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8/18/2019 Studio di riqualificazione per la produzione di energia rinnovabile nell'area di Saline Ioniche (RC)
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MEDITERRANEA DI REGGIO CALABRIA
FACOLTÀ DI INGEGNERIACORSO DI LAUREA TRIENNALE INGEGNERIA CIVILE
TESI DI LAUREA
STUDIO DI RIQUALIFICAZIONE PER LA PRODUZIONEDI ENERGIA RINNOVABILE
NELL’AREA DI SALINE IONICHE (RC)
Candidato: Relatore:Gabriele Candela Prof. Ing. Giuseppe Barbaro
Correlatore:Ing. Luca Sicilia
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
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INDICE
INTRODUZIONE ............................................................................................................... 5 Capitolo I ............................................................................................................................. 9
1.1 Descrizione e cause .............................................................................. 9
1.2 Onde periodiche ................................................................................. 13
1.2.1 Teoria Lineare di Stokes ............................................................ 15
1.2.2 Riflessione delle onde su parete verticale ................................ 19
1.2.3 Rifrazione e frangimento su bassi fondali ................................ 221.2.4 Il bilancio energetico riferito a un volume di controllo ........... 23
1.3 Onde di Vento: teoria degli stati di mare .......................................... 26
1.3.1 Relazioni di base nella teoria degli stati di mare ..................... 26
1.3.2 Probabilità omnidirezionale di superamento e relativo periododi ritorno .............................................................................................. 29
Capitolo II ......................................................................................................................... 31
2.1 Energia associata al modo ondoso ..................................................... 31
2.2 Classificazione degli impianti ............................................................. 33
2.2.1 Rispetto alla distanza dalla costa .............................................. 33
2.2.2 In base al principio fisico ........................................................... 35
2.3 REWEC ................................................................................................. 42
2.3.1 Descrizione .................................................................................. 42
2.3.2 Stima dell’energia elettrica prodotta su base annua ............... 45
Capitolo III ........................................................................................................................ 49
3.1 Definizione .......................................................................................... 49
3.2 Caratteristiche del bacino idrografico ............................................... 50
3.2.1 Caratteristiche morfometriche .................................................. 51
3.2.2 Reticolo Idrografico .................................................................... 54
3.3 Analisi afflussi: pioggia di progetto .................................................... 58
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3.4 Deflussi: stima della massima portata di piena ................................. 62
Capitolo IV ....................................................................................................................... 65
4.1 Descrizione piccolo impianto idroelettrico ........................................ 65
4.2 Configurazione dei siti ........................................................................ 68
4.3 Deflusso Minimo Vitale ...................................................................... 73
Capitolo V ......................................................................................................................... 79
5.1 Descrizione .......................................................................................... 79
5.2 Inquadramento territoriale ................................................................ 80
5.3 Stima della produzione energetica REWEC3 ...................................... 90
5.3.1 Studio meteo-marino .................................................................. 90
5.3.2 Produzione energetica ............................................................. 100
5.4 Stima produzione energetica impianto idroelettrico ...................... 104
CONCLUSIONI ............................................................................................................... 115
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................. 119
RINGRAZIAMENTI ..................................................................................................... 121
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INTRODUZIONEOggetto della tesi sarà lo studio di fattibilità per la riqualificazione
ambientale dell’area di Saline Ioniche, in provincia di Reggio
Calabria.
La recente crisi economica ha accentuato maggiormente il ben
noto problema della reperibilità delle risorse energetiche.
Il territorio oggetto di analisi non è escluso da questa
considerazione, anzi rappresenta perfettamente le errate politiche
energetiche e ambientali degli ultimi quarant’anni, poco attente
alla valorizzazione delle risorse ed alla tematica dello sviluppo
sostenibile. La zona analizzata , che parte dall’Aspromonte fino ad
arrivare alla cos ta, è al giorno d’oggi un cimitero industriale,
nonostante le grandi potenzialità del territorio quali il tratto
montano di Montebello e la zona costiera.
Sono attualmente in corso di studio una serie di progetti a livello
nazionale riguardo la riqualificazione dell’intera zona, ma non tutti
vertono nella stessa direzione e cercano di sfruttare in maniera
idonea le peculiarità dell’area.
In questo contesto territoriale, sono state programmate due
diverse tipologie di intervento per utilizzare le grandi risorse
naturali quali il bacino idrico e la zona costiera, al fine di produrre
energia da fonti rinnovabili: un impianto idroelettrico ad acqua
fluente, ed una diga a cassoni REWEC3.
Pur sfruttando entrambi la forza idrica, questi due impianti sono
profondamente diversi: l’idroelettrico , collocato nel tratto medio
vallivo del bacino, utilizza il salto idrico, e rappresenta ad oggi un
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settore ampiamente collaudato, nonché la prima fonte di energia
rinnovabile al mondo; la diga a cassoni REWEC, inserita invece nel
molo di sottoflutto del porto, gravemente danneggiato a causa diuna serie di mareggiate, si muove nell’ambito sperimentale della
conversione di energia a partire dal moto ondoso. Gli oceani e i
mari costituiscono una sorgente energetica altamente sfruttabile
non ancora largamente utilizzata.
Nel primo capitolo verranno quindi introdotte le nozioni di base
sull’analisi del moto ondoso, la fenomenologia ad esso collegata, ele previsioni in tempi lunghi individuando i parametri caratteristici
di una località.
Nel secondo verrà presentato un quadro generale riguardo i
dispositivi utilizzati per la conversione dell’energia d al mare.
Sebbene si stia assistendo ad una graduale convergenza verso
alcuni approcci, non ci sono idee concordanti su quali sia lamigliore tecnologia: esistono infatti numerosi dispositivi basati su
principi fisici diversi. Tra i tanti verrà approfondito il recente
sistema REWEC3 ideato e brevettato dal Prof. Boccotti nel
laboratorio naturale di Reggio Calabria. Tale diga svolge una
duplice funzione: quella di produrre buone quantità di energia e
contrastare i fenomeni di erosione proteggendo la costa.
Il terzo capitolo tratterà l’analisi del bacino idrogr afico, con
particolare attenzione alla conversione afflussi-deflussi per
ricavare la portata in un corso d’acqua specifico.
Nel quarto verranno analizzate le caratteristiche dei piccoli
impianti idroelettrici, con particolare attenzione al deflusso
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minimo vitale da garantire per il rispetto dell’ambiente all’interno
del quale si inserisce l’opera.
Nell’ultimo capitolo , dopo un inquadramento territoriale dellazona in esame, verranno utilizzati gli strumenti teorici presentanti
precedentemente per stimare, su base annua, la produzione di
energia elettrica dei due impianti.
Per quanto riguarda l’impianto idroelettrico , dopo aver esaminato
il bacino idrografico di Montebello Ionico , ed aver fissato l’opera di
presa e di rilascio, verrà stimata la produzione energetica a partiredalle portate nel corso d’acqua in esame , garantendo, nel rispetto
della normativa, il deflusso minimo vitale.
Per la stima della produzione energetica del REWEC3, inserito nel
molo di sottoflutto del porto, danneggiato dal punto di vista
strutturale e insabbiato dal mare, verrà effettuato lo studio meteo
marino per calcolare il flusso di energia che impatta sulla diga.Dal flusso di energia sarà possibile risalire mediante opportune
considerazioni all’energia prodotta su base annua.
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Per intraprendere l ’analisi di tale fenomeno è necessario rilevare
le cause che lo generano; esse possono essere così sintetizzate:
-ventoIl vento spirando sulla superficie dell’acqua trasferisce per attrito
(alle particelle superficiali) parte della sua energia cinetica e
quantità di moto generando un’ onda che non è perfettamente né
trasversale né longitudinale, ma assume una forma e una
propagazione mista tra le due. Le particelle superficiali a loro
volta, a contatto con le particelle sottostanti trasferiscono perattrito viscoso questa energia che si propaga in profondità con un
certo grado di attenuazione. Il moto che si genera è di tipo
circolatorio: lo spostamento locale è in media nullo e non si ha,
perciò, trasporto di massa ma solo di energia.
Figura 1.2 - Schematizzazione moto ondoso
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-Correnti marine
Le onde formate anche dalle correnti marine che determinano lacircolazione delle acque nei mari a causa della
differente temperatura e salinità delle acque. Le correnti marine
possono avere movimenti orizzontali e verticali.
-Altri fenomeni
Le onde infine possono essere generate da eventi non comunicome terremoti o maremoti (generati a loro volta da eruzioni,
frane sottomarine , movimenti tettonici… ).
Anche il distacco di grossi ammassi di ghiaccio dal fronte
di ghiacciai che terminano sul mare possono in alcuni casi
generare delle onde di notevoli dimensioni. Tipici di questo
fenomeno sono per esempio i ghiacciai dell'Antartide durante lastagione estiva.
