,
vittoria giornaliera conseguita nel libero sfogo del proprio desiderio di dinamicità.
A tal proposito potremmo ricordare un passo di Seneca, estratto dalla prima lettera della
raccolta “Epistulae morales ad Lucilium”. In essa l’autore latino si concentra sulla tematica del
tempo, che egli ritiene essere uno dei beni più importanti concessi all’essere umano. Seneca
rivendica all’amico che spesso il tempo è sottratto e rubato, fatto gravissimo, ma afferma che
cosa ancor più grave è la perdita di tempo per propria negligenza. In particolare egli scrive
“maxima pars vitae elabitur nihil agentibus”ovvero che “una grandissima parte della vita
sfugge a chi non fa niente”. In sintesi Seneca sta condannando la staticità, affermando che solo
chi agisce, può realmente riuscire a sfruttare al meglio il tempo e a vivere in maniera migliore.
Dopo questo breve excursus sull’importanza “di fare qualcosa”, è il caso di specificare
nuovamente che il lavoro in questo percorso
corrisponde ad una qualsiasi attività che si ponga
un obiettivo, e di conseguenza non bisogna
limitarsi a relazionare questi pensieri con i tipici
lavoratori come segretari, commessi,
imprenditori e chiunque compia quel genere di
attività che ci viene subito alla mente
nell’ascoltare il termine “lavoro”. Lavorare è anche andare in bicicletta puntando a migliorare i
propri tempi, sforzarsi nel basket per superare i propri difetti per essere chiamato da qualche
squadra più forte, fare la casalinga o il casalingo ed impegnarsi nella propria attività.
Ovviamente, nella nostra società, salvo rare eccezioni di persone particolarmente benestanti, è
doveroso avere un compenso economico per arrivare a fine mese (affinché si possa vivere
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decorosamente), ma per ogni individuo è importante come si vive l’acquisizione di tale
compenso ,e, qualora esso non generi soddisfazione nella persona, essa dovrà cercare altre vie
per mettersi in gioco.
A testimonianza di ciò, posso proporre un aneddoto tratto dalla mia esperienza personale:
mi è capitato una volta di conoscere una signora, madre di una mia amica, che da qualche anno
aveva smesso di lavorare, essendo la sua una famiglia particolarmente benestante e non avendo
di contribuire al mantenimento economico della propria famiglia. Questa signora mi disse che da
qualche giorno stava disperatamente cercando un lavoro, un lavoro il cui compenso era forse
minore delle spese che avrebbe dovuto affrontare per far partire l’attività (il lavoro consisteva nel
partecipare ad un gruppo che organizzava feste), e quindi non con lo scopo di guadagnare, ma
solamente, come lei ammise testualmente, “per volersi mettere in gioco e sfidare se stessa”.
So perfettamente che per chi è benestante è assai più facile portare avanti simili progetti,
ma ad esempio anche mia madre, nonostante abbia un lavoro fisso, stipendio fisso e tutto in
regola, ha deciso di cimentarsi in un’attività artigianale, vendendo collane fatte a mano,
imparando da internet. Il guadagno è ben poco, ma nonostante ciò l’impegno è enorme e più va
avanti più cerca di migliorare la propria “attività” e di creare collane sempre più innovative.
Perché, se non proprio con il fine di dare sfogo a questo desiderio di dinamicità e di
sfidare se stessi, di cui abbiamo parlato? Senza dover portare altri esempi, credo che ognuno di
noi guardando alle proprie esperienze possa rendersi conto che, in molti casi, un individuo non
soddisfatto del proprio lavoro o disoccupato per scelta svilupperà un atteggiamento alienato e
proteso a voler intraprendere una qualche attività.
Proprio per l’enorme importanza che ha il laborare nelle nostre vite e per il bisogno di
ognuno di noi di mettersi continuamente in gioco con se stesso, è fondamentale non sottovalutare
il proprio rapporto con il lavoro. Lavorare significa sfuggire alla staticità, agli schemi fissi e
cercare di sfidare se stessi, di migliorarsi: insomma, significa vivere giornalmente ciò che l’uomo
vive ormai da 200.000 anni.
