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Memorie grumentine saponariensi

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VINCENZO FALASCA

MEMORIE GRUMENTINE SAPONARIENSI

MANOSCRITTO INEDITO DEL 1736 DI NICCOLO’ RAMAGLIA

I. R. S. A. B. Istituto Ricerche Storiche Archeologiche basilicata

Edizioni Pisani

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Con il Patrocinio di

REGIONE BASILICATA

PROVINCIA DI POTENZA

C. M. “ALTO AGRI”

COMUNE DI SARCONI

TUTTI I DIRITTI RISERVATI ALL‟AUTORE

Edizioni Pisani, Avigliano (Pz), finito di stampare in Luglio 2005

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Ai miei figli Josè e Carmen affinchè non dimentichino le loro radici.

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IN PRIMA DI COPERTINA Bassorilievo marmoreo di “Suovetaurila” (Sacrificio di maiali,

montoni e tori) rinvenuto dall‟Arciprete Carlo Danio nel sito della Chiesa Madre. Già proprietà dell‟On.le Fr. Perrone. (Museo Archeologico di Reggio Calabria-Concessione Ministero Beni Culturali-Foto G. Pontani)

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PREFAZIONE

La vicenda del manoscritto del Ramaglia e delle copie da esso redatte crea sconcerto nello studioso ed impedisce una serena e sicura valutazione dei contenuti e della stessa impostazione narrativa.

Di certo il lavoro della ricerca è reso parziale dal mancato confronto con le altre copie redatte e, soprattutto, viene privato dall'analisi di quello che potrebbe essere considerato il testo stilato direttamente dall'autore. Racioppi, riferendosi all' esemplare di proprietà dell'aw. Vincenzo Ramagli, lo considera "I'originale" e ne trae, o

ne fa trarre, la copia moliternese nell'agosto del 1879 mentre considera, anteriore alla sua, quella in possesso del canonico Francescopaolo Caputi tirata, a suo parere, alla fine del secolo precedente e non certo di mano del Caputi.

Due anni dopo, darà un giudizio astioso, acre e malevolo ed arrogante su "Memorie grumentine saponariensi ", e sul suo autore, ritenendolo uno che "raccatta tutte le fiabe che la grama erudizione indigena ebbe inventate nei secoli XVI e XVII”.

Giudizio che egli ha corretto tardivamente ed addolcito perché rimeditato, con riflessione più serena e meno impulsiva, e modificato in "raccoglie copia di documenti e di notizie che alla storia della sua patria riescono di prezioso interesse" espresso per owie ragioni di opportunità o forse anche per giustificare, tra l'altro, anche il suo morboso interesse per la copia voluta e trascritta.

Ramaglia nella stesura del suo piano dell'opera espone chiaramente I'impostazione e l'ordine dei temi e degli argomenti che si accinge a trattare e cioè:

"La edificazione, la fede e la distruzione della celebre città di Grumento colonia militare de' Romani”:. "La edificazione della nuova città della Saponara, gli Prelati o siano Arcipreti mitrati che hanno governata la di lei insigne Collegiata Chiesa sotto il titolo di S. Antonino Martire e le fierissime liti agitate con i Vescovi Marsicani per

causa della giurisdizione": (Con) i memorandi fatti e vita del dottissimo D. Luigi Sanseverino, Principe di Bisignano. "Storia della Reliquia del Prezioso Sangue di Cristo con quella del Prezioso Santuario, sotto il titolo di S. Maria

della Salute, detta di Grumentino: "Vita di Sant'Antonino, volgare, di S. Laviere, latina e volgare; (Con) altre cose notabili raccolte con somma dilige

nza e fatica”. Questo l'itinerario del lavoro e ad esso si attiene il dottor Ramaglia in un percorso di studio che dura otto anni dal

1736, data segnata sul frontespizio, a tutto il 1744 per il riscontro al riferimento della morte del vescovo Alessandro Puoti awenuta per "apoplesia" ad Arienzo il giorno 8 agosto 1744 come descrive al Cap. LI ed è sostenuto, nel percorso di studio, dall'assiduità, dal consiglio, dalla cultura e dalle scoperte, di vario tipo documentario, condotte dall'arciprete Carlo Danio Ceramelli.

Il testo narrativo è arricchito e movimentato dalla descrizione minuta delle controversie che attraversano, nel tempo, la sede vescovile grumentina, nata con il decreto di istituzione di Papa Damaso del 370, e fino alla sua sostituzione con quella di Marsico, nuova sede del vescovo di Grumento, per giungere al puncturn dolens dell'accusa di "usurpata giurisdizione" da parte del vescovo diventato definitivamente marsicano, contro I'arcipretura grumentina.

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Trasformata cocciutamente in un vero e proprio "fronte", "la scintilla di-fuoco che pareva estinta, covava e doveva

sbucciar fuora in un grande incendio. .. per giammai spegnersi più", come scrive Ramaglia. La "vexata quaestio” diventa secolare e permane fino alla soppressione del vescovato di Marsico e vede, nel

tempo coinvolta una lunga serie di protagonisti diversi dai vescovi marsicani ( Giovanni, De Martiis, Parisi, ed Anzani per finire con Garzilli nel 1818, anno della unione "aeque principaliter"con la diocesi di Potenza), agli arcipreti grumentini (Giliberti, Ferrara, Cotino, Danio, fino a Perrone).

L'autore facendosi scudo di una pelosa umiltà si scusa e si accusa di "bassissima intelligenza " però assicura che "quanto leggerassi nella presente opera registrato o è stato fedelmente trascritto da loro originali documenti e memorie antiche; conservate o raccolte forse da chi aveva il pensiero di registrarle, ho ricavato da fedeli tradizioni porgiutemi dal riferito Signor d. Carlo (Danio), o da altre persone provette e degne di fede”.

Che la tradizione orale giuochi il suo ruolo, nel lavoro del Ramaglia, è palese ma il riferimentoagli "originalidocumenti e memorie antiche" richiama, in prima persona, i'arciprete Danio come interlocutore ideale, attento e competente insieme con la documentazione e i reperti che questi gli mette a disposizione compresi i suoi scritti inediti delle “Note agli atti della Vita di San Laverio"e il "Trattato sulle antichità grumentine" oltre che gli atti in

originale. Ramaglia ha, altresì, avuto modo di esaminare la raccolta contenuta nell'"Historia de la Vita di Sant'Antonino e di

San Laverio, gloriosissimi martiri e padroni dell'alma Città di Saponara tradotta dal Dott. Giovanni Flavio Bruno in volgare da due antichissimi libri latini scritti a penna i quali insieme con altre scritture ecclesiastiche si trovano oggidì in potere del Rev. D. Camillo Cotino Arciprete della Saponara di Sant'Antonino” edita a Napoli per i tipi di Giovanni Giacomo Corsino e di Antonio Pace nel 1597, e rilegge la "Lettera al Signor Matteo Egizio intorno all'antica colonia di Grumento oggidì detta la Saponarai” di Giacomo Antonio del Monaco, pubblicata a Napoli nel 1713 e l'edizione

successiva del 1722 eseguita a cura di Angelo Calogerà inserita in "Raccolta di opuscoli scientifin e filosofici". Consulta, controlla e memorizza ed annota, lasciando tracce nel manoscritto moliternese, le "Memorie della città

di Saponara”'di Bonifacio Petrone, abate di Santa Maria di Loreto, licenziate a Napoli dalla Stamperia di Angelo

Vocola nel 1729 e I'"Itergrumentinum"di padre Sebastiano Paoli, precettore di casa Sanseverino, compilato a Grumento fra il 1715 e il 1720, ancora inedito, che sarà molto apprezzato ed illustrato dal Racioppi in "Iscrizioni grumentine inedite- Dalle schede di padre Sebastiano Paoli" e che vedrà I'edizione nel IV fascicolo dell'anno IX dell' Archivio Storico, a Napoli, e riesamina le partizioni grumentine contenute nell'opera di Giovanni Battista Pacichelli "Il regno di Napoli in prospettiva diviso in dodiciprovincie" licenziato da Muzio, a Napoli, nel 1703.

La fonte principale di riferimento è costituita, soprattutto, da "Italia Sacra" di Ferdinando Ughelli edita a Venezia per i tipi di Sebastiano Coleti nel 1721 relativa al vescovato grumentino e marsicano ed alle "Gesta Laverii descripsit Robertus de Romana diaconus Saponariae anno Dom. 1162" descritte nel tomo VII alle col. 488-496.

Il Ramaglia ha modo di scorrere e di analizzare le articolazioni della "Lucania sconosciuta", il manoscritto di Luca Mandelli (o Mannelli), monaco di Sant'Agostino, "Theologus atque antiqitatum indagator celeberrimus "secondo la Bibliotheca Augustiniana di J. F. Ossinger, e di studiare e riflettere, in particolare, sulla composizione e sui contenuti

del Libro III" e dei capitoli 7, 8, 9, 10.

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VII

Del lavoro stilato alla metà del secolo XVII, in dote alla Biblioteca Nazionare di Napoli (ms. XVIII - 24), circolava

allora più di una copia ma egli fa leva, soprattutto, sia sulle ricerche "conservate" come quelle fatte e classificate dall'arciprete Danio, ma anche su quelle "raccolte forse da chi aveva il pensiero diregistrarle"alla maniera di

Costantino Gatta il quale aveva studiato e stralciato il Mandelli e, insieme con il chierico Domenico Maria di Torchiara, permaneva a Grumento per analizzare e studiare sul posto le opere, i documenti e le collezioni del museo realizzato dal Danio.

Le ricerche grumentine saranno ordinate, dopo la morte del Gatta awenuta nel 1741, e pubblicate dal figlio Giuseppe nel 1743, a Napoli, di nuovo per i tipi della stamperia muziana a corredo quelle edite in "Memorie topografico - Storiche della Provincia di Lucania comprese nella Provincia di Basilicafa e del Principato di Citra" con prefazione dell'altro figlio Gherardo Saverio, stampate, nel 1732, dallo stesso Muzio ma, questa volta, con il titolo di "Aggiunte di molte erudite annotazioni e colle notizie dell'antico e venerabile tempio dedicato alla SS. Vergine nel territorio della Città di Saponara e di un sepolcreto dei Gentili presso l'antica Città di Consilina in detta Provincia “.

La storia religiosa e devozionale si combina con quella della municipalità e, Ramaglia, ne segue il reciproco sviluppo e la comune decadenza ma riesce a comporre un mosaico dei fatti, degli awenimenti che evidenziano, nei secoli, la grandezza ed il martirio di quella che è la "grumentinità ", che lacerano il suo prestigio, poi dolorosamente perduto, ma palesemente riscontrabile ed analizzabile, nell'opera di Ramaglia, sia nei fatti che nei documenti che richiamano al ruolo di una identità mai dimenticata, mai spenta e cancellata ma vivente ancora nella "facie" delle diverse componenti delle fonti che assumono, nel percorso dell'iter della sua ricomposizione, i tratti variegati delle categorie più diverse perché diversa è la tipicità sia dello spazio geografico di studio (Grumento e Saponara) sia l'evolversi del tempo storico delle vicende e della Collegiata.

La ricostruzione delle partizioni in un tutto organico per la ricomposizione delle tessere del mosaico delle vicende grumentine e saponariensi nella compiuta tessitura deli'arazzo della storia, i fili frantumati del tessuto della memoria, offrono al Ramaglia, l'analisi del tempo e degli uomini e la soluzione narrativa si conduce attraverso il sentiero strettamente euristico.

La sicurezza documentaria rinvenibile nella esposizione della varietà "actuaria" le cui certezze sono riscontrabili

nell'esarne comparato delle fonti di studio e dall'analisi dei reperti, delle scoperte e dalla copiosa documentazione ordinata, ricomposta e predisposta da Mons. Danio, assicurano al Ramaglia un materiale pronto e composito che egli utilizza a piene mani ma che egli arricchisce, a suo modo, anche con la registrazione di fonti derivate che, in qualche caso, vengono appaiate a quelle della documentabilità ecclesiastica e municipale.

Sono quelle della "intellighenzia" e della saggezza, sia tradizionale che intuitiva, della cultura locale

contemporanea della quale si può riconoscere lo spessore certo, favorito e sostenuto dalla corte dei Sanseverino, ma non tutte le certezze trasmlbse dalla tradizione e dalla consuetudine perché soggette ed intrise della volubile e personale oralità che egli usa in connessione con il supporto documentario e ne conserva, anche, il tratto dell'ordinario parlato: omninamente, andorno, squittinando, porgiuto.

La copia moliternese del manoscritto del Ramaglia resa mutila, dal Racioppi, della "Vita" e delle "Gesta" di San Laverio, non trascritta perchè ritenuta graficamente imprecisa e scorretta da fargli preferire quella pubblicata dall‟Ughelli, non manca di aggiunte e di interpolazioni di prima mano dello stesso Racioppi, stilate più per sua

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memoria e valutazione che per modifica all'impianto del testo da far emergere la considerazione e la certezza che la copia era stata eseguita per l'uso e lo studio strettamente personale e privato.

L'opera del Ramaglia, nell'esemplare moliternese, è stata costretta al sonno dei secoli forse perchè ritenuta inadeguata, ma di certo, molestata e condizionata dal perdurare del giudizio impulsivo e superficiale del Racioppi o, forse, anche perchè impone e richiede allo studioso, un lavoro complesso, articolato e pluridisciplinare sia critico che storico, sia religioso che letterario.

Vincenzo Falasca, con questa edizione, ha ridato non solo la voce e lo spessore dovuto al Ramaglia, ingiustamente dimenticato, ma ha restituito, alla Città di Grumento, i tratti di una ritrovata identità fatta di dignità storica e culturale, sociale e religiosa che il tempo e gli uomini hanno fermato e coperto di silenzio colpevole.

GIUSEPPE GIOVANNI MONACO

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IX

NOTA DELL‟AUTORE

Le “Memorie Grumentine Saponariensi” di Niccolò Ramaglia, vissuto in Saponara (oggi Grumento

Nova) agli inizi del 1700, è uno dei pochissimi manoscritti, riguardanti la Storia della Basilicata, rimasto inedito.

L‟Autore, In un passaggio fugace del suo lavoro (cap. 52°, § 1°) esprime la recondita speranza che esso che esso, in un futuro più o meno prossimo, venisse pubblicato. Purtroppo, per circa tre secoli, (il manoscritto è del 1736) questa aspirazione è rimasta disillusa, vuoi per la ponderosità dell‟opera e vuoi per le intrinseche difficoltà di trascrizione che presentava la copia del Manoscritto Originale (andato perduto) malamente trascritto da copisti non all‟altezza del compito.

Abbiamo voluto portare a compimento questa fatica, ritenendo che non fosse giusto che un pezzo di storia di una Comunità, una volta importante, come quella di Saponara, venisse conosciuta solo di riflesso attraverso le numerosissime citazioni che gli Storici ne facevano.

L‟opera del Ramaglia è uno spaccato significativo delle condizioni di un Istituto religioso, quello della “Collegiata” che in Saponara, come altrove, costituì per lunghi secoli l‟asse portante dell‟ economia locale e di molti Comuni della Basilicata.

Il gruppo di studiosi, raccolti intorno allo Storico Gabriele De Rosa, ha dimostrato “ad abundantiam” l‟importanza delle Collegiate e delle Chiese ricettizie nel contesto dei rapporti socio-economico-religiosi fra il Clero e la popolazione meridionale.

Tale importanza assunse un particolare significato proprio in Basilicata ove il patrimonio di queste Istituzioni divenne così ragguardevole che, dopo le leggi post-unitarie del 1866 e 1867 (liquidazione dell‟asse ecclesiastico), gli introiti per i lotti venduti nella nostra Regione, ammontanti a oltre 20 milioni di lire, la collocarono davanti a molte regioni del Nord e anche del Sud.

La stratificazione della proprietà terriera ed immobiliare nelle mani degli Enti Religiosi, raggiunse in Saponara, come altrove, una enorme concentrazione tanto che, come è dato rilevare nel Catasto Onciario di inizi 1700, superava di gran lunga quella dei Signori Feudali.

Il Ramaglia nella sua opera racconta la secolare lite per la Giurisdizione tra la Collegiata Insigne di Saponara e la Diocesi di Marsico Nuovo, supportando l‟illustrazione del lunghissimo conflitto con documenti assolutamente originali che solo per merito suo si sono salvati.

Può darsi che l‟accanita contrapposizione abbia portato, da una parte e dall‟altra, ad “inquinare ogni cantone di Archivio” (come ebbe a scrivere Giacomo Racioppi) pur di prevalere nelle Sedi di giudizio romane.

“Questioni di principio” ma anche e soprattutto “motivi economici” spinsero i contendenti ad adoperare tutti i mezzi a disposizione, leciti ed illegiti.

La lunghissima narrazione del Ramaglia, però, oltre a trattare gli aspetti specifici della lotta ingaggiata con la Diocesi di Marsico getta luce su tutti gli aspetti della realtà locale: usi e costumi feudali, l‟Istituto

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della Contea, monumenti religiosi e civili, importanti personaggi locali e leggende del posto, agiografie di Santi autoctoni.

La realizzazione della presente pubblicazione è stata possibile grazie anche ad alcune persone che sono state di validio ausilio: primi fra tutti il Bibliotecario municipale di Moliterno Rocco Rubino, mia moglie Benedetta Mileo (per le ricerche effettuate sui libri parrocchiali relativamente agli atti della famiglia Ramaglia), i Parroci pro-tempore Don Marcello Cozzi, Don Domenico Lorusso e Don Antonio Curcio.

S‟intende qui ringraziare calorosamente anche il Prof. Giuseppe Giovanni Monaco per aver accolto l‟invito a premettere la sua pregevole presentazione all‟opera e la Signora Adriana Ramagli in Draetta, discendente dell‟Autore delle “Memorie” e figlia del dotto genitore Prof. Niccolò Ramagli (omonimo del suo trisavolo autore delle “Memorie”) per avermi fornito materiale relativo al padre.

Ringraziamo infine la Regione Basilicata (il Presidente Vito De Filippo e l‟Assessore alla Cultura Carlo Chiurazzi), l‟Amministrazione Provinciale di Potenza (il Presidente Sabino Altobello), la Comunità Montana “Alto Agri” (il Presidente Rino Ponzio) e il Comune di Sarconi (il Sindaco Cesare Marte) per il Patrocinio concesso alla presente pubblicazione*.

VINCENZO FALASCA

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XI

INTRODUZIONE AL MANOSCRITTO

1. Il manoscritto: caratteristiche del volume.

L‟unica copia oggi esistente del manoscritto del Dottore in Legge saponariense Niccolò Ramaglia, vissuto agli inizi del 1700, trovasi nella Biblioteca municipale di Moliterno. Essa è inventariata ma non catalogata.

Fa parte del fondo librario che lo Storico moliternese Giacomo Racioppi, alla sua morte, lasciò in eredità al Comune.

Presenta le seguenti caratteristiche: larghezza pagina cm. 20; lunghezza cm. 27, spessore del ms. cm. 7,5. I fogli sono in n° di 686. La numerazione è in genere organizzata per foglio: recto e verso. Qualche volta è per pagina. La carta di tipo pergamenata presenta una grammatura di 150 gr. circa. Di recente il volume è stato restaurato e la coperta è di cartone abbastanza spesso, ricoperto in pelle. Sul dorso è stata incollata l‟antica etichetta rosso-scura, a lettere d‟oro, riportante il titolo e l‟autore.

I copisti furono almeno 4-5, alcuni di basso livello culturale. Qualcuno non conoscendo il Latino trascriveva meccanicamente i documenti scritti in tale lingua, risultandone quindi una trascrizione per nulla attendibile, anzi in alcuni punti addirittura incompresibile. In moltissimi punti ci sono errori grossolani e molti documenti sono trascritti parzialmente per l‟incapacità del copista di interpretare il testo latino.

Ad esempio al foglio 38/verso, rigo 5°, il copista anziché trascrivere “Ferdinando Ughellio nel tomo 7°” egli scrive “Ferdinando V. quell’io nel tomo 7”.

2. Breve storia del manoscritto.

Il manoscritto, di cui si propone, dopo circa tre secoli, l‟edizione critica, è uno dei pochi documenti riguardanti la storia civile e religiosa di una Comunità della Basilicata, rimasto inedito.

Esso s‟intitola “Memorie Grumentine Saponariensi” e riporta un lunghissimo sottotitolo che è quasi una sintesi della materia trattata con l‟annotazione dell‟Autore: Dottor Niccolò Ramaglia e dell‟anno: 1736.

Occorre avvertire il lettore che l‟inedito della Biblioteca di Moliterno, di proprietà di G. Racioppi, è una copia dell‟originale, andato smarrito per cause non del tutto chiare.

A tal proposito il Racioppi (in un‟annotazione vergata di suo pugno, nella pagina che precede il frontespizio) scrive: “La presente copia manoscritta è stata fatta sul manoscritto che io credo originale, del Nicolò Ramaglia, autore, il quale manoscritto, oggi, 1878, si trova in potere del sig. Vincenzo Ramaglia, avvocato in Sarconi. Un'altra antica copia del manoscritto originale del Ramaglia è in potere dell'egregio Francescopaolo canonico Caputi di Saponara. Io la credo eseguita nel secolo passato. In essa, però, manca la vita di S. Laviero. Avverto che la presente copia non è stata collazionata con l'originale. Le carte in bianco, che nel presente volume vengono dopo l'indice e prima dell'introduzione, sono state messe ivi per isbaglio del rilegatore. Agosto 1879”

L‟oggetto della presente pubblicazione, quindi, è una copia che noi riteniamo addirittura di terza mano, tante sono le omissioni e gli errori che lo caratterizzano. Il manoscritto di Niccolò Ramaglia, doveva essere senz‟altro di migliore qualità. Iniziato dall‟Autore nel 1736 fu terminato nel 1742, come si arguisce da alcuni argomenti trattati negli ultimi capitoli del lavoro, che riguardano proprio quest‟ultimo anno.

Niccolò Ramaglia, anche se non lo dice esplicitamente, nutriva l‟ambizione che qualcuno si premurasse in futuro di provvedere alla sua pubblicazione.

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XII

Nel Cap. 52°, § 1, rigo 2, parlando della Chiesa Matrice di S. Antonino, Niccolò Ramaglia sommessamente e quasi distrattamente scrive: “Qualora questi scritti si avessero a pubblicare”, ed è l‟unica volta che si lascia sfuggire

questo fugace pensiero, segno questo che indica come il lavoro, ormai quasi portato a termine, dovesse servire non per ricordare il suo nome ma a gloria e ricordo di tutte le azioni portate avanti dai rappresentanti della Insigne Collegiata Chiesa di Saponara. Egli aveva iniziato il lavoro su incoraggiamento e sprone dell‟erudito Arciprete Carlo

Danio Ceramelli, il primo archeologo delle antichità romane della sottostante Grumentum. Lavoro intrapreso dopo essere stato nominato dal Capitolo dei Canonici della Chiesa Collegiata di S. Antonino,

Martire, Procuratore Generale e Legale degli affari della stessa nel 1731.1 In tale veste, aveva avuto la possibilità di attingere a piene mani ai documenti originali conservati nel ricchissimo

Archivio della Collegiata. Al di là dei panegirici e della difesa d‟ufficio riguardanti la storia e i diritti dell‟Ente religioso Saponariense, il merito

maggiore di Niccolò Ramaglia è quello di averci trasmesso atti, sicuramente integri ed originali, di capitale importanza per capire la storia di un Comune, Saponara, che nel Medioevo ed oltre ha avuto un ruolo di primo piano nel contesto dell‟area e della Regione. Documenti che altrimenti (come è accaduto per tutti quelli della storia civile del Comune), si sarebbero perduti.

Giacomo Racioppi, sotto questo aspetto, non rende granchè merito al Ramaglia quando nella sua “Agiografia di S. Laverio”2 afferma: “Il dottor Niccolò Ramaglia di Saponara scrisse nel 1736 le “Memorie Grumentine Saponariensi”, ove intorno alle origini di Grumento e di Saponara raccatta tutte le fiabe che la grama erudizione indigena ebbe inventate nei secoli XVI e XVII”.

Poi, quasi a scusarsi dell‟ingeneroso giudizio espresso prima, soggiunge: “e con miglior consiglio, raccoglie copia di documenti e di notizie che alla storia della sua patria riescono di prezioso interesse”.

L‟esame dei numerosissimi documenti riportati dal Ramaglia (anche se molti, come detto in precedenza, assolutamente incomprensibili per colpa dei copisti) da noi confrontati con il testo di alcune pergamene della Chiesa Collegiata di Saponara, che sono residuate e conservate presso l‟Archivio di Stato di Potenza3, dimostra senza ombra di dubbio che l‟Autore delle Memorie attingeva dagli originali senza inventare nulla.

Che poi indulga al racconto di leggende, letterarie o popolari, (basta leggere la lunghissima introduzione al Cap. I che inizia il racconto addirittura da Noè e da Sem), per capire che egli non crede affatto a quanto racconta, ma che registra quanto era nella cultura del suo tempo. Anche I fatti di poco conto narrati nelle Memorie (ad esempio i danni

provocati da un fulmine caduto sul campanile della Chiesa Madre, nel Cap. 57°) indicano la voglia dell‟estensore di lasciare traccia di uno spaccato del sentimento religioso della comunità di Saponara.

Ma quale è stata la sorte toccata al manoscritto autografo redatto da Niccolò Ramaglia? Nessuno può dirlo con certezza. Pietro Borraro in “Studi Lucani e Meridionali”4 affermava che l‟omonimo bis-bis nipote Prof. Nicolò Ramagli

(nato nel 1903) gli aveva confidato che agli inizi del 1800 era ancora in possesso del nonno Avv. Vincenzo Ramagli di Sarconi. Questi lo diede in visione a tale Antonio Frabasile, religioso poliglotta che, emigrato prima in Grecia e poi negli Stati Uniti, non lo restituì più al proprietario.

1 Cfr. Cap. 45°, § 2.

2 :Cfr. “Fonti della storia basilicatese al Medio Evo” (Roma 1881, Ed. Barbera), pag. 5 3 Pregevole il lavoro della Vice Direttrice dell‟Archivio Valeria Verrastro che ha transuntato tutte le pergamene nella sua

pubblicazione “Le pergamene della Chiesa Collegiata di S. Antonino Martire di Saponara”, in Boll. St. Basilicata, n° 6, 1990. 4 Galatina, Congedo Ed., 1978, pag.301

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XIII

La copia di prima mano in possesso dell‟Arciprete Francesco Paolo Caputi,5 andò anch‟essa smarrita. Riteniamo che, come è stato da noi dimostrato per il codice della Platea dei beni del Monastero di S.Croce del 1654 (Oggi alla

Philadelfia Free University e di cui disponiamo del microfilm), dopo la morte del Caputi, qualche suo parente, facendo piazza pulita dei documenti conservati nel suo archivio personale, l‟abb ia portato a Milano e lì venduta al libraio Renzo Rizzi6, che poi la rivendette non sappiamo a chi.

Vane sono state le nostre ricerche fatte nel tentativo di rintracciare l‟originale o la sua prima copia. Si è chiesto ad Episcopia, Comune del Frabasile, si è cercato a Milano per quella del Caputi.

Il Racioppi, come detto in precedenza, affermava nel 1878 che il manoscritto in suo possesso era stato copiato dall‟originale in possesso di Vincenzo Ramagli, senza fornire però spiegazioni. Non dice nemmeno come e da chi gli era pervenuto. E‟ stata comunque una fortuna che esso sia venuto in possesso dello Storico moliternese che ne ha preservato l‟esistenza.

3. L’Autore delle “Memorie”: famiglia e discendenti. I Ramaglia erano un‟antica famiglia di Saponara. La ritroviamo nei Libri parrocchiali, esistenti nell‟archivio della

Chiesa di S. Antonino, sin dal primo volume dei Libri baptizatorum. Essa è riportata anche con la variante “Ramaglio”. Pur non facendo parte delle famiglie cui spettava un posto nel “Seggio dei Nobili”, dalle qualifiche e alle professioni dei suoi componenti ricavate dai Libri matrimoniorum e dai Libri collegiali dei Defonti, si arguisce che ebbe un ruolo di rilievo nella comunità saponariense: annoverava Sacerdoti, Dottori in legge, ostetriche, etc.

Per quante ricerche abbiamo fatto, spulciando le carte parrocchiali dell‟epoca, non siamo riusciti a rinvenire alcuna indicazione che riguardasse la nascita di Niccolò Ramaglia.

Riferimento certo è l‟annotazione della sua morte avvenuta il 5 Settembre 1750 all‟età di circa 55 anni per un “moto apopletico” nel V Libro Collegiale dei Difonti, anni 1734-1779, Fol. 142/verso, 3a annotazione:

“Nell’istesso giorno (5 Settembre) 1750, Il Dr. Nicolò Ramaglio figlio del q.(uonda) m (ndr: defunto) Dr. Giuseppe Ramaglio di questa Città in età d’anni 55 in circa nella sua casa nel grembo di S. Chiesa privo delli Sacramenti della Confess.e e della comunione per un moto apopletico sopragiuntoli, ha solamente ricevuto il Sagramento dell’estrema unzione e raccomandata la sua anima dal Sacerdote D. Nicolò Roselli eddomadario, e nel giorno seguente fu sepelito nell’Insigne Collegiata. Giliberti Arciprete”

5 Autore dell‟opera “Tenue contributo alla storia di Grumento e di Saponara”, Ed. Pesole, Napoli 1902

6 Cfr.David Anderson “Ricerche di Storia sociale e religiosa”, n° 31-32, Ed. Storia e Letteratura, 1987

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XIV

Quindi la sua presumibile data di nascita dovrebbe aggirarsi intorno all‟anno 1695. I suoi genitori erano il dott. Giuseppe Ramaglia (non sappiamo se dottore in legge o dottore fisico) ed Isabella

Colombo o Columba. La indicazione relativa al padre la ricaviamo dal predetto atto di morte (il padre defunto è detto “quondam”7) mentre quella per entrambi i genitori, dalla “Dichiarazione di stato libero”, redatto dal Canonico Sebastiano Roselli ed affisso nella Collegiata nei giorni 2-9-16 Febbraio 17218 prima di sposarsi a Sanza.

La madre Isabella, di cui in nessun atto è citato il Comune di provenienza, morì a 55 anni il 5 Giugno 1717, quindi nata nel 16629. Se si conosceva il suo paese d‟origine si sarebbe potuto ricavare il luogo dove il nostro Niccolò Ramaglia era nato, perché probabilmente essa era partorita nella casa dei propri genitori. Avendo ricavato dal manoscritto che l‟Autore delle Memorie, come egli rivela al Cap. 53°, era stato nominato Governatore della Terra di Carbone, è presumibile che egli fosse nato proprio in questo Comune della Basilicata.

Si sposò, come detto, a Sanza, con Carmina Veglia che viene menzionata al Cap. 55°, § 6 (“dilettissima mia consorte”) e al Cap. 56°, § 4 (“mia consorte”) del manoscritto. Nata nel 1695, morì all‟età di 47 anni il 29 Agosto 1742. Nel suo atto di morte il suo cognome compare come La Veglia (forse il prete sbagliò l‟annotazione) ed è detta “della Terra di Sanza e “ figlia di Giovanni Tommaso”10

Da essa Niccolò ebbe 2 figli e 3 figlie. Dei due figli l‟Autore delle Memorie ci da una indicazione generica al Cap. 57, §1, ove accenna ai suoi “due

figlioli” che, dopo la caduta del fulmine sul campanile della Chiesa Madre (anno 1742), erano fuggiti uscendo dalla “portella” (ossia la seconda porta della chiesa).

7 Il dott. Giuseppe Ramaglia risulta già deceduto prima del 1715 come si ricava da un atto del Notaio Celso del 17/11/1715 con

il quale si stipulano i Capitoli matrimoniali di Anna Maria Ramaglia, vedi nota successiva n° 19. 8 Cfr. “Liber matrimoniorum”, anni 1652-1732, 2 Febb. 1721.

9 Cfr. Atto di morte in “Liber defunctorum”, anni 1640-1733, Fol. 89/verso. In esso il cognome figura “Colombo”.

10 Cfr. Atto di morte in “Libro collegiale dei defunti”, 1734-1780, Fol. 84/verso.

Page 16: Memorie grumentine saponariensi

XV

Approfondite ricerche sui Libri Parrocchiali ci hanno consentito di sapere qualcosa in più sulla prole di Niccolò

Ramaglia. Il primo figlio, nato il 10 Luglio 1722, si chiamava Ioseph, Vitalis, Franciscus, Thomas, Gerardus, Bernardus11 Questi divenne Sacerdote come si ricava dalle annotazioni nei libri dei battesimi da lui celebrati.12 Del secondo, trasferitosi a Sarconi verso la metà del 1700, da cui discesero i Ramagli giunti ai nostri

giorni, non siamo riusciti ad individuare la data di nascita perché il Libro dei Battezzati degli anni 1660-1733,

presenta la sottrazione di due gruppi di fogli: il primo da Fol. 242 a Fol. 258 (corrispondente al periodo Settembre 1722-Luglio 1725), il secondo da Fol. 261 a Fol. 275 (Maggio 1726-Maggio 1728).

E‟ molto probabile che nei fogli mancanti era stata annotata la nascita del secondogenito. Siamo riusciti comunque a recuperare la identità del secondogenito di Niccolò consultando il Libro dei matrimoni degli anni 1734-1782, ove al Fol. 119/Recto, vi è l‟annotazione degli Avvisi di matrimoni pubblicati il 2-9 e 16 Novembre del 1749 con i quali si annunciava il matrimonio da celebrarsi da parte del “Magnifico Pasquale Ramaglia, figlio del Dott. Nicolò di questa Città, …nella Terra di Sarconi colla magnifica Angela Scarano”.

Riportiamo di seguito il predetto documento con la relativa trascrizione:

Avviso di matrimonio di Pasquale Ramaglia, secondogenito di Niccolò.

11

Cfr Atto di nascita in “Libro dei battezzati”, anni 1660-1733, Fol. 242/recto. In esso vi è l‟indicazione della madre Magnifica Carmina Veglia. 12

Vedasi successiva nota n° 15.

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XVI

Trascrizione Avviso di matrimonio di Pasquale Ramaglia

“Il Magnifico Pasquale Ramaglia figlio del Dott. Nicolò di questa Città, dinunciato al Popolo presente tra le solennità delle Messe in tre giorni festivi di Domenica occorsi a di 2; 9; e 16 del mese di Novembre del cadente Anno 1749 non fu egli da verun ostacolo impedito, perché non avesse contratto matrimonio per verba de presenti nella Terra di Sarconi colla magnifica Angela Scarano. = Canonico Bianculli Economo”

La moglie di Pasquale, apparteneva alla nobile famiglia sarconese degli Scarano, alcuni rappresentanti della

quale si distensero durante la “Rivoluzione Napoletana” del 1799 contro i Borbone: Scarano Alfonso, galantuomo, Scarano Domenico, proprietario, Scarano Donato Antonio, Cancelliere comunale.13 Quest‟ultimo fu anche successivamente capo della Setta carbonara di Sarconi e venne delegato dalla “Vendita” del suo paese a

rappresentarlo alla “Grande Assemblea del popolo carbonaro” tenutasi a Potenza l‟11 Agosto del 1820.14 Non avendo rinvenuto nei documenti consultati, successivi al 1749, alcuna annotazione relativa a nessuno dei

figli di Pasquale Ramaglia, riteniamo che egli si sia spostato a Sarconi appena dopo il matrimonio. Uno dei suoi figli si chiamò sicuramente “Niccolò,” che generando il Vincenzo Ramagli Avvocato, di cui parleremo

appresso, fu l‟anello di congiunzione fra i “Ramaglia” di Saponara e i “Ramagli” di Sarconi. Ritornando al nostro Autore delle Memorie, e alle sue figlie, diciamo che la prima si chiamava Maria Isabella di

cui viene fatto un cenno nel § 1 del Cap. 57° allorquando nel trambusto succeduto alla caduta del fulmine l‟Autore dice: “…già vidi la mia figliola Maria Isabella…”. Essa risulta sposata con Francesco Romaso da cui ebbe il 29 Giugno 1763 un figlio di nome Nicolò, Giuseppe, Antonio, Donato, Laviero15.

La seconda, di nome Maria Teresa Geronima, nata il 16 Agosto 173416, morì bambina il 23 Settembre 173617. La terza si chiamava Rachele, nata il 9 Maggio 1736 dopo un parto travagliato, cui accenna l‟Autore al Cap. 55°,

§ 6. Afferma che la moglie fu salvata ed aiutata in tale circostanza dalla Sacra Reliquia del Sangue di Cristo, in quanto custodiva nelle sue vesti una delle tre chiavi del ripostiglio e dice “col dare alla luce una bella bambina quale si chiama Rachele”.

L‟Autore delle Memorie aveva un fratello e tre sorelle. Il fratello Giovan Battista, Sacerdote della Collegiata, era probabilmente più anziano di lui e viene menzionato nel

manoscritto tre volte: al Cap. 42°, § 2, ove si dice che il Vescovo gli conferì l‟onorificenza dell ’Ordine della

13

Cfr. Vincenzo Falasca “La Rivoluzione Napoletana del 1799 nei Comuni della Valle dell’Agri e in Basilicata”, Ed. Ermes, Potenza 1999, pag.135. 14

Cfr. G. Mallamaci “Sarconi-immagini storiche di un paese della Val d’Agri”, Tip. Waltergrafkart, Moliterno 2000, pag. 54. 15 Cfr. Libro dei battezzati (sotto l’Arciprete Andrea Giliberti), anni 1756-1781, Fol. 46/recto, 3

a annotazione, 29 Giugno 1763. In

tale atto risulta che il battesimo fu celebrato dal “ Rev. Sacerdote Giuseppe Vitale Ramaglia”, 1° figlio di Niccolò Ramaglia. 16

Cfr. Libro dei battezzati, anni 1734-1756, Fol. n° 9/Verso 17

Cfr. Liber mortuorum, anni 1734-1780, Fol. n° 35/Recto

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XVII

Cattedrale, al Cap. 55°, § 4 e al Cap. 56, § 3°. Non abbiamo su di lui documenti ufficiali, salvo le annotazioni nei

Libri Parrocchiali ove lo si ritrova celebrante di numerosi battesimi e matrimoni. La prima sorella di Niccolò Ramaglia si chiamava Anna Maria Antonia e risulta nata il 16 Gennaio 1692.18 La seconda si chiamava Anna Maria ed era nata il 27 Aprile 169319. Sposò il 23 Febbraio del 1716 il Dott. Fisico

di Montemurro Giovanni Appella.20 In un atto notarile del Notaio Celso di Saponara del 17 Novembre del 1715, vennero stipulati i Capitoli matrimoniali alla presenza dello sposo e della madre vedova Isabella Colombo (o

Columba) e dei fratelli, Sacerdote Giovan Battista e Dott. Niccolò Ramaglia.21 La terza si chiamava Teresa Antonia ed era nata il 5 Dicembre 1696.22

Dalla sequela documentata delle date di nascita delle sorelle di Niccolò si ricava che il suo anno di nascita non può essere che il 1695.

Documentata è altresì, in vari atti parrocchiali dal 1654 in poi, l‟esistenza del Sacerdote Carolus Ramaglia, fratello del padre di Niccolò, autore delle Memorie.

Come abbiamo accennato in precedenza, da un figlio di Pasquale Ramaglia, trasferitosi a Sarconi alla metà del 1700, nacque nel 1834 Vincenzo Ramagli, Avvocato, morto il 1918, dopo una lunga carriera

professionale espletata prevalentemente in Val d‟Agri.23 Aveva un fratello di nome Niccolò Antonio che partecipò, quando Garibaldi venne in Lucania, alla spedizione del 18 Agosto 1860 a Potenza24. Vincenzo fu l‟ultimo possessore della famiglia del manoscritto autografo delle Memorie.

Vincenzo generò nel 1858 a Sarconi Giuseppe Ramagli25. Questi

abbracciò la carriera burocratico-amministrativa di Segretario comunale, attività che espletò nei Comuni di Sarconi, San Costantino Albanese, Casalbuono, Tolve, Viggiano e Moliterno. Elaborò, nella sua qualità di tecnico, il Regolamento delle acque del Comune di Sarconi. Suo fratello

Vincenzo Ramagli (Sarconi 1834-1918)

(Foto n° 2/a) Avv. Vincenzo agli inizi del 1900 partecipò attivamente alla vita amministrativa del suo paese26. Verso la fine della

sua vita, anche per i contrasti politico-amministrativi locali, emigrò a Napoli ove morì nel 1922.

18

Cfr. Atto di nascita in Libro dei battezzati, anni 1660-1733, Fol. 128/Recto 19

Cfr. Atto di nascita in Libro dei battezzati, anni 1660-1733, Fol. 134/Verso 20

Cfr. Atto di matrimonio in Liber matrimoniorum, anni 1652-1732, 176/Recto 21

Cfr. Arch. St. Pz., Protocolli Notarili, Notaio Celso, Vol. 1591, Fol. 94/Verso, anno 1715 22

Cfr. Atto di nascita in Libro dei battezzati, anni 1660-1733, Fol.146/Verso. 23

Cfr. “Nel cuore del Sud” di Niccolò Ramagli (bis-bis nipote dell’Autore del Manoscritto), Ed.RCE 2001, 2a

Edizione, pag.30. Vedasi di Vincenzo Ramagli la foto n° 2/a. 24

Cfr. Giorgio Mallamaci “Sarconi-immagini storiche di un paese della Val d’Agri”, Tip. Waltergrafkart, Moliterno 2000, pag. 58. 25

Vedasi la foto n° 2/b, con firma autografa. 26

Cfr. G. Mallamaci, op. cit., pag. 72.

Page 19: Memorie grumentine saponariensi

XVIII

Da lui nacque in Sarconi il 24 Marzo del 1903 il pro-pronipote dell‟Autore delle Memorie l‟omonimo Prof. Niccolò Ramagli27. Egli seguì il girovagare del padre nei vari Comuni ove fu Segretario. Intorno al 1920 si trasferì a Napoli

ove conseguì la Laurea in Filosofia ed ivi insegnò presso il Liceo Umberto I°. Collaborò con molti saggi storici, filosofici e filologici al quotidiano partenopeo Il Mattino. Narratore e poeta, di lui ricordiamo la raccolta di poesie “Il fiore e la morte” e il lavoro storico-antropologico “Nel cuore del Sud…in Lucaniae dulces recessus”. Collaborò alla fondazione dell‟Associazione Giustino Fortunato, in Napoli, diventandone anche Vice Presidente. Collaborò attivamente anche con Pietro Borraro nella sua Rivista di “Studi lucani e meridionali”. Fu più volte a Grumento Nova (i cui abitanti egli chiamava affettuosamente “Squiglij” <abituati a scivolare> ra’ Sapunara”) per studiare gli scavi

archeologici di Grumentum e la ricca biblioteca comunale “Carlo Danio.” Ebbe cinque figli e morì in Napoli il 25 Gennaio del 1981.

Niccolò Ramagli

Giusreppe Ramagli (Sarconi 1903-Napoli 1981) (Sarconi 1858-Napoli 1929) (Foto n° 2/b) 4. La materia trattata nel Manoscritto.

Niccolò Ramaglia aveva ricoperto dal 1731 al 1732, (come egli stesso ci racconta nell‟Introduzione e nel Cap. 45°, § 2) la carica di Avvocato Generale del Capitolo della Chiesa Collegiata di Saponara. In tale veste, avendo avuto la possibilità di consultare i documenti originali del suo Archivio, decise di scrivere le “Memorie” e di tale decisione ci dà motivazione proprio nell‟Introduzione all’opera:

“… siccome dirassi col corso della presente opera, non vi sia stata persona , che per la posterità pensato avesse, e tramandato la memoria non meno degli onori che ella (ndr. La Chiesa Collegiata di Saponara) ha goduto, che 27

Vedasi foto nella pagina

Page 20: Memorie grumentine saponariensi

XIX

delle avversità e disavventurate burasche nell'accennato corso di tanti anni sofferte, con farle macerar dalla ruggine della obblizione. Laonde io Notar Niccolò Ramaglia28 della stessa città, più che minimo tra i professori della Giurisprudenza, in occasione che ho avuta la fortuna di patrocinare il R.mo Collegio della enunciata Chiesa nell'anno millesettecentotrentuno in 1732 avendo notato tutto e ciò che mi avvenne, siccome nella prefazione si è detto, di vantaggio erami venuto in desio di aggiungervi altre notizie necessarie. Ma come questo assunto non era per me, sì per la professione, come per non esser de pane lucrando, avendo discacciato dal mio pensiero: ma pensando alla fin fine non far scoltare quelle mie notarelle in cotal fatta scompagnate risolvei aggiungervi qualc’altra cosa sì, ma che non avesse trapassata la meta della mia bassissima intelligenza e la necessaria applicazione alla mia domestica cura. Progettai questo mio pensiero col nostro eruditissimo e dottissimo patrizio Rev.mo Sig. D. Carlo Danio, un tempo degnissimo Arciprete della stessa Chiesa …che mi persuase ad abbracciare l'impresa, ma vieppiù animommi a maggior fatica; cioè che avessi posto in ristretto tutte quelle memorie antiche, che egli aveva della nostra Patria e Chiesa, disperse in cartoli e vari documenti.…posposi ogn’altro mio interesse per attendere alla già detta impresa. Mi protesto però e dichiaro…che quanto leggerassi nella presente opera registrato o è stato fedelmente trascritto da loro originali documenti e memorie antiche; conservate o raccolte forse da chi avea il pensiero di registrarle, ho ricavato da fedeli tradizioni porgiutemi dal riferito Signor D. Carlo, o altre persone provette, e degne di fede”.

Il Ramaglia, avendo quindi precisato, con malcelata modestia, che la sua intelligenza non era all‟altezza del compito, rivela di voler raccontare (incoraggiato nell‟impresa dall‟Arciprete Carlo Danio Ceramelli) la storia della Collegiata Insigne di Saponara affinchè non cadessero nell‟oblio le sue lotte, le sue sconfitte e le sue vittorie (nei confronti della Diocesi marsicana) attingendo da “originali documenti e memorie antiche”.

Inoltre nella “Protesta,” che precede l‟indice dei Capitoli, egli si professa rispettoso dei dettami della Santa Chiesa

Cattolica Romana e afferma che alle “Memorie” si debba prestar fede come ad opera di un privato e non ad atto ufficiale della Chiesa stessa. Tale dichiarazione fu ispirata dal rigorismo della Controriforma e dalla necessità di mettersi al riparo da eventuali sanzioni ecclesiastiche.

Il Ramaglia dunque racconta, in buona parte dell‟opera, il “conflitto giurisdizionale”, che si protrasse per secoli, tra

la Chiesa di Saponara e la Diocesi di Marsico Nuovo. La prima si rifiutò sempre di sottomettersi ai voleri episcopali in quanto riteneva di essere “Res nullius” (ovvero non soggetta a nessuna Diocesi) in considerazione del fatto che essa da Tempo immemorabile, ovvero dall‟inizio del Cristianesimo, era suprema Autorità religiosa della zona perchè nel 370 d.C. Papa Damaso aveva istituito in Grumentum la Diocesi Grumentina, creando Vescovo Sempronio

Atone. Questa in sintesi la materia del contendere che come ebbe a scrivere Giacomo Racioppi, indusse i contendenti a

lottare, a volte anche aspramente, senza esclusioni di colpi. Lo storico difatti sostiene:29 “Quell’accanito litigio giurisdizionale tra la chiesa saponarese e la Curia marsicana

non rimase angolo di archivio o canto di muro che non inquinasse della sue fiabe fanciullesche”.

28

Non conosciamo il motivo per cui egli si proclami Notaro. Dai protocolli notarili conservati all‟Arch. di Stato di Potenza, rileviamo che in quel periodo i notai esercitanti in Saponara furono: Giuseppe Giannone, Francesco Di Pierro, Nicola Celso (di Cosenza) Carlo Romaso e Felice Antonio Rugna. Non esiste nessun registro con atti rogati da Niccolò Ramaglia. Forse egli stava facendo pratica notarile presso uno dei predetti. 29

Cfr. Giacomo Racioppi :“Fonti della storia basilicatese al Medio Evo-L’Agiografia di S. Laverio del MCLXII” (Roma 1881, pag. 140

Page 21: Memorie grumentine saponariensi

XX

La controversia scoppiò in tutta la sua virulenza nel 1530, allorquando l‟Arciprete di Saponara Giovanni Ferrara, poiché si era visto annullare la sua nomina dal Vescovo di Marsico, Ottaviano Caracciolo, fece ricorso alla Sacra Rota.

Il contrasto però aveva radici molto antiche che si possono far risalire all‟XI sec. allorquando alla Chiesa di Saponara nel 1095, con la Bolla di Gisulfo, Vescovo di Marsico (che il Racioppi ritiene apocrifa) venne riconosciuto il titolo di Collegiata.

Nel 1162 il Vescovo Giovanni voleva imporre all‟Arciprete della Saponara, Saulo de Goffrido, esosi balzelli che questultimo rifiutò e ricorse all‟Arcivescovo di Salerno Romoaldo II. Questi compose nel 1163 la lite stabilendo che la Chiesa saponariense doveva pagare al Vescovo di Marsico solo la quarta delle Decime e dei funerali, mentre per la Giurisdizione confermò il diritto dell‟Arciprete a governare i suoi concittadini.

Le liti più clamorose si agitarono nei secoli XVI, XVII, e XVIII. Spiccano per la loro virulenza l‟episodio del trafugamento, da parte del Vescovo Ascanio Parisi, di Moliterno,

delle carte originali del processo contro il Collegio della Chiesa di S. Antonino e l‟altro del 1677, allorquando il Vescovo Gambacurta che, venuto a Saponara per insediare quale Arciprete il marsicano Nicola Morena, per poco non rischiò il linciaggio.

Vi furono varie scomuniche nei confronti dei Preti e dei cittadini di Saponara da parte dei Vescovi di Marsico e Potenza.

Ma la Chiesa di Saponara aveva anch‟essa protettori in alto loco, fra cui il Cardinale Lucio Sanseverino il quale riuscì a far avere all‟Arciprete di Saponara, con grande scorno del Vescovo dell‟epoca, il diritto all‟uso dei pontificali e della mitra.

Ma intorno alla metà del XVII secolo, un potente Vescovo di Marsico, il domenicano Giuseppe Ciantes, forte della protezione della cognata del Papa Innocenzo X, Donna Olimpia, riuscì a far privare della Giurisdizione l‟Arciprete,

che all‟epoca era Giovan Francesco Danio. A nulla valse l‟intervento del famoso giurista Amato Danio, suo nipote, componente della Regia Camera di Santa Chiara.

Seguirono poi periodi di pace con Vescovi molto tolleranti. Si tentò finanche di privare la Chiesa saponariense dei titoli di Collegio e del Canonicato. Essa si difese con le unghie e con i denti e si dissanguò letteralmente per le

spese di avvocati nelle varie cause sostenute a Roma, presso la Sacra Rota. Dopo il 1742, le notizie relative alle successive dispute fra il Clero di Saponara e il Vescovo di Marsico si

diradano in quanto viene meno la principale fonte costituita dalle Memorie del Ramaglia. Sbiaditi accenni ritroviamo in un carteggio presso la Diocesi di Potenza "Pretenzioni del clero di Saponara

proposte nel Tribunale misto" che riguarda il vescovado di Diego Andrea Tomacelli (1744-1763)30. Alle dispute di questo periodo attiene l'allegazione dell'avvocato napoletano Onofrio Cecere del 1754 "Per lo

Capitolo della Chiesa di S. Antonino martire di Saponara in Prov. di Salerno contra il Vescovo di Marsico nel Tribunale misto presso l'Attitante Pascale Graziola"31

Altre scarse notizie, sino al 1790, le ritroviamo nel fascicolo presso l'archivio diocesano di Potenza" Fatto per la causa fra l'Insigne Collegiata della città di Saponara e il Capitolo della cattedrale di Marsico"32 .

30

Cfr. Arch. Diocesi Pz, fondo I, busta 4 31

Cfr. Onofrio Cecere, Allegazioni, Napoli 1759, Bibl. Naz. Na. 32

Cfr. Arch. Diocesi Pz, fondo VIII, busta 1

Page 22: Memorie grumentine saponariensi

XXI

Le liti continuarono anche agli inizi del 1800 e la difesa della Collegiata venne affidata al dotto avv. grumentino G. Nicola Roselli che nel 1854 pubblicò in Napoli l'allegazione" Per l'Arciprete e Capitolo della Insigne Collegiata Chiesa sotto il titolo di S. Antonino, martire del comune di Saponara, in difesa del diritto di necessaria collazione spettanti ad essi Arciprete e Capitolo, dei canonicati e mansionariati della Chiesa suddetta. Nell'alta Commissione del Concordato"33

A seguito del Decreto luogotenenziale del 17 Febbraio 1861, vennero soppressi nelle province napoletane e siciliane, insieme agli Ordini monastici, anche i Capitoli delle Chiese Collegiate non aventi cura d'anime.

Il Canonico Francesco Paolo Caputi, di Saponara di Grumento, pubblicò in Potenza nel 1863 " Ragioni per il Capitolo di Saponara provanti la cura delle anime annessa alla Insigne Collegiata sotto il titolo di Sant'Antonino martire, che è la chiesa di detta città"34

Con la legge del 15 Agosto 1867, n° 3848, “Per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico”, non furono più

riconosciuti come Enti morali i Capitoli delle Chiese Collegiate e le Chiese ricettizie, con e senza cura d‟anime, perdendo tutti i diritti giuridici in passato posseduti.35

La Chiesa di S. Antonino Martire, di Saponara, che aveva difeso sino all'ultimo, anche con grande dispendio di risorse economiche, il titolo di Insigne Collegiata, venne da tale data ridotta definitivamente a parrocchia.

Nelle sue Memorie il Ramaglia, oltre a dilungarsi distesamente sul conflitto e la lite secolare delle due Istituzioni

religiose, accenna anche a fatti ed episodi attinenti la società, le strutture civili, i Feudatari, vari personaggi di rilievo del posto, i monumenti e le strutture cittadine, le altre Istituzioni religiose, le feste, i culti, i miracoli, le usanze quotidiane del popolo e le Agiografie di due Santi autoctoni: S. Antonino e S. Laverio.

Occorre avvertire il lettore che la suddivisione in paragrafi, al fine di rendere meglio l‟articolazione del contenuto dei capitoli, è nostra elaborazione, ed inoltre che tutti i documenti riportati dal Ramaglia sono trascritti in corsivo.

VINCENZO FALASCA

33

Cfr. Giovanni Ant. Colangelo “La Diocesi di Marsico nei sec. XVI-XVIII”, Roma 1978, pag. 54 34

Idem 35

Cfr. Antonio Lerra “Chiesa e società nel Mezzogiorno”, Ed. Osanna, Venosa 1996, pag. 97.

Page 23: Memorie grumentine saponariensi

1

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2

MEMORIE GRUMENTINE SAPONARIENSI In cui si descrivono la Edificazione, la Fede Cattolica ricevuta da S.

Laviero, i Vescovi e la distruzione della celebre città di Grumento, colonia militare de‟ Romani; la edificazione della nuova città della Saponara, gli Prelati, o siano Arcipreti mitrati che hanno governata la di lei Insigne Collegiata Chiesa, sotto il tit.o di S.Antonino Martire. e le fierissime liti agitate con i Vescovi Marsicani per causa della giurisdizione.

Con i memorandi fatti e vita del dottissimo D. Luigi Sanseverino, Principe di Bisignano. Storia della reliquia del Prezioso Sangue di Cristo, con quella del prezioso Santuario, sotto il titolo di S. Maria della Salute, detta di Grumentino - Vita di Sant'Antonino, volgare, di S. Laviere, latina e volgare; con altre cose notabili raccolte con somma diligenza e fatica dal

Dottor Niccolò Ramaglia di Saponara.

nell' anno 1736

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3

PROTESTA DELL'AUTORE Avendo la Santa memoria di Urbano VIII Sommo Pontefice, sotto li 13 Marzo 1625 publicato decreto, e quello

confirmato sotto li 5 Luglio 1634, col quale proibì stamparsi libri nelli quali si facesse menzione, o racconto della vita, gesti, miracoli, revelazioni, o altri qualunque beneficii, o virtù di uomini, senza l'approvazione della S. Sede Apostolica; ma che possano ammettersi lodi ed elogi, che cadano sopra li costumi, fama e conversazione di qualche uomo probo, che apparissero soprannaturali: a questo Decreto, confirmazione e spiega, Io dottor Nicolò Ramaglio, piegando humilmente il capo; e tutto me stesso; mi protesto che, tutto quanto rapporto in questa mia opera delle Memorie Grumentine Saponariensi, si debbiano ricevere ed accettare secondo il senso, e volere della S. Chiesa Cattolica Romana, e si debba prestar quella fede, che si presta ad un uomo privato, e non altrimenti, professando per sempre di venerare li sacrosanti Decreti di essa Romana Chiesa, nel di cui grembo spero vivere e morire.

INDICE DELLI CAPITOLI

Cap. I Si descrive l'origine o sia edificazione della Città di Grumento, e come da S. Laviere ricevè la S. Fede.

Cap. II Siegue a narrarsi la situazione ed altre qualità della Città di Grumento. Cap. III Si pruova che la Città di Grumento sia stata Sede Vescovile ed in conseguenza Cattedrale. Cap. IV Si narra la destruzione di Grumento ed in mariera che la Saponara fu edificata. Cap. V Si descrive la fondazione della Chiesa insigne Collegiata con le altre dentro l'abitato, e Monasteri di

Donne Monache. Cap. VI Si descrivono tutte le altre Chiese costrutte nel Territorio così dirute come in essere. Cap. VII Si descrive la situazione del nuovo Grumento, dico Saponara, con altre cose più notabili. Cap. VIII In che maniera la giurisdizione vescovile dopo la destruzione di Grumento, conservossi negli Arcipreti

di S. Maria Assunta, chi quei siano stati, e il principio delle liti con i Vescovi Marsicani. Cap. IX Si rapporta l'accordo seguito con Gisulfo 2° Vescovo di Marsico, colla lui Bolla, colla quale dichiarò

Collegiata la nostra Chiesa. Cap. X Del Casale di Tramutola, ove esso era sito, dentro di quel tenimento, come fu distrutto, ove redificato,

e per opera di chi, ed altre cose notabili, sopra la lite degli confini colla Saponara. Cap. XI Si narra in che maniera Giovanni V°, Vescovo di Marsico, volle imporre nuovi pesi al nostro Collegio,

e si rapporta la determinazione di Romoaldo, Arcivescovo di Salerno. Cap. XII Si narrano alcuni Arcipreti che governarono la nostra Collegiata dopo di Saulo, e si rapporta una

donazione di Roberto di Romana a prò del Collegio. Cap. XIII Si rapporta come Pietro e Bartolomeo Vescovi di Marsico, quello nel 1330, questi nel 1368,

rinnovarono altre imposizioni, e come furono da i Metropolitani raffrenati. Cap. XIV Siegue a narrarsi gl'Arcipreti della nostra Collegiata, e come Giacomo Sanseverino Conte della

Saponara fece al Collegio donazione per un singolare benefizio. Cap. XV Siegue la narrazione degli Arcipreti e degli Sinodi celebrati pel buon Governo della Chiesa.

Page 26: Memorie grumentine saponariensi

4

Cap. XVI Giovanni Ferrara, detto Arciprete, li fu contrastata la conferma dal Vescovo ma dalla Sagra Rota ottiene sentenza favorevole e celebra il Sinodo.

Cap. XVII Si ravvisa la maniera ed il principio delle liti Giurisdizionali tra i Vescovi di Marsico ed il Capitolo Saponariense, e come Ettore Giliberto fu processato di usurpata giurisdizione, come Prelato di Saponara.

Cap. XVIII Antonio Fera succede al Vescovo Medices, non contento della decisione del Parisi travagliò l'Abb. Camillo Cotino succeduto Arciprete al Giliberto in diversi Tribunali.

Cap. XIX Si narrano le tiranniche maniere con cui Ascanio Parisi, dopo fatto Vescovo di Marsico trapazzò il nostro Collegio.

Cap. XX Berardino Cioffo ricupera la Giurisdizione essendo vescovo di Marsico Timoteo Caselli. Cap. XXI Si rammemora la persona del Cardinale Sanseverino a prò del Collegio, ed Arciprete, con farli

ottenere l‟uso de‟ Pontificali Cap. XXII Bernardino Cioffo passa da questa vita, li succede Claudio Abbondati, che poco sopravisse, li

soccede Gio: Francesco Danio, e della Rota si denega la udienza al Vescovo Caselli, per l‟esercizio della Giurisdizione.

Cap. XXIII Si narra la consuetudine antica degli Canonici, che sono nel nostro Collegio, ed in che modo vengono investiti senza le Bolle.

Cap. XXIV Il Vescovo di Potenza forse collegato con quello di Marsico travagliò lo Arciprete Danio con sorrettizia commissione, sotto zelo di visita, con altre cose notabili della Sig.a Contessa Gesualdi.

Cap. XXV Il Principe di Bisignano D. Luigi Sanseverino, con gran fervore intraprende il patrocinio dell‟Arciprete Danio scrivendo lettere di somma efficacia agli E.mi Cardinali della S. Congreg.e

Cap. XXVI Si ravvisano l‟eroiche virtù e vita esemplare del Suddetto Luiggi Sanseverino Principe di Bisignano. Cap. XXVII Giuseppe Ciantes succede a Caselli nel vescovato, e s‟impegna pur lui a molestare l‟Arciprete intorno

l‟approvazione de‟ Confessori, su di che si rapporta un consiglio di Carlo Maranta Vescovo di Giovenazzo a pro‟ dell‟Arciprete.

Cap. XXVIII Il Vescovo Ciantes col mezzo rammentato, si accinge alla finale decisione della causa, quale già ottiene a suo favore, si descrivono le fatighe di Monsignor Danio, ed i fatti accaduti, che furon causa di perdere la giurisdizione.

Cap.XXIX Mons. Danio rassegna l‟Arcipretura in persona del Can.co D. Franc.o Antonio Lauria: Mons. Ciantes rinuncia al vescovado, e D. Pompeo Bisignano, rivela il processo stracciato da mons. Parisi;con altri fatti notabili.

Cap. XXX Si ravvisa in che maniera il Capitolo fu privato de‟ Canonici, colla totale perdita della giurisdizione, a pro‟della quale scrisse il R.o D. Amato Danio.

Cap. XXXI Angelo Cavallo dependente dal Vescovo Pinerio, mandato in Roma per ottenere le Bolle della nostra Collegiata come Parrocchiale, persuaso le impetra come Collegiata, e ne prende valoroso patrocinio, con altri fatti notabili.

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5

Cap. XXXII Si continova la narrazione di quanto l‟Arciprete Cavallo oprò, per il ricupero almanco della Collegialità, per la quale ottenne sentenza favorevole.

Cap. XXXIII Il Vescovo Pinerio ed Arciprete Cavallo passano da questa vita; Mons.e Gambacorta pretese di provvedere la Arcipretura come di Parrocchiale, in persona di don Niccolò Morena di Marsico, per cui accadde un‟inconveniente grave che fu causa di scomunica ed interdetto.

Cap. XXXIV Il Capitolo ricorre nella Sagra Congreg.e contro il Vescovo, per alcune messe celebrate a sua richiesta in n° di 900, ed ottiene sentenza favorevole.

Cap. XXXV D. Carlo Danio Cotino ottiene dalla S. Rota l‟esecuzione delle Bolle, ottenute dalla S. Sede, dell‟Arcipretura come di Collegiata, con altri fatti notabili accaduti.

Cap. XXXVI Il Vescovo appella la suddetta sentenza e trattanto si tratta d‟accordo col Capitolo, sua morte, ed elezione al Vescovado in persona di Francescantonio Leopardi di Bonabitacolo.

Cap. XXXVII Si descrive l‟accordo già assodato e concluso col Vescovo Leopardi mediante la persona di D. Domenico d‟Alessandri di Moliterno, con altre buone notizie.

Cap. XXXVIII Mons. Leopardi parte da Roma per la sua residenza, sua traslazione alla sede di Tricarico,. e li succede nella prima il rammentato D. Domenico Luchetti.

Cap. XXXIX D. Nicola Morena eletto Vicario nella vacanza di Leopardi, fa un‟ordine, che i sposi di Saponara avessero ricevuta la benedizione nella Collegiata, sotto gravi pene.

Cap. XL Si rapporta laconicamente la vita esemplare di Mons. Luchetti, e gli ottimi trattamenti che fece al n.ro Collegio.

Cap. XLI D. Carlo Danio Cotino passa da questa vita, e li soccede D. Carlo Danio Ceramelli, e nella sede Marsicana vacata per più anni fu creato Vescovo Donato Anzani d‟Ariano.

Cap. XLII Si descrive la solenne cerimonia e nobilissimo trattamento con cui fu ricevuto Mons. Anzani in tempo della prima visita in Saponara.

Cap. XLIII Il sig. D. Carlo Danio rifiuta l‟Arcipretura alla S. Sede; il Vescovo con un bel rattrovato la conferisce al Dr. D. Domenico Del Monaco.

Cap. XLIV Si narra la metodo con cui il Capitolo pensò conservare il Jus della provista, spettante alla S. Sede, e si trascrive una nota di fatto, e jus del Dottor Niccola Corsari, su tal materia, degna di memoria.

Cap. XLV Si ravvisa la metodo con cui l‟Arciprete del Monaco governò la nostra Collegiata, la di lui morte, e come l‟autore fu eletto Avvocato del Capitolo.

Cap. XLVI Il Vescovo Anzani tenta provveder egli altra volta l‟Arcipretura, in persona del Can.co D. Nicolò Tornese di Saponara; ma il Capitolo vigorosamente si oppose, e si ravvisa la metodo.

Cap. XLVII Si ravvisa come si scuoprì che S.E. di Bisignano, non avea preteso la spedizione delle Bolle da Roma, ma solo la esclusione del soggetto: e si tratta p(er) la provista in persona del Can.co D. Antonio Perrone, con altri fatti notabili.

Cap. XLVIII Siegue a narrarsi l‟impegni e contrasti avuti p(er) l‟Arcipretura, e le difese del Capitolo p(er) far spedire le bolle dalla Dataria.