Per via della loro eccezionalità sia le onde generate dalle correnti
marine, sia quelle causate dai fenomeni elencati in precedenza,
non verranno trattate in questo testo, all’interno del quale c i
occuperemo pertanto dell’agitazione ondosa generata da eventi
eolici.
La causa principale dell’agitazione è da attribuire dunque al vento
che può influenzare la massa d’acqua in due maniere distinte.
Si prenda in considerazione un punto in mare al centro di un’area
ben definita; le onde che si formano, nell’area oggetto dell’analisi ,
possono essere dovute a un vento che soffia in zona (definita come
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fetch), o possono essere onde che si propagano al di fuori dell’area
di generazione, cioè onde generate in precedenza da un vento che
ha soffiato in qualche parte dal bacino , lontano dall’area di analisi. Nel primo caso si chiamano “onde di vento” o “wind waves” ed è
necessaria ai fini dell’analisi la teoria degli stati di mare; nel
secondo caso si chiamano “onde di mare lungo” o “swells”.
Figura 1.3 - Fetch e propagazione delle onde
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1.2 Onde periodiche
Le onde marine possono essere descritte con buonaapprossimazione da equazioni di tipo sinusoidale tramite gli stessi
parametri che caratterizzano i fenomeni oscillatori (ampiezza
dell’oscillazione, periodo, frequenza e lunghezza d’onda) .
In laboratorio è possibile simulare il fenomeno mediante una
piastra piana verticale oscillante periodicamente, all’estremità di
un canale che genera delle onde sulla superficie dell’acqua :
Si fissi l’immagine istantanea della superficie dell’acqua dalla quale
è possibile trarre una rappresentazione dell’elevazione η in
funzione dell’ascissa y lungo l’asse di propagazione delle onde
Figura 1.4 - Schematizzazione onde periodiche,
(a) onde nel dominio dello spazio, (b) onde nel dominio del tempo
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(asse del canale). La funzione η( y) rappresenta le onde nel
dominio spaziale (a).
Registrando l’elevazione η della superficie dell’acqua in un puntofissato in funzione del tempo t, otteniamo invece le onde nel
dominio temporale (b).
Da queste rappresentazioni si traggono le definizioni dei parametri
fondamentali:
cresta : punto più alto dell'onda;cavo : punto più basso dell'onda;
periodo T: intervallo di tempo in secondi necessario affinché una
cresta percorra una distanza pari alla lunghezza d'onda;
altezza H : distanza verticale tra cresta e cavo;
ampiezza a=(H/2) : distanza tra la superficie libera ed il livello
indisturbato;lunghezza L : distanza orizzontale tra due creste o cavi consecutivi;
velocità (o celerità) di propagazione dell’onda c: L/T;
frequenza angolare : w=2 π /T;
numero d’onda k = 2π /L;
http://it.wikipedia.org/wiki/Tempohttp://it.wikipedia.org/wiki/Tempo
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1.2.1 Teoria Lineare di Stokes
Ipotesi di base
Il primo approccio matematico allo studio del moto ondoso è la
teoria lineare di Stokes basata sulle ipotesi di fluido perfetto (non
viscoso), forze conservative e moto irrotazionale.
Si consideri il sistema di riferimento cartesiano posizionato sulla
superficie libera, con asse z verticale diretto verso l'alto e asse y
normale al piano.
Si definisce:
h(y) : profondità locale del fondale, la distanza tra il fondale e la
superficie libera (il "tirante" idrico, costante a meno di variazioni
locali qui trascurate);
Figura 1.5 - Sistema di riferimento utilizzato con la teoria di Stokes (anno)
http://it.wikipedia.org/wiki/Fluidohttp://it.wikipedia.org/wiki/Fluido
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η(y,t) : elevazione della superficie libera, la distanza tra la
superficie libera ed il livello indisturbato, concorde con l'asse z.;
ɸ (y,z,t) : funzione potenziale di velocità definita come:
Si introduce quindi la pressione P(y,z,t) e il campo
di velocità istantanea dell 'acqua V(y,z,t) avente componenti lungo
y e z rispettivamente chiamate v(y,z,t) e w(y,z,t).
Equazioni fondamentali
Il sistema di equazioni che governa il moto irrotazionale a
superficie libera è il seguente:
Distinguiamo rispettivamente:
1.1 Equazione di Bernoulli esprime la condizione per la quale la
pressione P è nulla sulla superficie libera.
1.2 Equazione generale della superficie libera ricavata imponendo
l’equazione di continuità in un volume dy .
1.3 Equazione di continuità per fluido incomprimibile.
http://it.wikipedia.org/wiki/Pressionehttp://it.wikipedia.org/wiki/Velocit%C3%A0http://it.wikipedia.org/wiki/Acquahttp://it.wikipedia.org/wiki/Acquahttp://it.wikipedia.org/wiki/Velocit%C3%A0http://it.wikipedia.org/wiki/Pressione
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1.4 Condizione al contorno sul fondo (considerando fondo
orizzontale).
Le funzioni η e Φ devono soddisfare tale sistema di equazioni .
Per semplificare il problema si pone la fondamentale ipotesi che
l’ampiezza delle onde sia trascurabile rispetto alla profondità e alla
lunghezza ovvero:
Essendo poi η e Φ infinitesimi di ordine H possiamo trascurare itermini di ordine minore o uguale a H 2.
Applicando tali approssimazioni alla (1.1) è possibile calcolare la
soluzione del problema (trascurando la funzione f(t) poiché è
indipendente da v e p):
Dalla quale si determinano le caratteristiche del moto quali
velocità e accelerazioni:
Sostituendo l’espressione di Φ nella ( 1.2) otteniamo la relazione di
dispersione lineare :
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Posto: Distinguiamo il comportamento per le onde su alti fondali
(d>L o/2) e quelle su bassi fondali (d
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1.2.2 Riflessione delle onde su parete verticale
Ipotizzando una parete verticale investita da un determinato
numero di onde la cui direzione di propagazione forma un angolo
ϑ
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Nel caso in cui le onde investano la parete ortogonalmente per cui
ϑ=0, il moto diventa bidimensionale e l ’onda incidente (la cui
direzione di propagazion e è coincidente con l’asse y) ècaratterizzata da elevazione d’onda e potenziale di velocità :
All’istante t’ l’ onda investe la parete generando un treno di onde
riflesse i cui parametri caratteristici saranno η r e Φ r.
L’elevazione d’onda totale sarà data dal contributo η e Φ somma
dei contributi di onde incidenti e riflesse. Se la parete è posta lungo la retta y=0 ed è infinitamente lunga la
componente orizzontale della velocità è nulla:
Di conseguenza ηi=η r e Φ i=Φ r; affinché si verifichino tali condizioni
deve necessariamente risultare che altezza e periodo delle onde
riflesse siano uguali ad altezza e periodo dello onde incidenti.
In conclusione l’onda riflessa avrà altezza d’onda doppia rispetto a
quella iniziale e potenziale di velocità pari a:
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Per quanto riguarda la pressione invece, qualunque sia l’angolo di
incidenza Φ delle onde, la massima distribuzione istantanea su una
sezione x fissata della parete è data al primo ordine di Stokes
dall’espressione:
Lo schema di Sainflou si usa per risalire alla distribuzione di
pressione che si ha su una parete verticale soggetta a moto
ondoso:
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1.2.3 Rifrazione e frangimento su bassi fondali
Lo shoaling è il fenomeno di trasformazione dell’onda dal larg o
verso riva (shoal=bassofondo) che descrive come l’onda dal largo a
causa della progressiva riduzione di profondità del fondale subisce
una deformazione; si analizzi un fondale ipotizzando che le onde si
propaghino ortogonalmente alla linea di costa. Considerando un
volume di controllo definito da due sezioni a cielo aperto è
possibile calcolare la potenza media entrante e uscente:
Dalla quale ricaviamo:
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1.2.4 Il bilancio energetico riferito a un volume di controllo
Per quanto riguarda l’energia sono due i parametri da tenere in
considerazione:
E = energia media per unità di superficie;
= flusso medio di energia;
Per ricavare la prima utilizziamo l’equazione fondamentale della
meccanica (F=ma), applicata ad una massa d’acqua infinitesima
dm dove F rappresenta la risultante di tutte le forze, escluso il
peso, che agiscono sulla massa:
Figura 1.7 - Volume di controllo
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Sommando entrambi i membri e moltiplicando per v x, vy e v z si
ottiene:
dove e rappresenta l’energia per unità di massa :
E’ possibile quindi definire l’energia media per unità di superficie: E= [energia totale media per unità di superficie in presenza di
onde] - [energia totale per unità di superficie in condizioni di
quiete]
Analiticamente:
Per onde progressive, ovvero onde che non interagiscono con
corpi solidi, e per fondale senza grandi variazioni di pendenza è
possibile calcolare l’energia media come:
Essendo ciascuno dei due integrali uguale a (1/16)ρgH
2
:
Il vettore flusso di energia medio invece, orientato secondo l’asse s
di propagazione, è definito:
dal quale:
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dove il termine tra parentesi quadre è detto celerità dell’energia e
rappresenta la velocità con la quale si propaga l’energia della
componente di numero d’onda k.
Moltiplicando l’energia specifica totale con la celerità di gruppo
otteniamo il flusso di energia per unità di lunghezza al fronte
d’onda:
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1.3 Onde di Vento: teoria degli stati di mare
Introduciamo il concetto di “stato di mare ” definendolo come unasuccessione di onde generate dal vento la quale si prolunga
indefinitamente nel tempo in condizioni stazionarie.
1.3.1 Relazioni di base nella teoria degli stati di mare
Analiticamente l’altezza d’onda è calcolabile tramite la seguente
formula:
con a i=ampiezza dello spettroω i= frequenze
εi= angoli di fase
Lo spettro dell’onda è definito come (1):
Figura 1.8 - Stato di mare
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Il momento di ordine j dello spettro (ovvero l’area sottesa dallo
spettro) è definito (2):
Altre relazioni di base nella teoria degli stati di mare sono:
Deviazione standard (3):
rappresenta la misura più diretta dell’intensità dell’agitazioneondosa: più grande è σ, maggiori sono gli scostamenti della
superficie libera dell’acqua rispetto al livello medio, e quindi più
alte sono le onde.
Figura 1.9 - Spettro onde di vento
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Funzione di autocovarianza (4):
rappresenta il valor medio dell’elevazione d’onda per l’elevazioned’onda mede sima presa dopo un intervallo T.
Altezza significativa (5):
Periodo dominante:
Le relazioni (1)-(2)-(3)-(4)-(5) sono legate dalla seguente formula:
Un’espressione proposta per interpretare gli spettri delle onde di
vento è quella dello spettro JONSWAP (Joint North Sea WAve
Project) che si riferisce ad alti fondali:
Assumendo χ1=3, χ 2=0.08 (con conseguenze trascurabili)otteniamo lo spettro Jonswap medio.
Il periodo di picco per questo tipo di spettro diventa quindi
(considerando A=0.01):
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1.3.2 Probabilità omnidirezionale di superamento e relativo
periodo di ritorno
Al fine di effettuare previsioni sulle dimensioni delle onde in tempi
lunghi definiamo la “mareggiata” come una successione di stati di
mare durante la quale H s(t) supera una soglia critica h crit e non
scende al di sotto di tale soglia per durate di tempo superiori a un
valore Δt crit prefissato.
E’ quindi sufficiente conoscere la P(H s>h) (probabilità di
superamento) ovvero la frazione di tempo in cui l’altezza
significativa si mantiene al di sopra di qualsiasi assegnata soglia h,
nella località in esame.
Questa probabilità è in genere espressa nella forma:
Si tratta di una probabilità di tipo Weibull dove i parametri u e w
dipendono dalla località in esame; in particolare u regola il
rapporto tra le altezze significative ai vari livelli di probabilità, w è
il “fattore di scala” delle onde. Entrambi i parametri sono ricavabili
graficamente dal piano delle variabili ausiliarie X Y; disponendosi
Figura 1.10 – Diverse tipologie di mareggiate
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la probabilità secondo una legge lineare del tipo Y=aX+b è
possibile ricavare:
Il periodo di ritorno di un evento è l’intervallo di tempo medio tra
due consecutive realizzazioni dell’evento stes so. Il periodo di
ritorno R(H s>h) di una mareggiata è definito:
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Capitolo II
Apparecchiature utilizzate per la conversione
energetica del moto ondoso
2.1 Energia associata al modo ondoso
L’energia del moto ondoso rientra nella più generale categoria
delle energie rinnovabili e può essere considerata come una forma
di energia solare concentrata. Come evidenziato nel capitolo
precedente i venti (generati dal differente riscaldamento della
terra) trasferiscono la loro energia cinetica all’acqua sotto forma di
onde.
La quantità di energia trasferita e le dimensioni dell’onda
risultante dipendono da diversi fattori quali la velocità del vento,
l’intervallo temporale e l’area (fetch) sulla quale spira il vento
stesso. L’energia solare tipicamente di ∼100 W/m 2 può essereconvertita in onda con un livello di potenza di 10-50 kW per metro
di lunghezza della cresta d’onda. Rispetto alle altre fonti rinnovabili, (parliamo ad esempio di solare
e eolica) l’energia del moto ondoso presenta d ue grandi vantaggi
quali: la costanza nel tempo grazie all’accumulo energetico che
caratterizza mari e oceani, ed una maggior prevedibilità. Il suo
potenziale energetico è stimato dalla International Energy Agency
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(Annual Report 2007) tra gli 8000 e gli 80000 TWh per anno che è
dello stesso ordine di grandezza del consumo elettrico mondiale.
Dal punto di vista storico la ricerca scientifica su questo tipo dienergia iniziò negli anni settanta, spinta dalla crisi energetica, e da
allora sono stati proposti numerosi metodi e dispositivi per la sua
conversione . E’ attualmente oggetto di ricerca poiché non ci sono
idee concordanti su quale sia la migliore tecnologia, sebbene si stia
assistendo ad una graduale convergenza verso alcuni fondamentali
approcci per la conversione.I dispositivi per la conversione dell’energia delle onde del mare
vengono chiamati wave energy converters in inglese, oppure
abbreviando WECs.
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2.2 Classificazione degli impianti
Diversamente da altre fonti di energ ia rinnovabile, esiste un’ampiavarietà di convertitori di energia che sfruttano il moto ondoso. Tale
varietà è il risultato dei diversi modi in cui l’energia può essere
assorbita dalle onde, le differenti collocazioni dei dispositivi e
profondità dei fondali marini. Proprio a causa di questa grande
varietà è necessaria una classificazione dei dispositivi in base a
due approcci fondamentali: alla distanza dalla costa ed in base al
principio fisico utilizzato.
2.2.1 Rispetto alla distanza dalla costa
Le onde del mare mentre si avvicinano alla linea di costa possono
variare la loro direzione, a causa della rifrazione, oppure perdere
potenza trasportata, per l’attrito con il fondo del mare e per la
rottura delle onde (fenomeno del wave breaking). In altri casi, la
rifrazione delle onde può causare un concentrament o dell’energia
in punti specifici (hot spots). Le perdite di energia dipendono dalla
ripidità e dalla ruvidità del fondale e possono causare anche un
dimezzamento dell’energia trasportata vicino alla costiera rispetto
a quella trasportata a largo.
La distanza dalla costa e le caratteristiche morfologiche della zona
oggetto di analisi hanno quindi un peso rilevante per quanto
riguarda il trasporto energetico.
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-Shoreline devices
I dispositivi a linea di costa possono essere fissati sul fondo del
mare dove l’acqua è bassa, integrati i n strutture frangiutti ofissati alle costiere rocciose. Possono essere inoltre costruiti sia
sulla terra che nel mare, ma comunque sempre molto vicini alla
costa in modo da garantirvi un accesso permanente, favorendo le
operazioni di manutenzione (e riduzione dei costi) e di
installazion e. Altri pregi sono l’inutilità di ormeggi profondi e di
cavi elettrici lunghi per il trasporto dell’energia. Ricordiamo che asfavore gioca però la quantità di energia ricavabile dal moto
ondoso che risulta generalmente inferiore se molto vicino alla
costa a causa della dissipazione di energia.
-Near to shore devices
Parlando di near to shore devices si pensa a dispositivi impiegati inacque con profondità ridotta (10÷20 metri) e non troppo lontani
dalla costa (dalle centinaia di metri ad alcuni chilometri). In questo
modo è possibile collegare grandi dispositivi anche sul fondo del
mare. La scelta di realizzare questi dispositivi vuole evitare i difetti
evidenziati per gli shoreline devices e gli ormeggi troppo profondi;
è in definitiva il compromesso tra le altre due tipologie.
Fissando il dispositivo sul fondo si può sfruttare maggiormente il
moto ondoso rispetto ai convertitori fluttuanti. Tra i principali
difetti ci sono i carichi estremi dovuti alle onde che i dispositivi
devono sopportare e il costo per unità che risulta incrementato.
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-Offshore devices
I convertitori posti in mare aperto hanno lo scopo di sfruttare ilpiù grande contenuto energetico delle onde in acque profonde
(solitamente più di 50 metri). In passato lo sviluppo di tali
dispositivi incontrò molte difficoltà legate alla scarsa affidabilità e
al costo eccessivo di manutenzione. L’affidabilità è un requisito
importante che in questi dispositivi diventa fondamentale per
evitare grosse spese di manutenzione (legate alla collocazione diquesti impianti). Altre problematiche si trovano nelle grosse
perdite legate alle lunghezze dei cavi di collegamento per
trasferire l’energia e all’interferenza che impianti multi -dispositivo
creano alla navigazione.
2.2.2 In base al principio fisico
Una seconda classificazione è possibile in base al principio fisico
utilizzato per la conversione dell’energia.
-Sistemi basati sull’ampiezza dell’onda
Il movimento delle onde può azionare dei motori idraulici
accoppiati a un generatore elettrico. Un recente studio fornisce un
esempio del meccanismo: una struttura galleggiante
semisommersa, costituita da vari elementi lunghi collegati in serie
con appositi snodi viene mossa dalle onde variando l’inclinazione
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relativa dei vari elementi. Appositi pistoni idraulici posti in
corrispondenza dei giunti mettono in moto un fluido in pressione,
il quale aziona il motore idraulico all’interno degli elementi.
Figura 2.1 – Struttura Pelamis
Figura 2.2 - Schema di funzionamento Pelamis
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-Salto idrico
Attraverso il passaggio delle onde in un canale di larghezza
progressivamente decrescente (come avviene ad esempio inun’insenatura tra le rocce), o mediante particolari ramp e, le onde
raggiungono altezze favorevoli ed è quindi possibile riempire un
bacino a quota superiore rispetto al livello del mare. Il principio è
detto anche concentrazione o focalizzazione delle onde. Il deflusso
continuo dell’acqua raccolta, tramite opportune opere civili, e il
passaggio attraverso turbine idrauliche (simili a quelle usate pergli impianti idroelettrici con salti idrici contenuti), permette la
generazione di energia elettrica.
Figura 2.3 - Schema di impianto che utilizza il salto idrico
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-Sistemi basati sul principio di Archimede
Una struttura sommersa ancorata al fondo marino, dotata di
camera d’aria, è soggetta a cicli di compressione -decompressionedovuti alla variazione della colonna d’acqua soprastante , originata
dalle onde. Al largo delle coste del Portogallo, ad esempio, è stato
testato con esito positivo un impianto pilota con potenze di picco
di 1500 kW. La forma dell’apparato è quella di un grosso cilindro,
avente la base ancorata al fondo e un “cappello” mobile in senso
verticale. Sistemi simili possono essere costituiti da ungalleggiante ancorato al fondo, in grado di trasferire l’energia
meccanica del moto relativo tra il fondo e la “boa”, a un generatore.
L’azionamento di un generatore per opera di un elemento
galleggiante è possibile anche con dispositivi oscillanti, tipo
paratoie battute dalle onde. Una problematica comune di tali
Figura 2.4 – Struttura Powerbuoy
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sistemi è la bassa frequenza del moto ondoso, discorde con le alte
velocità preferibili p er l’azionamento dei generatori elettrici .
Figura 2.5 - Fotografia Powerbuoy
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-Generatore a colonna d’acqua oscillante (OWC)
I sistemi basati sull’OWC (Oscillating Water Coloumn), concepiti
negli anni settanta, sono i più maturi in termini di rendimentoenergetico e di prototipi installati in mare.
Tale convertitori sono costi tuiti da una camera d’aria cavaparzialmente immersa nell’acqua e quindi a diretto contatto con la
superficie del mare. All’interno della struttura l a variazione
dell’elevazione dell’onda marina si ripercuote in una variazione
della pressione nella camera che generalmente aziona una turbina.
Per evitare perdite di energia vengono utilizzate delle turbine di
Figura 2.6 - Schema di funzionamento OWC
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tipo Wells, in grado di ruotare in una sola direzione
indipendentemente dalla direzione del flusso d’aria in entrata.
In questo tipo di dispositivi è di fondamentale importanza ildimensionamento della camera d’aria in relazione alla
collocazione, in quanto lunghezza d’onda e periodo di picco
rivestono un ruolo chiave per il funzionamento.
Se questo non viene fatto correttamente, possono manifestarsi dei
fenomeni all’ interno della camera che portano ad un annullamento
del flusso d’aria passante attraverso la turbina. Gli OWC possono essere collocati sia sulla linea di costa (shoreline
devices) sia in prossimità delle costa (near to shore devices).
Figura 2.7 - Schema tridimensionale OWC
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2.3 REWEC
2.3.1 Descrizione
Il REWEC (REsonant Wave Energy Converter) è un convertitore di
energia basato sul principio dell’OWC che consiste in un
particolare tipo di diga a cassoni al cui interno è presente un
“polmone d’aria”.
Tra i punti deboli legati ai dispositivi OWC c’è il problema della
risonanza: per avere un buon rendimento il dispositivo deve
essere in fase con l’onda interagente; per ovviare a questo
problema sono stati studiati complessi sistemi per il controllo di
fase, alcuni dei quali utilizzano un controllo in feedback per creare
una sorta di risonanza forzata (Korde, 1991).
Il REWEC3 basandosi su un principio fisico leggermente diverso,
riesce a trasformare questo problema in una risorsa: le onde infatti
non entrano all’interno del dispositivo avendo quest’ultimo una
struttura ad U.
L’impianto è diviso in d ue parti:
1-il condotto verticale a contatto con la superficie marina;
2-la camera di assorbimento.
Sotto l’azione delle onde, la pressione dell’imboccatura superiore
(esterna) del condotto verticale subisce delle fluttuazioni. A causa
di tali fluttuazioni , l’acqua entra ed esce, a fasi alterne,
dall’impianto e va a comprimere e decomprimere il polmone d’aria
nella camera d’assorbimento. Le fluttuazioni di pressione nel
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polmone d’aria producono una corrente alterna che aziona una
turbina self-rectifying.
L’oscillazione nel tubo ad U è forzata dalle oscillazioni di pressioneprodotte dalle onde sull’imboc catura del primo ramo del tubo:
l’aria nella parte superiore del secondo ramo agisce quindi come
una molla.
Il periodo proprio di oscillazione dell’acqua all’interno del
REWEC3 cresce al crescere della lunghezza del condotto verticale,
al crescere del rapporto tra la larghezza della camera di
Figura 2.8 - Schema di funzionamento REWEC3
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assorbimento e la larghezza del condotto verticale, al crescere
dell’altezza della camera di assorbimento e al crescere del
diametro del tubo di collegamento con l’atmosfera. Operando suquesti parametri il progettista può fissare il periodo proprio in
modo da risultare prossimo al periodo delle onde cui è associata la
maggior parte dell’energia ondosa che investe la diga nell’arco di
un anno. In condizioni di risonanza, quando il periodo proprio
delle oscillazioni è prossimo al periodo di picco dello spettro delle
onde, ci si aspetta che i REWEC3 forniscano prestazioni veramentestraordinarie.
E’ da sottolineare anche che questo dispositivo svolge una duplice
funzione: produce energia elettrica, e assorbendo energia, riduce
l’amplificazione delle onde verso il largo .
Il REWEC può quindi essere utilizzato per la difesa costiera poiché
l’energia viene assorbita, riflessa o dissipata e solo una piccolaparte arriva sulla costa . L’insieme delle tre funzioni (assorbimento,
riflessione, dissipazione) se ben coordinato fa si che la barriera sia
particolarmente efficace.
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2.3.2 Stima dell’energia elettrica prodotta su base annua
Parametri che influenzano il rendimento
Analizzando lo schema di funzionamento è possibile individuare i
fattori, sui quali può agire il progettista, che influenzano in
maniera significativa il rendimento.
Figura 2.9 – Sezione trasversale del REWEC3 con riferimento ai parametri che neinfluenzano il rendimento
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I parametri sono:
1- Profondità dell’imboccatura (p) .
Aumentando tale profondità (a parità di lunghezza del condotto) siriduce l’energia prodotta dagli stati di mare più deboli, e si
aumenta l’energia prodotta dagli stati di mare più forti.
2- Cuore dell’impianto: altezza (a) e larghezza (b) del condotto
verticale e larghezza (c) della camera di assorbimento .
Il periodo proprio aumenta se si riduce la larghezza del condotto, e
se si aumenta la lunghezza del condotto e/o la larghezza dellacamera. L’impianto va regolato in modo che l’indice di risonanza
sia uguale a 1 per i mari che su base annua portano la maggior
parte di energia alla diga.
3-Diametro della turbina (D) .
Riducendo il diametro la velocità nel condotto aumenta; bisogna
inoltre tenere presente che il rendimento della turbina va a zeroper valori molto grandi o molto piccoli di velocità.
4-Potenza nominale del generatore (P) .
Il flusso istantaneo di energia varia in maniera significativa nel
corso di uno stato di mare. Grosso modo i picchi massimi del flusso
istantaneo arrivano a superare il flusso medio, di più di dicevi
volta. Conseguentemente anche la potenza nominale della turbina
va scelta in maniera adeguata.
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Stima energia prodotta utilizzando l’impianto REWEC3
La produzione media annua di energia elettrica facendo
riferimento ai dati ottenuti da una boa ondametrica si ottiene apartire dal flusso di energia calcolato dalla seguente formula:
1
, N
i
i
H
e dalla la funzione potenza elettrica P(Hs) tramite la seguente
relazione:
con:
N(H si ,T pj )= il numero di onde di i-esima altezza significativa e j-
esimo periodo di picco;
N tot il numero totale di onde degli stati di mare rilevati;
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Capitolo III
ANALISI DEL BACINO IDROGRAFICO
3.1 Definizione
Si definisce bacino idrografico la porzione di territorio che a causa
della sua conformazione orografica raccoglie il deflusso idrico
superficiale, convogliandolo verso una fissata sezione definita
sezione di chiusura; tale deflusso può essere originato da
precipitazioni meteoriche (si parla in questo caso di bacino
imbifero) e/o dallo scioglimento di ghiacciai e nevai che
confluiscono verso gli impluvi.
Esso differisce dal bacino idrogeologico in quanto quest'ultimo
non considera il solo deflusso di acque superficiali, ma anche lo
scorrimento di infiltrazione che dipende dalla stratigrafia e dalla
conformazione geologica del sottosuolo.
Per definire un bacino idrografico va quindi determinata la sezione
di chiusura, ovvero la sezione attraverso la quale passa tutto il
volume di acqua raccolto superficialmente, e la linea dello
spartiacque, ovvero la linea oltre la quale le acque che scorrono sul
terreno convergono in un altro bacino.
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3.2 Caratteristiche del bacino idrografico
Il bacino idrografico è l'unità fisiografica fondamentale alla quale
far riferimento per lo studio dei fenomeni fluviali e dei processi
idro-geomorfologici ad essi legati.
Tali dinamiche vengono analizzate nell'ambito più generale della
conoscenza del ciclo idrologico (ciclo di trasformazioni dell'acqua
sulla superficie terrestre e in atmosfera) al fine di ottenere la
determinazione di elementi essenziali per il dimensionamento
corretto delle opere idrauliche.
Figura 3.1 - Caratteristiche bacino idrografico
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Le caratteristiche principali di un bacino idrografico si possono
dividere in tre gruppi:
1) caratteristiche morfometriche che influiscono direttamentesullo scorrimento superficiale, sulla produzione, sul trasporto e sul
deposito dei sedimenti;
2) caratteristiche geologiche che condizionano la disgregazione e
l’erosione delle rocce, nonché lo scorrimento sotterraneo ;
3) caratteristiche vegetazionali che influiscono sulle perdite di
deflusso del bacino (per evaporazione e per infiltrazione).
3.2.1 Caratteristiche morfometriche
Le caratteristiche morfometriche (che influenzano direttamente il
comportamento idrologico del bacino) possono essere distinte in
planimetriche e orografiche: le prime esprimono le dimensioni
geometriche orizzontali (per es. l'estensione ed il perimetro), la
forma, l'organizzazione e lo sviluppo del reticolo fluviale; le
seconde esprimono il rilievo (per es. l'altezza media) e le pendenze
(sia dei versanti che delle aste fluviali).
-Planimetriche :
• Area (A) [km 2]: area del bacino delimitato dallo spartiacque
topografico; tale area si può ricavare agevolmente per mezzo di
carte topografiche.
• Perimetro (P) [km] è la lunghezza del contorno del bacino.
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• Lunghezza dell’asta fluviale principale (L) [km]: lunghezza del
cors o d’acqua principale nel quale affluiscono gli altri che termina
nella sezione di chiusura.Per definire la forma dei bacini idrografici sono stati proposti vari
indici, generalmente legati tra di loro, che mostrano quanto la
forma del bacino differisca da un cerchio:
• Rapporto di circolarità R c: è il rapporto tra l’area A del bacino e
l’area del cerchio di uguale perimetro P:
• Coefficiente di uniformità R u: è il rapporto tra il perimetro P del
bacino e la circonferenza di uguale area A:
• Fattore di forma R f : è il rapporto tra l’area A del bacino e il
quadrato della lunghezza L dell’impluvio principale:
• Rapporto di allungamento R a: è il rapporto tra l’area A del bacino
e il quadrato della lunghezza L dell’impluvio principale
• Coefficiente di forma F: è il rapporto tra la lunghezza dell’asta
principale L e il diametro D del bacino; valori elevati indicano
bacini di forma allungata
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-Altimetriche:
• Curva ipsografica: L'andamento altimetrico di un bacino può
essere descritto dalla curva ipsografica, rappresentata in un pianocartesiano dove in ordinata vi è il rapporto tra la quota considerata
rispetto alla quota massima del bacino e sulle ascisse la
percentuale di area del bacino che si trova al di sopra di tale quota.
L’importanza della costruzione di tale curva risiede nel fatto che si
ottiene l’estensione dell’intero bacino, che può differire
sensibilmente dalla sua proiezione orizzontale. Inoltrel’andamento di ques ta curva da delle chiare indicazioni circa il
grado di evoluzione del bacino.
Attraverso la costruzione di tale curva è possibile ricavare la quota
media del bacino, nonché determinare l'altezza media (altezza
corrispondente alla linea di compenso della curva) e l'altezza
mediana (altezza alla quale corrisponde nella curva la metà dellasuperficie del bacino).
Figura 3.2 - Andamento della curva ipsografica
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• Pendenza del bacino: la pendenza media del bacino può essere
considerata come la media ponderata delle pendenze delle
superfici che compongono il bacino; se dividiamo il bacino in dellearee comprese tra due linee di livello successive, indicando con S i
la pendenza media dell’area i -esima, essa è data dal rapporto:
Dove a i rappresenta l’area i -esima della fascia di superficie
compresa tra due linee di livello successive; D è la differenza di
livello tra il punto più elevato e il punto più a valle del Bacino, e di
è la larghezza media della fascia di superficie tra due linee di livello
successive.
Sommando il contributo di ogni singola fascia di superficie
andiamo a determinare la pendenza media dell’intero bacino:
Dove A è la superficie totale del bacino e L è la lunghezza totale ditutte le curve di livello.
3.2.2 Reticolo Idrografico
L'insieme delle linee di impluvio e dei corsi d'acqua presenti
all'interno di un bacino costituiscono il reticolo idrografico .
Le acque di precipitazione, dopo un percorso più o meno lungo di
ruscellamento diffuso, confluiscono in linee di impluvio e si
organizzano in sistemi idrografici di drenaggio delimitati da linee
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di displuvio o di spartiacque. Ogni linea di impluvio confluisce in
un'altra e questa in un'altra ancora e così via secondo la rete di
canali che costituisce appunto il reticolo idrografico.Nell’analisi di un bacino idrografico, tutti i corsi d’acqua sono
considerati come linee, indipendentemente dalle loro dimensioni.
Pertanto un reticolo idrografico può essere caratterizzato dal
numero, dalla lunghezza e dalla disposizione di tali linee ricavati
dalla proiezione del sistema idrografico su di un piano orizzontale.
La classificazione dei reticoli idrografici passa dapprima dalladefinizione di due unità geometriche, quali le aste e i nodi; si indica
con il termine nodo la sorgente del corso d’acqua (nodo di
sorgente) o una confluenza (nodo di biforcazione) e come asta il
tratto di corso d’acqua compreso tra due nodi.
L’ordine delle varie aste che compongono il reticolo fluviale di un
bacino idrografico si può determinare attraverso il metodo diHorton-Strahler il quale asserisce:
un'asta che non nasce dalla confluenza di altre due è di primo ordine
(quindi le aste di primo ordine sono quelle più lontane dalla sezione
di chiusura); un'asta di ordine n e un'asta di ordine (n-1)
congiungendosi danno origine a un'asta di ordine n; due aste di
ordine n congiungendosi danno origine a un'asta di ordine (n+1).
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caratteristico di un ramo tributario montano, mentre un numero
d'ordine elevato sarà caratteristico di un ramo di valle.
L'organizzazione della rete idrografica e quindi il suo grado digerarchizzazione possono essere espressi mediante parametri
quantitativi:
• Frequenza delle aste di primo ordine F 1: è data dal rapporto tra il
numero di aste di ordine N 1 e l’area del bacino:
• Densità di drenaggio D: che viene definita come il rapporto tra la
lunghezza totale del reticolo L e l’area A del bacino:
• Distanza media Dm tra i percorsi d’acqua del bacino; tale valore
viene determinato attraverso la sovrapposizione di un reticolo a
maglie quadre contando il numero totale N degli incroci dei lati
delle maglie con qualunque corso d’acqua.
La descrizione gerarchica fin qui descritta ci permette di enunciare
le tre leggi di Horton:
1. la prima legge di Horton afferma che in un bacino il rapporto trail numero N w dei corsi d’acqua di ordine w e il numero N w+1 dei
corsi d’acqua w+1 è uguale al rapporto di biforcazione:
2. la seconda legge di Horton (legge della lunghezza dei corsi
d’acqua) afferma che in un bacino il rapporto tra la lunghezza Lw
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dei corsi d’acqua di ordine w e la lunghezza media Lw-1 dei corsi
d’acqua di ordine w -1 è uguale al rapporto delle lunghezze dei
corsi d’acqua:
3.la terza legge afferma che l’area media Aw dei bacini dei corsi
d’acqua di ordine w e l’area media Aw-1 dei bacini dei corsi d’acqua
di ordine w-1 contenuti all’interno di un bacino assegnato è uguale
al rapporto delle aree dei bacini:
3.3 Analisi afflussi: pioggia di progetto
La quantificazione degli afflussi all’interno di un bacino, che
costituiscono il dato di input è di fondamentale importanza per
ricavare tramite opportune leggi i deflussi e stimare quindi la
portata in una determinata sezione di chiusura. Attraverso la
trasformazione afflussi-deflussi possiamo andare a determinare
con largo anticipo i deflussi futuri ai fini di un intervento o per la
progettazione di un’opera (ad esempio: previsione di una piena,
calcolo della produzione elettrica…).
Le precipitazioni sono fenomeni di afflusso meteorico, ovvero
feno meni nei quali avviene la cessione di acqua dall’atmosfera al
suolo. Neve, pioggia e grandine sono le forme in cui può
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presentarsi la precipitazione, ma la sua consistenza non varia
l’analisi dell’afflusso.
Tramite degli opportuni strumenti di misura (pluviometri epluviografi) vengono raccolti i dati delle precipitazioni, come
altezza di pioggia in una determinata area, disponibili per la
consultazione negli annali idrologici.
Partendo da questi dati, ai fini della progettazione di reti e opere
idrauliche è utile calcolare la pioggia di progetto: assegnare tale
valore significa stimare una distribuzione di intensità, in relazioneal tempo, in una regione prestabilita; graficamente lo ietogramma
ci consente di visualizzare questa assegnazione;
Per il trattamento statistico dei dati si utilizza la legge di Gumbel,
che mettendo in relazione le altezze di pioggia h(t) con
un ’assegnata durata temporale (t=1,3,6,12,24 ore) fornisce la
probabilità che la generica variabile osservata risulti minore o almassimo uguale rispetto ad un valore h assegnato:
α t e u t sono i parametri della legge di Gumbel i quali dipendono
dallo scarto quadratico medi o e dalla media dei valori dell’ altezza
di pioggia:
Il nostro obiettivo è quello di studiare i picchi, ovvero i valori di
precipitazione superiori alla media utilizzando un diagramma h-t,
nel quale ogni punto rappresenta l’altezza della precipitazione in
relazione al tempo. Il rischio che si verifichi un determinato evento
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con valore di altezza di pioggia superiore all’altezza assegnata è
calcolabile come:
Dall’analisi dei dati pluviometrici (contenuti negli annali
idrologici) adattati secondo il modello probabilistico della legge di
Gumbel è possibile ottenere la curva di possibilità pluviometrica;
tale curva, fissato un periodo di ritorno T, fornisce la relazione
esistente tra l’altezza di pioggia e la durata della precipitazione.
Questa relazione viene espressa mediante una formula monomiadel tipo
in cui a ed n sono due parametri che dipendono dal periodo di
ritorno.
Determinata infine determinata la CPP possiamo passare alla
costruzione dello ietogramma di progetto.
Ietogramma di progetto
Lo ietogramma è una schematizzazione ideata per ottenere in
maniera univoca l’evoluzione t emporale di un evento meteorico. Si
utilizza in particolare utilizziamo lo ietogramma Chicago che lega
l’intensità di pioggia alla durata temporale t:
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Per prima cosa si fissi la posizione del tempo di picco t r dove:
t r=kt p; k=0.35-0.4
Successivamente si calcola l’intensità media relativa ad intervalli ditempo Δt attraverso la definizione stessa di intensità di pioggia:
Tuttavia, ai fini del calcolo della portata, viene utilizzato non lo
ietogramma di pioggia totale ma quello netto, che si ottiene
moltiplicando ciascuna intensità di pioggia per il coefficiente di
afflusso ψ e per il coefficiente di ragguaglio R. Tali coefficienti
possono essere stimati tramite le seguenti formule:
Figura 3.4 – Andamento dell’i etogramma Chicago
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3.4 Deflussi: stima della massima portata di piena
Il modello cinematico o della corrivazione è un modello checonsente la determinazione dei deflussi di piena di un bacino
idrografico per un evento con assegnato periodo di ritorno T.
Questo metodo si basa su delle ipotesi fondamentali:
-si ipotizza che la formazione della piena sia generata
esclusivamente dal fenomeno di trasferimento di massa liquida
(precipitazioni o scioglimento di neve);
-ogni goccia d’acqua si muove sulla superficie del bacino seguendo
un percorso che dipende esclusivamente dal luogo in cui è caduta;
-ogni singola goccia di pioggia che precipita sul bacino idrografico,
scorrerà su di esso con una velocità variabile e indipendente dalla
presenza di altre particelle;
-la portata della sezione di chiusura è ottenuta sommando tra loro
le portate elementari provenienti dalle diverse parti del bacino,
che si presentano allo stesso istante alla sezione di chiusura.
Il termine che riveste maggiore importanza nel campo della
progettazione è il tempo di corrivazione del bacino T c, in quanto
esso rappresenta il tempo che la singola goccia di pioggia impiega
per raggiungere la sezione di chiusura cadendo nel punto
idraulicamente più distante. Si tratta di una distanza effettiva,
dipendente dalle distanze altimetriche e planimetriche. In
conclusione il tempo di corrivazione rappresenta il ritardo
temporale tra l’idrogramma di piena e lo ietogram ma, per questa
ragione, eventi meteorici che hanno una durata pari o superiore al
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Tc generano la portata di piena. E’ possibile stimare il tempo di
corrivazione tramite la seguente formula:
con A superficie del bacino, L lunghezza del l’asta principale e Hm
altitudine media.
Calcolato il tempo di corrivazione possiamo tracciare le linee
isocorrive (ovvero l’unione dei punti con uguale tempo di
corrivazione) che nell’ipotesi di Viparelli coincidono con le isoipse. Fissato a questo punto un intervallo di tempo Δt consideriamo la
precipitazione (netta) che cade nell’area An compresa tra due
isocorrive successive. Possiamo calcolare la portata in ciascuna
area tramite la formula:
Con ψ che rappresenta il coefficiente d’afflusso, definito come illivello del volume d’acqua corrispondente a un evento di pioggia; R
coefficiente di riduzione areale (adimensionale) che esprime il
ragguaglio all’area dell’intero bacino idrografico.
Il valore massimo della portata di piena alla sezione di chiusura
dovuta a una precipitazione, cresce fino a un valore massimo
quando la precipitazione raggiunge un tempo pari al tempo di
corrivazione. Possiamo utilizzare il seguente schema di calcolo per
determinare l’idrogramma totale di piena il cui andamento è
riportato nella figura 3.5:
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Tabella 3.1 – Tabella di corrivazione in funzione della durata e delle aree
Figura 3.5 - Esempio di andamento dell'idrogramma di piena
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Capitolo IV
GLI IMPIANTI IDROELETTRICI
4.1 Descrizione piccolo impianto idroelettrico
Fin dai primordi della produzione di energia elettrica,
l’idroelettrico è stato, ed è tuttora, la più importante tra l e fonti
rinnovabili utilizzate. Secondo le stime del Libro Bianco
sull’energia , pubblicato dalla Commissione Europea, la produzione
idroelettrica all’interno dell’UE rappresenta il 13% dell’energia
elettrica totale prodotta.
E’ possibile distinguere principalmente due tipi di impianti
idroelettrici: grandi impianti (convenzionali) i quali richiedono la
sommersione di estese superfici, con le conseguenze ambientali e
sociali che questo comporta, piccoli impianti idroelettrici che, se
progettati in modo appropriato, sono facilmente integrabili negli
ecosistemi locali.
Il piccolo idroelettrico rappresenta l’8,4 % della potenza installata
(9,9 GW) e contribuisce con una produzione di 39 TWh (circa
l’11% della produzione idroelettrica).
La larga maggioranza dei piccoli impianti idroelettrici sono “ad
acqua fluente”, cioè con scarse o nulle possibilità di accumulare
l’acqua. La turbina produce energia elettrica solo quando c’è acqua
disponibile nel fiume. Quando il corso d’acqua è in magra e la
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portata scende al di sotto di un certo valore predeterminato, la
produzione di energia cessa. Questo significa, ovviamente, che i
piccoli impianti isolati, che funzionano in modo indipendente dallarete elettrica, possono non essere sempre in grado di generare
energia, a meno che essi non siano stati dimensionati in modo da
poter funzionare qualunque sia la portata nel corso d ’acqua. In
alcuni casi questo problema può essere risolto utilizzando dei laghi
o dei bacini di accumulo esistenti posti a monte dell’impianto.
La connessione alla rete elettrica presenta il vantaggio di facilitarela regolazione e il controllo della frequenza di generazione
dell’energia elettrica, ma di contro si rischia di poter essere
disconnessi dalla rete per problemi che non dipendono dal gestore
dell’impi anto; per gli impianti connessi alla rete è possibile
vendere tutta o parte dell’energia prod otta al distributore locale.
Negli ultimi anni sono stati fissati, a livello europeo, prezzi piùelevati per la vendita di energia prodotta da fonti rinnovabili
incentivando la costruzione degli impianti di piccola taglia.
Non c’è accordo tra gli Stati Membri dell’UE sulla definizione di
piccolo idroelettrico. Alcuni paesi come Austria, Germania,
Portogallo, Spagna, Irlanda e Belgio accettano 10 MW come limite
superiore per la potenza installata. In Italia il limite è fissato a 3
MW (gli impianti con potenza installata superiore dovrebbero
vendere l’energia a prezzi inferiori) e in Svezia a 1,5 MW. In
Francia il limite è stato recentemente fissato a 12 MW, non
propriamente come limite per il piccolo idroelettrico, ma come
valore massimo di potenza installata degli impianti alimentati a
fonti rinnovabili per i quali la rete ha l’obbligo di ritirare l’energia
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prodotta. Nel Regno Unito 20 MW è il valore generalmente
accettato come limite superiore per il piccolo idroelettrico. Per gli
scopi di questa pubblicazione, nel testo verranno considerati“piccoli” gli impianti con una potenza installata inferiore a 10 MW,
che è il valore di riferimento adottato da vari Stati Membri, della
Commissione Europea.
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4.2 Configurazione dei siti
Lo scopo di un impianto idroelettrico è di convertire l’energia
potenziale di una massa d’acqua, che defluisce naturalmente con
una certa differenza di quota (denominata “salto” o “caduta”), in
energia elettrica nel punto più basso dell’impianto, d ove è
collocata la centrale.
A seconda del salto disponibile, gli impianti possono essere
classificati come segue:
• alto salto: al di sopra di 100 m;
• medio salto: 30-100 m;
• basso salto: 2-30 m.
Questi intervalli di valori non sono rigidi e servono solo allo scopo
di classificare i siti idroelettrici.
Gli impianti possono essere classificati anche come:
• impianti ad acqua fluente;
• impianti con la centrale al piede di una diga;
• impianti inseriti in un canale o in una condotta per
l’approvvigionamento idrico .
Analizziamo in particolare gli impianti ad acqua fluente che meglio
si adattano nella configurazione di piccoli idroelettrici.
Impianti ad acqua fluente
Negli impianti ad acqua fluente la turbina produce energia con
modi e tempi totalmente dipendenti dalla disponibilità d’acqua nel
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corpo idrico. Quando il corso d’acqua è in magra e la portata
scende al di sotto di un certo livello predeterminato – la portata
minima di funzionam ento della turbina installata sull’impianto – laproduzione di energia cessa. Gli impianti a medio ed alto salto
utilizzano sbarramenti per deviare l’acqua verso l’opera di presa,
dalla quale l’acqua è poi convogliata alle turbine attraverso una
tubazione in pressione (condotta forzata). Le condotte forzate
sono opere costose e quindi uno schema di impianto come quello
descritto è di solito antieconomico. Un’alternativa (Figura 4.1 ) èquella di addurre l’acqua per mezzo di un canale a bassa pendenza
che corre accanto al fiume fino ad un bacino di carico e da qui,
attraverso una breve condotta forzata, fino alle turbine.
Figura 4.1 – Schema impianto ad acqua fluente
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Se la topografia e la morfologia del terreno non consentono
l’agevole realizzazione di un canale a pelo libero, una soluzione
economicamente più valida può essere quella di realizzare unatubazione in bassa pressione, che consente una maggiore libertà
nella scelta delle pendenze. Allo scarico delle turbine, l’acqua viene
reimmessa nel fiume attraverso un canale di restituzione.
Talvolta, tramite lo sbarramento, può essere creato un piccolo
invaso sufficiente ad immagazzinare acqua per garantire il
funzionamento dell’impianto nelle ore di punta, quando ladomanda di elettricità è maggiore e conseguentemente anche il
valore dell’energia aumenta.
Gli impianti a basso salto sono tipicamente realizzati presso l’alveo
del fiume. Si possono scegliere 2 soluzioni tecniche.
La prima consiste nel derivare l’acqua fino all’ingresso delle
turbine mediante una breve condotta forzata, come negli impiantiad alto salto.
La seconda è quella di creare il salto mediante un piccolo
sbarramento, equipaggiato con paratoie a settore e nel quale sono
inserite l’opera di presa, la centrale e la scala di risalita per pesci.
Figura 4.2 – Schema salto mediante sbarramento
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Impianti con la centrale al piede diga
Un piccolo impianto idroelettrico non può permettersi il lusso di
possedere un grande serbatoio per produrre energia quando è piùconveniente; il costo di una diga relativamente grande e delle
opere idrauliche connesse sarebbe troppo elevato per renderlo
economicamente fattibile. Se viceversa esiste già un serbatoio
costruito per altri scopi (controllo delle piene, irrigazione,
approvvigionamento potabile, usi ricreativi) potrebbe essere
possibile produrre energia elettrica utilizzando le portatecompatibili con l’uso prevalente del serbatoio o con i rilasci a fini
ecologici (deflusso minimo vitale). Il problema principale è quello
di realizzare una via d’acqua che colleghi idraulicamente monte e
valle della diga e di trovare il modo di adattare le turbine a questa
via d’acqua.
Altrimenti, se la diga non è troppo alta, si può inserire una turbina
a sifone collocata sul coronamento della diga o sulla parete di valle.
Queste turbine rappresentano una soluzione elegante per impianti
con salto fino a 10 m e gruppi con non più di 1.000 kW di potenza,
Figura 4.3 - Schema impianto a piedi di diga
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sebbene ci siano esempi di turbine in sifone con potenza installata
fino a 11 MW (Svezia) e salti fino a 30,5 m (USA).
Impianti inseriti in canali irrigui
Due tipi di schemi di impianto possono essere utilizzati per
sfruttare salti esistenti su canali irrigui:
per canali di nuova realizzazione parallelamente alla progettazione
del condotto si può pensare ad un allargamento del canale stessoper poter ospitare la camera di carico, la centrale, il canale di
restituzione e il by-pass laterale. La figura mostra uno schema di
questo tipo, con una centrale sotterranea equipaggiata con una
turbina a rimando d’angolo. Per garantire la continuità della
fornitura di acqua per l’irrigazione, anche in caso di fuori servizio
del gruppo, lo schema dovrebbe includere un by-pass laterale.
Figura 4.4 - Schema impianto con bypass laterale
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Se invece il canale è già esistente, una soluzione adatta è allargare
leggermente il canale per poter ospitare la presa e lo sfioratorelimitatore. Per ridurre al minimo la larghezza della presa, si
potrebbe realizzare uno sfioratore allungato. Dalla presa, una
condotta forzata che corre lungo il canale convoglia l’acqua in
pressione alla turbina, attraversata la quale l’acqua viene
reimmessa nel corpo idrico tramite un breve canale di
restituzione.
4.3 Deflusso Minimo Vitale
Nell’installazione di un impianto idroelettrico per quanto riguarda
la sostenibilità ambientale, affinché l’opera non stravolga in
maniera significativa il contesto naturale nel quale si inserisce, la
normativa italiana impone che sia garantita al corso d’acqua una
portata minima.
A tal proposito è necessario prendere in considerazione il deflusso
minimo vitale (DMV) ovvero “ la portata minima necessaria per
ogni tr onco omogeneo del corso d’acqua per la salvaguardia delle
caratteristiche fisiche del corpo idrico e chimico-fisiche delle
acque, nonché per mantenere le biocenosi tipiche delle condizioni
naturali locali”.
Vista l’importanza di tale parametro, sia per le esigenze di tutela
delle acque, sia per quanto riguarda la disciplina delle concessioni
di derivazione, la Regione Calabria inserisce all’interno del Piano
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di Tutela delle Acque (PTA) riferimenti normativi per la sua stima.
In particolare il criterio proposto dall’Autorità di Bacino regionale
della Calabria si ispira a quello originariamente adottato inValtellina con la Legge n. 102/90 e dall’Autorità di Bacino del Po,
integrato con le esperienze derivanti dall’applicazione dello stesso
in oltre 15 anni.
Il metodo consiste essenzialmente nell’applicazione di una formula
che prende in considerazione nove elementi:
DMV = Z + Md
Z = termine fisso = A x B x C x D x E x F x G x H (l/s);
Md = termine di modulazione della portata (l/s), variabile in
funzione della portata in arrivo da monte.
I fattori che forniscono Z hanno il significato qui di seguitospecificato e i loro valori sono riportati nelle tabelle seguenti.
A = Superficie del bacino idrografico sotteso dall’opera di
derivazione (km 2) sino alla linea dello spartiacque, comprendente
le aree già interessate da derivazioni esistenti a monte della
captazione prevista;
B = Rilascio specifico: fattore fisso pari a 1,6 (l/s/km 2);
C = Precipitazioni: fattore compreso fra 1,0 e 1,2 e relativo alle
precipitazioni medie annue nel bacino sotteso alla derivazione,
ricavato dalla seguente tabella.
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Tabella 4.1 - Stima del parametro C
Codice Precipitazione annua
media [mm]
Fattore
a 1200 1,2
D = Altitudine: fattore compreso tra 1,0 e 1,2 relativo all’altitudine
media del bacino sotteso alla derivazione, ricavato dalla seguentetabella.
Tabella 4.2 - Stima del parametro D
Codice Altitudine media del
bacino [mm]
Fattore
a
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Tabella 4.3 - Stima del parametro E
Codice Permeabilità media
del bacino
Fattore
a Bassa 1,0
b Media 1,10
c Alta 1,15
d Elevata 1,20
F = Qualità biologica del corso d’acqua: fattore compreso tra 1,0 e
1,2, relativo alla classificazione dello stato ecologico nel tratto
considerato, ricavato dalla seguente tabella.
Tabella 4.4 - Stima del parametro F
Codice Stato ecologico Classe di qualità
ecologica
Fattore
a Elevato Classe 1 1,0
b Buono Classe 2 1,05
c Sufficiente Classe 3 1,10
d Scadente Classe 4 1,15
e Pessimo Classe 5 1,20
In mancanza di puntuali informazioni su cui basare l’attribuzione
del punteggio e ove non sia palesemente dimostrabile
l’assegnazione a uno stato ecologico peggiore, è possibile attribuire
al tratto in esame un valore del fattore pari a 1,1.
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G = Naturalità: fattore compreso tra 1,0 e 1,2, valutato in relazione
alle vocazione naturale del territorio, alla presenza di aree protette
ed all'uso del suolo prevalente all'interno del bacino considerato,ricavato dalla seguente tabella.
Tabella 4.5 - Stima del parametro G
Codice Classi di naturalità Fattore
a Aree agricole 1,0
b Aree naturali 1,1
c Aree di grande pregio:
parchi, riserve naturali
1,2
H = Lunghezza captazione: fattore definito dalla formula:
H = 1 + (D x 0.025)
dove, nel caso di prelievi a fini idroelettrici, D è la distanza in km
misurata lungo il corso d’acqua tra l’opera di presa e il punto di
restituzione; nel caso di prelievi che non prevedano restituzione H
vale 1,2.
Md = Modulazione di portata. L’introduzione di quest’ultimo
addendo risponde all’esigenza di garantire all’alveo almeno una
modesta percentuale delle variazioni di portata che caratterizzano
il regime idrologico naturale e che influenzano i cicli biologici delle
comunità e degli organismi fluviali. Il valore di Md può
direttamente essere posto pari al 10% della differenza tra la
portata naturale istantanea e il valore prima calcolato di Z (da
applicare solo se di segno positivo).
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Capitolo V
INTERVENTI DI RIQUALIFICAZIONE
NELL’ AREA DI SALINE IONICHE
5.1 Descrizione
In questo capitolo è trattato lo studio di fattibilità riguardo un
progetto di riqualificazione dell’area di Saline J oniche.
Nell'ambito della progettazione, lo studio di viene commissionato
per definire se un determinato progetto può realizzato dal punto di
vista tecnico, e risulta conveniente dal punto di vista economico.
Il prodotto finale è costituito da un insieme di conclusioni e di
raccomandazioni sulla possibile realizzazione e sulla delimitazione
degli ambiti, eventualmente offrendo indicazioni utili a orientarne
le priorità, le linee di azione, le strategie e le modalità di lavoro.
A tale proposito sono state studiate due diverse tipologie di
intervento nella suddetta zona, per la produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili.Un primo intervento prevede il ripristino del molo di sottoflutto
del porto, attualmente in condizioni gravose dal punto di vista
strutturale, tramite l’inserimento di cassoni REWEC3 .
Il secondo intervento è relativo invece all’installazione di un
impianto idroelettrico ad acqua fluente nel bacino di Montebello
Ionico.
http://it.wikipedia.org/wiki/Progettazionehttp://it.wikipedia.org/wiki/Progettazione
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5.2 Inquadramento territoriale
E’ necessario innanzitutto inquadrare il contesto territoriale nelquale si inseriscono le opere;
Saline Joniche si trova nel territorio di Montebello Jonico a circa 25
chilometri da Reggio Calabria in adiacenza con la SS 106, che
percorrendo la costa ionica della Calabria, in direzione nord,connette le città di Reggio Calabria e Taranto. Il territorio di Saline
ioniche è compreso tra il Torrente Molaro (a nord) e la Fiumara S.
Elia (a sud). Si sviluppa lungo la costa dalla quale è separato da due
infrastrutture parallele la S.S. Jonica 106, e il tracciato ferroviario
della tratta Reggio Calabria - Metaponto.
Figura 5.1 - Area oggetto di esame
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Le aree di Montebello Ionico e di Saline sono luoghi che da sempre
hanno suscitato interesse da parte di amministrazioni, imprese,
associazioni culturali, gruppi di ricerca. Parliamo di “territoricontesi”, ormai saturi di problematiche territorial i, economiche e
sociali, un territorio che di per sé si avvale di uno straordinario
scenario paesaggistico: la costa, le fiumare e le montagne
dell’Aspromonte.
Figura 5.2 - Veduta panoramica area di Saline Ioniche
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Stato dell’ambiente
• Aria
Per quanto riguarda la qualità dell’aria Montebello si colloca traquelle aree che registrano le migliori performance in termini di
tonnellate per abitante di CO2; le principali fonti di emissione di
CO2 sono rappresentate dal trasporto su strada.
• Acque
Il sistema idrografico come suddetto, è basato sulla presenza delle
fiumare di Molaro, di Sant’ Elia. Le condizioni dei corsi d’acquaevidenziano fenomeni di degrado dovuti alla qualità chimico –fisica
ed alla qualità biologica delle acque.
Tra i fattori di degrado sono notevoli le presenze di materiale
depositato abusivamente lungo i corsi d’ acqua. La situazione si
presenta in modo analogo anche nel caso dei piccoli corsi d’ acqua,
numerosi nel territorio.Il sito presenta circa 4 Km di costa bagnata dal mar Ionio, tale però
non risulta essere interessato da situazioni di balneabilità per
quasi la sua totalità a causa dell’erosione a cui è interessata negli
ultimi anni. Inoltre per gran parte della sua estensione si rileva la
presenza di elementi facenti parte dell’apparato industriale
dismesso, in stato di abbandono e arrecanti un grave danno alle
acque superficiali in quanto contribuiscono in maniera eccessiva
alla contaminazione delle stesse.
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• Inquinamento
L’ambito è s oggetto a inquinamento ambientale dovuto alla
presenza dell’impianto industriale della liquichimica, che occupagran parte della pianura nei pressi della costa con strutture
logorate dal tempo e soggette a deterioramento ormai
irreversibile.
• Risorse naturali
L’intero territorio si presenta sotto una morfologia tipica della
fascia costiera meridionale e nella fattispecie del basso ionioreggino, ovvero con un andamento regolare che dal mare si
estende verso l’Aspromonte. Tale situazione risulta essere molt o
importante, specie in questo tratto di terra, poiché espone in
maniera ottimale tutta la superficie creando il clima idoneo per la
coltivazione del bergamotto, essenza caratteristica della fascia
ionico-reggina. Per tale motivo sono numerose le presenze di taliagrumeti sparsi nell’ intero ambito territoriale.
• Rischi ambientali
Di particolare rilevanza il rischio ambientale a cui è sottoposta
l’area. Il sito risulta infatti soggetto a eventi alluvionali a causa
della morfologia e della co
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