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LABOR OMNIA VINCIT
La frase appare nelle Georgiche di Virgilio (I, 145-146), nella forma “labor omnia vicit
improbus, et duris urgens in rebus egestas”, ovvero “ogni difficoltà è vinta dal duro lavoro, e dal
bisogno che preme sulle dure vicende”
Le Georgiche, (in latino"Georgica", dal greco γεωργικός, "abile contadino", o, più
semplicemente, "agricoltura") sono un poema di Publio Virgilio Marone, scritto in esametri,
composto tra il 36 e il 29 a.C. Presentandosi quale poema didascalico, quest’opera si pone come
obiettivo l’istruire i lettori su vari argomenti, primi fra tutti il lavoro nei campi, l’apicoltura e
l’allevamento.
Questo però non era l’unico fine del poema, infatti attraverso le digressioni venivano
introdotte altre tematiche di scottante attualità. In particolare, nella digressione del libro I, ai vv.
118-159, è trattato l’argomento “lavoro”. Esso è visto contestualizzato nel presente in cui
Virgilio viveva. L’autore infatti credeva che la causa dei mali politici che aveva portato i
disordini perenni e le guerre civili, era una crisi dei costumi romani, e di conseguenza per
riuscire a chiudere definitivamente questa oscura fase della storia romana, era necessario un
programma di restaurazione di valori morali.
Ed è qui che rientra il concetto di lavoro. Ogni individuo doveva impegnarsi al massimo
nel proprio lavoro, il quale era visto come fattore principale di progresso e benessere per una
società ordinata.
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Il lavoro è presentato come dono di Giove all'uomo affinché egli, spinto dalla necessità,
assottigli l'ingegno ideando le varie attività e perseguendo il progresso. Senza lavoro e fatica non
ci può essere progresso.
13
MARX: L’ALIENAZIONE DAL LAVORO COME ALIENAZIONE DELLA PROPRIA ESSENZA
A questo punto vorrei fare un riferimento al pensiero marxista dell’alienazione dell’uomo.
Marx, nei suoi scritti, individua quattro diverse forme di alienazione:
A. Alienazione dal prodotto dell’attività lavorativa, poiché il lavoratore di una società
capitalistica produce prodotti che non gli appartengono.
B. Alienazione dell’attività stessa, dal momento in cui l’operaio, viste le durissime
condizioni di lavoro, si sente schiavo di un altro uomo, ovvero del proprietario.
C. Alienazione dalla propria essenza, in quanto secondo Marx il lavoro è fondamentale
nella vita di un uomo e l’alienazione da esso porta ad una alienazione dell’essenza stessa
di un individuo.
D. Alienazione dai propri simili, non potendo il lavoratore godere dei propri prodotti con
amici o parenti e relazionandosi solo con il capitalista viste le durissime condizioni
lavorative.
La causa che ha portato all’alienazione dell’uomo per Marx è la proprietà privata e la
conseguente nascita del capitalismo, e come sappiamo la soluzione da lui trovata è la
rivoluzione.
Ora, senza dilungarci eccessivamente su quello che è il pensiero marxista, vorrei portare
l’attenzione sul terzo punto analizzato dal filosofo, ovvero l’alienazione dalla propria essenza.
Secondo Marx il lavoro costituisce il modo più autentico di essere al mondo, in quanto
consente al soggetto di appropriarsi della natura, creando un universo dotato di senso per sé e per
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gli altri. L’alienazione dal lavoro, con la conseguente alienazione dalla propria essenza e dalla
società è un fenomeno gravissimo per l’essere umano, come riconosce lo stesso filosofo tedesco.
Sebbene Marx si riferisca ad un determinato ambiente economico, ovvero al lavoro nella
società capitalistica e faccia esplicito riferimento al problema del guadagno, mentre questo
percorso va ad analizzare il lavoro in forme molto più generali e indefinite, viene alla luce il fatto
che anche Marx riconosce nel lavoro un fondamento dell’uomo, e l’allontanamento da esso un
problema SOCIALE e PERSONALE per gli individui e non solo un problema economico.
Anche la causa di cui egli parla, ovvero l’impossibilità si appropriarsi della natura e
gestirla per se stessi e per gli altri, è una sfumatura non molto lontana dal desiderio di dinamicità
e progresso sopra citati. Effettivamente il filosofo affermando ciò non fa altro che dire che
l’individuo non ha la possibilità di rendersi soggetto attivo e dinamico della realtà, ma diventa
contro la sua natura e il suo desiderio oggetto passivo del cambiamento e del progresso,
alienando se stesso dalla realtà che lo circonda a causa della situazione in cui viene a trovarsi.
Di conseguenza possiamo notare che anche Marx, in maniera più velata, afferma che
l’uomo nel lavoro manifesta il suo desiderio di essere soggetto attivo e che l’impossibilità di
esserlo provoca gravi conseguenze nella sua vita.
LA TENSIONE UMANA VERSO L’INFINITO
INFINITO COME SUPERAMENTO DEI PROPRI LIMITI
Dopo aver più volte motivato espresso la concezione dell’uomo quale soggetto attivo,
ora con l’aiuto di alcuni autori si renderà evidente come l’uomo nella sua dinamicità punti
continuamente a superare i propri limiti, concetto che rientra pienamente nella definizione di
lavoro di cui tesina stiamo trattando.
In particolare mi vorrei soffermare su un determinato movimento culturale, ovvero il
Romanticismo. È proprio del romanticismo infatti il concetto di streben, termine con il quale si
intende la continua aspirazione dell’uomo verso l’infinito e l’assoluto a causa di una propria
insoddisfazione. L’insoddisfazione, in questi casi, è propria dell’autore per svariate ragioni,
come ad esempio il sentirsi rigettato dalla classe borghese dalla quale egli stesso deriva.
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Tuttavia staccandoci dalle cause e dal periodo storico di riferimento e generalizzando,
vorrei porre l’attenzione sull’importanza data all’aspirazione verso l’infinito e l’assoluto, visti
spesso anche come chiave di ricerca della perfezione.
L’infinito e l’assoluto corrispondono al tendere dell’uomo verso un qualcosa che non gli
appartiene, verso un qualcosa di “superiore” sul quale ancora non ha potere: per questo credo sia
più che dovuta la relazione tra tale aspirazione e il concetto per il quale l’uomo desidera
continuamente superare se stesso e i propri limiti.
“VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA”
Dapprima volevo analizzare la rappresentazione artistica “Viandante sul mare di nebbia”
di Caspar David Friedrich, del 1818.
In quest’opera infatti l’autore mette l’uomo a confronto con un paesaggio indefinito e
nebuloso e pertanto rappresentante l’assoluto e l’infinito; la posizione del viandante, di spalle a
chi guarda l’opera, rivolto verso questo “spettacolo”, invita alla contemplazione del paesaggio, e
per analogia questo atteggiamento corrisponde all’invito a contemplare l’assoluto. Esso si
presenta come una meta alla quale si vorrebbe giungere, elevando il proprio animo al di sopra
della realtà contingente. Nel Romanticismo ciò evoca una serie di sensazioni e sentimenti
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negativi, in particolar modo sentimenti malinconici, vista l’impossibilità dell’uomo di giungere a
questo tanto ambito infinito, che lo porterebbe a oltrepassare i limiti imposti dalle leggi naturali.
L’impossibilità di ottenere il risultato sperato è un atteggiamento tipico romantico, che va
sottolineato nel momento in cui si nomina questa corrente artistica ma dal quale allo stesso
tempo dobbiamo prendere le distanze, ricordandoci il perché ci siamo interessati a questo
periodo, ovvero per dimostrare quanto l’uomo tenda al superamento dei propri limiti e a sfidare
le proprie possibilità.
Sempre In riferimento a questo periodo vediamo nascere una corrente filosofica che più
o meno volontariamente cercherà di fornire i “mezzi” agli autori romantici per riuscire ad
elevarsi al di sopra della realtà contingente, ovvero l’idealismo.
Esso infatti, superando la prospettiva “gnoseologica” del criticismo, concepisce il
soggetto come principio assoluto della realtà, dal quale ogni cosa è di conseguenza dedotta. In
particolare, vorrei fare esplicito riferimento ad uno dei fondatori di questo movimento filosofico,
cioè Fichte.
L’IO ETICO FICHTIANO
Fichte, con il suo pensiero, affermò che non potesse esistere niente al di fuori del soggetto
stesso. Esso, poiché non più limitato da una realtà noumenica, si presenta quale principio
assoluto e infinito: il Grande Io.
Il Grande Io vive tre fasi distinte:
1. Tesi;
2. Antitesi;
3. Sintesi.
Nella tesi l’Io si rivela quale attività auto-creatrice che ha immediata autoconsapevolezza
di se stessa. Nell’antitesi l’Io puro si oppone a un non-io, ossia all’oggetto, poiché ha bisogno di
qualcosa di diverso per autodefinirsi. Nella fase finale invece, ovvero la sintesi, l’Io dopo aver
posto il non-io si definisce in tantissimi io empirici e finiti, che si contrappongono alle singole
cose, creando la realtà che noi stessi percepiamo ogni giorno nella nostra vita.
A questo punto affrontiamo l’aspetto del pensiero di Fichte che più ci interessa, ovvero il
carattere etico dell’idealismo fichtiano. Lo sviluppo dell’Io consiste nel superare continuamente
l’urto con il non-io, un urto infinito che permette allo spirito di mostrarsi quale soggetto etico. Lo
stesso concetto di io fichtiano è streben, continua ricerca di superare gli ostacoli. L’Io, ovvero
l’uomo, ha dunque il compito di forgiare continuamente se stesso, nella sua vita quotidiana.
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In conclusione possiamo osservare come l’Io di cui parla il filosofo è un Io che tende
all’infinito perfezionamento di se stesso. Questa definizione, contestualizzata all’interno del
nostro percorso, può tranquillamente essere tradotta con la frase: “ogni essere umano tende per
indole naturale a sfidare i propri limiti per migliorare se stesso (e l’ambiente circostante,
potremmo aggiungere)”.
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“L’INFINITO”
Cerchiamo ora un esempio “più vicino” a noi, ovvero la poesia “L’infinito” di Giacomo
Leopardi, composta a Recanati nel 1819.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
5. Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
10. Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
15. E il naufragar m'è dolce in questo mare.
L’infinito, in questo componimento, è visto come la rappresentazione tramite
immaginazione di sensazioni vaghe e indefinite, a cui l’uomo aspira. L’infinito che si crea è un
infinito soggettivo, in quanto è la concezione di infinito presente all’interno dell’autore, il quale
non potendo vedere al di là di “questa siepe”, immagina la realtà oltre essa. L’infinito in questo
componimento è di due generi: infinito spaziale e infinito temporale. La siepe, negando la
possibilità di guardare oltre e limitando le sensazioni visive, “costringe” il soggetto a fantasticare
su spazi infiniti, per poi passare ad una sensazione uditiva, la voce del vento, che porta al
pensiero del perdersi delle cose umane nel silenzio dell’oblio. È ora introdotto il secondo
infinito, quello temporale. L’eterno è messo in contrapposizione con le epoche passate e con il
presente, destinate inevitabilmente a concludersi.
Possiamo notare come anche questo infinito sia una ricerca dell’uomo di uscire dagli
schemi fissi del presente e della realtà circostante, e nel momento in cui non è possibile
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“raggiungere” l’infinito concretamente;la su ricerca è così importante la sua ricerca che essa si
realizza anche tramite l’immaginazione.
CONCLUSIONE
Dopo aver analizzato il pensiero di questi autori, viene alla luce come l’uomo sia
affascinato dal pensiero “dell’infinito” e “dell’assoluto”, visti come concetto di perfezione a cui
ambire in rapporto alla finitezza della vita umana. Il periodo da noi analizzato è circoscritto a
pochi secoli, ma ciò non esclude che questa tendenza si possa ritrovare sin dalla nascita
dell’uomo.
Basti pensare alla religione. Che cos’è la religione se non il continuo tentare di conoscere
e di entrare in contatto con una sfera metafisica perfetta e infinita? Come afferma Feuerbach, Dio
è la realizzazione ideale dei bisogni dell’umanità e, nello stesso tempo, la personificazione delle
sue doti migliori. In tal maniera Feuerbach non sta facendo altro che affermare che l’uomo ha
bisogno di riconoscere la perfezione in qualcuno o in qualcosa, una perfezione alla quale potrà
tentare di giungere cercando di imitare quel Dio così perfetto.
Tralasciando queste motivazioni più filosofiche, possiamo anche semplicemente
affermare che la storia ha dimostrato il carattere di “auto-sfida” dell’essere umano, come
scrivevo in precedenza, semplicemente nel tentativo di progredire, ovvero di oltrepassare i limiti
posti dalle proprie scoperte e possibilità precedenti.
L’uomo tende a cercare di superare se stesso,
conseguenza primaria della sua natura dinamica, e
anche questo ci è di aiuto nel delineare l’importanza
di laborare nelle nostre vite. Lavorare è faticare nel
tentativo di sconfiggere i nostri limiti, ovvero di
raggiungere obiettivi prefissati, e una volta
dimostrata l’importanza del cambiamento nella
società umana (vedi “l’importanza di laborare”, pag.
6), abbiamo ora verificato quanto sia proprio
dell’indole dell’uomo tendere a qualcosa di superiore
che non ci appartiene, o, facendo riferimento a
Fichte, al nostro auto-perfezionamento sfidando le
nostre capacità.
20
IL LAVORO, ESSENZA NATURALE DELL’INDOLE UMANA
Il termine “lavoro” sta ad indicare l’applicazione di una energia fisica e/o intellettuale
al conseguimento di un fine determinato. Il termine deriva dalla parola latina “labor”, che
letteralmente significa “fatica”. Il lavoro è dunque una fatica, una fatica di diverso genere che
l’uomo compie per raggiungere un obiettivo attraverso una sfida contro se stesso.
Ecco riportata nuovamente la definizione di lavoro. Questo è il lavoro, attività dinamica
di sfida, alla quale l’uomo non può sfuggire, ne è attratto, stimolato, affascinato. Il lavoro fa
parte della cultura umana, nasce con l’uomo, e lo accompagna dal suo passato più remoto fino ai
nostri giorni. Gli permette di migliorarsi, di non condurre una vita statica, di essere stimolato, di
mettersi in gioco, di progredire. Esso è la conseguenza più diretta che possiamo riscontrare
nell’intelligenza umana. Aiuta l’uomo a VIVERE e a non limitarsi alla sopravvivenza come la
maggior parte, se non la totalità, degli altri esseri che abitano il nostro pianeta, e forse, chi lo sa,
di tutto l’universo.
Per questo motivo è fondamentale riscoprire l’importanza del lavoro, valorizzarlo,
impegnarsi in esso con tutte le proprie forze, ma soprattutto non alienarsi, parlando in termini
marxisti, da esso. Al principio della storia umana, quando fu inventato il linguaggio, molte
comunità non assegnarono alcun termine al concetto di “attività lavorativa”. Era scontato che un
uomo dovesse lavorare, così tanto da non preoccuparsi neanche di marchiare con una parola ciò
che oggi chiamiamo lavoro. Si lavorava poiché laborare è un dovere dell’uomo, uno degli istinti
più profondi e spontanei che abbiamo.
Questa tesina si era posta l’obbiettivo di dimostrare quanto sia fondamentale l’attività
lavorativa nell’essere umano, tanto da potersi definire essenza naturale dell’indole umana, nella
speranza che, anche un singolo individuo, dopo aver letto questo percorso, inizi ad amare di più
il proprio lavoro, di qualsiasi genere esso sia, e a impegnarsi al massimo nella sua realizzazione,
sia per un progresso sociale, sia per un progresso personale.
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FONTI:
Domenico Massaro “La comunicazione filosofica, il pensiero moderno 2”
Domenico Massaro “La comunicazione filosofica, il pensiero moderno 3”
Gianni Gentile, Luigi Ronga, Anna Rossi , “Millenium 3”
Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti, Giuseppe Zaccaria “La letteratura,
volume 4”
https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
http://www.academia.edu/5227209/Quando_leconomia_incontra_la_filos
ofia._Riflessioni_su_unetica_economica_dellattualit%C3%A0
https://it.wikipedia.org/wiki/Lavoro
http://www.leopardi.it/canti12.php
Esperienze personali e percorso di studio
Realizzato il 03/07/2015 da Tommaso Felici, 5AC (A.S. 2014/15) come percorso
tematico presentato per l'esame di Stato conclusivo del corso di studio di
istruzione secondaria superiore. Pubblicato da Sapere Aude! sul sito internet
gscatullo.altervista.org il 06/10/2015.
Si ringrazia l’autore per la grande collaborazione offerta.
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