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Cap. IL Continova la narrazione di quello (che) si oprò per la provista dell‟Arcipretura ed altre cose notabili. Cap. L Mons. Anzani passa da questa vita. Il Can.co Perrone ottiene l‟Arcipretura secondo l‟antico solito, e

ne prende il possesso. Cap. LI Epilogo di quanto nella presente opera si contiene, con altre cose notabili. Cap. LII Si descrive il sito e la figura della Chiesa Collegiata Saponariense. Cap. LIII Si ravvisa la maniera in cui la nostra Collegiata conserva la preziosa reliquia della Terra mista col

sangue del Comun Salvadore, e li portentosi fatti socceduti a prò de‟ fedeli e furto seguito. Cap. LIV Si ravvisa la maniera con cui Dio di bel nuovo consolar volle Saponara, colla inaspettata invenzione

della Sagra Reliquia. Cap. LV Si narrano alcuni portentosi soccessi accaduti per Divina permissione, per testificare la verità ed

essenza della preziosa reliquia. Cap. LVI Si rapporta la maniera con cui la Regina del Cielo ha aperto l‟Erario delle sue grazie a prò de‟ suoi

fedeli, nella Cappella sita in un tenimento della Saponara, chiamata di Grumentino, sotto l‟invocazione di S. Maria della Salute, o pure Salus Infirmorum.

Cap. LVII Si rammemorano altri portentosi e stupendi fatti accaduti nella Saponara, degni di considerazione per un fulmine cascato e tremuoti.

Vita di S. Antonino – Volgare Vita di S. Laverio – Volgare – idem – Latina (Seguono n° 3 pagine bianche)

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INTRODUZIONE

Tra gli altri infortuni e vicendevoli successi coi quali sin dal suo nascimento è stata travagliata la Insigne

Collegiata Chiesa di S. Antonino Martire della Citta' di Saponara evvi stato un dè maggiori che tra lo spazio di sette

secoli e circa ottant‟anni, che ella colla Saponara costrutta fu, siccome dirassi col corso della presente opera, non vi sia stata persona , che per la posterità pensato avesse, e tramandato la memoria non meno degli onori che ella ha goduto, che delle avversità e disavventurate burasche nell'accennato corso di tanti anni sofferte, con farle macerar dalla ruggine della obblizione. Laonde io Notar Niccolò Ramaglia della stessa città, più che minimo tra i professori della Giurisprudenza, in occasione che ho avuta la fortuna di patrocinare il R.mo Collegio della enunciata Chiesa nell'anno millesettecentotrentuno in 1732 avendo notato tutto e ciò che mi avvenne, siccome nella prefazione si è detto, di vantagio erami venuto in desio di aggiungervi altre notizie necessarie. Ma come questo assunto non era per me; sì per la professione, come per non esser de pane lucrando , avendo discacciato dal mio pensiero: ma pensando alla fin fine non far scoltare quelle mie notarelle in cotal fatta scompagnate risolvei aggiungervi qualc‟altra cosa sì, ma che non avesse trapassata la meta della mia bassissima intelligenza e la necessaria applicazione alla mia domestica cura. Progettai questo mio pensiero col nostro eruditissimo e dottissimo patrizio Rev.mo Sig. D. Carlo Danio, un tempo degnissimo Arciprete della stessa Chiesa che per suoi giusti fini rinunziò, ed in tempo della

vacanza dell'Arcipretura, Economo della medesima (degno per altro delle sue rare virtù, e dottrina di Pontificia Dignità) il quale approvando questo mio pensiero, non solo, che mi persuase ad abbracciare l'impresa, ma vieppiù animommi a maggior fatica; cioè che avessi posto in ristretto tutte quelle memorie antiche, che egli aveva della nostra Patria e Chiesa, disperse in cartoli e vari documenti. E tutto che conosciuto avessi che duram provinciam perficere attentabam, pure sì per non far scorno al medesimo Signor D. Carlo, meritando alla città essere obbedito,

sì anche per onor della Patria e della Chiesa, ossia Collegio, e per far conoscere a taluni poco amici della sincerità dell'oprare, quando mi sia stato a cuore il decoro del medesimo, posposi ogn‟altro mio interesse per attendere alla già detta impresa. Mi protesto però e dichiaro, servendomi delle parole della Tromba dello Spirito Santo, e Dottor delle Genti Paolo Apostolo, scrivendo ai Romani al cap. 9. Veritatem dico in Cristo, non mentior, testimonia mihi perihibente conscientia mea in Spiritu Santo; che quando leggerassi nella presente opera registrato, o è stato

fedelmente trascritto da loro originali documenti e memorie antiche; conservate o raccolte forse da chi avea il pensiero di registrarle, ho ricavato da fedeli tradizioni porgiutemi dal riferito Signor D. Carlo, o altre persone provette, e degne di fede.

E per dar principio al proposto tema, sarebbe d'uopo che io in prima rapportassi qualche buona ed erudita descrizione della origine e fondazione della celebre e cotanto famosa citta' nostra di Grumento, da che la Saponara tira la origine. Ma come che io non sono scritturale, né storico, non potrò sodisfare la curiosità di chi l'ambisse, se non con una distinzione, che rivolgendo tant'altre scritture antiche, emmi venuta per le mani d'idioma latino la quale ebbenchè sia stimata per apogrifa, nulla però di manco, sapendo che da virtuosi e dotti sia stata tenuta in gran concetto, e bramosi che non cada nell'obblio, non tralascio trascriverla, siccome farò di tutte le altre con quella sincera e candida fedeltà, che brama e si ricerca in uno, che non vanta spacciarsene autore o alla cieca appassionato, e ne facciano quell'uso che vogliono.

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CAPITOLO I

SI DESCRIVE LA ORIGINE OSSIA EDIFICAZIONE DELLA CITTA' DI GRUMENTO, E COME DA SAN LAVIERE RICEVE' LA SANTA FEDE.

1. Da Noè a Priamo

“Annorum millenario ad Adae creatione duplicato, de vigesimo supra centesimum transacto, Pater Noè cum quadrigentos octagtinta annos explevisset, genuit Sem, suum primogenitum cuius centesimo, ac vigesimo primo aetatis anno universali diluvio tota Terra obruta est et omnis caro (?) deleta ipseque solus cum Patre, Matre Uxore, duobusque ejus fratribus, et uxoribus eorum, salvus factus est; post diluvium genuit Assur, qui ex Sennahare succedens, plagam orientalem inhabitavit, iuxta fluvium Euphratem, qui ab occidente nostro mari, et Aegipto, a Meridie Arabico sinu a Septentrione, Armenia et Cappadocia terminatur; et ab Assur Assiria est nuncupata, cuius regio est Asia Majoris. Hic genuit Hembrot, qui genuit Cretem, qui genuit Coclium, qui genuit Saturnum Hembroth cognomento appellatum, hic genuit Assur a quo tota regio Assiria dicta est, qui genuit Belum, cognomento Hembroth, qui anno vitae Sanuh vigesimo quinto Assiriis regnare coepit, eoque vita puncto. Ninus eius filius regnum assumpsit, qui patris obitu, cordis dolore tactus, ut moerore(m) leniret, et genitoris gloriam corservaret, eius immaginem sibi sculpire fecit, eique tantam exhibuit reverentiam, ut subiecti populi illi simulacro divinos preberente honores, eiusque exemplo plurimi nobiles suis caris mortuis dedicarent, et his honores impenderent, ex quo per orbem horrenda idolorum multitudo sensim est vagata.

Hic p. nummos audere fecit, et Ninivem civitatem grandem aedificavit. Eo mortuo Semiramis, regni gubernacula suscepit, mira valde gessit et Babiloniam civitatem extruxit. Ipsa tandem, matre obtruncata, Ninus magni, Ninus filius regno potitus est, et post eum Arius, et post eum Aralius cui successit Xerses, et huic Amatrites, post quem Bellochus, quem secutus est Balleus et hunc Alsadus, qui successorem habuit Manytam; illa Manachaleum, et hic Sphaereum qui Manylum filium reliquit haeredem, et hic Sphaxtum, qui Ascalem, iste Amynta, post quem regnavit Belochus et cum eo Athosa, et Semiramis, post eos Bellopans, deinde Sosares, postea Lampares; cui successit Cannias, illi Sosarinus, huic Mytrereus, isti Tanfanes (?), hic miti Priamo Troyae regi in subsidium Myentum filium suum tertio genitum cum vigint sex millibus bellatoribus et curribus ducentis qui, post captum Ilium, et Anthenore nobili Trojano ab Agamennone, Enea irato, rege Troyae praefacto, Saponam impii Anthenoris filiam, cuius amore iam captus erat, uxorem duxit, Troiae incola factus.

2. Myento, terzogenito di Tanfanes (?), la Gru e la fondazione di Grumentum.

Anthenore post modum ab Hectoris filio e regno pulso, simul cum eo profugus Myentus, mare conscendit, ut eius sequeretur fortunam, tempestate tamen foviente fuit ab eo seiunctus et ille ad venetianum cum duobus millibus partes venit, ubi Patavium aedificavit; hic in sinu Paestano appulsus circa Promontorium Palinuri cum trecentis suis Aphricanis centum quinque Troyanis et Assargeno Anthenoris filio, litora cepit. Hic Sapona filium peperit cui Sapri nomen imposuit et anno inibi subsistentes coeperunt aedificare, et locum a puero Sapri nuncuparunt.

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Quadam vero die Myentus equum conscendens cum paucis suis voluit regionem circum stare peregrare, et orientem versus arripuit iter; cumque usque ad vesperum equitasset, ex equo descendens, cibum sumpsit et sub annosa quercu cumbans, ut somnum caperet, plurimis cogitationibus agitatus dum nox in suo cursu medium iter perageret, ecce vidit Gruem, magnum lapidem pede tenentem ad quercum evolare, et supra caput, ejus in perpendiculo subsistere, unde extemplo excurgens, Grues ad ejus motum ad aliam

propinquam quercum evolavit; ad arborem ipse curiosus accessit et Grues ad aliam porrexit; cumque id pluries contiggisset decrevit omnino Gruem sequi; ortoque jam sole coepit Grues longius ire, et Meyndres velocius sequi; et circa meridiem longo itinere, et solis radiis fatigatus, cum pervenisset ad cuiusdam fluvii cursum iuxta nudum collem in planitie defluentem; Gruesque in loco ubi fluvius cum altero fluvio connectitur in populi arbore insedisset, voluit parumper sub quadam salice quiescere , cumque se inclinasset, ut acquam gustaret, Grues repente volans ad salicem lapidem super caput eius dimisit, cervicem percussit, et gravi vulnere sauciavit; socii facti inscii, mane experrecti cum Myentum non invenissent cum magna diligenzia perquirere coeperunt, quem circa solis occasum cruentatum, et fere exanimem invenerunt, casu perterriti, sanguinem cohibentes, medicinam fecerunt, et lignis compositis ad planitiem proximam supra fluvij ripam humeris exportarunt; fluviumque Sciauram, ex repentino casu appellarunt, et proximum cui annectitur Acrem, rem totam Saponae significarunt, quae relictis supra triginta viris, cum filiis Fausto (leggi Egisto)1 Agenippo et Sapri, cum Assargeno, et ceteris suis devenit ad virum cuius curam habens, ipsa medicae artis perita, cum brevi sanum fecit, omnes gaudentes templum ibidem Meditrinae dedicarunt et meditrinalia sacrificia, patrio more mactarunt. Hinc planitici amenitate perfluentes a Myenti nomine et Gruis auspicio Grumyentum nuncupassent, quod temporis prolapsu dempta Ypsilon, propter difficultatem pronunciationis, Grumentum est appellatum, murisque circumdantes per duo passuum millia, eosque sollemni assiriorum ritu …(i puntini sono del manoscritto) fecerunt sacrificia, eodem tempore, quo in traspandana Italia, Equilus Troyanus, nepos Anthenoris, similiter e Troja pulsus, construxit, Aquilejam in Aprutio ac Samnium, nunc Beneventum et Parthenope, hodie Neapolim in Campanea, Diomedes.

3. Morte di Sapona, moglie di Myento, ed erezione del tempio sul colle di Saponara

Triennio ab urbis constructione iam facta Sapona peperit Ascadorum, et in partu obiit; eam implacabiliter deplorat Myentus et ad proximam nudi collis verticem deferri, et sepeliri curat, patrio more, pompa solemni, ibidem templo cum Turri constructo, et in erecta ara, ipsius Saponae statua lapidea collocata, et Hecatombae sacrificio oblato, diebus octo, lacrymis madidus et cinere cospersus manet apud haram, et tandem novendialibus peractis caerimonis, mandavit quotannis, quinta die septimi mensis, Saponae ad eius aram pro communi salute, sollemni ritu fieri popularia Sacra estque in templi ingressu ab Oriente marmorum hac inscriptione

Antenoris natae coniugis dilecte Myenti In ara, quam cernis quiescunt ossa Saponae Quinta quaque die cuiusque septimi mensis Hic pro communi fiunt popularia Sacra, Salute.

1 Cfr. fol. 14/R. ove leggesi “obiit Egistus Myenti primogenitus”

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Post annos tres obiit Egistus Myenti primogenitus, quem pater ad matrem apposuit et magno marmoreo tumulo, quem ipsis, sibique, ac caeteris suis paravit, et statuas erexit hanc in eo colle sculptam inscriptionem posuit.

Egistus natus cum matre Sapona quiescit Myentus cupidus cito cum utrisque Coniugi Ipsis, sibique suisque Paravit tumulum, statuasque quas cernis, erexit. Octo deinde transactis annis mortuus est Myentus, illumque post dies septem secutus est Sapri adolescens quos

dolentes valde Agenippus, et Ascadorus, in peracto tumulo posuerunt, et haec verba mandaverunt inscribi.

Myentus et Sapona parentes, Egistus et Sapri nati Hic jacent, et expectant Agenippum et Ascadorum Qui dolentes posuerunt.

4. Fondazione del casale di Grumentino da parte di Assargeno2 Patre defuncto, Agenippus coniugem accepit Anthemiam Pestani Principis filiam, ex qua anno tertio natus est

Polidorque (leggi Polidamus)3 et Assargenus Anthenorisfilius accepit Poliantram, Anthemiae sororem et cum suis Trojanis bismille passibus secedens a Grumento iuxta fluviali cursum Grumentinum aedificavit.

Polidamus ex Cassandra Assargeni filia genuit Lupalem qui ex Dardanida Ascadori nepote genuit Pyrrinum qui ex Menippa filium habuit Ascadorum, qui dum in Ara Saponae annua Sacra pararet, occisus a Lambardo Assargeni nepote, et Menippa puerum Myentum Ascadori filium ex Lambardi Sorore susceptum occulte servavit. Lambardus Grumenti Dominium suscepit cun magna populi occisione; post annos decem grandior factus Myentus Lambardum interemit, et Grumentum cum magna populi letitia in sua ditione suscepit, quarta die septimi mensis, et die sequenti sollemni pompa Saponae annua Sacra fecit et Lambardi caput, et manus ad Ascadori tumulum affiexit, et hanc apposuit memoriam in lapide sculptam.

Lambardus sororis visum Ascadorum Peremit iniuste, at Myentus occisi filius ab Avia Manippa servatus, ad genitoris tumulum Reddita vice proditoris affiexit caput, atque manus.

5. Edificazione di Viggiano da parte di Voggiano, figlio di Lambardo Voggianus Lambardi filius Myentum timens cum suis confugit ad Montem, ibique Voggianum aedificavit, ex hoc

tempore inter descendentes, populosque eorum avia sunt exorta, quae usque ad praesens perseverant et excordescunt in dies Myentus Matrem paternae mortis consciam, atque participem convictam inextinta tum in remoto monte inclusit, tanque aquilam infacti memoriam appellavit.

2 Assargeno, figlio di Antenore, cfr. fol. 12/V.

3 Polidamus e non Polidor (errore del copista), cfr. fol.14/V.

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Myentus ex uxore Laudemia, Pollionis Metaponti filia, genuit Tersillum et Palemonem Tersillus ex Pallamia genuit Artemiam, hanc adhuc Puellam, defuncto Tersillo copulavit Palemones, et ex ea genuit Ascadorum qui cum Vogianensibus plura commisit proelia, et multas ex eis victorias reportavit. Pace tandem inita Rabeliam Rabani Vogianentium Principis filiam accepit adolescentulam eximuiae pulcritudinis, et eloquentiae, ex qua natus est ei Auribilis forma, facundia, fortitudine et prudentia admirabilis; hic totius regionis a Pestano sinu, usque ad Metapontum tenuit principatum, et ex Afrania coniuge Teriastri Cronnentium Principis filia, genuit Parmenidem, Crotonensibus opem tulit ad versus Sybaritas, eiusque industria et fortitudine populus Sibarita trucidata, et Civitas tota fuit eversa: ex eius absentia sumpta occasione Magaldus Vogianentium

6. Il Principe Magaldo, viggianese, invade Grumentum

Princeps (Magaldus n.d.r.) extemplo Grumentum invadens occupavit, Parmenidem carceribus mancipavit, et multa populo intulit damna; at ille nuntio certior factis, Grumentum reversus cum mille et quincentis electis militibus Crotonientibus, inde Magaldum eiecit, et fugavit, ac persequens illum et suos, Vogianum obsevit, et quintadecima die indicto proelio muros aggressus, populum pro majori parte obtruncavit, Magaldum interemit, et Vogianum fere totum devastavit, murosque funditus evertit; tandem vita functus, ubi duo connectuntur flumina, Acris et Sciagura in marmoreo sepulcro tumulatus, ac talis in quadrata pyramide inscripta apparet memoria

Magni Auribilis fecundia clari Praestantis animi, fortissimique viri Corpus claudit marmor, ob famam non capit orbis.

7. Grumentum, colonia dedotta dei Romani Parmenides paulo post patrem, absque successore defunctus est; hinc coepit Grumentinus populus tres eligere

viros, qui consilio decemferiorem (leggi decemvirorum), caeteras gubernarent, et publicam gererent administrationem: elegeruntque primitus Arthenium, Polistinem et Salvinum, eosque defensores appellarunt. Annis centum septuaginta sub defensoribus vixit Grumentinus populus in pace; exorta sunt deinde bella inter Arulos et Dafrones, quae totam civitatem conturbarunt, et frequentibus populis cladibus per annos sexaginta infestarunt, ac fere ad nihilum redigerunt, neque pene desolata permansit, donec fuit Romanaque Colonia deducta, deductique habitatores; cuius rei memoria sic extat in marmore sculpta.

T. Sempronius longus M. Servilius D. Minutius Thermas, Trium viri Coloniam Civium Romanorum dedux. trecent. homin. deduct.”

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E quantunque la descrizione fino qui rapportata paia una immensione (leggi invenzione) rattrovata da bello studio da qualche umorista, non di meno quanto anche fosse così, devesi grandemente lodare la virtù di colui che compose con tanta concruenza verisimilitudine e probabilità, che non apportando contraddizione o ripugnanza, fecela comparire così ben acconcia, quanto altrimenti fosse, così parimente il nome del fiume Sciagura, se vera non

è quella (che) raccontasi accaduto a Miento, al manco potè esser vera qualc'altra, poiché tal nome deve esser conseguente di qualche fatto accaduto.

Ho tralasciato di trascrivere tutta la suddetta storia, poiché non fa al mio proposito. Essendo dunque il nostro Grumento sotto la dizione dei Romani e regnando in quelli il gran Costantino

Imperatore, volle Iddio illustrarlo col lume della sacrosanta fede e con special grazia sua e favore fu quivi mandato il glorioso S. Laviere per mezzo di un Angelo, stando egli carcerato nella città dell' Acerenza, che a predicare il nome di Gesù Cristo e gli suoi santi precetti, fu ammonito si conducesse, e con effetto liberato dalla carcere giunse ivi in Grumento il giorno dell'Assunzione di Maria Santissima nel Cielo ai 15 Agosto; ove predicando ed insegnando il Santo Evangelo, ed avendo già buona parte di quel popolo ridotto al di lui ovile, dopo di tre mesi e due giorni cioè ai 17 Novembre degli anni del Signore 312 ricevè la Corona del Martirio, fuora della già nomata città di Grumento, ove in quel tempo venivansi due noti fiumi, Acri e Sciagura, ed ove oggi vedesi ancora esistente la chiesa allo stesso Santo dedicata, siccome costa dagli Atti del medesimo che avanti soggiungesi.4

4 Si tratta dell‟Agiografia di S. Laverio scritta dal canonico saponariense Roberto de Romana nel 1162.

Giacomo Racioppi, scrisse su di essa un pregevole saggio:“Fonti della storia basilicatese al Medio Evo” (Roma 1881, Ed. Barbera).ove dimostrò che molti passi dell‟Agiografia erano stati interpolati successivamente dagli eruditi religiosi della Collegiata di Saponara per dimostrare la preminenza della Chiesa saponarese rispetto a quella di Marsiconuovo.

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ATTENZIONE DA PAG 13 A PAG. 19 E’STATA OMESSA LA TRADUZIONE

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CAPITOLO II

SIEGUE A NARRARSI LA SITUAZIONE ED ALTRE QUALITA' DELLA CITTA' DI GRUMENTO.

1. Grumentum: vestigia e cenni storici.

Abbenchè molti autori facciano menzione della città di Grumento e tra questi alcuni presero abbaglio circa la qualità, e sito, ed altri la descrissero tal qual essa fu, situandola nella Lucania, siccome fa Luca Holstennio rapportato dal eruditissimo signor D. Giacomantonio del Monaco in una sua pistola diretta al Signor Matteo Egizio ,

Lettera di Del Monaco a Matteo Egizio

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stampata in Napoli nel 1713, presso Felice Mosca1, nella quale adduce qualche notizia della mentovata città,

rapportando iscrizioni antiche colle quali si compruova ciò che di sopra si è divisato, essere ella stata Colonia militare dei Romani: niente di meno niuno si trattiene a darne un più distinto ragguaglio intorno alle altre

qualità che la fornivano, siccome sono il sito, la salubrità dell'aere, ed altre qualità ricercate dai politici. In quanto alla di lei fondazione nel precedente capitolo se ne è rapportata la storia, parmi a proposito per le altre

qualità giacchè trovomi contro mia voglia e sapere a questa impresa, di scorrere in questo capitolo, e conseguentemente parlare della di lei distruzione.

Per il sito dunque e struttura, siccome si è detto di sopra, fu eletta la pianura e comecchè i fondamentari erano descendenti dagli Assiri, alla moda di quelli vollero i muri con i quali la cinsero e la maggior parte degli magnifici edifizi, costruirli in modo reticolare, anzi rattrovansi alcuni pezzi di lastricati costrutti di piccioli pezzetti di marmo lavorati, anche reticolari ed al mosaico; ed acciocchè avesse avuto il comodo e il bisognevole dell'acqua, a gran spesa la feron condurre da circa due miglia, e perché si frammezzavano alcune valli, per dove passar dovea, costrussero in quelle molti archi di fabbrica, dei quali sin al presente se ne ravvisano i vestigi, e precise nell'entrar della città eravi un bel alto ponte, pel sotto del quale passava la gente e per di sopra l'acqua ed oltre a ciò pensaron pure costruire delle conserve sotto gli edifizi della città, con maravigliosa struttura e spesa incomprensibile, osservandosi ai tempi nostri tali conserve, dove per andar camminando, è stato d'uopo ligare all'uscio una funicella e con buone lanterne per non smarrire l'uscita, tra le moltiforme colonne di mattoni, e nascondigli in modo di laberinto costrutte: eravi una magnifica strada lastricata di grandissimi marmi per mezzo la città, con un rialto ad un lato, potendosi per sopra caminare gente a piede per evitare la calca, e per disotto stava situato l'acquedotto di piombo ben grosso, conservandosene molti pezzi dal suddetto sig. D. Carlo (Danio).

Eranvi due anfiteatri2 ossiano torneamenti e spettacoli di fiere uno più grande dell'altro, quasi in un angolo della città verso levante attaccato le mura della città; e l'altro quasi al principio in mezzo alla città più piccolo, colle caverne grotte e nascondigli, ove dimoravano le fiere, che attualmente si veggono con altre magnificenze, che in parte si rammentano dal riferito del Monaco; degne veramente di una colonia militare dei Romani, che la signoreggiarono molti secoli, laonde nelle già note gelosie tra i Romani e Cartaginesi, costoro due volte tentarono sorprenderla, essendo capitano nella prima Hannone Cartaginese che fu superato da Sempronio Longo capo del Triumvirato Romano, che presiedeva in Grumento, rapportandone questi 140 segni militari. La seconda fu più celebre sotto la condotta del Grande Annibale, il quale avendo assediata la Città, e ristrettala in guisa ta le, che i Grumentini stimavansi per vinti, non potendo persona veruna mettere il piè fuor della Città, e stando in sì pericoloso stato, conoscendosi di forze inferiori alle armi Cartaginesi, mandarono chiadendo aiuto a Claudio Nerone, che rattrovavasi nelle campagne di Venosa coll'esercito Romano; costui subito che ciò intese, si condusse con 44 mila soldati in soccorso di Grumento,

1 E‟ il primo vero trattato dell‟archeologia grumentina, visto che di Carlo Danio, Arciprete di Saponara, coevo di Del Monaco,

appassionato diseppellitore di lapidi grumentine, non è rimasto niente, salvo una lettera riportata dal Momsen nel Vol. X, parte prima, pag. 27 del suo “Corpus iscriptionum latinarum”. La famosa lettera di Giacomo Antonio del Monaco s‟intitola “Lettera al Sig. Matteo Egizio intorno all‟antica colonia di Grumento oggidì detta La Saponara”, Napoli 1713, Tip. Felice Mosca. Vedi foto n° 4. Matteo Egizio era un archeologo napoletano. 2 Il Ramaglia confonde il Teatro romano vicino con un secondo Anfiteatro.

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e giunto alla pianura sotto Marsicovetere, ivi diè segno di accamparsi, e facendo passare buona parte dell'esercito per una valle, tra il Colle ove sta situata la Saponara, ed il monte vicino verso ponente, fecelo girare per dove oggi è la Cappella di S. Lucia, e col resto dell'Esercito si appressò verso levante a man sinistra del Colle, vicino dove stata accampato l'esercito Cartaginese, che stimasi fosse stata la pianura sotto la Saponara, ove sono costrutte le vigne, laonde il cartaginese restando così cinto e racchiuso non potè non venire alle mani coll'Esercito Romano, il quale, con tutto di numero inferiore lo vinse e superollo colla morte di 8 mila e da 700 prigionieri, quattro elefanti uccisi, e due presi, siccome si à da Livio lib: 23. Cap: 27.

2. Grumentum: il sito.

E per ritornare all'interrotto tema del sito, non potrà non essere l'aere salutifero avvegna che lontana, anzi affatto esente da acque stagnanti, gloriava solo aver sotto di sè due vivi fiumi Acri e Sciaura, questi verso ponente, in una vastissima valle di coltivato terreno, quello verso borea e parte di levante, in dove eravi altra amena valle, oggi detta la valle della Città, di modochè poteva dirsi un'isola in terra, poiché verso mezzogiorno dove era la magnifica porta della città, pure dovea salirsi alquanto. Stava di vantagio sotto lo aspetto di tre altri monti, uno chiamato Raparo, sotto il quale fu edificata una terra chiamata Spinoso, Diocesi di Anclona, lungi circa cinque miglia verso levante; l'altro chiamato Serino verso il quale fu edificata la terra di Moliterno, e il casale Sarconi, qual casale per antica tradizione, come distante da Grumento non più di due miglia, si ha esser stato luogo, ove mandavansi a giustiziare i condannati a morte, detto della parola Sarcos, che significa carne3. O pure luogo sepolcrale dalla parola greca

S s , Sarcophagos, che significa sepolcro, osservandosi una rovina di castello diruto della stessa struttura Grumentina, lungi da detto monte Serino circa otto miglia. Verso mezzogiorno e l'altro appellasi il monte di Viggiano, anche lontano da sette miglia ed altri monti convicini, sotto dei quali sta costrutta la terra di Montemurro, lontani circa sei o cinque miglia verso borea. Insomma concorsero tutte quelle qualità che il filosofo Stagirita descrive al cap. 5. 11. e 12 della sua Politica.

La cui figura (ndr. La collina su cui si adagiavaGrumentum) è lunga quasi ovata (sic!) da mezzogiorno dove

dicesi essere la porta magnifica della città4, siccome in atto ne ritiene il nome, dove osservasi la rovina del ponte per dove passava l'acqua, siccome si è detto; verso borea nella qual parte eravi il luogo ove abitavano i Giudei, in un altra pianura in scoscesa della città, che anche oggi si appella la Giudea o Judìa; che corrisponde come in un promontorio sopra il fiume Acri, unito con Sciagura, luogo veramente come separato dal corpo della città, sotto la qual Giudea siegue la pianura ossia vallo del detto fiume, con vastità di territori irrigabili; chiamato volgarmente ponte Pagano, poiché eravi un famoso ponte di fabbrica, oggi caduto e tutta la suddetta circonferenza della città oggi ridotta per uso di vigne però aratorie.

3 Il Ramaglia fa derivare impropriamente il nome Sarconi dal greco sarx-sarcos, con riferimento alla battaglia nei pressi di

Grumentum del 215 a.C. tra il cartaginese Annone e il console romano T. Sempronio Longo, durante la quale si sarebbe verificata una carneficina di soldati. Per il Racioppi “Sarconi” è dal basso latino Sarculum (Luogo selvoso). Per altri l‟etimologia va collegata a Sarcus (piccola marra) oppure a Salix(salice) passando per la forma Saricone (accrescitivo) con il troncamento della –i. 4 Trattasi della porta Aquilia.

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3) Il Casale Grumentino.

Lungi da Grumento, siccome si asserisce nel cap: I fu edificato un pago, ossia Villaggio o Casale, qual chiamarono Grumentino, vicino il corso di un fiumicello che più tosto ha specie di Torrente, che Fiume, il quale scorrendo dalla Montagna della t.ra (terra) di Viggiano, verso i confini della t.ra (terra) di Laurenzana, nell'inverno, e nei tempi piovosi con gran quantità delle acque e pietre che seco portano, ha fatto e fa nelle contrade vicine scempio notabile, si osservano anche di recente le reliquie degli Edifizi di tal Villaggio, laonde non meno la contrada tutta che il fiumicello ancora ha ritenuto, e ritiene il nome di Grumentino. Né può aver sussistenza lo che si potrebbe addurre da taluni, che col nome Grumentino lo ritenga il suddetto Fiume, dal quale poi tutta la contrada prende la denominazione, senza che altro Villaggio giammai vi fosse stato edificato; poiché non essendo perenne detto fiume, avesse preso il nome del villaggio per le falde del quale passsava, quando questo nome sarebbe stato più convenevole al fiume Sciagura che è perenne, e scorre per sotto la città di Grumento, se pur non vogliamo dire che Grumentino appellavasi Viggiano antico, e distrutto, di cui se ne osservano i vestigi costrutto sopra di alcune rupi alla falda del fiume Grumentino col nome di S.Maria della Pietà, distante circa due miglia dal luogo, qual noi diciamo Casale di Grumentino; e quei edifici rattrovati siano di un‟altro Villaggio, che dopo la distruzione di Grumento, quei che scamparono dall'eccidio dei Saraceni edificarono prima di edificar la Saponara, (villaggio) che oggi appellasi Casal Pedone, luogo boscoso nella fina del fiumicello Grumentino, e il fiume Acri\, siccome dirassi avanti.

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CAPITOLO III

SI PRUOVA CHE LA CITTA' DI GRUMENTO SIA STATA SEDE VESCOVILE ED IN CONSEGUENZA “CATTEDRALE”.

1. S. Laverio ed istituzione della Sede Vescovile nel 370.

Seminata dal glorioso S.Laviere la semenza della divina parola, cadde al certo per lo più in terram bonam, che fruttificando centuplicantamente, secondo la insegnanza di Cristo presso S.Luca al cap. VIII, crebbe a maggior segno la religione cristiana, laonde fu di mestieri, che le pecorelle di Cristo fossero state pasciute e custodite dal fedel pastore; quindi , verso gli anni 370 S. Damaso Papa vi costituì la sede vescovile, come costa dagli stessi atti di S.Laviere; e da una memoria scolpita in marmo che ora tuttavia conservasi nella medesima collegiata, che è proprio quello, che in cornu Epistolae sta riposto a canto l'altare maggiore, la quale è come siegue.

Antenore Trojano patrio de limine pulso Myentus gener, et Filia Sapona Sequentes fortunam eius Aequoris tempestate furente Cum Laumendonte, quad(r)igentisque Trojanis In Pestano sinu incolumes ad littora pulsi Propinquam terram incoluere quam Sapri Ex Sapri inibi nati nomine nuncuparunt Post haec auspicio Gruis, condidere Grumentum Laverius martyr Christi perduxit ad fidem Damasus sedem constituit episcopalem Quam sub Honorio tenuit Rodulfus Alanus.

Tre epistole di Papa Gelasio circa la Diocesi grumentina.

E per maggiormente acclarare che il nostro Grumento sia stata città vescovile, si adducono in testimonio tre pistole di S.Gelasio Papa Romano, che visse circa gli anni del Signore 492, due delle quali vengono registrate da Gratiano nel suo decreto una nel can. Christianis 12.XI.q.l.come siegue: “Gelasius Papa scribit Ezechiae Comiti Christianis gratum semper debet esse, quod ab eorum poscitur dignitate praestantum: quia deo servientibus beneficium ne(g)are non convenit. Silvester, itaque ed Faustianus qui se a cunabulis clericus confitentur a Teodora se opprimi per violentiam conquaeruntur; quia dicunt se ingenuos atque Deo aucthore pristinae conditionis nexibus absolutos, in sortem deterrimae iterum servitutis adduci, et per auctoritatem regiam contra legges pubblicas cum clericali vinculo tenerentur adstricti, per archidiaconum urbis Grumentinae esse conventos, cum constet eos qui coelestem militiam

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pulsant, non nisi eius forum debere acceptari; et ideo dilecte fili, depenso salutationis affatu supradictos clericos tibi commendo, ut si ad delegatorum iudicium; eosque ad versari venire contempserint sublimitatis tuae tuitione vallentur; ne quid illis; aut susceptio aut inimica legibus violentia, necessitatis imponant; quia qui iudicem refugit apparet eum de iustitia defissum”.

La Glas: ivi spiega alcuni termini, cioè (depenso): è trasmisso; (per corumque absentiam): è dum essent absentes; moderatorque: è iudiciis secularis ut in cap. seg; (calcatis): è spreto iure ecclesiastico et humano.

L'altra pistola che siegue fu scritta a Crispino e Sabino, vescovi, costui di Canosa, il primo non si sa ed è come siegue: “Idem (cioè Gelasio) Crispino, et Sabino Episcopis. Silvester et Faustinianus ecclesiae Grumentinae clerici lacrymosa nobis insinuatione conquesti sunt, libertatem sibi Domini sui benignitate concessam haeredum eius oppressione pulsari, sibique in clericatus officio pene a cunalibus servientibus, etiam manumissore vivente in eodem actu, nihilominus constitutis, divinis ministeriis impendere servitium non licere, cum (ripetitionem veritas subsequetur) contra patris, et auctoris sui factum venientibus, ut indignis, haereditas legibus auferatur; nec eis liceat haereditatam capientibus, contra auctoris sui prosilire iudicium: et ideo fratres charissimi quoniam se etiam ab archidiacono dictae ecclesiae queruntur oppressos qui per eorumque absentiam moderatoris iudicium promittit eos esse secuturus, calcatis omnibus rationibus, et contra legges divinas, et pubblicas, pulsatis, forum suum putavit auferri; in vestro iudicio quis quis ille est, qui clericum lacessit, adveniat; ut ecclesiae iura, quae vetusti principes assidua sanctione firmarunt, impetitis clericis non negentur.

La terza lettera vien registrata da Luca Holstenio Collet. Rom. che è come siegue: “Gelasius P. P. Sabino Episcopo. Quantum defensorem sibi met consecravi populus Grumentinae civitatis exposuit: hunc vero si nihil est, quod est eius personae possit apponi, diaconis provectione decorabis, ut noverit dilectio tua hoc se delegantibus nobis exequi, visitatoris officio, non potestate propriis sacerdotis”.

2. Diocesi Grumentina: due epistole di Papa Pelagio1 ed una di Papa Gregorio.

Ma l'assunto già detto con più chiarezza si dilucida da due altre pistole di S. Pelagio Papa circa gli anni del Signore 5802. Una scritta a Giuliano Vescovo della stessa città di Grumento, che pur viene registrata dallo stesso Gratiano nel Can.: litteras 14, dist. 63 come siegue: “Pelagius Papa Iuliano Episcopo Grumentino. Litteras Charitatis tuae accepimus, quibus significas Latinum3 Diaconum tuum ad Episcopatum Ecclesiae

1 Trattasi di Papa Pelagio II che tenne il Pontificato negli anni 555-561.

2 Le due lettere di Pelagio sono entrambe del 556 e non del 580 come asserisce il Ramaglia.

3 Latino de Theodora, di Grumentum, proposto come Vescovo di Marcillianum.

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Marcellaniensis, a clero, et omnibus, qui illic conveniunt postulari: et infra: sed nunc, et hoc dicimus, voti eum omnes eligunt, et vis eum concedere, gratum nobis esse cognosce, et si potest, ante diem sanctum festinet occurrere, ut vel sabato ipso, noctis magnae post baptismum, cum Dei gratia, valeant ordinari”.

L'altra fu scritta a Pietro vescovo di Potenza, siccome si legge nel Can.: ult.: dist. 76, come siegue: “Pelagius Papa Petro Episcopo Potentino. Dilectionis tuae scripta suscepimus, quibus significas Latinum Ecclesiae Grumentinae Diaconum ad Episcopatum Marcellianum, sive Clusitanae ab omnibus fuisse electum; quod iam ante hoc tempus retulisti et iussimus, ut veniret, credentes eos de persona eiusdem ab Episcopato suo dimissoria accepisse; quod si modo fecerunt, facite tam velociter ad urbem Romanam occurrere, ut sicut dico Deus imperit in Sabato Magno post horam baptismi, ordinetur; quod si ante memoratum diem non occurerit, cogetur usque ad quarti mensis ieiunia sustinere”4.

E alla fin fine, che Grumento sia stata città vescovile, si fa mensione in una pistola di S. Gregorio Papa ricavata dal registro del medesimo al lib. 10 cap. 49, ove così leggesi: “Gregorius Romano Defensori De Violentia Luminosi Luminosus presentium partitor, violentiam se uxoremque suam a Salustio viro clarissimo asseruit sustinere, huc necessitate eadem faciente venire compulsus est. Unte (?) quia servum S. Mariae, quod est Parochiae Grumentinae se esse asserit, necesse est ut ecclesiastica tuitione valletur; esperientiaque tua prefato supplici ecclesiastica non clericant (?) impedire solatia; cumque de quo queritur ad-monere, se ab eoque inquietitudine compescat; sin vero est quod sibi in eis rationabiliter dicat posse competere; electoque iudicio terminetur, tuaque quod definitum fuerit excutione modis omnibus impleatur”5.

E qui dovrassi avvertire che quantunque il citato S. Gregorio nella sua pistola dica ( quod est Parochiae Grumentinae) debba perciò intendersi, che in effetto sia stata Chiesa Parrocchiale; avvegnachè non dice "Ecclesiae Parochialis," ma "Parochiae", qual nome di Parocchia appresso gli Eruditi si sa che significhi non meno la Chiesa Vescovile capo della Diocesi, ma la stessa Diocesi, lo che con chiarezza si deduce dal can: 14 degli apostoli, ove prescrivesi che ("Episcopo non licere alienam Parochiam propria relicta pervadere") così anche dal can: Presbyteri 9 di S. Gelasio Papa dist: 24 ivi ("quae in supradicta civitatis Parochiae probatur esse constructa") concordano li can: p.a actione 16.13. p.a can. 3, can. nullis Primus I. g. 3. Can: ita nos 25 p.a 2.

4 In questa seconda lettera si sollecita la partenza immediata di Latino di Theodora per Roma munendosi della lettera di

dimissioni firmata dal Vescovo Giuliano, al fine di evitare il protrarsi del digiuno sino al quarto mese. 5 In questa lettera inviata ad un Gregorio Romano (defensor) affichè prenda le difese di un tal Luminoso che asseriva di aver

subito violenza dal nobile Salustio, si accenna alla “Parochia Grumentina”. Tale dizione sembra contraddire la tesi del Ramaglia che sostiene la qualifica di Sede Vescovile ricevuta da Papa Damaso nel 370 d.C., però spiega il termine con le parole successive.

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3. Catalogo dei Vescovi grumentini.

Laonde da quanto di sopra si è divisato, non può negarsi che la città di Grumento, pochi anni dopo aver ricevuto il lume della Sacrosanta fede, la di lei Chiesa sotto il titolo di S. Maria Assunta6, che oggi attualmente si vede, fu retta e governata da proprii vescovi, il catalogo dei quali, Rodulfo Alano a suo tempo descrisse in un Marmo come siegue7: Grumentinam Sedem olim tenuere:

6 Vedasi foto nella pagina

7 Giacomo Racioppi dubita fortemente di questo Catalogo grumentino di Vescovi in quanto “Nei tempi nei quali quei Vescovi si

dicono vissuti non era ancora invalso l‟uso dei nomi di famiglia, ovvero i Casati”, Cfr, G, Racioppi “Fonti della storia basilicatese-L‟Agiografia di S. Laverio”, Roma 1881, pag. 42.

I Sempronius Ato II Vincentius Libertinus III Antemius Pacoma IV Ianuarius Geruntia V Fortunatus Asseria VI Leander Severius VII Baldassar Lemma VIII Petrus Adelphus IX Michael Politianus X Joannes Caesarus

XI Julianus Patoma XII Natius Gioffrido XIII Silvester Basilio XIV Lucentius Lemma XV Bonifacius Quintinus XVI Ippollitus Antemia XVII Paulus Azimira XVIII Alexander Arduinus XIX Rodulfus Alanus

qui posuit hanc memoriam.

Essendo dunque Giuliano Patoma XI° Vescovo di Grumento, fiorì Latino di Teodora, Diacono della Chiesa Grumentina, che per la sue rare virtù e scienza fu eletto Vescovo, con gran istanza della Chiesa Clusitana, siccome sopra si è divisato nella pistola di S. Pelagio I° scritta al cennato Giuliano per tale affare. Quali altri vescovi fossero stati dopo Rodulfo Alano, non ve ne è altra memoria; solo in un altro marmo di un antico tumolo nella medesima Chiesa di S. Maria Assunta leggeasi la seguente iscrizione:

Diocesi di S. Maria Assunta in Grumentum.

D. O. M. Pontificatum tenente Leone tertio Teodorus Episcopus Grumenti Stephan Campano predecessori dignis pos(uit).

Qual marmo poi con altre simili memorie antiche da persone ignoranti, ed in diversi tempi, coll'anzietà di rattrovar tesori e per uso di fabbriche sono state tolte via e fracassate.

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CAPITOLO IV

SI NARRA LA DISTRUZIONE TOTALE DI GRUMENTO, ED IN CHE MANIERA LA CITTA' DI SAPONARA FU EDIFICATA.

1. Le invasioni dei Saraceni.

Godeano inpertanto i fedeli Grumentini la pace dello Spirito Santo, quand'ecco furono la terza volta da esercito barbaro ed inimico del nome di Cristo, disturbati e sconfitti, e la città tutta fu presa saccheggiata e distrutta sino ai fondamenti.

Presiedeva in quel tempo nel Vaticano Giovanni VIII, Sommo Pontefice, colui appunto, che apogrifamente, e con imposture fu asserito esser stato donna, cioè negli anni 8811, e regnando in Napoli il Duce Sergio, questi per la sua pessima condizione, collegatosi coi Saraceni, già entrati nell' Italia, permise, collegatosi con i medesimi, che anche nel regno di Napoli avessero esercitato la loro barbarie; laonde Anastasio suo fratello, Vescovo di Napoli non potendo soffrire tante inumanità, dopo usate, ma invano, molte canoniche riparazioni, garentito dai suoi aderenti, fè carcerare il fratello Sergio, amando più l'obbligo che aveva verso la religione Cristiana che il Sangue fraterno, e fattoli cavar gli occhi incatenato mandollo a Papa Giovanni, il quale ricevendo caro il dono, ne lo ringraziò per aver tolto dalla patria un si crudel nemico, siccome vien rapportato da P. Foresti nel Mappamondo Istorico tom. 3 nella vita di Papa Giovanni.

O pure secondo la somma del Concilio (os)sia Colleg. sinod. di M.L. Basile al fol. 337. Il suddetto papa Giovanni VIII nel suddetto anno 881, udendo la stragge dei Saraceni introdotti nell'Italia e Regno di Napoli per opra non di Sergio, ma dello stesso Anastasio Vescovo, e Principe di Napoli, che facevano senza opposizione alcuna, chiamò in Roma il detto Anastasio, dove non comparendo, convocato un Concilio, lo scomunicò, né volle giammai assolverlo, rapportando l'autorità di Leone Ostiense lib. 5 cap. 42. lo stesso si ha dallo Spondano nell'Epitome del Baronio tom.1 e 2 fol. 239 e seg. e fol. 876 n.1-2 nello stesso anno 881.

Quella poca gente però, che dal barbaro furore ebbe scampo, per monti, caverne e spelonche fuggiaschi ne andavano spaventati dal terrore della gran stragge che facevasi dei loro congionti, e paesani, nonché città tutta, e a guisa di fiere si andavano occultando dalla vista di quei crudelissimi barbari, che ogni cosa mettevano a sangue ed a fuoco siccome costa dagli stessi atti di S. Laviere; dai quali si ha che due volte fu dai Saraceni presa e saccheggiata la città di Grumento. 2. La edificazione dei sette Casali

Ma alla pur fine, cotanta inumanità e fierezza avendo mossa la divina pietà, che sdegnata degli accessi montani, aveva permesso quel gran eccidio, così permise ancora che fossero stati sconfitti e discacciati dall'Italia tutta; dal che quei miseri Grumentini respirando dalle passate calamità, radunaronsi di bel nuovo, e poco lungi dalla loro distrutta

1 Non si tratta come dice Ramaglia del terzo assalto saraceno, bensì del primo come è chiaramente detto nell‟Agiografia di S.

Laverio “Pontificatum tenente Joanne VIII.

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patria, dandosi ad edificare abitazioni, secondo la propria inclinazione, ed opportunità di tempo, in sette contrade del territorio Grumentino, edificarono sette ville osian Paghi, o Casali, dei quali siti ora se ne trovano i vestigi, evvi l'antica tradizione, e se ne trova qualche documento in scritture antiche; furon li Casali Santa Lucia, San Rato, il Casale Pedone, Tramutola vecchia, nelli Rungi e in altri luoghi. Ciascuno di questi Casali avea il proprio Sacerdote,

il quale degli abitatori nelle cose spirituali aveva la cura; e tutti questi Sacerdoti soprastava un‟altro più anziano, e capo della Chiesa di S. Maria Assunta, rimasta nelle rovine di Grumento, che guidava ed ammaestrava la di loro condotta, per il buon governo delle anime a se commesse, ed in cotal fatta se ne stiedero sino al tempo di Leone VIII cioè circa gli anni 954.

1. L’Arciprete Donato Leopardi e la fondazione di Saponara.

Ma alla pur fine veggendosi i poveri Grumentini, che tan poco stavano sicuri, dalle furberie ed assassinamenti dei ladri, dai quali venivan ben spesso travagliati ed oppressi e lor pareva malagevole il potersi difendere, risolverono abbandonare i piani ove avevano costrutti i loro abituri, e trasferirsi ad un luogo più eminente, ove con meno difficoltà potevan essere offesi, ma per contrario potevansi difendere.

In quel tempo rattrovavasi, e pastore dei nostri Grumentini dispersi, e superiore degli già detti Sacerdoti, Donato Leopardi Arciprete di Santa Maria Assunta nelle ruine di Grumento; costui sapendo la risoluzione del popolo, di volersi trasferire ad altro luogo, e che non poneasi in esecuzione. In un Sinodo, che egli celebrò coi suoi sacerdoti, tra le altre cose ivi stabilite fu quella della traslazione del popolo disperso nel luogo ossia Castello, ove era la sepoltura di Sapona, che di sopra si è rapportata, o come altri han detto, benchè inconsciamente di Serapide2,

lontano da Grumento circa passi 500. Di questo Sinodo se ne conserva ancor la memoria nell'archivio della nostra collegiata in una pergamena

originale con sigilli in cera rossa molto corrosa, del tenor seguente. “Anno Domini 954 sub Agapito II Pontifice Romano Donatus Leopardus Christi servus, divina miserazione

Presbiter S. Mariae Assumptae in Grumenti ruinis Pastor ecclesiae Grumentinae, et eius populi, fratrihus Pagorum Presbiteris in praesenti Congregatione haec praecipit observare.

Catholicam fidem incontaminata custodire, Romano Pontifici, et eorum praelato obedire. Commissum populum fidei mysteria docere. Sancta Sacramenta ritu Catholico ministrare. A cunctis vitiis pubblicis maxime cessare. Virtutum exempla caeteris praebere. Suarum ecclesiarum iura, libertaremque tueri, pauperes, pupillosque fovere. Criminosos corripere. Incorrigibilesque denunciare, bonos onorare. Nemini nocere; ominibus benefacere. Reputationi ecclesiae sancti Laverii a Saracenis destructae pro viribus contribuere. Ad evitandas latronum incursiones quibus quotidie infestamur, de ecclesiae, et populi Grumentini traslatione ad locus aiae Saponae magistutum, secundum propositum consilium cogitare, et effectum accelerare. Rebusque iam absolutis cum pastorali benedictione in pace ad eorum ecclesias reverti".

2 Che effettivamente fosse stato costruito sul colle di Saponara verso la fine del III sec. d.C. un tempietto dedicato al Dio

orientale dai veterani delle guerre in Oriente oggi è fuori dubbio dati i ritrovamenti archeologici nei pressi della Chiesa Madre (Cfr.V. Falasca “Grumentum, Saponaria, Grumento Nova”, Ermes Ed., 1997, pag.44).

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E con effetto circa gli anni 9543 sotto il Pontificato di Leone VIII (costui si descrive per antipapa creato da Ottone Imperatore), seguì la trasportazione del popolo disperso nel destinato e descritto luogo, qual cinsero di muri che attualmente si veggono, sebbene in qualche parte poco acconci, a guisa della loro primeva patria, e città distrutta, e dall'Ara, cioè Tempio di Sapona, la chiamarono Saponara, siccome si acclara dagli stessi Atti di S. Laviere, e da un marmo, che anche oggi vedesi fabbricato in un muro delle case del monistero di S. Croce, un tempo della stessa collegiata ed abitazione degli arcipreti mitrati e proprio dietro la Sacrestia qual luogo chiamasi canonica in cui risiedevano i canonici con l'Arciprete Mitrato, nella quale leggesi la seguente iscrizione:

"Urbe Grumentina a Saracenis devastata, populus eius in pagos ante divisus, ab archipresbytero Donato Leopardo in unum collectus an: D. 954 sub hoc novum oppidum aedificavit, et a Saponae Ara, Saponaram appellavit, quod vere Grumentum est omni iure censendum"4.

Di questa memoria se ne trova un documento in atto pubblico in pergamena stipulato per mano del fu notar Vincenzo Ferro nella terra di Armento nell'anno 16… che si conserva nell'archivio della collegiata, a ciò tal memoria si fosse conservata illesa dalla nemica sorte di esser tolta via, o pur fracassata, benchè il marmo è infranto, ed appena si leggono le lettere.

3 Studi condotti di recente su varie fonti hanno dimostrato che la data del 954 attribuita dal Ramaglia allo spostamento dei

Grumentini sul colle di Saponara, in verità avvenne fra il 1030 e il 1040 (Cfr. V. Falasca, op. cit. pag. 48 e segg.). 4 Lapide non inventata dal Ramaglia ma fatta incidere dagli eruditi religiosi di Saponara nel corso del XV-XVI sec. per

dimostrare la priorità anche temporale della Chiesa di Saponara rispetto a quella di Marsico Nuovo.

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CAPITOLO V

SI DESCRIVE LA FONDAZIONE DELLA CHIESA COLLEGIATA CON TUTTE LE ALTRE DENTRO L'ABITATO, E MONISTERI DI DONNE MONACHE.

1. La Chiesa Collegiata1.

In questo nuovo luogo e colle, ben sollevato, di Saponara la pietà e religion cristiana di quel popolo Grumentino, non lasciò addietro di costruirvi Sacri Tempi, nei quali al sommo Dio il dovuto culto tributato avesse.

Laonde principalmente edificar volle la matrice Chiesa cioè la collegiata, dedicandola allo stesso nome di Santa Maria Assunta in memoria della Grumentina, con accoppiarvi quello di Santantonino Martire, come che del medesimo ne conservano, ed attualmente si venera la di lui reliquia di un dito e di altre ossa, qual Chiesa fu poi restaurata ed ampliata nell'anno 1635, con un legato dell'Ill.mo Sig. D. Fabrisio Sanseverino, Conte di Saponara in tempo era Arciprete Mitrato il Rev.mo Dr. Sig. D. Giov: Francesco Danio di eterna memoria, per la sua rara scienza e rare qualità, ed ottime virtù; e fu appunto ampliata nel braccio destro, ove l'altare di S. Filippo Neri, e nel costruire la fabbrica, tra il materiale unito, o che fosse stato edificato e poi cascato, vi si trovò un marmo, che si ravvisa sulla porta piccola della medesima chiesa, che infranto in due pezzi, siccome anche la tradizione ne fa certi, qual si trovò, fu ivi riposto, nel qual si legge la seguente iscrizione. +Anni ab incarnatione Domini nostrii MCXVIII in quo anno hac ecclesia fuit costructa in onore Dei, et Sancte Marie Virginis et Sancti Antonini Martiris.

Fondazioni antica Chiesa Matrice e Tempio Serapide Chiesa Matrice anno 1950

1 Vedansi foto nella pagina

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Di sotto a questo marmo vi è un altro moderno con la seguente iscrizione. "Ex legato Ill.mi Comitis D. Fabritii San Severini B.M. curante R.mo D.no D. Jo: Francisco Danio V.I.D. Archipresbytero et ordinario Saponariae restaurata et ampliata A.D. MDCXXXV."

Evvi di vantagio nello stesso parete, e sopra la prima iscrizione un‟altro marmo grande, ove si veggono scolpiti, benchè rozzamente i quattro evangelisti, e di sotto al lato del primo marmo piccolo, sonovi anche scolpiti in marmo le di loro insegne, cioè le figure d'uomo di leone, di bue e di aquila, con i nomi S. Mattheus, S. Marcus, in cornu Evangelii, S. Lucas, S. Joannes, in cornu Epistolae.

2. Le Chiese di S. Pietro, S. Fantino e S. Giovanni.

Costrussero parimenti, benchè si suppongono edificate prima della Collegiata, tre altre parrocchie e furono quella di S. Pietro2, qual per anche fu conservata, di S. Fantino3, se ne fa menzione nel martirologio ai 30 agosto, ben capaci, le quali sono attualmente in essere, e vi si divisano le sepolture. La terza fu di S. Giovanni4, qual è diruta, che appuno è quell'orto, che fu del sig. D.Paolo Danio, dove è la Chiesa dello Spirito Santo ed ivi parimenti si osservano le sepolture; oggi del sig. Arciprete Perrone.

Rudere Chiesa S. Pietro alla Spineta Chiesa di S. Fantino (Oggi S. Infantino)

2 Vedi foto nella pagina

3 Vedi foto nella pagina

4 Nel luogo ove c‟erano le chiese di S. Giovanni e dello Spirito Santo oggi c‟è il garage del Sig. Ennio Di Lorenzo (di fronte alla

Caserma dei Carabinieri).

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3 Le altre Chiese nel centro abitato.

Le altre chiese o sian cappelle, che da tempo in tempo si costrussero sono quasi innumerabili, non meno dentro l'abitato, che fuori per la campagna e suo territorio, delle quali conviene rapportarne il catalogo, cioè sono numero 21 colla Collegiata.

1) Di S. Antonio di Padova detto volgarmente Scavarello, nella contrada del Casaletto5, stante che la di lui

statua di color è bruno avendosi per tradizione, che avendoli voluto dare altro colore, sempre si è vista di quello di prima, cioè bruno. 2) Di S. Martino nella parte boreale6; questa era del rev.mo Collegio e nel 1642 fu congeduta al Rev. do

Canonico D. Antonio Vitetta, il quale vi fondò un benefizio semplice, redditizio di circa 25 ducati; siccome si osserva dalla concessione originale, rattrovata nell'archivio predetto qual è come segue: “R.mo mons. Arciprete di Saponara e molt.mi rev. sig.i Canonici e Preti del Capitolo Il canonico d. Antonio Videtta espone alle SS. VV. come, minacciando rovina l'antica chiesa di S. Martino dentro e appresso le mura di questa città, ha determinato per servizio di Dio benedetto repararla, ed anco desidera con buona pace delle SS. VV. fondare in quella un servizio di messe a quel numero che potranno arrivare le sue forze, con la facoltà di presentare il cappellano, per la celebrazione di esse messe in perpetuo per se e suoi successori, e che il cappellano debba eligersi dei preti che saranno in sua casa, e quelli mancando si devolve al Rev.mo Capitolo, salve sempre tutte le ragioni, intrate e rendite ad esso capitolo che lo presente ritiene alle quali non si intenda derogare, anzi promette quelle accrescere in annui carlini cinque per la S. Processione da tempo antico nella festa di esso gloriosa S. Martino. Supplica perciò le SS. VV. a concedergli che possa effettuare questo suo desiderio." (Risposta del Capitolo)

"Si conceda al supplicante quanto desidera e se le spediscano le Bolle in forma ad consilium sapientis, così piacendo ai preti confratelli del Capitolo e soscrivendosi alla presente concessione. Saponara 16 Aprile 1642.

D. F. Danio Arciprete concede e confirma quanto sopra. IoD. Giovanni Camillo Masini mi contento quanto di sopra.

Io Can. D. Antonio Cassino contento come di sopra. Io Can. D. Francescantonio Benincasa mi contento come di sopra.

Io D. Jacovo Antonio Di Lorenzo mi contento come di sopra. Io Can. Julio di Danio accetto quanto di sopra.

Io Can. Lauria mi contento ut sr. Io Can. D. Angiolo Cassino mi contento ut sr.

5 Il Casaletto corrispondeva all‟agglomerato di case sotto la Chiesa Madre, nella parte est, ma si ignora l‟esatta ubicazione di

tale chiesa. 6 Anche di questa chiesa si ignora l‟esatta ubicazione, salvo che la parte boreale corrisponde alla parte superiore del rione

Mancoso.

Page 52: Memorie grumentine saponariensi

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Io Can d. Francesco Pricolo mi contento ut sr. Io Can. D. Pietrantonio D'Ambrosio mi contento ut sr.

Io Can. D. Angiolo Giordano confirmo ut sr. Io D. Cola Iacovo Golino mi contento ut sr.

Io D. Francescantonio La Salvia mi contento ut sr. Io D. Diego Giannone mi contento ut sr.

Io D. Vincenzo Di Lascio mi contento ut sr. Io D. Giuseppe Giordano mi contento ut sr.

Io D. Francescantonio Giordano mi contento ut sr. Io D. Antonio La Salvia mi contento ut sr.

Io D. Paulo di Palo confirmo ut sr. Io D. Antonio d' Alesandro confirmo ut sr. Io D. Flaminio Giliberto mi contento ut sr. Io D. Carlo Ramagli mi contento ut sr."

Ruderi del monastero di Santa Croce dopo Il sisma del 1857 (Foto di Robert Mallet) Colonna del chiostro di Santa Croce

Page 53: Memorie grumentine saponariensi

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Sieguono le chiese dentro l'abitato. 3) S. Croce7 e suo monisterio di donne monache dell'ordine cisterciense.

Questo monistero fu costrutto dalla comunità Saponariense negli stessi primi tempi, che fu costrutta la Saponara, sotto l'istituto e regola di S. Basilio, per riguardi del monistero dello stesso ordine di S. Giuliano, come dirassi, con uno spazioso giardino ben munito con altissimi muri nella parte settentrionale dietro la collegiata, dotandolo di rendite sufficienti al sostegno delle religiose, con magnifica chiesa, situata dentro il cortile. Ma poi dalle continue guerre civili che nei tempi trasandati tutto il giorno hanno infestato questo Regno fu distrutto, rubato e saccheggiato e ridotto alla fine a semplice Badia, che non avea di rendita più di 40 scudi camera, nella quale essendosi intruso un certo prete Attilio Cassano la Chiesa, mediante la via giudiziaria, discacciò l'intruso detentore e fu ordinato che con i fruttim suddetta fosse pagata.

L'Università con effetto proseguì la riedificazione e non avendola potuto adempiere tra il termine assegnato, dal quale ne erano scorsi otto anni e dubitando di qualche impedimento, nell'anno 1570 il conte di quel tempo di Saponara Giovan Giacomo Sanseverino8 unito con la Università, supplicarono S. Santità Pio V perchè si fosse degnato prorogare il già detto termine, al manco per altri anni due, tra i quali speravano perfezionare il tutto.

Giovanni Giacomo IV-Conte di Saponara Lapide dedicata a Giovanni Giacomo IV

dai cittadini di Saponara alla sua morte

7 Distrutto dal terremoto del 16 Dicembre 1857, ne residuò qualche rudere. Vedi le foto n° della pag. precedente.

8 Giovanni Giacomo IV (1538-31/10/1582), figlio di Violante e Ferdinando Sanseverino.. Signore munifico concesse i “Capitoli,

Grazie e immunità ai cittadini di Saponara. Sposò nel 1532 Cornelia Pignatelli, figlia del Feudatario di Marsico Nuovo e da lei ebbe 4 figli: Ferdinando, Lucio (Arcivescovo di Salerno e Cardinale), Fabrizio ed Ascanio. (Vedi foto n° 12). Alla sua morte i cittadini di Saponara gli dedicarono una lapide, posta al lato sinistro del Sedile dei Nobili, che oggi è murata sul lato destro della salita alla Chiesa Madre (Vedi foto nella pagina e trascrizione al successivo capitolo VII-§ Sedile dei nobili)

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E il sommo Pontefice loro concedè solamente un altro anno e furono undici e già compirono l'opera; siccome si raccoglie da una bolla in pergamena che si conserva nell'arca del monistero riferitomi dal suddetto sig. Don Carlo (Danio) e letto nella copia che non trascrivo per brevità.

Ma ritornate ad abitarvi le religiose, le quali per qualche tempo continuarono le stesse regole col titolo ossia nome di Sore, parve loro meglio abbracciar le regole di S. Bernardo detta dei Cisterciensi, siccome ora le monacche osservano.

E stimandosi tutavia maggior riparo, la divina Provvidenza concorse con una larga limosina di una Cavaliere chiamato D. Marzio Talaso, congionto dei sig. Conti di quel tempo, il quale, fattosi cappuccino, lasciò docati quattrocento per la reparazione del monistero siccome seguì colli documenti che si soggiungeranno: laonde l'Università era Padrone del Monistero, ella eligeva due persone che ne avessero avuto pensiero e quando dovevano entrare figliuole per monacarsi, si faceva supplica al Regimento, il quale dava il permesso; la dote per i cittadini non trapassa i docati ducento, e per Forastieri il doppio.

Il Sindaco è stato solito e si conserva in questo jus, che nella S. Visita da farsi dal Vescovo sta contra di lui o pure il Capo eletto o l'Agente di S. E. Ill.ma come primo cittadino.

Questo jus patronato dell'Università sopra detto Monistero nel tempo presente circa l'amministrazione e circa la supplica da farsi quando devono entrare le Monache per trascuraggine degli Regimentari è posto in dissusanza e volendosi asserire che il Monistero sia stato edificato dall'Università e che questa ha esercitato le suddette ragioni, talune monache forastiere han fatto attestato, asserendo che colla di loro dote siasi mantenuto ed avanzato il Monistero e che niente ha soccumbuto la università. Ma come che si parla con donna o donne forastiere, poco anzi niente intese delli nostri jussi, non deve farsene conto e per dar contezza di quanto si è asserito di sopra, e provarlo con documenti, essendomi pervenute nelle mani alcune scritture originali su tale affare, quali da me si conservano, acciò la posterità possa parlarne con certezza, mi conviene qui registrarle e sono:

"Molto Mag.(nifi) ci Sig. ri

Goglielmo de Danio (Costui fu un gran legista ed avvocato del capitolo in quei tempi. Trascrivo semplicemente le parole tali quali furono scritte) dalla Saponara fa intedere alle SS.VV. qualmente una sua figlia nomine Cornelia, volle intrare ed essere monaca nel monisterio di S. Croce di donne monache.

Et come che in questo ci bisogna il consenso et volere delle SS. VV. come eletti al Governo, tanto più che detto Monistero è statto facto a dispesa da essa Università de la Saponara, supplica che detta sua figlia possa entrare e sia ricevuta per monaca in detto Monasterio, et ultra consentiranno ad opera pia, esso sup.e(supplicante) tutto riputerà a grazia singolarissima."

(Risposta dell‟Università) "Noi infrascritti Sindaco ed Eletto della Terra della Saponara del presente anno, ne contentiamo e vogliamo

che detta magnifica Cornelia sia ricevuta per monaca in detto monistero di S. Croce de donne monache ed a sua cautela abbiamo fatto scrivere la presente per mano del notar Giovannangelo Palazzo ordinario Cancelliere della università suddetta.

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Datum Saponariae die primo febrarii 1554. Io Berardino de Avis Sindaco accepto ut supra = Io Giulio Giliberti mi contento = Io Loise de Danio eletto mi

contento = Io Goglielme Ferrero mi contento. + Signum crucis propriae manus Andreae de Sabino electi idiotae9 + signum crucis propriae manus Anselmi Iordani electi idiotae = + signum crucis propriae manus Antonii Pricoli electi idiotae = Ego Ioannes Angelus Pelatius ordinarius Cancellarius de Monastiero + loco sigilli ="

Siegue un'altra supplica e contentamento dello stesso tenore, conoscendosi il carattere di detto Guglielmo di Danio per questo pratico in altre scritture, ed è come siegue senza alterare lo scrivere:

"M.to Ill.mo e R.mo Signor Vicario Gen.le

Palma de Danio de la Saponara la supp.ca(supplica) testè per concederli licenza che Beatrice sua figlia possa intrare nel monasterio de Donne Monache de S. Croce de la Saponara, per monacarse et là stare fin che verrà il giorno de vestire, et farla professione essendoce de più la volontà de la sig. Abadessa et signore donne Monache de dicto Monasterio et tutto se tenerà ad gratiam = Conceditur petita licentia ut supra. Datum Saponarie, die decimo septimo mese novembris 1589. A. Par. Vic. Siegue di sotto.

Noi infrascritti Sindaco ed electi della Università di Saponara consentiamo e ci contentiamo che la predetta Beatrice de Danio entri ad monacarse in detto Monasterio, del modo predetto e che paghi al detto Monasterio la dote solita inter cives; il tutto per quanto ad noi spetta.

Datum Saponariae sub die ultimo Iunii 1590. Terenzio Caramelli Sindaco = G. Portello Electo = Donatantonio Danio eletto = + Signum crucis propriae manus Pauli de Giannone electi idioti = + signim crucis propriae manus Ferdinandi Jordani electi idioti = + signum crucis propriae manus Valerii La Salvia electi idioti ="

Se dunque per monacarsi una cittadina richiedesi la promissione e licenza in iscritto; siccome a tempo più fresco

dissemi aver praticato il dr. sig. D. Paolo Danio cugino del referito don Carlo(Arciprete); quanto maggiormente doveasi praticare colle forastiere!

Siegue un'altra memoria per il riferito legato e che si eligevano gli Governanti del Monastiero della Università del tenore seguente:

"Noi Guglielmo de Danio e Scipione de Giliberto de la Saponara, Mastri del Monisterio de donne monache de S. Croce de ditta terra, dicemo ad voi Ieronimo de Danio procuratore de detto monasterio qualmente lo Ill.mo s.r. Ferrante Sanseverino conte de la Saponara ha pagato li docati 400 lasciati per Ill.mo signor D. Marzio Tholoso hoge Cappuccino dell'ord. De Cappuccini per fabricare et reparare detto Monasterio et per noi er voi, quelli sono stati depositati in mano et potere de la ill.ma sig. Cornelia Pignatella Contessa de la Saponara, et M(at)re de ipso ill.mo sign. Conte: in tempo de dicto pagamento et ab ponte non era nel tempo apto ad fabricare, volendo dunque dare

9 Era all‟epoca chiamato “idiota” chi non sapeva scrivere, ossia privo dell‟idioma.

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principio ad dicto beneficio ordinamo che andiate da dicta ill.ma signora Contessa et da quella ve fate dare denari bastanti per comprare calce, arena e pietre, et altri necessari et quelli condurre in dicto Monasterio ad fine che quando fori tempo apto ad fabricare questo aprile o maggio, primi venturi, con più facilità se possa dare principio ad dicta fabrica, et quela da mano in mano seguire et complire conforme a la volontà de dicto Ill.mo signor D. Marzio con far libro d'introito ed esito et dare del tutto lucido conto et così exequiriti

Datum Saponarie sub die 20 X. bis (Dicembre) 1587 = Idem Golielmus qui sup.e manu = Io Scipione de Giliberto accetto ut supra."

Poi non avendosi volute adoprare questo pensiero il suddetto Geron.mo de Danio sotto li 24 marzo diedero la

stessa facoltà altro Ferrante Iordano = E non avendo voluto il medesimo attendere a detto mestiere li stessi mastri costituiscono procuratore nella stessa forma Geronimo Pennella sotto li 14 aprile 1590 ed ultimamente sotto li 30 maggio dello stesso anno 1590 all = Abb.Gio. Barba in potere del quale si paga il resto delli docati 400 depositati come sopra.

Si può ricavare ancora che la dote della Monaca cittadina era di soli docati cento e che poi siasi avanzata a duecento, rattrovandosi tra le suddette scritture le ricevute di ducati diciotto annui per le terze di docati dugento, dovuti per il monacaggio di suor Geromina e suor Maddalena di Danio, figlie del suddetto Guglielmo, le ricevute sono le seguenti:

"Con la presente declaro io Valerio Calabria proc.e(Procuratore) del Monistero di donne monache di S. Croce de la Saponara, havere ricevuto dal Mag.o (Magnifico) Donat'Antonio de Danio docati diciotto cioè docati undici e tre tari di contanti, et docati sei et tari doi per lo prezzo di quattro peze di caso per esso comprate et consignato a detto Monisterio a ragione di carlini 16 la pesa et sono a complimento de le terze di ducento docati per il monacaggio di sore Geromina e sore Maddalena de Danio, soie sorelle per tutto Agusto prossimo passato, et per una cautela l'ho fatta scrivere la presente per m.o(mano) di Terenzio Ceramello, et sottoscritta dall'infrascritti testimoni. Data nella Saponara a 5 7bre (Settembre)1593. Io Terentio Ceremello ho scritta la presente per volontà del sig. Procuratore - Io Not. Giuseppe Cibello de la Saponara sono testimonio - Io Felice Siciliano sono testimonio - Io Marcello Ceramello sono test."

Siegue un'altra:

"Io sore Victoria Pignatella (la quale è probabile fosse nata sorella della signora Cornelia nominata di sopra) abbadessa nel monasterio di S. Croce de la Saponara faccio fede avere ricevuto dalli Mag.i Donato Antonio di Danio e Scipione di Danio docati deceotto de sore Geron.ma Danio per tutto agosto prossimo passato 94, et altri docati nove per lo vitto di sora Maddalena per la medesima annata per tutto agosto passato, et per la verità et loro cautela ne ho fatta scrivere la presente per mano di Terentio Ceramello et sottoscritta dall'infrascritti testimoni. Data ne la Saponara a 5 Gennaro 1595.

Io Terentio Ceramello ho scritta la presente per volontà di detta sig. Abb.ssa. Io Vincenzo Siciliano de la Saponara sono Test.o = Io Giov.Iavo Benincasa sono test. = Io Carlo Rivello sono test.="

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E volendo proseguire la costruzione delle altre Chiese che di giorno in giorno la pietà degli abitatori edificarono sin a tempi nostri, non sparagnerò la fatica in registrarle e sono le seguenti:

4) S. Nicolò di Bari dietro la Collegiata, benefiziale del Capitolo e (del) Sig. D'Ambrosio. 5) S. Maria del Borgo10 del Capitolo. 6) SS. Cosmo e Damiano, un tempo delli sig. Danio. 7) S. Lorenzo e sua curia del Monastero di S. Lorenzo della Padula, con molti corpi stabili pervenutili dalla famiglia Corsaro11.

Grancìa di San Lorenzo in contrada Spineta

10

Il Borgo era l‟agglomerato di case intorno al Castello. Se ne ignora l‟ubicazione. 11

Questa chiesa venne costruita agli inizi del 1600 dai monaci Certosini della Real Certosa di S. Lorenzo di Padula, insieme ad una Grancia (convento). Essi si trovavano al di sotto dell‟attuale Piazza S. Pertini, antistante al Municipio. Altra Grancia, con altra chiesa, gli stessi frati Certosini possedevano in contrada Spineta. Per quest‟ultima vedasi foto nella pagina.

Page 58: Memorie grumentine saponariensi

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8) Lo Spirito Santo12 fondata dall'Abb. Rev.o D. Giovanni Giannone Barba col capitale di docati 1000, col peso

di una messa cotidiana; cioè cinque nella suddeta Chiesa, e due in quella di S. Michele Arcangelo nel Pirozzo; a quale fondazione si unì Porzia Cotino edova di Paolo Giannone, fratello di detto Abb. Giovanni, nipoti di Ercole Giannone, la quale donò altri docati cinquecentocinquanta per servizio di scolari dottorandi e maritaggio, monacaggio; e col peso della messa cantata nel giorno di Natale, Pasca e Pentecoste, con le seguenti feste e due vespri nel dì dello Spirito Santo, con istrumento rogato per mano di Notar Annibale Giordano della Saponara a dì 15 agosto 1604.

9) S. Giuliano monaco e martire della famiglia Corsaro, unita

colla sua casa13. 10) SS. Rosario14 nella piazza grande, fondata dal fu M.ro

Girolamo in jus patronato della di lui famiglia nell'anno 168.(è da intendersi 1680).

11) S. Gio. Battista15 e suo monistero di donne monache della

riforma di S. Teresa mitigata dal Papa Eugenio IV; fondato nell'anno 1610 dalla Ill.ma sig.ra Isabella Gesualdi Contessa della Saponara, come moglie dell'Ill. sig. A. Ferrante San Severino, fu figlia del Principe di Venosa e della sorella germana del Gran Porporato Antistite di Milano, S. Carlo Borromeo; di cui presso di sé ritenea la beretta ed invito a vivere le di lui cristiane virtù. Ava procreati molti figli, tra quali fu quel probatissimo e savissimo uomo A. Luiggi Sanseverino di cui faremo menzione altrove, volle fondare l'accennato monisterio, al quale oltre della congrua dote assegnatali, alla pur fine colla Religione, volle finir la sua vita, consumata con tante opere di cristiana pietà, lasciandovi molti preziosi suppellettili ed utensili d'ogni specie Monastero di S. Giovanni Battista

che tuttavia si conservano per sua memoria.

12

Trovavasi di fronte all‟attuale sede della caserma dei Carabinieri. 13

Se ne ignora l‟esatto sito. 14

Piazza Grande è l‟attuale Piazza Arciprete Caputi. In essa c‟era una volta il famoso Sedile dei Nobili. La chiesa trovasi sulla destra. 15

Il monastero era costituito dal cinquecentesco palazzo Di Lorenzo, compreso tra via Roma e via Caputi, di fronte alla Caserma dei Carabinieri. Fondato dalla contessa Isabella Gesualdo il 23 Ottobre 1614 (e non il 1610 come dice il Ramaglia) per atto del notaio Giovanni Andrea Pirro di Moliterno. L‟autorizzazione ufficiale all‟apertura avvenne solo il 19 Novembre 1617 su autorizzazione dell‟Arcivescovo di Salerno Lucio Sanseverino, cognato di Isabella. L‟organico assegnato fu di una Priora e 11 monache. Venne soppresso il 24 Ottobre del 1832. Vedasi foto nella pagina.

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12) S. Giuseppe16 fondato da Notar Giuseppe Cibello vicino la di lui casa nel 1611. 13) S. Caterina17 delli sig.Ceramelli, unita alla di loro casa . 14) SS. Rosario18 cappella piccola del fu Arciprete D. Francescantonio Lauria circa l'anno 1658. 15) Gesù e Maria19 della famiglia Ferro nell'anno 1682. 16) S. Giuseppe20 altra del Rev.mo dr. Sig. Domenico del Monaco Arciprete della Collegiata unita alla di lui

casa nell'anno 1710. 17) S. Maria della Pietà21 delli signori Giliberto e Danio, unito alla di loro casa.

Interno della Chiesa di Santa Caterina prima del restauro

16

Se ne ignora l‟ubicazione. 17

Di recente restaurata. Era la cappella privata dell‟Arciprete Carlo Danio Ceramelli. Negli orti al di sotto di essa c‟era il famoso “Tesoro camerario” dell‟Arciprete consistente nei reperti romani che egli diseppelliva nella città di Grumentum. Attualmente vi è stato allocato un piccolo Museo municipale di arte sacra, malamente allestito e con numerosi errori storici. Vedasi foto n°16. 18

Probabilmente trovavasi nella parte sottostante alla casa del geom. Lauria di via Roma. 19

Se ne ignora l‟ubicazione. 20

Idem come sopra. 21

Venne così chiamata perché al suo interno c‟è una rozza riproduzione della Pietà di Michelangelo. Trovasi in via S. Infantino. Chiamata dal popolo “Vergine delle sette spade” dall‟immagine della Madonna trafitta da spade dipinta nel rosone sopra l‟ingresso. Di proprietà degli eredi di Camilla Caputi. Vedasi foto nella pagina successiva.

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18) S. Michel' Arcangelo22 del Rev. D. Sig. Carlo Danio nel 1726 unita alla sua casa.

In tutte queste chiese descritte vi sono altari n.31. Cioè: nella Collegiata 12 nella chiesa di S. Croce 7 in quella di S. Giovanni 5 in S. Martino 2 in S. Pietro 2 nello Spirito Santo 2 nelle altre un solo altare

Totale 31

Ingresso cappella S. Maria della Pietà o per il popolo “Vergine delle sette spade” (per la Madonna nel

rosone trafitta da spade). Una volta proprietà dellefamiglie Giliberti e Danio.

22

Potrebbe essere la cappella in piazza Pertini che tutti oggi chiamano di S. Caterina d‟Alessandria..

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CAPITOLO VI

SI DESCRIVONO TUTTE LE ALTRE CHIESE NEL TERRITORIO COSI' DIRUTE COME IN ESSERE.

Egli è certo che non vi sarà città o terra quando voglia popolata e con vastità di territorio, che siano in quella costrutte tante chiese, quante ne sono state e sono nel nostro nuovo Grumento, avvenga che se elleno esistenti non fossero con che la verità acclarar si potesse, incredibile sarebbe a credersi; laonde dalle medesime arguire si può quanta pietà cristiana abbiano sempre i Grumentini Saponariensi nutrita, che da tempo in tempo han vieppiù dimostrata con la costruzione delle Chiese, che son fuori della città di Saponara e sono le seguenti al numero di 53

1) La Chiesa1 e Convento di S. Francesco dei Minori Conventuali.

Per antica tradizione e veridica fama si ha che, avendo il Santo Padre fondato un convento in un luogo sopra il fiume Acri, su di una collina, poco distante dalla Chiesa di S. Laviere, nella contrada della Cerreta, ossia di S. Giacomo, e dove appunto si divisa una chiesa sotto il titolo di S. Francesco, essendo il Santo ritornato da Marocco, trovò buona parte dei suoi frati morti per l'aere cattivo del fiume, che stava di sotto, nel quale era una quantità di concie di pelle. Laonde di proprio pugno formò una supplica agli Reggimentarii2 di quel tempo della Saponara, acciò l'avessero congeduto un altro luogo per l'edifizio del monistero, ed avendolo già ottenuto, dove al presente si vede3, con proprie mani designò la fabbrica, piantandovi un bastone di cipresso secco, il quale miracolosamente germogliante, crebbe in una stravagante grossezza ed altezza che ocularmente si osserva, abbenchè da molti anni deformato da frati, col taglio di assaissimi rami, che veramente facevano una pomposa e vaga vista, nel dubbio che colla di lui gran macchia esteso, parendo che si fosse inchinato al quanto, avesse rovinato quella parte della Chiesa e Chiostro, verso dove stava inchinato, qualora fosse caduto. Ma frati di modica fede, dubitar che il di loro Patriarca permesso avesse la caduta del cipresso da lui piantato per far rovinare buona parte del Convento? quando col suo dorso sostenne il Vaticano cadente per mezzo delle sue sante virtù?

La supplica però di carattere del Santo sino agli anni a noi prossimi, quando le scritture dell'Università passarono per mano accorta, diligente, accorta ed appassionata della patria, si conservò sempre tra le medesime; ma dopo che di quello arsa, se ne è avuta, con altre buone memorie in pergamena non si sa ove ne sia gita; ed essenso insorta fama che il suddetto sig. D. Carlo (ndr.Danio)avesse conservata detta supplica per sua devozione, da me espressamente spronato più volte a dirmi la verità, se egli avesse tenuto presso di sé la veneranda supplica, mi

1 Per Tommaso Pedio S. Francesco non sarebbe mai venuto in Basilicata e i vari conventi della regione sarebbero stati fondati

da suoi discepoli dopo la sua morte del 3 Ottobre 1226 (Cfr. T. Pedio “Diocesi e Comunità monastiche in Basilicata”, Matera 1967, pag. 41) 2 Gli Amministratori dell‟Università, ovvero Universitas civium (o antico Comune)

3 La località è ancor oggi detta di “San Francesco”. In luogo del Convento fondato dal Santo attualmente vi è però il Cimitero

comunale istituitovi l‟ 11 Ottobre 1842 ( Liber Mortuorum 1832/1855) con la spesa di 900 ducati, come dice F.P. Caputi nella sua opera “Tenue contributo alla storia di Grumento e di Saponara”, Ed. Pesole, Napoli 1902, pag. 197. La trasformazione in cimitero avvenne dopo la soppressione dei monateri sancita da Giuseppe Bonaparte con legge del 13 Febbraio del 1807.

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replicò ingenuamente di non tenerla; anzi tan poco si è potuto recuperare col mezzo della scomunica fulminata da padri del Convento e da Sindaci dell'Università fatta fulminare.

Piantò di vantagio il S. Padre una vite di bellissima uva dalla quale siccome per la tradizione c'insegna non potevasi tagliar sarmento a fine di pastinarsi4 altrove, poiché in niuna maniera germogliava, referendo altresì lo stesso sig. Carlo per relazione della S.D. Ersilia Danio sua zia e sorella di D. Amato Danio, che l'Arciprete mitrato Sig. D. Giovanni Francesco Danio, desiderando nel giardino di sua casa (quella appunto vicino la Cappella di Gesù e Maria) pastinarsi un sarmento, e per la preziosità dell'uva, e per divozione verso il Santo, sapendo la difficoltà del germogliare, si vestì di cotta e stola e precedendo la lettura di alcune orazioni tagliò il sarmento e pastinollo: in tal guisa ottenne l'intento di veder germogliate e fruttifero il pastinato sarmento, e da questo poi si prese un altro sarmento, piantato nel giardino del sig. D. Carlo, cresciuto in una vite di estrema grandezza. Quella però piantata dal Santo Padre nel suddetto Convento, da molti anni si è resa poco fruttifera e forse per incuria dei frati, in non farla germogliare, governandola a dovere.

Di questa vite e del cipresso ancora fa menzione il sig. Gonzaga. In questo convento fin dalla sua fondazione sono stati uomini dotti e illustri, numerose famiglie, come ricchissimo

di rendite, donateli dalla pietà dei fedeli, lo che fa palese la magnificenza delle fabbriche, claustro, ossia giardino murato di fabbrica con vigna, benchè oggi le muraglia in buona parte rovinate e dirute, di circuito di circa tomola 125, tanto che nell'anno 1513, risiedevano in convento 24 frati, con 15 sacerdoti, e perché prima di questo tempo non era stato dichiarato convento, tale fu dichiarato dal Padre Fra Fernando Proto, allora generale dell'ordine, siccome costa da una pergamena, che conservasi nell'arca del deposito di detto convento, che è come siegue:

"Univesis et singulis reverendis Patribus et fratribus provinciae terrae laboris, precipue, custodiac principatus, presentes litteras in specturis, pariter que lecturis.

Fr. Bernardus Protus Ord. Minor. Sacrae Theol. et professor eximius totiusque praefati ordinis Generalis minister et perpetuus, salutem et pacem in Domino sempiternam. Cum oneris nostri debitum solituri, conventus Ord. ut moris est, et fratris ipsius, visitaremus, in conventu nostro Saponariae huius provinciae cum contigerit nobis devenire, invenimus impsum conventum ornatum magnis patribus, Magistris, presertim sacre pagine, nec non quindecim sacerdotes, et alios iuvenes, iuxta numerum viginti quatuor fratrum hic commemorantes accipiensque … conventus diu persolvisse, eundem conventum, et privilegiis Conventus non gaudentem (dolui) ministrorum negligentia, eodem patres, et fratres, solitis privilegis privari, cum et costitutiones Alexandrinae cap. VII espressius ostentant, conventus, sive loca quae duodecim, vel tredecim fratres substentare potuerint, conventus appellandus est.

Quare nos tam zelo Religionis tum ipsa veritate, atque honestate antedicti Officii nostri, atque potestate qua fungimus, principio vobis omnibus sopradictis in virtute oboedientiae, ut de cetero locum istum Saponarie, non locum sed conventum appellatis, ipsum que ab omnibus appellari faciatis, nec non illis privilegiis gaudere, quibus solent conventus in quibus celebratum esso Capitulum Provinciale, nec non ille Conventus seu loca… in quibus nondum

4 Significa innestare.

5 Nella Rivela del 1746 (Catasto Onciario, vol. 5274) si parla di un comprensorio di terra di tomoli 15 incirca arborato di olive,

querce ed altri frutti.

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celebratum est praedictum Capitulum. Mandans omnibus supradictis magistro ei fratribus dicte Provincie obedientiam salutare, nequovis modo predictam concessionem audeate molestare, eique derogare vel contravenire nec in presenti, nec in futuro ut ipsa nostra concessio liberum consequatur effectum. Nec autem erunt in fide et testimonium apud quoscumque prelatos, patres, et fratres dictae provinciae. Datum Neapoli in conventu nostro Sancti Laurentii XXVIII Septembris MDXIII . 1513 -

Fr. Bernardus de Proto Chenonsis Generalis Minister, ita ordinat, instituit et mandat propria manu".

La chiesa di questo convento è assai magnifica,

essendo lunga palmi 97 e larga 21 di una smisurata altezza senza tetto all'uso antico, abbenchè ora vi sia stato costrutto nel 1743, con un'arcata di lamia ben grandi a man sinistra6. Adornato l'altare Maggiore di una bellissima Cona

indorata, con sei quadri grandi di pitture in tavola, e tre piccoli nella sommità per finimento; nella riga di mezzo rappresentasi l'un sopra l'altro, la Natività, la Resurrezione l'Ascenzione di N. Signore, in cornu Epistulae S. Antonio, S. Giovan Battista, Maria Vergine Annunciata. In cornu Evangelii: S. Caterina, S. Francesco e l'angelo Gabriele annunciante7. Vi sono in tutto altari numero 13 oltre del

Maggiore; fu consecrata a 5 maggio 1287 siccome si divisa dalla sua iscrizione nel muro dell'arco maggiore in cornu evangelii e fu poco dopo fondata e dopo la morte del S.

Padre.

Cappella dei Sanseverino (ingresso e arco interno)

Tra le altre cose più notabili, che sono in questa chiesa, vi è una cappella in volta di lamia dietro l'altare Maggiore sotto il titolo della Visitazione di Maria Santissima, dell'eccellentissima famiglia Sanseverino, nella quale vi sono sepolti i cadaveri della famiglia e nelle pareti in alto si veggono molti scrigni, con iscrizioni ed epigrammi e tra questi un tumolo, con due altri epitaffi di marmo, che si

6 Vedi foto n° 18. Allo stato attuale è l‟ossario del cimitero.

7 Dopo la soppressione del Convento nel 1808, vennero incaricati di inventariarne i beni i signori Francesco Palma di Padula e

Gherardo Ceramelli (poi divenuto Sindaco) di Saponara. Dei 9 riquadri pittorici costituenti la pala d‟altare in questione occorre precisare che si sono salvati solo quelli raffiguranti l’Ascensione di Gesù e Sant’Antonio (Cfr. Caputi,. op. cit., pag. 197 che menziona come residuata solo la tavola pittorica di S. Antonio nella cappella privata dei Ceramelli) . Vedansi foto n° 19 e 20. Per la verità, (Cfr. Caputi, ibidem) il Convento venne letteralmente saccheggiato e lo stesso Ceramelli tenne per sé le tavole pittoriche sopra citate, che sono state trovate nella cappella privata della sua famiglia (oggi S. Caterina delli Ceramelli in piazza Pertini). Lo studioso Vittorio Savona, che ne ignora la provenienza, (Cfr. “Restauri in Basilicata 1993-1997”, Sopr. Basilicata, 1998) attribuisce L’Ascensione a Gian Filippo Criscuolo (1540), della scuola di Andrea Sabatini di Salerno, e il Sant’Antonio ad autore ignoto.

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descriveranno. A man sinistra della Cappella et in cornu Evangelii

dell'Altare, sospeso dal pavimento circa palmi 12 è un tumolo di marmo fino bianco, a modo di cassa, sostenuto da tre colonnette e con simili lapidi fissati al muro; dalla parte di sopra vedesi scolpita l'effigie di un cadavere, e dalla parte d'avanti leggesi la seguente iscrizione:

"D.O.M.

+Adelicia Ptolomea Appula senis oriunda ex Ptolomeo Evergete Alexandrinorum Rege e Regno pulso, iacet hic. Sigismondus Sanseverinus coniux8 pientis posuit. Obiit annos nata XXX, mensis I° (Gennaio), dies VIII et.XX.

Nati hic mecum II liberos, tres Reliqui Equites, mares II° (sposato il secondo). Marito Amatissimo fidei pignus quo cum annos X sine querela vixi.

A.D. MCCCCLXXX (1480), Januarii XXVIII, Jovis die hora XV migravit"

Convento S.Francesco dei Conventuali Ascensione-parte superiore. Convento S. Francesco Ascensione di Gesù del 1540 (120x63) Olio su tavola (170x90) Giovanni Criscuolo (1495-1570) Autore ignoto

Parte inferiore.

8 Figlio di Ugo II Sanseverino e di Beatrice Zurla. Sposò Adelicia Ptolomea, discendente di Tolomeo Evergete, Re degli

Alessandrini, Dopo la morte di costei convolò a seconde nozze con Orsola Ursino con la quale partecipò alla famosa congiura dei Baroni contro il Re Ferdinando I d‟Aragona. La congiura fallì miseramente nell‟Agosto del 1487 con la trappola di Castel Nuovo. Sigismondo riuscì per puro miracolo a sfuggire all‟eccidio che ne seguì. Il francese Carlo VIII, sceso in Italia, nel 1495 lo reintegrava di tutti i suoi averi. Fu padre di quel famoso Ugo III Sanseverino la cui immagine è dipinta nel Polittico di Simone da Firenze in S. Chirico Raparo, di cui era Feudatario.

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47

Questa iscrizione da Ferdinando Ughellio nel tomo 7 della sua Ital. Sacra col 730 si descrive nel convento di S.

Francesco anche dei conventuali della città di Marsico Nuovo; accaggionato tale abbaglio della falsa relazione avuta da chi egli la richiese di tutto il vescovado. Allato di detto tumolo stanno scolpite alquanto in rilievo le armi Sanseverine e Ptolomee; cioè di queste una fascia in mezzo allo scuro, con due mezze lune di sopra ed una di sotto. Nel muro poi di sopra di detto tumolo osservasi dipinto una bel cortinaggio colle stesse armi, ma distintamente; poiché nella sommità vi sono le armi Sanseverine, cioè la fascia rossa in campo bianco; e di sotto ambedue, però le Ptolomee in campo azzurro. Le stesse armi veggonsi dipinte nel muro sia dell'arco d'entrata in detta cappella della parte di dentro, cioè a man destra le Ptolomee ed a sinistra le Sanseverine.

A man destra della Cappella ed in cornu epistole dell'altare, vi è un Epitaffio scolpito in marmo, adornato a guisa di cono con due colonnette dello stesso marmo rozzo del tenor che siegue:

" D.O.M. Joanni Jacobo Sanseverino9 primo Comiti Saponariensi, quo nemo ingenio, nemo prudentia maior, nemo vitae morumque sanctitate praestantior, nemo clarissima procreatione felicior in terris quem a Salentinis recedentem

mense septembri 1582-Mors superum ministra mortalibus eripuit, immortalis reddidit. Anno aetatis XXXXIV mens(ibus) III die(bus) XXI

Ferdinandus, Lucius10, Fabricius et Ascanius I. pientiss. pos: A.D. MDLXXXII die ultimo octobris die Dom: hora XXIII migravit.

Hic postquam explorat numeros pietatis in omni vita tum praesens altera vita fruit".

9 Su questo Feudatario vadasi nota n° 8 del cap. V

10 Trattasi di quel famoso cardinale Lucio Sanseverino, Arcivescovo di Salerno e Rossano, che fu anche in ballottaggio per

diventare Papa, nel conclave del 1623. Venne però eletto Barbarino, Cardinale di Spoleto, che assunse il nome di Urbano VIII.

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Nella stessa banda del muro entrandosi nella Cappella avvi un magnifico tumolo di marmo bianco finissimo con di sopra un nicchio grande, dentro del quale si divisa una statua di giovane sedente11, dello stesso marmo con la gorgiera nella gola all'uso antico, un libro nelle mani, ed un cane al lato destro con di sotto le seguenti iscrizioni di Epitaffio:

"Ante diem rapto mortis solatia nato Hunc statuit Genitrix e Genitor tumulum Affectu patrio flegrant lapis ipse. Sepulti Et gelidi cineres, frigida ossa calent. Incidit saxo carmen lacrymabilis humor Quem trahit ex oculis imbre cadente dolor Urna animae habitant binae si forte recedunt, Ad comitem properant. Aetherna summa super Maerentque optantes supreman funeris horam Quae jungatque animas jungat et exuvias12.

E di sotto nella base come siegue:

“D.O.M. Joanni Sanseverino adolescenti incomparabili, Patriae decori, equitum gloriae primerio in aetatis flore non modo virtutum heroicarum germina sed fructus afferenti uberrimos universi cum Neapolitani regni maerore ac laccrimis Semilapide dedicata a Giovanni Sanseverino peracerba morte sublato (presso la cappella di S. Caterina) Ascanius Ramires, cui triste hoc munus Isabella Gesualda mater Saponariae Comes summo affecta dolore demandavit ex tot nominibus benemerenti p(osuit). Vixit ann. XX mens. VII dies octo supra viginti obiit. Anno Dom. MDCVII tertio idus septembris13".

11

Trattasi di Giovanni Sanseverino, figlio della famosa Contessa Isabella Gesualdo (nipote del musicista Gesualdo Da Venosa e del Cardinale Federico Borromeo), morto giovane, all‟età di 20 anni, 7 mesi e 28 giorni. Questa statua trovasi oggi nel giardino Perrone (a fianco della caserma dei Carabinieri). Nel Maggio del 1895 venne mutilata nella parte inferiore da un fulmine che la colpì nella Chiesa Madre ove era stata trasportata dopo la soppressione del convento (Cfr. F. P. Caputi, op. cit., pag. 174 nota n° 1). 12

Questa lapide è stata da noi rinvenuta dietro l‟altare della Chiesa del Rosario in Piazza Arciprete Caputi (Cfr. AA.VV. “La chiesa della Madonna del Rosario in Grumento Nova”, Vincenzo Falasca, pag. 19. Vedi foto n° 21 13

Quest‟altra lapide, proveniente dalla cappella S. Caterina dei Ceramelli è stata da noi fortuitamente rinvenuta a Moliterno ed oggi è presso di noi in attesa della ricomposizione del tumulo di cui ci stiamo facendo promotori. Vedi foto n°22.

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49

L'altare di questa Cappella a preghiera del memorato Gio. Giacomo Sanseverino fu da Gregorio XIII, sommo ontefice, privilegiato che chiunque sacerdote della famiglia del convento vi celebra la Santa Messa, si libera un'anima del Purgatorio, siccome da un Epitaffio in un marmo affisso al muro di detto altare nel 1581 si divisa.

Si nota come il sopra nominato Sigismondo Sanseverino, essendoli morta la prima moglie Adelitia Ptolomeo passò alle seconde nozze con Orsola Ursino, e perché i medesimi commisero delitto di ribbellione contro re Federico II, la nostra Saponara si confiscò alla Regia Corte e nell'anno 1497 dallo stesso Federico fu congeduto ad Ugone figlio del suddetto Sigismondo, registrato nelli Quintomioni della Regia Camera, nell'anno 1504. Il privilegio Originale da me letto è il podere delli Signori Ceramelli.

S. Maria di Materdomini Chiesetta di San Pastore Segue la descrizione ossia catalogo delle Chiese costrutte:

2) S. Pastore, compresa nella fabbrica del suddetto Convento14. 3) S. Maria Mater Domini15.

14

Vedi foto a sinistra 15

Vedi foto a destra

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4) SS. Annunziata e suo spedale16.

Sin dal tempo della costruzoione della Saponara pensarono i fondatori all'ospitalità per ogni sorta di persona e per soccorso di poveri bisognosi edificando con ciò quattro luoghi distinti, e separati, cioè questo che abbiamo detto situato fuor le mura della città verso ponente sopra il suddetto convento di S. Francesco, il 2° di sotto col titolo di S. Antonio da Padova17, con buone abitazioni sito davanti lo stesso convento oggi poco men che cadente;

Chiesa dell‟Annunziata o di S. Zaccaria Chiesetta di A. Antonio di Padova

il 3° sotto il titolo di S. Margherita oggi nominata il Crocifisso18; ed il 4° sotto il titolo di S. Pietro19, quella chiesa

prima costrutta per parrocchia; dotandoli di rendita considerabili. Nell'anno 1545 ad istanza della Università la quale si era la padrona, si unirono restando solo quello già detto dalla SS. Annunziata siccome dalla Bolla che sta nell'archivio della Collegiata quale "porta il peso di allevare gli espositi, soccorrere li poveri ed anche dare qualche somma per maritaggio di povere donzelle”20.

Poiché eravi una Statua di S. Antonio per farla stare con maggiore venerazione si diede ai padri del suddetto Convento, a chi si contribuisce libre otto di cera bianca ed altre cose per la di lui festività; la quale è di precetto come Padrone della Saponara mediante istrumento rogato per mano di Notar.(nel manoscritto è omesso il nome)

16

Vedi foto n° 25. La chiesa fu detta successivamente di “S. Zaccaria” (in dialetto Sand‟ Saharij). Nel giardino dietro la chiesa da tempi remotissimi avveniva il rito magico-religioso dell‟Annunziata per i neonati affetti da ernia. Esso cosisteva nel far passare da parte di due Padrini (i “cumbar”) attraverso un giovane arbusto di olmo, spaccato in due, il bambino che sarebbe guarito recitando la formula “Maronna ra‟ Nnunziat‟/passa cumbar‟ ca si sanat‟”. 17

Non conosciamo ove fosse l‟esatta posizione. Probabilmente potrebbe essere quel rudere, poi adattato a casa colonica, di fronte al cimitero. 18

Nei pressi della cava di arena in contrada S. Sebastiano. Non resta alcuna traccia. 19

Vedi foto n° 8. In contrada Spineta. 20

La struttura oltre ad accogliere i neonati abbandonati che venivano lasciati nella famosa “ruota di legno” che girando, si apriva la notte, ospitava anche gente bisognosa. Fungeva anche da Ospedale vero e proprio, ove esercitò, come ci informa il Caputi, il chirurgo Felice Siciliano. Contribuivano al funzionamento della istituzione i Comuni di Armento, Marsicovetere, Moliterno, Sarconi e Moliterno. La fusione delle 4 strutture summenzionate, ci informa il Caputi (op, cit, pag,191), venne effettuata dal Sindaco Roberto de Danio, dagli eletti Antonio Giannone e Felice Siciliano e dal Governatore dei beni dei Sanseverino Terenzio Ceramelli.

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5) S. Giuseppe21, costrutto dall'Ec.mo Sig. D. Carlo (Maria) Sanseverino unito al di lui palagio fuori le mura, allo

steccato. 6) S. Sofia22 la natività di nostra Signora Reparata. 7) S. Donato23, della magnifica Università come anche la predetta S. Maria di Loreto24, eravi una piccola

cappelletta in lamia fu poi ampliata la Chiesa in mediocre grandezza capace di quattro altari, due per ciascheduna parte, dello stesso Ec.mo Sig.(ndr. Carlo Maria Sanseverino) il quale vi fondò un Benefizio di annui ducati venticinque. 8) S. Nicolò di Bari25 oggi scoverta e diruta che si stima quel Casalino (rudere) dietro la suddetta Chiesa.

Tavola pittorica con S. Nicola di Bari Cm 121x42 (particolare)

S. Maria di Loreto, oggi “Clemenza”

9) S. Matteo26, costrutto in piccola cappella dai sig.i Conti della Saponara. 10) S. Michel'Angelo, costrutto dal riferito Sig. Abbate Giannone seu Barba, unita con quella dello Spirito Santo27.

Tutte queste cinque chiese, sono nella cima seu cresta del Colle della Saponara, per linea retta verso mezzogiorno, da dove calando in giù in un poco di piano, fu costrutto:

21

Potrebbe identificarsi con l‟attuale cappella dei Giliberti. 22

Se ne ignora lubicazione. 23

Idem come sopra. 24

Oggi è detta della Clemenza. (Vedi foto a destra) Ad essa venne annessa un‟Abbazia cui venne preposto nel 1704, per meriti musicali, dal Principe Carlo Maria Sanseverino l‟Abate Bonifacio Pecorone. La sua festa solenne si celebrava il 25 Maggio con pubblica fiera della durata di 5 giorni, Cfr. “Memorie dell‟Abate don Bonifacio Pecorone”, Napoli 1729, pagg. 24-25. 25

Se ne ignora l‟ubicazione. Se è quella cui il Ramaglia accennava precedentemente “benefiziale del Capitolo e del Sig. D’Ambosio” si trovava dietro alla Collegiata. Da questa Chiesa proviene, molto probabilmente la tavola pittorica che rappresenta S. Nicola di Bari di cui alla foto a sinistra. Sbaglia Vittorio Savona (vedi più avanti, “Restauri in Basilicata, 1998)) a dire che tale opera apparteneva allo stesso polittico dell‟Ascensione di Gesù che trovavasi nella Cappella Sanseverino dei Francescani Conventuali, in quanto l‟immagine di S. Nicola non è menzionata dal Ramaglia. 26

Se ne ignora l‟ubicazione. 27

Nell‟attuale Palazzo Di Lorenzo, di fronte alla Caserma Carabinieri.

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11) Convento e Chiesa de’ PP. Cappuccini28, sotto il titolo di S.S. Filippo e Giacomo, et edificato nel 1555,

siccome appare dalla iscrizione scolpita in un marmo fabbricato al muro del comitajo per dove si va alla cucina con queste parole.

D.O.M. Hoc C. M.F.M. Capucc. Erec. F.A.D. 1555. Renov. 1629.

Può dirsi senza iperbole, un Gioiello della Provincia nella quale, siccome istessi Padri han confessato; rispetto alle montagne non esservene migliore, così nel sito come positum e ordine delle stanze.

Convento francescano dei Frati minori Cappuccini

Evvi una famosa libreria in buona parte antica del Convento, il dippiù lasciati dal suddetto, sig.r D. Carlo Danio di

grandissima considerazione di valuta di più di migliaia di scudi. Nella chiesa senza verun dubbio, chi si entra resta stupito della di lei vaghezza, spirando serenità di una vera

religione, nonché di paradiso e lunga palmi 65 con il Coro; larga 25. Evvi su dell'altare maggiore una bellissima cona di legname, che se ben senza oro l'artefice però l'ha in tal fatta guisa colorata, che non vi è altro desiderabile. In mezzo, in un gran quadro di pittura in tela osservasi in cornu Evamgelii la figura della Beatissima Vergine che in un fazzoletto bianco porge il bambino Gesù a S. Felice cappuccino che genuflesso le stà avanti, ed in cornu Epistolae le Immagini de SS. Apostoli Filippo e Giacomo, quasi che, meravigliati tra loro, discorrono di questo fatto, ai lati vi sono le figure di S. Francesco e S. Antonio, a man sinistra della Chiesa vi sono due cappelle sfondate, una di S. Antonio, l'altra della Pietà, con una piccola cona, con di dietro la statua dell'Ecce Homo, di sopra e di sotto della B.V. della Pietà, e questo altare è privilegiato in perpetuo in ogni giorno per la liberazione di un'anima del Purgatorio, per ogni messa che vi si celebra ed in mezzo queste due cappelle è un altare con una cona di legno colla statua di S. Rosa da Viterbo.

Né deesi tralasciare in silenzio che nel di lui giardino, gli anni passati dal M.to Rev.Prov. Angelo da Moliterno di eterna memoria per i grandissimi benefizi fatti a questo Convento si costrusse una grandissima cisterna profonda palmi 332, lunga 42 e larga 24 della di cui acqua si servono i frati per uso di adacquare oltre di esservene tre altre per uso del Convento.

28

Vedasi foto nella pagina.

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Calandosi poi in giù anche verso mezogiorno poco discosto è la 12) Chiesa di S. Antonio Abbate29, un tempo convento, anzi per tradizione Monistero, per la quantità delle

fabbriche in essere e cadute; di rendita circa 70 scudi e più. 13) S. Biaggio30 discosto dalli Cappuccini verso ponente, della magnifica

Università. 14) S. Lionardo31, dove è la vigna di Pecorone, del convento di S. Francesco. 15) S. Spirito, verso Moliterno32, diruta. 16) S. Lucia, alla ripa del fiume Sciagura, con pochissima rendita, un tempo jus

padronato della riferita signora Isabella Gesualdo, sui lasciti al Capitolo della nostra Colleggiata nel suo codicillo stipulato per mano di Notaro Tommaso Novellino di Casal Nuovo nell'anno 1628. 17) S. Maria delli Martiri33, nella contrada Camarelle con pochissima rendita della Mg.ca Università; oggi ceduta al Vescovo. Questa è mediocremente grande, però, anticamente era una piccola cappelluccia, la quale con la costruzione della nuova fu inclusa in questa. Chiesa di S.Antonio Abate

Meraviglia di certo apportar deve la Cappelluccia eretta come si suppne nella chiesa grande poiché si stima che eretta la piccola in lamia larga palmi nove e mezzo, e lunga palmi sette e mezzo con un piccolo altare e l'efficie della Beatissima Vergine dipinta nel muro, con altre pitture attorno delle grazie dispensate dalla madre di Dio per mezzo di quella sacrosanta effigie e concorso dei divoti si fabbricò poi la chiesa grande di palmi 27 e mezzo di larghezza e lunga palmi 24 e mezzo racchiudendo nella di lei ambito e circonferenza la suddetta Cappelluccia e facendola restar fuora come si veggono le altre ed unitamente alla Chiesa si fabbricarono molte stanze per commodo dei forastieri devoti e dell'Oblati o sian romiti custodi della Chiesa, ma poi la stessa madre di Dio per qualche difetto fè cortare la divozione oggi è senza culto e le cose cominciate a cadere. 18) S. Caterina34 dicesi delli Petilli, famiglia nobile antica della Saponara estinta, sopra la nuova S. Lucia verso

levante, ben grande, diruta. 19) S. Maria dell'Abbondanza35, eretta nel 1600 dal fu N.r Gio. Donato Dario; e dotata di congrue rendite e poi donata al suddetto Capitolo che ne porta il peso.

29

Il convento era antichissimo, coevo a quello di San Giuliano (VI sec). La chiesa subì varie ristrutturazioni: la più antica quella del 1701 a spese del Canonico Angelo Preziosi, una seconda volta dopo il 1857 e una terza volta con i fondi del sisma del 1980. 30

Della Chiesa non residua alcunchè. Ha dato il nome alla contrada ove c‟è l‟abbandonato mattatoio comunale, oggi in via di ristrutturazione. 31

Se ne ignora l‟ubicazione esatta. Ha lasciato il nome alla contrada di “Sand‟Linard” 32

Ove si nota attualmente la cava di arena concessa al sig. Di Nuzzo di Moliterno. 33

E‟ una delle testimonianze dell‟insediamento basiliano in Val d‟Agri insieme al Convento di S. Giuliano. Lo stesso nome della contrada Camarelle lo indica chiaramente (da Kàmara=cella) 34

Dovrebbe essere la cappella di S. Lucia ristrutturata negli anni „60 35

Vedasi foto pagina successiva. All‟interno figure a colori di Vescovi o Santi. Sull‟altare una scritta che fa intravvedere il nome del fondatore Notaio Giovanni Donato Danio.

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20) Macrina36, per linea retta sotto la suddetta cappella sopra il fiume

Sciagura, diruta: fu sorella di S. Giuliano, come diremo, si ebbe in venerazione in quei tempi, così anche la chiesa di S. Fantino che pure fu Monaco della stessa religione e se ne fa mensione nel martirologio a 30 agosto. 21) S. Giovanni37 a Sciagura nel Ponte di mezzo, diruta. 22) S. Marco nella contrada degli Archi38, beneficiale del Capitolo. 23) S. Vito39 nella contrada di Maglia fiume, diruta. 24) S. Caterina40 nella valle della città, diruta. 25) S. Pietro41 nella contrada della Spineta, ora nell' ospedale detto di S.

Pietro come si disse ora unito con quello della SS. Annunziata.

Santa Maria dei Martiri

26) S.Maria Assunta42, nelle rovine della città di Grumento di buona rendita Badiale della Mensa Vescovile di

Marsico. 27) S. Laviere43 nel luogo già noto del fiume Acri e Sciagura, pur anche badiale della stessa Mensa.

S. Maria dell‟Abbondanza

36

Se ne ignora l‟ubicazione. 37

Si trovava forse vicino al mulino di Sciaura “Molinendum Sancti Joannis” di cui parla Roberto de Romana (autore della Vita di S. Laverio) la cui metà venne donata alla Chiesa Collegiata dallo stesso De Romana. Cfr. Racioppi, op. cit. “Documenti, ecc.” 38

Vedasi foto n° 32. Detta Basilica di S. Marco. Chiesa precristiana ove è stata ritrovata qualche anno fa, in occasione della costruzione del Museo Nazionale,una stipe votiva con statuette fittili e monete. La contrada era detta “Degli archi” per le arcate dell‟acquedotto romano che ivi passava, per approvvigionare la vicina Grumentum. 39

Se ne ignora l‟ubicazione. 40

Idem come sopra. 41

E‟ stata menzionata precedentemente. 42

Menzionata in precedenza. 43

Vedi foto n° 32. Costruita presumibilmente fra il 330 e il 360 d.C., alla confluenza dei fiumi Agri e Sciaura, venne ristrutturata nel 963 da S. Luca Abate, proveniente dalla Sicilia. Dopo il terremoto del 1857, danneggiata, venne fatta ricostruire da Francesco Maria Ciano, Priore della Certosa di Trisulti.

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Ruderi Basilica di S. Marco Chiesa di San Laverio 28) S.Cataldo44, nella contrada di Ponte pagano, nella ripa del fiume Acri, Badiale del Capitolo. 29) S. Arcangelo45, dentro del Bosco dell' Aspro, del Capitolo, diruta. 30) S. Giorgio46, nella Foresta, diruta. 31) S Maria47 nella contrada Grumentino, della quale ne faremo memoria altrove al cap. 56 Fol. 627. 32) S. Giacomo, ov'è la chiesa diruta di S. Francesco, che di sopra si è mentovata, diruta. 33) S. Pietro nel suddetto luogo, diruta. 34) S. Sebastiano48 della Mag.ca Università, questa era piccola Cappelluccia con volta di lamia con atrio coverto

davanti, venne in pensiero al Mag(nifi)co Gennaro Vertunno, Padrone del terreno dietro la cappellotta, di ampliarla o ridurla in miglior forma, la fè demolire a quel che poi si udì, fu perché teneva per certo che nell'Altare si nascondeva un gran tesoro, devastato il tutto ed osservato e nulla trovato, restò confuso appena fè rifare la cappellotta poco ampliandola per non dare a divedere il fine avuto, ma bensì conobbe della lentezza di farla rifare. 35) S. Maria delle Grazie49 per linea retta sotto la suddetta cappella vicino al fiume Sciagura.

Di questa Chiesa è culto della Beatissima Vergine soto questo titolo vi sono due antiche tradizioni, una riferitami dal suddetto signor D. Carlo Danio cioè, che un uomo della terra di Armento, o altra ivi convicina, ammalato per molti anni di un morbo incurabile, raccomandandosi alla Regina del Cielo, di continuo la pregava del suo soccorso in quel suo penare, ma dopo molto tempo fu già esaudito, poiché in sogno ebbe un avviso, che se libero esser voleva, condur si facesse nel territorio della Saponara e additandoli il luogo eravi un piccolo fonte ossia pozzetto d'acqua, ivi

44

Ne ignoriamo l‟esatta ubicazione. 45

Idem come sopra 46

Ne ignoriamo l‟ubicazione. “La foresta” è il bosco che trovasi sulla strada provinciale Villa d‟Agri-Grumento N. sin quasi al ponte di S. Vito. 47

Trattasi del Santuario della “Salus infirmorum” o “Madonna del Grumentino”. 48

Vedi foto pagina successiva. Vicino alla Cava Cervino in contrada Cerreta. 49

Vedi foto pagina successiva. Attualmente a sinistra della strada che porta dalla Nazionale 103 agli scavi di Grumentum.

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scavato avesse, poiché avrebbe rattrovata una piccola figura della Beata Vergine, l'avese tenuta in venerazione e col bere e bagnarsi di quell'acqua, avrebbe riacquistata la salute.

Andò con prontezza quel divoto di Maria, anzioso di ottenere la perduta sanità, e rattrovato il luogo additatogli ed eseguendo ciò che era stato prescritto, rattrovò nel pozzetto50 una piccola statuetta alta circa un palmo di marmo bianco di essa B.ma Vergine col Bambino Gesù in braccio e di vantagio vi trovò un piccolo campanello di metallo e bevendo e bagnandosi di quell'acqua recuperò la bramata sanità.

Uscita la fama di sì portentoso successo, accorrendo al luogo e volendo mostrarsi grati alla Gran Madre delle

Cappella di S. Sebastiano alla Cava Chiesetta Madonna delle Grazie

Grazie, di avegli additato un luogo ove loro avesse dispensate quelle grazie che chiedevano, in un subito

edificarono una piccola cappelletta, lunga palmi 16 larga palmi 12, alta 10, in volta di lamia, facendo sì che avanti l'altare e sotto la predella restasse l'adito per il pozzetto, siccome in atto oggi si osserva, erigendo in un nicchio del muro sull'altare l'effige di stucco della B.ma Vergine in atto di sedere col Bambino Gesù nel braccio destro e la sinistra mano nella mammella51 e quella figura trovata nell'acqua, ora si divisa in una finestrina sopra la suddetta cappella bene adornata ed il campanello a muro.

E' incredibile l'udirsi l'infinità delle grazie che a larga mano la Gran Madre di Dio dispensava ai suoi divoti, che accorrevano al nuovo luogo dimodocchè crescendo di giorno in giorno la fama, e con questa la divozione, e con donativi e lemosine, vi costrussero i Saponaresi una magnifica chiesa, con ai lati quattro Cappelle in volta di lamia, con gli altari ed effigie della Beata Vergine del Carmine, della Neve, del SS. Rosario, di S. Vito, seu SS. Crocifisso, lunga detta Chiesa palmi 37, larga 20. Le Cappelle larghe 11 palmi, lunghe quanto è la nave, la sinistra palmi 12 larga 10. E non meno sopra le lamie della chiesa che a lato sufficientissime abitazioni di case non meno per l'obblato che per

50

Il pozzetto ove fu trovata la statuetta miracolosa esiste ancora. 51

La statua attualmente presenta una profonda scheggiatura al ginocchio sinistro della Vergine. A tale ferita inferta al simulacro è legata la leggenda locale che un gruppo di soldati italiani, durante la seconda guerra mondiale, per sfuggire all‟assedio di tedeschi, non avendo più polvere da sparo, la fabbricarono scheggiando la statua.

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i divoti, che di continuo in gran numero accorrevano per soccorso adempiendo i loro voti e promesse e con torchi di cera bianca e con altri segni delle ricevute grazie, che sino al 1724 si sono visti tarlati ed anneriti alle pareti che poi fu levati via.

Ma siccome nei principi dell'invenzione eravi grandissimo il concorso e la divozione non meno di convicini che lontani paesi, così raffreddandosi a poco a poco si è in siffatto modo ghiacciata la

venerazione e concorso, infangata vieppiù nella sordidezza dei vizi che affatto si è smesso il divoto concorso e pochissimi son coloro dei forastieri che vi accorrono. La festività è stata solito celebrarsi alli 11 di giugno giorno in cui la chiesa celebra quella di S. Barnaba e non additata di qualche altro giorno di festività, in quel giorno si sollennizza tanto solenne processione, ma, come che si celebra la festa del suddeto S. Barnaba che è doppia, non si indice la messa di S. Maria, ma del Santo.

L'altra tradizione si è che andando certi uomini a mietere nelle parti della Basilica disperdendo la Statua, la notte stiedero vicino il luogo ove ora è la chiesa e nella mezza nota risvegliatisi videro un gran lume ed avvicinatisi trovarono la piccola statuetta sopra un albore che additandola poi la mattina ai Saponariensi edificarono ivi la suddetta cappelletta e poi la chiesa grande.

Egli però è certo che qualunque da cristiani si sia mancata la venerazione la Vergine SS. Madonna delle Grazie

però da sua parte, come Madre di Pietà e Clemenza non si è cessata giammai

consolar quei devoti che con vera fede la invocano e si conducono quivi a venerarla, del che noi Grumentini possiamo benchè indegni, chiamarci felici, poiché non vi è persona che non riceve quella grazia che domanda, purchè uniforme al Divin volere; e l'infermi si stimano all'in tutto sani, se arrivano a bere dell'acqua di sopra enunciata, che anche dai forastieri si porta nei loro paesi.

Né posso qui tacere portento accaduto ad alcune persone di Moliterno nel mese di maggio 1733 poiché essendo venute alla gran Madre SS. con una fanciullo storpio ed inabile affatto, a poter camminare dopo essersi nella cappelletta trattenuti qualche tempo a far orazione il fanciullo domandò a bere e sapendosi esservi il pozzo, calarono lì un secchietto ma si trovò essiccato in tal maniera che nemmeno una goccia venn'era, tantochè il povero fanciullo brucinado di sete, cominciò a piangere dirottamente e non essendo per anche l'obblato nelle sue stanze, la povera madre non sapendo che si fare, si voltò alla madre universale che l'avesse dato il suo aiuto.

Incontinente si vide uscire un rigoletto d'acqua dalla banda sinistra dell'altare, e scorrendo visibilmente, restaronne tutti stupefatti, e facendo bevere al figliuolo, in un subito questi fu reso sano e libero dal suo male, e si vide in siffatta guisa ben tosto mancata ed essiccata l'acqua, che nel pavimento non compariva nemmeno segno di umidità; dopo di che nel mentre stavano quelle divote per ritirarsi alla loro patria ripiene di un sacro amore e consolazione, sopraggiunse ivi il Rev.do Sig. D. Giuseppe Canonico Caputi Santelmo, al quale mostrarono e raccontarono il portento e la grazia ricevuta e dal medesimo a me fu riferita per futura memoria dei posteri. Il luogo poi dove era il pozzo e dove si edificò la cappella e poi la chiesa e le case adiacenti era della famiglia Cardinale, la chiesa restò in jus patronato della

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medesima famiglia, laonde nell'anno 1546 Martino Evangelista Petrillo e Masella Cardinale a primo ottobre cederono il suddetto loro jus patronato ai frati e Convento di S. Francesco di Saponara,

con patto siccome i suddetti promisero presentare in cappellano un padre della famiglia predetta; che pro tempo dovea essere in detto Convento e ricevere in frate R° D. Guglielmo Cardinale, figlio di detto Evangelista e di vantaggio promisero i detti frati e padri del Convento difendere li suddeti Cardinale dalle molestie che si vantava volere inserire sopra detta chiesa D. Giliberto Rivello, con istrumento rogato per mano di Notar Giulio Russo.

E con effetto insorta la lite per parte di Rivello e guadagnatala, cedè il suo jus patronato al Capitolo della nostra Colleggiata nel 1549, e da quel tempo ne è stato in pacifico possesso e ne tiene pergamena nell'archivio52. Siegue il catalogo delle chiese. 36) S. Margherita oggi detta Crocifisso53, sopra quella di S. Sebastiano. 37) S. Pietro54 sopra la Fontana di S. Vito alla Torretta, diruta. 38) S. Nicola55, vicino il ponte di S. Vito, è del Capitolo, diruta. 39) S. Stefano Protomartire56, in confini del Territorio della Saponara e Marsiconuovo, sotto il Cozzo della Piana Paradiso di Monticello, Badiale del Capitolo, il quale ne celebra la festività nella invenzione del Santo, con andargli a Cantare Messa.

Chiesa di S. Stefano Cappella di S. Michele Arcangelo ai Rungi.

40) S. (Michele) Arcangelo57 nella contrada delli Rungi nella contrada di detto Santo anche del Capitolo, diruta.

52

Pergamena n° 16 (Cfr.Valeria Verrastro ”Le pergamene della chiesa collegiata di S. Antonino martire di Saponara” pag. 81). 53

Non è rimasta alcuna traccia. Vicinissima alla cava di arena Cervino. 54

Se ne ignora il sito. 55

Potrebbe trattarsi della cappella che poi cambiò il nome e si chiamò di S.Vito. 56

Al confine del territorio di Tramutola, nella tenuta agricola del Notaio Vomero di Viggiano. Vedasi foto a sinistra nella pag.

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41) S. Maria di Monserrato58, in un colle chiamato Monte Castello, del Capitolo, ed unita coll'altare sito nella

Colleggiata, cui si governa colle sue rendite particolari e il Capitolo vi esca il Procuratore in detta chiesa vi sono sei altari oltre del maggiore, però non tutti adobbati con sacri suppellettili; si celebra una solenne festività due volte l'anno, cioè la sua statua ben acconcia in una sedia si porta dai Confratelli59 con solenne processione nelle feste di Pascha di Resurrezione e poi vi si va trattenere sino

all'ultima domenica di agosto nel quale giorno si riporta pur con solenne progessione nella Colleggiata ove il suo altare siccome dirassi è distante dalla Saponara detta chiesa più di due miglia.

Chiesa di Monserrato Romitorio per pellegrini

42) S. Elia60 della Mag.ca Università tenendosi questo Glorioso Santo Profeta per intercesso presso S.D.M. per il

bisogno dell'acqua in tempo, che non piove; a quel effetto il Capitolo celebra tre processioni, due a spese dell'università. 43) S. Lionardo delli Petitti61, diruta. 57

Vedasi pag. precedente a destra. La cappella fu successivamente ricostruita ed in tempi recenti restaurata dalla famiglia Zambrino di Moliterno, che ne è proprietaria. 58

Vedi foto nella pagina. La Chiesa vennne edificata nel 1582 anno in cui l‟Arciprete Ettore dei Giliberti importò, tramite l‟omonima chiesa di Napoli, il culto catalano della Madonna spagnola di Monserrat. Danneggiata più volte dai terremoti del 1713 e 1857 venne ricostruita in dimensioni ridotte. Dietro alla struttura si notano, ancora oggi, i ruderi di un romitorio ove trovavano asilo i forestieri e i componenti della Congrega degli Alabardieri la cui divisa era di foggia spagnola e con i colori verde e oro. 59

Trattasi della “Congrega degli Alabardieri”. Si è tramandata sino ai giorni nostri la consuetudine di portare la Madonna al Monte durante il Martedì di Pasquetta e di andarla a ritirare l‟ultima Domenica di Agosto (festa della “Maronn” r‟Aust”) 60

Vedi foto pag. successiva. Il rudere della chiesetta (mt. 5x6, con nicchia di cm. 95x45) si trova in contrada S. Giuliano. E‟ sita sulla collinetta sottostante, in direzione nord, al Santuario della Madonna di Monserrato, a sinistra del fosso Giliberti. S. Elia era il Patrono della pioggia e in caso di siccità gli abitanti di Saponara portavano la piccola statuetta nel sottostante fiume Agri ove veniva immersa per propiziarne un‟abbondante caduta. In quella zona i ragazzi andavano a raccoglier i “capidd’ r’ Sandu Lia”, una sorta di graminacea (che cresce in luoghi ventosi) della quale se ne facevano mazzetti chiusi alla base da un contenitore di stoffa pieno di cenere. Quest‟ultimo veniva bagnato e i ragazzi lo lanciavano in alto e per farlo atterrare sulla stessa base esclamavano: “Capidd’ r’ Sandu Lia, assett’t tu ca m’assett’ ij” (Capelli di S. Elia, sedetevi voi che mi siedo anch‟io).

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44) S. Leone volgarmente detto S. Leo, nella vigna dei Sig. Giliberto della Sala, nella contrada del Pozzo62, diruta. 45) S. Maria del Carmine nello stesso luogo. 46) S. Maria della Spica63, cioè la Visitazione, fuor della Porta di S. Martino. 47) S. Rocco fuor la porta chiamata di S. Laviere. 48) S. Maria di Costantinopoli64, fuor la porta di S. Fantino, tutto della Università. 49) S. Maria di Loreto65, nella contrada pur delli Rungi vicino la chiesa di S. Giuliano quale descriveremo eretta

per comodo proprio della famiglia Giannone, oggi Pennella e Muscettola. 50) Ed alla fine S. Giuliano66 vescovo nella suddetta contrada delli Rungi oggi di S. Giuliano.

Questa chiesa col suo Monastero de' Basiliani a quello unito fu costrutta67 da Giuliano Patoma vescovo di Grumento a dal quale si fa menzione negli atti di S. Laviere.

Ed in questo Monistero pur dimorò S.Luca Abbate, il cui corpo si conserva nella Chiesa Madre della Trinità di Armento in provincia di Basilicata e si ha dalla storia Carbonese di Paolo Emilio Santoro, laonde può considerarsi qual rendita fosse stata assegnata dagli abitanti di Grumento ed attorno suddetta chiesa si veggono gli avelli dei cadaveri ove si seppellivano secondo l'uso antico.

Ma poi soppressi dalla sede Apostolica gran quantità di simili Monasteri patì Ruderi della chiesa di S. Elia (Contrada S. Giuliano)

ancora costui lo stesso infortunio se pur non fu distrutto, non avendosene certezza e quelle poche rendite che erano in Saponara cioè una quantità di territori (assegnate) alla stessa Santa Sede Arcivescovile di S.Maria di Nazareth costrutta nella terra di Barletta.

61

Questa famiglia occupava nel Seggio dei Nobili il 6° posto a sinistra dei Sanseverino. Antonio Petitti fu Vescovo di Marsico intorno all‟anno 1484. 62

Questa contrada corrisponde alla attuale località della Madonna del Carmine al rione Mancoso. Detta così perché ivi sgorgava una abbondante polla d‟acqua. 63

La porta di S. Martino si trovava all‟imbocco del Mancoso, sotto la casa del defunto dott. La Rocca. 64

Vedi Cap. V, § 2, ove è detta di S. Fantino. 65

Se ne ignora l‟esatta ubicazione. 66

Se ne ignora l‟esatto sito. Il Racioppi (Cfr. op. cit. pag. 139) la colloca in un luogo detto di S. Maria della Pietra. Agli inizi del „900, come afferma il Caputi (op, cit. pag. 164) le rovine della chiesa erano ancora visibili ed egli le misurò: composta di tre navate larghe palmi 8-14-8, la lunghezza di palmi 33 67

Si stima intorno al 550.

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Il Collegio e Capitolo di Saponara procurò in tutti i modi aver questa chiesa e suoi territori, rimasta diruta col solo nome di Grancia e con effetto l'ottenne molti anni in affitto dagli Arcivescovi di Nazareth.

Succedute poscia le calamità delle guerre con i francesi l'accennata chiesa di Barletta fu distrutta e poi riedificata. Ma per difendere la terra dalla infestazione dei Turchi per ordine del vice Re di Napoli, suoi deputati ed officiali, fu

all'istrutto demolita. Alla fine sedate le procellose tempeste, l'Arciverscovo di quel tempo, volendo riedificare la sua chiesa titolare e non bastandoli le rendite delle sue messe, né avendo altro modo, ottenne dalla S. Sede circa l'anno 1540 in tempo di Paolo III Sommo Pontefice il consenso e facoltà di poter alienare i beni stabili meno dannosi alla mensa predetta e con tale licenza vendè al Collegio (ndr. di Saponara) la Grancia suddetta con i suoi territori e

rendite ricevendo per una vice solamente il prezzo di ducati 154, e con questo titolo di compre il Collegio possedè pacificamente per molti anni la Grancia suddetta.

Nell'anno poi 1581 essendo arciprete della nostra colleggiata don Ettore Giliberto, l'Arcivescovo di Nazareth di quel tempo, parendoli esser stata alienata la suddetta Grancia per poco prezzo, ricorse nella Sacra Rota Romana per la scissione del contratto ex capite laesionis e fatto notificare il Monitorio al nostro colleggio, questi mandò lo stesso D. Ettore in Roma per le difese della causa68.

Ma alla pur fine dopo vari contratti e trattati estragiudiziali venne ad accordo con l'Arcivescovo; cioè di restituire alla mensa la Grancia, senza farsi mensione del denaro pagato prima, con condizione, che si fosse data poi allo steso Colleggio ad annuo canone perpetuo di ducati 14, che avesse restaurata la cennata chiesa di S. Giuliano atta a posteriori a celebrare la S.Messa e che ogni anno nella di lui festività, vi fosse andato a cantar Messa e Vespro ed acciocchè questo accordo avesse avuto stabilità ne fecero spedire assenso apostolico sotto li 5 genaio 1582, apparendo dalla pergamena ben grande nella quale si racconta tutto il fatto, che si conserva nell'archivio come siegue:

"Gregorius Episcopus Servus Servorum Dei. Venerabili fratri episcopo Anglonem, et dilecto filio Archidiacono Ecclesiae Anglonem, salutem et apostolicam

beneditionem. His, quae pro Ecclesiarum quarum libet commodo et utilitate provideo facta fuisse dicitur, ut firmiter et illibata

persistant, libenter cum a nobis petitur apostolici mandamus adduci muninus firmitatem. Dudum si quidem a felice record. Paolo Papa III predecessore nostro contonanunt litteras tenoris sequentis. Paolus Episcopus Servus Servorum Dei ad perpetuam rei memoriam. Cum in omnibus iudiicis sit rettitudo iustitie

et

68

Nella lite contro l‟Arcivescovo di Nazareth (Barletta) i Preti di Saponara nominarono Procuratori Don Bernardino Giliberti e Don Baldassare Falasca. Di ciò ne resta traccia nella Pergamena della Collegiata n° 18 del 15 Ottobre 1562 (Cfr. V. Verrastro, op. cit., pag. 240).

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coscientie puritas observanda in multis, magis in commissionibus alienationem verum Ecclesiarum convenit observant, in quibus dicti patrimonio et dispensatione pauperum, non de proprio meoque peculio agitur, aut trattatur.

Quam propter asportat ut in examinandis huius modi alienationem campis, quem a sede Apostolica in forma in evidentem visitam cedit, onoratis ecclesiasticorum iudicium conscientis delegatur nihil favor usurpet, nihil timor extorqueat nulla expectatio premiis iustam, conscientiamque subvertat. Monemus igitur, et sub intermisione divini iudicii omnibus commissariis, et delegatis huius modi distincte praecipimus ut cautem, et diligenter attendant causas in litteris Apostlicis per supplicantes expressas illasque sollicitem examinent atque discutiant, testes et probationes super narratorum unitate recipiant, et solum Deum pro oculis habentes omni timore et favore depositis, Ecclesie indemnitatibus consulant nec in sessionem et detrimentum carum deo erectum quomodolibet interponant. Si quis autem Commissarius, aut Delegatus, conscientie sue prodigus in gravamen aut detrimentum Ecclesie, per gratiam timorem vel sordes, alienatione consenserit aut decretum vel authoritatem interposuerit inferior quidem Episcopo sententiam excomunicationis incurrat. Episcpo vero aut superior ab executione officii per annum noverit se suspensum ad extimationem detrimenti Ecclesie illati nihilo minus condemnamus, sciturus. quod si suspentione durante damnabiliter se gesserit in divinis irregularitatis laqueo se involvet, a quo non nisi per Summum Pontificem poterit liberari. In vero qui dolo vel fraude aut scienter in detrimentum Ecclesiasticarum alienationem fieri provocaverit, aut per sortes aut per impressionem alienationis decretum extorserit. similiter sententia excomunicationis incurrat, a qua non remissione a Romano Pontifice possit absolvi ad restitutionem nihilominus veram alienationem, cum fractibus quandocumque de permissis constiterit condemneramus. Volumus quod Commissari et delegati predicti deponis constitutionis generaliter specifice moneantur, et in quibus nostris litteris commissionum huius modi hoc statutum nostrum inseratur. Nulli per omnino hominum liceat hanc paginam nostre monitionis precepti, et voluntatis infingere vel ei casu temerario contraire; si quis autem hoc attentare presumpserit indignationem Omnipotentis Dei et Beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incessurum.

Datum Rome apud S. Petrum, anno Incarnationis Domini Millesimo quadricentesimo sexagesimo quinto (1465)69 Mensis Maij Pontificatus nostri primo”.

69

Il primo documento della disputa tra la Collegiata di Saponara e la Diocesi di Nazareth ammonta al 1465. Il 13 Gennaio del 1582 si chiude la vertenza con invito del Papa Gregorio XIII, rivolto a Vescovo di Anglona, a dare il suo assenso all‟accordo intervenuto fra la Chiesa di Saponara e l‟Arcivescovo di Nazareth, Fabio. (Cfr.Valeria Verrastro ”Le pergamene della chiesa collegiata di S. Antonino martire di Saponara” pag. 241, perg. n° 20)

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CAPITOLO VII

SI DESCRIVE LA SITUAZIONE DEL NUOVO GRUMENTO; DICO SAPONARA, CON ALTRE COSE PIU' NOTABILI.

1. Posizione geografica di Saponara

Abbenchè dall'Abb. Pacichelli nel suo "Regno di Napoli in prospettiva" rapportasi la figura in stampa della nostra nuova Città di Grumento, con altre memorande notizie ed al Dr. Giovan Flavio Bruno nella sua storia della vita di S. Antonio e S. Laviere martiri, data alla stampa in lingua italiana in Napoli nell'anno 1597, presso Giov. Giacomo nella di lui Epistola, si descrivono li di lei ottima qualità; nulla, però, di manco, parmi a proposito addurre qui la sua material descrizione per darne più propria la contezza non meno in dilucidazione di quanto gli suddetti han scritto che per compimento del dippiù che da medesimi fu tralasciato, non essendo stato il di loro tema a trattar questa materia.

Circa la fine dunque dell'ampia vasta pianura appellata del Vallo di Marsico Nuovo, per la quale scorre il noto fiume Acri, a mano destra del di lui corso lungi da Marsico dodeci miglia, si erige un Colle che maestoso ne comparisce tra vicini monti, alto circa passi 300, di circuito sulla base circa due miglia, che assottigliandosi a guisa di piramide dilungata, si restringe dappoi nella cima in cotal maniera, che appena in alcune parti veggonsi pochi palmi di pianezza, in parte ridotta dall'arte; in parte col corso del tempo distendendosi questa cresta del colle da mezzo giorno a borea circa passi 300 nella di lui parte settentrionale, ed ove più irto si ravvisa il colle fu costrutto il novello Grumento, dico la Saponara.

2. Il tempio di Serapide, le mura medioevali e le porte.

Siccome si disse poichè in questa parte costrutto era l'antico tempio con torre, dedicato alla Dea Sapona o pur di Serapide1 siccome pur si disse qual nuova città, fu per anche circondata di muri che sin ora si veggono, e si mantengono, con sette porte, cioè nella cima o pianezza del colle, verso mezzo giorno, sta situata una porta chiamata di Corte2 per essere attaccata al Palaggio del Padrone, sieguono nella parte orientale e settentrionale quelle di S. Fantino, S. Laviere e S. Martino, e nella parte occidentale quelle di S. Francesco3, del Pertoso e Portigliola; (tutto l'abitato è lungo circa passi 150, di circuito circa 400).

1 Il Racioppi, nella sua Agiografia di S. Laverio (op. cit.) prende in giro il Ramaglia che riporta come veritiera la notizia dell‟ara

dedicata alla Dea eponima Sapona (moglie del troiano Myento) o alla divinità orientale Serapide. Negli scavi recentemente effettuati con la perizia di consolidamento della Chiesa Madre a seguito del sisma 1980, si è accertato senza ombra di dubbio che a fianco ad essa vi era un tempietto romano (vedi foto n° 41), con ogni probabilità sorto fra il III-IV sec. d.C., dedicato al dio Serapide. Ciò è confortato anche dalla notizia, riportata da Giacomo Antonio Del Monaco nella sua famosa Lettera a Matteo Egizio, che nello stesso punto, ossia a fianco della Chiesa Collegiata, l‟Arciprete Carlo Danio, agli inizi del 1700, aveva rinvenuto un bassorilievo rappresentante il sacrificio di “Maiali, buoi e montoni” (Suovetaurila) (Vedi foto n° 42) che venivano fatti solitamente in onore del Dio Serapide. 2 Vedi foto n° 43. Immagine tratta da Mallet, op. cit.

3 Vedi foto n°44. Chiamata Porta di S. Francesco perché di fronte c‟era il convento dei Francescani dell‟Ordine dei Conventuali,

ove oggi vi è il cimitero. Il popolo grumentino la chiama Falla porta (la porta che fallì) perché attraverso di essa passarono le truppe di Re Ladislao d‟Angiò, al comando del Vicerè Joanne de Trizia che la espugnò nel 1399.

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Nella parte meridionale, ove il Colle s'inclina è costrutto il convento dei Padri Cappuccini, avanti il quale salendosi dai piani osservasi una strada più che agevole per la quale si giunge alla cima del colle, benchè con alquanto di fatica anche con carri e carrozze per cavalli, sin dentro la piazza, essendovi le salite in diverse parte malagevoli, nella parte occidentale poi è situata la Chiesa e Spedale della SS. Annunziata e di sotto le medesime il convento di S. Francesco e nella parte orientale, siccome si fanno comparire dalla figura dell'Abbate Pacichelli. Nell'entrar poi la città, si divisa un ampio largo chiamato lo Steccato fatto accomodare in fabbriche dall'Ecc.mo Principe per uso di

ammaestrare i cavalli; indi a man destra è il di lui magnifico Palaggio e per una ben grande galleria sotto della quale si passa, vi è un lamione e indi successivamente si giunge alla piazza essendovi ad una parte e all'altra della strada molti palaggi di galantuomini.

3. ll Sedile dei Nobili, le famiglie nobili saponariensi e la sede

dell’Università (Comune). Questa piazza comechè de' Nobili, è adorna di pitture nei pareti dintorno con i

sedili di marmo coperti di sopra per difesa delle piogge e lunga palmi …….larga …. (Nel manoscritto le misure non sono annotate)

A man destra si divisa il famoso Sedile in volte di lamia, lungo palmi …. largo …. ed alto circa palmi ……con un cornicione con in mezzo sulla sommità le armi Sanseverine col nome di Lucio Cardinale4 al frontespizio vi sono tre trompese di

marmo una in mezzo sopra l'arco colle armi Sanseverine ed ai due lati le armi della città e cioè di una torre con due ali dalle quali scorrono due fiumi anche di marmo. Quel sedile fu costrutto nel 1520 in tempo di Ugone III Sanseverino, conte della Saponara5.

Porta di Corte

Entro poi si ravvisano i sedili cogli armi degli antichi patrizi Grumentini ed anche forestieri aggregati Saponariensi,

con in mezzo la descizione delle distrutte città di Grumento e della Saponara costrutta, come siegue:

4 E‟ il famoso Lucio Sanseverino, figlio del Conte Giovanni Giacomo IV e Cornelia Pignatelli, in ballottaggio per diventare Papa

nel Conclave del 1623. 5 Conte della Saponara e Barone di S. Chirico Raparo. Figlio di Sigismondo Sanseverino (partecipante alla Congiura dei Baroni

fallita nel 1487) e di Orsula Ursino. Sposato con Ippolita Monti, ebbe tre figli (Iacopo, Ascanio e Sigismondo) che vennero fatti avvelenare nel 1516 dal fratello Girolamo per impadronirsi della Contea di Saponara. Morì dopo il 1532 (non sappiamo con esattezza l‟anno). La sua immagine è dipinta nella pala d‟altare della Chiesa Madre di S. Chirico, da lui commissionata a Simone da Firenze. Vedi foto pag. 67.

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"Hoc nobilium sedile temporum serie collapsum ex principe Carolo de Sanseverino6 huius Regni Barone Hispaniarumque ex prima classe Magno instauratum fuit primo ianuarii 1689. Et omnes has familiae claris natalibus ortae sunt reliquiae precedentes ex vetustissimo sanguine urbis Grumenti condita ex Myento et Sapona, eius uxore, nata Antenoris Troiani ad annos urbe condita, deremptum est a Saracenis , deipara a partu 600 sub Pontificatu S. Pelagii II”.

Qua però devesi avvertire che nelle suddette inscrizioni si fa comparire esser succeduta la distruzione di Grumento sotto S. Pelagio II, Sommo Pontefice, che visse circa gli anni del Signore 580 e non 600 ignari forse degli atti di S. Laviere nei quali apparisce esser accaduta la cennata distruzione sotto il Pontificato di Giovanni VIII siccome di sopra si è comprovato e si legge che a tempo di Pelagio fossero i Saraceni entrati nell'Italia e Regno di Napoli.

A man destra di questa descrizione attorno con sedili semplici vi stanno descritte le armi delle famiglie cioè: Danio, Giliberto, Palazzo, Giannone, Rivelli, Malerba, Cotino, Ambrosio, Perrara, Giordano, Lauria e Padula.

Ed alla sinistra quelle che sieguono: Corsaro, famiglia forastiera venuta nella Saponara nel 1372 come si disse, Ceramelli, Pennella, Zottarelli, Cibelli, Petitti, Pulcinella, Siciliano, Marotta, Danza, Cioffi, Benincasa e Ferro.

Porta di S. Francesco (Falla porta)

Negli pareti laterali in due marmi leggonsi i seguenti epigrammi, cioè a destra quanto (quando) si conta (si entra? errore del copista?):

“Pone modum lacrimis, miseras iam pone querelas, Luce etiam cara carior ipsa mihi.

Nam qui me mittit super celsitudines Olympi mandat ne tutae conficere diu.

Vivit enim Dominus7, quem tu lacrymaris ademptum, Imo aeterna sibi bismodo vita datur.

Nam vitam in coelis dant numina juxta perennem, Orbi in toto fama perennis erit.

Gaude igitur tandem, nec te mortalia tangant, Cum sint (h)aeroi praemia tandem tua.

6 Trattasi di Carlo Maria Sanseverino, nato nel 1644, padre della poetessa Aurora, e marito di Maria Fardella. Fu Preside della

Regia udienza di Basilicata nel 1663. 7 Si parla della morte di Giovanni Giacomo IV Sanseverino, Conte di Saponara, che morì a 44 anni nel 1582 dopo il ritorno di un

suo viaggio nel Salento e precisamente (come ha dimostrato Pasquale Coppola, Cfr. Antologia, 2000) a Ceglie Messapica.

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Iam Ferdinandus adest, en spes fidissima Ferrans8. Hic tibi propitii numinis instar erit. Hic nonnulli pietate secundus, prospiciet rebus temporis in omne inviso. Hoc modo presentem sedem abitabit avidam atque aeterno asilo fama superstes erit.

Ed alla sinistra come siegue: Illa ego, quae alatis nitebar turribus olim, nec fuerat turris celsior ulla mea, Numine 9 quin etiam gemino circumdata felix, Fluminibus cunctis invidiosa fui Joannes primus proh invido fato Jacobus, Quo nemo in toto clarior orbe fuit. At nunc extinto (o dira inclementia fati) Turris ab excelso numine nostra ruit Flaccescunt Alae, nec pulsant aera pennae, Undique me miseram tristia fata premunt Ite igitur mesti , fleteque ad limina cives, Heu sua luctisonis fletibus aula fremit pulsati perveniant, iuvenesque senesque, Nam ego funera hos quoque vota sequar. Quando ab iis Dominus spes maxima nostri, Et fuerunt dolis numina sublapsis.

Stemma medioevale di Saponara (nel giardino Perrone)

8 Si allude a Ferdinando Sanseverino, Principe di Bisignano che sposò Violante, figlia di Jacopo (avvelenato), con la quale si

chiude il ramo maschile dei Conti di Saponara. Si allude altresì a Ferrante, primogenito di Giovanni Giacomo IV e Cornelia Pignatelli. 9 Errore del copista: deve leggersi “flumine”. Difatti nello stemma comunale medioevale dalle ali della torre scendevano due

fiumi: Agri e Sciaura. Vedi foto nella pagina.

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Nella parte esteriore sinistra del suddetto sedile nel muro osservasi altre lapide in cui leggesi scolpito il seguente epitaffio:

D. O. M. Joannes Jacobus Sanseverinus IIII10 Saponarieque Comes qui sine probro et animi labe pientissimeque vixit annis XLIV cuique nihil dum vixit obiectum est, nisi nimia aequitas bonitas clementia et divina quedam liberalitas conditus in divi Francisci aede quocirca si mori benefacti non debent, vivet convexa polusdum sidera pascet. Erexit hunc lapidem acceptorum meritorum memor Saponaria ut posteri admirentur colant et observent.

158311

Al lato sinistro del sedile è la chiesa dedicata a Maria SS. del Rosario, per canto della quale si scende pochi passi ad un'altra piazza piccola destinata per le cose venali12, in cui si vede un bel largo poggio di marmi e superiore pur di marmi coperto d'embrici per difesa delle acque piovane per comodo delle cose venali.

All'altro lato del sedile vi stanno le case dell'Università13 ed in prospettiva tra le suddette cappelle e sedile, per dentro del quale si sale sta situato l'orologio, il quale alle due ore di notte la sera nella replica fa quarantaquattro tocchi; poi anticamente acciò si fosse udito in ogni parte dopo quell'ora non si poteva da chicchessia andar camminando per dentro il paese abitato, pena gravi punizioni.

Ugo III Sanseverino Conte di Saponara (Pala d‟altare Chiesa madre S. Chirico Raparo)

10

Cfr. su questo Conte di Saponara il precedente cap. V, nota n° 8. 11

Vedasi foto a destra di pag. 35. La trascrizione che della lapide fa il Ramaglia è molto scorretta (è sbagliata persino la data di morte: egli riporta 1583 anziché 1582) e non rispetta la disposizione dei righi. Noi crediamo che sia gli errori che la disposizione siano colpa del copista, il quale non doveva essere di Saponara (forse di Moliterno poichè trattasi della copia di proprietà del Racioppi) perché in tal caso gli sarebbe stato facile controllarne il testo. Poiché tale lapide si conserva in uno stato di perfetta leggibilità (applicata al muro di destra della salita verso la Chiesa Madre) ne trascriviamo la dizione corretta: “deo opt(imo) max(imo)/ ioan(n)es iacobus sanseverinus IIII/ saponariae comes qui sine/ probo et animi labe pie sa(n)c(t)issime/ vix(it) ann. XLIIII cuiq(ue) nihil/ dum vix(it) obiectum est nisi/ nimia aequitas bonitas cleme(n)tia/ et divina quaedam liberalitas/ conditus est in divi francisci/ aede quocrica si mori benefacta/ non debent, vivet convexa prius/ dum sidera pascet/ erexit h(anc) lapidem acceptorum meritorum/ (me)mor saponaria/ ut (pos)teri admire(n)tur colan(t) et (ob)servent”. 12

Era la “Piazza della verdura” ove si svolgeva un piccolo mercatino dei prodotti agricoli ed orticoli. Oggi Piazza Cesare Battisti. 13

La sede dell‟antico Comune. Oggi sono le case di Vertunni Dino, Falasca Giuseppina e Laveglia Caterina.

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4. Saponara resa immune e franca da tributi dall’Imperatore Federico II.

Tutta questa nuova città sta in scoscesa, edificata su di un mucchio di pietre laonde malagevolmente può camminarsi per le strade, le quali con arte d'industria degli abitatori veggonsi in qualche parte, alquanto buone.

Siccome si è detto in un promontorio vagheggiano d'intorno sei terre che sono Moliterno, lontano tre miglia, Sarconi, due miglia, Spinoso cinque, diocesi d'Ancolona, Montemurro in diocesi di Tricarico, Viggiano quattro e Marsicovetere sei miglia, tutte e quattro sotto la sede della città di Marsico Nuovo, di cui non si vede l'aspetto, come alquanto in discosto da alcuni monti così anche Tramutola, lontana 6 miglia.

Può dirsi senza iperbole esser stata Saponara la regina di tutti gli anzidetti paesi, patria sempre di uomini virtuosi, che veramente l'han fatta volare con le ali alte… ha meritato sempre esser considerata, non meno nello spirituale che nel temporale, siccome dirassi avanti e non molto tempo dopo la sua edificazione nel 1228 il nostro Colleggio di S. Antonino ottenne da Federico II Imperatore e settimo Re di Napoli privilegio ed esenzione di essere immune e franco dalle imposizioni che tutta via con generalità si riscuotevano nel Regno di Napoli come costi del privilegio accordato nel 1266, nella città di Salerno, che in pergamena molto corrosa e testata dall'ingiuria del tempo, si conserva nell'archivio della Collegiata, sebbene vi manghino molti righi e parti, e lo ho trascritto nel meglio modo che ho potuto14:

"Anno Domini Dei Aeterni, et Salvatoris nostri Jesus Christi, anno ab incarnatione eius millesimo, duecentesimo sexagesimo sesto, et secundo anno regni D.ni n.ri Caroli gloriosissimi regis Neapoli ducatus apulee, et principatus Capue …. Provincia et …. Illustrissimi … die vigesimo secundo mense februarii … die inditione in civitate Salerni. Ante Joannem iudicem civitatis eiusdem presentibus Thommasio Marchisano, Mattheo similiter, et Mattheus de Landan de Salerno testibus subscribentis, ad (h)oc specialiter vocatis et rogatis. Venerunt degnus… et degnus Iulianus presbiteri ecclesiae sancti Antonini de Saponaria et pro parte ipsius ecclesiae, et collegii clericorum eiusdem tres ostenderunt quasdam litteras quondam Domini Imperatoris Federici patentes cerapendenti sigillo eiusdem D.ni Imperatoris munitas qua omni….et eorum continentia talis erat Fredericus Dei Gratia Romanus Imperator semper Augustus Hierusalem et Neapolis Rex comitibus baronibus, magistris justitieratis cum Catapanis Commestabuliae…in diversibus et universis officialibus per regnum Siciliae costitutis fidelibus…primam nostram et bonam voluntatem. Pro parte venerabilis ecclesiae S. Antonini de Saponariae et collegii clericorum eiusdem ecclesiae …..et abblata querela quod vos tam ipsam ecclesiam quam etiam et ministros suos collectos, exactionibus annualis per… procurationibus trahendo ipsos …et secretaribus negotiaris et specialiter ad indictum seculare, nec non aliis vexationibus et molestiis multiplicater offenditis et honeratis. Quod tanto non displicet… quanto ecclesiam ipsam clericos et ministros suos in eorum libertate et rationibus suis volumus conservandos…et induitor(?) per quem…ministros suos domino celebrent sescientes , in justitiis , possessionibus et bonis eorum manu tenere volumus et foveri nec pati possumus, vel debemus, quod ablaliquibus(sic) molestentur expensis et ministribus, sed in eorum libertate, et jurisditionibus, ex commisso nobis regimine conservare fidelitate vestra, sub pena indignationis nostre firmiter, et districte precimus et mandamus editto nostro prefato abituro….clericos et ministros suos cum iustis

14

Poiché il documento trascritto presenta molti spazi vuoti coperti da punteggiatura, la espressione del Ramaglia “lo ho trascritto nel meglio modo che ho potuto” non fa capire se questi vuoti lasciati siano frutto della scarsa comprensione del documento da parte del Ramaglia o da parte del copista.

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possessionibus et bonis suis in nullo decreto indebite aggravantas, omnes libertates et immunitates, quo tempore Regy Guglielmi secundi…haber consueverunt, eorum…conservatis et factis ab omnibus inviolabiliter…et in omnibus iustitiis et rationibus suis sie manutenentis eosdem, quod in nullo de premissis gravaminibus de cetero se sentiant gravatos, et nos et dominatione nostra proinde…premoratam ecclesiam clericos et ministros suos…volumus…protectionibus delibertatibus specialibus…quanto nobis constet parte minime……………………….

Anno Domini nostri incarnationis millesimo ducentesimo vigesimo octavo. Anno Imperii…autem quarto feliciter amen.

Cum autem ipse ostense, et lecte fuissent ipsi presbiteri pro parte predictorum ecclesie et collegii, me…ne ipse libere presterentur casu fortuito et predictum privilegium fragilem sui substantiam aliquatenus lederetur ipsas litteras seu pubblicantas…ipsas litteras insinuandas et pubblicandas ad misi, quas totas , per ordinum et de verbo ad verbum Ego…Salerni Notarius, qui rogatus interfui in hac cartola insinuanda….et meo signo siganvi…Ego Joannes Judex………

+ Ego Thomasius Marchisanus testis sum. + Ego Mattheus Marchisanus testis sum. + Ego Mattheus de Landa testis sum. + Ego qui supra Johannes Judex.

Ottenne di vantaggio la Saponara non si sa da qual regnante, che essendo ella situata, ed ascritta alla provincia

di Principato (ndr. Citra)15 di modochè sta in mezzo a molti paesi della suddetta Provincia di Basilicata, come sono

Viggiano, Marsicovetere, Tramutola e Moliterno; il privilegio però si è disperso tra le altre scritture dell'Università siccome si disse, ed alcuna che se ne rattrova, o si è conservata da qualche cittadino particolare, o si trova nell'archivio suddetto.

5. Grazie e immunità concesse da Re Ladislao Durazzo d’Angiò a Saponara.

Vantarsi può la Saponara che in tempo della guerra tra Lodovico secondo16 e Ladislao Re di Napoli nel qual tempo nel regno fu una grandissima turbolenza, poiché trattavano l'uno e l'altro tirare alla propria divozione le città stesse e terre principali ed essendo la Saponara a pro di Lodovico, fu poi ridotta con buoni patti e condizioni sotto il dominio di Ladislao17 il quale concesse poi alla medesima molte grazie di esenzioni conservandosene un'antica

15

Il trasferimento di Saponara dal Giustizierato di Basilicata al Principato Citra (oggi Provincia di Salerno) fu disposto nel 1318 da Roberto d‟Angiò su istanza del suo Feudatario Aurelio del Balzo (Cfr. C. Minieri Riccio “Notizie storiche tratte da 62 Registri Angioini dell’’Archivio di Napoli”, Napoli , pagg. 177-80. 16

Qui il Ramaglia erra, in quanto trattasi di Luigi II d‟Angiò, figlio adottivo della Regina Giovanna I 17

Espugnata Saponara nell‟Aprile del 1399, Ladislao, per ingraziarsi i Feudatari ribelli, fece loro parecchie concessioni. Dopo un primo indulto in favore di Ugo I Sanseverino, Conte di Saponara, del 20 Aprile 1399 (Vedi nota 11 del presente capit.), lo stesso Ladislao, il 27 Dicembre del 1402, confermò a Giacomo Sanseverino, figlio di Ugo, le stesse grazie concesse al padre.. Dopo il 1402, i Feudatari si ribellarono di nuovo. Saponara fu tolta a Giacomo e annessa al Regio Demanio. Il Re Ladislao nell‟Aprile del 1405 concesse alla Università dei cittadini di Saponara le immunità che il Ramaglia appresso riporta.

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CONFERMA DEI PRIVILEGI DA PARTE DEL RE LADISLAO A JACOPO SANSEVERINO

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pergamena dal dottor sig. Francesco Maria Corsari, nostro patrizio, tra molte altre della sua casa come segue:

(14 Aprile 1405, XIIIa Indictione)

"LADISLAUS, dei gratia Hungar(ie) Jerus(alem) et Sicilia, Dalmatia, Croatia, Rome Servie, Saline Lodomerie, Rex, Provincie Folqualquerij, et Pedimontis Comes. Universis et singulis presentes litteras inspecturis notum facimus per easdem quod pro parte Universitatis et hominum terrae Saponarie qui…ad nostram oboedientiam reduxerunt et terram ipsam in manibus nostris dederunt, fuerunt obbligati, quedam capitula, certis Gratias continentia, que recepimus ac declaravimus et signavimus quorum Capitolorum decretationem presentibus nostris litteris de verbo ad verbum in sese fecimus et est talis.

A la sacra maestà de lo Re Ladislao et a vui viro eterno Ioanne de Tritia Viceregio etiam, omnes et singuli

homines Universitatis Terrae Saponariae flexis genibus queste infrascritte gratie et immunitate quae sunt in questi infrascritti capituli particulariter petuntur.

I. In primis a la sacra Maiestate de lo Re, et a voi Joanne de Tritia Viceregio et li detti homini de la Universitate de la Saponara petono la perdonanza, et indulgentia generaliter, et de omni crimine lese Majestatis, che ipsi havessero commesso nec non de omni altro crimine et defectu per lo tempo passato, tanto per li huomini de la Universitate de la Saponaria, quanto per li altri de lo Spinusu et forastieri, tanto nobili, quanto de omni condicione, che si fosse tanto dentro, quanto fuori et che nulla suspiscione de supradictis pro nullo tempore futuro si possa procedere su nonnulla persona o su li huomini sopradicti. Tenor vero decretationis dicti Capituli est. Fiat ut petitur in quantum Curia tangitur perpetuo et in quantum tanguntur partes moratoria annorum decem.

II. Item che la maestà de lo Re et vui Joannes de Tritia perdonate tutti li huomini de la Universitate de la Saponara et di lu Spinusuo, ancora li forastieri che se ne trovassero de zocche18 parte et condizione fossero, perdonate la guerra e la retinentia che ipsi havessero operata contro la maestà de lo Re, et omne da esso che per la detta guerra è successo, tanto huomini morti, feriti, piliati presuni (prigionieri) et roba che avessero piliata tempore retro acto, che non possano essere puniti de pena personale et patrimoniale de supradicto tempore et offensa, tam pro tempore presenti, quam futuro, tanto per la maestà de lo Re, quanto per nullo altro suo officiale. Decretatio secundi Capituli est. Fiat ut petitur.

III. Item che la Maestà de lo Re, né per vui Johanne né per nullo altro Officiale de lo Re, se possa cercare spesa

nulla, che fosse stata fatta ne lo assejo de la Saponara tanto di gente d'arma, quanto d'infanti a piedi et fattura de…et de omne altra spesa che allo detto tempo, et assejo avesse concorso. Decretatio dicti capituli est. Fiat ut petitur.

IV. Item petitur per li ditti huomini di la Saponara a la dicta Maestà de lo Re, una franchigia generale et speciale

per anni cinque a primo die mensis Septembris prossimi futuri in antea camminando, scilicet di colletta generale,

18

Ancora in dialetto grumentino “zzòcch”= tutto ciò che, ogni cosa, francesismo da chaque.

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subsidio subventia, et omne altro pagamento per la Majestate de lo Re, generalmente et specialmente se cercasse a lo Reame; nec non che li dicti huomini durante dicto termine e franchigia supradicta, ipsi siano tenuti de andare a guardia de Castelli, ita quod siano esempti et liberi ab omni onere personale et durante tempore supradicto. Decretatio dicti capituli est. Fiat ut petitur.

V. Item petitur per dictos homines Saponariae che per lo tempo passato nec non per tutto presenti anno XIII Indizione per la Majestate de lo Re se posse cercare a detta Universitate conti nulli, nè pagamento nullo, che ipsi rationabiliter fossero stati tenuti. Decretatio dicti Capituli est. Fiat.

VI. Item petitur per dicta Universitate che la sacra Majestate de lo Re tenente dicta Terram Saponariae in

dominio, ita quod in Demanio regali semper remaneat. Tenor decretationis dicti Capituli est. Fiat ut petitur.

VII. Item petitur per homines dicte Universitatis quod completis dictis annis quinque franchigie sopradicte quod collecta generalis dicta terra Saponarie reducatur gratiose per maiestatem regiam ad uncias quindecim, et dicta collecta generalis et subventio generaliter per totum Regnum et tenue teneatur dicta Universitas solvere, et gratia ista de diminutione di collecta generalis subsidi et subventionis remaneat usque in sempiternum. Decretatio dicti capituli est. Fiat.

VIII. Item petitur per dictos homines dicte Universitatis quod regia majestas concedat et confirmet tutte le

consuetudini bone antiquate et habite in dicta terra Saponariae, ut etiam privilegia et gratias factas et concessas per Dominum Hugonem19. Tenor decretationis dicti Capituli est. Fiat ut petitur.

IX. Item petitur per la dicta universitate che se alcuno nobile homo d'arme vel homni uno altro de zocche

conditione se fosse et havesse impetrato da la Maiestate de lo Re, ovvero suo Officiale roba, possessione, tanto mobile quanto stabile de li huomini de la Saponara, tanto intra la terra, quanto de fore, che quelle impetrationi siano annullate et frante. Homo quilibet de Terra Saponariae teneat et gaudeat et possideat suas possessiones et bona tam mobilia quam stabilia et tamquam verus dominus et patronus, etiam omnia bona feudalia antiquibus possessa, et alia concessa per dominum Hugonem de S. Severino hominibus dicte terre Saponariae, quanto omni altre cose mobilia et stabilia, che havessero raccomandato de fare cosicchè dovessero recollere o ha caduto che le possedano, et raccogliono situ aliquo obstatuto. Et similiter concedatur gratiose hominibus Spinusii, qui nunc reperiuntur in terra Saponarie. Decretatio dicti capituli est. Fiat.

19

Qui si allude agli ordini emanati agli Ufficiali del Regno da Ladislao, il 20 Settembre del 1399, (anno dell‟espugnazione di Saponara) di far rispettare in favore di Ugo I Sanseverino (Ugone) tutti i privilegi posseduti.

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X. Item petitur quod sacra Maiestas regis concedat et confirmet hominibus dicte terre Saponariae, tenere et possidere molendina empta et possessa in dicta terra Saponarie tempore retro acto, ac etiam si aliqui emissent averos patronis similiter illis congedatur. Tenor decretationis dicti capituli est. Fiat ut petitur…dominus verummodo predicta sint vera et molendini ipsi nostre sint Curie.

XI. Item petitur pro ipsa Universitate che nè la Maiestate de lo Re, né niun altro Officiale se posse cercare ragione

a nullo huomo de l'Universitate de la Saponara, che avesse fatto ufficio domini Hugonis, et domini Jacobi20, tam de officio de Capitanìa, Castellanìa, Erariato, Conservatorìa … et de omne altro ufficio cuius cunque vocabuli suddicti, homines qui exercissent officia predicta sint liberi et absoluti, et in nullo tempore de dictis officiis, nec ipsi, nec ejus heredes possint cogi, compelli et astringi et sia de Hominibus Spinusii, qui nunc reperiuntur in Terra ipsa Saponarie. Decretatio dicti capituli est. Fiat ut petitur.

XII. Item petitur per dictos homines et Universitatem dicte terre Saponarie, che tutti li sopradicti Capituli, patti, patti,

gratie et immunitate siano osservate da la Maiestate de lo Re, mandat et fieri…magno suo pendenti sigillo munitas et cum subscriptione proprie manus sue. Tenor decretationis dicti capituli est. Fiat ut petitur.

Omnia et singula in subscriptis Capitulis…acceptamus, ratificamus, roboramus et confirmamus nostreque aucthoritatis et potestatis presidio communimus. Dato in Castro Novo Salerni per manus nostri predicti Regis Ladislai Domini,millesimo quadringentesimo quinto, die quarto decimo mensis Aprilis, tertie decime indictionis regnorum nostrorum anno decimo nono. Registrato in Cancelleria per Protonotarium. Adest sigillum”

20

Iacopo, figlio di Ugo I o Ugone, essendosi schierato successivamente con Luigi II d‟Angiò, ed essendo stato privato del Feudo di Saponara a seguito della repressione della rivolta con le famose fosse di Castelnuovo, nel 1417 ne fu reintegrato ad opera di Giovanna II, sorella di Ladislao.

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CAPITOLO VIII

IN CHE MANIERA LA GIURISDIZIONE VESCOVILE DOPO LA DISTRUZIONE DI GRUMENTO CONSERVOSSI NEGLI ARCIPRETI DI S. MARIA ASSUNTA, CHI QUEI SIANO STATI, ED IL PRINCIPIO DELLE LITI CON I VESCOVI MARSICANI.

1. Donato Leopardi, Arciprete di S. M. Assunta e i suoi successori.

Or facende ritorno al nostro interrotto tema ed a Donato Leopardi Arciprete di S. Maria Assunta di cui si fè menzione al cap. IV.

Costui dunque siccome ivi si disse, caduta la sede Vescovile di Grumento, non potendosi mantenere col carattere Vescovile, si mantenne però con tutta quella giurisdizione, che al Vescovo competeva coll'uso della Mitra e bacolo, sopra i suoi chierici e laici per le materie spirituali non meno degli suddetti Casali che della nuova città di Saponara; siccome si ha dalle antiche tradizioni e documenti che nel corso della presente opera si addurranno, e di tal fatto tramandollo ai suoi posteri, i quali puranche si mantennero nella stessa prerogativa e giurisdizione quasi vescovile, in tanto che eretta poi la sede in quella di Marsico Novo, circa l'anno 10901 cominciò ad esser contrastata da quei vescovi, siccome dirassi avanti.

2. Scambio epistolare fra Solonzio Lampridio (Vescovo) e Sava, Abate di S. Giuliano.

Chi sieno stati successori di Donato Leopardi sin all'enunciato anno 1090, non si è potuto aver notizia a riserba che nel 993, da una antichissima pergamena rattrovata nell'archivio della Collegiata, si acclara esser stato un Solonzo Lampridio, che fu uomo di gran senno e talento; memoria dunque è una lettera scritta dal detto Solonzo all'Abbate del Monistero di S. Giuliano, di cui si è parlato di sopra, di nome Sava, ove si fa menzione della morte di

S. Luca Abate il di cui corpo si conserva nella chiesa matrice della terra di Armento, della quale è padrone; la di cui vita, scritta in pergamena in carattere longobardo si conserva nell'archivio della medesima chiesa in modo di lezioni per offizio; la lettera è la seguente:

"Solonzius Lapridius Archipresbiter S. Mariae Assumpte in Grumenti ruinis venerabili in Xso patri Save Abbati

Monasterii S. Iuliani de Grumentino. Salutem. De obitu B.(eatus) P.(ater) Lucae Secundum carnem valde tristi sumus, tunc propter eius conversationem vere

angelicam, tum propter multa beneficia ab eius charitate accepta, tam in conversatione deviantium a via salutis, quam in repantione ecclesiarum, et temporum et Saracenorum iniuria de Anuctarum; ejus tamen anima congratulamur quod de corpore martiris huius translati in vitam de seculis… (parola incomprensibile)… provenit ad regnum ex procellis

1Invece secondo Ferdinando Ughelli,(“Italia sacra sive de Episcopis Italiae”, Venezia 1721, vol. VII, pag, 486), la Diocesi di

Grumentum fu accorpata a quella di Marsico intorno al 1060 sotto il Papa Alessandro II o Onorio II. Però il primo documento che parla di un Joannis Episcopi Marsicensis Sedis Grumentinae è del 1095 e riguarda l‟erezione della chiesa di S. Iacopo di Brienza.

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fluctuosis ruinis munti huius evolavit ad puntum felicitatis aeternae, multus quidem in carne posito debemus, sed multo pluris ab eo ex carne soluto speremus in dies, et quam patrem semper amantissimum in terra, protectorem confidamus incessantem habere in caelis.

Quod scribes circa sorem tuam Paulam exequi nostro possumus ante festam S. Apostoli Andreae; notum L. esse debet fraternitati tuae quod Gelasius Papa sanctis omnibus scripsit Episcopis Virginibus deo devotis non nisi Ephifaniarum die aut in albis pascalibus aut in apostolorum natalibus sacrum velamen preponentum; ipso ergo die Deo annuente velum cum solemnitate trademus tuam presentiam in ac sacra funtione desideremus et espectamus. Interim nos nostram ecclesiam, populunque commissum tuis et gratiam tuorum sanctis orationibus commendamus; ex Castro Arae Saponae quinto calendas novembris anno domini 993."

Sava risponde: "Sava Abas licet indegnus monasteri S. Juliani de Grumentino: venerabili in Xpto patri Solonzo Archipresbytero

S. Mariae Assumptae praelato pagorum ex Grumenti vicinis. Complacuit Altissimo ad promissum regnum patrem nostrum Lucam servum suum vere fidelem, vere prudentem,

evocare sicut domino placuit, ita factum est, sit nomen domini semper benedictum: deploramus solitudinem nostram per timorem invasionem lupi rapacis, se quia pie credimus, quem Dominus familie suae constituit gubernatorem in terris eiusdem confirmabit defensorem in caelis, solatium sponsum in ad versis eius gaudio congaudemus et cum eo sanctorum consortio et sociari speramus. Adero sit iubes constituta solemnitati traditionis sacri veli dilectae germane; interim me et fratres meos vostris ac eius et sororum virginum orationibus in domino commendatos similiter excepto.

Ex monasterio S. Iuliani III Kal. Novembris anno Domini 993".

3. La data controversa della istituzione della Diocesi di Marsico.

Non potendo quei popoli soggetti al Vescovo Grumentino star lungo tempo senza Pastore, dalla Santa Sede fu costituita la città di Marsiconuovo, città e luogo in quel tempo più cospicuo, popolato e vicino al destrutto Grumento, circa gli anni 1090, costituendovi per Vescovo uno chiamato Giovanni, a cui successe nel 1095 uno chiamato Gisulfo ed in questo tempo si rattrovava Arciprete della nostra Chiesa Latino De Teodora. Questo primo Vescovo

Giovanni cominciò e con ragione a pretendere la soggezione della nostra Chiesa alla di lui giurisdizione sopradichè, non adattandosi l'Arciprete suddetto, ma volendo mantenere la giurisdizione acquistata per mezzo della prescrizione, si fè sentire; opponendosi alle pretensioni del Vescovo, anche per mezzo del suddetto Gisulfo, ma passato quello dalla vita presente, ed essendo questi stato assunto al Vescovado recordandosi delle azioni della nostra Chiesa, volle transigere coll'Arciprete Latino e preti, siccome fece formando ampia bolla2 sopra l'accordo la quale si descrive più avanti.

Conviene però discorrere qui di quanto Ferdinando Ughellio scrive nella sua Italia Sacra tom. 7 col. 677 ove descrive il Vescovado di Marsiconuovo, con i Vescovi che hanno retto quella sede ed esaminare se sia vero ciò che egli asserisce, lo che serva per disciorre alcuni dubbi.

2 Per Giacomo Racioppi, cfr. Agiografia op. cit. pag. 65, tale bolla è da ritenersi non autentica.

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Scrive dunque il citato Ughellio che il Vescovado di Marsico sia antichissimo e con ciò nello stesso tempo di quello di Grumento, quale essendo caduto per le già note destruzioni, la di lui sede vescovile si fosse unita con quella di Marsico verso il 1060; e descrivendosi successivamente i Vescovi asserisce che nel 853 già sia stato Vescovo uno chiamato Tuderisio; poi nel 1095 vi costituisce il suddetto Gisulfo. Questi asserti vi discordan grandemente non meno dalla probabilità che dal vero, che con più motivi si acclara.

Primo, perché egli (ndr. F. Ughelli) scrisse a relazione del Vescovo di quel tempo fra Giuseppe Ciantes, il quale

essendo inimico e contrario della nostra Chiesa, non potè rappresentarli le verità di quelllo che era, ma tutto e ciò che poteva e può arguirsi della Sede Marsicana siccome si dirà avanti. Laonde, se Marsico fosse stata città vescovile in tempo che vi era la città di Grumento, vi sarebbe stata notizia dei Vescovi che l'avean retta. Siccome si è avuta notizia e si è comprovato di Grumento dallo stesso Ughellio e da noi nel capitolo terzo, e quantunque nel 853 vi costituisca, come tratto dal Baronio, il suddetto Tuderisio; poi nel 1095 il riferito Gisulfo e fuor di ogni probabilità, che tra lo spazio di dugento quarantadue anni di tutti i vescovi che avessero seduto in quella sede, non se ne fosse trovata memoria alcuna, siccome dopo di Gisulfo vi è stato e si vulse dallo stesso Ughellio.

Dunque, per questo primo motivo, devesi conchiudere che la città di Marsico anticamente prima del 1090 non fu sede vescovile, né Tuderisio fu di quella Vescovo ma di Marsi in Abruzzo3. Locchè dallo stesso Ughellio più con chiarezza si comprova; poiché nella serie dei Vescovi Marsicani che rapporti alla col. 695 descrivendovi Fra‟ Antonio de Medices riprende … che lib. 6 delli suoi annali lo faccia Vescovo di Marsi in Abruzzo colle seguenti parole "fu Antonio Medices florentinus ord. min.vix. scientificus a generoso sanguine natus ad hanc sedem propositus est die 12 Julii 1484 exepit nondum ex acto anno a dignitate susceptae, cuius omni fidem mentionem fuit Ugandicus A.b. suor. Annal.sed labituro dum illum Marsicanum fuisse episcopum in Apruzio, melius dixisset in Salernitana provincia ut habent acta concistorialia.

Se dunque Ughellio riprende Ugadengo, il quale enumera tra Vescovi di Marsi in Apruzzo Antonio Medices4, descrivendolo tra quelli di Marsico in Provincia di Salerno, non è stato fuor di proposito far comparire l'abbaglio dello stesso Ughellio che descrive tra Vescovi di Marsico Tuderisio nel 853 e niunaltro di più; quando questi fu Vescovo di Marsi e non di Marsico. La stessa asserzione contro Ugadengo nel tom. 7dei suoi annali introduce nella col. 730 lo stesso Ughellio, parlando di fra Antonio Petitti, descrivendosi di quello per Vescovo di Marsi in Apruzzo, quando fu di Marsico, anzi di nobile famiglia, della Saponara. Per secondo abbiamo in una scrittura in pergamena dell'anno 1189 nella quale si fa menzione di Gio.V Vescovo di Marsico e nel catalogo dei vescovi riportato dallo stesso Ughellio e trascritto in succinto nel sinodo del suddetto Monsignor Ciantes, nell'anno 1163 si pone un Giovanni che nel 1179 fu nel Concilio Lateranense, però si descrive per IV e non per V; se puro non è quell'altro Giovanni che visse nell'anno 1198.

3 Tale tesi del Ramaglia è sostenuta anche dal Corsignani (Cfr. “Regia marsicana”, parte 2° Lib. V, pag. 541)

4 In verità fra i Vescovi di Marsico vi è un Antonio dei Medici, frate francescano della nobile stirpe dei Granduchi di Toscana,

Vescovo dal 1484 al 1485.

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CAPITOLO IX

SI RAPPORTA L'ACCORDO SEGUITO CON GISULFO, 2° VESCOVO DI MARSICO, COLLA DI LUI BOLLA NELLA QUALE DICHIARA COLLEGIATA LA NOSTRA CHIESA. 1. Gisulfo (Vescovo di Marsico) e la sua Bolla a favore della Chiesa di Saponara

Creato l'anzidetto Gisulfo per Vescovo di Marsico, avendo egli stesso patrocinata la causa della nostra Chiesa presso il di lui predecessore intorno la giurisdizione quasi vescovile, asserita dagli Arcipreti di S. Maria e continuata, poi, da quei della nuova Saponara, con tutto che ciò li fusse stato di pregiudizio ed avesse possuto recedere dal patrocinio prima intrapreso a prò della nostra Chiesa, mosso dalla verità del fatto, e per vivere quieto senza litigio, e per non fare innovazione, venne d'accordo con l'arciprete e Capitolo, mediante la persona di Ezechia, cavaliere molto nobile, e siccome si può credere probabilmente dependente dal Conte Ezechia, del quale si è fatto menzione nella pistola di S. Gelasio Papa; cioè che l'Arciprete e Capitolo li donò le due badie che possedevano, una della stessa Chiesa di S. Maria Assunta, chiamata della città, l'altra di S. Laviere, con rendite di somma considerazione; e il Vescovo concedè loro bolla di collegialità per la nostra Chiesa, confirmò la giurisdizione che l'Arciprete esercitava, riservandogli solamente l'atto riverenziale ed obbedienziale nella festività di S. Giorgio, titolare della Cattedrale di Marsico, siccome della bolla che si conserva nell'archivio della Collegiata che è come siegue:

"Gisulfus promissione divum Marsicanae ecclesiae episcopus secundus.

Dilectis Cheristo Presbiteris de Saponariae /salutem in Domino sempiterum. Cum hodie ad festum S. Giorgi nostrae cathedralis assendentis, quod nobis ante nostram electionem, cum

vestram causam protegeremus … vetustis monumentis demonstratis, qualiter Grumentina civitate collapsa, quae sedes esset episcopalis, cives eiusdem decessis habitare ceperunt in septem pertinentiis, quarum verum quoque presbiterum habebat, et cum suis clericis esistebat animadversum qui omnes simul visum sibi eligebant in presbiterum S. Mariae Assumptae in Grumenti ruinis, qui eis prodesset, et lites et controversias inter eos iudiziali tramite terminaret; habitatores post mostrum pestilentiarum, latronum in versionibus infestati in unum convenientes, novum Saponariae oppidum

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edificaverunt in loco eminentiori et magisa tuto ibique retinentibus presbiteris eorum titulos et curas, antiquo more servato, idem presbyter dicte S. Mariae Assumpte a ceteris electus omnibus

semper praefuit, et iustitiam longo tempore ministravit. Evectaque demum episcopali sede Marsicum, a predecessore nostro molestiam passi estis. et turbationes in viribus et ecclesiis vestris et volentes pacifice vivere, et quiete nobiscum transigere in subsidium nostre Ecclesie duas ex vestris S. Mariae Assumpte in Grumenti ruinis , et Beati Laverii, ubi flumina Achiris et Sora connectuntur, cum pertinentiis earum sub quibusdam …ecclesiis obtulistis, quas nos benigne et grato animo acceptantes, vestris petitionibus inclinati pro vovis procuratore, ac (h)ominibus assistente vivo magnifico Zecchia milite di comite Ezecchia, totius regionis defensore, volentes antiqua jura custodire et inveteratas consuetudines servire, atque in melius vestrum iusto sapientium collegialiter vivere desiderio et pie voluntati obsequendo reformare, pater in pietate commati in solatium Grumentinae Sedis amiche vestris onestis et iustis rationibus attentis ecclesiam, quam Saponarie, ubi demum famam est antiquitus, in honore beate Marie Assumpte et S. Antonini Martiris, magnis impulsis constructis et sufficienter propriis stipendiis…attributis iam dotatis, collegiatam fecimus et vestrum presbiterorum in collegium constituimus presbiterumque Latinum de Teodora a vobis electum, etate moribus doctrina venerabilem vestrum Archipresbiterum confirmamus quem et ceteros pro vos et successores vestros in presbiterum, uti de vestri collegii jure patronatus eligendos, et a nobis successoribusque nostris confirmandos Saponariensis ecclesiae in prelatos cum omnibus iussibus, quibus olim presbiteri S. Mariae Assumpte dicti, plenius potiti sunt, tributo nobis iure declaramus. Subito tamen Saponarientis Ecclesia nostrae ecclesie Marsicanae, atque obvientali lege abrecti, statum recognitionis non defraudet ita presenti scripto nostro pontificali sigillo S. Georgii pendenti, et nostre manis subscriptione munito pronunciamus in nostra cattedrali Ecclesia Marsicana, fratribus de more assistentibus Hodie vigesima mensis aprilis tertia indictione, Anno incarnationis Domini nostri millesimo nonagesimo quinto, Pontificatus Domini Urbani, anno ottavo, Urbani secundi Episcopatus vero nostri anno primo.

Ego Gisulfus Episcopus Marsicanus” Non parìa meraviglia al lettore, che in questa descritta bolla si faccia menzione di esser stata costruita e dotata la

nostra Collegiata, cioè nel 1095 e nella fondazione della medesima al cap. V si è rapportata la iscrizione del marmo secondo cui nel 1118 si asserisca che in detto anno sia stata costruita e con ciò dopo anni 23, potendosi arguire apocrifa una delle due notizie e documenti; poiché quello dell'iscrizione del marmo per quando si finì di edificare e già era compita e quella della Bolla quando fu dettata e stavasi edificando, potendosi da chicchesia considerare che le chiese Parrocchiali si dotano prima e poi si edificano, oltrechè eranvi le Parrocchie siccome di sopra si è divisato, che facevano un corpo colla Madrice nella quale poi si fissò l'esercizio del Culto divino e de' Santi Sagramenti; anziché dirassi avanti, che la descritta Bolla è più che vera ed approvata dal sig. Lucchetti come al fol. 421 lett. A.

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CAPITOLO X

NEL CASALE DI TRAMUTOLA, OVE ERA SITO, DENTRO DI QUAL TENIMENTO COME FU DISTRUTTO, OVE RIEDIFICATO, E PER OPRA DI CHI, ET ALTRE COSE NOTABILI DELLA LITE DEGLI CONFINI DELLA SAPONARA.

1. La fondazione del Casale di Acqua Tramutola o Tramutola Vecchia.

Essendosi convenuto aggiungere molte altre notizie, che negli anni passati, quando cominciai a scrivere quest'opra non mi erano note, ed in conseguenza trascriverla, essendo risultata una lite tra il suddetto Casale di Tramutola, ora terra popolata e la Saponara, per materia di confini, avendo avuto io il particolar pensiero andar rattrovando scrittura, anche con esser andato in Napoli per osservare il processo agitato nel 1588 nel S.R. Consiglio, essendo Commissario il Presidente de Franchis, e con ciò inteso di tutti li fatti, e scritture, mi è parso qui farne memoria, giacchè sono antichissimi, e nelli tempi, ne' quali avean fatta menzione, dovendosi seguire la storia consecutivamente.

Si è fatta più volte menzione che quel popolo scampato dalle barbarie de‟ Saraceni che destrussero la città di Grumento, edificarono nel di lei e loro territorio sette Casali, e che poi, infestati dai ladri, si unirono nella costruzione della Saponara e si denotarono alcuni per nome, e tra questi, uno chiamato Tramutola, or questo Casale era sito sopra una collina, lungi dalla Saponara circa 4 miglia verso ponente, di rimpetto un monte, non molto alto, chiamato volgarmente "Monticello", sopra una sorgiva di fonte chiamata l'Acqua di Tramutola1, il quale non essendo concorso con gli altri casali alla edificazione della Saponara, volle starsene da quella separato, ed aver separato e diviso il territorio, comune a tutto Grumento, siccome probabilmente si è congetturato con i Fiori e confinante al territorio di Marsico Nuovo; e per antichi documenti che si descriveranno si è saputo che dalla Regia Corte fu conceduto ad un tale Maestro Dionisio d'Argisio della città di Marsico Novo, il quale era medico Maggiore del Re, che si suppone essere stato Ruggiero I re di Napoli, che fu circa l'anno 1110, poiché prima non furono Re che avessero dominato, ma col nome di duchi, con tutte le prerogative della giurisdizione civile atteso al criminale era del conte di Marsico, come feudo nobile, ossia servigio militare, chiamato dimidii militis. Ma, morto il suddetto Dionisio senza figli che avessero potuto succedere nel feudo, del medesimo s'impadronì lo stesso conte di Marsico, senza sapersene la cagione, sotto il cui dominio, correndo nel Regno le guerre civili, da ladri e mali cristiani fu posto a sacco e a fuoco, e con ciò distrutto e disabitato affatto restò, li cui abitatori che scamparono da quell'accidio siccome di loro antenati Grumentini , probabilmente si congettura si fossero uniti colli compaesani Saponariensi.

2. Tramutola passa sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Cava.

Verso poi gli anni 1130 e 1140 un monaco benedettino del monastero sotto il titolo della SS. Trinità della Cava, chiamato Giovann2i, della suddetta città di Marsico, volendo edificare un monistero del suo Ordine sotto il titolo di

1 Detto anche di “Santa Palomma”.

2 Trattasi del Vescovo di Marsico Giovanni III, che concesse nel 1144 a Falcone, Abate del Monastero benedettino di Cava, la

Chiesa di S. Pietro, in territorio di Tramutola.

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S. Pietro nel tenimento della stessa città di Marsico, sotto l'anzidetto Monticello, verso oriente, in una valle, in guisa come sia edificato quello della Cava, con gran diligenza chiamando genti da diversi paesi, lor persuase a fare in questa contrada edifizi e abitazioni, ed in cotal guisa cominciossi a edificare la nuova Tramutola, e forse dagli abitanti della primiera diruta, lontana da questa circa un miglio, quel Giovanni essendo molto affezionato al Conte della stessa città, per nome Silvestro, nel 1150 ottenne una donazione che si rapporta dal libro dell'Ughellio, tomo ….a detto anno, tra le formole della donazione posto da parte il Relevio: "Donat monasterio cavensi et pro eo monasterio sancti Petri de Tramutola et hominibus iam dictae ecclesiae abitantibus, eccipiendi glandes et herbam pro pascuis suorum animalium, et de lignis sylvae totius pertinentiae Marsici sicut alii boni homines Marsici accipiunt. Ita etiam dicta ecclesia et homines eiusdem casalis accipiant et utuntur".

E poi nel 11523, a petizione dello stesso Giovanni, che fu vescovo di Marsico, il suddetto Silvestro, dopo confermata la suddetta prima donazione, dice di più: "Confirmamus insuper casale ipsum S. Petri, quod domnus Ioannes Marsici fecit hospitari, ita ut omnes qui modo ibidem habitant, aut ab isto die in antea habitaverint, l iberi et quieti sine molestia nostri, vel heredum nostrorum vel hominum seu successorum, maneant et habitent sicut videlicet ceteri monasteriorum homines libere maneant et habitent, et absolute et modis omnibus iam dicto monasterio praeceptis tantummodo subjaceant. Ea videlicet ratione, ut tu prefatus dom(i)nus Marinus Sancte Trinitatis de Cava venerabilis abbas neque tui successores, neque quisquam de vestris prioribus monachis vel cuiuslibet ordinis de nostris propriis hominibus civitatum nostrorum, quas nunc habemus, vel habituri sumus potestatem ad habitandum in eodem casali recolligere sine nostra licentia vel iussione nonhabeatis. Animalibus denique omnibus praedicti monasterii S. Petri videlicet et animalibus hominum casalis eiusdem in nostra terra Marsici, pasqua et aquas absque concedimus damno, exceptis glandibus."4

E prima di questa donazione, nel 1144 e poi nel 1166 il suddetto Giovanni monaco dal vescovo per nome Giovanni prende la stessa chiesa di S. Pietro:

"cum hominibus, tenutis, possessionibus, stabilibus fructiferis aliisque omnibus quoque pertinentibus sicutque cum alia donatione anno 1154 eidem abati a Silvestro Marsici comite de terra Tramutola pleno iure cum introito episcopi Marsici in abate transferunt ecclesiam cum terra, et territorio rustico ibi annexo et quidem in iurisdictione quasi episcopali, ad hoc ut abates pro tempore possent ecclesiam rogere gubernare ordinare et facere quicquid ad eorum libitum placuerit, sine episcopo et successorum contrarietate, mortuorum cadavera undequnque delaterint in caemeteriis factis et faciendis absque ulla episcoporum…seppellire monachos et sacerdotes et clericos in iisdem ecclesiis mittere et retinere ab omni episcopali .. immanens, adeo ut nisi omnino ab ipsis aut aliis hominibus, qui sine …………ctionis rum ecclesiarum petere possint, nisi solitum census ab ecclesia…. Tri episcopis marsicensibus salvi consuetum".

3Il documento di questa donazione (che sarebbe del 1154 e non del 1152) da parte del Conte Silvestro all‟Abbazia di Cava è

sicuramente un falso come è dimostrato in : Santino Bonsera, “Tramutola-Note e ricerche storiche”, Salerno 1993, pag. 18, anzi “un‟autentica impostura” per adoperare le parole dell‟autore, ove persino la firma del Vescovo Giovanni è falsa. 4 Il testo riportato del Ramaglia è stato collazionato con quello trascritto da S. Bonsera dal documento dell‟Abbazia di Cava.

(Cfr. Bonsera, op.cit, pag. 103)

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In una causa insorta tra il vescovo di Marsico e l'abate della Cava nel 1698, in tempo di mons. Luchetti e decisa ai 7 giugno 1700 è menzione della visita che volle fare il vescovo della suddetta chiesa di S. Pietro; rapportata da Monacelli in append. tomo 3° formular. Legal pract. Decis. Selectar. S.R.R., decs 4^. Ed inoltre a quanto si è rapportato, consta dalla Cronica del suddetto Monistero Cavense riferita da citato Ughellio, tom. 7, col. 525 de viris illustrib. Coenob. Caven. Con le seguenti parole: " D. Ioannes alter Marsicanus Comitis heres ex cavensi monasterio, marsicensis ecclesiae episcopus … circa annum 1166, Nic edificavit casalem Tramutola", e lo stesso rapporta alla col. 703, nella serie dei vesc. Marsic. Con le medesime parole.

Il predetto monistero della Cava fu eretto e fondato in una valle verso gli anni del Signore 980 dal santo padre Alferio o Adalferio e fu consacrato dal sommo pontefice Urbano II nell'anno 1092, 112 anni circa dopo la fondazione, in tempo eravi abbate uno di nome Pietro (Ughelli, loc. cit., col. 512).

Dunque la nuova Tramutola fu edificata da Giovanni IV vesc. di Marsico, e noi diremo V, il quale innovò la materia giurisdizionale, siccome dirassi avanti, nel 1163, essendo Saulo di Goffrido Arciprete della Saponara.

3. Il Casale di “Tramutola vecchia" passa ai Feudatari di Saponara.

Ma ritornando al casale primiero già distrutto, che avea il suo territorio separato da quello di Marsico e Saponara, siccome si è detto e si dirà, ritornato di bel nuovo in mano della regia Corte, che regnò circa l'anno 1310 e si suppone siccome veramente fu dal re Roberto e dal real Consiglio per il bisogno di pagare i soldati detto feudo venduto ad Emilio del Balzo5 senza vassalli e disabitato, con la facoltà di poterlo però riedificare e riempirlo di vassalli in qualunque tempo e nonostante qualunque prescrizione e corso di tempo, e di quella stessa maniera che lo possedeva il suddetto Dionisio. Nell'anno poi 1321, a‟ 20 Novembre nella città di Caserta l'accennato Emilio (ndr. Aurelio) del Balzo donò il suddetto feudo mediante regio assenso a Malco d'Asprizio di Seminara per molti benefizi ricevuti in tempo delle turbolenze del Regno, e di vantaggio molti altri corpi appartenenti al feudo della Saponara, di cui in quel tempo era padrone detto Emilio. Morto il detto Malco d'Asprizio, il di lui figlio Nicola, per sue utilità, vendè tutti li beni donati dal padre, a Nicodemo Gannella della Saponara, il quale, oltre dell'assenso regio per il feudo di Tramutola, ottenne anche la conferma ed assenso per li altri corpi appartenenti al feudo della Saponara da Ruggiero Sanseverino conte di Tricarico e della Saponara, ai 9 Aprile 1359.

Morto Ruggiero Sanseverino di Tricarico, gli succedette Ugone6, dal quale il Gannella ottenne pur anche la conferma per i suddetti beni, i quali erano pure feudali. Ma, perché in quei tempi non mancarono turbolenze, tra le quali passando dei gravi imbarazzi, il suddetto Ugone si affezionò con un nobile amalfitano, milite e protontino della città di Amalfi, chiamato Roberto Corsaro, il quale essendo molto ricco, a gran spesa lo soccorse così dentro come fuori del regno, portandone puranche la macchia di ribelle. Ma, sedate le guerre ed acquistata la pace del regnante,

5 Il nome non è Emilio ma Aurelio del Balzo, Feudatario di Saponara che l‟aveva ereditata, sposando nel 1308 Francesca

d‟Herville o d‟Avella, figlia di Rinaldo, Maestro razionale della Magna Curia e Ammirante del Regno. Cfr. Camera “Annali” vol. II, pag. 269. 6 Ugo I Sanseverino che aveva ricevuto dal Re Ladislao il privilegio del 1399 menzionato precedentemente.

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condusse seco il suddetto Roberto nella Saponara; il quale, avendo avuto notizia che l'anzidetto Gannella, ricco per sé e per la compra dei beni suddetti, avea una sola figlia chiamata Sancia; di costei s'invogliò e presala per

moglie verso il 1372, ebbe tutti i di lei beni e feudali e burgensatici. Possedendo impertanto il Corsaro l'accennato feudo di Monticello, ossia di Tramutola disabitata, un tale Raimondello de Cabannis di Marsico, trisnipote del riferito Dionisio, si fè sentire verso la regina Giovanna I, asserendo spettare a lui come discendente per linea materna il suddetto feudo e casale disabitato, e che malamente era stato usurpato e posseduto da altri, e la supplicò glielo avesse fatto restituire e concedere. E la regina, senza badare ad altro, concesse al mentovato Raimondello il feudo enunciato chiamato volgarmente di Maestro Dionisio, con la facoltà di poterlo reintegrare e riempire di vassalli come prima. 4. La lite per il Feudo di “Monticello” di Tramutola.

Con questa concessione e nuova investitura il Raimondello intentò lite contro il Corsaro, e perché agitar si dovea la causa sopra di reali concessioni, con trattato di comuni amici e cavalieri, che furono Ugone predetto, Antonio della Ratta conte di Caserta, Bernardo Zurolo conte di Montuoro, venne a convenzione, cioè che, pagando, siccome fece, in moneta d'oro veneziano ducati 150, cioè once 25 al Raimondello, questi fece ampia cessione, anzi vendita del casale predetto al Corsaro, al quale di vantaggio diede pleggi per qualche evizione o molestia che avesse possuta seguire, stipulandosene pubblica cautela, precedente regio assenso spedito dalla regina Giovanna al 20 febbraio

Rivela del 1569 di G. Fr. Corsaro, nobile di Saponara. (Arch. St. Potenza, Antichi Catasti, Libro dell‟Apprezzo, Fol. n°1)

1378, per mano di notar Nicodemo Longobardo di Napoli sotto li 6 settembre 1378, della quale si conserva una pergamena unitamente all'assenso originale col suggello pendente in cera rossa e la conferma enunciata di Ruggiero e Ugone Sanseverino dal dottore signor Francesco Maria Corsaro, discendente dal predetto Roberto, e ne trascriveremo la copia per maggior chiarezza.

Or possedendo pacificamente Roberto Corsaro il riferito feudo, senza che da persona veruna fosse più data molestia, i di lui successori alienarono i territori, e per causa di dote ed altro, anzi, nel 1576 insorse lite tra l'università di Saponara e Giovan Francesco e Roberto Corsaro, discendenti dal primo Roberto, circa i demaniali del suddetto feudo, pretendendo l'università esser suoi; laonde, dopo una lunga lite, vennero a concordia e ne ferono stipulare istrumento per mano di notar Michele D'Ambrosio della Saponara nel 1578, destinandosi con quello i confini delle terre che restarono a benefizio dei Corsaro, quali erano solamente la difesa, che viene enunziato negli istrumenti predetti.

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5. \Lite fra le Università di Saponara e di Tramutola per i confini

Ha preteso l'università di Tramutola che il territorio di Marsico, del quale ella si serve, sia tutto suo, essendo sito dove si estendeva il feudo di Tramutola vecchia, e con ciò godere senza pagar fida ed altro, ed allargare il territorio di Marsico, e che quei confini rattrovati e descritti nelle scritture enunciate, siano confini del tenimento di Marsico, e non costiera di Monticello, sin dove la Saponara ha esercitato per tanti secoli il suo pacifico possesso, e prima e dopo mossa lite, poste da parte le scritture predette, se la comunità di Marsico avesse avuto certezza della pretenzione svegliata dai Tramutolesi, non sarebbe stata così ammutinata per tanti secoli; né l'Ill.mi padroni di quella sarebbero stati trascurati per l'esercizio della giurisdizione, con permettere di vantaggio, anche dopo mossa la lite, che così l'università di Saponara come i di lei padroni avessero continuata la, loro possessione.

Per non aver altro che dire, l'università di Tramutola replica che i confini del casale predetto sono veri, ma non

deve farne uso la Saponara; giacchè non si descrive ne il di lei territorio, anzi escluso da quello, per le parole ivi ("prope feudum Castri Savoneriae") rispondono a questo per istantiam: Per qual ragione lo vuol pretendere Marsico, quando il tenimento del Casale era non solamente prope feudum Castri Savonariae, ma "et demanium domini Comitis Marsici praedicti"?

E di più, nella descrizione delli confini (ivi) "incipiendo a Cappella S.tae Columbae, quae est divisa et tenuta et dividit feudum praed/m demanium d/ni Comitis Marsici et territorium monasterii S/ti Petri de nova Tramutola (che è quel territorio donato da Silvestro Conte di Marsico, il qual territorio si chiama proprio di Tram/a) lasciamolo stare separato siccome era prima, e vediamo di chi sia, se della Saponara o di Marsico. Se Roberto Corsaro non avesse fatto la compra del feudo, al certo sarebbe separato e distinto; ma essendo suo e de' suoi discendenti, potevano tacite o espressamente, trattandosi di loro interesse, cedere, donare e farsi far pregiudizio, senzache alcuno avesse posseduto, siccome niuno può, risentirsi delle di lui procedure, e già si contenderono con la Università, come si è riferito. Dunque di niuna maniera entra Marsico a pretenderlo, ma l'interessato è la famiglia Corsaro.

Seguitando ora di dar contezza di tutta la lite intrapresa dai Tramutolesi nel 1583, dico che al tempo del IV principe di Salerno Ferrante Sanseverino, essendo egli padrone di Marsico, insorse questione dei confini con Ugone Sanseverino conte della Saponara per materia anche di confini, cioè della contrada dell'Aquila, ed Aira di Donnabruna, essendo congiunti, composero le differenze con piantarvi le pietre nelli confini, con l'armi da una parte delle armi Sanseverine semplici verso la Saponara, cioè della fascia in mezzo lo scudo, e delle stesse armi con quattro monti di sotto della parte di Marsico, denotanti l'armi sanseverine del principe di Salerno, in sei luoghi consecutivi delle differenze insorte, cioè l'Aira di Donnabruna, seu quattro confini, cioè Moliterno, Montesano, Marsico e Saponara, la seconda poco sopra la prima in uno serrone, la 3a nella cresta dove non sono più alberi, li quali sono della Saponara, chiamato il lago di Donnabruna, da dove calando in linea retta evvi un corso d'acqua piovana ed in esso si trova la 4a pietra; la 5a vicino la strada per la quale si va da Moliterno a Marsico, nella fine di detto corso d'acqua; e poi camminando per la detta strada verso Marsico in un corso d'acqua piovana nella fine della pezza di quattro tomola è la sesta pietra, dalla quale salendo verso il monte dell'Aquila in una cursia grande

nella sommità verso Marsico v'è scolpita una croce e verso la Saponara le armi semplici sanseverine, nell'accesso che si fece col sig. don Saverio Petroccelli Agente di S.E. di Marsico e sig.

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Vito Rossi capo eletto, liquidate tutte le pietre che si poteva trovare la murgia con la croce; ma dopo tante diligenzie di molti toccò a me trovarla, e se ne fece un atto pubblico per mano di notar Ferdinando Ricci, di Moliterno, nè si potè osservare l‟effigie delle armi sanseverine verso la Saponara perchè nell‟istrumento non se ne faceva menzione. Ma dopo letto ed osservato da me detto processo in Napoli, trovai nella sudetta relazione che vi erano le suddette armi, e già nella venuta che feci da Napoli, l‟andai ad osservare; e già appena appariscono diverse di scorza della pietra; qual fu trasuntato in pergamena dallo stesso Notaro e si conserva nell‟archivio della città di Marsico, da dove se n‟è avuta copia autentica. Quali pietre furono riconosciute per ordine di S.R.C. da Aniello Iovane scrivano deputato nel 1588, a dì 12 Settembre, e ne conservo copia di mia mano della relazione estratta da detto processo.

Pretese ed ancor pretende l‟università sola di detta Tramutola, non essere questi li confini, ed essere stata lesa circa l‟imposizione delle pietre, senza però fondamento alcuno di scritture, siccome sono da parte della città di Saponara, benchè enunciative, ma antichissime e prima di moversi la lite.

Certo è che la causa è infallibilmente a pro di Saponara, la quale perche non può muovere quella somma di denaro che bisognerebbe per la totale decisione, fa di mestieri sopportare delle insolenze che inferisconsi dà Tramutolesi, li quali hanno altro modo di cavar denaro, e con ciò perchè siano superiori .

Hanno insorta un‟altra lite li Tramutolesi predetti contro il Capitolo della nostra Collegiata per materia delle decime prediali, quali essendosi esatte dal nostro Capitolo, da tutti coloro che coltivano terreni nel tenimento della

Saponara, ha preteso e pretende il clero di Tramutola spettare a lui come Parroco sagramentale contra il disposito del cap. quoniam 13, cap. ne contigat. 29, de decimis, cap. ad decimas et de restitutione fol. In 6. Con altri concordanti, nelle quali fu da sommi pontefici stabilito che “Decimae praediales debentur illi Ecclesiae parrochiali in cuius districta sunt sitae”. Ma di questo si parlerà altrove.

Frontespizio “Apprezzo” delle terre di Saponara fatto compilare nel 1569 dalla Regia Camera della Sommaria a causa della lite per i confini tra le Università di Tramutola e della Saponara. (Arch. St. Potenza-Antichi Catasti, fol. n° 2)

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CAPITOLO XI

SI NARRA IN CHE MANIERA GIOVANNI VESCOVO DI MARSICO VOLLE IMPONERE NUOVI PESI AL NOSTRO COLLEGIO, E SI RAPPORTA LA DETERMINAZIONE DI ROMOALDO, ARCIVESCOVO DI SALERNO.

1. I Vescovi di Marsico sino al 1162.

Si disse nel cap. IX che il secondo vescovo di Marsico fu Gisulfo, il quale concordandosi col nostro Collegio, tramandò questa pace a‟ suoi successori, li quali permisero che puntualmente dall‟Arciprete si fusse esercitata la Giurisdizione quasi vescovile, per lo spazio di anni 67; e parendo a proposito denotare quelli vescovi che vollero star quieti e non intorbidarsi con litigi, dico che:

Il III vescovo di Marsico chiamossi pure Giovanni, monaco cassinese, il quale nello stesso anno 1505, col nome

di vescovo grumentino e marsicano1, si sottoscrisse al privilegio conceduto a Pietro abate cavense sopra la erezione della chiesa di S. Giacomo di Brienza, siccome si ha da Arnoldo Vivon., lib. 2°, lign. Vitae etc. e dai monumenti del suddetto monistero.

Il IV fu un altro Giovanni, pur monaco dello stesso monistero della Cava, presso Arnoldo. Il V fu uno chiamato Leone, il quale alcuna volta si soscriverà vescovo di Grumento, altre volte marsicano, e

costui donò nel 1123 all‟abate Nilo ossia Nicolano Abate del monistero S. Maria e Anastasio di Carbone la chiesa di S. Giacomo, sita nella terra di Sarconi, come da Ughellio, fol. 697.

Il VI fu Arrigo, nel 1131, in tempo del di cui presulato si costrusse la chiesa cattedrale di Marsico. Il VII fu un altro Giovanni, il quale appellavasi vescovo grumentino e marsicano in un documento del monistero

della Cava nel 1144. L‟VIII fu un altro Giovanni che da Ughelli vien chiamato IV, e noi chiamiamo V vescovo di Marsico, il quale sotto

Alessandro III Sommo Pontefice fu al Concilio lateranense del 1179, e nel 1163 se ne fa menzione nelle memorie della chiesa marsicana come dal cit. Ughellio e dalle nostre scritture.

2. Il Vescovo Giovanni, l’Arciprete Saulo de Goffrido, i primi contrasti per la Giurisdizione e la mediazione dell’Arcivesco di Salerno Romoaldo II.

Questo Giovanni, essendo Arciprete della nostra Collegiata Saulo de Goffrido, e propriamente nel 1162, non contento dell‟accordo di Gisulfo, col quale aveano retta la chiesa marsicana i suoi vescovi antecessori, innovò la materia giurisdizionale contro l‟arciprete e Capitolo, molestandoli con insolite imposizioni, che inducevano altra suggezione alla chiesa marsicana, di modo che per difendersi da quelle molestie nel 1163 ricorsero al metropolitano di Salerno, in quel tempo Romoaldo II, uomo di santa venerazione, il quale, intese le ragioni di ambe le parti, con la di loro presenza compose amichevolmente le loro differenze; cioè che il Collegio saponariense fosse soggiaciuto a pagare al Vescovo e chiesa marsicana la quarta delle decime e funerali, e niun‟altra cosa dippiù, a riserba se il vescovo dovesse andare

1 “Joannis Episcopi Marsicensis Sedis Grumentinae”, cfr. F. Ughelli, op. cit., vol. 7°, pag. 486.

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a dar l‟obbedienza al detto metropolitano nella festività di S. Matteo, nel qual caso doveva ogni prete pagare un tarì, e nel caso di adiutorio che il vescovo avesse dovuto contribuire per la S. Sede o per il Re, avesse soggiaciuto secondo le forze del Collegio, ed in quanto alla giurisdizione, che l‟arciprete avesse potuto impartir giustizia tra i suoi sudditi e che nelle appellazioni si fusse ricorso alla curia del vescovo: locchè tutto si acclara da un‟antichissima pergamena di carattere patoco2 (?) e difficile da intendersi, che si conserva nel citato archivio, che è come segue:

“1163 – Anno Domini Dei Creatoris et Salvatoris nostri Jesu Christi. Anno ab incarnatione eius millesimo centesimo sexagesimo tertio et tertio decimo anno regni Domini nostri

Guillielmi Siciliae et Italiae gloriosissimi Regis, mense Majo, undecima indictione. Cum in praesentia D/ni Romoaldi viri valde venerabilis, Dei gratia secundi Salernitani Archiepiscopi, cui jurisdictio

ipsius archiepiscopatus commissa est, et Guaferius, iudices congregatis in eiusdem praesentia, sicut de more est ecclesiastico, de melioribus clericis ipsius Archiepiscopatus, existentibus etiam ibidem, Iohanne venerabili Marsicano Episcopo, suffraganeo ipsius, d/ni Archiepiscopi Saulo archipresbytero Ecclesiae Saponariae, et quibusdam aliis de presbyteris ipsius ecclesiae Saponariae quae Marsicano Episcopatui subiecta est, et quibusdam aliis oriundis de eadem terra Saponariae, Petro iudice de Honorato, Roberto milite de Goffrido, Menelao milite, et quibusdam aliis probis et idoneis viris ab ipso Saulo archipresbytero pro parte totius Collegii praedictae Ecclesiae Saponariae et ex mandato et voluntate ipsius Collegii, sicut etiam presbyterorum asseveratione eccepimus, impetrata tamen ipsius venia ab ipso d/no Archiepiscopo, utpote ab eorum Metropolitano et communi Pastore in praefatum episcopum sub modo quaerimoniae quaestio delata est, dicens praedictum D/num Episcopum iam dicto Collegio Saponariae praeter statuta et antiquas consuetudines antecessorum suorum novas eius consuetudines velle imponere et iura eorum pro parte diminuere et vinculare.

Praedictus vere Marsicannus Episcopus eorum expositionibus respondit, se eorum iura in nullo velle minuere et praedecessurum suorum statuta nullatenus violare et a praefato Collegio eas sibi consuetudines observare volebant, quae a praedecessoribus suis longo iam tempore fuerunt observatae.

Cumque ad fundandam intentionem suam unaquaeque pars allegationes induceret, et studiose nitentur quod intenderet comprobare, d/nus Archiepiscopus nobiscum et in praedictis noricis, qui ei de more ecclesiastico assidebant, metuens ne, si causa ista rigore esset canonum diffinita et iudiciali sententia finem consequeretur extremum, inter ipsum Episcopum et dictum Collegium Saponariae discordiae seminarium remaneret in posterum, et inter Patrem et filium excluso charitatis vinculo odii sementia aberesceret, paterna pietate commotus et misericordiae visceribus affluens, partes suas interposuit et praedictas alterationes, hac subscibenda transactione in perpetuum valitura decidit: Collegium Saponariae, vivente et deducente Marsicano Episcopo quartam decimae ac mortuorii Marsicanae Ecclesiae solviturum fideliter et legaliter per ipsum Archipresbyterum repromisit. Quia per hoc ius ecclesiasticum principaliter Ecclesiae et per Ecclesiam debetur Episcopo iustum est et deficiente Episcopo Ecclesia etiam dum suo est orbata pastore. Decimarum et mortuorii quarta legitima non deficeretur prius vero Ecclesia vel Episcopus quartae suae ius fuerit consecutus, liceat Collegio Saponariae de residuo quod fideles pro animarum suarum salute reliquerint, sepulturae,

2 La parola sta a significare di carattere rozzo e non conforme alle scritture ecclesiastiche.

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septimae, et trigentales nomine consuetas benedictiones accipere, et quidquid defunctorum , consanguineorum sub orationis obtentu praefato Collegio afferre voluerint, liberum sit eis et licitum absque ipsius Episcopi et successorum eius contrarietate suscipere. Spopondit etiam ipse Archipresbyter Collegium Saponariae ipsi Episcopo et successoribus eius singulis annis adiutorium praesbiterum et in festo translationis apostolicae Beati Matthaei limina obedientiae lege cogente visitare disponat et unusquisque presbyter daret suum. Et si forte d/nus Apostolicus aut d/nus Rex a Salernitano Archiepiscopo adiutorium expetierit, et Salernitanus Archiepiscopus pro praedictis causis et sua etiam necessitate imminente, a Marsicano Episcopo, et iuris et moris est, adiutorium postulaverit, tunc praedictum Collegium habita consideratione personarum et facultatis ecclesiasticae Episcopo adiutorium praebeat. In reliquis vero nihil adiutorii nomine nisi voluntate statuita persolvere compellatur. Et si praedictis exigentibus aliqui de ipso Collegio dicto vel facto ipsum Episcopum vel successores eius in persona sua offendisse fuerit manifestatum, tunc ille qui cum offendit citatus ab Episcopo apud Marsicanam Curiam eius adent, pro offesa sua ei legitime responsurus.

Atsi inter dictum Collegium atque Episcopum aliqua observatio orta fuerit, et Episcopus hoc ei significaverit, tunc duo vel tres de clericis ad eum vadant et in curia sua super mota quaestione ei iustitiam faciant. Si vero inter aliquem de Collegio et Presbyterum Saponariae lis orta fuerit, tunc uterque ad Curiam vadant Episcopi et eius iudicio causa legitime dirimatur. Si Archipresbyter qui Archiepiscopi bajulus est et minister in aliquo Episcopum de jure suo defraudaverit, ad Episcopum vocatus accedat et pro suae Curiae judicio responsurus.

Quod si inter aliquos clericorum Saponariae lis orta fuerit et controvesia generata, tunc coram Archipresbytero suo justitiam faciant et recipiant nec per hos Episcopati curiam adire cogantur, nisi forte aliquis eorum excommunicationi resistens Archipresbyteri sui et fratrum suorum sententiam super causa sua audire contempserit et per conventionem vilius presbyter Marsici per licentiam et iussionem ipsius d/ni Episcopi faveant. Suprascripto Saulo Archipresbytero pro parte suprascripti Collegii dedit et posuit fideiussores eius et pro parte ipsius Collegii posuit. Poerium Archipresbyterum Ecclesiae Marsicanae et Petrum Archipresbyterum de Castello Petrae et presbyterum Iuvenalem et Petrum presbyterum qui dicitur de Voggiano et per eandem guardiam ipse Episcopus obligavit se et successores suos et partes suprascriptae Ecclesiae Marsicanae in suprascripta conventione et manibus suprascriptae qualiter legitur in suprascripto Collegio Saponariae semper firmiter permanere. Et si in suprascripta conventione et in omnibus qualiter supra legitur, ipse d/nus Episcopus et successores eius et pars ipsius Ecclesiae Saponariae in ipso Collegio Marsicano semper firmiter perseveraverint, et supra scripta vel ex eis quidquam removere aut contradicere praesumpserint per eandem Guardiam ipse d/nus Ep/us obligavit se et successores suos et partes ipsius Ecclesiae Marsicanae componere ipsi Collegio Saponariae centum Tarì solidi regalis et in supra scripta conventione et in omnibus suprascriptis, qualiter supra legitur, in ipso Collegio Saponariae semper firmiter permanere. Omnia supra scripta fuit ipse Saulus Archipresbyter ex mandato et voluntate supra scripti Collegi Saponariae, ut dictum est, ut plurique presbyteri de supra scripto Collegio nobis asseverarunt. Quod autem superius disturbatum est legitur, sit Tarenus unus, posuit et taliter Landulfo Notario et Advocato, qui in hac causa praedicto Collegio tuum patrocinium praestitisti, scribere praecipimus.

Ego qui supra Iohannes Iudex Ego qui supra Guaferius Iudex”

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Un metodo consimile di scrivere ritrovo presso Ughelli, tom. 7, col. 401 (565), degli Arcivescovi Salernitani nello stesso 1163, di Romualdo II ed essendo giudice lo stesso Guaferio in una elezione di abbadessa nel monistero di S. Maria di Salerno, in persona di Algayda etc.

Con la descritta determinazione, anzi amichevole composizione di Romualdo Arcivescovo metropolitano il nostro Collegio grumentino saponariense siede nella sua pacifica quiete per lo spazio di anni 167, osservando con esatezza tutta quanto erali stato prescritto dover somministrare ai Vescovi e chiesa marsicana, i quali al numero di dieci furono contenti della derminazione accennata e trascritta; e furono: Giovanni, diverso dalli superiori. Viveva nel 1198. Anselmo, il quale ebbe il dono di profezia. Benedetto, di patria romano. Rugiero nel 1222. Nato, morto nel 1263. Raynaldo de Leontio nel 1273. Riginaldo de Piperno nel 1275. Giovanni vecchio salernitano nel 1293. Matteo nel 1305. Roggiero nel 1315. Pietro nel 1330: il quale rinnovò le molestie al nostro Collegio, siccome dirassi in avanti.

Qui però parmi avvertire contro taluni che volessero asserire che la bolla di Gisulfo di sopra trascritta, ove dichiara la nostra chiesa Collegiata, sia apocrifa e che sia stata una invenzione l‟uso dei canonici con l‟insegna dell‟Almuzio e di altre prerogative di Collegiata; avvenga che se tal prerogativa stata non vi fusse, non si sarebbe appellato Collegio da Romualdo arcivescovo metropolitano in presenza del vescovo steso chiamato Giovanni, giacchè non erano passati più di anni 67 dal tempo di Gisulfo fino al 1163. Dunque non disse mendacio che la nostra chiesa dalla sua origine è stata collegiata e il S. Leto3 de‟ suoi Preti collegio, con tutta la omnimoda giurisdizione sopra li sudditi della Saponara, che si esercitava dalli Arcipreti, locchè viene acclarato da altre consecutive scritture antiche che si trascriveranno ed enunceranno avanti.

3 Ignoriamo chi fosse questo S. Leto.

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CAPITOLO XII

SI NARRA DI ALCUNI ARCIPRETI CHE GOVERNARONO LA NOSTRA COLLEGIATA DOPO DI SAULO E SI RAPPORTA UNA DONAZIONE DI ROBERTO DI ROMANA A PRO DEL COLLEGIO. 1. La donazione da parte di Roberto de Romana, autore dell’Agiografia di S. Laverio, di metà del mulino di S. Giovanni alla Chiesa Collegiata.

Avuta sin qui la notizia di quei pochi Arcipreti che come ordinari governarono la nostra Collegiata, fa di mestieri che diasi puranche contezza degli successori a Saulo di Goffrido, per quanto da scrittute antiche si è possuto ricavare , e gli anni nei quali eglino viveano, che si rapporteranno consecutivamente nel corso dell'opera.

Nell'anno dunque 1189 era Arciprete e capo del nostro Collegio Nicodemo Maraldo, siccome si raccoglie da una donazione fatta da Roberto di Romana a pro della nostra Collegiata di S. Antonio, la quale qui sopraggiungeremo.

Nell'anno 1210 era arciprete Roberto di Romana, quello stesso che, essendo Diacono nel 1162, scrisse la vita di S.Laviero, e prima di essere Arciprete donò alla nostra Collegiata un mulino che egli aveva in Sciàura, del quale ancora si veggono i vestigi, non ha molto tempo che si disfece dell'altro molino costructo a pro della famiglia del Monaco, siciliana, benemerita del signor Principe di Bisignano: e tutto ciò è tolto da una pergamena in modo di fascia, che si conserva nel citato Archivio, degna di considerazione, del tenor che segue1:

"Anno ab incarnatione Christi 1189, mense Novembre, inditione VII, regnate gloriosissimo rege W(illelmo) secundo. Rerum temporalium adeo nobis credita dispensatio, tunc prudenter et provide procuratur, quando felici comercio ipsarum, provida largitione, aeterna pro temporalibus proemia conquerentur: felix quippe fraudis nostra commutatio cum minuta duo in talentum prospiciunt, et in aeternitatis fabricam opera pietatis assurgunt. Sane Zaccheus avaritiae largiendo quaestus Christum meruit Hospitem et lux pia deferendo lucra, discipulus efficitur publicanus. Quisquis igitur annus considerat aeternitatis longe praestare saeculis huius fragilis vitae, dignum ducit proemium Christi quam tumulum de suis agere pro quo retributionis tempore centuplum valeat invenire. Hac itaque consideratione ductus, ego Robertus de Romana presbyter et civis Saponariae de bonis quae mihi ad usum fuerunt a D/no credita, ipso pretio statuti qualiter per ipsorum particulam aliquam aeterna proemia valeam impetrare, ipso igitur proemio ad incitanda aliorum studia, pro celebrando anniversario die Depositionis meae in posterum concedo et offero in Ecclesiae S. Antonini de Saponaria, in manibus domini Rev. Episcopi Marsicen, Molendium quod habeo in Saura, prope Ecclesiam S. Johannis; ea ratione ut post obitum meum de toto lucro ipsius molendini duo partes fiant, quarum unam perveniat ad potestatem clericorum Collegii praedictae Ecclesiae, et altera sit nepotis praedicti mei Roberti; et mater eius et fratres in vita ipsorum si ne molitura et vitae (?) habeant potestatem molendi in ipso molendino; et si ipse presbyter Robertus ire voluerit al sepulchrum Domini visitandum, aut ad S.Jacobum, sive in scholis vel in aliquem locum, ipse Robertus habeat potestatem dimittendi mediastatem suam cuicumque voluerit, quamdiu ipse Robertus in hoc saeculo vixerit: et ortus qui est iuxta molendinum

1 Il Racioppi, cfr. op. cit. pag., ritiene il documento genuino. Per quante ricerche noi abbiamo fatto nel catasto onciario e

nell‟antico Apprezzo della Saponara non ci è stato dato di riscontrare come proprietà della Chiesa Collegiata il Molinendum di Sancti Johannis.

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in omini iure et pertinentia perveniat ad potestatem praedictae Ecclesiae pro celebrando, ut dictum est, meo aniversario. Tantum, me vivente ipsum molendinum, mihi et meae voluntati deserviat. Volo etiam ut, si praedictus Robertus ipsum molendinum tenere et ordinare voluerit. Ita sit ut Ecclesiae possit dare extraneo non praeponatur ille extraneo, alioquin ipso nolente sicut recipere potestatem habeat Ecclesia medietatem suam locare cui voluerit. Quidquid vero redditus de ipso molendino pervenerit praeter medietatem, vivente nepote meo, consilio meliorum qui fuerint in ipsa Eccelsia, dispenset ipse Robertus, dum vixerit et post eius obitum medietas quam ipse Robertus tenuerit sit propria ipsius ecclesiae, causa emendi aliquid, quod sibi fuerit necessarium; aliam medietatem pro qua anniversarium debet celebrari, clerici ipsius ecclesiae dispensent subscripto modo totum, videlicet d/no Candelae emantur pro clericis qui aderint officio, et reliquam sic dividatur per eos, ut una diaconi habeant quantum unus presbyter et una sex acoliti quantum et unus presbyter, aliquid tantum clericellis et illis qui pulsaverint tintinnambula in ipso anniversario. Et si ipsi Clerici, causa pigritatis vel neglegentiae, praedictum anniversarium celebrare, ut sancitum est, recusaverint, et ipsum molendinum habere et sustinere, ut decet, noluerint, potestatem habeat ecclesia totum molendinum sibi vindicare. Ipso quoque meo nepote et matre (eius) et me rogante sancitum est. ut si aliquis huius oblationis meae, sive me vivente, sive post meum obitum, temerarius corruptus exhiberit, perpetuae anathematis gladio feriatur, usque ad emendationem et dignam satisfactionem suae praetentionis.

+Ego Robertus confirmo dictam meam oblationem mea manu. + Ego Nicodemus Archipresbyter Maraldus testis sum. + Ego Goffridus filius Roberti testis sum. + Ego Mattheus Salerni testis sum. + Ego Presb.r Melfisius testis sum. + Ego presbiter Robertus de Teodora testis sum". 2. Giuliano de Danio, Arciprete della Saponara, eletto Vescovo di Policastro nel 1211.

Nell'anno 1211 trovavasi Arciprete della nostra Collegiata Giuliano de Danio, e recavasi dalle epistole di Innocenzo III Sommo Pontefice (siccome mi osserva il suddetto sig.D.Carlo Danio) ai vescovi; cioè Giuliano, essendo vacata la chiesa vescovile di Policastro per molto tempo, fu eletto per Vescovo da quei canonici; i quali, avendo mandato a chiedere l'assenso a Federico Re di Sicilia per mezzo di diversi di detti canonici, il re non volle acconsentire a tale elezione, ma con timori e violenze volle che avessero eletto, come fecero, un suo medico per nome Giacomo; ma essendo questi andato a Policastro per prendere il possesso, li canonici non vollero riceverlo, ma ricorrendo alla S. Sede e al suddetto Papa Innocenzo III, dal medesimo ottennero decisione a pro del suddetto Giuliano, Arciprete della Saponara, ordinato al Vescovo di Capaccio e all'Abate della Cava che così avessero fatto eseguire nell'anno 1211 e nel 4° anno del suo pontificato. (Tutto ciò riferisce Ughelli, Ital.sacr.,tom.7,p.789 segg.). (segue la lettera, che qui si omette. Vedila in Ughetti, l.c.)

Nell'anno 1238 ora arciprete un'altro Giuliano di Danio. Nell'anno 1271 si rattrova Arciprete della nostra collegiata Giovanni Ferrara. Nel 1320 era arciprete Tommaso Palazzo, e questi fu anche Vicario generale di Marsico. Nell'anno 1330 trovasi arciprete Tommaso Nigro, in tempo del quale il vescovo di Marsico di bel nuovo fecesi

sentire, e chiamavasi costui Pietro, contro del quale dal metropolitano chiamato Arnoldo si promulgò ordine, quale si descriverà avanti, nel capitolo seguente.

Nel 1368 era arciprete Guglielmo Ferrara, poichè, se altro vi fosse stato prima di lui, non se ne ha memoria. Da questa famiglia fu eletto nella Collegiata l'altare di S. Giovanni Battista, col peso di due messe la setimana, il quale ora è stato demolito con decreto della S. Visita.

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CAP. XIII

SI RAPPORTA COME PIETRO E BARTOLOMEO VESCOVI DI MARSICO, QUELLO NEL 1330, QUESTI NEL 1368, RINNOVARONO ALTRE IMPOSIZIONI E COME FURONO DAI METROPOLITANI RAFFRENATI.

1. Ripresa delle liti col Vescovo di Marsico e la determinazione dell’Arcivescovo di Salerno Guglielmo Sanseverino del 1407.

Eransi acchetati tanti Vescovi dopo la determinazione di Romoaldo, contentandosi di quella contribuzione stabilita dall'accennato Romoaldo, per lo spazio di 167 anni, tra i quali erasi vissuto con la pace e quiete, senza verun disturbo, quand'ecco nel 1330 rinnovaronsi le discordie tra il Collegio ed il Vescovo marsicano per nome Pietro1, avvenga che costui, non contento della solita e immemorabile contribuzione somministrata dal nostro

Collegio e tanti suoi predecessori, volle imporre altri pesi e tasse a suo capriccio: locchè fu cagione di aversi ricorso di bel nuovo al metropolitano, a quel tempo a nome di Arnaldo, per la dovuta osservanza dell'anzidetta determinazione, il quale, riconoscendola per giusta, a secondo quella ne stava il Collegio in possesso, ordinò al Vescovo sotto precetto di S. Obbedienza e e di quelle pene contenute nella precitata determinazione, che si fosse astenuto da quelle nuove tasse ed imposizioni, ma che puntualmente avesse osservato, locchè era stato determinato dal suo predecessore Romoaldo, siccome i predecessori Vescovi si erano contentati ed osservato: e con quest'ordine acchetossi il Vescovo e contentossi di quella subvenzione solita ed immemorabile, siccome più avanti dirassi; ma non trapassarono più di anni 36, nei quali Ruggiero fu poi trasferito alla sede di Tricarico, ed un altro Pietro, pure Vescovo di Marsico erasi contentato della solita subvenzione, che Bartolomeo2, succeduto a Pietro nel vescovado, volle uscire pure lui dagli limiti prefissi ai suoi antecessori dagli Vescovi salernitani e metropolitani, contro il dettame dello Spirito Santo negli Proverb. Al cap. 22, n. 28: " Ne trasgrediaris terminos antiquos quos possuerunt patres tui"; ed imponere nuovi ed insoliti pesi al nostro Collegio; il quale, per difendere la sua libertà e mantenersi con quelle leggi prescritte da' suoi superiori, ebbe ricorso per mezzo di Guglielmo Ferrara Arciprete all'Arcivescovo salernitano, il quale pur Guglielmo appellavasi, in atto che andava visitando la diocesi de' suoi suffraganei. E questo Guglielmo Arcivescovo di Salerno era della famiglia Sanseverina, prima preposito agnense, poi creato Arcivescovo di Salerno nel 1364, in tempo di Urbano V, nell'a. II (Ughelli, t. 7, col. 618). Il quale, avendo conosciuto le determinazioni de' suoi predecessori, citato il vescovo a produrre le sue ragioni, non comparendo il vescovo, fu dato termine, il quale spirato, confermò le addotte determinazioni nell'anno 1368. Tutto ciò si acclara da una pergamena dello stesso archivio della Collegiata conservata, nella quale sta' transuntata la suddetta determinazione di Guglielmo metropolitano, la quale contiene

1 Pietro de Lupico, frate domenicano, già Cancelliere del Cardinale Giovanni Orsini, fu Vescovo di Marsico dal 1328 al 1343.Nel

1334 offrì la sua protezione al famoso frate francescano Angelo Clareno che venne da Subiaco a trovare rifugio nel monastero di S. Maria dell‟Aspro, vicino Marsicovetere, ove morì nel 1337 in odore di Santità. Pare che avesse gli stessi poteri di preveggenza ed ubiquità oggi attribuiti a Padre Pio di Pietralcina. 2 Vescovo di Marsico dal 1349 al 1368. Il suo nome è presente in una platea del 1365 dei Beni della chiesa di S. Maria di

Brienza, redatta da Roberto Angelo de Amato per ordine del Vescovo.

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quella di Arnoldo ed litteram e quella di Romoaldo in sostanza, dal suo antico originale per mano di Notar Guglielmo Sinisgallo di Montemurro, nell'anno 1407, ch'è come segue:

"In nomine Dei etc. - Anno a nativitate eiusdem Millesimoquadringentesimo septimo. Regnante serenissimo d/no nostro D. Ladislao Dei gratia Hungariae, Hierusalem, Siciliae, Dalmatiae, Croatiae etc....

Mense Maji, die autem XIX, XV inditionis, apud Montemurrum. Nos Ioannes de Plano eiusdem terrae Montismurri, annalis dicta Iudex, Guglielmus Senisgallus de eadem terra publicus ubilibet per totum Regnum Siciliae regali auctoritate Notarius et testes infrascripti, viri litterati et illitterati ad hoc vocati, specialiter, et rogati praesenti scripto publico transcripto documenti declaramus, notum facimus et testamur, quod praedicto die ibidem veniens ad nostram praesentiam venerabilis vir D(omin)us Alexander Archipresbyter Saponariae, ut dixit, ostensit et praesentavit nobis ac per nos publice legi facit quasdam patentas, litteras in R/mi in X/to Patris D/ni Guglielmi Archiepiscopi Salernitani, cum magno pontificali sigillo appenso in cera alba et rubra munitas, quas vidimus, legimus et diligenter inspeximus, non quidem abolitas, non cancellatas, non interlineatas et in aliqua omnino parte suspectas, sed omni prorsus vitio et suspicione carentes, et nos rogavit et requisivit auctoritatem nostram super hoc effecto implorando et litteras ipsas ad sui et omnium aliorum, quorum et omni meliori modo interest et potest interesse certitudinem et cautelam exemplarem antepatere, et in presentem publicam formam redigere deberemus, ut quoties, quando et ubi ea coram quibus opus fuerit fieri possit et valeat bona fides cum originale litterarum predictarum, penes ipsum Archipresbyterum et penes suas Archipresbyteros Saponariae, ut dixit, debeat remanere.

Nos igitur praedicti et requisitiones huiusmodi tamquam juri consonas admittentes, eo maxime quod officium

nostrum est publicum, et non possumus nec debemus nemini denegare, et juxta petentibus non est denegandus assensus, praescriptas litteras archiepiscopales de verbo ad verbum prout jacet, ego praedictus Notarius in auctoritate dicti judicis transumptam anteputam exemplari, et in praesentem publicam formam redigi, nihil inde addito, mutato vel subtracto, nisi in compositionibus litterarum et sillabarum, sed non quod sensum mutet vel vitiet propterea intellectum. Quarum quidem litterarum tenor talis est.

Nos Gulielmus promissione divina Archiepiscopus Salernitanus facimus et singulis tam praesentibus quam futuris, praesentis nostrae decisionis determinationis et confirmationis provisionem inspecturis, quod dum pridie de mense Julii, sextae inditionis proxime elapse, autoritate nostra metropolitana visitaremus Dioces. Marsicen. Nostrae Salernitanae provinciae reformandum indigentia reformatione, et inculcata gravamina relevandum, et administrando iustitiam singulis adgravatis et lesis injuste, prout ad n/rum metropolitani Pastoralis officium spectabat et spectat dum Deo volente fuerimus huius vitae saeculi preregrine. Dilecti filii d/us Gulielmus Ferarius Archipresbyter, Dominus Nicolaus Dominicus Cibelli, procurator presbyterorum T/rae Saponariae interveniente ad .., tam eorum nomine quam nomine et pro parte presbyterorum omnium et clericorum Collegii dictae T/rae Saponariae, sua nobis expositione mostrarunt, ut cum ipsi clerici et collegium Saponariae sint immunes et exempti a charitativo subsidio talibus et aliis exationibus onerosis, Ven.(erabilis) frater et Suffraganeus noster D/nus Bartolomeus Episc. Marsicen. Presbyteros ipsius et clericos dicti Collegii molestavit atque gravavit ac molestet gravetque et multipliciter inquietet minus juste super quodam subsidio, annatim ab eis exacto, ultra quam dictorum presbyterorum et Collegii suppetant facultates,

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talibus et aliis exationibus onerosis, a quibus debent esse et sunt immunes, et ut praefertur exempti iuxta teneram et formam cuiusdam declarationis quam C.m. D/ni n.ri Arnaldi Archiepiscopi Salernitani praedecessoris n/ri eis factae contra tenorem ipsius declarationis temere veniendo. Quam quidem declarationem vidimus et diligenter inspeximus et per omnia continentia talis erat: "

“Frater Arnaldus Dei et Apostolicae Sediae gratia Archiepiscopus Salernitanus, venerabili fratri electo et confirmato in Episcopum Marsicen. Salernitanae Provinciae suffraganeo suo salutem in Do/no sempiternam. Petitio dilectorum filiorum Clericorum et Collegii ecclesiae S. Antonini sita in Terra Saponariae, vestrae diocesis nobis exibita continebat:

Quod cum olim inter dictum Collegium et Clericos praedecessores eorum praedictae ecclesiae ex una parte, et Venerabilem Fratrem Joannem Episcopum Marsicen. Praedecessorem vestrum altera, de subventionibus, redditibus, consuetudinibus et quibusdam aliis juribus episcopalibus, quas et quae dictus Episcopus ad se et Ecclesiam suam dicebat rationabiliter pertinenere, dictis clericis et Collegium contrarium dicentibus, et allegantibus praedicta non deberi nec ad ea se teneri, propter certas consuetudines et antiqua statuta quas et quae habere dicebant, coram venerabili in Do/o Patre b.m.D/no Romoaldo Archiepiscopo Salernitano praedecessore n.ro, tamquam eorum Metropolitano fuisset quaestio agitata, tam de voluntate et consensu utriusque partis dictus d/nus Romoaldus praedecessor noster ut Archiepiscopus Salernitanus et Metropolit. Dicto Episc.et Ecclesiae Marsicanae, pro bono pacis auctoritate metropolitana statuit et decrevit, ordinavit et decidit quod dictus Episc. pro se et successoribus suis esset contentus a Collegio et clericis petere et exigere infrascripta tantum, videlicet quartum decimae et mortuorum. Item adiutorium singulis annis a dicto Collegio daretur unum in festo translationis beati Apost.et Evang. Matthei eius limina obedientiae lege cogente Episc.Marsicanus visitare disponebat. Et si D/nus Summus Pontifex a Salernitano Archiepiscopo adiutorium seu subsidium peteret et idem Salernitanus Archiepiscopus pro praedictis causis et sua etiam necessitate a Marsic. Episc. Ut moris et juris est subsidium postularet, tum praedictum Collegium habita considerati ne personarum et facultatis ecclesiae Episcopo subsidium praebeant. In alliis vero casibus clerici dicti Collegii nihil adjutorii nomine dare Episcopo compellantur, prout praedicta et alia legitime constant et apparent per quoddam instrumentum, de quo nobis constat et facta est plena fides.

Quam decisionem et determinationem praedicti Clerici, qui pro tempore in dicta Ecclesia fuerunt et nunc sunt, ab eo tempore cuius contrarium memoria hominis non existit, et a quinquaginta annis et citra, et infra et usque ad praesens pacifice observaverunt, scientibus et consentientibus ac valentibus et non contradicentibus Episcopis qui pro tempore in dicta Ecclesia Marsicen. Fuerunt. Nunc autem vos non contenti decisionis et determinationis huiusmodi, clericos dicti Collegii Saponariae contra formam dictae decisionis et determinationis et antiquatem ipsorum consuetudinem et pacifica observatam super possessione, vel quasi libertatis eorum, juris ordine praetermisso turbatis et molestatis indebite et multipliciter aggravatis, basando ipsos, ut dicitur insolutisne unciarum duo quinque, propter necessitates quas asseritis vos abere, contra decisionem et ordinationem praedictas temere veniendo, et instrumentum decisionis et determinationis jam dictae minime observando, in dictorum clericorum et collegii non modicum praejudicium et gravamen. Quare praedicti clerici et collegium nobis humiliter supplicarunt, ut super hoc auctoritate metropolitana dignaremur eis de opportune remedio providere. Hos autem eorum petitionem et supplicationibus ut pote justis in hac

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parte benignius annuentes ac volentes eis in jure deesse, sicuti nec debemus, auctoritate n.ra metropolitana, primo, secundo et tertio permatorie requirimus, monemus et hortamur in Domino, vobis et nostrae Salernitanae Ecclesiae tenemini assentire, districte praecipiendo mandamus, quantenus ad huiusmodi Talliis, collectis, exactionibus, molestiis et vexationibus indebitis dexistatis omnino, ipsosque clericos et collegia in possessione jurium et consuetudinum, et libertatis eorum contra praedictas ordinationem et declarationem, determinationem et decisionem nullatenus perturbatis, sed in pacifica jurium praedictorum, ut alii Episcopi Marsicen. Praedecessores vestri, qui fuerunt, pro tempore facerunt libere permittentes nisi pro vobis alia ratio nobilis subsit, vel alia contra praedictas exceptiones legitimas habentis ad quas proponendas coram n/ro Vicario terminum decem dierum a die praesentationis seu notificationis praesentium vobis factae pro perentorio assignamus, alioquin ex tunc in antea vobis in juribus et allegationibus vestris nullatenus audiemus, sed processus et sententias, ac mandata et gravamina facta ac ferenda per vos, vel alium seu alias vestro nomine contra clericos et Collegium supradictas, et quidquid contra formam declarationis et decisionis praedictorum instrumenti, temere attentatis vel attentaretur, ex tunc praesentium irritamus, revocamus et nullam deinceps obtinere volumus firmitatem; eam nihilominus poenam in dicto instrumento contentam dandam et solvendam nobis nisi a praemissis desistetis, vos, at decernimus invenisse, dictosque clericos ad dandam et solvendam vobis collectam seu aliquam subventionem vel subsidium facientem nisi quod in praefato instrumento decisionis continentur omnia non teneri justitia exigente. In cuius rei testimonium praesentes litteras concessionis fieri fecimus, nostro sigillo pendenti munitas, quas post opportunam et debitam inspectionem, earum restitutio volumus praesentati pro cautela efficaciter .... valituras: et mandantes vobis fieri copiam ex eisdem si poteritis vel volueritis eam habere. Datum Neapoli in hospitio habitationis nostrae anno D/ni millesimo trecentesimo trigesimo, die XXI m/s Maij, XIII inditionis, Pontificatus ss/mi in XP° Patris et D/ni n/ri Iohannis divina providentia Papae XXII, anno XIV”.

“Qua declaratione taliter inspecta per nos, ut praemittitur, non obstante, quod ratum est superius, ubi incipit "In

dictorum clericorum" et usque ad "supplicarunt", qui scilicet non abrasum, non abolitum habebatur in illa, indicta expositioni humili supplicatione adiecta, dignaremur, ex debito nostri officii super praemissis auctoritate metropolitana eis de opportuno juris remedio providere, ac demendaciones, decisiones et declarationes praedictorum praedecessorum nostrorum eis factas confirmare et acceptare.

Nos nostrum debitum nostri minime denegaremus sicuti nec debemus eorum supplicationibus, utpote justis in hac parte benigniter inclinati, ad ipsorum instantiam praecedenti citatione legitimam, dictum Episcopum citari facimus ut in certo et peremptorio termine sibi dato coram nobis comparere deberet legitime responsurus in judicio praedictis D. Gulielmo Archipresbytero et D. Nicolao procuratori generali intervenientibus ad hoc nomine quo supra, prout in quibusdam citatoriis litteris et responsalibus inde secutis, plenius et copiosius continentur.

Et die XXII mense Julii dictae VI inditionis comparente in judicio, et apud acta Curiae metropolitanae D. Johanne de Perusio procuratore dicti D. Episcopi ipsus Episcopum legitime excusante datus fuit per nos terminus eidem procuratori quo supra nomine petenti et volenti peremptorie ad comparendum et procedendum .... in causa ipsa quatenus de suo fuerat per totum octavum diem mensis Augusti ex illo proximi secuturi. Deinde adveniente praedicto die octavo Augusti comparuerant coram nobis in judicio et apud acta Curiae metropolitanae praedicti Arcipresbyter et D. Nicolaus et ipsius

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Episcopi non comparentis contumaciam incusarunt, quem reputavimus, prout erat album quoad huiusmodi merito contumacem. Deinde praedicta die octava Augusti adhuc hora causarum non elapsa, comparuit dictus procurator D/i Episcopi coram nobis purgans eius contumaciam et datus fuit per nos terminus eidem procuratori ad producendum omnes exceptiones suas, probandum easdem et ei comptebat, nec non ad contradicendum et contraponendum contra tenorem dictarum decisionis, declarationis et determinationis, et recipiendum copiam ex eisdem. Et praedictis Archipresbytero et D. Nicolao ad producendum iura eorum et probandum per totum praedictum mensem Augusti et alias ad comparendum et procedendum in causa ipsa quatenus de jure fuerat. Infraque terminum praedictum Archipresbyter et D. Nicolaus ad causam probationis eorum dictas decisiones declarationes et determinationes dictorum praedecessorum n/rum coram nobis apud acta Curiae metropolitanae produxerunt et praesentaverunt. Nihilque per ipsum Episcopum vel seu praefatum eius procuratorem contra praedicta fuit juxte positum nec probatum. Quare attendentes consideratione matura dictas decisiones, declarationes et determinationes praedecessorum nostrorum, utpote justas et juri communi se conformantes observandas et dicta auctoritate metropolitana per nos confirmandas et acceptandas, interloquendo decrevimus, omnia esse presentis n/rae confirmationis minine laborandas, prout ipsas tenore praesentium confirmationis n/rae minine reboramus ac confirmamus, ad cautelam praesbyterorum et Collegii praedictoum perpetuo valituram.

Mandantes harum serie ex dicta n/ra auctoritate dicto n/ro Episcopo ad poenam centum marchorum auri et. q. etc. contra formam ordinationis decisionis et declarationis praedictarum temere attentaverit vel attendere praesumpserit, ex tunc nos, omnia tenore praesentium irrita revocamus, et nullam deinceps obtinere volumus roboris firmitatem, et nihilominus … in dicta decisione dicti D/ni praedecessoris nostri non contractum et. alia per non superius impositam dandas et solvendas compendiis fisci nostri, nisi a praedictis destiterit dictum Episcopum decernimus incurrisse, dictosque Clericos et Collegium nisi quatenus in praedictis decisionibus, declarationibus et determinationibus continetur alia quatenus non teneri justitia exigente. In cuius rei testimonium exinde fieri fecimus praesentes nostras litteras nostro pontificali sigillo pendenti munitas.

Datum Salerni in nostro archiepiscopali palatio, anno Domini MCCCLXVIII, die XV mensis Octobris, VII inditionis, pontificatus SS. in Christo Patris et D/ni N/ri D/ni Urbani div. Providentia Papae V anno sexto.

Unde ad futuram rei memoriam et dicti Archipresbyteri et omnium aliorum quorum et cuius inde interest et poterit interesse certitudinem et cautelam factum est exinde hos hoc praesens publicum instrumentum per manus mei Notarii supradicti signo meo solito signatum, signo crucis mei qui supra Iudicis idiotae scribere nescientis et nostrum infrascriptorum testium subscriptionibus et subsignationibus roboratum. Quod quidem ego praefatus Guilielmus Senesgallus de Montemurro, publicus et supra reginali auctoritate Notarius, qui praedictis rogatus interfui ipsumque meo solito signo signavi

+ Loco sigilli + Signum crucis propiae manus Joannis de Plano annalis judicis qui supra idiotae scribere nescientis. + Ego Nicolaus Siniscalcus de Montemurro testis. + Ego Nicolaus juditissimi de Montemuro testis interfui et me suscripsi. + Ego Da/pnus Thomas Archipresbyter Motismuri testis interfui et subscripsi.

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+ Ego Do/pnus Sextillius … + Ego Do/pnus Thomas … + Ego Nicolaus de Raynaldo .... + Ego Do/pnus Andreas de Spinelli testis sum qui interfui et subscripsi. + Signum crucis Antonii testis qui interfuit scribere nescientis. + Signum crucis propriae manus Antonii Scarane testis qui interfuit scribere nescientis. + Signum crucis propriae manus Antonii Scarane testis qui interfuit scribere nescientis. + Ego Johannellus ...."

2. Periodo di tregua osservata sino al 1466, allorquando il Vescovo Sansone Ciano, cittadino di Marsico, ricominciò a molestare la Collegiata di Saponara.

Dall'anzidetto anno 1368 i successori vescovi di Bartolomeo al numero di undici, cioè Tommaso3 nell'anno 1378, Giacomo4, intruso da Clemente VII nel 1397, Marco5 nel 1399, il quale nello stesso anno come scismatico fu privato della dignità da Bonifacio IX, Pietro6 nello stesso 1400, Giovanni Salernitano7 nel 1450 , Fra‟ Nardello di Gaeta8, il quale si suppone avesse prima ceduto il vescovato al suddetto Giovanni, il quale essendo morto, ritornò nella stessa sede nel 1437 + Carletto9 nel 1440 - Lionardo10 nel 1453 - Pietro11 nel 1456 - Andrea12 nel 1458. Vissero contenti o vogliam dire obbedienti alli comandi metropolitani, senza veruna innovazione; ma creato Sansone Ciano13, cittadino di Marsico, volle questi fare innovazione siccome avea fatto Bartolomeo, ed avendo il nostro Collegio fatto ricorso il Metropolitano per nome Nicolò questi a' di 31 Luglio 1466 spedì altr'ordine al Vescovo Sansone, che avesse onninamente osservato le determinazioni de' suoi predecessori metropolitani, e precise quella di Romualdo, del che si conserva altra pergamena nell' archivio della Collegiata; laonde dell'accennato anno 1466 fino al 1572, furon quelle

3 Tommaso Sferrati, francescano, già Vescovo di Civita in Sardegna e di Cagli nelle Marche. Fu trasferito a Marsico da Gregorio

XI, Resse la Diocesi dal 1378 al 1384. 4 Giacomo Lapadula o da Padula, nominato Vescovo da Clemente VII nel 1383 (e non come dice il Ramaglia nel 1397) mentre

era ancora Vescovo Tommaso Sferrati. E‟ uno dei tenti casi di compresenza di Vescovi nella stessa sede. 5 Marco di Montefalco, nominato Vescovo da Bonifacio IX. Essendo successivamente passato al seguito dell‟antipapa

Benedetto XII, dallo stesso Bonifacio venne rimosso nel Gennaio del 1400. 6 Cittadino e Vescovo di Cassano, nominato da Bonifacio IX Vescovo di Marsico nel 1400, muore nello stesso anno.

7 Prima di costui governa la sede di Marsico sino al 1430 il francescano Nardello da Gaeta che il Ramaglia nomina dopo di

questi. Giovanni era un chierico salernitano nominato Vescovo di Marsico da Martino V nel 1430 e non nel 1450 come dice il Ramaglia. 8 Vedi nota precedente.

9 Carletto o Carlotto, Arcidiacono del Capitolo di Sorrento.

10 Leonardo di Gaeta, di nobile famiglia di quella città, nipote di Nardello, regge la sede vescovile sino al 1456.

11 Pietro de Diano, nobile napoletano, signore di Castelluccio ed Agromonte. Vescovo per 2 anni.

12 Molto vicino a Roberto Sanseverino che viene da costui consigliato a sostenere Ferdinando I d‟Aragona nella lotta contro gli

Angioini. Regge la Diocesi 2 anni. 13

Sansone de Cayano o di Caggiano, cittadino di Marsico, fu Vescovo dal 1460 al 1478.

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puntualmente osservate, e così per lo spazio di 106 anni, tra' quali non si rattrova memoria di esser surte altre discordie che avessero travagliato la nostra chiesa. Dal suddettto anno però 1572 cominciorno li fieri imbarazzi e battaglie forensi fino alla totale abbiezione, siccome dirassi avanti.

Da quanto però si è fin qui divisato, cioè dalla Bulla di Gisulfo, dall'accordo e determinazioni anche “causa cognita” dalli Vescovi salernitani di sopra trascritte, evidentemente ricavasi che il nostro Collegio ha avuto la facoltà di eligere il suo Arciprete, il quale solamente doveva essere confirmato dal Vescovo marsicano, al quale ricorrevasi in grado di appellazione dagli gravami dell'Arciprete, per l'esercizio della giurisdizione che esercitava nella Saponara, ed a questo effetto la nostra Collegiata nominavasi soggetta alla Chiesa marsicana, e l'Arciprete ministro e servo, poichè anche per l'amministrazione dei sacramenti che dall'arciprete eseguire non si potevano ricorrevasi dal Vescovo marsicano, e però per non intorbidarsi con liti che ogni giorno poteano suscitarsi, contentossi il Collegio di soggiacere a quella contribuzione espressa nelle descritte determinazioni metropolitane.

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CAP. XIV

SIEGUE A NARRARSI GLI ARCIPRETI DELLA NOSTRA COLLEGIATA E COME GIACOMO SANSEVERINO CONTE DELLA SAPONARA FECE AL COLLEGIO ANNUA DONAZIONE PER UN SINGOLARE BENEFIZIO.

1. L’Arciprete Niccolò Malerba1 e il riscatto versato per liberare il Conte Giacomo Sanseverino.

Or continuando la narrativa delli Arcipreti che governarono la nostra Collegiata e da scritture antiche son possuti ricavare, dico che nel 1395 fu arciprete Antonio di Neva, oppure de Novia2, famiglia peraltro nobile in quei tempi.

Nel 1406 era arciprete Alessandro Greco, siccome si è divisato dalla transuntazione del suprascritto instrumento per mano di Notar Guglielmo Sinisgallo.

Nel 1420 era arciprete Nicolò Malerba. Costui fe' costruire la cisterna grande nella Collegiata, appunto quella sotto l'atrio o sia terrata della medesima, oggi per uso di cimitero, con quell'altro luogo sotto l'altare di S. Filippo e Monserrato che gli anni passati si stimò atto per fondaco, ma poi per essersi oservato molto umido si lasciò in abbandono, ed il medesimo Malerba per la gran spesa che vi correva fe' vendere anche contraddicente il vescovo di Marsico che a quel tempo era Hardello di Gaeta, molti beni gli chiese e tra gli altri un pezzo di terra allo Staglionaro ad Antonio Baratto, stipulandosi istrumento per mano di messer Gulielmo di Spina di Rivello, a la spesa di detta cisterna fu di once 44, tarì 8 e grana 8 1/2, spesi per mano di D. Goffredo di Tarsalia, che sono scudi 265.3.8.

Conviene ora in questo luogo rapportare un fatto memorando, assai valevole testimonio della fedeltà, osservanza ed affezione che la Saponara ha sempre avuto per il suo padrone temporale, poichè vi sono in quella sortiti a meraviglia uomini virtuosi e nobili che per ogni dovere si han tirata la di lui spezial benevoglienza e protezione, più di ogni altro luogo nella sua dizione.

Il fatto è il seguente. Circa i suddetti anni 1420 rattrovavasi padrone della Saponata Giacomo Sanseverino3, e regnando tuttavia le discordie, guerre civili e ladroneggi dei forestieri, fu il povero Giacomo da' suoi nemici sopraffatto, arrestato e condotto via e ridotto in stato da non potersi liberare dalle loro mani, richiedendone grossissime somme di denari, quali non potean cavarsi dell'esausto erario del povero Giacomo. Ma non potendo soffrire la nostra patria che il suo padrone fosse in siffatta guisa maltrattato e ritenuto, si sforzò al possibile ad unire denaro per aver parte nella liberazione del suo padrone. Il Collegio e Capitolo della nostra Chiesa volle anche lui dimostare un altro sopraffino segno di compassione e d'amore, poichè, non trovandosi pronta quella somma di denaro, prese tutto quell'argento che aveva e rimesselo al prigione Giacomo, acciò l'avesse dato in pegno per la somma che gli mancava, sintantochè da Egli avutosi il denaro, si fusse poscia ricuperato l'argento che non era di poca quantità. Giacomo dalla finezza usatagli dal nostro Capitolo ricevuto l'argento rimessogli, fu già de' suoi nemici liberato e rimpatriatosi in Saponara, avendo riconosciuta l' impossibilità di unire quella somma per cui l'argento stava appignorato, e che per sua causa

1 La famiglia Malerba occupava il 6° posto a destra del Sedile dei Nobili. Niccolò tenne il 2° Sinodo della Chiesa Collegiata nel

1426. 2 Il nome della famiglia è De Novis.

3 Giacomo Sanseverino, figlio di Ugo I, destinatario delle Grazie concesse dal Re Ladislao il 27 Dicembre 1402. Vedi foto n° 44

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il Capitolo facea gran perdita, fece fra tutte le sue strettezze ed angustie tra le quali rattrovavasi almanco dimostrare qualche segno di gratitudine (locchè da taluni non si opra) col donargli qualche piccola somma delle sue rendite, ridotte in molta tenuità. Così eseguì, e avvegnachè sotto li 4 giugno della 4a indizione del 1426, donò al sudd.° Capitolo tarì 15, da doversi esigere sopra la Bagliva, sopra la quale li fece assegnamento; locchè si acclara dal privilegio e concessione che conservavasi nell'archivio, qual poi dall‟Ab. Camillo Cotino arciprete, fu fatto ridurre in pubblica forma, per mano di Notaro. Francesco Giov. Benincasa di Saponara, del tenore che siegue:

2. Documento con il quale viene dato da Giacomo Sanseverino alla Collegiata il privilegio di prelevare 15 Tarì annui dall’introito della Bagliva (4 Giugno 1426)4.

"In nomine Domine nostri Jesu Christi, Amen. Anno a nativitate ipsius Millesimo quingentesimo nonagestimo quinto, regnante serenissimo et captolico Domino nostro Philippo de Austria, Dei gratia rege Castellae, Aragoniae utriusque Siciliae, citra et ultra farum, Jerusalem, Dalmatiae, Croatiae, regnorum vero eius in hoc Siciliae citra farum regno anno eius quadrigesimo secundo feliciter Amen. Die vero vigesimo septimmo mens. Novembris nonae inditionis, Saponariae, Provinciae Principatus Citra. Nos Jo. Jacobus Benincasa Terrae Saponariae publicus ubilibet per totum regnum Siciliae citra farum regia auctoritate Notarius, et testes subscripti ad hoc specialiter vocati et rogati, praesenti scripto declaramus, notum facimus atque testamur, qualiter praedicto die, venit ad n/ram praesentiam Eccellentissimum multumque reve/dus D/nus Camillus Cotinus Archipresbyter Collegiatae Ecclesiae S. Antonini T.rae Saponariae, consentiens pius in nos praedictos iudicem, notarium et testes ut in suos quatenus opus et pro tutela, cum sciat et recognoscat nostrae non esse jurisdictioni subjectum, nostramque jurisdictionem et officium in hac parte voluntarie prorogando. Qui sponte ostendit et praesentavit nobis judici, notario et infrascriptistestibus et per nos publice legi fecit quasdam litteras in pergameno scriptas… q/m Illum D/num Jacobum de Sanseverino utilem D/num T.rae praedictae Saponariae Collegiatae Ecclesiae terrae praedictae cum sigillo D/ni Ill/mi Jacobi appenso, in cera rubra, cum cordula serica rubea munitas quas vidimus, legimus et diligenter inspeximus, non quidem cancellatas, abrasas et in aliqua ipsarum parte suspectas, sed omni prorsus vitio et suspicione carentes. Et infra.

«Jacobus de Sa/to Severino Miles etc. etc. Universis et singulis praesentes litteras inspecturis. Grandis est et circumspecta provisio actenus examinata conciliis collapsis, in devium necessitate rationabilis potius quam profetito qui consurgentes a lubrico veniam postulant recognoscendo delictum. De piae misericordiae clementia confidentes ad hoc ut mansuetudo superni Judicis in rigore judicii mansuescat benignius; sane resolventes in atra nostrae mentis necessitate ducti potius quam voluntate olim recepisse ab ecclesia S. Antonini Mater Ecclesia Terrae nostrae Saponariae nonnulla vasa argentea, ascendentia aestimatu ad ampiam summam illaque conversa fuisse in recaptu et redemptione (ndr. riscatto e liberazione) personae nostrae, quae receperimus cum proposito restituendi, et propter temporum discrimen illa non potuimus, nec ad praesens possumus redimere et restituere, prout fuit et est nostrae voluntatis et propositi, in excambium et restaurum dictorum vasorum argentorum et valoris eorumdem, inspecta possibilitate quae nobis adest ad praesens, eidem Ecclesiae S. Antonini Tarenos quindecim percipiendos per dictam

4 Cfr. Il testo originale del documento è contenuto nella Pergamena n° 5 (Cfr.Valeria Verrastro ”Le pergamene della chiesa

collegiata di S. Antonino martire di Saponara” pag. 233.

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Ecclesiam, rectores et procuratores eius ex nunc in antea a data praesentium et in perpetuum in super Gabella bajulationis5 dictae terrae nostrae Saponariae damus, assignamus, tradimus atque concedimus harum serie proprii motus instincta, liberalitate mea, de mea scientia persolventes debitum supradictum. Ita quidem quod praefata ECCLESIA dictos annuos Tarenos quindecim percipere et habere debeat a bajulis et officialibus n/ris quibuscumque praesentibus et futuris, deputatis et deputandis n/ris quibuscumque praesentibus et futuris, deputatis et deputandis in percepione, exatione Gabellae bajulationis n/rae, subiectis terminis : In festo Nativitatis Domini tarenos septem cum dimidio, et in festo Resurrectionis Domini tarenos septem cum dimidio quos dicta ecclesia percipere haberet, et tenore habeat immediate in capite a nobis, heredibus et successoribus n/ris, neminemque cognoscendo in superiorem D/num. Hoc servire teneatur nec debeat nobis ac successoribus n/ris et heredibus ipsis pro predictis Tarenis quindecim annuis de pheudali alioque servitio, sed potius franche, libere absque aliquo gravamine Ecclesia ipsa percipiat, habeat et recollegat dictos annuos tarenos quindecim in terminis supradictis a bajulis et officialibus nostris superius nominatis. Investentes deinde Ecclesiam et D/num Nicolaum Malerbam archipresb. Praedictae Eccl. S. Antonini, et D/num Goffridum Farsaliam procuratorem, rectores et economos dictae Eccl. S. Anotonini, nomine et proparte Eccl. ipsius de dictis annuis Tarenis quindecim donatis tam per nos quam per heredes et successores nostros irrevocabiliter et in perpetuum, per anulum nostrum praesentialiter, ut est moris; quam investituram habeat vim efficaciam realis, irrevocabilis et perpetuae donationis, concessionis, traditionis, perceptionis et habitionis annuorum dictorum Tarenorum quindecim. Ita quod ex nunc in perpetuum donatio ista per nos, heredes et successores n/ros nullatenus violetur nec infrangatur in aliquo quam aliquis heredum et successorum nostrorum rumpere et infrangere intentent, maledictiones Omnipotentis Dei incurrat et ipsius indignatione adeo opprimatur ut eo facto hereditate et successione sua priventur et ipsius successionis et hereditatis n/rae penitus indigni fiant. Ut itaque dicta Eccl. eorundem annorum Tarenorum quindecim eidem Eccl. Ut praedicitur per nos donatorum et debitorum realiter perceptione fruatur, volumus et vobis bajulis tam praesentibus quam pro tempore fuerint Erariis, Camerariis et aliis quibuscumque perceptoribus Gabellae praedictae bajulationis terrae n/rae Saponariae de certa n/ra scientia haum serie mandamus expresse, quatenus tenore praesentium litterarum per vos diligenter, attente et in omnibus efficaciter observato juxta illam vos praedicti bajuli camerarii et perceptores et exactores dictae Gabellae Bajuli n/rae terrae Saponariae et successive futuri eidem Eccl. Suo rectori, procuratori aut heconomi jam dictos Tarenos quindecim solvendos in terminis suprascriptis eidem Eccl. Ut praefertur concessos, donatos et debitos penos de Gabella dictae bajulationis, de pecunia ipsius Gabellae sistente in futurum, proveniente ad manus vestras tempore officiorum vestrorum, prout ad vos et ad vestrum quamlibet spectaverit integre, et sine diminutione qualibet, vigore praesentium sine dilatione aliqua realiter exolvatis recipiendo ab eis de receptis singulis vicibus apodissas quas vobis vestri ratiocinii tempore pleni sufficere volumus ad cautelam, illamque una cum solutione huiusmodi acceptari possit et admitti, nullis cautelis aliis, quam praesentibus n/ris litteris cum apodissa iam dicta a vobis propterea quomodolibet recipiendis. Vosque Locumtenentes, Camerarii, Vicarii et Capitanei dict. ter. n/rae Saponariae praesentes et futuri non impediatis in aliquo solutionem eamdem immo

5 Gabella della Bagliva era la tassa che Il Baiulo o Baglivo imponeva ai cittadini. Egli curava l‟amministrazione dei Comuni ma

non rappresentava gli interessi della popolazione bensì del Feudatario. L‟attivtà amministrativa del Baiulo venne regolamentata sotto gli ultimi Angioini da Statuti scritti che dovevano conformarsi alle Prammatiche regie.

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vos et quilibet vestrum quolibet requisiti fueritis, tum dictos Bajulos, Erarios, Officiales et Perceptores alias jurium dictae Gabellae bajulationis ad illam solutionem dictorum Tarenorum annuorum quindecim solvendorum in terminis supradictis ac ut praedicitur dictae Eccl. faciendam ad omnem requisitionem rectorum et procuratorum Eccl. ipsius, prorsus opus fuerit arctius compellatis, cum volimus et expresse possit intendimus, quod eidem Eccl. de praefatis annuis Tarenis quindecim in et super Gabella bajulationis ipsius integra et sine diminutione qualibet in perpetuum satis fiat, quibuscumque ordinationibus, declarationibus, mandatis vel edictis forte factis in contrarium vel faciendis in antea per nos, heredes et successores n/ros, sub quacumque forma vel expressione verborum, temporum ac dierum per quae et quas effectus praesentium impediri possit in aliquo vel differri, etiam si de illis vel aliqua illorum vel illarum clausola est specialis et expresse mentio fecienda nullatenus obstiteris, cum omnino dictam ordinationem volumus et mandamus heredibus et successoribus n/ris; sub poena maledictionis n/rae ac privationis hereditatis et successionis n/rae, a quo si contra fecerint rebellantur, et velut indigni esse debere ac teneri, censeri, reputari et observari irrevocabilem perpetuam et realem.

Praesentes autem litteras post opportunam earum praesentationem, volumus praesentanti restitui, praemisso modo officialiter in antea valituris. In cuius rei testimonium et dictae Eccl. eiusque rectorum, procuratorum et heconomorum cautelam praesentes n/ras litteras exinde fieri et scribi jussimus per manus notarii Cibelli, camerlinghi, secretarii n/ri, n/ro pendenti sigillo, subscriptione n.rae propriae manus subscriptas et communitas. Datum in Castro n/ro Saponariae die quarto, mense junii anni quartae inditionis, sub Anno Domini millesimo quadringentissimo vigesimo sexto (1426).

Ego Jacobus de S. Severino Miles praedicta confirmo et promitto ut supra propria manu subscripsi. Ego Ugo de S. Severino praedicta confirmo et mea pp.manu sub.si + locus sigilli. Unde ad futuram rei memoriam" et con quel che segue, per compimento della reassuntione.

Ego Jo. Jacobus Benincasa T/rae Saponariae Reg.s ad contractus judex interfui et me subscr/si pp. manu. Jo Baldassarro Falasca de la sup.ta sono stato presente mano pp. Ego Ferdinandus a Rivello Saponariae sum testis. Io Ortentio Giliberto de la Saponara sono test. Io Ottavio Danio de la Saponara sono test. Emilius De Stefanis intefui pro teste. + Ego Ferdinandus Palatius Saponariensis sum testis. Praesentibus : Judice Jo. Jacobo Benincasa - Ferdinando de Rivello - Mag. Emilio di Stefano - Nob. Ottavio de Danio - Mag Nyerendino Palatio - C.to Benincasa - R.D. Baldassarre Falasca - Mr. Ortentio Giliberto a Saponaria etc.etc."

3. I Capitoli del Sinodo della Collegiata celebrato dall’Arc. Niccolò Malerba il 1426.

Di questa rendita il Collegio nostro ora non meritava cosa veruna, anzi affatto passata dalla memoria, nè si sa come sia dismessa, forse con la mutazione di dominatione. E ritornarono a Nicolò Malerba Arciprete, questi nell'anno 1426 celebrò il sinodo arcipretale, come ordinario di Saponara, siccome si è detto, copia del quale rattrovasi registrata nel processo compulsionale formato nell'anno 1647 dal rev. Sig. D.G. Battista Caperta, vicario generale ed arcidiacono d'Anglona, delegato dalla Sacra Ruota Romana per far estrarre quelle scritture necessitavano per la causa giurisdizionale col Vescovo dagli archivi, così pubblico dell'Università come della Collegiata e dalle Sedie dei Notari. Qual processo mi fu presentato dal riferito Sig. D. Carlo Danio, ricuperato con sua industria da Roma, dove si trova originalmente detto processo, a fine di trascrivere qui quelle notizie confacenti alla presente opera. Laonde al

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fol. 32 di detto processo si descrive detto processo del tenore che segue: "Jesus+Maria. Antoninus, Nos Nicolaus Malherba, Archipresb. et ordinarius judex Collegiatae Eccl. Saponariae in

Provincia Salernitana, vetusta praedecessorum n/rum vestigia sectando, pro nostra Eccl. Gubernatione et subditorum directione, has constitutiones synodales servatis servandis ex consilio fratrum nostrorum, more majorum nobis assidentium, aeditas et in n/ra Eccl. clero et populo ad hoc congregato, publicatas et notificatas hodie secunda septembris inditione quinta, anno MCCCCXXVI (1426), festo solemni gloriosi martyris Antonini eiusdem Eccl. et Oppidi Patroni, ab omnibus et singulis nostrae ordinariae jurisdictioni subjectis, praecipimus observari, sub poenis in eis expressis, et sanctae oboedientiae; et ubi poena non esset apposita, illa semper nostro et successorum n/rum arbitrio intelligatur reservata.

Cap. I Fidem sanctam catholicam et apostolicam unusquisque credat, profiteatur et custodiat omni tempore incontaminatam, servet Dei mandata et Ecclesiae sanctae praecepta sub oboedientia Sumni Romani Pontificis Christi Domini Dei Vicarii, et directione sui vicarii.

Cap. II - Si quis scriverit aliquem (quod absit) a fide catholica deviatum, Dei mandata et Ecclesiae praecepta cum scandalo non servantem, sive de Ss. D/ni Papae potestate male sentientem vel obloquentem, praelato pro tempore denunciet intra mensem, sub poena excommunicationis latae sententiae.

Cap. III - Quilibet Canonicus vel Presbyter nostrae Collegiatae qui in sua hebdomada juxta vetustam consuetudinem curam gerat animarum, sancta Sacramenta, romano ritu servato, ministret, pro administratione nihil omnino temporale recipiat, curam habeat infirmorum, agonizantibus assistant et morientibus auxilium ferat et tarde; pueros et puellas et omnes ignorantes, in diebus dominicis, statu a hora, signo campanae dato, ad eas convocandas, orationem dominicam, salutationem angelicam, symbolum apostolicum, mandata Dei, praecepta Ecclesiae, aliaque ad doctrinam Christianam spectantia pro cuiusque capacitate, doceat publice in Ecclesia adhibitis adjunctis juxta tabellam. Si quis in aliquibus ex praedictis defecerit vel se gesserit negligenter, vel severius puniatur arbitrio Praelati.

Cap. IV - Ab omnibus ecclesiasticis, Dei benedicti, et Eccl. servitio vacatur, ea quae decet diligentia, praesertim in horis nocturnis et diurnis, ac missae sacro celebrandis et decantandis juxta tabbellam affixam, et annuatim in festo S.N. Patroni, affigendam a praelato pro tempore. Omnia in choro dirigantur ab hebdomadario, qui semper sedere debet ex diametro praelati, coeterique sedeant gradatim in suiis stallis, semper cum habitu clericali dum divina celebrantur; si quis contra facerit, multetur uno augustali in beneficium Ecclesiae.

Cap. V - Peritia cantus non solum est decens, set etiam necessaria est omnibus ecclesiasticis; proinde qui cantum ignorant, cantum omnino discant, ad omnem praelati vel officcialis ordinem, sub poena trium augustalium, in beneficio nostrae Eccl. solvedorum.

Cap. VI - Nullus promoatur ad ordines absque licentia totius Collegii, et nostrae Curiae litteris dimissorialibus, qua nulli concedentur nisi ab examinatoribus reperiantur idonei, et vita, moribus et doctrina fuerint approbati, sub poena suspensionis ab ordinum executione arbitrio nostro, vel praelati qui pro tempore successerit.

Cap. VII- Nullus ecclesiasticus vestibus induatur suo ordini indecentibus, nullus personatus incedat, nullus faciat histrionem, nullus tabernam exerceat vel lanieram, nullus mulionis vel custodis animalium faciat exercitium, nec aliis vilibus aut turpibus se immisceat, sub poena a sacris canonibus statua et aliis gravioribus arbitrio praelati pro modo

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culpae infligenda. Cap. VIII - Nullus ecclesiasticus intra oppidi moenia post secundam horam noctis incedat absque lumine sub

poena quatuor augustalium6. Cap. IX - Nullus item cuiuscumque ordinis ullo temore arma deferant, sub poena unciarum auri trium, et armorum

amissione nostrae Curiae applicandorum, noctis tempore, et suspoensionis a divinis ipso facto incurrenda arbitrio praelati.

Cap. X - Nullus omnino sive clericus sit, sive laicus, concubinam domi retineat7, nullus publicam exerceat usuram, sub poena excommunicationis latae sententiae.

Cap. XI Cum magna animi nostri perturbatione reperimus homines in plebe nostra ita dissolutos, ut dum colendis vineis et agris operam dant, pertranseuntibus mulieribus, veluti equi quabus similes illis effecti, voce hinniscent8 bestiali et verba proferunt execranda, cum magno honestatis detrimento et bonorum morum corruptione non modica. Quare volentes eam perniciosam corruptelam abolire, eam prohibemus constitutione praesenti, sub poena excomunicationis latae sententiae. Certificates eos qui contrafacerint quod absolutionem non obtinebunt, nisi gravi pro modo culpae et publica peracta poenitentia.

Cap. XII - Nemo prorsus audeat diebus festis et dominicis opera excercere servilia, nullus emat vel vendat, praeter comestibilia pro usu illius diei, nullus acta judicialia faciat vel publica stipuletur, sub poena duorum augustalium ecclesiae nostrae solvendorum.

Cap. XIII -Nullus libros venales habeat quoscumque nisi a nobis et officiali n/ro recognitos et approbatos, sub poena excommunicationis ipso facto incurrenda, et ammissionis librorum.

Cap. XIV -Nulla fungatur officio ostetricis nisi a nobis et praelato pro tempore successore examinata circa materiam et formam S. Baptismatis et alia necessaria, et approbationem acceperit in scriptis.

Cap. XV - Sponsas Christi decet sanctitudo. Proinde sanctimonialis non sulum promissa voto et servare mandamus, sed et saecularium curas, vitia et superflua colloquia vitare, quantum in Domino possumus hortamur.

Benedicat vos Deus et custodiat semper Pater, Filius et Spiritus Sanctus. + Nicolaus Malerba Archipresbyter - Ego Dopnus Johannes de Faraldo Cancellarius scripsi et publicavi atque

signavi, locus signi."

6 Si faceva divieto a tutti gli ecclesiastici di passeggiare per le strade del paese dopo le due di notte.

7 Era fatto divieto sia agli Ecclesiastici che ai laici di tenere a casa una concubina.

8 Curiosissima questa annotazione fatta su coloro che, in campagna, mentre passano le donne “nitriscono come bestie” e

profferiscono parole sconce. Il lettore immagini la scena!

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CAP. XV

SI CONTINUA LA NARRAZIONE DEGLI ARCIPRETI E DEGLI SINODI CELEBRATI PER IL BUON GOVERNO DELLA CHIESA.

1. Sinodo dell’Arciprete Giovan Battista Gerbasio del 1443.

A Nicolò Malerba successe nella prelatura della Chiesa nostra Giovan Battista Cerbarsio, il quale nel 1443 celebrò anch'egli il sinodo arcipretale, che si è ricavato dallo stesso processo, il quale è del tenore che segue:

" Jesus + Maria. Antoninus. Nos Jo. Bapt. Gerbasius, Archipresb. et Ordinarius judex Ecclesiae Collegiatae Saponariae in Salernitana Provincia, hodie secunda mensis Septembris inditione septima, anno D/ni MCCCCXLIII (1443), Synodum celebrante in assistentia fratrum, more majorum constitutiones latas a beata mem. Nic. Malerba praedecessore nstro sub die secunda Septembris1 quintae inditionis anno MCCCCXXVI, confirmamus et infrascriptas addimus, et observari mandamus.

Cap. I - Confessiones sacramentales Christi fidelium nullus sacerdos sive secularis sit, sive regularis intra fines n/ri Territorii et jurisdictionis audire praesumat, absque eo quod nobis et examinatoribus nostris fuerat approbatus et licentiam habuerit in scriptis, sub poena suspensionis a divinis ipso facto.

Cap. II - Nullus sacerdos, etiam hebdomadarius matrimoniis contrahendis assistentiam praestet absque nostra licentia in scriptis, sub poena excommunicationis latae sententiae.

Cap. III - Caveant sanctimoniales2 in posterum, nec intra claustra monasterii, sive propter habitam susceptionem, vel professionem emissam aut alia quavis occasione per inter ipsas moniales tripudia fiant, ducantur choreae, nec cantilenae profanae cantentur3, sub poena Abbatissae si permiserit privationis officii et excommunicationis ipso facto ab omnibus qui contra fecerint incurenda.

Ita servato et Dominus vos benedicat ab alto. Jo. Bapt. Cerbarius Archipresb. Ego Dopnus Petrellus de Restanio Cancellarius scipsi et publicavi atque signavi, locus signi.

2. Capitoli del Sinodo dell’Arciprete Pietro Palazzo del 1455

Al defunto Gerbasio successe Pietro Palazzo, il quale seguendo le orme de' suoi predecessori, volle anche lui celebrare il Sinodo, come ordinario di Saponara nel 1455 ed è come segue:

" + Nos Petrus Palatius, praelatus Ecclesiae Collegiatae Saponariensis et judex ordinarius eiusdem, sacrum Synodum pro subditorum gubernatione celebrantes in consilio fratrum de more assidentium gubernatione celebrantes in consilio fratrum de more assidentium, constitutiones beata memoria Nicolai Malerba et Jo. B. Gerbasii praedecessorum n/rum

1 I Sinodi Arcipretali di Saponara si tenevano il giorno della ricorrenza della Festa di S. Antonino.

2 Così venivano chiamate le monache.

3 Proibizione di festeggiamenti, danze e canti profani.

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confirmatus et simul fas infrascriptas, additas et publicatas hodie secunda Septembris inditione quarta, anno D/ni MCCCCLV (1455), praecipimus observari:

Cap. I - Nullus ecclesiasticus cohabitare praesumat cum mulieribus ultra tertium gradum conjunctis4, sub poena unciarum auri trium n/rae Curiae applicandorum.

Cap. II - Similiter nullus extraneam mulierem domi retinetat, neque sub nomine famulae5, nisi aetatem excedat annorum quinquagunta, et sit probatae vitae, et tunc nostra licentia in scriptis, causa cognita, concedenda, qui contrafacerit poenam incurrat duarum unciarum auri, nostrae etiam Curiae solvendorum.

Cap. III - Nullus sive ecclesiasticus sit sive laicus sub fenestras6 monasterii sanctimonialium praesumat profanas cantare cantilenas, sub poena excomunicationis latae sententiae.

Cap. IV - Similiter nullus quavis occasione audeat in atrio monasterii choreas ducere, tripudia facere, vel alia obscena rapresentare, sub poena excomunicationis latae sententiae, etiam Abbatissae, vel monialibus, si consenserint vel permiserint.

Custodite mandata et D/nus custodiet vos de coelo. Petrus Palatius, Archipresb. Ego Dopnus Thomas Malerba scripsi, publicavi et signavi, Collegii Cancellarius. + Adest signum".

3. Sinodo di Tommaso Malerba nel 1484.

Morto Pietro Palazzo, il nostro Collegio, a tenore dell'antica consuetudine, si unì per eleggere il nuovo arciprete ed ordinario, e fu eletto Tommaso Malerba nel 1482, il quale fu confermato dal vescovo di Marsico Francesco G. Antonio Petitti7, asserendo questi che tal jus di eleggere l'arciprete spettava al nostro Collegio, come si dirà in altro luogo: laonde questo Tomaso, nel 1484, volle celebrare il suo sinodo, del tenore seguente:

"Jesus + Maria. Antoninus. Nos Dopnus Thomas Malerba Archipresb. et iudex ordinarius Eccl. Saponariae, in praesenti synodo, ex fratrum

n/rum consilio de more assidentium, constitutiones et decreta revendorum praedecessorum Nicolai Malerba, J.B. Cerbarii et Petri Palatii confirmates infrascriptas adjectas et publicatas hodie secunda septembris 1484, cum eis ab omnibus n/rae ordinariae jurisdictioni subjectis, stricte sub sanctae oboedientiae et aliis expressis poenis praecipimus observare.

Cap. I - Nullus sub quovis praetextu cum «donne» commercium habeat, nullus artem exerceat veneficam divinatoriam vel superstitiosam sub poena excomunicationis latae sententiae, et alia nostro arbitrio pro modo culpae infligenda.

Cap. II -Si quis talia sciverit exercere, deferat infra mensem sub eiusdem excomunicationis poena.

4 Divieto di coabitare con donne oltre il terzo grado di parentela. Vedi il Cap. X del Sinodo di N. Malerba ove il divieto si riferiva

genericamente ad una concubina. 5 La perpetua del prete non poteva essere di età inferiore a cinquanta anni.

6 Divieto universale di cantare canzoni profane sotto le finestre delle monache.

7 Questo Arcivescovo era oriundo della Saponara.

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Cap. III - Blasphemarum practica et societas ab omnibus arceatur, ne tali execranda peste inficiantur alii. Si quis sanctissimum Dei nomen, sive Deiparae gloriosae vel aliorum sanctorum blasphemare ausus fuerit, poenam incurrat excommunicationis ipso facto et aliam arbitrio nostro pro criminis qualitate imponenda8.

Cap. IV - Si quis publicum blasphemam notum fuerit, Curia infra die quindecim deferat, sub poena eiusdem excommunicationis.

Cap. V - Nullus promoveatur ad ordines absque titulo vel sufficienti patrimonio vero, reali et non supposito, ne cum Ordinis dedecore mendicare cogatur. Si quis contra, fraudem adhibuerit poenam perpetuae suspensionis a susceptis et inhabilitatis a suscipiendis incurrat.

Cap. VI - Beneficiati curam habeant Ecclesiarum beneficialium, sic et venerabile Collegium nostrum Ecclesiarum Capitularium, et pari modo confraternitates suarum Ecclesiarum, cappellarum et hospitalium eas eaque respective referendo, ubi est opus; cultui, ornatui, celebrationi, substentationi necessaria ministrando, debitis, sacrificiis, consuetis ossequiis et solitis processionibus non defraudent,curent, bona, jura custodiant, et in omnibus teneantur et non neglegant, sub poena nostro arbitrio pro modo culpae commissionis, vel omissionis irroganda, usque ad privationem inclusive.

Ad futuram memoriam notantur Ecclesiae: Chiese capitolari del Collegio: La Collegiata di S. Antonino - S. Maria Mater Domini (che è quella di S. Antonio Scavarello) - S. Martino - S. Donato - S. Biase - S. Elia - S. Stefano - S. Maria del Borgo - S. Macrina - S. Cataldo - S. Jacovo - S. Fantino - S. Sofia - S. Giuliano del Piruzzo - S. Vito - S. Giuliano di Olcri (?) - S. Sebastiano - S. Lucia - S. Maria di Grumentino.

Chiese benficiali: S. Maria della Cittade - S. Antonio della Valle - S. Nicola delli Giliberti - S. Laviere - S. Leonardo delli Petitti - S. Caterina Reparata delli Debiti.

Confraternite con Chiese ed Hospitali: De la Santissima Annunziata - De S. Pietro in vincula - De S. Margarita - De S. Antonio de Padova.

Cap. VII - Cum Praelatus celebrat pontificaliter, omnes fratres seniores, seu canonici coeterique presbyteri et clerici cuiuscumque ordinis assistant, solemnem expectantes benedictionem, sub poena arbitrio nostro.

Cap. VIII - In quo altari celebravit pontificaliter, decet eo die nonnullus ex sudditis celebret, nec vestibus utatur, quibus in ipsa celebratione usus sit praelatus.

Cap. IX - Moniales nihil dono accipiant vel praebeant absque licentia Abbatissae, sub poena carceris per triduum, et Abbatissa non sit remissa in poena infligenda sub poena privationis officii.

Cap. X - Obstetrices nihil offerant baptizandum, ut illae superstitiose dicunt, cum puero baptizando, sub poena excommunicationis latae sententiae et alia arbitrio nostro.

Cap. XI - Omnes utriusque sexus in Paschali solemnitate, et postea infra mensem non communicantes poenam incurrant excommunicationis: causam legitimam habentes, Parocum consulent et licentiam a nobis in eodem termino sub eadem poena praestandam obtineant.

8 Per i bestemmiatori ci sono specifiche pene contemplate dal Diritto Canonico.

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Cap. XII - Communitas laicorum sub quovis figurato praetextu, neque indirecte neque directe praesumant bonis, vel personis ecclesiasticorum onera imponere, sub poena excommunicationis a gubernatoribus incurrenda et interdicti ab ipsa Universitate.

Cap. XIII - Quilibet decimam ad quam tenetur, sive realem sive personalem, solvat Generali Procuratori Rev. Capituli per totum mensem octobris, sub poena latae sententiae. - Jugum Domini portate et accipietis requiem animabus (animis?) vestris.

Thomas Malerba Archipr. Ego Dopnus Bernardinus Zottarelli Collegii Cancellarius scripsi, publicavi et meo signo signavi.

Adest signum."

4. Sinodo di Pietro Palazzo II nell’anno 1507. Nell'anno 1491 era arciprete ed ordinario della nostra Collegiata Cono Malerba. Nel 1506 fu altro Pietro Palazzo,

e costui nello stesso anno9 celebrò il Sinodo, qual'è come segue: "Jesus + Maria = Antoninus Nos Petrus Palatius Archipresb. et Ordinarius judex Collegiatae Ecclesiae Saponariensis in Salernitana provincia,

in sacra ora presenti synodo ad gloriam Dei congragatam, de more majorum, omnibus rite et recte servatis et paractis, de consilio et consensu seniorum fratrum, nobis de more assidentium, constitutiones et decreta multorum reverendorum praedecessorum nostrorum, Nicolai Malerba, J.B.Cerbarii, Ven. patrui nostri Petri Palatii10 et Thomas Malerba synodalia confirmatus et infrascriptas hodie secunda septembris inditione undecima (11°) anno Do/ni millesimo quingentesimo septimo latas (1507), ac clero et populo ad hoc congregato publicatas, cum eis inviolabiliter observari mandamus, sub poenis in eis expressis vel alias nostro arbitrio.

Cap. I - Quilibet ecclesiasticus suae ecclesiae servitio vacare debet, non ad libitum voluntatis per diversa vagari:

proinde in posterum nullus ex eis audeat extra nostrum territorium et dioecesis proficisci et pernoctare absque nostra licentia, quae ultra dies octo non concedatur et concessa non prosit, nisi ex rationabili causa et in scriptis sub poena unciarum auri trium nostrae Curiae solvendorum.

Cap. II - Ex instituto majorum et privilegio particulari in nostro Collegio a fundatione ipsius et tempore immemorabili, duodecim presbyteri antiquiores appellati sunt et appellantur canonici, loca habent praecipua in choro et quandam portionem ultra coeteras, quorum aliquo deficiente locum, portionem et nuncupationem occupat antiquior in ordine praesbyterorum, absque aliqua collatione, sic semper in posterum, et aliter quomodocumque de canonicatibus provisi, a Capitulo non admittantur, nec recipiantur, sub poena arbitrio nostro; sed casu contingente, ut suspicatur, adeatur sanctam Sedem Apostolicam et consulatur.

9 Questa è una svista del Ramaglia che si contraddice con l‟annotazione dell‟anno del Sinodo (1507) che fa dopo.

10 Qui si vuole indicare che il primo Pietro Palazzo era suo padrino e zio.

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Cap. III - Nullus ad titulum Collegiatae promotus, ad sacros ordines admittatur ad cantandum missam, primam vocem et locum in Capitulo, nisi per triennium completum juxta solitum antiquam deservient, cum clavibus in officio sacristia.

Cap IV - Cum primam epistulam, evangelium et messem decatantibus, circa Ecclesiae et elmosinas servetur solitum antiquum absque aliqua innovatione.

Cap. V - Nullus ecclesiasticus quaerelam criminalem pro sua velsuorum offensa in tribunalibus laicorum, sub poena unciarum auri duarum. Nullus item in eis compareat pro aliis, etiam in causa civili, nullusque judicialiter examinari patiatur; et testimonium perhibeat absque nostra licentia, ex justa probata causa concedenda, sub eadem poena n.rae Curiae solvenda.

Cap. VI - Capitulum et fratres nostri presb/ coeterique alii pro defunctorum sepultura, praeter elemosinas consuetas pia fidelium consuetudine inductas, nihil omnino sub quovis praetextu exigant et quod solvitur pro sacristia, sacristiae omnino applicetur, sub poena arbitrio n/ro infligenda.

Cap. VII - Nullus etiam laicus in die festo ex praecepto choreas publicas ducat, mimum agat, fabulas representet, nec personatus per oppidum incedat, sub poena tarenorum quindecim n/rae Curiae solvendorum.

Qui vult ad vitam ingredi servet mandata. Petrus Palatius Arcipr. Ego presbyter Leonardus de Turturella Collegii cancellarius scripsi, publicavi et meo signo signavi. Ades signum."

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CAP. XVI

GIOVANNI FERRARA ELETTO ARCIPRETE GLI FU CONTRASTATA LA CONFERMA DAL VESCOVO, MA DALLA SAGRA ROTA OTTIENE SENTENZA FAVOREVOLE E CELEBRA IL SINODO.

1. Giovanni Ferrara, eletto Arciprete nel 1530, ricorre alla Sacra Rota per il mancato assenso alla sua nomina da parte del Vescovo di Marsico Ottaviano Caracciolo.

Morto Pietro Palazzo, fu canonicamente1 eletto Prelato della nostra Collegiata nel 1530 Giovanni Ferrara. Questi, essendo ricorso dal vescovo di Marsico allora Ottaviano Caracciolo2, per la solita conferma, gliela contrastò con varie maniere, avendo pensiero il Vescovo di far riuscire per arciprete Lucio Pulcinella per essere suo Vicario

generale; laonde fu d'uopo (non meno lui che il Collegio elettore) ricorrere a Sua Santità per la dovuta giustizia, da cui fu rimessa la causa nella Sacra Rota, dove essendosi agitata la causa per molto tempo, conoscendo il Ferrara che i frutti dell'Arcipretura non bastavano per il mantenimento della lite, ottenne che fosse commessa al Vicario generale del vescovo di Tricarico, in presenza del quale fattisi molti atti, senza però venire a decisione, sopraggiunse la morte del detto Vicario, nel quale officio procurò il Pulcinella farsi promuovere, siccome seguì; lo che fu causa che il Collegio e Ferrara ricorsero di bel nuovo a Sua Santità, dalla quale ottennero la revocazione della causa nuovamente alla Sacra Rota, dalla quale poi si proferì sentenza favorevole al Ferrara, che trovandosi nell'archivio e degna di memoria l'ho qui trascritta:

" In nomine Domini - Amen. Nos Jo. Baptista Cicada, Dei et Apostolicae Sedis gratia Episcopus Albigensis3 Ss/mi Domini Papae

Referendarius, eiusque Camerarius, nec non Curiae causarum Camerae et apostolicae Generalis auditor, Romanaeque Curiae judex ordinarius censurarum et sententiarum in Romana Curia et extra latarum universalis executor. Universis et singulis hoc praesens instrumentum visuris, lecturis pariter et audituris notum facimus et testamur, quod alias vertente lite Romana Curia, coram R.M. D/no Hieronymo de Cosinutiis, Dei et apostolicae Sedis gratia Episcopo Vigoriensi Curiae causarum Camerae Apostolicae Generale tunc auditore seu eius D/no locumtenente praedecessore n/ro inter D/num B. Jo. Ferrarium clericum marsicen. Diocesis et Capitulum Collegiatae S. Antonini Terrae Saponariae ex una; et R.P.D. Episcopum Marsicen. et quemdam Lucium Pulcinella, inde et super Archipresbyteratu dictae Eccl. S. Antonini, rebusque aliis in actis causae, et causarum huiusmodi latius deductis et illorum occasione partibus ex altera; et

1Con l‟espressione “canonicamente” il Ramaglia intende l‟antica consuetudine di eleggere l‟Arciprete con votazione dei Canonici

della Collegiata. 2 Nobile napoletano, nominato Vescovo di Marsico da Alessandro VI, tenne la sede marsicana dal 1494 al 1535. Probabilmente

è suo il primato di permanenza in una Diocesi di 41 anni. 3 Vescovo di Albenga. Uditore generale del Papa e del suo Camerario nonché della Curia nelle Cause della Camera Apostolica

e Giudice Ordinario della Curia Romana. E‟ lo stesso che incontriamo nella pergamena n° 16 della Chiesa di S. Antonino, con il quale atto ordina ai Frati del convento di S. Francesco dell‟Ordine dei Minori di restituire al Capitolo tutti i frutti, indebitamente percepiti in due anni, della Chiesa della Madonna delle Grazie. Cfr. V. Verrastro, op. cit., pag. 81.

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in eadem causa ad nonnullos actus iter partes preadictas, sive verius eorum procuratores precesso, citra tamen causae conclusionem. Interea tamen fel. record. Clementis Papae VII quandam commissionem sive supplicationem papiri cedula dicto R. Hieronymo tunc Curiae causarum Camerae Apostolicae Generali auditore per unum cursorem praesentari fecit uiusmodi sub tenore.

Beatissime Pater. Alia lite et causa in Romama Curia, coram R.P.D. Auditore Camerae, inter s.v. oratore Jo. Ferarium Clericum Marsicensis Diocesis, et Capitulim Collegiatae Eccl. S Antonini Terr. Saponariae dictae Diocesis, conventus ex una; et R.P.D; Episcopum Marsicen. et quemdam Lucium Pulcinella adversarios actores, ut praetendebatur, inde, et super Archipresbyteratu dictae Eccl. S. Antonini rebusque aliis in actis Curiae causarum latius deductis, et illarum occasione, partibus ex altera, tunc indecisa pendere. Deinde dictus Jo. Orator, ob tenuitatem fructuum dicti Archipresbyteratus, dictam causam a Romana Curia vigore rescripti a S.V. emanati ad partes avocavit, illamque Vicario Ep/i Tricaricensis commissam obtinuit, coramquo ad aliquos actos per dictos oratores parte tam semper in judicio citata, citra tamen causae conclusionem perventum supervenit mors dicti Vicarii, et dictus Lucius Pulcinella adversarius in locum ipsius Vicarii demortui institui procuravit, et dictum Vicariatus officium obtinuit. Igitur, Pater Sancte, dictus adversarius uti pars et judex adversarii numquam voluerunt in eundem Vicarium tunc Delegatum aliquo modo consentire, sed asserebant dictam causam coram praedicto D° Auditore in Romana Curia indecisam pendere, et inibi velle causam perficio et semper subterfugio, ob malum, quod vovet quaerebant; prout de praesenti quaerent. Proinde, Sancte Pater, si dicta causa in illis partibus iterum remitteretur, propter immoderatos favores, quos inibi dictus adversarius obtinet, oratores ipsi justitiae complementum obtinere nullo modo sperant, nec etiam in partibus ipsis infra duas dictas, viri in dignitate constitui idonei reperiuntur, quibus eadem causa tuto committi possit, et si ultra dictis committeretur, Oratores praedicti maxime laboribus et expensis graverentur et opprimerentur. Unde ad comburendum dictorum adversariorum pertinaciam recorrunt ad pedes S.V. oratores praedicti humiliter supplicando quantenus causam et causas huiusmodi eidem R.P.D. Auditori Camerae, sive eius Domino Locumtenenti, aut aliter ut praefertur dicta causa ad adversariorum instantiam commissa exhibit, reformandi ulteriusque audendi, recognoscendi deinde fine debito, terminandi partibus ipsis justitiam ministrando, cum omnibus et singulis suis incidentibus dependentibus, emergentibus, annexis et connexis cum potestate Episcopum, adversarios omnesque alios singulos et conjunctim et divisim interesse praesentari, tam in Romana Curia quam extra eam citandi, et quoties opus fuerit etiam sub censuris et aliis pecuniariis poenis arbitrio suo imponendis et infligendis inhibendi, sententias censuras et poenas incurrisse, declarandi, aggravandi, reaggravandi, etiam cum convocatione auxilii brachii saccularis inclusive, nec non cum potestate dictum Capitulum et clericos dictae Terrae ad cautelam, prout juris, sic fuerit, absolvendi ex quo dictus Episcopus adversarius pendente lite huiusmodi, ac non obstante inhibitione, ibi facta absque legitima causa et contra omne debitum dictum Capitulum et clericos excommunicavit, de facto contra dictam inhibitionem veniendo et attestando, contra illorum provocationem et annullationem, quatenus contra sic attentasse probabitur. Omnisque alia et singula faciendi, generendi et exercendi quae in praemissis et circa praemissa necessaria fuerint, seu quomodolibet opportuna committere et mandare dignaretur, de gratia speciali praemissis, nec non constitutione et ordinatione apostolici in contrarium facientibus, non ostantibus quibuscumque statum et merita causae et causarum huiusmodi, et in eis actitatorum aliorumque sic magis specifice exprimendi tenoris et effectus pre plene et sufficienter expressis,

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habentes. Qua quidem commissio in eius duas habebat signaturas, quarum prior talis erat. "ex mandato D/ni n.ri Papae audiat idem auditor, item insinuat, et sibi inhibeat, et sub censuris et paenis, ut petitur aggravet, absolvat, annullet, prout de jure et justum fuerit."

Posterior vero sic sequebatur: "V/m placet D/no Papae.Et Decanus." Cuius quidem commissionis vigore in causa et causae huiusmodi inter praefatas partes sive verius earum

procuratores rite et legitime processo tamen servatis servandis et recognitis ipsius causae meritis dictus Jeronimo. de Ghinucii dicti D/ni Hieronimi tunc auditoris locumtenens, suam diffinitivam in scriptis tulit et promulgavit sententiam in hunc qui sequitur modum:

"Christi nomine invocato. Pro Tribunali sedentes et solumDeum prae oculis habentes per hanc nostram diffinitivam sententiam quam de Jureperitorum consilio et assensu ferimus in his scriptis, pronunciamus, decernimus et declaramus in causa et causis vertentibus coram nobis inter Collegium Collegiatae Eccl. S. Antonini oppidi Saponariae Marsicen. Diocesis et venerabilem virum D/num Jo. Ferrarius praesbiterum electum in archipresbyterum dictae Collegiatae Eccl. ex una et quendam Lucium Pulcinellam assertum clericum adversarium et oppositorem de et super archipresbyteratu praedictae Eccl. Collegiatae S. Antonini dictique archipresbyteratus electione et confirmatione, rebusque aliis in actis causae et causarum huiusmodi latius deductis, et illorum occasione partibus ex altera, in prima versa fuerint et vertuntur instantia. Electionem per presbyteros dictae Eccl. Colleg. S. Antonini de persona dicti D/ni Jo. Ad dictum archipresbyteratum per obitum R.D. Petri Palatii extra Romanam Curiam defuncti, vacantem factam fuisse et esse canonicum, suumque debitum debuisse et debere sortiri effectum, atque confirmandam fuisse ac confirmari debuisse et ob injustam Episcopi Marsicen. denegationem confirmationis, ipso jure confirmatam esse pronunciamus, et quibus opus est, confirmamus dictum archipresbyteratum eidem Donno Johanni, cum omnibus juribus et pertinentiis suis ac quibus sui in eadem archipresbyteratus dignitate praedecessores potiri et gaudere consueverunt ad judicandum fore et adjudicamus et ad ipsum spectare et pertinere. Oppositiones, vexationes, contradictiones et impedimenta ipsi Collegio et D/no Jo. per praefatum Lucium, de et super archipresbyteratu et ipsius electione et confirmatione, et illorum occasione quomodolibet factas et praestitas, facta et praestita fuisse et esse temerarias, iniustas, indebitas et iniquas, temerariaque, iniusta, indebita et illicita ac de facto praesumptas et praesumpta illaque d/o Lucio facere dicto Collegio et Donno Jo. minime licuisse neque licere et propterea ipsi Lucio inde et super praemissis et archipresbyteratu praedicto silentium perpetuo imponendum fore et imponimus nec non eundem Lucium in expensis huiusmodi causa pro parte dicti Collegii et D/ni Jo. in partibus et coram nobis similiter factis condemnandum fore et condemnari debere et condemnamus quarum expensarum tentationem nobis in posterum reservamus. Ita pronunciavi ego Joannes Dilectus, R.P.D. auditoris Camerae Locumtenens et Commissarius.

Datum Romae, sub anno nativitatis Domini Millesimo quingentesimo trigesimo secundo (1532), Ind. VI, die vero quarta mensis Martii, Pontificatus SS. D/ni Clementis Papae VII."4

4 Questa pergamena si conserva in discreto stato ed è catalogata con il n° 11 presso l‟Arch. St. Potenza. Scrittore o rogatario è

Joannes Jacobus Barra. Gironimo de Ghinucci era Vescovo di Worcester ed Uditore Generale presso la Camera Apostolica.(Cfr. V. Verrastro, op. cit., pag. 236).

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Veggasi il capitolo "significaverunt extra de except.", ove si narra un caso simile. Disbrigatosi il Ferrara dalle opposizioni del Vescovo e del Pulcinella e vieppiù assodato nell'arcipretura e nella giurisdizione totale della sua Collegiata in virtù della suddescritta sentenza, volle celebrare anch'egli il sinodo archipresbiterale come segue:

2. Sinodo dell’Arciprete Giovanni Ferrara nel 1533

SYNODUS VI - 1533 - Jesus - Maria - S. Antoninus. "Nos Joannes Ferrarius, V. M. Dei et Apostolicae Sedis gratia archipresb. et ordinarius Eccl. Saponariensis in

provincia Salernitana, synodum de more majorum pro nostrae Ecclesiae gubernatione celebrantes, de consilio venerabilium fratrum n/rum assidentium, constitutiones bona Memoria praedecessorum nostrorum Nicolai Malerba, Jo. B. Cerbasii, Petri Palatii, Thomae Malerba et Petri Palatii secundi in eorum synodis editas, confirmatas et cum eis infrascriptas a nobis additas et hodie secunda septembris septime indit. Anni MDXXXIII, clero et populo ad hoc congregato publicatas ab omnibus servari mandamus.

Cap. I - Solus hebdomadarius sacerdos novo sponsos solemniter benedicat, in sua hebdomada et aliis praeterea nemo absque nostra licentia in scriptis, sub poena tarenorum quindecim.

Cap. II - Similiter nullus sacerdos nisi hebdomadarius solemniter in Ecclesia in sua hebdomada baptizet, sine notra licentia, sub poena tarenoruam decem.

Cap. III - Omnes ecclesiastici, sive in sacris, sive in minoribus constituti, in ecclesia et divinis officiis ac publicis processionibus, biretum(?) deferant, et nullus in eis omnino utatur pileo, sub poena tarenorum decem.

Ita servate et Dominus sit vobiscum. IO. FERR. ARCHIPR. Ego D/nus Antonius Todiscus Collegii secretarius scripsi, publicavi et signavi. Adest signum." Chi ha senno farà gran conto della di sopra trascritta sentenza proferita a pro del nostro Collegio, sì per il jus

dell'elezione, sì per essere chiamata la chiesa Collegiata, e il ceto dei preti Collegio in faccia del Vescovo. Dopo di questo Giovanni Ferrara non vi fu altro arciprete che avesse celebrato altro sinodo, ma solamente nel

1630, essendo arciprete Giovanni Francesco Danio, confirmò il tutto con la seguente sottoscrizione: "Jo.Franc./s Archip/r confir/t - 27 bris 1630-"

3. Le principali norme fissate dai Sinodi e la stretta osservanza di esse.5

Degli disopra trascritti sinodi arcipretali, che, come si è detto rattrovansi registrati nell'enunciato processo compulsatoriale che vivono tuttavia stampati negli processi agitati nella lite giurisdizionale avuta con i vescovi marsicani, ricavasi che la cura delle anime nella medesima Collegiata sin da tempo antichissimo, e sin dalla di lei fondazione, si è sempre agitata per turnum da' RR. del Collegio, i quali hanno amministrato i sacramenti, a riserva di quello del battesimo,

5 Dopo l‟Arciprete G. Ferrara non ci furono altri Sinodi, per cui le varie norme che di volta in volta vennero aggiunte e che

regolamentavano la vita ed il comportamento degli ecclesiastici di Saponara, vennero tramandate oralmente. Solo il 26 Aprile del 1788 dall‟Arciprete Andrea Giliberti vennero promulgati le “Regole e Statuti dell‟Insigne Collegiata Chiesa sotto al titolo di S. Antonino della Terra di Saponara”. Cfr.Arch. St. Napoli, Cappellania Maggiore, busta 1188/67, foll. 6-14.

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che spettava al solo Ebdomadario6, e del matrimonio, che si esercitava dai medesimi colla licenza del prelato. Niuno ecclesiastico si poteva ordinare senza il consenso di tutto il Collegio e salve dimissorie, siccome oggi si

osserva, formandosi supplica dallo ordinando al Collegio, purchè sia per essere dal suo grembo. Quanta riverenza si portava all'arciprete quando e dove egli celebrava. Quali siano state o siano le chiese capitolari, quali benefiziali, e quali confraternite ed ospedali. Che le decime si fossero pagate per tutto il mese di ottobre. Che i canonici vi siano stati sin dal tempo della

fondazione colla probenda canonicale e stallo in coro, e che nella vacanza già mai si è provvisto con Bolle, ma veniva occupato dal prete più anziano, semplice partecipante per subentranza in modo di successione, e di tal fatta si è sempre praticato, sino al tempo d'oggi, siccome dirassi avanti. Chi entrar voleva nel Collegio doveva servire per anni tre continove (continui) con l'offizio di Sagristano, qual tempo fu poi accresciuto ad anni sei, siccome oggi si pratica. Che i subdiaconi, diaconi e sacerdoti, nel cantar che facevano la prima epistola, Evangelio e messa, avessero erogata la solita limosina pel servigio de' suppellettili della sagrisitia. Quale oggi si pratica in Ducati dieci per l'Epistola, dodici per l'Evangelio e venticinque per la messa; e per gli Eduli seu Dolci nel canto della messa ora si pratica, o invitare a pranzo i signori del Collegio, oppure pagare un carlino per ciascheduno degli invitandi; ed altre cose che circa il buon governo della chiesa richiedevansi, ivi si ravvisano.

Le costituzioni sinodali poi furono sempre ad unguem osservate, procedendosi contro dei trasgressori alle pene in quelle apposte, siccome accadeva la contingenza; ed osservasi nel citato processo compulsatoriale, al fol. 45 e seguenti, ove nell'anno 1449, essendo arciprete Gio. Battista Gerbasio, furono ammessi a transazione un prete, un diacono e due chierici, che erano incorsi nella pena sinodale, per essere andati camminando entro l'abitato passate le due ore di notte, proibito ciò nel sinodo di Nicolò Malerba, al cap. VIII.

Nell'anno 1470, in tempo di Pietro Palazzo, fu assoluto dalla sospensione nella quale era incorso un sacerdote, don Tomaso Malerba, per essere andato di notte armato con armi proibite, essendo stato più di tre mesi senza celebrare, proibito ciò con tal pena da Nicolò Malerba, al cap. IX processo fol. 49.

Nel 1480 l'anzidetto Palazzo fe' assolvere alcuni scomunicati per aver faticato nel giorno del Corpo di Cristo, e per penitenza comprarono dieci libre di olio per le lampade, process. Fol. 51.

E nel 1504 Tomaso Malerba similmente fe' assolvere altri scomunicati per la causa stessa, process. predetto fol. 53.

Ho voluto ricordare questi quattro esempi di pene sinodali per accertare forse taluni che volessero impugnare i sinodi che si sono trascritti, con asserirli apocrifi ed inventati a bello studio, poichè, oltre alla fede si ha al processo suddetto, che fu compilato con tutte le solennità necessarie, e da uomini che potevano ben accorgersi di qualche falsità ed invenzioni, vi sono le sopra dette cause agitate e transatte per le pene contenute in detti sinodi, delle quali ora non si trova altro vestigio.

Morto Giovanni Ferrara che non si godè la prelatura più di sette anni, nel 1539, li succedè lo stesso Lucio Pulcinella, con cui egli aveva contrastato, e questi fu anche Vicario generale di Marsico, come si disse.

6 Era l‟ecclesiastico che, a turno con gli altri del Capitolo, esercitava per una settimana (da cui il nome) un ufficio specifico.

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Nel 1547, morto Lucio, fu eletto arciprete Bernardino Giliberto, del quale non avemo nessuna cosa da notare in particolare; poichè insino a costui i vescovi di Marsico stiedero contenti di quanto erasi concordato da' loro predecessori, non innovando più pretensioni insolite; ma col di lui successore Ettore Giliberto cominciarono le fiere battaglie, senza punto interrompersi, come dirassi avanti.

(Sul margine destro del foglio 179/r del manoscritto è segnata una nota, di cui non conosciamo l‟autore, che

recita come segue:) "Il 1530, Pulcinella veniva racomandato all'arcipretura di Saponara dal vescovo (scilicet Caracciolo), del quale

egli era allora Vicario generale; ma riuscì Giovanni Ferrara che ebbe a godersela solo sette anni; sicchè Pulcinella gli successe il 1539 e si moriva il 1547."

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CAP. XVII

SI RAVVISA LA MANIERA ED IL PRINCIPIO DELLE LITI GIURISDIZIONALI TRA IL VESCOVO DI MARSICO E IL COLLEGIO SAPONARIENSE E COME ETTORE GILIBERTO FU PROCESSATO DI USURPATA GIURISDIZIONE COME PRELATO DI SAPONARA. 1. L’Arciprete Ettore Giliberti e l’inizio della lite per la Giuridizione con i Vescovi di Marsico Nuovo.

Rimasta priva la nostra Collegiata del suo pastore Bernardino, il Collegio, procedendo alla elezione del nuovo Prelato, questa cadde nel 1565 nella persona di Ettore Giliberto, il quale fu puranche vicario generale della Curia Marsicana. In tempo di costui cominciarono per non finirsi più le battaglie forensi tra il vescovo di Marsico e il nostro Collegio, con la rovina e precipizio della giurisdizione, memoranda tragedia, che da qui avanti mi converrà narrare, rinnovando a' nostri posteri le piaghe inflitte ai nostri antecessori, i quali non poterono fare più di quello che oprarono, e volesse il cielo se si facesse ora con quel zelo la difesa della Chiesa e capitolo sì come fecero. Incominciamo dunque.

Nel 1541. Martio de Martiis Medices1, a' 11 febbraio creato vescovo di Marsico, essendo intervenuto nel sacro Concilio di Trento, questo già pubblicato, ritiratosi nella sua Diocesi, pretese processare l'accennato arciprete Ettore di usurpata giurisdizione, che questi esercitava da ordinario nella Saponara, come se li antepassati Arcipreti giammai quella esercitata avessero e fosse stata per allora introdotta. Prese occasione il prelato marsicano dallo stesso Concilio Tridentino al cap. XX, "ad haec", nella Tessera 24, che così stabilisce:

"Ad haec, causae matrimoniales et criminales, non decani, archidiaconi et aliorum inferiorum judicio, etiam visitando, sed episcopi tantum examini et jurisdictioni reliquatur, etiam si in praesenti inter episcopum, decanum seu archidiaconum aut alios inferiores super causarum istarum cognitione, lis aliqua in quacumque instantia pendeat: coram quo si pars vere pauperttatem probaverit, non cogatur extra provinciam, nec in secunda nec in tertia instantia, in eadem causa matrimoniali litigare, nisi pars altera, et alimenta et expensas litis subministrare etc..."

Laonde, avendo il di lui Vicario generale formato il giudizio sopra la giurisdizione esercitata da D. Ettore, contro questi spedì citazione ad informandum, il quale, quantunque poteva declinare il foro et adire alla Santa Sede, pure, confidato nelle sode ragioni, scritture ed esrcizio immemorabile della detta giurisdizione, dopo di essersi decentemente protestato, comparve nella Curia vescovile, dove cominciossi ad agitar la causa della difesa, e fu nel 1572.

Il Vescovo, avendo odorato la giustizia che competeva al nostro arciprete, stanti le difese rapportate, dalle quali appariva bene provata la “Immemorabile”, non ostante che con gran fervore avesse fatto prendere l'informo, con

carta speciale proibì al suo Vicario che non avesse proceduto ulteriormente nella causa, con la seguente forma: "Rev.o Vic°. N.ro Gen.li Comple (ndr. compete) al servizio nostro e della nostra corte vescovile di differire la spedizione della causa che

1 Nobile fiorentino, nipote del precedente Angelo Archilegio de Armerino (Vescovo 1537-1541) che lo aveva nominato canonico

della cattedrale. Nominato Vescovo di Marsico da Paolo III, tenne la sede dal 1541 al 1573.Cosimo I, Granduca di Toscana lo fece Legato presso la Repubblica di Venezia ove morì nel 1573.

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tenemo con l'arciprete e Collegio di Saponara, per giuste cause che muovono la nostra mente: pertanto vi dicemo che non procediate alla spedizione di quella, non ostante qualsivoglia istanzia che vi venga fatta, ma soprassediate in essa nei termini che al presente si ritrova, sino a nostro ordine speciale, nè fate il contrario, per quanto avete cara la nostra gratia ed il servizio di n.ra Corte. 14 Xbre 1572.

Martio Martii Medices Vesc. di Marsico."

Ma S. Antonino non lasciò impunita questa denegazione di giustizia, poichè, essendo il Vescovo andato a Venezia, ivi agli 11 settembre del 1573 passò di questa vita ed in suo luogo nel 1574 fu eletto un suo nipote, chiamato Angelo Martii de Medices2, pur fiorentino.

Costui, dopo di essersi informato dallo stesso (Vicario) della sua diocesi, et avendo trovata la causa contro D. Ettore indecisa, per darle fine spedì commissione particolare in persona di D. Ascanio Parisi di Moliterno, suo vicario generale, acciò avesse terminata la causa, e la commissione fu come siegue:

"Angelus Martii Medices de Florentia Episcopus Civitatis Marsici Rev.do Presbytero Ascanio Parisi, V.I.D. archipresbyteri Terrae Moliterni, nostro Vicario Generali, salutem in

Domino et in commissis diligentiam adhibere. Cum olim die 16 mensi Julii 1572 ex officio capta fuerit informatio per episcopalem Curiam Marsicensem contra Rev. dum Dominum Hectorem de Giliberto Archipresbyterum Terrae Sapoariae de usurpata jurisdictione, in qua cum fuerit processum ad contestationem litis et ad lationem terminum utrique parti et ad nonnullas probationes per ambas partes, et demum ad actuum publicationem, in qua causa est procedendum ad expeditionem ipsius, "et volumus ut procedatur et terminetur". Has igitur confidentes de fiducia et legalitate vestra praesentium tenore dictam causam tibi commisimus et mandamus committendam, quod in ea procedas per sententiam sive decreti diffinitivi probationem inclusive, partes audies, tam in jure quam in facto, prout ad te spectat audire, cognoscere et terminare de jure et generaliter omnia alia et singula facere et exercere, quae ad vicariatus officium in temporalibus pertinent, in ista causa tantum valeas, quamdiu n/rae placuerit voluntati, etiam si sint quae mandatum exigant speciale et super premissis omnibus et singulis, geras et habeas in omnibus et per omnia vices nostras, donec eas ad nos duxerimus revocandas.

Datum Marsici, in nostro episcopali Palatio die 2 Septembris 1577. Ita facimus nos Angelus Martius Medices Ep. us Marsicen. manu nostra propria. Not. Fabricius Pecius Actorum Magister. +Loco Sigilli".

In virtù della soprascritta commissione, dovendosi procedere nella causa, non si mancò per parte del Collegio e Giliberto andar rattrovando ed unendo scritture antiche dalle quali apparuto fosse l'esercizio della Giurisdizione, oltre degli testimoni esaminati nella difesa al numero 24, e vecchi e forastieri "colli quali omninamente provò che da tempo

2 Canonico fiorentino, fratello di Alessandro, Arcivescovo di Firenze, e nipote di Marzio, tenne la sede vescovile dal 1574 al

1582.

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immemorabile gli Arcipreti della Saponara avevano esercitato la total giurisdizione quasi vescovile come ordinari," anche contro gli stessi Vicari generali di Marsico che delinquito avessero nella Saponara, con averli tenuti

carcerati siccome accadde a Lucio Pulcinella, ch'essendo vicario della Curia Marsicana, per certo insulto fu inquisito dalla Curia dell'Arciprete e tenuto molti mesi carcerato nelle carceri di Saponara, e l'arciprete poi per pacificarsi col Vescovo li fece la grazia, ed altre pruove che sarebbe lungo di raccontarle, ed in parte rattrovansi registrate nel precitato processo compulsoriale e che andarono un tempo sotto il torchio mandate nei sommari degli avvocati, avvenga che il processo formato contro D. Ettore fu in gran parte lacerato dallo stesso Parise, quando poi fu vescovo di Marsico, come dirassi.

2. Il Vicario di Marsico Parise3 si pronunzia a favore della Collegiata di Saponara.

Dalle quali pruove non potè il Commissario Parise non deferire a pro della nostra Chiesa, Collegio ed Arciprete, assolvendo il Giliberto dalla supposta usurpata giurisdizione, tantochè nel 1578 ne formò sentenza assolutoria, se ben con quella volle in parte riserbare alla Curia Marsicana la cognizione di alcune cause e delitti, siccome si ricava dalla sentenza che si ritrova in uno col torchio negli suddetti sommarii del processo consecutivi nella Rota Romana, si son mandati fuora e da una pergamena originale che si conserva nell'archivio della Collegiata, ed è come siegue:

" In Dei nomine - Amen. In causa Episcopalis Curiae, coadjutoris civitatis Marsici inquirentis ex una,

contra Rev. mum Dom.m Hectorem de Giliberto Archipresbyterum Terrae Saponariae inquisitum ex altera, de usurpata jurisdictione. Has Ascanius Parisius R.D.I. archipresbyter Terrae Moliterni et praesentis causae Commissarius specialiter deputatus p.Ill.m et R.m D.m Ep.um Marsicen.

Visis testibus examinatis in dicta causa ad instantiam dictae curiae coadjutoris, visaque citatione ad informandum, viso termino utrique parti lato ad probandum et eius intimatione; visis testibus et eorum attestationibus atque scripturis praesentatis per eundem R.m Archipresbyterum, visis publicatione, conclusione, citatione ad dicendum et ad sententiam, visis etiam jurium allegationibus et consideratis de jure considerabilis; Christi nomine repetito, dicimus, decernimus et deffinitive sententiamus: Dictum Rev.m D.

Generale Giuseppe Parise di Moliterno.

Ecctorem Archipresbyterum Terrae Saponariae, fore et esse liberandum a causa et causis praedictis et toto

praesenti processu, prout liberantes liberamus, declarantes majorem Ecclesiam S. Antonini terrae preadictae Saponariae, esse Collegiatam, et proinde ab immemorabili tempore olim competisse et in futurum in perpetuum competere Rev.do Capitulo 3 Ascanio Parise (o Parisi), Vicario della Diocesi di Marsico, era nato a Moliterno ed apparteneva alla nobile Famiglia Parise di

Moliterno. Essa diede i natali a Giuseppe Parisi (Moliterno 27 Marzo 1750-Napoli 14 Maggio 1831) celebre Tenente-Generale, Ministro della guerra, che sotto i Borboni fondò la famosa Accademia Militare della Nunziatella. Vedi foto n° 49/a

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dictae Collegiatae Ecclesiae electionem Archipresbyteri, qui pro tempore fuerit reservata Rev.mo Episcopo Mersicensi, confirmatione tantum et usum communis sigilli in confectione communium scripturarum, nec non in quolibet anno, in festivitate ejusdem Collegiatae Ecclesiae Patronis, electionem Heconomi pro necessitate ecclesiasticarum rerum gerendarum, et eidem rev.mo Archipresbytero et successoribus suis in infinitum, in perpetuum confirmatis tamen ut supra et non aliter cognitionem primatum causarum civilium, criminalium et mixtarum omnium, contra clericos, presbyteros et laicos quoscumque jurisdictionem spiritualem tangentibus privative competere in terra et territorio terrae Saponariae, non exceptis nihilominus illis causis ubi veniret imponenda poena mortis naturalis, civilis et abscissionis membri, quorum trium casuum, et causarum matrimonialium cognitionem mandamus competere Curiae Episcopali Marsicensi, una cum cognitione secundarum causarum civilium, criminalium et mixtarum omnium, poenas tamen atque proventus tam ex contumaciis civilibus et criminalibus, quam ex compositionibus, commutationibus poenarum, quavis occasione provenientis, applicandis dictae Episcopali Curiae Marsicen. reservatis tamen proveniendis et exigendis a laborantibus in diebus festivis, quas tantum poenas et proventus et non alis liceat eidem Rev.do Archipresbytero et successoribus in perpetuum applicare usibus et commoditatibus dictae Collegiatae Ecclesiae S. Antonini.

Item facultatem conficiendi synodales constitutiones pro usu et regimine dictae Ecclesiae Collegiatae sub poenis tamen applicandis dictae Episcopali Curiae, et concedendi licentiam presbyteri dictae ecclesiae Saponariae, in judicio saeculari acturis atque comparituris, ibidemque testimonium veritatis perhibituris et quaerelas criminales citra poenam sanguinis exposituris, et extra dioecesim non ultra quindecim dies pergituris, eidem archipresbytero et successoribus suis in perpetuum competere supradicta vero reservamus dictae Curiae Episcopali.

Declarantes etiam primum stallum in cornu dextri chori, existentis ad praesens intra dictam Matrem Ecclesiam, vel qui forte extiterit in futurum, competere hebdomadario, qui tempore fuerit in dicto Collegio in qualibet hebdomada, prout in praesens absolvi, competere, applicari, declarari et reservari mandatur, hos, etc. suum et intimetur etc. Ascanius Parisius Vicarius Gen.lis et Commissarius."

"Lecta lata et divulgarizzata fuit praesens sententia in terra Moliterni, in domine solitae residentiae D. Ascanii Parisii, Curia pro Tribunali sedenti ad hunc actum signatur sub die 22 mensis Martii 1578, praesentibus etc."

Ai 29 settembre 1578 il suddetto Rev. D. Ettore Giliberto fè stipulare pubblico strumento con la inserzione della sentenza predetta e commissione fatta in persona del Parise nella stessa terra di Moliterno per mano di Giacomantonio Di Pirro della medesima, e fattane estrarre copia autentica in pergamena, che pur anche si conserva nell'archivio della Collegiata, presentolla in mano di Mons. Angelo de Medices, che trovavasi nella Saponara di passaggio nel convento di PP.Conventuali, il quale acchetandosi a quanto dal suo Commissario e Vicario generale era stato deciso, squittinando4 anch'egli che la immemorabile non era stata tolta dal Concilio Tridentino, con proprio pungno confermò la sentenza nella forma che segue:

"Ita approbamus, consentimus et facimus, Nos Angelus Martius medices de Florentia Episcopus Marsicen. nostra propria manusubscripsimus et n.ro sosolito sigillo munivimus, die ultima mensis septembris 1578 in divi Francissco Aedious Saponariae. + Locus sigilli."

4 Accettando.

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L'anzidetto stromento così sottoscritto e confirmato dal Vescovo, o sia copia di esso fu presentato negli atti, a ciò se ne avesse avuta ragione e memoria, sotto li 2 ottobre seguente, siccome il tutto si ricava dagli sommari dei fatti un tempo stampati.

Credeasi l'arciprete e Capitolo di Saponara aver superato un negozio di tanta importanza qual'è la Giurisdizione, abbenchè dimidiata e lacerata in gran parte dalla suddetta sentenza, la quale li tolse molto; ma pure per star quieti se ne contentarono, appunto come fecero con la transazione di Romoaldo Arcivescovo di Salerno; ma perchè la scintilla di fuoco, con tutto che pareva estinta, covava e dovea sbucciar fuora in un grade incendio, perciò dopo sei anni tornò ad appicciarsi il fuoco per giammai spegnersi più.

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CAP. XVIII

ANTONIO FERA SUCCEDE AL VESCOVO MEDICES. NON CONTENTO DELLA DECISIONE DEL PARISI TRAVAGLIA L'ABATE CAMILLLO COTINO, SUCCEDUTO ALL‟ARCIPRETE GILIBERTO, IN DIVERSI TRIBUNALI.

1. Si riaccende la lite per la Giurisdizione fra l’Arciprete Camillo Cotino e il nuovo Vescovo di Marsico Antonio Fera.

Morto il vescovo Angelo Medices nel 1582, fu creato successore a quella sede nel 1583 Alloysio Pallavicino, il quale prima di partirsi da Roma per la sua residenza, ammalatosi gravemente, passò da questa vita, e nel 1584 ai 9 d'Aprile fu creato vescovo Antonio Fera1, frate dei Minori Conventuali2.

Nello stesso anno, stante la morte di D. Ettore Giliberto, fu creato Arciprete, siccome altre volte erasi praticato, Camillo Cotino3, con pubblica scrittura, stipulata per mano di Not. Michele d'Ambrosio della Saponara, il quale Cotino fu anche Abate o sia Commendatore di S. Antonio Abate della nostra città.

Il Fera dunque, avendo avuta relazione del tutto circa la Giurisdizione nella Saponara, non contento di quanto avea determinato il Parise ed il suo antecessore, fece ricorso nella Sagra Congreg. dei Vescovi e regolari, esponendo che la chiesa di S. Antonino della Saponara non era Collegiata quale si asseriva, e che Camillo Cotino Arciprete si aveva usurpata la Giurisdizione delle cause civili, criminali e matrimoniali, spettante a lui come Vescovo di Marsico e Ordinario della Saponara. La Sagra Congregazione commise a Marcantonio Colonna, allora metropolitano di Salerno, pro informatione, e a mons. Francesco Orano, uditore della Sagra Rota, perchè avesse dato il suo voto.

Il Colonna, dovendosi informare del fatto, avuta notizia del processo attivato nella Curia marsicana, scrisse una lettera al vescovo che l'avesse mandata copia del suddetto processo nella forma che siegue:

"All'Ill.mo e Rev. mo Monsig.re il Vescovo di Marsico." "Ill.mo e Rev.mo Monsig. e Oss.mo, Dalla Sagra Congregazione sopra Vescovi mi viene ordinato che nelle

differenze giurisdizionali tra V.S. Ill.ma et il Capitolo et Arciprete della Saponara m'informi delle ragioni dell'una e dell'altra e ne faccia relazione; e dalli detti Arciprete e Capitolo mi viene fatta istanza che faccia esibire il processo fabricato nella corte vescovile di V.S. nel tempo de' suoi predecessori sopra questa materia, quale hanno provato in tribunale essere in potere di V.S. acciò possano avvalersene, che però dico a V.S. R.ma che senza replica dia ordine a sua corte, che di detto processo intero mi si mandi copia chiusa e sigillata come si conviene, che io farò dalle parti soddisfare al Mastro

1 Successe a Luigi Pallavicino, Vescovo per pochi mesi nel 1583. Il Fera nacque a Piancastagnaio in provincia di Siena.

Francescano conventuale, fu Ministro generale dell‟Ordine. Amico di Sisto V fu da questi nominato Vescovo di Marsico nel 1584 e tenne la sede sino al 1600. Vinse la lite con il Clero per l‟assegnazione del 4% delle decime alla Mensa vescovile. 2 C‟era un ricco Convento a Saponara dei Frati Minori Francescani Conventuali, nel luogo ove oggi c‟è il cimitero.

3 Con atto del 6 Luglio 1585 il Papa Sisto V diede mandato al Vicario Generale del Vescovo di Marsico di esaminare Camillo

Cotino e se era idoneo di immetterlo nella carica di Arciprete. (Cfr.Valeria Verrastro ”Le pergamene della chiesa collegiata di S. Antonino martire di Saponara”, perg. n° 22, pag. 242)

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d'Atti quello mi parerà giusto per le sue fatighe. Con che bagio a V. S. le mani. Salerno, 1° agosto 1585. Di V. S. Ill.ma e R.ma Servitore aff.mo Marcantonio (scilicet Colonna) Arcivescovo di Salerno." Il Vescovo non trovossi in residenza, laonde l'Arcidiacono di lui Vicario generale, mediante facoltà datagli aprì la

lettera, e fè subito esemplare la richiesta copia, e rescrisse all'arcivescovo nella forma che siegue: "Ill.mo e R.mo Sig.mio e Padrone Colend.mo, Ricevo la lettera di V.S. Ill.ma diretta a Mons. mio e con la licenza lasciatami, visto quanto comanda, ho fatto fare

subito copia intera del processo giurisdizionale fra questa Corte vescovile e l'Arciprete di Saponara e suo Capitolo, fabricato nel (15)72 e sentenziato nel (15)78, quale si manda a V.S. Ill.ma e R.ma a quale anco si è riserbata la tassa del salario, nel che occorre dire a V.S. Ill.ma che Mons. mio per pietà ha dato stanza in sua casa a questo povero vecchio e stroppiato N. Alessandro, et acciò possa sostentarsi con sue oneste fatiche, lo ha associato al Mastro d'Atti di Pennino, col quale parte il salario delle copie che fa, e questa con la sua semplicità l'ha fata in carta assai grande, con carattere per lo più assai minuto, come potrà vedere, sicchè ha racchiuso trecento trenta fogli di originale in centocinquanta.

Lo metto in considerazione a prudenza di V.S. Ill.ma. Si è consegnata ad Andrea Bitetta, che come confidente di ambidue le parti, porta anco alcune scritture di Monsig. mio. Resterà servita V.S. farnale fare ricevuta nel suo tribunale, mentre qui si è obligato riportarla, qui a V.S. Ill.ma fo umilmente riverenza e bacio reverentemente le sacrate vesti.

Marsico, 27 agosto 15834. Di V.S. Ill.ma e R.ma U.mo Servitore L'Arcidiacono Vicario Generale."

2. Relazione dell’Arcivescovo Colonna alla Sacra Congregazione dei Vescovi.

L'Arcivescovo Colonna avendo osservato quanto nel precitato processo si era prodotto e pruovato, ed avendo parimente osservato moltissime scritture presentategli al numero di ventidue (quali si enuncieranno avanti) fè relazione alla Sagra Congregazione nella forma che siegue:

"Pro presbyteris Ecclesiae S. Antonini Terrae Saponariae adversus R.mum D. Episcopum Marsicen. eaque ex antiquis scripturis et processionibus colliguntur.

Quod Ecclesia ipsa sit Collegiata, ex antiquis scripturis enunciative fit mentio de Collegio ipsius Ecclesiae colligitur (Designantur scripturae N.22).

Ex sententia eiusdem Curiae Episcopalis Marsicen. per quam causa cognita declarat Collegiata de anno 1578. Hoc idem habetur per multos testes, ex processu agitato per curiam episcopalem Marsicen. contra D. Hectorem Gilibertum Archipresbyterum dictae ecclesiae, inquisitum de usurpata jurisdictione, in quo plurimos testes deponunt, Ecclesiam praedictam S. Antonini ab Immemorabili tempore fuisse et esse Collegiatam et pro Collegiata semper habitam per R.mos D.os Episcopos Marsicenses et solitam habere procuratorem, arcam communem et sigillum.

4 C‟è una discrepanza di date tra la lettera di Marcantonio Colonna (1 Agosto 1585) e quella del Vicario di Marsico.

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Quoad secundum quod archipresbiteri dictae ecclesiae habeant electionem archipresbyteri etc. Ex processu etiam in curia Marsicen. Episcopalem contra D. Hectorem archipresbyterum de usurpate jurisdictione, de anno 1572, per plures testes colligitur quod presbyteri dictae ecclesiae ab immemorabili tempore sunt in pacifica possessione eligendi archipresbyterum absque licentia Episcopi, qui solum habet illius confirmationem.

Quod archipresbyteri dictae ecclesiae habeant jurisdictionem civilem, criminalem et mixtam in clericos ipsius Collegii colligitur ex infrascriptis actis (describuntur acta ab anno 1490 ad annum 1577) et postea subdit.

Ex processu formato contra D. Hectorem Gilibertum per curiam Episcopalem Marsicensem constat per 24 testes, archipresbyteros dictae ecclesiae ad immemorabili cognovisse de causis civilibus, criminalibus et mixtis etiam gravibus, inter clericos dictae Collegiatae et inter laicos litigantes cum ipsis, condemnando, absolvendo, transigendo: quorum appellatione devolutae sunt ad R.mum Episcopum Marsicensem; et etiam cognovisse contra non observantes dies festos, habere facultatem condendi statuta concernentia regimen ecclesiae et presbyterorum.

Insuper producitur declaratio sacrosancti Concilii Trid., sess.24, cap. 20, incip. Causae omnes. Ill.mo Dominorum Quae congregatio Concilii censuit, Decreta Concilii non subtulisse immemorabilem consuetudinem etc."...

Sin qui giunge la relazione di Marcantonio Colonna, arcivescovo di Salerno, in pro del nostro Collegio.

3. La relazione di Monsignor Orano, Uditore della Sacra Rota.

Mons. Orano, avendo anch'egli considerato le scritture e ragioni del nostro Collegio, formò il suo voto e parere della forma che siegue:

"Ill.mi e R.mi D.ni, Plures in praesenti causa excitantur difficultates: I. - An Ecclesia S. Antonini de Saponaria sit Collegiata? II. - An electio archipresbyteri in dicta ecclesia pertineat ad Collegium? III. -An jurisdictio civilis, criminalis et mixta in clericos dictae ecclesiae spectet ad presbyterum? Et si sic: an

privative ad Episcopum.

I. Quantum igitur ad primum, dico Ecclesiam de qua agitur fuisse et esse semper Collegiatam, nam in hac

materia quando non constat de Initio erectionis ecclesiae in Collegiatam, solet recurri ad conjecturas = Innoc. In cap. Pastoralis de Jure Patron. - Barbos. Cons. 77 n. 5; lib.I. Multa hic pro Collegiata concurrunt.

II. Imo colligitur ex 18 instrumentis antiquissimis, quorum nonnulla excedunt tempus 200 et 300 annorum ut primo extract. Litt. A in locis in facto tiratis quae ecclesiam hanc Collegiatam nominant, et cum simus in antiquissimis probat licet enunciative loquantur. Alex. Cons. 75 n.3 vers. et in dictis lib.4. Praesertim in tribus instrumentis, nempe fol. 13.41 et 55.

Sit assertiones ipsius Episcopi, vel eius vicarii generalis, qui Collegiatam non appellasent nisi talis fuisset, ex quo de eorum praejudicio in lectione ad Collegium, spectare agebatur. Rota in dec. 11. de Jur: Patr. In novis Paleost. dec. 23.

III. Deduco ex communi tractatu et capitulariter facta congregatione ad sonum Campanellae pro expedientis negotiis communalibus, ut enunciatur in istrumentis extract. A, fol. 18, 29, 52 et 60 Barbos. d. cons.77, n.37, lib.I in fin.

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IV. resolvendum, quia testes n. 22 in Extract. B super 8 except.fol. 19, 25, 31, 34 cum seq. clare deponunt de visu et auditu a majoribus a fundatione ecclesiae ab immemorabili tempore Archipresbyteros cognovisse de causis civilibus, criminalibus et mixtis, condemnando, absolvendo et componendo, scientibus et non contraddicentibus Episcopis, et per consequens jurisdictionem praescripsisse, cap. auditis, ubi omnes de praescript. Assidentibus praesertim antiquis scripturis continentibus actus jurisdictionis et processus coram archipresbytero confectis ut in tot.extract.c.fac. Pais. cons.34, n.36, lib.4. Nam quod archipresbyter vel alius inferior episcopo posset necdum in civilibus jurisdictionem sed etiam mixtum imperium puniendi, examinandi, exercendi in criminalibus mixtisque et matrimonialibus, in canonibus clericosque Collegiatae Ecclesiae praescribere non est dubitandum. Rot.dec.2 de praescript.in novis.

V. Nec obstat decretum Concilii Trid., Sess.24 de reforma cap.20, & ad haec, quo cavetur criminales et matrimoniales causas, non inferiorum judicio, sed Episcopi tantum jurisdictioni relinquenda, quia Concilium non substulit immemorabilem consuetudinem, ut fuit per Sagr. Congreg. resolutum, ut in extract. a fol.20. Hac autem consuetudinem immemorabilem probant testes et jura superius citata.

VI. An autem jurisdictio haec Pro tertia satisfacit Procurator communis Arca et sigillum commune, ut deponunt omnes testes in extract. B, super 6. exceptione in locis in facto deductis.

VII. Confirmant praemissa dicta 14 testium in eodem extract. B super 4 - ubi deponunt ecclesiam semper ab immemorabili tempore fuisse habitam et reputatam, haberique et reputari pro Collegiata et exprimunt sigillum esse commune, et alia signa Collegiatae, nam sola fama in antiquis probat Collegiatam, ut inquit Decius etc.

Quibus accedit sententia anno 1578 qua pronunciatum fuit, hanc fuisse et esse Collegiatam, quae cum in rejudicata transierit pro veritate habetur. Vulg.l.res.judicat.

VIII. Stante igitur ecclesia S. Antonini sit Collegiata, sequitur resolutio 2ae difficultatis, quod electio Archipresbyteri ad clericos Collegii pertineat, sola tamen confirmatio ad Episcopum. Cap. 10 Dec. (Dec.) n.1 etc.etc.

Quin imo cessante etiam juris dispositione constat etiam de jure clericorum ex testibus n.22 in extract. B super S. except. qui bene deponunt de visu et auditu ab immemorabili tempore solum Capitulum et Clerum semper in omnibus vacationibus elegisse Archipresbyterum, Episcopum vero solum prestitisse confirmatione in electionibus cum attendatur usus et consuetudo Capituli per testes probata cap.cum. Eccl. Vultur.vers.cum per testes ubi Abb. post alia n.10 de dect. Rota dec. 11, n.2 de consuetud. Quod comprobat electio confirmata ab Episcopo de anno 1482, ut extract. a fol.13 (che è la bolla di Fra‟ G. Antonio Petitto, vescovo di Marsico5, in persona di Tomaso Malerba), et alia confirmata ab eius Vicario Generali de anno 1547, fol.55 et seq.(in persona di D. Bernardino Giliberto) praesertim cum in his confirmationibus tam episcopus quam vicarius asserunt, electionem archipresbyteri ad Capitulum ex antiquissima consuetudine pertinere. Rot., dec.11, de jur.patr.in novis.

IX. Quo vero ad illud, an jurisdictio civilis, criminalis et mixta in clericos dictae Collegiatae pertineat ad Archipresbyterum puto affermative Archipraesbyteri conferat privative Episcopi? Conclusio est jurisdictionem inferioris acquisitam ex consuetudine et praescriptione competere in dubio privative ad Episcopum vel alium superiorem. Felin. in cap.pastor., n.5 et 6."

5 Francescano, nato in Saponara, fu Vescovo di Marsico dal 1478 al 1482. Filosofo e teologo era già stato Ministro Provinciale

di Terra del Lavoro.

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6. La decisione della Sacra Congregazione dei Vescovi.

Sin qui il voto di Orano. Avrebbe dovuto restare la sentenza rotale proferita a pro di Gio. Ferrara, con la quale si dichiarò valida la elezione fatta dal Collegio, e la confirma che il Vescovo non volle dare fosse stata confirmata - de jure - con altre particolarità memorande, siccome si disse al suo luogo. Si aggiunge che il vescovo Marzio de' Medices, nella sospensione fatta della Giurisdizione nella causa contro D. Ettore, chiamò Collegio la nostra Chiesa, siccome si disse.

La S.ma Sagra Congregaz., riconosciute le relazioni e voto con una lettera a modo di provisione, ordinò al vescovo Fera che non molestasse l'Arciprete nell'esercizio della sua Giurisdizione, che tenesse la chiesa di S. Antonino per Collegiata e che non impedisse ai preti l'elezione dell'Arciprete, nella forma che siegue:

"Molto Rev. Sig. Com. e Fratello, Si è discorso più volte in questa Sagra Congregazione il negozio di giurisdizione che è tra V.S. e il Capitolo di

Saponara sopra l'elezione dell'arciprete, se quella chiesa sia collegiata o no. E finalmente essendosi vista la relazione di Mon. Vescovo di Salerno in tal particolare e le ragioni prodotte in questo negozio, e meritamente discusso il tutto, questi miei Sigg. Ill.mi hanno resoluto che per adesso e per modo di provisione, senza pregiudizio della S.V. Ill.ma e dell'altra parte, quel Capitolo sia mantenuto nell'osservanza nella quale è stato sin qua, cioè che la Chiesa sia come Collegiata, che il Capitolo elegga l'Arciprete quando non osti la reservazione di V.S. e che la giurisdizione sia esercitata insieme con V.S. cumulative e non exclusive, e così mi hanno ordinato le LL. SS. Ill.me, faccio sapere a V.S., la quale così mi assicura farà eseguire, mentre dal Signore li prego ogni vero bene.

Da Roma, li 9 febbraio 1588 etc.

4. I documenti antichi che dimostrano il titolo di Collegiata della Chiesa di Saponara.

Ma come che nella disopra trascritta relazione di Mons. Orano fassi menzione di molte scritture antiche nelle quali dassi titolo di Collegiata alla nostra chiesa, ho stimato a proposito descriverle quali siano, già che se ne ha la memoria. 1) 1163 - La prima dunque è la concordia sortita in presenzia di Romoaldo Arcivescovo di Salerno con Giovanni

vescovo di Marsico nel 1163. 2) 1228 - Un privilegio di Federico Re di Napoli spedito a pro del nostro Collegio nel 1228. 3) 1295 - Una concordia sortita tra il Procuratore del nostro Collegio e quello della chiesa di Moliterno, avanti

Giovanni pur vescovo di Marsico, ove nominasi Collegio, nel 1295. 4) 1330 - Un'appellazione per atto pubblico fatta per parte dei RR. Capitolari in presenza di Pietro vescovo di

Marsico, regio commissario e cappellano, nella quale la nostra chiesa nominavasi Collegiata, nel 1330. 5) 1330 - La provisione di Arnaldo arcivescovo Salernitano disopra trascritta. 6) 1330 - Un compromesso stipulato nella città di Napoli tra il Procuratore della nostra Chiesa e quello del

vescovo di Marsico per nome Pietro, per causa del sussidio, ed ivi più volte nominasi Collegiata. 7) 1368 - Le provisioni di Guglielmo arcivescovo di Salerno in esecuzione delle decisioni di Romoaldo ed Arnaldo

suoi predecessori, anche disopra trascritte.

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8) 1466 - Provisioni di Sansone pur arcivescovo di Salerno dirette al vescovo di Marsico per osservanza delle precedenti de' suoi predecessori, del 1466.

9) 1482 - Bolla di Gio. Antonio Petitti vescovo di Marsico (questi fu della Saponara, frate conventuale), nella quale non solo chiama la nostra chiesa Collegiata, ma conferma la elezione dell'arciprete fatta dal Capitolo, a cui dice spettare la elezione, in persona di Tomaso Malerba.

10) 1493 - Pubblica scrittura stipulata da Notar Goffredo di Giliberto della Saponara tra il Capitolo suddetto ed altri (1493).

11) 1502 - Altra pubblica scrittura stipulata da detto Goffredo come sopra. 12) 1506 - Altra pubblica scrittura stipulata da Notar Paolo Ferrara nella quale viene eleto dal Capitolo per

Arciprete il 2° Pietro Palazzo. 13) 1527 - Altra pubblica scrittura stipulata da Notar Giulio Russo tra Ottaviano Caracciolo pur vescovo di Marsico,

e li preti del Capitolo e frati, o sia convento di S. Francesco, nella quale non pure le parti, ma il Vescovo stesso nominano la n.ra chiesa Collegiata e Capitolo.

14) 1528 - Pubblica scrittura stipulata dal suddetto notaro tra Medea di Ruoto e il procuratore della Collegiata. 15) 1532 - Le provisioni con la inserta forma della sentenza della Sagra Rota a pro di Gio. Ferrara contro il detto

Ottaviano e Lucio Pulcinella, disopra descritte. 16) 1533 - Altre provisioni della stessa Sacra Rota a pro dello stesso Ferrara per la esecuzione della esenzione

dal Vescovo, in virtù della detta sentenza. 17) Una lettera dello stesso vescovo Caracciolo nella quale chiama la chiesa nostra Collegiata. 18) 1547 - Elezione dell'Arciprete in persona di D. Berardino Giliberto, e la conferma seguita dal Vicario generale

di Marsico. 19) 1549 - Conservatoria di Carlo V Imperatore a pro del nostro Collegio, che per brevità non si trascrive. 20) 1565 - Elezione dell'arciprete in persona di D. Ettore Giliberto seguita secondo il solito. 21) 1572 - Pubblica scrittura pubblicata per mano di Notar Fabio Dolce tra il Capitolo e Martio de' Medices

vescovo di Marsico. 22) 1584 - Elezione dell'Arciprete in persona dell'Abb. Camillo Cotino, con che agitavasi la lite stipulata per mano

di Notar Michele d'Ambrosio. 5. Il Vescovo Fera ricorre agli Organi superiori della giustizia ecclesiastica che danno ragione all’Arciprete.

Ma, facendo ritorno al vescovo Fera, che, veramente fiera, non acchetandosi al rescritto della S. Congregazione di sopra trascritta, nell'anno 1590, ricorse all'A.C., nel di cui tribunale controvertì la giurisdizione dell'Arciprete con vari supposti ed attentati, e domandò il mandato de manutenendo nella suddetta giurisdizione privative all'Arciprete. Ma l'Uditor della Camera, intese le ragioni dell'Arciprete, nel 1591 disse: " Manutentionem spectare ad Archipresbyterum", dichiarando attentato quanto aveva oprato il Vescovo contro l'Arciprete, con spedire a pro‟ di costui il Mandato, nella forma che siegue:

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"Camillus Burghesius protonotarius aplicus. etc. etc. Noveritis quatenus introducta etc. lite inter R.P.D. Episcopum Marsicen. ex una et R.D. Camilllum Cotinum archipresbyterum terrae Saponariae, reum conventum de et super exercenda jurisdictione in ipsa Terra Saponariae et illius possessione rebusque aliis etc. Nos, visis testibus et aliis juribus praedictis, quia ex illis nobis constitit et constat ipsum R.D. Archipresbyterum fuisse et esse in possessione vel quasi exercendi jurisdictionem huiusmodi, in praedicta Terra Saponariae manutenendum, et mandatum de manutenendo, defendendi, conservandi et aliud desuper necessarium et opportunum decernendi et relaxandi, ducimus et relaxamus prout manutenemus, decernimus et relaxamus praesentium per tenorem etc. Quapropter etc. eundem praedictum archipresbyterum praedictae Terrae Saponariae in possessione vel versus R.P.D.Episcopum Marsicen. eiusque in spiritualibus et temporalibus vicarium seu officialem omnesque alios ab eis causam habentes manuteneatis, defendatis etc.etc. Datum Romae etc. 1591, die 12.mensis Junii etc. H. Justus locum".

Da questo decreto dell'A.C. appellò il Fera alla Signatura di giustizia, dalla quale ottenne la commissione della causa nella Sagra Rota e fu fatto Ponente (cioè come noi diciamo nei nostri tribunali, Commissario della causa) Mons. Comitolo, il quale, avendo “rite” riconosciute le ragioni dell'Arciprete, confirmò la provvista dell'A.C., concedendogli altro mandato de manutenendo e condannando di vantaggio il Vescovo alle spese, le quali con effetto pagò per non aver di nuovo appellato, laonde l'Arciprete restò assodato nella sua possessione, come prima.

Ma ruggendo la fiera crudele e non cessando dalle molestie, estorse dalla S. Congreg. del Concilio delle lettere a

sè dirette, nelle quali si asseriva che se l'Arcipretura fosse stata tra' confini della diocesi di Marsico, e non nullius, per disposizioni del SS.Conc. di Trento la Giurisdizione in quanto alle cause criminali e matrimoniali, che prima del Concilio competeva all'arciprete, quante volte non la avesse esercitata da tempo immemorabile, era stata attribuita dal detto Concilio alli Vescovi, e con tal lettera cercava di suppeditar ed atterrire l'Arciprete. Ma costui, essendo assodato nella immemorabile, siccome si è detto, non si atterrì dalli spaventi del Vescovo, ma continuò la sua possessione, esercitando la sua giurisdizione nelle cause mentovate; tanto maggiormente perchè la lettera era condizionata, cioè se la Saponara era tra confini della Diocesi di Marsico, qual condizione doveasi ancora pruovare, qual prova giammai dai Vescovi marsicani si fece, anzi tampoco si articulò che almanco potea loro giovare, con tuttoche non la pruovarono: avvenga che, siccome il dottissimo dr. D. Amato Danio6, celebre avvocato in Napoli e poi Consigliere, patrizio della nostra Città, in una lettera scritta da Roma in data delli 5 Novembre 1644 al suo nipote Gio. Francesco Danio, da me letta, disse:

"In Regno sola articulatio communemente si ha per piena pruova"

6 Illustre giureconsulto del Foro di Napoli, nacque in Saponara il 18 Ottobre del 1619. Era zio dell‟Arciprete-archeologo Carlo

Danio. Giudice della Gran Corte della Vicaria fu nominato nel 1690 Regio Consigliere del Consiglio di S. Chiara. Prese parte al dibattito sul problema della successione spagnola schierandosi in favore di Filippo V. Vedasi foto n° 49: frontespizio dell’opera scritta dal Danio sull’argomento. Morì a Napoli il 22 Ottobre del 1705 e fu sepolto con cerimonia regale nella Chiesa di S. Maria della Rotonda, vicino Piazza del Gesù.

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6. Altre molestie del Vescovo Fera all’Arciprete e sua morte nel 1600.

Non avendo potuto la fiera ferire in questa maniera, procurò tentarne un'altra. Ricorse impertanto da Nostro Signore asserendo che l'arciprete della Saponara esercitava l'onnimoda giurisdizione, anche privative a lui, che approvava i confessori e predicatori, pubblicava i giubilei e faceva altre cose che appena poteva fare il proprio

Vescovo. E fè istanza se ne fosse commessa la causa nella Sagra

Rota, dove fu fatto Ponente Mons. Mattejo, poi cardinale, e dappoi seguì Lancillotto, dal quale niente si portò di sollievo. Alla perfine, per stancare l'Arciprete con altri circuiti, nell'anno 1592 tornò di bel nuovo a vessarlo nella S. Congr. dei Vescovi sopra le lettere dimissoriali che da tempo antico, prima del Concilio, l'arciprete concedeva, sopra l'approvazione dei confessori, pubblicazione dei giubilei ed usurpazione di giurisdizione nelle cause civili, criminali e miste, ed ottenne commissione al vecovo di Capaccio acciò avesse compartito giustizia. E questi, compilato il processo ai 13 ottobre 1592, sentenziò che l'arciprete per la spedizione di simili lettere dimissoriali fosse incorso nella pena della sospensione dall'uffizio e benefizio per un anno, e circa le altre cose fu assoluto l'arciprete, stante la pendenza della lite nella S. Rota; quindi restò maggiormente assodato nella possesione. Tra tante molestie, che il Vescovo Fera aveva inferito al povero Arciprete, dalle quali non avea possuto ricavar profitto, colmo di amarezze, che li rosero a poco le viscere, nel 1600 passò da questa vita, ed in suo luogo fu creato nello stesso anno lo stesso Ascanio Parise che prima era stato suo Vicario generale.

Frontespizio del Discorso di Amato Danio in favore di Filippo V.

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CAP. XIX

SI NARRANO LE TIRANNICHE MANIERE CON CUI ASCANIO PARISE DOPO FATTO VESCOVO DI MARSICO TRAPAZZO' IL NOSTRO COLLEGIO.

1. Ascanio Parise1 di Moliterno diventa Vescovo di Marsico e continua la lite per la Giurisdizione.

Creato già vescovo di Marsico Ascanio Parisi da Moliterno, sotto il cui governo, quando speravasi una quieta tranquillità, come quello che aveva sentenziato a pro‟ della nostra Collegiata, si sperimentarono tirannie non mai pensate, avvegnachè, dimenticatosi della giustizia che li competeva ed un tempo egli stesso aveva somministrato nella cognizione della causa contro D. Ettore Giliberto, ma fattosi guidare dalla propria passione di dominare e soggiogare la nostra Collegiata, non per zelo dell'onor di Dio, siccome han fatto i buoni e santi prelati, ma per avidità di maggior lucro e guadagno, nel 1601 fece ricorso nella Sacra Congregazione del Concilio, esponendo che l'Arciprete della Saponara Camillo Cotino esercitava la giurisdizione come giudice ordinario del suddetto luogo, in vigore di pretesa immemorabile, il che era falso. E la S. Congr. rescrisse: "Jurisdictionem spectare ad Episcopum, donec archipresbyter plene probet immemorabile".

Il povero Arciprete, con tutto che defatigato dalle molestie del vescovo Fera, dalle quali erasi ingigantito, si fè arditamente sentire nella Sacra Congregazione, impugnando il di lei referito; ma per contrario il Parise, considerando che non poteva effettivamente sostenersi come estorto per abreptionem, non fè più parte del giudizio.

Tra tanto essendo morto il Cotino nel 1604, per vivere quieto, senza perdere tempo, fè sentire al Collegio di voler concordare e transigere sopra quel jusso che egli pretendea, e quello aderendo alla richiesta, si formò pubblica scrittura nella forma che segue: della quale farassi menzione più avanti, nelle decisioni della Rota dell'8 febbraio 1616:

"In nomine Domini etc. Die 2 aprilis 1604 etc. Notum facimus atque testamur etc. Constituti D. Bernardinus de Janneo decanus et locumtenens destinatus ad hunc actum Collegiatae Ecclesiae S. Antonini Terrae Saponariae, D. Stabilis de Stabile etc. Presbyteri dictae Collegiatae ecclesiae T.rae Saponariae congregati in unum … representates majorem et senjorem partem dicti Collegii, imo totum collegium praedictum etc. agentes et intervenientes ad infrascripta omnia et singula pro se ipsis et eorum quolibet et successoribus in ecclesia et Collegio praefata, in perpetuum parte ex una; et admodum illustris. et R.mus D. Ascanius Parise Episcopus Marsicen.etc. agens etc. tam pro se quam successoribus in Episcopatu praedicto, parte ex altera.

Praefatae vero partes asseruerunt pariter coram nobis vulgariter pro faciliori rerum expressione. Che sono molti anni che la Collegiata ed il Capitolo predetto di S. Antonino ed il suo arciprete e li vescovi che

sono citati nella diocesi di Marsico, è venuta lite sopra la giurisdizione delle cause civili, criminali e miste nella predetta terra della Saponara, qual lite fu poi spedita dalla Sacra Congr. sopra li vescovi, col voto di mons. Arcivescovo di Salerno

1 Già Vescovo di Hebro, tenne la Diocesi di Marsico dal 1600 al 1614.

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e col voto di mons. Orano, quale determinò che dalle scritture presentate dall'arcipretura e Capitolo della Saponara costava la chiesa di S.Antonino di detta terra da tempo immemorabile esser Collegiata, la elezione dell'Arciprete in tempo di vacazione spettare al Capitolo e Collegio predetto, e la giurisdizione civile, criminale e mista nella terra predetta spettare all'arciprete della detta chiesa e Collegio, per il che fu fatta lettera della detta Sacra Congr. per modum provisionis, che il sig. Arciprete esercitasse la detta giurisdizione cumulative col vescovo, come per la detta lettera spedita dalla detta Sacra Congr., alla quale si abbia relazione, e che per deta giurisdizione civile, criminale e mista si abbia otenuto mandato de manutenendo dalla A.C. Apostolica, quale ha fatto transito in rem judicatam, e così l'arciprete e Capitolo ne sta in possessione.

E dall'altra parte il Vescovo pretendeva non competersi se non certi jussi, per vigore di una sentenza fatta dall'istesso tribunale del vescovo etc. et anco dall'istesso vescovo si pretendea l'appellazione dalle cause dal detto Arciprete; così anco l'arciprete e Capitolo ripugnava, dicendo non esser solito al Vescovo: ma al metropolitano etc. Però essendosi discusso e trattato più volte questo negozio per mezzo de' communi amici e riconosciuto dall'una e dall'altra parte la buona fede che da tempo antico ed immemorabile consta et è stata osservata, e volendo quieto e amichevolmente vivere ed evitare le spese etc.. sono venuti alla infrascritta transazione, amicabile composizione e concordia.

Cioè che la chiesa di S. Antonino sia e si reputi Collegiata, e l'elezione dell'Arciprete, tempore vacante, spetti al Capitolo di detto Collegio, come sempre da tempo immemorabile è stato osservato, riservando la confirmazione al detto R.mo Vescovo, e la giurisdizione civile, criminale e mista nella detta terra di Saponara al foro ecclesiastico spetti, e si eserciti dalli Arcipreti qui pro tempore fuerint, cumulative col vescovo qui pro tempore fuerit, adeo quod sit locus praeventioni etc., secondo l'antica immemorabile consuetudine, quia sic etc."

Per avvalorare questa così fatta concordia e transazione, era d'uopo roborarsi col beneplacito apostolico, locchè trascurossi dal Capitolo ottenere, per vivere anche egli in buona quiete. Laonde, essendo frale e di veruna consistenza, il vescovo, pentitosi di averla fatta e stabilita, continovò a travagliare il novello succeduto arciprete, Berardino Cioffo, eletto nel 1606, ora in un tribunale, ora in un altro, perchè vedealo costante nel difendere la sua giurisdizione.

2. La lite per la Giurisdizione continua tra il Vescovo Parise e il nuovo Arciprete Bernardino Cioffi.

Laonde il Cioffo, per evitare cotanti trapazzi, nel 1607 ricorse nella Signatura di Giustizia et ottenne l'avocazione di tutte le cause pretese dal Vescovo da qualunque tribunale, anche cardinalizio, e fu commessa la cognizione di quella della S. Rota a mons. Manzanedo, subrogato a mons. Comitolo.

Dedotta già la causa in Rota, considerando il vescovo Parise (anima veramente di ateo, anzi di bruto, per così dire, non di cattolico e prelato), che, discutendosi ivi le ragioni dell'Arciprete, che apparivan chiare dal processo da egli stesso fabricato contro Don Ettore Giliberto, in tempo che fu Vicario generale del vescovo Martio de' Medices, e sentenza da egli stesso promulgata nel 1578, accoppiata la relazione dall'arcivescovo di Salerno e voto di mons. Orano, si sarebbe terminato a suo danno ed a pro dell'Arciprete, di essi agli'inganni, alle frodi ed alle falsità. rattrovavasi già presentato nella S. Congr. l'enunciato processo, siccome dirassi avanti, prima di passarlo alla S. Rota; procurò il buon Vescovo furtivamente di averlo nelle mani, siccome già seguì, unitamente con altre scritture antiche, e con molta cautela e segretezza consegnollo in un sacchetto cucito e ben chiuso al

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suo procuratore, chiamato Michele Bellino, perchè custodito l'avesse. Ciò fatto, il Parise che per tale effetto in Roma condotto si era, alla sua residenza in Marsico fè ritorno. Ove gionto, non avendo potuto ridurre l'arciprete ad altre sue voglie, stando questi assodato nella giustizia che li competeva e tante volte erasi conosciuta e che maggiormente appariva dall'enunciato processo e scritture, mandò il suddeto Parise uno di Moliterno, chiamato D. Felice D'Alessandro, acciò fattosi consegnare dal Bellino il processo, a lui lo portasse, come già seguì. Ed avendolo avuto nelle mani, volle osservarlo e leggerlo, e conforme li veniva sotto l'occhio qualche testimonio che aveva deposto a pro dell'arciprete, oppure era contrario a quanto egli tirannicamente pretendeva, stracciava la carta e buttavala nel fuoco.

Laonde, sicuro che l'arciprete non poteva produrre le sue ragioni, francamente continovò a molestarlo, de fatto privandolo e discacciandolo dalla sua possessionee, avendo estorto sorrettiziamente dalla Rota, sotto li 10 maggio 1607, coram Mazanedo, un mandato de manutenendo.

Il disavventurato Arciprete, novello dell'offizio e poco, anzi niente istrutto delle ragioni della sua chiesa, avendo saputo che un tempo erasi agitata questa causa e che il processo era stato trasportato in Roma, ivi convolò, e fatte molte diligenze e non rattrovandolo, stimollo disperso, non rubato. Ma poi, avendo avuto alcuni indizi, che era stato sottratto dal Vescovo (nihil non occultum quod non reveletur), impetrò dalla S. Sede monitorio de scomunica per

rattrovarlo; ma niente ne profittò: tutto fu in vano.

3. La sentenza Manzanedo sfavorevole all’Arciprete di Saponara.

Pensossi al rimedio, e cercò al possibile trovare anche egli la immemorabile, ed avendo nel 1608 ottenute le lettere commissoriali, fè esaminare molti testimoni, li quali in verità dissero molto a pro di quello che allegavasi dall'arciprete. Ma perchè i testimoni non erano di già che avessero potuto provare la immemorabile e deponere da anni quaranta prima che cominciasse la lite, cioè nel 1572, la Rota (Episcopo tantum informante) disse "immemorabilem non esse probatam", e l'Arciprete, veggendo non poter avere sussistenza la sua ragione e le sue pruove, si sottrasse dal giudizio, si occultò. E la Rota, in sua contumacia, sentenziò in favore del Vescovo, con dire: "Jurisdictionis manutentionem spectare ad Archipresbyterum, exceptis causis matrimonialibus et criminalibus": per

la qual decisione restò all'Arciprete cognizione solamente delle cause civili. Procurò l'Arciprete nuova udienza in Rota; ma perchè il Vescovo era più potente, più favorito, con altri rattrovati stimando alla nuova udienza aver favore, udì sentenza più della prima contraria. Avvegna che la Rota disse, coram Manzanedo, "Manutentionem spectare (oh manca il cuore in pensarlo e la penna in trascriverlo) ad Episcopum (o Dio, e come si permise che un furbo cotanto ottenesse?) exercendi jurisdictionem in causis civilibus quam criminalibus, matrimonialibus et mixtis, in terra et territorio Saponariae privative quoad archipresbyterorum".

E in cotale guisa restò il povero arciprete spogliato di tutta la giurisdizione con una sola sentenza. Ma che! Permise Iddio che il vescovo Parisi goduto non avesse la consolazione di udir quella novella di tal

sentenza favorevole, poichè essendosi ammalato e camminando verso l'occaso della sua vita, giunse il corriere con la notizia, in tempo che dal di lui scomunicato corpo era uscita quell'anima diabolica, autrice di tante frodi, causa di tante liti, fucina di tanti dispendi e pregiudizi. Nè può dubitarsi che col Demonio all'Inferno gita ne fosse, poichè, non avendo restituito

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il processo da lui occultato ed almanco revelato nel monitorio de scomunica che già fu sentenziato, chi sarà colui che asserir non voglia esser morto scomunicato?

E tanti interessi patiti dal Capitolo con la continovazione della lite, chi ne fu causa? Oh Dio dannarsi volontariamente un prelato pel solo fine di mondano dominio, transitorio interesse, momentaneo fumo di aver vinto un puntiglio, un impegno capriccioso?

Qual buon esempio potrassi apprendere de tal sorta di prelati, da chi le di loro operazioni si osservano? Ed in tal guisa portan seco all'inferno la maggior parte delle anime loro commesse.

Trattanto avvilito l'Arciprete, disanimato il Capitolo, acciecati gli avvocati e procuratori, non si appellò dalla recitata sentenza di Manzanedo tra il legittimo tempo: trascuratezza e dappocaggine tanto pesante che partorì dappoi danni inevitabili. Laonde passata la sentenza in cosa giudicata, restò il povero Arciprete come semplice parroco, senz'ombra di menoma autorità.

In tempo di questo arciprete Bernardino Cioffo, e proprio nell'anno 1609, si costrusse la campana grande della chiesa Collegiata, di strana grandezza e meraviglioso suono, siccome si ravvisa nella descrizione, che in quella si legge come siegue: + AVE MARIA + J.N.R.J. VER. CARO FACTU/ EST ET HABITAVIT IN NOBIS + AD HONORE/ ASSUMPTIONIS B.M.V. ET S. ANTONINI MARTYRIS. JO. BAPTISTA MARZANUS. CI =

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CAP. XX

BERARDINO CIOFFO RICUPERA LA GIURISDIZIONE ESSENDO VESCOVO DI MARSICO TIMOTEO CASELLI.

1. Muore Ascanio Parise e viene nominato Vescovo Timoteo. Caselli. Vengono ritrovati i documenti del processo fatti sparire dal Parise.

Passato di questa vita Mons. Parise ai 21 luglio 1614, li successe nello stesso anno Timoteo Caselli1, domenicano. L'arciprete cominciò a respirare e prender fiato, veggendosi tolto davanti il suo mortal nemico, per la sottrazione nell'anzidetto processo, della quale avendo avuto più strette notizie, le quali al tempo di mons. Parise erano soppresse ed alla luce uscir non poteano. Domandò ed ottenne per la seconda volta dalla Santa Sede monitorio di scomunica per acclarare dove il processo nascosto era; e con effetto, pubblicatosi in più e diversi luoghi, ebbe molte ed efficacissime rivelazioni, di buoni probi e di gran stima; e fra gli altri vi fu il P. Maestro Giov. Danio, allora provinciale dei Minori Conventuali nella Provincia di Napoli; del P. fra Giacomo Gallotti, nepote del defunto vescovo, del sig. Giacomo Nancinoro, familiare del Vescovo: li quali dissero aver viduto il processo in mano del sudd° vescovo Parisi; di vantaggio per la efficacia e pruove che si contenevano nel processo, rivelò mons. Lucio Sanseverino, allora Arcivescovo di Salerno, poi Cardinale; il quale disse di aver più volte letto il detto processo e nel medesimo era ben pruovata la immemorabile. Rivelò parimente D. Felice D'Alessandro, quello che fu mandato a Roma dal Parise a prendere il processo, e disse di aver quello ricevuto dalle mani di Michele Bellino, procuratore del vescovo Parise, che trasportato da Roma l'avea e molte altre rivelazioni confacenti all'affare: con le quali il povero Cioffi andossene di bel nuovo in Roma ed espose querela criminale contro il Bellino, e con ciò ottenne dalla Alta Camera di far diligenza nella di lui casa, ove altro rattrovar non poteasi, siccome rattrovossi, che il sommario originale del processo enunciato e la lettera originale del Vescovo rimessali per il riferito D. Felice, acciò per il medesimo gliel'avesse mandato.

2. Le sentenze Buratto a favore dell’Arciprete della Saponara.

Il Bellino fu carcerato, e dappoi esaminato, il tutto confessò e non occultò a suo danno cosa veruna, siccome consta dalla decisione rotale presso Buratto del 1617, quale si soggiungerà.

Dalle cose già dette così pruovate, così acclarato, e si dilucideranno d'avvantaggio, chi non dirà esser morto il Vescovo scomunicato? "Qui habet oculos videndi videat!"

Rapportando impertanto l'Arciprete tutte queste notizie nella Sagra Rota, domandò la restituzione “in integrum” contro la sentenza di Manzanedo, della quale appellato non si era, e fu commessa la causa a mons. Buratto, in presenza del quale essendosi agitati molti articoli, intese le parti, a relazione del medesimo, deferì alle petizioni dell'Arciprete, siccome dalla decisione di Buratto 152: come siegue:

1 Frate domenicano di Guardia di Sanframondi (Benevento) maestro di Teologia e Vicario generale del convento della Sanità di

Napoli. Tenne la Diocesi dal 1614 al 1639. Con lui si parla per la prima volta di una chiesa di “S. Maria del Monte” in Viggiano.

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"B.P.D. Buratto=Marsicensis Jurisdictionis=8 Februarii 1616 Quamvis Domini non dubitaverint transactionem initam inter Episcopum Marsicen. praedefunctum et Capitulum Terrae Saponariae, non subsequta confirmatione apostolica, non obstare moderno Episcopo ad effectum ut ipse dicatur illa ligatus, juxta Tex. in cap. veniens de Istitut. Et juxta expressam conventionem, quod transactio duceret, vivente solo Episcopo transigente: Tamen confuerunt illam obstare ad effectus, ne modernus Episcopus possit se juvare et uti manutentione dicto Episcopo antecessori transigente concessa. Quia cum dicta transactione fuerit conventum quod jurisdictio in causis criminalibus et matrimonialibus exerceretur cumulative cum Episcopo, adeo ut esset locus praeventioni. Et Episcopus promisit etiam cum juramento, omnia et singula in ea contenta eius vita durante attendere et observare et in aliquo non contravenire. Non potuit postea Episcopus obtinere (essendo spergiuro) manutentionem in quasi possessione exercendi jurisdictionem, praeter, et contra formam eius juramenti, et transactionis, quae sine dubio ipsum transigentem et jurantem ligavit. D. Cap. veniens, et ibidem n. l, vens. item nota et ilii de Transact. Manzaned. decs.9. n.l vers et idem dicitur de Loc.ato et conducto. = Caesar de Grassis decs.l et 2. de jure jurando. = Et consequenter mandatum de manutenendo ad eius favorem relaxatum praevia decisione rotali, facta 18 maij 1607 c/um R.P.D. meo Manzanedo in qua fuit resolutum eum esse manutenendum in quasi possessionem cognoscendi causas criminales et matrimoniales privative ad Archipresbyterum, fuit nullum tanquam contradictam transactionem et juramentum, et ideo modernus Episcopus illo uti non potest ad reg. quod ab initio ff. de reg. Jur et cap. non firmatur eod. tit.in 6. Nec obstat quod probatur transactionem non esse in forma probanti, quia (quidquid sit) absolutio in juramento in ea interposito obtenta ad Episcopum transigentem praesupponit in necessarium antecedens ipsam transactionem. An autem constet de causis restitutionis in integrum, adversus sententiam rotalem D.D. nihil resolverunt.

An vero modernus episcopus debeat ex persona sua manuteneri, poterit particulariter disputari etc."OMISSIS

Ottenuta questa sentenza favorevole, cominciossi a respirare ed a sperare che la giustizia, oppressa dalle frodi dello spergiuro e scomunicato Parisi, avesse la sua sussistenza.

Laonde non tralasciossi accodire in Rota, per la discussione degli altri dubbi insorti. Quindi uscì altra resolutione, che "mandatum de manutendo concedendum esset Archipresbytero", siccome dalla Decisione 219 dello stesso

Buratto, come siegue: "R.P.D. Buratto = Marsicen. Jurisdictionis = 6 Januarii 1617 Archipresbytero Terrae Saponariae D.D. dixerunt concedendum esse mandatum de manutenendo in quasi

possessione jurisdictionis, quoad causas civiles, criminales et mixtas de illius n. exercitium dictae jurisdictionis visum fuit, potissimum constare ex duobus testibus in Curia Marsicana examinatis, pro parte Episcopi, ut constare videtur ex eorum lectura, qui deponunt de cognitione huiusmodi causarum coram dicto Archipresbytero, et quod in casu appellationis devolvebantur in Episcopum, prout etiam enarratur in instrumento concordiae initae in anno 1604, inter ipsum Episcopum et Capitulum et dictum Archipresbyterum, praedicti autem testes, licet singulares, jurisdictionem probant. Innoc. in cap. qualiter et quando, fol.1 de accus. Alber.in.1. ob carmen n.18, vers.si.n. supposito initio et ibi

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Jacobin.de S. Georgio, n.21. vers.sed reperio etc.etc. Et sufficient eos esse contestes in quadam generaliter. Varalli, 269, n.2, p.2.

Valde autem adminus curantur tam ex concordia inter Parisium episcopum Marsicen. et Capitulum facta, in qua ipse Episcopus recognovit Archipresbyterum eundem exercuisse jurisdictionem harum causarum civilium et criminalium, praesertim, q.a. confessio emenavit a prelato informato, quia ipsemet dum esset Vicarius Episcopi sui praedecessoris, per eius diffinitivam sententiam, cognitionem earundem causarum, eidem archipresbytero adjudicaverat; quam etiam ex summario quodam jurium penes procuratorem episcopi reperti, in quo adnotati sunt viginti duo processus in curia Archipresbyteri agitati, ab anno 1490 usque ad annum 1577, in Curia episcopali Marsicen. producti, et depositiones 24 testium , quod Archipresbyter a fundatione ecclesiae semper cognovit de causis civilibus et mixitis, quodque redditus archipresbyteratus proveniat ex emolumentis jurisdictionis; de quibus processis et testibus meminit etiam bo. mem. Oranus in eius voto ad favorem Archipresbyteri et testantur nonnulli pro revelatione dictorum jurium ad instantiam Archipresbyteri examinati. Et fit mentio in Epistola eiusdem Episcopi praedecessoris transmissa hic in curia, in qua illum admonet ub sibi transmittat processum seu copiam processus fabricati in Curia episcopali Marsicen., de anno 1572. Subjungens (dove furono esaminati molti testimoni sopra la immemorabile) et demum falsum est ipsemet procurator in eius constituto, ut in summ. Archipresbuteri, n.13. Ex ea itaque cognitione quaesita fuit Archipresbytero quasi possessio jurisdictionis in omnibus praedictis causis. Innoc. in cap. Dilectus. Et ibi Butr. Arch. Jo. de Anan. et alii de Cappell. Monach. Papiens.in Prax.in form. libell. in act. confess. in gl. Plenam., n.10. In qua item possessione idem Archipresbyter de anno 1590 manutentionem obtinuit ab A.C. ut in mandato in eius summario n. 2. Et licet postea Episcopum quoque in tribunali Rotae mandatum de manutendu obtinuerit a R.P.D. meo Manzanedo, illum tamen quoad causas de quibus agitur non fuit illi concessum privative, sed solum cumulative.

Quae omnia simul sufficere visum fuerit, in hoc praesertim judicio summariissimo in quo exacta non requiritur. =Alex.cons.103, n.3 lib.7. Dec.cons.56, n.1, vers.et ideo= Menoch.de retin.pos.rem; ult., n.34, caputaq. dec. 200, p.2 et fuit dictum in unam Aquilegionem Pensionis 21 maij 1610 coram dicto D.no meo Manzanedo.

Et ex praemissis juncta etiam sententia Parisii vicarii generalis Marsicen. de anno 1578 ad favorem Archipresbyter quoad praesentes causas lata, juris assistentia pro dicto Episcopo juxta tex. cum persona de privilegio in 6.offuscatur, et maxime turbida redditur, idesque illi non suffragatur. Seraph. Dec. 1278, n.f. Et fuit dictum in Montis regalis jurisdictionis 4 nov. 1588, coram bo. mem. Penia. et resolutum in causa 18 martii 1607, coram eodem D. meo Manzanedo. Neque obstant actus jurisdictionales dati pro parte ipsius Episcopi de anno 1537 et 1504, in eius summ. n. 6, quia illis uti non in forma probanti Rota jam rejecit dicta die 18 Maij 1607 et in decis. eodem sum. Ep.n.l. Ex quibus D.D. concluserunt Archipresbyterum asseruerunt quod privative quoad Episcopum, super quo (si opus erit) poterint iterum consuli. Quo vero causas criminales et matrimoniales reservaverunt videre. An ex supradicta sententia Parisii constat de re judicata etc. Romae etc."OMISSIS

3. L’Arciprete Cioffi fa stracciare i cedoloni del Vescovo.

Ma Mons. Caselli, trattanto che trattavansi in Rota quei proposti dubbi, non cessò dalle molestie e dagli attentati, poichè, avendo il medesimo costituito nella Saponara un Vicario Foraneo, fe‟ dal medesimo affiggere dei cedoloni d i scomunica

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nella piazza pubblica contro l'arciprete Cioffi. Ma costui con intrepidezza fè lacerare i cedoloni et anche la patente del Vicario in pubblico, asserendo che egli e non altro era l'Ordinario della Saponara, a tenore del mandato della Rota ottenuto.

Saputosi ciò dal Vescovo, con la supposizione del mandato estorto, dal suo antecessore nel 1604, querelò criminalmente l'Arciprete per la contravenzione del mandato e lacerazione dei cedoloni e patente del suo Vicario foraneo. Laonde, formatosi per ordine di S.S. il processo dell'A.C., fu l'Arciprete assoluto per avere esercitato la sua giurisdizione legittimamente, ed il Vescovo fu condannato alle spese. La sentenza passò in cosa giudicata, e le spese furono tassate in molte centinaia di scudi, che con effetto pagò, del che vi è un istromento di recezione nell'archivio.

Ma non perdendo tempo l'Arciprete per far discettare il dubio non resoluto, cioè "an constaret de causis restitutionis in integrum?" produsse la sentenza di Parisi del 1578, giustificandola aver fatto passaggio in cosa

giudicata, siccome dalla S. Rota si confirmò, dagli atti fabbricati in quel tempo. Laonde domandò si fosse esibito il processo enunciato. Il Vescovo, negando la di lui esistenza e di nuovo esser egli tenuto esibirlo, come non pervenuto nelle di lui mani

(dicea per altro il Vescovo siccome si è detto e si dirà), fu proposto il dubio in Rota in presenza lo stesso Buratto. An constaret de actorum existentia ex deficientia processus, et quatenus sic, quis teneatur exhibere?

A dì 13 luglio 1617 fu risoluto: Constare de existentia et deficientia actorum, et Episcopum teneri ad exhibitionem supra transmissae sive originalis in Archivio remansi. Non trascrivo la decisione, non essendo pervenuta nella mie

mani, ma bensì la susseguente come dirassi2.

4. Altro ricorso alla Sacra Rota e terza sentenza Buratto in favore dell’Arciprete.

Il Vescovo si dolse di questa resoluzione, laonde domandò che altra volta si fossero informati i sigg. votanti per aversi altra resoluzione, sì come eseguì; poichè ai 20 nov. 1617 fu resoluto: "Standum esse in decisis etc. etc. quod Episcopo obstet exceptio non exhibitionis processus et actorum, illis namque non exhibitis, audiri non possit" ; e che "constabat de causis restitutionis in integrum", giacchè il Vescovo erasi opposto, che non essendosi appellato dalla

sentenza di Manzanedo, quella era passata in cosa giudicata, e che la sentenza di Parisi quella era senza atti, e però non doversene avere ragione.

La Decisione Rotale fu come siegue: " B.P.D. Buratto = Marsicen. Jurisdictionis = 20 Novembris 1617 = Commissa pro parte Archipresbyteri causa restitutionis in integrum adversus sententiam Rotalem ad favorem

D.ni Episcopi, latam, quae pretendebatur transivisse in judicatum, ob appellationem non interpositam et per quam pronunciatur fuit omnimodam jurisdictionem causarum civilium, criminalium, mixtarum et aliarum quarumcumque Terrae Saponariae, etiam privative ad Archipresbyterum spectare eidem Episcopo. Ad docendum de causis restitutionis in integrum idem Archipresbyter deduxit duo P.mo videlicet Immemorabilem super exercitio jurisdictionis in huiusmodi

2 Già con atto del 15 Marzo del 1617, Giovanni Domenico Spinola, Referendario del Papa, aveva intimato al Vescovo di Marsico

di non molestare l‟Arciprete Cioffi nel “quieto e pacifico esercizio della Giurisdizione” (Cfr.Valeria Verrastro ”Le pergamene della chiesa collegiata di S. Antonino martire di Saponara”, perg. n° 28, pag. 246).

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causis non sublatam per dispositionem S.C. Trid. In cap. causae omnes, sess. 24 de reforma. Juxta declaratum illustriss. Interpr. In hac causa 6 Junii 1631. 2m. sententiam Parisii, alias Vicarii, deinde Episcopi Marsicen, quae pronunciata fuit contra dictum Episcopum, jurisdictionem praedictam ad dictum Archipresbyterum spectare, quae ob lapsum temporis transitum fecerit in judicatum, equipollet tribus conformibus et terminis dicti Conc. Cap. causae omnes declaravit S. Congr. Interpretum. Verum quia pro parte Episcopi opponebatur immemorabilem non probari nec per testes in viae remissoriae Rotalis examinatos, ut fuit resolutum coram R.P.D. meo Manzanedo die 26 Junii 1609. Et dictam sententiam Parisii esse sine actis et extra Rotam latam, et sic non attendendam ex inveterato stylu Rotae. Ideo replicabat Archipresbyter tam immemorabilem quam sententiam justificari posse ex processu et actis fabricatis et testibus examinatis coram eodem Parisio, ad quorum processus et actorum exhibitionem, 3 Julii praeterii resolutum fuit Episcopum seu eius procuratorem teneri.

Hodie autem audita parte Episcopi D.D. steterunt in decisis hoc modo, videlicet: Quod ei obstet exceptio non exibitionis dicti processus et actorum, illis autem non exibitis, ipse audiri non potest, Sap. Alleg. 18, n.16, vers.et sic respondet. Felin. in cap. perpetuus, n.ll, vers.pro hac ampliat. - de fid. Instr. Dec. In 1.2, n.29.C. de Eden. Ursill. ad Affl. dec. 33, n.33. cum aliis alligatis, p.apost.ad dictas decis.cap.58, litt.C.

In dicta namque decisione p.mo loco firmatum fuit de existentia dicti processus et actorum in dicto tribunali dubitari minime posse, cum super illis lata fuerit dicta sententia Parisii ad favorem Archipresbyteri, et aliis ibi adductis, quae reddunt rem satis claram. Et ibi visum fuit probari existentiam actorum de tempore litis natae, quod sufficit ad hoc ut sit exibitioni Gl.in l. non ignorabat; in verb. fuisse C. ad exhibit.et fuit dictam in Valentiana illegittimatis 9 decemb. 1609 coram R.P.D. meo Cavallerio.

Haeque exceptio quae admodum obstaret Episcopo antecessori, si viveret, ita obstare debet moderno Episcopo eandem causam prosequenti, et in quem transivit lis et causa. Gl. in extravag…omissis…

Unde in simili exceptio purgationis obstat successori in Ecclesia, ut tenuit Rota in Ariminen.coram Accorombono relata.p. Cancell.p.2.C.4.

Quae hic tanto magis procedunt, eum modernus Episcopus reassumpsit eadem causam et sic omnia in i lla acta propria fecerit.Rot.dec.71.n.l.lib.3.

Nec obstat quod non probetur existentia processus, penes eundem modernum Episcopum, sine qua non tenetur ad escludendum, ut dicitur de haerede l. alio jure, C. de in lit. Jur et ibi scrib. Quia uti successor habet contra se praesumptionem qua ratione persistendo in exemplo haeredis dixit l. in Clan.l.&.coeterum in verb. compellendum de usur.quod quando defunctus tenebatur exhibere librum rationum, ita etiam tenetur ejus haeres et illius juramento non statur librum ad se non pervenisse. Quae praesumptio in praefato casu maxime coadiuvatur et fide notarii data in pede sententiae, per dictum Parisium latae attestantis illam desumptam esse ex processibus existentibus in actis, et Archivio episcopalis Curiae Marsicen.

Unde cum apparet huiusmodi processus et acta in ipso archivio conservari, et ipse modernus Episcopus possit compellere actuarium et archivistam ad exhibendum perinde est ac si penes ipsum extarent.Card.Seraph. De 1224, n.3.

Ad illud quod vero non probatur huiusmodi acta fuisse originalia placuit responsio alias data in dicta decisione. Eo hodie unus est D.D. quod essent talia vehemens praesumptio habetur ex scipturis, quae fuerunt transmissa ex Urbe ad Episcopum antecessorem, informando D.D. per Archipresbyterum offensis quae ex oculari inspectione originales

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apparuerunt. Nec verisimile videbatur quod dictus processus et acta originalia fuissent. D. Episcopus certum nuntium obbligasset ad ea transportandum ab Urbe, prout fecit et constat ex ipsa istius epistula, ex quibus et aliis in decisione et per informantes deductis, D.D. steterunt in Decisis ut supra."

5. L’Arciprete rifiuta al Vescovo l’assenso a visitare la sua Chiesa come Ordinario. Il Vescovo lancia l’interdetto generale contro l’Arciprete e il popolo. La Sacra Rota da’ ancora torto al Vescovo.

Veggendo pertando il Vescovo che questa via non spuntava per ottennere il suo intento nella Sagra Rota, dalla quale eransi proferite due decisioni contrarie, non sapendo in che maniera vessare il povero Arciprete, dessi (si diede) anch'egli alle versuzie ed agli diversivi, avvenga che con sorrettizzi ed abbrettizzi esposti, estorse dalla Sagr. Congreg. sopra i Vescovi, a 19 marzo 1619 et a 20 marzo 1630 alcune lettere a lui stesso dirette, colle quali le si permetteva che, lite pendente et supra judicio jurium partium, tam petitorio quam possessorio, nomine SS. CC. avesse approvato i Confessori nella Saponara. In virtù dei quali mandò tre editti, coi quali non solo comandò che li sacerdoti si fussero condotti da lui per essere approvati ed esaminati, ma proibì ai confessori approvati dall'Arciprete a poter confessare, ed ai penitenti che con i medesimi i loro peccati non avessero, sotto pene gravi e censure. Dopo di ciò si recò a Saponara a fine di visitare la chiesa. Ma l'arciprete si offerì pronto a riceverlo, qualora avesse voluto visitare come Vescovo viciniore e come Delegato apostolico; e perchè il Vescovo dichiarò di voler visitare come Ordinario, l'Arciprete dictis et factis si oppose alle di lui sfrenate voglie e mal guidate resoluzioni; tanto che il Vescovo, vedendosi schernito e beffato, non potendo eseguir l'intento, con scherno e vituperio e rossore partissi molto corrucciato, e mordendosi le dita lasciò interdetto generale contro l'Arciprete e popolo. Di questi fatti come di attentati, lite pendente, subito se n'ebbe ricorso alla S. Rota, nella quale, posta da parte la causa principale, discettossi questo incidente, se poteva il Vescovo o no , esercitare quei già detti atti, quando all'arciprete erasi conceduto il mandato de manutenendo, e sotto li 11 gennaio 1621, in presenza dello stesso Buratto si decise a pro dell'arciprete, come siegue:

"R.P.D. Buratto = Nullius seu Marsicen. jurisdiction. 11 Januarii 1621. De attentatis ex parte Episcopi dixerunt D.D. constare, et ideo illa esse revocanda. Tum quia idem Episcopus, lite

in Rota pendente, omnimoda jurisdictione in Terra Saponariae, cum illius Archipresbyteri ut infra, et exhibitione in forma subsequta voluit uti, Episcopus et Ordinarius, prout expressis verbis protestatum fuit, visitare ecclesiam archipresbyteralem et alius dictae terrae, non obstante ut asseruit exhibitionibus, et mandato de manutenendo a judice competenti expeditis, ut in suum archipres.n.2.

Quare visitatio fieri non potuit lite pendente dum sit aetus jurisdictionalis c.l.&. cum autem et consequenter fuerunt etiam attentata interdictio et suspensio Archipresbyteri et populi, propter oppositionem et resistentiam factam dictae visitationi, ut dicto summ. N.3. Tum etiam publicando edicta super approbatione confessariorum, in quibus contemnendo ordinem litterarum S. Congregationibus Episcoporum, continentium tantum facultatem approbandi confessarios, declaravit nullas et inutiles prrobationes et licentias per archipresbyterum datas audiendi confessiones, et inhibuit confessariis antea per archipresbyterum deputatis audire confessiones, inhibendo etiam populo sub poena excommunicationis, ne dictis confessariis uterentur et peccata confiterentur, ut in eodem summ. n.5. et tamen auctoritatem sibi attributam egredi non potuit, nec debuit, cum olim et Imr.n.2 et Abb.n.3 - de off. Deleg.

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Non obstant quod praedicta respiciunt jurisdictio nec voluntaria, super qua non pendet lis, et sic nec inhibitis afficiat, tamquam in diversa causa, ad late tradita Lancell.,cap.4.Quia verum in Rota pendet, et causa nec solum contra jurisdictionem contentiosam, sed etiam voluntariam, fuit lata sententia rotalis, per quam pronunciatum fuit, omnimodam jurisdictionem, in civilibus, criminalibus, mixtis, matrimonialibus et aliis quibuscumque, libere et totaliter spectare ad Episcopum, privative ad archipresbyterum, et fuit commissa causa restitutionis in integrum dicti Archipresbyteri adversus dictam sententiam seu omissam vel non prosequtam appellationem, quae causa restitutionis pendet, et super ea fuerunt factae nonnulae resolutiones pro Archipresbytero, et ideo causat attentata, non minus, ac si penderet causa appellationis. Franc.in c.bona; n.36.etc.etc.

Nec dubitari potest quin post relatas in dicta sententia causas civiles, criminales et matrimoniales, illa verba (et aliis quibuscumque) comprehendant etiam causas voluntariae jurisdictionis, tamquam universalissima-socc.cons.293,n.8, lib.2 etc.etc. Imo in aliis verificari non posse videtur quae propterea pro expressis habentur, 1.2, ff. de lib.etc.etc.

Prout etiam ostendit illud verbum, omnimoda, quod simul comprehendit voluntariam et nullam speciem jurisdictionis escludit; l.in Clem. L. vers. omnimoda de foro…

Super qua voluntaria jurisdictione fuit etiam ab initio litigatum coram Parisio, tunc vicario Marsicen. usque de anno 1572, et deinde ad instantial Episcopi commissa causa eius appellationis in Rota a sententia A.E. in favorem Archipresbyter lata super ordinaria jurisdictione, ut in commissione data in summ. Archipr.n.4. Cuius appellationi venit etiam jurisdictio voluntaria. dicto cap. cum quaerere, ubi omnes et precipue Abb.n.2. Et in commissione directa R.P.D.Manzanedo, qui dictam sententiam protulit, adest clausula avocatoria a quibuscumque judiciis, etiam S.R.E. Cardinalibus et a quacumque congregatione et aliae clausulae amplissimae ut in summ. Episcopali,n.8.

Et causae fuerunt deductae ad speciem voluntariae jurisdictionis, ut supra, et praesertim per dictam sententiam super omnimoda jurisdictione, et aliis quibuscumque causis. Non obstant praetensa continuatio confessionis Episcopi, ad exclusionem attentatorum, nam quoad visitationem testes dati in sum. Episcopi n.6 non exprimunt tempus quo fuerunt factae dictae visitationes , prout est necesse cum eum fieri potuerint post litem motam, ex quibus uti attentatis nulla possessio manutenebilis acquiri potuit. Lancellet., de attent.p.3 cap.31, n.200 etc.etc.

Neque etiam deponunt de jure Episcopus visitaverit ordinaria, scilicet aut delegata potestate, quod distincte probari debet, cum ipse debeat uti possessione eo modo quo ante litem motam uti consuevit. Gloss.in cap. non solum de appell.in.6. Franc.in cap.cum teneatur imp.not.de appell.

Et ita veraque parte informanto resolutum".

Ottenuta dall'Arciprete la soprascritta decisione Rotale, quanto costui prese buona speranza per il totale buon esito della causa; altrettanto il Vescovo restò confuso ed affrontato, veggendosi che quasi a momenti crescean le vittorie dell'Arciprete, un tempo depresse, ed avvilite, nonchè annientate quelle del Vescovo, un tempo fortunatissime, laonde l'Arciprete recuperò tutto e ciocchè gli anni addietro con suo scorno perduto avea; e potea dirsi veramente aver

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recuperato quel che perduto avea, per essersi posseduto per tanti secoli passati; anzi di vantaggio ottenne l'uso dei pontificali ad uso di Vescovo, siccome dirassi nel capitolo seguente3.

Parte iniziale del Rotulus pergamenaceo (Doc. n° 41),

dell‟Archivio comunale di Gruemento Nova, contenente la remissoria della causa tra il Vescovo Caselli e l‟Arciprete B. Cioffi.

3 Il contenzioso tra il Vescovo Timoteo Caselli e l‟Arciprete Bernardino Cioffi, oltre al problema della Giurisdizione, si allargò

anche ad altre materie quali il godimento dei benefici della Mensa di S. Laverio. Abbiamo rinvenuto nell‟Archivio comunale di Grumento Nova una pergamena che la Verrastro riteneva smarrita perché non trasferita all‟Archivio di Stato di Potenza. Si tratta di un Rotolus pergamenaceo contenente una remissoria della causa tra il Vescovo Caselli e Bernardino Cioffi per il Beneficio semplice della Chiesa di S. Laverio che l‟Arciprete sosteneva di dover essere considerato distinto e separato dalla Mensa Vescovile di Marsico. Il documento porta la data del 23 Maggio 1625 e catalogato dalla Verrastro (anche se per lei disperso) al n° 41. Vedasi riproduzione della prima facciata nella pagina presente.

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CAP. XXI

SI RAMMEMORA LA PERSONA DEL CARDINALE LUCIO SANSEVERINO A PRO DEL COLLEGIO ED ARCIPRETE CON FARLI OTTENERE L'USO DEI PONTIFICALI.

1. Il Cardinale Lucio Sanseverino viene in soccorso di Bernardino Cioffi, Arciprete di Saponara.

Lucio Sanseverino1, fratello di Ferdinando, Conte della Saponara, essendo stato creato arcivescovo di Rossano, fu poscia da Paolo V, Sommo Pontefice, a petizione di Filippo III Re di Spagna, translato alla sede Salernitana ai 19 novembre 1612. Ma essendo di rare virtù e sapere, fu da Gregorio XV eletto cardinale, ed essendo passato da questa vita Gregorio, per la elezione del nuovo Sommo Pontefice nel Conclave, ebbe molti voti favorevoli, e poco mancò che la elezione sopra lui caduta fusse. Ma eletto già Urbano VIII, egli ritornò alla sua residenza in Salerno, ove passò da questa vita ai 23 dicembre 1623. Di lui ancor va in bocca di molti quel progetto: "Il Cardinal Sanseverino, sarà Papa doman mattino".

Or questo grand'uomo, veggendo in siffatta guisa strappazzato il capo di quella chiesa ov'egli il sacrosanto battesimo ricevuto aveva, ricordandosi della Patria ove ricevuto avea l'essere di uomo, cruciato dalle maligne insinuazioni del Parise, non potè non aprir gli occhi del suo zelo a pro della nostra Chiesa e patria, avanzando presso la Sagra Rota le nostre ragioni suppresse dalle ceneri del defunto Parise, ed essendosi ottenuto quanto di sopra si è narrato, non mancò di ulteriore patrocinio per illustrare l'Arciprete e la Collegiata di quelli onori e prerogative che a veri Prelati convengono, con far loro ottenere diploma apostolico per l'esercizio de' Ponteficali ad uso di vescovo, con mitra, bacolo, etc., che si descriverà qui sotto.

E quantunque per antica tradizione nel nostro Collegio si abbia che gli antepassati Arcipreti, non meno si avessero avuta la omnimoda giurisdizione, siccome sin qui si è divisato, che l'uso dei ponteficali a guisa dei veri Vescovi, locchè si acclara da un inventario per atto pubblico stipulato per mano di Notar Felice Zottarello nel 1618, in una pergamena che conservasi nell'archivio della Collegiata, di tutti i sacri utensili, come sono mitra bacolo, guanti e simili, non di meno si è stimato e si stima da sennati che, per non dar anza2 d'insorgere su di ciò altro litigio, quando non appariva valida concessione, senza starsene all'appoggio della immemorabile consuetudine, che era difficile a provarsi, come accadde con la giurisdizione e collegialità, si pensò di averne concessione dalla S. Sede. Dalla quale, con tutto

1 Lucio Sanseverino, secondogenito del Conte di Saponara Giovanni Giacomo IV e Cornelia Pignatelli, nacque il 1564 (forse in

Saponara). Vescovo di Rossano dal 2-12-1592 al 1612, Arcivescovo di Salerno dal 19-11-1612, Cardinale con il titolo di Santo Stefano in Monte Celio dal 21-7-1621, Nunzio Apostolico nelle Fiandre (Giugno 1619-Maggio 1621), Abate di San Leonardo dal Settembre 1621. Morto a Salerno (secondo alcuni e secondo lo stesso Ramaglia) il 25-12-1623. Fr. Paolo Caputi colloca la sua morte nel 1631. Poiché il Pontefice Urbano VIII concesse, per interessamento del Cardinale Lucio (secondo quanto asserito dal Ramaglia in questo capitolo) con atto del 6 Agosto 1624 a Bernardino Cioffi il diritto all‟uso dei Pontificali (Cfr. V. Verrastro, op. cit., perg. n° 32, pag. 248) ci pare strano come il Ramaglia stesso faccia ricadere la data della morte di Lucio nel 1623. E‟ più probabile che egli sia morto più tardi, come afferma il Caputi. Nel Conclave apertosi il 19 Luglio 1623 per la successione a Gregorio XV, il Cardinale Sanseverino entrò anche in lizza per diventare Papa. 2 Motivo.

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ciò che non molto antica, non se ne avea menoma cognizione o memoria. Ma io, scartando tanti e tanti cartocci e pergamene che mi venian per le mani, rattrovai l'anzidetto diploma. Acciocchè se ne abbia viva memoria, mi è parso qui trascriverlo, abbenchè dopo da me dato, per così dire alla luce, dal Sig. Costantino Gatta siasi dato alle stampe nella sua "Lucania illustrata".

2. Bolla Papale con la quale viene concesso all’Arciprete di Saponara l’uso dei Pontificali.

Il tenore dunque è il seguente: "Urbanus3 Servus Servorum Dei Episcopus =ad futuram rei memoriam= Equum reputamus et rationi consonum, ut ea quae de Romani Pontificis gratia processerunt, licet eius

superveniente obitu, litterae apostolicae desuper confectae non fuerint, suum sortioritur effectum. Dudum si quid fel. record.4 Gregorii PP. XV praedecessori nostro pro parte dilecti filii magistri Berardini Cioffi moderni archipresbyteri saecularis et Collegiatae insignisque Ecclesiae S. Antonini Terrae Saponariae nullius Diocesis provinciae Salernitanae Jur.Vet. Doct. Notarii et familiaris nostri, sunt sui exhibita continebat petitio. Quod archipresbyteri pro tempore existentis dictae ecclesiae, etiam a tempore fundationis dictae ecclesiae jurisdictionem ordinariam et quasi episcopalem in eorum territorio distincto et separato exercuerant, et dictus Berardinus, in possessione dictae jurisdictionis ordinariae existebat, et proinde ut jurisdictionem huiusmodi majori cum auctoritate et decoro dictae ecclesiae, quae ut praefertur insignis erat, in qua ultra archipresbyteratum, dignitates in ea principales duodecim canonicatus et totidem praebendae pro duedecim canonicis, horas canonicas diurnas nocturnas aliaque divina officia in dicta ecclesia singulis diebus decantare solitis, instituti reperiebantur exercire valeret, plurimum cupiebat sibi per dictum praedecessorem tunc indulgeri ut infra. Quare pro parte dicti Berardini eidem praedecessori humiliter supplicato, quatenus de praemissis opportune provvidere de benignitate dignaretur; dictus praedecessor, qui cunctorum fidelium, praesertim grata devotionis obsequia sibi et apostolicae sedis impendentium honestis votis libenter annuebat, eaque favoribus prosequebatur oportunis, volens praefatum Bernardinus favorem prosequi gratioso, et a quibusvis excommunicationis, suspensionis, interdicti aliisque ecclesiasticis sententiis, censuris et poenis a jure, vel ab homine quavis occasione vel causa litis si quibus immodolibet innodatus existebat, ad effectum infrascriptorum dum taxat consequendum absolvens et absolutum fore, censens huiusmodi applicationibus inclinatus sub datum videlicet sexto Kal.Maij, pontificatus sui anno III, eidem Bernardino eiusque successoribus dictae ecclesiae archipresbyteris pro tempore existentibus, ex tunc deinceps perpetuis, futuris temporibus in praefata et quavis alia ecclesia eorum jurisdictioni subiecta, Missam et alia divina officia celebrando, ac etiam in processionibus caeterisque ceremoniis et actis ecclesiasticis publicis et privatis, mitra et baculo, pastoralibus et non Cirothecis, anulo, Zandalis, Mantello seu Mozzetta, Pileo, Rocchetto, habito, coloribus caeterisque ornamentis vestibus et insignis pontificalibus, uti, illa induere, gestare et deferre, et Mitram ipsam super gentilitiis eorum Insigniis, exponere, missasque et alia divina officia pontificaliter et more Episcoporum celebrare nec non post vesperorum,

3 Trattasi del Cardinale Barbarino di Spoleto che venne eletto Papa il 5 Agosto del 1623 ed assunse il nome di Urbano VIII.

4 Fel. Record. sta a significare “felice memoria”

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matutinorum, missarum et aliorum divinorum officiorum solemnia, super populum inibi praesentem, solemniter benedictionem, dummodo aliquis Antistes praesens non esset, et si praesens foret, de eius licentia impendere et elargire. Nec non corporalia, cruces, imagines, tabernacula, inquibus sacrae reliquiae observantur, orceolus, candelabra, libros, pluvialia, casulus, subueulas, clamides, syndones, stolas, manipulos, nappas, pannos, campanas aliaque vasa et vascula in quibus non requirebantur unctio: suppellettilia et vestimenta, paramenta, ornamenta et munimenta ecclesiastica, etiam sacerdotalia et alia divino cultui necessaria et dicata, pro dictae tamen Collegiatae et aliorum eidem Archipresbytero subiectarum ecclesiarum dumtaxat, nec non ecclesias praefati territorii et illorum coemiteria, si quando illa sanguinis vel seminis humani pollui contingerit, appositione aquae per aliquem Antistem, prius benedictae juxta S.R. Ecclesiae ritum reconciliare libere et licite valerent, apostolica auctoritate contestit et indulxit, eosque desuper a quocumque quovis praetextu, colore vel ingenio, molestari, perturbari, inquietari aut quoquo modo impediri nullatenus unquam posse, ac quisquis secus super his a quacumque quavis auctoritate scienter vel ignoranter contigerit attentari, irritum et inane decrevit, non obstantibus quibusvis apostolicis etiam in synodalibus, provincialibus universalibus conciliis editis, specialibus vel generalibus constitutionibus, ordinationibus coeterisque contrariis quibuscumque.

Haec autem de absolutione, concessione, indulto et decreto praedictis, pro eo quod super illis dicti praedecessoris eius superveniente obitu, litterae confectae non fuerant; valeat quomodolibet hesitari, dictusque Berardinus et eius successores illorum frustarentur effectu, volumus et similiter apostolica autoritate decernimus quod absolutio, concessio, indultum, et decretum praedicti antecessoris nostri, perinde a dicta die sexto kal. Maii suum sortiantur effectum, ac si super illis ipsius praedecessoris litterae sub eiusdem diei data confectae fuissent, prout superius enarratur; quodque praesentes litterae ad probandam plenam absolutionem, concessiones, indultum et decretum praedecessoris huiusmodi ubique sufficiant, nec ad id probationis alterius adminiculum requiratur.

Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae voluntatis et decreti infrangere, vel ei ausa temerario contra ire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei ac beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum. Datum Romae, apud S. Petrum anno Incarnationi Dominicae Millesimo sexcentesimo vigesimo tertio, octavo Idus Augusti = Pontificatus nostri anno primo = Fabius Notarius Corsettus pro Refer.io = M. Bergerettius = Thomas Berthius pro Magr = Allivaldus - F. Amidinus - S. Ugolinus - Hieron.Fab.script. - T. Pellici - M. Mentius - Julionus Bexonius - Domellus - Expos.cs. 51.I. Pellisc."5.

3. Lucio Sanseverino, da Vescovo di Rossano, viene in Saponara nel Settembre del 1594.

Volle ancora il Card. Sanseverino, in segno di giubilo, perpetuare la sua gratitudine verso la sua e nostra Chiesa,

5 Trattasi della Pergamena n° 32 cui si è accennato nella nota n° 1. Lo scrittore rogatario figura L. De Sances. Essa si conserva,

insieme alle altre pergamene della Collegiata di S. Antonino, presso l‟Archivio di Stato di Potenza, ivi spostate dopo il sisma del 1980. Transuntata da Valeria Verrastro, vice direttrice dell‟Archivio, rappresenta la prova concreta che il Ramaglia non inventava niente e riportava tutto materiale di prima mano che egli attingeva al ricchissimo Archivio della Collegiata. Occorre annotare per questo documento che la data dell‟8 Agosto 1623 va spostata (come rileva la stessa Verrastro) all‟anno 1624 perché è impensabile che Urbano VIII, appena tre giorni dopo la sua elezione si sia dedicato alla risoluzione di problemi di poca importanza.

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perchè donò all'arciprete Cioffi due sue bellissime mitre, le quali sinora si conservano per memoria di quel gran soggetto, e della primeva dignità archipresbiteriale, che nelle solennità di prima classe si espongono sulla credenza, e gli altri sacri utensili.

L'anzidetto Cardinale, sendo arcivescovo di Rossano, fu in Saponara e ivi esercitò i pontificali, con tener particolar ordinazione, con licenza dell'Arciprete ordinario, che fu Camillo Cotino, e tra gli altri ordinati fu G. Francesco Danio, il quale poi fu Arciprete nel 1629, dalla nostra Chiesa , di gran sapere, che fu insignito della prima chiericale tonsura; siccome hassi dalla Bolla originale scritta a penna, che da me si conserva, del tenore seguente:

"Lucius Sanseverinus, Dei et apostolicae Sedis gratia archiep.us Rossanensis = Universis et singulis nostras praesentes litteras inspecturis, notum facimus et testamur, quod infrascripta die XXI mensis Septembris particulares ordinationes in T.ra Saponariae, Marsicen. Diocesis de expressa loci ordinarii celebrantes, dilectum nobis in Christo filium Jo. Franc. De Danio dictae T.ra a suo ordinario legitime approbatum, omnibus a jure requisitis munitum et per nos ad hoc praevie examine idoneum repartum, juxta morem S.R.E. prima clericali tonsura initiamus. In quorum fidem… Datum Saponariae XXI Septembr. 1594, pontificatus SS. in Christo Patris et Domini nostri Clementis P.P. VIII anno III. Lucius Archiep.us Rossanensis = Loco + sigilli. Alexander Dinus Secretarius."

Il vescovo Caselli non potendo soffrire tanto scorno rossore, per tener sempre agitato l'Arciprete, ottenne dalla S. Congreg. sopra i Vescovi una lettera a sè diretta per l'approvazione dei confessori, e per avvalorarla ottenne anche dalla Rota la sua autorità per modum provisionis, e con clausole preservative delle ragioni di ambedue le parti, che dicea: "litem pendentem approbationem fieri per Rev.mum Episcopum nomine S. Rotae, ita ut praejudicium aliquod alicui ex partibus minime generaretur".

4. Nuovo ricorso del Vescovo Caselli alla Sacra Rota.

Inteso ciò dall'Arciprete, sentendosene gravato, ricorse ai piedi di S. Santità, e domandò che commettesse alla Rota che ordinasse ad altro terzo Vescovo viciniore simile facoltà, pendente la lite, e per darseli fine ordinasse allo stesso Ponente Buratto, che avesse prefisso termine al vescovo ad esibire il processo e che, quello non esibito, assolvesse l'Arciprete ab impeditis per esso Vescovo, al quale di vantaggio avesse imposto perpetuo silenzio.

Piacque al Papa la seconda petizione, laonde la Rota, reviste le decisioni, che cantavano a pro dell'Arciprete, prescrisse al Vescovo il termine di due mesi a produrre il processo o che in altro caso l'Arciprete si assolvesse ab impeditis.

Il Vescovo, ciò inteso, si condusse anch'egli dal Papa e supplicollo che, ancora non esibito il processo, fosse stato inteso dalla Rota, ed avendo ciò ottenuto, per far sì che la Rota inteso l'avesse senza l'esibizione del processo, domandò termine per far tutte le diligenze possibili a poterlo rattrovare e domandò commissione per le accennate diligenze; ma denegatoseli questa petizione, ottenne la prima, col termine competente a poter fare le diligenze predette.

Trascorso il termine, non avendolo rattrovato, siccome invero non poteva, asserì non essere stato possibile rattrovarlo, e ne offerì il suo giuramento di non essere stato giammai in suo potere nè tampoco averlo veduto (e se con effetto diceva il vero, poichè stava ben conservato in mano d'altri). Laonde si attese per la decisione e spedizione d'altri motivi rilevanti, senza intender le repliche del Vescovo, siccome dirassi.

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CAP. XXII

BERARDINO CIOFFI PASSA DA QUESTA VITA. GLI SUCCEDE CLAUDIO ABBONDATI, CHE POCO SOPRAVVISSE. GLI SUCCEDE GIOVAN FRANCESCO DANIO E DALLA ROTA SI DENEGA L'UDIENZA AL VESCOVO CASELLI PER L'ESERCIZIO DELLA GIURISDIZIONE. 1. Muore Bernardino Cioffi nel 1627 e viene nominato Arciprete dalla Dataria di Roma, Claudio Abbondati (o Abundati), di Auletta, celebre avvocato, patrocinatore della Chiesa di Saponara nella causa della Giurisdizione.

Intorno a quattro anni e mezzo Berardino Cioffi goduto aveva il beneficio dei Pontificali, sulla speranza di sempre più avanzare sopra le pretenzioni del Vescovo, quando esso nel 1627 fu chiamato all'altra vita, restando vedova la Chiesa, per cui patito e non goduto aveva. Ma perchè nella sua vita, per la difesa della causa già detta si era servito del patrocinio di un celebre avvocato della Terra dell'Auletta per nome Claudio Abbondati, famoso legista, che tuttavia trattenevasi in Roma, costui, udita la morte del Cioffi, veggendo la causa della Giurisdizione a buon partito, dovendosi procurare la provvista per l'Arcipretura, e forse ad egli stesso ne fu data la premura per la spedizione delle bolle, siccome la tradizione ci fa avvisati, trattò di farla succedere per lui stesso, ed al pensiero e desiderio accoppiossi l'effetto, giacchè già ottenne dalla Dataria le Bolle ai 29 settembre 1627 e con le medesime a volo si condusse in Saponara a prendere possesso. Fu infatti l'Abbondati ricevuto molto cortesemente dal Capitolo, con tutto che non eletto da lui, a tenore della sua pretenzione di antica consuetudine, e senza nessuna ripugnanza ed ostacolo dielli in possesso, sapendolo per uomo assai dotto e che dovea ritornare in Roma per il patrocinio della causa, nella quale si camminava con passi di gigante contro il vescovo. L'Abbondati, preso il possesso e con allegrezza di aversi cinta la testa di mitra e la mano del baston vescovile (dei quali poco godè), per maggiormente assodarseli, cercò affrettar la partenza per Roma. Il Capitolo anch'egli sollecitavalo dalla parte sua, veggendo i ministri della S. Rota ben informati degli meriti della causa e propensi al compartimento della giustizia: al quale effetto consegnolli 400 scudi per le spese della lite.

Partitosi dalla Saponara, andò nella sua casa dell'Auletta, e da quella come che ricca ed opulenta n'ebbe altri seicento, che uniti alli primi furon mille: quali seco portò a Roma; siccome poi scrisse l'arciprete Angelo Cavallo nel 1626, da me letta. Anzi che di vantaggio, dopo di tre mesi , ne li furono mandati altri trecento, anche dalla sua casa, con i quali comprossi una cortina di damasco cremisi, un bacile e boccale di argento ed altre suppellettili, tanto che compariva veramente da Prelato. Dal Capitolo li furono consegnate molte scritture, di somma considerazione per la causa, per doversi presentare in Rota per la spedizione della lite. Ma che! Iddio, per suoi imperscrutabili fini, non permise che lungo tempo quella Prelatura goduta avesse il povero Abbondati; laonde, ammalatosi gravemente, se ne morì nei principi del 16291, con sommo rammarico ed interesse non meno del nostro Capitolo che della di lui causa.

1 Deve leggersi del 1627. Leggi difatti la successiva nota 3.

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Rattrovossi alla morte un suo nipote di cervello mal concio. Questi, rattrappatosi quanto denaro trovò, venduti li mobili a vil prezzo, anche delle scritture volle far guadagno, quali pure andò a vendere a bottegari; partissi da Roma, dissipando quale figliuol prodigo, tutto et quanto avea; ed in cotal fatta il nostro Capitolo fè perdita, non pur del denaro, me delle scritture più necessarie alla lite, che più li caleva.

2. Nel 1627 viene nominato Arciprete Giovan Francesco Danio2.

Morto l'Abbondati, pensò il Capitolo ad eleggere altra persona. Laonde nel marzo 16293, con solenne scrutinio e niuno discrepante, elessero il dr. Gio. Franc. Danio, uomo molto savio e nella giurisprudenza e nelle erudizioni; volendo con ciò mantenersi nella primeva consuetudine di eliggere l'arciprete. Ma niente giovolli, poichè non poteva farsi sapere che era stata tolta ed abrogata dalla 3a Regola della Cancellaria. E consecutivamente fu detto Danio aggregato alla partecipazione degli capitolari emolumenti, a guisa di ogni altro partecipante che avessse servita la chiesa; con solenne conclusione ai 14 marzo 1629; nella quale intervennero 24 sacerdoti; siccome si raccoglie dal 2° tomo delle conclusioni capitolari, ai fol. 15 e 16.

Ma la S. Sede, esercitando la sua suprema autorità per la riserva già detta, non ammettendo la elezione, ordinò il concorso nel quale si espose il Danio all'esame con altri concorrenti, tra i quali fu egli approvato in primo luogo, ed ebbe il "magis dignus", siccome egli stesso scrisse al P.Gio. Danio, Maestro dei Conventuali, suo zio sotto li 14 giugno 1629, che per non apportare molto tedio non trascrivo la lettera, nella quale diceva di vantaggio che il vescovo di Marsico fè tutto lo sforzo che nella formola della spedizione della Bolla si fosse asserito "Nullius seu Marsicen", ma che avea ottenuto si fosse scritto semplicemente "Nullius", siccome altresì ricavasi da una conclusione celebrata sotto li 27 aprile 1629 nel 2.Tomo delel conclusioni capitolari, fol.17 a tergo.

3. G. Fr. Danio per puro caso ritrova in Roma le carte processuali consegnate all’Abbondati.

Ottenute già le Bolle della Dataria sotto li 19 luglio4, ritirarsi non potè in quella stagione, ma avendo mandata la procura con la Bolla, si prese il possesso ai 18 ottobre dello stesso anno, e lui trattennesi per molto tempo in Roma, Stemma della famiglia Passerella

2 Apparteneva alla nobile famiglia Danio, ed era probabilmente fratello del celebre Giudice della Vicaria Amato Danio.

3 La data di nomina ad Arciprete da parte del Capitolo riportata dal Ramaglia è errata. Difatti la pergamena n° 38 della

Collegiata (Cfr. V. Verrastro, op. cit., pag. 251) porta la data dell‟8 Agosto 1627. Rogatario di tale atto risulta essere il Notaio Apostolico Polidoro Passarella di Saponara. Vedasi foto nella pagina (Stemma della famiglia Passarella) 4 La pergamena n° 44 del 19 Luglio 1629 (Cfr. V. Verrastro, op. cit.) contiene la nomina ad Arciprete di G. Fr. Danio da parte del

Papa Urbano VIII, anno 6° del suo Pontificato. Scrittore o Rogatario S. Manninus. Con la pergamena n° 46 del 18 Agosto 1629 il Referendario del Papa Angelo Andosilla ordina al clero di Saponara di immettere il Danio nel materiale possesso dell‟Arcipresbiterato. Rogatari: Petrus Falconettus e Ponilus Serra. Con la successiva pergamena del 18 Settembre 1629, Don Giacomo Antonio Giannone, Procuratore di G. Fr. Danio prende materialmente possesso della Collegiata di S. Antonino. Rogatario: Notaio Apostolico Polidoro Passarella di Saponara, incontrato prima.

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per accodire alla determinazione della lite ed informarsi dello stato della medesima. Tra questo tempo s'imbattè

per casualità con un figliuolo che portava certe cose commestibili comprate in bottega, dentro uno straccio di quelle scritture consegnate dal Capitolo allo Abbondati, ed interrogato il figliuuolo, ebbe notizia da qual bottega l'aveva avuto; ove condottosi, procurò aver tutte quelle scritture che erano in stato di essere, per ricavarne qualche profitto, soddisfacendo il costo di quelle.

4. Decisione della Sacra Rota di escludere il Vescovo da una ulteriore udienza, per non aver trovato gli del processo.

Non tralasciò impertanto far determinare nella Rota i motivi altre volte fatti, e far escludere il Vescovo dalla ulteriore udienza. Quindi, essendo morto Buratto, fu a quello subrogato Geronimo Verospio, qual poi fu Cardinale, e da costui si propose il dubbio in Rota, se almanco entrasse l'arbitrio di concedersi al Vescovo l'udienza, con tutto che non presentasse l'enunciato processo, giacchè per le pratiche già fatte rattrovato non si era. E la Rota decise a pro dell'Arciprete con la decisione che segue:

" R.P.D. Verospio= Nullius seu Marsicen.jurisdictionis = Veneris, 16 Februarii 1631= Proposito hodie a me dubio. An entraret arbitrium ut Episcopo Marsicen. concedenda esset audientia, etiam quod processus et acta non exhiberet, quae ab eodem Episcopo petebat Archipresbyter Saponariae? Domo persistendo in Decisis coram R.P.D. Buratto sub die 3 Julii et 20 Novembris 1617, negaverunt tali arbitrio locum esse, dum probata eorumdem jurium assistentia et interesse Archipresbyteri, illa Episcopus et omnino exhibere tenebatur, et non nisi juribus exhibitis poterat audiri, extradict. par.n. in 1.3. Id quod etiam esse de stilo huius tribunalis, dictum fuit in colonien. Canonicatus 8 Martii, 1611, coram Penia, et in Vlentina illegittimas 9 Xbris (Decembris) 1609, coram Card. Cavallerio, Dec. 82.

Et quidem tam eorumdem actorum processus et existentia, quam quod in illis jura Ecclesiae Saponariae contineantur, controvati non poterit, cum ex ipsa confessione Episcopi dicti antecessoris constaret per ipsi probatam esse immemorabilem, super exercitio jurisdictionis in dicta Terra et Oppido Saponariae Archipresbytero competentis, praeter alias probationes, quibus hoc idem decisiones confirmarunt. Existentia verum non solum probata fuit indefinite, ut satis erat dum eorum jurium custodia Episcopi intererat , Gloss. in 1. Non ignorabit, in verbo fuisse, C. ad exhib. Abb. in cap. sedem, n. 16 de rest. Spol. Rot. decis. 259, C.pp. recens. et in Roma computorum 25 Maij 1615, coram Domino meo Decano; cum in eiusdem Episcopi archivio servari et custodiri debuisset, ex praescripto S. Concilii Trident. Sess. 24 de reform. Cap.20, sed expresse de tempore motae litis, post quam litem iam in Rota introductam, attestatus fuerat Notarius Actuarius, in hoc processu, qui tunc erat in archivio, extractam a se copiam sententiae , quae inter archipresbyterum et Curiam episcopalem Marsicen. tulerat Vicarius Parisius, ab eodem Episcopo judex in causa deputatus. Haec vero, et alia et quibus, et interesse presbyteri, eo quod hodie culpa, et facto Episcopi, haec acta et probationes ecclesiae Saponariae deficerent firmavit Rota, non tollebantur, ut liberare poterat ab ea necessitate exhibitionis, Episcopum, quod eadem acta desierint esse in archivio, facto antecessoris, cuius non debet ipse dici successor, dum expresse ad eiusdem Episcopi antecessoris haeredem hunc processum pervenisse constat. Quia tam eadem causam quae tunc pendebat in Rota, inter Episcopum Parisium defunctum et archipresbyterum prosequatur modernus Episcopus Marsicen. neque non diversum censetur judicium restitutionis in integrum quam

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adversus sententiam et rem judicatam obtinuit Archipresbyter, et in cuius gradu pendet hodie causa (1.dives.ff.de rest.in integr.; p.p.p.1 art.3, n.53); eodem modo obstat haec exceptio successori in quem transit instantia et qui eadem causam prosequendo, omnia acta fecit propria, sicut adesset antecessori si viveret. Cap. dilecti si form. comp. Gloss. in extrac. suscept. in verb. vacantium ….

Imo cum acta et processus ad manus Caesaris nepotis Episcopi defuncti dicebantur devenisse, non probarentur originalia, sed tantum copiae, cum non nisi copiam processus, conscripta ad procuratorem epistula, Episcopum petierit eundem processum ed Urbem trasmissum , Cardinalis Sanseverinus Archiepiscopus Salernitanus copiam esse dixerit, et hoc idem deposuerunt ipsemet procurator Episcopi et multi testes, licet eandem copiam dixerint esse autenticam, eo magis intrabat haec necessitas exhibitionis, quod aut processus, quem Episcopus siti in Urbe a procuratore reddi curavit, et deinde haeredi reliquit, non probatur originalis, et cum in archivio, ut dictum est debeat esse originalis, satis est ut ipse Episcopus compellere possit archivistam, ut eumdem processum exhibeat: ad hoc ut necessitasdictur esse eiusdem episcopi, Card. Seraph. dec.1224, n.3, Rota in Dennen. Jurisdictionis 22 maij 1622, coram Card. Cavallerio et coram Ludovisio dec. 129, n.9.

Aut vero processus quae haeredi reliquit idem fuit qui erat in archivio, et cum facto, et culpa episcopi defuncti, non possit archipresbyter jura suae ecclesiae quae in illo continebantur, hodie deducere, eadem censetur persona successoris in dignitate, ac persona defuncti. Gl., in cap.ac decessus, in verb.successorem, de immun. Eccles.

Et hoc etiam nomine debet idem successor condemanri, quod in illis actis et processu comparetur plene fundatas fuisse intentiones alterius prelati, et ecclesiae cuius jura facto antecessoris perientunt (Card. Zabar, in cap.pervenit, n.2…).

Cum de continentia privilegium aliter constare non posset, procedi debet perinde ac si plene continerent; prout pars allegabat, non ex capite, ut ecclesia puniatur ex delicto praelati, sed quia praesumptio est, quod sic dictarent pruvilegia. Et ex his neque prodesse poterat Episcopo diligentia quas in perquirendo hoc processu dicebat, se fuisse in proprio archivio; praesertim cum intentium quo idem archivium deflagravit, perire et absumi poterit, quia cum anno 1577 ex attestatione notarii, ut dicebam, constet hunc eudem processum fuise in archivio, non concludebatur ex incendio, quod contigit anno 1575, caus omissionis, ut formiter probari debuisset. = Baronius in 1. Si quis ex argentariis, & an haec haeredi, n. 4, ff. de Aeden…

Et juramentum Episcopi quod hodie penes se, aut in suo archivio acta non sit, neque satis esse potest, tum quia in re gravi et in quajus omne alicuis partis continetur, non statur alterius juramento, etiam quod de fide personae, quae juratura est, dubitari non possit. Gl.in 1. cum quid, verb.sagramentum, cap.de fide.

Tum quid propter necessitatem curae et custodiae publicarum scripturarum, quae defuncto Episcopo incubebant, de jure praesumitur ut omnes devenerint ad successorem = Gl. in cap.ita si Ep.um, in verbo reddantur, 16.q.6.Muoch.etc.etc. contra quam juris praesumptionem neque juramento locum esse debeat. Bart.1.inter omnes, &recte, n.3, vers.nec obstant, ff.de furt.etc.etc. Alex.in 1.1 = Mnoch, 1.1 = Card.Seraph; dec.1224, n.2 Et ita…

Il Vescovo Caselli, escluso affatto dall'essere inteso nella causa della giurisdizione rotale descritta, conoscendo

aver poca ragione, non molestò più l'arciprete Danio, ma acchetandosi all'intutto, feceli godere la giurisdizione omnimoda di prelato, con l'uso dellla mitra e bacolo in tutto il territorio della Saponara.

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CAP. XXIII

SI NARRA LA CONSUETUDINE ANTICA DEGLI CANONICI DEL NOSTRO COLLEGIO ED IN CHE MODO VENGONO INVESTITI SENZA LE BOLLE.

1. Quando uno dei 12 Canonici moriva, subentrava il prete semplice più anziano senza convalida speciale di Bolla.

Perchè in molti luoghi più dietro e precisamente nella concessione degli pontificali si è fatta menzione degli Canonici e loro prebende, conviene far piccola digressione e narrare la loro promozione o sia sub-entranza, giacchè non vengono investiti con Bolle, ma in luogo del defunto subentra il prete semplice più anziano, usanza che in rare chiese si rattrova.

Devesi dunque sapere che la nostra Collegiata, non pure da tempo immemorabile che antichissimo, ha avuto i suoi canonici, in numero di dodici, coll'insegna dell'Almuzio, di color violetto, siccome si dirà avanti in altro luogo, li quali un tempo vivevano collegialmente, in una casa destinata per tutti, siccome ricavasi da una memoria che ho rattrovata, di carattere del riferito D. Gio.Franc. Danio, di uno istromento per mano di Nr. Golielmo Sinisgallo, di Montemurro, sotto il dì ultimo di Novembre 1406, in tempo era arciprete D. Gio. Greco, il quale dice così:

"Johannis Venerabilis Terrae Armenti permutat domum beneficii et ecclesiae S.Laverii T.rae Saponariae, sitam intus terram praedictam et proprie in convicino S.Antonini ecclesiae maioris eiusdem terrae; quae domus dicebatur "La Canonica", cum Magistro Petro Benincasa pro tribus unciis etc."

Qualcosa alcuni hanno voluto siano le case che abitava l'arciprete mitrato accanto la Collegiata, quali oggi sono del monistero di S. Croce; altri han voluto che fusse quella casa, pur vicina alla Collegiata, che fu delli Toscano, vicino quella dell'arciprete Danio Cotino, sotto il Fondaco del Monte dei Morti di M.ro Carlo di Fiore. Questi canonici giammai sono stati provvisti del canonicato della S.Sede o dagli Ordinari del luogo con Bulle, ma sempre in tempo di vacanza, o per morte avvenuta o per altra causa, è subentrato per modo ed a guisa di successione il prete semplice più anziano degli otto partecipanti, che vi sono della messa comune, che uniti alli canonici sono venti, oltre dell'arciprete, quali canonici hanno la loro prebenda distinta e separata dagli altri partecipanti, siccome dirassi in altro luogo. Il jus di conferire il canonicato e le sue insegne spetta allo stesso Collegio e all'Arciprete, siccome consta dagli antichi sinodi arcipretali di sopra trascritti, e da certi atti fabbricati nel tempo del suddetto mons.Danio, rattrovati nel Collegio seu suo archivio, che per maggior soddisfazione del lettore non tralascio trascrivere.

"Supplica del prete semplice che deve subentrare =

2. Documenti dell’Archivio della Collegiata che convalidano questa antica usanza. "Molto Ill.mo Sig.e e Padrone = Servo oss/mo.

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D. Fabritio Giliberto , servo humilissimo suddito della S.V. Rev.ma, supplicandola di faintendere come, essendo passato da questa miglior vita il R.° canon. D. Marzio Vitetta, uno delli dodici Canonici della Collegiata della Chiesa di questa città della Saponara, per la cui morte vaca il loco et canonicato suo; et toccando al suplicante succedere al detto canonicato per essere sacerdote di detta Collegiata Chiesa di S. Antonino di detta città più maggiore, conforme l'antico solito ed osservanza che l'uno soccede all'altro; pertanto la supplica resti servita ammetterlo al canonicato ed investirlo a luogo, parte e porzione ed a tutte le altre sue ragioni, oltre che è di giustizia, il tutto lo riputerà a grazia di V.S.Ill.ma e molto R.ma ut Deus etc.

<Jesus- De expositis capiatur summaria informatio et testes habeantur pro citatis, ad finem providendi , et ita quod hoc

suum etc. = Io.F.D.Archipresbyter et Ordinarius Sapon. Provisum Saponariae die 30 Augusto 1636. = Ita est. Passarella Not.>

"Eodem die 30 mensis augusti 1636 = Saponariae = Admod. Rev.Can.D.Tiberius de Tuccio, civitatis Saponariae praedictae, aetatis suae annorum 60, vel circa, ut dixit, et eius

aspectu apparet, testis summarius productus, delato sibi juramento veritatis dicendae, prout latis scripturis juravit, interrogatus et examinatus super praesenti informatione, causa, facto et tenore retroscriptae supplicationis, et opportunas sibi factas interrogationes: - R.to Io testimonio come sacerdote e canonico vecchio della Collegiata Chiesa di S. Antonino di questa città, so molto bene che da che mi so conoscere, fra li sacerdoti di detta collegiata, vi ni sono dodeci li più vecchi ed antiquiori sacerdoti di detta collegiata, che sono chiamati canonici e pertanto il segno canonicale sopra la cotta color turchino, ed hanno prebenda e porzione maggiore e separate dalli altri sacerdoti, così delli annui censi come li certi territori chiamati censi e territori di S. Giuliano, e vi è antica osservanza fra detti sacerdoti e can. di detta Collegiata che quando more qualcuno delli detti RR. canonici lo prete e sacerdote più vecchio et antiquo alli altri sacerdoti soccede al d.o canonicato, e porzione seu prebenda, e li tocca il duodecimo loco tra i detti RR.canon., mancando in detta Collegiata chiesa quel can. che more, et essendo passato da questa presente vita, ieri 29 il rev.mo can. D. Marzio Videtta, uno dei suddetti dodeci can., ed essendo lo più vecchio ed antiquo sacerdote il rev. D.Fabritio Giliberto di detta colleg. Chiesa, a detto D.Fabrizio spetta et tocca soccedere al detto canonicato di d.° rev.can. D. Martio, alla parte e porzione et a tutte ragioni di d.°can. D.Martio et havere lo duodecimo loco in d.a Collegiata Chiesa, fra li detti RR.canon., conforme l'antica consuetudine et osservanza, osservata sempre e che si osserva sempre in essa collegiata, fra detti RR.can. e sacerdoti quando soccede questi et altri simili fatti; e questa è la verità e questo posso deponere in testim.°

Inter.de causa scientiae dixit quod scit, quia vidit, interfuit et audivit ut supra; De loco et tempore d.a vera.= inter. De contestibus dixit: Questa è cosa notoria a tutti; che però ognuno, tanto delli predetti RR.canon. e preti lo ponno deponere, quanto altre persone di questa città stessa, et in particolare il rev.can. D.Gio Marco La Porta, il rev.can.D. Gio.Camillo Manziero, il rev. can. D.Annibale Giannone et altri etc. = Io can. D.Tiberio Tuccio ho deposto ut supra.

Eodem die ibidem etc. = Admodum rev. can.D.Io. Camillus Manserius civitatis Saponariae, aetatis suae annorum

60, vel circa, ut dixit, vel eius aspectu apparet, testis productus, interventus et examinatus, cum juramento prout factis

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scripturis, juravit super tenore retroscriptae supplicationis praesentatae per rev. mum D.Fabritium Gilibertum, et ad opportunas sibi factas interrogationes:

Rest.° so io testimonio per tempo antiquo, et per quanto mi posso recordare per essere io sacerdote et can.vecchio della colleg. chiesa di S.Anton. di questa città della Saponara, che in detta colleg. chiesa, tra il numero dei RR.Sacerdoti , che sono in quella, vi è un numero di dodeci che sono chiamati canonici, quali portano il segno canonicale torchino, quando vestono, sopra la cotta, alla celebrazione dei divini offici, et hanno parte separata più delli altri rev. sacerdoti, così di annui censi seu entrate, così di territori, chiamati li censi e territori di S. Giuliano; et vi è stata et vi è antiquissima consuetudine et osservanza in detta colleg. Chiesa, che qunado more et passa da questa a meglior vita alcuno delli detti rev.canon., primo sacerdote e prete che li seguita appresso, lo più antiquo e maggiore in grado alli altri sacerdoti, soccede al detto canonicato del canon. che more alla sua parte e porzione et a tutte altre sue ragioni, e li tocca lo duodecimo luogo in detta colleg.dei detti rev.can.; et essendo passato da questa presente ad altra miglior vita il rev. Can. D. Marzio Videtta, di detta città, uno dei suddetti rev. canon., et essendo fra li detti rev.sacerdoti lo più antiquo e maggiore sacerdote delli altri il rev. D.Fabrizio Giliberto della stessa città, al detto rev. D. Fabrizio tocca et spetta socceder al suddetto canonicato di detto rev.can. D. Marzio, et a tutte sue ragioni, parte e porzione, et li tocca e spetta lo duodecimo luoco nella suddetta collegiata chiesa, fra detto numero dei dodeci rev.can., per difetto e mancamento di d.° rev.can. D.Marzio defonto: e quanto è questo so e posso deponere io testimonio per essere questa di tal modo consuetudine antiquissima, così osservata e che si osserva nella detta collegiata dai detti rev. can. e sacerdoti, quando soccedono questi e simili casi.

De causa scientiae iter.dixit quod scit quia vidit, interfuit et audivit ut supra. De loco et tempore dixit ut supra = De contestibus interrog.: questa è cosa notoria che però li predetti rev.can. e sacerd. di detta chiesa collegiata le

ponno deponere, et in particolare il rev. can. D. Tiberio di Tuccio, rev.can. D. Franc. Giannone, il rev.can. D.Tullio de Danio, et altri.

Io can. D.Gio.Camillo Manzieri ò disposto ut supra." "Donno Fabritio Giliberto, stante la soprascritta informatione pigliata sopra il tenore della sua supplica, per la

quale costa quello si è supplicato, fa istanza essere ammesso e investito del canonicato, conforme negli atti, con tutte sue ragioni, e così dice e fa istanza non solo in questo modo megliore etc.

" = Jesus = in causa petitionis factae per rev. mum D. Fabritium Gilibertum, presbyterum seniorem in Collegio S.Antonini huius civitatis Saponariae, pro admissione ad canonicatum, in ipsa collegiata ecclesia, vacantem per obitum Rev. D. Can. D. Martii Videtta, secundum antiquam et semper servatam consuetudinem dictae ecclesiae, et eius collegii et aliis, ut ex actis.

Archipresbyteratus curia jam dictae civitatis et eius D.Archipr. et Ordinarius, visis actis e testium depositionibus, consideratisque considerandis, providendo decernit ipsum D.Rev. Fabritium fore et esse admittendum in locum et canonicatum vacantem, ob obitum ipsius can.de Videtta, et proinde ei assignandum sthallum in choro superiori dictae ecclesiae et portionem seu prebendam quam ipse de Videtta obtinebat, cum viveret, signumque canonicale, cum omnibus praerogativis, honoribus et emolumentis, quibus coeteri can. eiusdem ecclesiae consueverunt potiri, frui et gaudere, ac potiuntur, fruunt et gaudent tam de jure quam de consuetudine, prout admittitur et adsignatur, et uti talem

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a reliquis canonicis et coeteris presbyteris dictae ecclesiae, dicti collegii et aliis quibuscumque recipi, haberi tractari et reputari mandatur, hoc suum etc. = F.F. D. Archipresb. Et Ordinarius Saponariae. Provisum Saponariae die trigesimo mensis augusti 1636. C.D.D.

Ita est D.Plidorus Passarella Notarius Apostolicus Cancellarius S. ="

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CAP. XXIV

IL VESCOVO DI POTENZA, FORSE COLLEGATO CON QUELLO DI MARSICO, TRAVAGLIO' L'ARCIPRETE DANIO CON SOPRETTIZIA COMMISSIONE, SOTTO ZELO DI VISITA CON ALTRE COSE NOTABILI DELLA CONTESSA GESUALDO.

1. Il Vescovo di Potenza Geronimo chiede alla Sacra Congregazione di visitare la Chiesa di Saponara per ordinare alcuni sacerdoti. Gli viene negato il permesso e al suo posto viene designato il Vescovo di Capaccio.

Nel mentre che stavasi godendo la quiete, e l'Arciprete Mons. Danio stavasi nella pacifica possessione della omnimoda giurisdizione, sollevando la nostra povera chiesa travagliata per i trasandati tempi da continove liti e vessazioni de' Vescovi marsicani, agli quali la S. Rota denegato aveva la udienza e pareva cominciava a respirare con augmento notabile non pure spirituale, ma temporale di tutto il popolo, ecco che di bel nuovo si videro più fieri assalti, più gravi disturbi e tempeste più procellose, avvegnachè mons. Vescovo di Potenza, non si sa come e da quale spirito commoso, se istigato dal vescovo di marsico Caselli o dal proprio capriccio, ai 22 ottobre 1638, fè porgere supplica nella Sacra Congregazione dei Vescovi, esponendo, senza verun fondamento e sossistenza, che la Saponara da 30 anni e più non era stata visitata, che egli era il viciniore ed era in possesso di ordinare i di lei preti e domandò delegazione a poter ciò eseguire. Ma rattrovandosi tra que' eminentissimi cardinali della Congregaz. persona informata dello stato di nostra chiesa, non solo che li fu denegata tal commessa, ma decretata ad Episcopum Caputaquensem (di Capaccio) sine prejudicio e con somma ragione, poichè il vescovo di Capaccio è della stessa provincia salernitana, nella quale è la Saponara e quel di Potenza e di Matera.

La città della Sala, per lo più residenza dei vescovi di Capaccio, è distante dalla Saponara non più di venti miglia, e Potenza più di 28, la diocesi di Capaccio si estende nella terra di Montesano, la quale confina col territorio con quello della Saponara, e per andare a Potenza è d'uopo tragittare altre diocesi, com'era quella di Marsico e Matera. E per non tralasciar cosa che possa desiderarsi delle quali pervenuta ne sia la notizia e documento nelle mie mani, qui trascriverò la supplica e commissione già dette.

"E.mi et Re.mi Sigg.i = Il Vescovo di Potenza espone alle Em.ze Vostre come la terra di Saponara (nullius

Dioecesis) sono più di trent'anni che non è stata visitata, ed esso Oratore è il più vicino e stà in possessione di ordinare li preti di quella Terra. Quando si degnino di commettere a lui, farà il servizio di Dio."=

"Ad Episcopum Caputaquensem, sine praejudicio. "Ill.mo e Rev. mo Sig.e e come fratello, Considerando questa S. Congreg. che la Terra della Saponara, nullius diocesis, possa aver bisogno di quelli

aggiunti e benefizi spirituali che non posson riceversi da altra mano che da quella dei Vescovi, fu stimato mandare colà un delegato apostolico, affinchè visiti la chiesa ed amministri il sacramento della confirmatione e faccia quelle funzioni che sono solite dai pastori di anime e dai vescovi verso le chiese a sè commesse. La vicinananza della chiesa

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a persona della V.S. a quel luogo indusse l'animo di questi Em.i miei Sig.i ad addossarli questo peso. Lo fanno però con dichiarazione tale che non s'intendano mai per alcun tempo di darli raggion (benchè minima) sopra di essi, nè di privare il clero della Sapoara di quel jus che li potrebbe competere e della solita libertà. Ha costume in simili casi questo tribunale di recordare ai Vescovi la pietà con la carità et il zelo pastorale, purchè nell'andare nella suddetta funzione non gravi il clero e il popolo di spese, nè li stanchi con la lunga dimora, ma cerchi con sollecitudine sbrigarsi, senza lasciar però quello è necessario. Potrà V.S. servirsi della facoltà e dell'avviso, e dar parte a questa S. Congreg. dell'oprato, e passandoli per le mani materia grave, avvisarlo per aspettare i sensi di essa. Tanto dunque dovrà eseguire e Dio la conservi.

Roma, 26 nov. 1638 = Come fratello = Il Cardinal di S. Onofrio = C. Facchinetti =".

2. Per mero errore la lettera d’incarico viene spedita al Vescovo di Potenza.

Or quantunque per le cose già dette, non doveasi presupporre mutazione in quel S. Tribunale contro del decreto, con evidenti e sode ragioni, che non permettevano darsi quel carico ad una persona che la richiedeva, ad ogni modo, non si sa come, trovossi spedita la commessa in testa del già detto vescovo di Potenza, caggione di tanti disturbi e imbarazzi, come dirassi.

Gonfio pertanto il sudd.° vescovo di aver ottenuto quanto egli bramava, con precipitosa solecitudine spedì editto per la visita che fare intendea nella Saponara, al quale effetto mandò il suo Vicario generale , a ciò che con puntualità avesse fatto notificarlo e affiggerlo, del seg.tenore, benchè tralascio di replicare il tenore della lettera già trascritta:

"Ideo ut mandatis S. Congreg. obediam, dictam visitationem nobis ut supra delegatam, Nos die sabbati prima Januarii 1639, operam et initium dabimus, in eccclesia majori Collegiatae S. Antonini dictae Terrae Saponariae, et successive in aliis ecclesiis et monasteriis monialium, ex apostolica delegatione, locorum piorum, confraternitatum, personarum, ospitalium, Montium Pietatis, beneficia curata et non curata semplicia, saecularia, regularia, quovis modo commendata, Oratoria, altaria et omnia alia loca pia, juxta forman Sacri Conc.Trid. etiam per laicos regi solita; haec omnia et singula visitabimus, et ne quemquam imparatum reperiamus, et minime ignorantiae locus detur, consonum esse diximus, hoc nostro publico Edicto, omnes et singulos e certiores facere, atque hanc animi nostri sententiam intimare.

Propterea citentur omnes suprascripti ecclesiastici ad residentum in dicta Collegiata Ecclesia S. Antonini, et in aliis quamcumque sunt, et ostendendum omnes, et quascumque Bullas, tam suorum ordinum quam beneficiorum eorumque personas beneficia et officia dictae visitationi submittendum, rationes sive computa reddendum, inventarium omnium bonorum, mobilium et immobilium, et scripturas praesentandi et respectiva capitula et statuta, costitutiones, et onera obligationum, quae eis imposita sunt ostendendum, sub poenis privationis dictorum beneficiorum et dictorum ordinum, suspensionis, depositionis et aliis poenis per nos declarandis, infligendis, applicandis, quibuscumque in contrarium facientibus, non obstantibus.

Datum Potentiae hac die vigesima quinta m.s Xbris 1638. Hieronymus Episcopus Potentinus = Delegt. Apostol. et Vir.le"

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3. Notifica dell’editto di visita da parte del Vicario generale ed impugnazione da parte della Chiesa di Saponara.

Gionto il Vicario generale alla Saponara il 27 dicembre, notificò il suddetto editto all'Arciprete e Collegio tutto, i quali,osservando che era eccedente i limiti della delegatione e che loro apportava sommo pregiudizio, sotto li 28 del sudd.° mese, con atto pubblico stipulato per mano del Not. G.B. Padula della Saponara, si protestarono ed appellarono; nel qual atto tra le altre parole leggonsi le seguenti: "Quo audito, lecto et publicato, N.D.R. Archipresbyter et praedicti alii rev.Canon.et Presb. etc. ad infrascripta verba protestativa, requisitoria et declaratoria prorumperunt. In oppido civitate nuncupato de Saponaria, adest D. Archipresb. Et Ordinarius loci, actu exercens omnimodam jurisdictionem etiam quasi episcopalem, et tam ecclesiam collegiatam quam alias, monasteria et loca pia, presbyteros et personas eclesiasticas totumque populum visitat anno quolibet, quin etiam diebus singulis, cum sine interpellatione resideat, uti visitator ordinarius et infra. Et cum in litteris edictalibus D. Episcopi contineantur spectantia ad ordinariam visitationem et ipsius ordinarii visitationem et jurisdictionem, ne semel visitata ab uno, iterum ab alio eadem visitentur in praejudicium ordinariae jurisdictionis, praelati, gravamina subditorum; sentientes a dictis litteris edictalibus, eccedentibus finem delegationis, gravatos et timentes in futurum magis laedi et gravari, a praedictis illatis et inferendis, appellant, recusant, de expensis etc.".

Il Vicario generale, vedendosi notificato quell'atto di protesta, recusazione ed appellazione, disse ai rev.

Capitolari: "Se volete impedire la visita, andate da Mons.Vescovo di Potenza". Ma fulli replicato dall'arcipr.e Capit. Con queste parole:"Essi non intendono impedire la visita, nè uscire li termini della lettera della S. Congregazione, alla quale e circa le cose che in quella si contengono sono sempre prontissimi obbedire, ed al di più che essa S. Congr. resterà servita ordinare e comandare, atteso tutto quello che si è detto, e per zelo della conservazione della giurisdizione di detto Capitolo e Collegiata, difesa per tanto tempo con sudori di sangue".

Il Vicario, non ostante questi contrasti e proteste, attese alla sua incumbenza ed officio ed affisse l'editto, nel quale atto replicossi altra protesta per atto pubblico, nel quale tra le altre parole si disse:

"Ob reverentiam S. Congreg., cuius litterae in ipso inseruntur, affixionem praedictam non impediunt et ipsum edictum de facto non defigunt, sed cum omni submissione pro conservatione jurium eorum ad affixione praedicta iterum et de novo appellant ad eumdem SS. amque Sedem."

Ma replicando il Vicario: " Io sono mero esecutore; con monsignore l'avete da vedere, al medesimo darò l'avviso", pensossi mandarlo a rattrovare e richiederlo e pregarlo a non mettere in esecuzione suo volere, e mandossi procuratore speciale, con Notaro, per stipularne atto pubblico. Volle però l'Arcipr. con una lettera umile pregare ......... non venire alle strette con la protesta, nella forma che siegue, responsiva pure alla lettera del vescovo:

"Ill.mo e Rev.mo Sig.e Padr. = servitore oss.mo A quanto V.S. Ill.ma mi scrive, et il sig. Vicario a suo nome mi tratta, dico che, come ricevo a singolare favore che

la S. Congr. provveda a questo mio popolo di quei benefizi spirituali che da altra mano che di Vescovo non ponno ricevere, così mi sento con questo mio Capitolo gravato da alcuni capi dell'editto da V.S. Ill.ma mandato ad

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affiggere, eccedenti le facoltà concesseli da quelli Em.i Sig.i, et toccantino della visita di ordinario, di che da me, che lo sono di questa chiesa, non se li manca ne li debiti tempi; onde da quelli si è appellato, ed anche per alcune giuste cause mandate già a proporre nella medesima S.C. la persona di V.S.Ill.ma si è allegata sospetta, si sta attendendo l'ordine ed il senso di quelli Em.i sigg., ai quali si obbedirà con gran riverenza e puntualità. Intanto supplico V.S. Ill.ma a procedere con quella maturità e prudenza che si deve e spera da par suo, per evitare gl'inconvenienti possono nascere da passi precipitati, mentre qui non si tratta d'altro che di gelosia di giurisdizione; si domanda e si aspetta il senso dei padroni, per non partire da quello, ma puntualmente eseguirlo; e nel resto poi ed io ed il mio Capitolo e tutto questo popolo sono per servire V.S. Ill.ma in ogni occasione, e qui con ogni affetto li fo umilissima riverenza, et inclinato bacio le falde.

Saponara, 28 Xbre 1638. Di V.S. Ill.ma e Rev.ma Dev.mo servitore Gio. Franc.° Arciprete della Saponara". Presentata la lettera, il Notaro, veggendo che da quella non ricavavasi frutto, stipulò con atto pubblico la protesta

ed appellazione; e fra le altre cose che si dissero dal procuratore furono le seguenti: "... Che perciò con tutto questo scritto etc. vi requiremo, Ill.mo Sig.e, che in modo alcuno vogliate alterare la

vostra commissione, e più di quello che dite e che non intendono di farsi pregiudizio alcuno alle loro ragioni, azioni e jurisdizione totale che hanno in detta città, nella quale stanno in pacifica possessione, e con sudori di sangue si hanno racquistata, et iterum et de novo appellant e tanto della gravezza contenuta nei capi di detto editto contro la forma della lettera della S. Congreg. e mente delli e.mi Sigg., quanto per l'affissione dell'editto pred. fatta dopo l'interposizione dell'appellazione pred.a".

Stipulato già l'atto come sopra, il notaro con gli altri invitati se ne ritornarono mal soddisfatti della volontà di quel prelato, ch'era già in viaggio e che quello stesso giorno giongeva nella Saponara. Laonde, riferito il tutto all'Arciprete, questi fè pubblicare un editto il giorno di S. Silvestro ai 31 Xbre 1638, del seguente tenore:

"Gio. Franc. Danio, Arcipr. et Ordinario di Saponara, al Rev. Clero, Ecclesiastici e Mag.co Popolo di quella, salute nel Signore.

Carissimi e dilettissimi nel Signore. E' noto a tutti voi come, essendosi l'altro ieri conferito in questa città il Rev.mo Vic.gen.di mons. Vescovo di Potenza per notificare ed affiggere editto di visita, ad esso Ill.mo (per quanto dice) delegata dalla S.Congr., visto, letto e considerato l'editto per quanto arriva la nostra capacità, per non errare, si pigliò parere dai RR. del Capitolo e da tutti i dottori e savi, che si potevano avere in fatto repentino che non pativa dilazione, e col voto di tutti, in presenza dello stesso sig. Vicario, parve (oltre quello si dubitava intorno la lettera) che nell'editto si accedesse la facoltà concessali in pregiudizio dell'ordinaria giurisdizione di questa città e nostra. Onde si appellò alla S.Sede; inferita ed inferendo da questo gravame quelli altri che potevano succedere durante la visita quando a quella si fosse consentito, in tal modo e per altre giuste cause che per modestia si tace, si ricusò la persona di V.S.Ill.ma mediante atto pubblico; quale non ostante, si fè dal Vicario affiggere l'editto, da quale affissione pure si appellò,

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ma per riverenza del Sacro Tribunale non s'impedì. Si diede dopo questo subito parte a esso Ill.mo insino a Potenza del senso comune intorno a questo fatto per lettera n.ra e si pregò a procedere con quella maturità si sperava da par suo, acciò dalli atti precipitosi non nascesse qualche inconveniente. Se li mandò per pubblico notaro, a quello commettendo che, non facendo effetto buono la nostra lettera, per indennità de le ragioni di detta chiesa, notificasse ad esso Ill.mo per pubblico atto le nostre pretentioni, appellationi e recusationi (come in effetto si seguì). E perchè, non ostante tutte le cose suddette, col ritorno del notaro ed altri mandati si ha la certezza che più precipitoso che mai, è già per strada ed oggi sarà qua, volendo provvedere per quanto alli disordini in simili controversie sogliono occorrere, ammonemo et ordinamo a tutti li RR. preti ed ecclesiastici soggetti alla nostra giurisdizione che attendano quietamente al servizio della loro chiesa, e nel rimanente si stiano ritirati, nè s'inferiscano in atto alcuno che sia per farsi da esso Ill.mo, perturbando esso Sig.e o suoi ministri, bastando costituir procuratore per far li atti legittimi ai consegni delli avvocati, senza che in alcun modo si dia impedimento de fatto, per riverenza del sacro Tribunale e rispetto alla dignità vescovile e di sua persona, che di tanto Tribunale si chiama ministro, sotto la pena di santa obbedienza ed altre di nostro arbitrio, secondo la gravezza dell'eccesso, oltre le stabilite dai sacri Canoni e costituzioni, esortando il popolo tutto a far l'istesso senza disordine e perturbazione, recorrendo tutti a Dio benedetto per il suo divino aiuto, quale preghiamo con ogni affetto li benedica dal Cielo. Et a ciò questa nostra volontà sia nota a ciascuno, volemo che il presente si pubblichi questa mattina, nella nostra Collegiata, fra la solennità della Messa, secondo il solito dal maestro di cerimonie di quella e si faccia relatione. Saponara, 31 Xbre 1638. C. Franc. Danio, Arcipr.et Ordin. di Saponara. Loco sigilli."

"Io D. Giovanni Cassini, maestro di cerimonie della Collegiata chiesa ho pubblicato il soprascritto ordine e monitione in detta chiesa Collegiata, fra la solennità della messa questa mattina 31 Xbre 1638, presente il clero e popolo in molta quantità. In fede etc. Io D. Ant.Cassino come di sopra manu prop.a Adest authentica extracta per manus D. Franc. Ant.de Laurea, Notarii apostolici."

4. Il Vescovo di Potenza giunge in Saponara ma gli viene negata la visita dall’Arciprete. Per la qual cosa lancia scomunica ed interdetto contro il Clero e il popolo del paese.

Giunse con effetto lo stesso giorno il vescovo di Potenza nella Saponara ed andò ad albergare nel Convento dei Padri conventuali di S. Francesco, ed ivi rinnovvossi l'atto protestativo di appellazione e recusazione, con esprimersi le cause ed elezione degli arbitri, giusta il tenore e permesso dei sacri Canoni, nel qual atto leggonsi le seguenti parole:

"Cum omni reverentia et animi alacritate prompti spirituale beneficium eis missum a dictis E.mis, et eorum in omnibus obedire mandatis, sententias tamen se gravatos ab edicto praedicto in capitibus excedentibus facultatem ei a S. Congreg. attributam, ab ipso edicto et eius excessu apellant."

A primo gennaio 1639 il Vescovo spedì citazione per editto all'Arciprete e preti perchè fossero andati processionalmente a riceverlo colla croce ed altre solennità per cominciar la visita, giusta la forma dell'editto. E da questa citazione anche si appellò come sopra. A due gennaio spedì altra citazione consimile alla prima, e parimenti fu appellato. Nello stesso giorno spedì citazione contro il popolo, sotto pena d'interdetto, perchè l'avesse ricevuto

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come delegato Apostolico della S. Congreg., e pure da questa si appellò. Non ostanti tutte queste anzidette proteste ed appellazioni, il Vescovo, per vincere l'intrapreso impegno di visitare a suo modo, e non per vero zelo di padre spirituale e buon pastore, volendo con frodi e con inganni metter la falce nella messe altrui, per vindicarsi dell'affronto ricevuto, ai 3 gennaio spedì e fece affiggere i cedoloni declaratori di essere gli ecclesiastici incorsi nella scomunica ed il popolo nell'interdetto generale, locale e personale, per causa di non aver voluto riceverlo. E da questi parimenti si appellò. Non contento il Vescovo di aver proceduto ai cedoloni, siccome si è divisato , per far che l' arciprete anche corporalmente castigato fusse, dovendo egli far relazione nella S. Congreg. di quanto li era succeduto, e di non essere stato ricevuto da menoma persona, volle far comparire aggravata di ammannimento ed armamento di gente, minacce ed altre irriverenze non convenevoli alla di lui persona, al qual effetto formò rigorosa informazione, esaminando dodeci persone e più, gente quantunque di vari paesi, erano però, a riserva di due, di casata Severino, uno chiamato Agostino, l'altro Antonio, che dissero, o pur fè comparire essere della Saponara, locchè era falso, tutte sue diocesane e suddite di Potenza, del Tito e d'Avigliano e di vantaggio suoi famigliari, caricando con tale informo che l'arciprete fè armare gente per impedire la visita e si fossero le medesime fatte vedere nell'arrivo del Vescovo stesso, che per tre giorni che il vescovo dimorò nella Saponara e nel suddetto convento, avesse fatto suonar tamburro ad uso di milizia, per allestire e per fare stare all'ordine la gente atta all'armi per atterrirlo; che facea con detta gente custodire le porte affinchè non fosse entrato a visitare; che i cursori che affiggevano i cedoloni fossero stati battuti; che pubblicamente diceasi dagli ecclesiastici e secolari che faceano poco conto della scomunica; che l'Arciprete voleva corrompere il Vescovo con cento scudi perchè non avesse intrapresa la visita

Ferdinando o Ferrante Sanseverino, marito di Isabella Gesualdo.

personale; ed altre cose di tal fatte, tutte veramente diaboliche e con impostura inventate per far cadere il povero Arciprete dal suo posto, come capo da cui ogni membro aveva il suo moto. 7. Supplica di esenzione dalla scomunica vescovile da parte della Contessa di Saponara Isabella Gesualdo.

Rattrovavasi in questa nostra città della Saponara la ill.ma Signora Donna Isabela Gesualdo, contessa della detta città1, per esser moglie di D. Ferdinando Sanseverino conte della Saponara, madre di quel santo e dottissimo vescovo D. Luiggi Sanseverino, di cui faremo lungo discorso in altro luogo e nel seguente capitolo.

1 Isabella Gesualdo era figlia del Principe di Venosa Fabrizio Gesualdo (fratello del Cardinale Alfonso Gesualdo e del famoso

musicista Gesualdo da Venosa) e di Girolama Borromeo, sorella dell‟Arcivescovo di Milano San Carlo Borromeo. Rimasta vedova in giovane età di Alfonso Guevara, Conte di Potenza, sposò il consanguineo Ferdinando Sanseverino (o Ferrante), Conte di Saponara e figlio di Giovanni Giacomo IV (Vedasi foto nella pagina), nel 1587, da cui ebbe sei figli. Il primo Luigi, di cui parleremo appresso, divenne Principe di Bisignano. Donna religiosissima, fondò nel 1614 il monastero delle Carmelitane di S. Giovanni Battista.

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Questa gran Signora, come figlia del principe di Venosa e della sorella di quel gran santo porporato Carlo

Borromeo, nudrendo pietà indicibile, timorata in grado eminente di Dio e della scomunica, sentendo che il Vescovo aveva fatto affiggere i cedoloni ed interdetto tutto il popolo della Saponara, dubitando che ancor ella con la famiglia compresa vi fosse, subito supplicò il vescovo nella forma che siegue:

"Ill.mo e rev.mo Sig. Vescovo di Potenza, delegato apostolico, Donna Isabella Gesualda, contessa della Saponara, esponendo dice alla S.V.Ill.ma e Rev.ma come le è

pervenuto alle orecchie che si abbia a scomunicare et interdire il clero e popolo di detta città per la disobbedienza mostrata a V.S. Ill.ma nel non ricevere la visita avea da fare per ordine della S. Congregazione, e "perchè essa supplicante con li infrascritti suoi familiari et domestici" si sono mostrati e si rendono prontissimi ai comandamenti e precetti apostolici e di S. Chiesa, pertanto la supplica resti servita sia con detti familiari et domestici da detta scomunica et interdetto esente, che il tutto riceverà a gratia singolarissima = ut Deus =.

Il canonico D. Francesco Pricolo, cappellano del castello e confessore = D. Francesco di Lauria cappellano e confessore del Monisterio delle moniche di S. Gio Battista; = Paolo di Pano sagristano di d.e. moniche = Il Capitanio della Saponara = il Castellano, moglie e figli dell'Erario, Martia la Gatta serva = Desiderio Janneo e moglie, vignaruoli = Lucrezia lavandara e figlia = Fulvia di Palo, figli e marito = Cintia Sacco panettera = Livia Sacco = Lauria Terrore = Giulia Sacco = la Salvia e Giulia Tornese serve = Flavia serva delle moniche di S. G. Battista = G. Paradiso, procuratore di dette monache di S. G. Battista = G. Paradiso, procuratore di dette monache e moglie = Il Camerlengo e Baglivi in atto servienti."

"Visa supplicatione nobis porrecta pro parte ill.mae D.nae Comitissae Terrae Saponariae, visaque spontanea

obedientia per ipsam praestita, praesenti nostro Decreto dicimus et decernimus praedictam Dominam Comitissam , cum eius domobus et familiaribus, supra notatis, non esse inclusam nec contineri in excommunicatione per nos latas nec in interdicto per nos emanato contra Univesitatem praedictae Terrae Saponariae, et propterea liceat et licitum sit praedictae Dominae Comitissae, cum omnibus familiaribus supra descriptis audire sacrum et omnia opera pia peragere et facere et celebrare in eius cappella sita in castro dictae Terrae Saponariae, et ita provisum hoc suum ….OMISSIS

Datum Saponariae die tertio mensis Januarii 1639. Hieronymus Episcopus Potentinus, Visitator Delegatus Apost.us. Loco + sigilli."

Grippus Actuarius et Secretarius", et in fine vi è l'autentica di detto Crippo, come notaro apostolico di Avigliano. Sopra l'accennato Decreto potrebbe questionarsi se poteasi o no, dopo la declaratoria della scomunica et

interdetto , esentare alcuno, poichè i Cedoloni erano universali; ma non giovando, lo rilasciamo alla migliore intelligenza del lettore.

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6. Il Vescovo promette ai Conti di lasciar cadere il processo di scomunica ma poi lo invia alla Sacra Congregazione dei Vescovi.

Il vescovo, avendo eseguito ciò che li parve a proposito, se ne partì, con animo di rimettere alla S. Congreg. il processo da lui formato. Ma si ha per tradizione che, pregato, e forse dalla stessa Sig. ra Contessa e dal di lei figlio Luigi, Principe di Bisignano, siccome probabilemente si asserisce, ad estendersi a dar quest'altro passo, con animo veramente indegno e vilcorde, ricevendosi una quantità di dobble, finse e promise egli di voler eseguire con la dimostranza di lasciare il processo originale in mano di chi trattava l'affare, qual tuttavia si è rattrovato tra le altre memorie antiche, colle firme originali del Vescovo, di buon carattere, e per contrario avanzò una relazione alla S. Congreg. tanto ardua e toccante e forse un consimile processo di quello avea consegnato.

Tutto ciò argomentasi dall'esito e travagli che partorì, avvenga che l'Arciprete fu chiamato in Roma, per la causa che appariva dispregevole dalla scomunica, e di aver con tanta violenza, al dir del vescovo, impedita la santa visita delegata dalla S. Sede, a chi parea aver peranco denegata l'obbedienza. Ed egli più volentieri vi andò, sì per giustificare le sue azioni, sì anche per aver inteso essersi proceduto a dichiarar valide le censure fulminate dal Vescovo, per quegli eccessi che si finsero per veri. Consideri qui il buon lettore quale obbligazione apportò quel Vescovo di Potenza, che non per zelo di vero pastore, ma per puro capriccio, pose sull'orlo del precipizio la vita, l'onore e la robba della Saponara tutta, non che del solo Arciprete ma di sì nobil famiglia ch'egli era =; quanto interesse accagionò il consideri chi ha senno. Ma oh quanti di tal sorta di prelati, per solo fine di mondano interesse tralasciano le norme e gli esempi di tanti Santi Vescovi tramandati e si appigliano al proprio privato commodo!

Qual buon esempio apprenderanno i secolari qualora vedranno i prelati, nonchè gli altri ecclesiastici capricciosi negli puntigli, vendicativi, vendicativi per le ingiurie ed oltraggi ricevuti, interessati e non caritativi? Oh quanto sarà d i loro più tremendo il giudizio! Ma passiamo alla nostra narrazione.

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CAP. XXV

IL PRINCIPE DI BISIGNANO D. LUIGI SANSEVERINO CON GRAN FERVORE INTRAPRENDE IL PATROCINIO DELL'ARCIPRETE DANIO, SCRIVENDO LETTERE DI SOMMA EFFICACIA AGLI EMINENTISSIMI CARDINALI DELLA SACRA CONGREGAZIONE.

1. Interessamento presso la Sacra Congregazione di Luigi Sanseverino, Conte di Saponara e Principe di Bisignano, a favore dell’Arciprete Danio.

Ma il principe di Bisignano D. Luigi Sanseverino1, ben conosciuto a quel tempo nella Corte Romana per il suo grande intendimento e rare virtù, che si rapporteranno nel seguente capo, avendo inteso i gravami, nonchè la infedeltà del vescovo, inferiti alla nostra città e all'Arciprete Danio, della di cui ottima vita e dottrina era completamente informato, e sapendo altrsì le ragioni che l'assistevano, con gran fervore ed impegno si accinse a patrocinare presso gli Em.i Sigg. Card. di detta S. Congreg., li quali con la dimora ivi lungo tempo fatta li erano conoscenti, amici e stretti congionti, scrivendo a cadauno di loro lettere assai espressive e degne invero di quel grande uomo. E perchè tra li altri cartocci sonosi rattovate le copie delle lettere, mi è parso qui trascriverle per non farle all'in tutto seppellirre nella oblivione, siccome sinora sono state. 2. Lettera di Luigi al Cardinale Della Cueva.

Elleno dunque sono le seguenti: "Al Sig. Card. della Cueva = Em.mo e R.mo Sig. mio oss.mo, Ho tanta fiducia nella benignità di V. Em. nelle cose rilevanti e che più mi

premono ricorro volentieri al suo favore. Tal'è un particolare che si tratta in codesta Rev. S. Congreg, tra Mons. Vescovo di Potenza e Mons. Arcipr.

Luigi Sanseverino Conte di Saponara e Principe di Bisignano.

1 Nato da Ferdinando Sanseverino ed Isabella Gesualdo il 15 Aprile del 1586 e morto a Napoli l‟11 Marzo del 1669. La sua data

di nascita l‟abbiamo ricavata dalla sua lapide funeraria (vedasi la foto al capitolo XXVI) ove si dice che Luigi Sanseverino era morto nel 1669 all‟età di anni 83. Ferdinando ed Isabella, essendo consanguinei, furono costretti a chiedere la dispensa papale che fu concessa il 19 Agosto 1987. Però questo ultimo dato rende controversa, se non dubbia, la data di nascita suaccennata. Il Ramaglia, difatti, al successivo capitolo XXVI, nota 1, lo fa nascere il giorno di Pasqua (15 Aprile) del 1588, desumendo la data dal Registro parrocchiale delle nascite. Quasi sicuramente ha ragione il Ramaglia in quanto elenca anche gli altri suoi cinque nomi che possono trovarsi solamente nel Registro parrocchiale. Evidentemente l‟autore della lapide funeraria scriveva “di anni 83” (Vedasi lapide pag. 181) solo per sentito dire, senza averlo verificato (confronta la osservazione del Ramaglia che alla fine del capitolo XXVI, nota n° 7, parla di abbaglio di colui che eseguì la lapide del tumulo). Tale verifica per altro gli era quasi impossibile essendo Luigi nato a Saponara.

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et Ordinario della Saponara, sopra che, avendosi quello procurato la delegazione della visita in luogo del Vescovo viciniore, e tenendo questi capi bastanti per ricusarla, come sospetto, dopo aver usato molti termini di modestia, fu costretto a proporli in scriptis e farli istanza per l'elezione dell'arbitro, conforme la disposizione dei sacri canoni. Ma il vescovo, che aveva ambita questa carica, non meno che nulla, precipitosamente procedè alle censure scomunicando Mons. Arcipr. e li suoi preti e sommettendo all'interdetto il Collegio e la comunità, senza che si fosse pronunciato sopra la sospensione allegata ..... sono state ...... S. Congreg. per non essere state appieno considerate le ragioni di quella chiesa; onde, avutosi di ciò notizia da Mons. Arcipr., ha stimato conveniente conferirsi personalmente costì, come ha fatto per l'indennità della sua chiesa, presenterà questa mia a V.E., a chi supplico restar servita favorirlo e proteggerlo, affinchè per la potenza dell' avversario non resti oppressa la giustizia dell'Arcipr., del quale avendo io lunga esperienza, posso certificare di avere egli buone parti di ecclesiastico, e che a mio parere le suddette censure sono completamente nulle, come già intenderà pù largamente da lui. Favorisca dunque V.E. in gratia mia quella chiesa, ove innanzi a Dio e al mondo et al presente abita mia madre, alla cui persona e santa vita si dovea particolar rispetto; che per la gratia resterò a V.Em. strettamente obbligato.

Napoli, 26 aprile 1639. