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San Giustino e il Cristianesimo delle origini
Introduzione
L’apologista Giustino è forse la prima figura storica cristiana di cui si può delineare
con sicurezza la fisionomia. Lo studio di questo filosofo e martire può consentire di
fare il punto su ciò che era il Cristianesimo a poco più di cento anni dalla morte di
Gesù; quasi un’istantanea sui riti, sul culto, sulla dottrina, quale si era venuta
configurando nei primi tempi del religione cristiana. Ovviamente il processo ha
caratteristiche di continuità, ma per le difficoltà di una ricostruzione sicura delle
dinamiche di sviluppo della religione cristiana, soprattutto nei primi tempi, ho
preferito la strada più agevole di vedere con sicurezza un primo risultato scegliendo
proprio il momento in cui il Cristianesimo tenta l’incontro con la filosofia greca e si
differenzia sicuramente dal giudaismo.
Si tratta di uno snodo importante: fino a quel momento la cultura greca era stata
tenuta ai margini dai cristiani, soprattutto in base a quanto sostenuto da San Paolo
nella prima lettera ai Corinzi, nella quale si respinge con forza la sapienza degli
uomini: “Cristo non mi ha mandato a battezzare ma a predicare il Vangelo, non però
con un discorso sapiente, affinché il sacrificio della croce non sia reso vano”.
Lo stesso Paolo, però, aveva tentato nel celebre discorso dell’Aeropago, riportato
negli Atti degli apostoli, un approccio con la cultura greca, che in quell’occasione,
peraltro, si era rivelato molto insoddisfacente.
Si era, quindi, in una situazione ambigua, che si chiarirà col tempo e porterà a quella
sistemazione, prima patristica e poi scolastica, che si suole inquadrare come
problematica del rapporto tra fede e ragione. Non è che la cristianità abbia risolto in
maniera univoca questo rapporto e le discussioni attuali su scienza e fede, con le
implicazioni relative alla bioetica, sono lì a testimoniarlo, però il ritorno a quando il
problema fu impostato, per una ripresa, mutatis mutandis, di formulazioni teoriche
dimenticate, è sembrato a chi scrive un percorso interessante ed auspicabile.
Inoltre nel periodo in cui scrive Giustino, sotto la spinta della reazione antignostica,
si procede ad una prima riflessione sul canone neotestamentario, che Marcione
voleva molto ristretto (praticamente accettava soltanto parte del vangelo di Luca e
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delle lettere paoline). Infine la sistemazione teologica è già interessante, anche se
ancora lontana dal fondamentale concetto di Trinità (1).
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1) Noto che il prof. Mauro Pesce con maggiore ampiezza di riferimenti e risultati diversi si pone
sulla stessa linea d’indagine nel recente “Da Gesù al Cristianesimo”. Quello che noi
chiamiamo cristianesimo non è espressione della prima risposta (che proponeva che i
gentili si giudaizzassero), la quale viene oggi chiamata spesso “giudeo-cristianesimo”.
Non è espressione neppure della seconda che dovrebbe essere chiamata
semplicemente paolinismo. Il cristianesimo è solo la terza forma, quella che
“paganizzò” il messaggio di Gesù de-giudaizzandolo. Il cristianesimo è quindi, nella
mia interpretazione, la religione dei gruppi etnici che hanno aderito a Gesù
“paganizzando” il giudaismo, cioè per esprimersi in termini più corretti: quei gruppi
che eliminarono dal messaggio di Gesù gli elementi della cultura giudaica per essi non
significativi o comprensibili e lo re-interpretarono e ricollocarono all’interno dei
diversi sistemi culturali – non giudaici – dei “gentili”.
(Intervista al prof. Pesce a cura di E. Carnevali)
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Interessante è poi vedere come la nuova religione si vada differenziando
dall’Ebraismo. Prima di tutto dobbiamo correggere un’impostazione che vede nel
Cristianesimo il progetto di una religione nuova rispetto a quella ebraica. Non è così;
gli Ebrei sono chiamati a diventare seguaci di Gesù, messia e figlio di Dio ed è solo la
loro riluttanza nell’accettare Gesù che produce, nei fatti, le due religioni. Questo
avvenne sostanzialmente per tre motivi che schematizziamo in ordine d’importanza:
1) Il diverso rapporto con i Romani, che erano fortemente odiati dagli Ebrei
come oppressori, mentre i Cristiani, a parte l’adorazione nei confronti di altre
divinità e il rifiuto di offrire sacrifici per la salute dell’imperatore, non erano,
per principio, ostili allo stato romano.(1)
2) La presa di distanza da parte dei Cristiani circa le regole della Legge, che si
manifestò ben presto. In Giustino si ribadisce che gli Ebrei se vogliono
possono seguire le regole della legge sulla circoncisione e sul sabato, ma non
devono pretendere ciò dagli altri popoli.
3) Infine la questione monoteistica. Se Gesù è una divinità e non un uomo come
si concilia questo con il monoteismo?
Si tenga presente, a tale proposito, che solo dopo Giustino si affaccerà la
problematica della Trinità, che verrà definita tra aspre controversie solo nel corso
del IV secolo dai concili di Nicea e Costantinopoli.
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1) Nei vangeli sinottici, a proposito della distruzione di Gerusalemme, si nota chiaramente
l’atteggiamento non combattivo dei primi cristiani, invitati a fuggire sui monti.
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In conclusione, nel periodo in cui scrive Giustino il Cristianesimo andava
prendendo la sua fisionomia; da allora in poi si può veramente parlare di una
nuova religione (1).
Detto questo concordiamo con chi avanza riserve sullo spessore filosofico di San
Giustino e quindi ci è sembrato eccessivo discettare, per esempio, su concetti,
pur importanti, che coinvolgono il cristianesimo nel suo complesso, come il
creazionismo o la concezione del tempo e della storia. Questo studio, del resto,
vuole essere più di tipo storico che filosofico; analogamente non ci è sembrato
interessante andare a vedere i legami con i generi letterari del tempo. Per tutte
queste questioni rinviamo ad altri studi, nei quali il lettore, volendo, potrà
trovare le opportune risposte.
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1) Ci sembra interessante quanto si dice, nell’Intervista sul Cristianesimo di C.Augias al prof.Remo Cacitti, a proposito della separazione del Cristianesimo dal Giudaismo: Durante il colloquio lei ha più volte accennato a comunità giudaiche, giudeo-cristiane, solo cristiane. È possibile individuare quando questo magma ancora indistinto, fatto di giudaismo e cristianesimo, si apre, anzi si scinde come fanno le cellule, dando vita a due organismi separati e distinti? Ho già menzionato il valore simbolico dell'anno 135, poiché, con la definitiva caduta di Gerusalemme, i due rami del giudaismo sopravvissuti alla tragedia, il rabbinismo e il cristianesimo, in origine generati dallo stesso utero, dividono le loro sorti, acquistano connotati sempre più precisi che li portano ad accentuare progressivamente le rispettive differenze. Per affermare se stessi occorre negare, quando addirittura non eliminare, l'altro da sé. Nasce così quel micidiale processo di autoaffermazione che porta a diffamare gli altri e che segnerà tragicamente la storia dei rapporti fra ebraismo e cristianesimo sino a oggi. Credo utile precisare che cosa distingua il rabbinismo dal giudaismo tradizionale. Anche per vedere meglio quando uno dei due gemelli,il cristianesimo, dopo essere cresciuto nello stesso alveo, esce di casa per non tornarvi più. Gran parte degli storici vede il momento della separazione nella seconda caduta di Gerusalemme, avvenuta appunto nell'anno 135. Come abbiamo detto, la città era già stata espugnata da Tito nel 70. Nel 132-135 ci fu un'altra violenta fiammata con l'insurrezione guidata da Bar Kochba, unto come messia. Di nuovo la capitale venne espugnata e, dopo questa seconda catastrofe, l'imperatore Adriano le cambiò addirittura nome: Gerusalemme diventa Aelia Capitolina, e agli ebrei era addirittura proibito entrarvi. Ovviamente, nella data, l'anno 135, come sempre accade in casi del genere, c'è sì un avvicinamento alla realtà degli eventi, ma anche la necessità di fissare un punto di riferimento. Ciò che possiamo dire è che in quel periodo avviene da un lato l'uscita definitiva del cristianesimo dalla prospettiva giudaica; dall'altro, la riorganizzazione del giudaismo nel cosiddetto «rabbinismo». I rabbini, gli ebrei sopravvissuti, devono fare i conti con un'esperienza che li ha portati in sessanta, settant’anni alla catastrofe. È una sciagura imputabile alle componenti millenariste, apocalittiche del giudaismo. Il rabbinismo liquida questa esperienza, si organizza in sistema sapienziale, si arrocca su alcuni principi, emargina l'altro, il diverso, come avviene sempre nei momenti di crisi.
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SAN GIUSTINO
Nota biografica
Dall’ anno 66 al 70 d.C. la terra di Palestina fu teatro della guerra detta Giudaica
raccontata con molti dettagli dallo storico Giuseppe Flavio. Dopo la vittoria delle
legioni romane guidate da Tito, che distrusse il tempio di Gerusalemme e la resa, di
lì a qualche anno, della fortezza di Masada, la regione venne per un po’ pacificata;
infatti solo dopo una sessantina d’anni scoppiò una nuova rivolta.
I Romani per controllare i territori erano soliti mandare sul posto dei coloni-soldati:
fu così che il nonno di San Giustino, Baccheio, si stabilì in Samaria. Qui, a Flavia
Neapolis (anticamente Sichem, oggi Nablus) da un certo Prisco, figlio di Baccheio,
intorno all’anno 100, nacque Giustino.
Educato alla filosofia, pervenne più tardi al cristianesimo e tentò di armonizzare il
suo itinerario spirituale cercando di dimostrare quasi la confluenza del paganesimo
nel cristianesimo.
Scrisse molte opere, ma l’elenco della sua produzione è discusso; ci restano,
sicuramente sue, secondo i critici, due Apologie e il Dialogo con Trifone, un
maestro ebreo; inoltre restano gli Atti del suo martirio.
Giustino, dopo la conversione, infatti, fu strenuo difensore del Cristianesimo e
viaggiò molto per diffonderne la dottrina. Poi si stabilì a Roma dove fondò una
scuola. Scrisse le apologie per convincere l’ imperatore Antonino Pio ad accettare la
nuova religione. Non fu molto convincente e il successore Marco Aurelio,
l’imperatore filosofo, lo fece decapitare nell’anno 165.
Negli Atti del martirio c’è in sintesi la sua posizione filosofica e teologica.
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Atti del Martirio di San Giustino e compagni
I – 1) Al tempo degli uomini iniqui difensori dell’idolatria, furono emanati nella città e
nella regione empi editti contro i pii cristiani, con lo scopo di costringerli a sacrificare agli
idoli vani.
2) Arrestati dunque, i predetti martiri furono condotti dinanzi a Rustico, prefetto di Roma.
II – 1) Appena furono condotti al tribunale, il prefetto Rustico intimò a Giustino: "Prima di
tutto, credi agli dei e obbedisci agli imperatori!".
2) Rispose Giustino: "Irreprensibile e immune da condanna è per me obbedire ai comandi
del nostro salvatore Gesù Cristo".
3) Chiese Rustico: "quali concezioni filosofiche segui?". Rispose Giustino: "Mi sono
dedicato allo studio di tutti i sistemi filosofici, ma ho aderito con la mia anima soltanto alle
veritiere dottrine dei cristiani, anche se non piacciono a coloro che vivono nell’errore".
4) Chiese ancora Rustico: "A te dunque piacciono quelle dottrine, sciagurato?". Rispose
Giustino: "Sì, poiché le seguo secondo il vero dogma".
5) "Qual è questo dogma?", domandò Rustico. Giustino rispose: "Quello che ci insegna a
credere nel Dio dei cristiani, che consideriamo Dio unico, creatore ed ordinatore di
tutto l’universo, visibile e invisibile, e nel Figlio di Dio, nostro Signore Gesù
Cristo, del quale anche i profeti avevano predetto che sarebbe venuto ad
annunciare la salvezza al genere umano e a insegnare la vera dottrina.
6) "E io, misero mortale, penso di dire ben poco rispetto alla sua divinità infinita, perché
riconosco che è necessaria la virtù profetica per parlarne e ripeto che i profeti hanno
parlato di Colui che ho chiamato Figlio di Dio. Sappi infatti che i profeti predissero la sua
venuta tra gli uomini".
III – 1) Chiese ancora il prefetto Rustico: "Dove vi riunite?". Rispose Giustino: "Dove
ciascuno può e preferisce; tu credi che tutti noi ci riuniamo in uno stesso luogo, ma non è
così, perché il Dio dei cristiani, che è invisibile, non si può circoscrivere in alcun luogo, ma
riempi il cielo e la terra ed e venerato e glorificato ovunque dai suoi fedeli".
2) Riprese Rustico: "Insomma dove vi riunite , ovverosia, dove raduni i tuoi discepoli?".
3) Giustino disse: "Abito preso un certo Martino, sopra il bagno di Timiotino, dall’inizio di
questo secondo periodo della mia permanenza in Roma.
Non conosco altri luoghi di riunioni, al infuori di quello, dove, se qualcuno voleva venire a
trovarmi, lo facevo partecipe delle divine parole della verità".
4) Chiese infine Rustico: "Insomma, sei dunque cristiano?". Rispose Giustino: "Sì, sono
cristiano".
IV – 1) Il prefetto si volse quindi a Caritone: "E tu, Caritone, sei pure cristiano?". Rispose
Caritone: "Si, per volere di Dio".
2) Rivolto a Carito il prefetto chiese: "Che dici tu, Carito?". Carito rispose: "Sono cristiana,
per dono di Dio".
3) Rustico chiese quindi a Evelpisto: "Tu pure sei uno di loro, Evelpisto?". Evelpisto,
schiavo dell’imperatore, rispose: "Anch’io sono cristiano, reso libero da Cristo e, per sua
grazia, partecipo alla medesima speranza di questi".
4) Rivolto a Jerace, il prefetto domandò: "Anche tu sei cristiano?". Jerace rispose: "Si,
sono cristiano poiché venero e adoro lo stesso Dio".
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5) Il prefetto proseguì l’interrogatorio chiedendo: "E stato Giustino a farvi diventare
cristiani?". Jerace rispose: "Sono cristiano da lungo tempo e cristiano rimarrò".
6) Peone, alzatosi in piedi, dichiarò: "Anch’io sono cristiano". Rustico gli chiese: "Chi è
stato il tuo maestro?". Peone rispose: "Dai genitori abbiamo ricevuto questa nobile
confessione".
7) Evelpisto aggiunse. "Ascoltavo volentieri i discorsi di Giustino, ma ho appreso anch’io
dai miei genitori le parole della verità di Cristo". Chiese il prefetto: "Dove vivono i tuoi
genitori?". Evelpisto rispose: "In Cappadocia".
8) Rivolto a Jerace, Rustico chiese: "Dove vivono i tuoi genitori?". Egli rispose: "Il nostro
vero padre è Cristo e la madre la fede in lui; quanto a i miei genitori terreni, sono morti e
io sono giunto qui, cacciato dalla città di Iconio, nella Frigia".
9) Il prefetto chiese quindi a Liberiano: "E Tu, che dici? Sei cristiano? Neppure te veneri i
nostri dei?". Liberiano rispose: "Anch’io sono cristiano: adoro e venero infatti l’unico vero
Dio".
V – 1) Rivoltosi nuovamente a Giustino, il prefetto disse: "Ascolta, tu che passi per un
uomo saggio e credi di conoscere la verità: se ti farò frustrare e decapitare, sei ancora
convinto che salirai al cielo?".
2) Giustino rispose: "Spero di salire alla casa del Padre, se soffrirò tutti questi patimenti;
so pure che la grazia divina attende tutti coloro che vivono rettamente, fino alla
conflagrazione di tutto l’universo".
3) Rispose Rustico: "Questo dunque supponi, che salirai al cielo, destinato a conseguirvi
eccellenti premi". Giustino ribatté: "Non lo suppongo, ma lo so con certezza e ne sono
convinto".
4) Disse il prefetto: "Veniamo infine alla questione importante e urgente da trattare:
venite tutti insieme a sacrificare concordemente agli dei". Giustino rispose: nessuno, che
abbia senno e rettitudine, può passare dalla pietà all'empietà".
5) Rustico intimò: "Se non ubbidite, sarete inesorabilmente puniti".
6) Rispose ancora Giustino: desideriamo vivamente soffrire per il nostro Signore Gesù
Cristo, perché dal martirio scaturirà a noi la speranza di salvezza davanti al tremendo
tribunale universale del Nostro Signore e Salvatore".
7) Similmente dissero gli altri testimoni di Cristo: "Fa' quel che desideri; noi infatti siamo
cristiani e non sacrifichiamo agli idoli".
8) Il prefetto Rustico pronunciò quindi la sentenza: "Coloro che si sono rifiutati di
sacrificare agli dei e di sottomettersi all’editto dell’imperatore, siano flagellati e condotti al
supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi".
VI – 1) I santi testimoni, glorificando il Signore, salirono al luogo consueto, ove furono
decapitati e consumarono così il martirio nella confessione del nostro Salvatore.
2) Alcuni dei fedeli portarono via di nascosto le loro salme e le deposero in un luogo
adatto, con l’aiuto del nostro Signore Gesù Cristo, al quale la gloria nei secoli dei secoli.
Amen.
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Apologia Prima Ἀπολογία πρώτη ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον τὸν Εὐσεβῆ.
(Apologia prima sui Cristiani per Antonino il Pio)
L’ Apologia inizia con un prologo nel quale Giustino chiede che i Cristiani siano puniti solo
se commettono reati specifici, non per il solo fatto di essere cristiani. Ciò è di particolare
importanza, perché conferma ulteriormente una diversità di trattamento tra Ebrei e
Cristiani, già ormai differenziati, anche agli occhi dei Romani, come si evince dalla lettera
di Plinio all’imperatore Traiano, che precede l’Apologia di Giustino di alcuni decenni.
L’Ebraismo, infatti, era, nonostante le rivolte, religio licita, fin dai tempi di Cesare e tale
rimase fino alla rivolta repressa da Adriano; invece il Cristianesimo era considerato una
superstitio.(1)
Poi Giustino sviluppa la propria interpretazione delle vicende religiose: un Logos attraversa
la storia e i demoni cercano di contrastarlo, lo proverebbe la vicenda di Socrate che parlò
con ragione veritiera, ma i demoni e gli uomini malvagi, con false accuse, fecero in modo
che fosse ucciso (cap.V). I Cristiani non vogliono adorare gli dei, ma non sono atei, voglio
onorare solo il creatore dell’universo con preghiere, non con libazioni o profumi. Credono
che maestro della vera religione sia stato Gesù Cristo, generato da Dio e crocifisso sotto
Ponzio Pilato al tempo dell’imperatore Tiberio (cap.XIII). Ovviamente non sono contrari
allo stato, perché aspettano un regno celeste, non terreno.
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1) Già Tacito, in occasione della persecuzione neroniana dei cristiani, parla di “exitiabilis superstitio”; Plinio,
nell’epistola 96 indirizzata all’imperatore Traiano, riassumendo le usanze cristiane, dice: “Nihil aliud inveni
quam superstitionem pravam et immodica”:
Adfirmabant autem hanc fuisse summam vel culpae suae vel erroris, quod essent soliti stato die ante lucem
convenire, carmenque Christo quasi deo dicere secum invicem seque sacramento non in scelus aliquod
obstringere, sed ne furta ne latrocinia ne adulteria committerent, ne fidem fallerent, ne depositum adpellati
abnegarent. Quibus peractis morem sibi discedendi fuisse rursusque coeundi ad capiendum cibum,
promiscuum tamen et innoxium; quod ipsum facere desisse post edictum meum, quo secundum mandata
tua hetaerias esse vetueram. Quo magis necessarium credidi ex duabus ancillis, quae ministrae dicebantur,
quid esset veri, et per tormenta quaerere. Nihil aliud inveni quam superstitionem pravam et immodicam.
Affermavano inoltre che la sostanza della loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi in un giorno
fissato prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con
giuramento non per qualche delitto, ma per non commettere né furti, né frodi, né adulteri, non mancare
alla parola data e non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora richiesti. Fatto ciò, avevano la
consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente,
cosa che cessarono di fare dopo un mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito che vi
fossero riunioni. Per questo, ancor più ritenni necessario interrogare, anche attraverso le torture, due
ancelle, che erano dette ministre, per sapere quale sfondo di verità ci fosse. Non ho trovato niente altro che
una superstizione malvagia e smodata.
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A questo punto Giustino delinea le principali dottrine cristiane citando ampi stralci delle
parole di Gesù riportate nei vangeli e soffermandosi in particolare sulle Beatitudini (cap.
XV, XVI e XVII).
Del resto le dottrine cristiane non sono una novità in assoluto. Giustino non vuole affatto
evidenziare l’originalità del Cristianesimo.
Quando diciamo che tutto è stato ordinato e prodotto da Dio, sembreremo sostenere una dottrina di
Platone, quando parliamo di distruzione nel fuoco quella degli Stoici; quando diciamo che le anime
degli iniqui sono punite mantenendo la sensibilità anche dopo la morte, e che le anime dei buoni,
liberate dalle pene, vivono felici sembreremo sostenere le stesse teorie di poeti e di filosofi.
Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio, Gesù Cristo il nostro Maestro, è
stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non
portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus.
Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come
Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è
comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero di Zeus.
Quando affermiamo che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che ha
resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo concordare con le azioni che la
tradizione attribuisce ad Asclepio.
(cap. XXI-XXII)
La prova, poi, che Gesù sia figlio di Dio è data, secondo Giustino dalle profezie bibliche,
soprattutto quelle del profeta Isaia, che avrebbe predetto anche che alcuni dei gentili
erano più veritieri e fedeli degli Ebrei. (cap.LIII).
Lo stesso Isaia ha predetto il battesimo mediante l’acqua ed ha indicato i compiti del
credente per il perdono dei peccati (cap.LIII).
A questo punto Giustino collega l’uso di parecchi popoli antichi di lavarsi prima di entrare
nei templi con il rito cristiano e sostiene che la coincidenza è opera dei demoni.
E i demoni, avendo inteso di questo lavacro vaticinato dal profeta, fecero sì che si aspergessero
anche quelli che entravano nei loro templi e che volevano presentarsi ad essi per offrire libazioni e
sacrifici: anzi ordinano che si lavino prima che entrino nei templi, dove essi sono collocati
(cap.XLII).
Non è un giudizio lusinghiero, ma già si scorge quell’esigenza di collegare paganesimo e
cristianesimo, vedendo nella religione tradizionale un’anticipazione di quella cristiana.
Del resto il verbo divino, secondo Giustino, prima di manifestarsi visibilmente nella carne
dell’uomo Gesù, figlio di Dio, nunzio e inviato (àggelos kài apòstolos), ha parlato
attraverso Mosè e i profeti; poi i demoni hanno diffuso presso i popoli pagani elementi
della verità, anche se a scopo d’inganno.
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Comunque i Cristiani dopo il rito battesimale si radunano per una preghiera di
ringraziamento (eucarestia), al termine si salutano con un bacio e consumano un pasto in
comune di pane, acqua e vino. (1)
Giustino precisa che lo stesso cibo è chiamato eucarestia, in quanto si inserisce nelle
preghiere di ringraziamento.
Subito dopo Giustino chiarisce che non si tratta di un cibo qualsiasi, ma è corpo e sangue
di Gesù; i discepoli di Mitra avrebbero imitato questi riti per insegnamento di demoni
malvagi. Analogamente i cristiani celebrano nel giorno del Sole, la domenica, la
resurrezione di Gesù (2).
(cap.LV-LVI- LVII)
Come si vede i legami tra paganesimo, culto di Mitra e Cristianesimo, nell’Apologia prima
sono ammessi, ma giudicati a volte positivamente come espressione parziale del Logos
divino, a volte negativamente come espressione della volontà malvagia di demoni.
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1) In appendice n.4 la discussione sui risvolti antropologici del rito eucaristico.
2) Giustino difese il cristianesimo dagli gnostici nel suo trattato sulla Resurrezione, di cui
esistono frammenti in altri scrittori cristiani. Ricordiamo, però, che questa attribuzione è
dubbia.
Trattato sulla risurrezione, 2.4.7-9
« Credo la risurrezione della carne » (Credo)
Coloro che sono in errore dicono che non c’è risurrezione della carne, che è impossibile che essa, dopo esser stata distrutta e ridotta in polvere, ritrovi la sua integrità. Ancora, secondo loro, la salvezza della carne sarebbe non soltanto impossibile, ma pure nociva; biasimano la carne, denunciando i suoi difetti, la rendono responsabile dei peccati; dicono quindi che se questa carne dovesse risuscitare, anche i suoi difetti risusciterebbero… Inoltre, il Salvatore ha detto: «Quando risusciteranno dai morti, non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.» Ora, dicono, gli angeli
non hanno carne, né mangiano né si uniscono. Dunque, dicono, non ci sarà risurrezione della carne…
Quanto sono ciechi gli occhi del solo intelletto! Non hanno visto infatti sulla terra «i ciechi ricuperare la vista, gli storpi camminare» (Mt 11,5) grazie alla parola del
Salvatore…, allo scopo di farci credere che, alla risurrezione, l’intera carne risusciterà. Se sulla terra, egli ha guarito le infermità della carne e ha reso al corpo la sua integrità, quanto più lo farà al momento della risurrezione, affinché la carne risusciti senza difetto, integralmente… Questa gente mi sembra ignorare l’operare divino nel suo insieme, all’origine della creazione, quando l’uomo è stato plasmato; ignorano il motivo per il quale
le cose terrene sono state fatte. Il Verbo ha detto: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza (Gen 1,26)… È ovvio che l’uomo, pur plasmato a immagine di Dio, era di carne. Quanto è assurdo allora considerare disprezzabile e senza alcun merito, la carne plasmata da Dio secondo la sua immagine! Che la carne sia preziosa agli occhi di Dio, questo è evidente, poiché essa è opera sua. E poiché proprio in questo si trova il principio del suo progetto per il resto della creazione, essa è ciò che c’è di più prezioso agli occhi del creatore.
(citato da Il vangelo del giorno)
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Apologia seconda
Ἀπολογία δευτέρα ὑπὲρ τῶν Χριστιανῶν πρὸς τὴν Ρωμαίων σύγκλητον
(Apologia seconda sui Cristiani al Senato romano) Scritta in occasione della condanna a morte di tre cristiani da parte del prefetto Lollio
Urbico contiene interessanti sviluppi della dottrina del Logos o verbo di Dio.
Infatti, nell’Apologia seconda Giustino scrive:
Io sono cristiano e me ne glorio e, lo confesso, desidero farmi riconoscere come tale, La
dottrina di Platone non è incompatibile con quella del Cristo, ma non rinverga
perfettamente con essa, non più di quella degli altri, degli Stoici, dei poeti e degli scrittori.
Ciascuno di questi ha visto, del Verbo divino disseminato per il mondo, ciò che era in
rapporto con la sua natura e ha potuto in tal modo esprimere una parziale verità: ma, dal
momento che si contraddicono nei punti fondamentali, mostrano di non essere in possesso
di una scienza infallibile e di una conoscenza irrefutabile.. Tutto ciò che hanno insegnato in
modo verace appartiene a noi cristiani. Infatti, dopo Dio noi adoriamo e amiamo il Logos
nato da Dio, eterno e ineffabile, perché egli si è fatto uomo per noi, per guarirci dai nostri
mali prendendoli su di sé. Gli scrittori hanno potuto vedere la verità in modo oscuro, grazie
al seme del Logos che è stato deposto in loro. Ma altro è possedere un seme e una
somiglianza proporzionata alla propria facoltà, e altro è il Logos stesso, la cui
partecipazione e imitazione divina deriva dalla Grazia che da Lui proviene.(1)
(Cit. da Reale – Antiseri Storia della filosofia vol. III- pag. 118-119)
In questo caso i legami tra religione pagana, filosofia e cristianesimo sono ribaditi, ma il
giudizio acquista una valenza più positiva in quanto il Cristianesimo diventa la piena
manifestazione del Logos divino, incarnatosi in Gesù, ma semi del Logos erano contenuti
nelle precedenti visioni del mondo. Per Giustino i legami con la filosofia hanno valenza
positiva…quelli con le religioni negativa, essendo opera di demoni. Di ciò, però, non
fornisce spiegazione.
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1) Sulle ambiguità del concetto di Logos si rinvia all’appendice n.2
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Dialogo con Trifone
Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον διάλογος
All’inizio dell’opera Giustino racconta all’ebreo Trifone come si è avvicinato alla filosofia.
Giovane con molti interessi cercò tra le scuole filosofiche quella migliore, pervenendo al
termine del suo itinerario filosofico ad una sorta di platonismo eclettico con spunti
personali (1).
La filosofia è scienza dell’essere e conoscenza del vero ed ha come conseguenza la felicità.
Ogni cosa ha come causa della propria esistenza Dio, che è ciò che è sempre uguale a se
stesso.
Si arriva a Dio attraverso gli occhi della mente, se puri, e si vede l’essere che è al di sopra
di ogni sostanza, ineffabile e indicibile, unico bene, che si produce subitamente nelle
anime ben disposte, in forza dell’affinità con esso e del desiderio di contemplarlo” .
(Dialogo con Trifone trad. G.Visonà –Paoline Milano seconda edizione 2009 pag. 96).
Da buon platonico, Giustino, che accetta la metempsicosi, ammette la superiorità
dell’anima sul corpo, che è ostacolo alla visione di Dio; quando l’anima abbandona del
tutto il corpo vede ancora meglio Dio, ma dimentica tutto quando si reincarna. In caso di
anime imprigionate nel corpo di animali non è possibile nessuna visione di Dio.
A questo punto comincia il distacco relativo da Platone, perché Giustino ammette che il
mondo abbia avuto inizio e sia stato creato (aghénnetos, non generato, è solo Dio). Anche
le anime sono state create e non sono immortali per natura. Dio però fa in modo che le
anime degli uomini pii siano in un luogo migliore e le malvagie in uno peggiore in attesa
del giudizio; l’anima, in effetti, è costretta ad incarnarnarsi in un animale per punizione.
Allora le anime buone non moriranno più…le altre saranno punite per il tempo che Dio
vorrà, ma alla fine moriranno. Insomma diversamente da Platone l’anima vive perché
partecipa dello spirito della vita, non è immortale per sua natura e vive perché Dio lo
vuole.
1) Del Dialogo con Trifone esiste un solo codice, il Parisinus Graecus 450, del 1364 custodito nella Biblioteca Nazionale di
Parigi. Le edizioni critiche più recenti sono di Otto, Archambault e Goodspel (Notizie ricavate dalla trad. it. del Dialogo, di
G.Visonà – Paoline, Milano - seconda edizione 2009 - pag.80)
Successivamente, poiché anche i filosofi non hanno capito tutta la verità, san Giustino
passa ai profeti nei quali si è manifestata la verità per ispirazione di Dio. I profeti non
13
arrivano alla verità per dimostrazione, ma in maniera superiore; crediamo a loro perché
ciò che dicono è confermato dagli avvenimenti e poi perché compiono prodigi.
Importante, infine, è il ruolo della preghiera, perché le porte della luce si aprono solo a
coloro cui lo concedono Dio e il suo Cristo (pag.104).
Ma Trifone non ci sta e obietta che la filosofia va bene, ma è sbagliato abbandonare
Dio per un uomo di cui si sa poco. Voi, invece, raccogliendo una vuota diceria, vi siete
fatti un vostro cristo e a causa sua ora state andando ciecamente alla rovina
(pag.107).
A questo punto comincia il confronto vero e proprio tra San Giustino e
Trifone.
In effetti Cristianesimo ed Ebraismo cominciano a differenziarsi sulla questione del
rispetto della Legge in generale e in particolare sui problemi della circoncisione e del
sabato, su cui spesso ritorna Giustino. La Legge data sull’Oreb è superata ed è solo
vostra, questa invece vale per tutti gli uomini indistintamente. (idem pag 112).
Ciò, secondo Giustino è supportato dai profeti Isaia e Geremia di cui si citano passi
significativi.
A questo punto il dialogo prende una piega decisamente biblica: i due interlocutori
citano continuamente passi a sostegno della propria tesi (1). Hanno in comune che
bisogna interpretare la parola di Dio così com’è stata tramandata, ma divergono
nell’analisi di singoli passi. Per Giustino la Bibbia in più punti farebbe capire che
Gesù è il Cristo, cioè il Messia atteso, il figlio di Dio, la cui vicenda terrena sarebbe
stata profetizzata e accusa di incomprensione Trifone, che ribatte ricordando che
l’epoca messianica prevedeva cose diverse da quelle che sono in realtà accadute.
Un aspetto importante ci sembra quello della circoncisione che è stata data a
partire da Abramo come segno che vi distinguesse da noi e dagli altri popoli ( idem
pag.123
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1)In effetti il dialogo, per la sua antichità è anche una fonte di passi biblici, anche se il codice è
medioevale.
14
Così gli Ebrei vengono riconosciuti e di conseguenza perseguitati dai Romani (il
dialogo è ambientato nel 135, quando era in corso la repressione della rivolta di Bar
Kochba).
Simone bar Kochba
Dio stesso ha voluto questo perché hanno ucciso il giusto (Gesù) e cercano di
uccidere i suoi seguaci quando ne hanno la possibilità (i Romani avevano avocato a
sé il diritto di condannare a morte qualcuno).
Tra l’altro “Le altre nazioni non si ostinano tanto quanto voi in questo atteggiamento
ingiusto nei confronti nostri e di Cristo. Voi anzi siete responsabili dei preconcetti che
esse hanno contro il giusto e contro di noi che da lui veniamo. Infatti, dopo aver
crocifisso lui, unico uomo irreprensibile e giusto…non solo non vi siete pentiti di
quanto avevate compiuto di male, ma avete preso uomini scelti in Gerusalemme e li
avete inviati per tutta la terra a dire che era apparsa la setta eretica ed empia dei
cristiani” (pag.125).
Questo passo è illuminante circa il clima di ostilità che si era andato creando tra
Cristiani ed Ebrei ad un secolo dalla morte di Gesù, che per adesso è ancora un
uomo giusto ovvero il Cristo di Dio.
Su di Lui, poi, si concentrerà l’attenzione di Giustino e Trifone, sempre basando le
riflessioni sulle testimonianze bibliche.
Giustino cita una profezia di Daniele, nella quale si dice che si succederanno sulla
terra quattro regni, l’ultimo dei quali sarà tremendo. Ben dieci re si alterneranno in
questo periodo e poi l’undicesimo sarà il peggiore di tutti. Ma alla fine ci sarà il
regno del popolo santo dell’Altissimo che regnerà in eterno (idem pag.154).
15
A questo punto ci sembra giusto sottolineare che, mentre per noi il racconto biblico
è di tipo leggendario, cioè mescola fatti storici ad invenzioni ed anche errori e la
critica fatica nell’operare queste distinzioni, un tempo e fino a qualche secolo fa la
Bibbia era ritenuta, in toto e letteralmente, veritiera. La fede riguardava gli eventi
futuri, ma i fatti raccontati erano considerati certi. Per i cristiani dell’epoca di san
Giustino le vicende dei profeti e le relative profezie sono fatti storici che si
ricollegano alla passione di Cristo, la cui risurrezione è ugualmente un fatto certo
perché testimoniato. L’ebreo Trifone non contesta la validità della Bibbia, ci
mancherebbe, ma osserva che con Gesù non si sarebbe verificato quanto previsto,
dunque non era il messia ecc.
Chiaramente noi oggi che abbiamo altri parametri di giudizio facciamo fatica a
seguire certi discorsi basati su premesse che per noi non sono valide.
Più interessante ci sembra l’ammissione, da parte di Giustino, della presenza di
molti gruppi che si dicono cristiani ma non lo sono. Si tratta per lo più di sette
gnostiche, che evidentemente già al tempo del Dialogo con Trifone erano diffuse e
ingombranti. Ciò comunque obbliga Giustino ad una difesa d’ufficio nei confronti
dell’ebreo Trifone (1).
Poi la conversazione si fa rovente: si nota il clima di forte ostilità tra Ebrei e Cristiani
e le scarse speranze di un accomodamento. Giustino s’impegna per scrupolo, ma
non pensa di riuscire nell’intento di persuadere Trifone.
Pertanto si può dire, con le opportune cautele, che l’antisemitismo comincia qui,
perché Giustino mentre tenta di convincere Trifone, lancia contro gli Ebrei accuse
molto forti.(2)
Da un altro punto di vista però è importante sottolineare che Giustino concorda con
Trifone nell’accettare il Vecchio Testamento come parola di Dio. Ciò in una fase di
sistemazione dei testi sacri cristiani è importante, perché, nello stesso periodo,
Marcione proponeva di ridurre drasticamente i testi neotestamentari e respingere la
Bibbia ebraica.
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1) Per notizie sullo gnosticismo si veda nelle appendici.
2) Si può anche considerare l’atteggiamento di Giustino solo come antigiudaismo, riservando
il termine antisemitismo al più radicale Marcione.
16
Marcione, il cui pensiero è molto vicino al dualismo gnostico, arrivava a dire che la
creazione, di cui si parla nella Bibbia, era opera di un dio malvagio e inferiore, il dio
degli Ebrei; il Dio di Gesù,invece, è buono e superiore al precedente. Non abbiamo lo
scritto di Giustino contro Marcione, ma questo testo è citato da Ireneo che scrisse
contro gli “eretici” successivamente.
Insomma si sta formando il canone cristiano e la nuova religione sta prendendo le
distanze dall’ebraismo in una maniera drastica (Marcione) o più accomodante
(Giustino). Ricordiamo , poi , che si era appena conclusa la repressione dell’ultima
rivolta ebraica contro Roma, per cui si tratta di un periodo veramente difficile per
l’Ebraismo, attaccato da ogni parte culturalmente e militarmente.
L’accettazione del Vecchio Testamento e la sua interpretazione letterale portano
comunque Giustino a recepire la nascita verginale, infatti cita un lungo passo di Isaia
in cui si dice tra l’altro: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, il suo nome
sarà Emmanuele”.(p.179).
Pertanto questo concetto teologico, poi diventato dogma, è più antico, come
concetto, della Trinità, anche se è posteriore come definizione dogmatica. In
Giustino, infatti, c’è l’idea del Logos figlio di Dio incarnato, come si dice nel vangelo
di Giovanni, ma non ancora la Trinità, che comparirà dopo qualche decennio negli
scritti di Teofilo di Antiochia. Circa la nascita verginale, però occorre precisare che
nulla dice Giustino circa la perpetua verginità di Maria.
Comunque agli Ebrei è concesso secondo Giustino di mantenere l’osservanza delle
leggi mosaiche, se vogliono, ma non devono pensare che esse siano necessarie alla
salvezza e non devono tentare di convincere gli altri a rispettarle.
Segue poi un punto importante. Per l’ebreo Trifone ciò che è paradossale è la doppia
natura di Gesù uomo e Dio nato da vergine. Per Trifone se si dice che Gesù è un
uomo e forse è il Cristo si può anche discutere. Giustino ammette che ci sono gruppi
cristiani che dicono che Gesù è uomo ma sono minoranze.
Un aspetto non secondario è il riconoscimento del ruolo di precursore di Giovanni
Battista, di cui viene ricordata la tragica decapitazione.
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Insomma il problema più importante è che se si ammette la natura divina di Gesù
oltre a quella umana si introduce un altro Dio, un Dio e signore diverso dal creatore
di tutte le cose, che è chiamato anche angelo per il fatto che annuncia agli uomini ciò
che vuole annunciare il creatore di tutte le cose, al di là del quale non c’è altro
Dio.(p.203)
Lo sforzo di Giustino, a questo punto è quello di dimostrare che in molti casi in cui
nella Bibbia si parla di apparizioni divine, in realtà appare e parla questo secondo
Dio che è il Logos divino incarnatosi in Gesù.
Ovviamente, poiché la teologia cristiana non ha seguito questo indirizzo, ma ha
elaborato il concetto di Trinità, si deve dire che Giustino tenta di dimostrare
qualcosa che, in seguito, non è stato recepito nemmeno dalla sua stessa parte
religiosa. Curiosamente l’ebreo Trifone sembra accettare le dimostrazioni e chiede
di dimostrare, poi, l’incarnazione del Logos attraverso la Vergine Maria (p.222).
Qui il punto controverso è un passo di Isaia che andrebbe tradotto, secondo
Trifone:”La fanciulla concepirà e partorirà un figlio” e non la vergine come dice
Giustino. Inoltre per Trifone il passo si riferisce al re Ezechia (Isaia 7,10-16). Più volte
si torna su questo, evidentemente la nascita verginale è un convincimento molto
antico e importante per i cristiani (1).
Si deve peraltro osservare che in Giustino non si parla della verginità post partum di
Maria, che, com’è noto, si trova affermata in un testo scritto solo nell’apocrifo
protovangelo di Giacomo (2).
Detto questo, Giustino passa a spiegare le coincidenze tra cristianesimo e culti
pagani, dovuti alla malvagità dei demoni. Osserviamo che i legami con la filosofia
sono, invece, visti positivamente come semi del Logos.
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1)Ezechia è un re di Giuda che combattè tenacemente contro gli Assiri ma fu costretto a
sottomettersi e a pagare un tributo.
2) Entrò l'ostetrica e disse a Maria: "Mettiti bene. Attorno a te, c'è, infatti, un non lieve contrasto".
Salome mise il suo dito nella natura di lei, e mandò un grido, dicendo: "Guai alla mia iniquità e alla
mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano si stacca da me,
bruciata". (Proto vangelo di Giacomo XX,1: Maria è vergine anche post partum - Si noti il
particolare del dito che nei canonici riguarda Tommaso incredulo).
18
Naturalmente, al di là delle spiegazioni giustinee, è interessante notare che il
cristianesimo emerge in un groviglio di culti in cui il dare e l’avere sono difficili da
districare.
Per esempio il culto di Mitra sicuramente dà al cristianesimo il giorno della festa del
Natale, ma forse riceve il banchetto eucaristico.
Ma sul mito della nascita in una grotta è difficile dire chi dà e chi riceve.
A nostro avviso il cristianesimo assimilò e riciclò questi culti pagani: Mitra divenne
San Michele, come si evince dal culto dell’arcangelo sul Gargano.
Comunque sulla nascita di Gesù Giustino si attiene ai vangeli di Matteo e Luca, cita il
censimento di Quirino, la nascita a Betlemme dovuta alla necessità della
registrazione, la fuga in Egitto ecc. e discute del problema della nascita nella grotta,
perché la grotta è presente anche nei riti di Mitra, secondo Giustino per opera del
diavolo.
Trifone, peraltro, è dubbioso e nota una certa disinvoltura interpretativa in Giustino,
anche se consente su molti concetti. Interessante è, ad un certo punto, l’avviso di
Giustino di stare attenti ai falsi cristiani.
“Se dunque incontrate dei cristiani che tali sono chiamati ma non riconoscono queste
dottrine e per di più osano bestemmiare il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e
affermano che non c’è resurrezione dei morti, ma che al momento della morte le loro
anime vengono assunte in cielo, non dovete considerali cristiani”.(p.262)
Si tratta probabilmente di gruppi gnostici per i quali la resurrezione del corpo
materiale, sia pure trasfigurato, è inconcepibile.
Per Giustino, però, è un dovere cercare di redimere i fratelli, perché fin dal Vecchio
Testamento sta scritto: “Ti ho stabilito come sentinella per la casa di Giuda. Se il
peccatore pecca e non lo metti in guardia, egli perirà per il suo peccato, ma a te
chiederò conto del suo sangue. Se invece lo metti in guardia, non ne sarai
responsabile” (p.266).
Le dimostrazioni giustinee proseguono con qualche ripetizione concettuale, ma
comunque Trifone si mostra abbastanza convinto. Solo non riesce ad accettare la
crocifissione perché è segno di ignominia. Giustino è costretto addirittura a ricorrere
ad una forzata interpretazione per mostrare che nella vittoria degli Ebrei contro gli
19
Amaleciti Mosè teneva le mani in forma di croce, quindi la croce è segno di vittoria
anche nell’Antico Testamento. Questo nonostante sia detto nella Legge “Maledetto
chiunque è appeso al legno”.
Comunque a favore di Giustino gioca l’impressionante coincidenza del salmo 21 con
quanto accaduto realmente a Gesù sulla croce con il particolare della divisione delle
vesti.
Passando, poi, alla resurrezione Giustino parla del profeta Giona, la cui vicenda
adombra i tre giorni di Gesù nel sepolcro. Giustino aggiunge un particolare presente
solo nel vangelo di Matteo, cioè che gli Ebrei hanno diffuso la voce di un
trafugamento del cadavere da parte dei discepoli (ciò conferma che Giustino tiene
presente soprattutto questo vangelo).
Gesù è Figlio dell’uomo e Figlio di Dio. Comincia a delinearsi la doppia natura di Gesù
che è Figlio dell’uomo per il fatto di essere nato per mezzo della vergine (p.299) ed è
Figlio di Dio perché è proceduto prima di ogni creatura dalla potenza e dalla volontà
del Padre suo (p.300).
Però Gesù è subordinato al Padre: “Egli stesso poi indica che sarebbe stato salvato
dal medesimo Dio, senza vantarsi di fare alcunché con le proprie forze o di propria
volontà”(p.301).
Gesù è venuto nel mondo per rimettere i nostri peccati, che sono stati liberamente
commessi. In Giustino non è presente la visione pessimistica circa le nostre capacità
che si trova in Sant’Agostino. Su questo è molto vicino all’attuale impostazione
cattolica del problema che vuole la cooperazione tra l’uomo e l’aiuto divino.
Per quanto riguarda il destino dell’uomo, in Giustino è presente il concetto di
immortalità dell’anima che nella Bibbia lui vede documentato nell’episodio
dell’anima di Samuele evocata da una negromante su richiesta del re Saul (1).
A questo punto Giustino ritiene opportuno riassumere il proprio pensiero e si
esprime così: “E con tutto questo voi non solo non vi siete pentiti una volta appreso
che era risorto dai morti, ma, come ho già detto, avete eletto uomini scelti e li avete
inviati per tutta la terra a proclamare che era sorta un’eresia empia e iniqua per
l’errore di un certo Gesù, un galileo, e dicendo che loro (sic) l’avevano crocifisso ma i
suoi discepoli l’avevano sottratto di notte dal sepolcro dove era stato deposto una
volta schiodato dalla croce, e ora andavano ingannando gli uomini affermando che
20
si era ridestato dai morti ed era salito al cielo. Voi lo accusate di aver insegnato
queste dottrine che denunciate a tutto il genere umano come empie, inique e
sacrileghe per attaccare coloro che lo riconoscono come Cristo, maestro e figlio di
Dio (p.315).
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1) 3 Samuele era morto e tutto Israele aveva fatto il lamento su di lui; poi l'avevano seppellito in
Rama sua città. Saul aveva bandito dal paese i negromanti e gl'indovini.
4 I Filistei si radunarono, si mossero e posero il campo in Sunàm. Saul radunò tutto Israele e si
accampò sul Gelboe. 5 Quando Saul vide il campo dei Filistei, rimase atterrito e il suo cuore tremò
di paura. 6 Saul consultò il Signore e il Signore non gli rispose né attraverso sogni, né mediante gli
Urim, né per mezzo dei profeti. 7 Allora Saul disse ai suoi ministri: «Cercatemi una negromante,
perché voglio andare a consultarla». I suoi ministri gli risposero: «Vi è una negromante nella città
di Endor». 8 Saul si camuffò, si travestì e partì con due uomini. Arrivò da quella donna di notte.
Disse: «Pratica la divinazione per me con uno spirito. Evocami colui che io ti dirò». 9 La donna gli
rispose: «Tu sai bene quello che ha fatto Saul: ha eliminato dal paese i negromanti e gli indovini e
tu perché tendi un tranello alla mia vita per uccidermi?». 10 Saul le giurò per il Signore: «Per la vita
del Signore, non avrai alcuna colpa per questa faccenda». 11 Essa disse: «Chi devo evocarti?».
Rispose: «Evocami Samuele».
12 La donna vide Samuele e proruppe in un forte grido e disse quella donna a Saul: «Perché mi hai
ingannata? Tu sei Saul!». 13 Le rispose il re: «Non aver paura, che cosa vedi?». La donna disse a
Saul: «Vedo un essere divino che sale dalla terra». 14 Le domandò: «Che aspetto ha?». Rispose: «È
un uomo anziano che sale ed è avvolto in un mantello». Saul comprese che era veramente
Samuele e si inginocchiò con la faccia a terra e si prostrò. 15 Allora Samuele disse a Saul: «Perché
mi hai disturbato e costretto a salire?». Saul rispose: «Sono in grande difficoltà. I Filistei mi
muovono guerra e Dio si è allontanato da me; non mi ha più risposto né per mezzo dei profeti, né
per mezzo dei sogni; perciò ti ho evocato, perché tu mi manifesti quello che devo fare».
16 Samuele rispose: «Perché mi vuoi consultare, quando il Signore si è allontanato da te ed è
divenuto tuo nemico? 17 Il Signore ha fatto nei tuoi riguardi quello che ha detto per mia bocca. Il
Signore ha strappato da te il regno e l'ha dato al tuo prossimo, a Davide. 18 Poiché non hai
ascoltato il comando del Signore e non hai dato effetto alla sua ira contro Amalek, per questo il
Signore ti ha trattato oggi in questo modo. 19 Il Signore abbandonerà inoltre Israele insieme con
te nelle mani dei Filistei. Domani tu e i tuoi figli sarete con me; il Signore consegnerà anche
l'accampamento d'Israele in mano ai Filistei». (Samuele 3,19)
21
IL Nuovo Israele
Per Giustino è tutto chiaro: il Cristianesimo avanza, nonostante le persecuzioni che,
in verità fino ai suoi tempi, erano state meno intense e questo è il segno che Gesù è
il Cristo.
Ora dobbiamo fare noi una piccola e semplice considerazione. Il mondo occidentale
era allora ristretto all’area mediterranea. Questa religione che si andava
diffondendo, sia pure a fatica, tra popolazioni varie aveva come resistenza tenace
soltanto il popolo ebraico.
Dobbiamo chiederci il perché.
Consideriamo che nell’evangelizzazione dei popoli mediterranei non si poneva il
problema di Dio e di un altro tipo di vita. In un modo o nell’altro ci credevano tutti.
Per le istituzioni romane c’era solo il problema della fedeltà allo stato e
all’imperatore. Per il resto il bisogno di nuove fedi (ricordiamo che non c’era solo il
Cristianesimo a diffondersi) era intenso. Il Cristianesimo sintetizzò i vari culti,
assorbendoli dialetticamente, proprio in senso hegeliano.
Alcuni esempi per capire: la Madonna col bambino dell’iconografia cristiana si trova
nel culto di Iside, che ha in braccio il figlioletto Seth, la festività del Natale si collega
al culto mitraico, il fortissimo disprezzo per il mondo materiale, che ispira il primo
monachesimo orientale è di derivazione gnostica. Si può aggiungere il culto di San
Michele, che, rappresentato con spada e corazza, aiuta nella conversione di
popolazioni guerriere di origine barbarica e riassume in sé elementi del culto
mitraico (San Michele sul Gargano).
Solo gli Ebrei non ci staranno a farsi assimilare perché Gesù, così come era stato
compreso dalla cerchia dei suoi seguaci, non assecondava le loro aspettative di
riscatto politico e in prospettiva di supremazia, rompeva troppo con le tradizioni
(circoncisione e problema del sabato) e, infine, era presentato come una divinità che
rompeva il rigido monoteismo (il concetto, tardivo, di Trinità sembrava poco più di
un espediente). Essi saranno tollerati, più o meno, perché spesso saranno oggetto di
attacchi. Non saranno eliminati del tutto, forse perché non fanno molto proselitismo
e sono utili con le loro attività commerciali.
Comunque, Giustino, quando il cristianesimo è ancora all’inizio della sua storia e
soprattutto non occupa posizioni di potere, non ha perso del tutto le speranze di
22
convincerli. Dice, infatti, più avanti: “Fratelli, non vogliate dir nulla di male contro
quel crocifisso! Non deridete le sue lividure, grazie alle quali tutti possono essere
guariti, come noi siamo stati guariti! Come sarebbe bello se credeste alle parole della
scrittura e circoncideste la vostra durezza di cuore!” (pag.375)
Alla fine Trifone così si esprime: “ Vedi, non è per calcolo che ci siamo trovati a
confrontarci su questi argomenti, ma confesso che sono rimasto pienamente
soddisfatto di questo incontro, e credo che anche gli altri condividano il mio
sentimento. Abbiamo trovato più di quanto ci aspettavamo e di quanto fosse lecito
aspettarsi” (pag.384).
Giustino dal suo canto si mostra tuttora fiducioso nella conversione degli Ebrei;
infatti dice “Vi esorto ad affrontare il supremo combattimento per la vostra salvezza
e a darvi cura di preferire ai vostri maestri il cristo del Dio onnipotente”(pag 384).
Insomma a metà del II secolo ci sarebbe ancora una possibilità, sia pure tenue, di
evitare il formarsi di due religioni. Purtroppo il tenue filo si spezzerà.
Com’è noto, dopo San Giustino procede l’elaborazione teologica dei padri della
Chiesa fino al grande Sant’Agostino. Il Cristianesimo definirà i propri dogmi e
scarterà le interpretazioni ritenute non ortodosse, parimenti sarà definito il canone
degli scritti ispirati e si provvederà a rimuovere i tanti scritti su Gesù ritenuti non
veritieri. Ritornare su ciò che è stato definito è operazione francamente inutile; non
spetta allo storico del pensiero stabilire chi ha ragione e chi ha torto. Solo si deve
dire che, se non si accetta la conclusione che la storia ha poi consegnato ai posteri,
del messaggio di Gesù non resta quasi nulla.
23
Appendici
1) Gesù secondo la storia
Ricostruire, secondo la storia, la vicenda umana di Gesù presenta una certa
difficoltà, ma non è impossibile. Prima di tutto occorre considerare la sostanziale
attendibilità dei Vangeli.
Essa è data, tra l’altro, dal fatto che i redattori dei Vangeli registrano anche le loro
incomprensioni dottrinali e i tradimenti ed, infine, su una vicenda cruciale come la
resurrezione, non tralasciano di riferire la possibilità dell’imbroglio da parte di alcuni
di essi, attribuendo agli Ebrei questo sospetto. Questa sincerità è la miglior prova
della buona fede degli Evangelisti. Certo mancano notizie provenienti da altre fonti, a
parte qualche inciso di Tacito e Svetonio, ma ciò è comune nella storia antica anche
ad altre vicende; comunque di un personaggio importante come Giovanni Battista
parla lo storico ebreo Flavio Giuseppe, che nomina anche brevemente Gesù. Orbene
se la citazione di Gesù può essere, per il tono adoperato, un’aggiunta posteriore, è
probabile che il passo relativo al Battista, di una certa ampiezza, sia autentico.
I Vangeli furono scritti nel I secolo (i sinottici tra il 66 e il 68; quello di Giovanni
dopo il 90). Si può arrivare a questo tenendo conto che un altro testo importante, gli
Atti degli apostoli, si chiude con Paolo ancora vivo. Tenendo conto che gli Atti sono
la seconda parte della testimonianza di Luca, che ricalca Marco, si possono datare
questi due scritti appunto tra il 66 e il 68, comunque prima del martirio di Paolo; per
Luca si può essere più precisi, perché ricorda, in un passo, la possibile devastazione
di Gerusalemme da parte dei Romani, già con Vespasiano che arrivò fino ad Emmaus
e non attaccò per la morte di Nerone (Quando vedrete Gerusalemme circondata da
eserciti, allora la sua devastazione è vicina). Del resto nel 66 i Romani avevano già
provato a distruggere Gerusalemme, ma erano stati sconfitti. Quanto al testo attribuito
all'apostolo Matteo, ma opera di uno scriba che ha rifatto un originale aramaico,
secondo i più precede Luca; potrebbe essere, invece, posteriore perché il discorso
sulle beatitudini e la preghiera del Padre Nostro sono più ampie rispetto a Luca e lo
presuppongono; inoltre conclude con una affermazione trinitaria, assente in Marco
(mentre Luca non riporta l'evento). Su Matteo c’è da rilevare che si sforza di
collegare la vicenda di Gesù con le profezie e, tra l’altro, inserisce la nascita a
Betlemme per far concordare con le profezie la vicenda di Gesù, nato, invece, in una
località della Galilea, in seguito chiamata Nazareth, dall’appellativo nazareno dato a
Gesù (Matteo, invece fa derivare nazareno da Nazareth). In ogni casi Gesù è un
nazireo o nazareno anomalo, perché beve vino e si accosta ai cadaveri). Da quanto
sopra detto, il più attendibile dei sinottici è Luca, che si pone esplicitamente il
proposito di scrivere un’indagine circostanziata su quanto si dice su Gesù e la dedica
ad un certo Teofilo (attestato come padre del sommo sacerdote Mattia, anni: 65-66).
Per Giovanni, che non è l'apostolo, ma un suo omonimo, occorre considerare che il
suo Vangelo è anche una risposta alle sette gnostiche che negavano la realtà
24
dell’incarnazione e avevano i loro vangeli e quindi è posteriore, in quanto la dottrina
cristiana parte dall’ebraismo e solo successivamente si scontra con gli gnostici. Si
tratta di un Vangelo importante sul piano teologico, meno su quello storico, perché
più tardivo e scritto con un intento dottrinale.
I Vangeli, infatti, ci presentano Gesù fondamentalmente come un ebreo eterodosso,
forse un nazireo anomalo, da cui deriverebbe il toponimo Nazareth, che vuole
rinnovare, in antitesi all’ebraismo ufficiale, la fede d’Israele. Il voto del nazireato,
previsto dalla legge mosaica, con qualche frequentazione essena, riguardava
certamente Giovanni Battista, che chiamò alla conversione le genti d’Israele; dopo la
sua uccisione da parte di Erode Antipa, Gesù intensifica la propria predicazione, che,
in seguito, si dilata oltre i confini dell’ebraismo, in quanto si diffonde la novità del
messaggio a popolazioni confinanti e Gesù si rende conto dell’enorme potenziale di
fede fuori d’Israele. Non viene, però, compreso in maniera univoca ed è confuso con
un messia prevalentemente politico; di qui, è probabile, scaturisca il tradimento di
Giuda, deluso nelle sue aspettative rivoluzionarie.
L’ostilità degli ambienti ebraici ufficiali è fuori discussione, per gli attacchi continui
di Gesù; quanto ai Romani è verosimile che non abbiano capito molto del
personaggio, ma abbiano acconsentito alla crocifissione per prudenza politica.
In effetti per alcuni decenni per i Romani non c’è distinzione tra Giudei e Cristiani
come evidenzia un passo di Svetonio che si riferisce ad una vicenda dell’epoca di
Claudio.
Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit
“Espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto creavano continuamente disordini” (Vita
Claudii XXIII, 4)
Poi, forse su indicazione degli stessi Ebrei, i Romani compresero il carattere
peculiare della setta “cristiana” alla quale perciò non venne riconosciuto il carattere
di religio licita che per motivi politici c’era, fin dai tempi di Giulio Cesare, per
l’Ebraismo ufficiale.
L’esigenza politica, data la delicatezza del fronte orientale, di trovare dei
compromessi con gli Ebrei, nonostante le numerose rivolte e la grande Guerra
Giudaica, spinse i Romani a grandi cautele nei confronti degli Ebrei, ma all’epoca di
Giustino ci fu la rivolta guidata da Bar Kochba e l’imperatore Adriano prese
provvedimenti più severi, che portarono alla definitiva scomparsa della presenza
ebraica in Giudea, che prese l’antico nome di Palestina.
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2) A proposito di Logos = ragione
Nel pensiero di San Giustino il concetto di Logos riveste una fondamentale
importanza. Esso, tuttavia, ha una lunga storia alle spalle, che ci sembra giusto
riassumere, in quanto il significato del termine non risulta univoco nella storia del
pensiero.
Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, Giovanni ha iniziato il prologo del
suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola
che usa l'imperatore: Dio agisce con logos. Logos significa insieme ragione e
parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come
ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio,
la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la
loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice
l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un
semplice caso. (Dal discorso di Ratisbona di Benedetto XVI)
Si noti la concordanza tra le parole del pontefice e il concetto di Logos in San Giustino.
Va però osservato che la questione del Logos nel pensiero greco è estremamente complessa; in
questa appendice ci limitiamo ad una piccola antologia delle problematiche connesse.
Platone
In Platone il significato iniziale di logos non è dimostrazione, ma manifestazione
grammaticalmente collegata di verbi e nomi. Poi, a questo significato, se ne aggiungono altri che
portano a considerare il logos come segno distintivo della cosa e quindi via per la vera conoscenza.
Sarà poi la dialettica a consentire di distinguere un’idea dall’altra permettendo la conoscenza salda
(episteme).
SOCR. O via, chi dice così che cosa vuol significhi la parola ‘ragione’? A me pare una di queste tre
cose. TEET. Quali? SOCR. La prima sarebbe questa: [d] manifestare il proprio pensiero, mediante
la voce, con verbi e nomi, effigiando nelle parole che fluiscono dalle labbra, come in acqua o
specchio, l’immagine dell’opinione. Non ti pare che ragione sia qualche cosa di simile? TEET. Mi
pare. Certo chi fa codesto diciamo che ragiona.
TEET. Hai fatto bene a ricordarmelo: di fatti ne rimane ancora uno. Il primo era come chi dicesse
un’immagine del pensiero nella voce; il secondo, che abbiamo esaminato dianzi, era un giungere
fino all’intiero percorrendo tutta la serie degli elementi; e ora il terzo quale è? SOCR. Quello che
diranno i più: poter indicare un segno onde la cosa di cui si domanda differisce da tutte le altre.
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Vediamo adesso cosa ne pensa Aristotele
Ciò che attualmente si intende col termine logica, Aristotele chiamava analitica.
Anche per Aristotele col termine logos non si intende il ragionamento dimostrativo, ma la parola
grammaticalmente collegata, come evidenzia uno studioso contemporaneo.
Emilio Lledò :L’uomo animale politico
E' perciò importante, in questo senso, ricordare che Aristotele, nella stessa pagina in cui
definisce l'uomo come animale politico, come animale che vive in una polis e deve organizzare
il suo modo di vivere, lo definisce anche come zòon lògon èchon, che significa,
traducendo alla lettera, "animale dotato di parola", o per meglio dire: "animale
dotato di lògos". E' piuttosto singolare che questa definizione aristotelica dell'uomo
abbia dato origine all'altra famosa definizione: "l'uomo è un animale razionale". Non
era questo che Aristotele intendeva. Aristotele voleva dire soltanto che,
naturalmente, il lògos è una lotta per la razionalità: ma l'uomo non è un essere
razionale. E' invece, secondo questa famosa definizione, un essere che parla, che
muove la lingua - quella cosa così reale e così fisica che è la lingua - e muovendola
produce un suono semantico, dei suoni che creano comunità, che creano polis, che
creano uno spazio collettivo.(Tratto dall'intervista Origine dei concetti di felicità e uomo politico ,
Napoli, 21 aprile, 1988)
Stoicismo
Con lo stoicismo ci si avvicina al significato attuale del termine logica, perché, per gli stoici il logos è da una parte e in primo luogo, una forza cosmica, ma l’uomo può
esprimere il logos immanente, se coglie i collegamenti presenti nella realtà. La logica è la parte della filosofia che si occupa dei discorsi tesi ad esprimere il logos. Gli stoici vogliono superare le difficoltà che impediscono agli uomini di vivere secondo il logos
andando oltre Eraclito, che così si esprimeva:
Di questo lógos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo
ascoltato; benché infatti tutte le cose accadano secondo questo lógos, essi assomigliano a persone inesperte, pur
provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e
dicendo com’è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di ciò
che fanno dormendo.
L’uomo saggio è colui che sa vivere secondo il logos; il ragionamento, nel senso moderno del termine, è solo
una strada per uno stile di vita, che è l’obiettivo principale.
Filone
Con questo pensatore ebreo ci si avvicina al senso cristiano del termine Logos
Tra Dio e il mondo, Filone colloca molte potenze, che svolgono funzioni di
intermediari. La maggiore di queste, che comprendono anche gli angeli e i demòni, é il
Logos, un concetto che Filone riprende dalla tradizione greca. Egli lo dice "
primogenito " o " immagine " di Dio , ma non risulta del tutto chiaro se lo consideri
entità increata o creata da Dio stesso. Esso é il depositario delle idee, che svolgono
funzione di modelli per la creazione del mondo, come già aveva sostenuto Platone.
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Eccoci finalmente al pensiero di Giovanni apostolo nel celebre prologo del IV vangelo:
Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.
In seguito si trova questa espressione:
“Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha
mandato”.
Logos=manifestazione della volontà di Dio
Dio è e, nello stesso tempo, si manifesta. Quindi il senso del termine non è la ragione in senso
dimostrativo.
Nella Bibbia, Dio non motiva mai le proprie decisioni; anche Gesù si esprime per parabole, non con
discorsi razionali.
Tuttavia, volesse Dio parlare
e aprire le labbra contro di te,
[6]per manifestarti i segreti della sapienza,
che sono così difficili all'intelletto,
allora sapresti che Dio ti condona parte della tua
colpa.
[7]Credi tu di scrutare l'intimo di Dio
o di penetrare la perfezione dell'Onnipotente?
[8]E` più alta del cielo: che cosa puoi fare?
E` più profonda degli inferi: che ne sai?
[9]Più lunga della terra ne è la dimensione,
più vasta del mare.
[10]Se egli assale e imprigiona
e chiama in giudizio, chi glielo può impedire? (Giobbe 11, 5-10)
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[16]Quando mi sono applicato a conoscere la sapienza e a considerare l'affannarsi che si fa sulla
terra _ poiché l'uomo non conosce riposo né giorno né notte _ [17]allora ho osservato tutta
l'opera di Dio, e che l'uomo non può scoprire la ragione di quanto si compie sotto il
sole; per quanto si affatichi a cercare, non può scoprirla. Anche se un saggio dicesse di
conoscerla, nessuno potrebbe trovarla. (Ecclesiaste 8, 16-17)
[13]Quale uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
[14]I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
[15]perché un corpo corruttibile appesantisce l'anima
e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri.
[16]A stento ci raffiguriamo le cose terrestri,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi può rintracciare le cose del cielo?
[17]Chi ha conosciuto il tuo pensiero,
se tu non gli hai concesso la sapienza
e non gli hai inviato il tuo santo spirito dall'alto?
[18]Così furono raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono ammaestrati in ciò che ti è gradito;
essi furono salvati per mezzo della sapienza. (Sapienza 9, 13-18)
Come si vede nel pensiero cristiano il Logos non è la ragione che ricerca e dimostra ma quella
che rivela una verità, nei confronti della quale bisogna avere fede.
Anche nel caso di San Giustino il Logos è rivelazione di verità, non ricerca di essa. Il santo è
considerato un platonico, ma va detto che in Platone la filosofia è ricerca, non rivelazione.
Certo, però, tutta un’interpretazione storicamente ineccepibile ha diffuso il concetto dell’uomo
come animale razionale ed ha fatto della ragione il trampolino della fede. Anche gli equivoci fanno
la storia e Tommaso d’Aquino ha cristianizzato un Aristotele dopo averlo interpretato a suo uso e
consumo.
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3) Notizie sullo Gnosticismo
Nel suo sforzo di diffusione e sistemazione teologica, il Cristianesimo s’incontrò e scontrò con un
complesso di dottrine che si è soliti raggruppare nel termine di gnosticismo un insieme di dottrine
filosofico-religiose sviluppatesi nei primi secoli d.C. Non è esclusa, dagli studiosi, un’origine dello
gnosticismo anteriore, anche di qualche secolo, però il movimento assunse rilievo solo con alcuni
maestri come Valentino, Basilide e Carpocrate che vissero nel II secolo d.C.
Cardini dello gnosticismo sono l’esasperato dualismo, cosmico e antropologico, tra lo spirito e
la materia e la convinzione che la salvezza dell’uomo dipende dalla gnosi, cioè da una conoscenza
di verità nascoste, riservata a pochi e che avviene solo dopo un processo di iniziazione e
preparazione. La gnosi si differenzia dalla pistis, che è la fede che nasce dal sentimento, in quanto
costituisce un’accettazione razionale della verità, però di tipo intuitivo e non dimostrativo.
Da un Dio buono, fatto di pura luce, derivano, secondo gli gnostici, per emanazione, a coppie di
opposti(sigizie), entità divine intermedie: gli eoni. Ma un dio inferiore e malvagio, il dio degli ebrei,
creò la materia, per imprigionare in essa l’eone più distante dalla luce: l’uomo, formato dalla
coppia: anima e materia; infatti, a causa della parte femminile: la materia, l’anima si allontanò
dalla luce e, pervenuta nel tenebroso mondo materiale, divenne schiava del male, del dolore e
della morte. Pertanto l’anima soffre ed anela, ma solo in alcuni eletti, a ritornare alla sua patria
celeste, in virtù di una scintilla divina nascosta in essa.
Per questo Dio manda nel mondo il modello ideale e perfetto di uomo (L’Intelletto cioè Cristo), col
compito di ridestare, sempre negli uomini più spirituali, la nostalgia della luce, attraverso il suo
esempio e la rivelazione delle verità dimenticate. La salvezza consiste, per l’anima, nel non essere
più imprigionata in un corpo materiale; l’elemento femminile della coppia deve trasformarsi in
elemento maschile.
Cristo assume sembianze umane ovvero prende possesso dell’uomo Gesù (figlio di Giuseppe e
Maria), ma non nasce da una donna; non soffre veramente sulla croce, sulla quale viene crocifisso
Simone il Cireneo, oppure una parvenza di uomo.
La salvezza si consegue attraverso un progressivo distacco dal mondo materiale, per il quale lo
gnosticismo mostra indifferenza o disprezzo.
Lo gnosticismo, combattuto e vinto dal Cristianesimo, lasciò traccia di sé nel manicheismo, nel
monachesimo, nell’eresia medioevale dei Catari, nella misoginia.
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4) Eucaristia e Antropologia
Il rito cristiano dell’eucaristia ricorda usanze tribali molto antiche legate al totemismo. Secondo
Freud il Cristianesimo avrebbe “rimesso in piedi l’antico banchetto totemico in forma di
Comunione”(1). Mangiare il corpo dell’animale totem o di un nemico forte per acquistare la sua
energia vitale è un uso molto antico ed attestato. Nella tradizione ebraica è presente il pasto con
l’agnello in ricordo della liberazione dall’Egitto adattato poi nella simbologia cristiana a pasto
del corpo e sangue di Cristo; nei riti di Mitra si mangia il toro che il dio ha ucciso.
Spesso la parte del corpo da mangiare è il cuore, considerato sede dell’energia vitale; per lo più
si deve mangiare il cuore di un nemico vinto per acquistare forza e anche allo scopo di placarne
l’ombra. In letteratura si incontra questo tema ma con una particolare valenza, cioè come segno
di odio e vendetta, come per esempio in una leggenda ricordata da Boccaccio nel Decameron:
Guillem era innamorato di Soremonda, moglie del signore di Rossiglione. L'uomo, geloso, uccide il
trovatore, gli strappa il cuore, lo fa arrostire e lo dà da mangiare alla moglie. Quando poi le dice
cos'era ciò che ella aveva mangiato, Soremonda si getta da una finestra e muore. Quando il re
d'Aragona viene a conoscenza del fatto, getta in prigione il marito e riunisce i due amanti in un
sarcofago -su cui fa scolpire la loro storia- che diventa meta di pellegrinaggi.(IV, 9)
Tutto ciò però significa soltanto che i riti cristiani si collegano alle modalità umane dei legami
mitici e religiosi adattandoli alla nuova sensibilità, ma non li sostituiscono né li alterano.
In fondo si tratta di una conferma del concetto giustineo di un messaggio cristiano che sviluppa
concetti e usanze preesistenti. Naturalmente Giustino si riferisce alle dottrine pagane, ma noi
possiamo adattare la sua intuizione ed intendere la religione e l’etica naturale come
preparazione al Cristianesimo.
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1) (Totem e Tabù pag 186 ed. Newton trad. Manieri)
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Riferimenti bibliografici
A.Puech: Les apologistes grecs du II siècle, Parigi 1912.
E.Seeberg: Die Geschichtsteologie Justin des Martyrers, Kiel 1939.
Michele Pellegrino: Studi su l’antica apologetica - Edizioni Storia e Letteratura, Roma 1947.
Gli Apologeti greci del II secolo, Roma 1947.
P.Prigent: Justin et l’Ancien Testament, Parigi 1964.
L.W.Barnard: Justin Martyr. His Life and Trought, Cambridge 1967.
R. Joly: Christianisme et philosophie . Etudes sur Justin et les apologistes grecs du II siècle,
Bruxelles 1973.
E.F.Osborn: Justin Martyr, Tubinga 1973
Giuseppe Girgenti: Giustino martire il primo cristiano platonico – Ed Vita e Pensiero, Milano 1995.
Marta Sordi: I cristiani e l’impero romano – Jaca Book, Milano 2004.
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Indice
Introduzione pag. 1
Nota biografica pag. 5
Atti del martirio pag. 6
Apologia prima pag. 8
Apologia seconda pag. 11
Dialogo con Trifone pag. 12
Appendici pag. 23
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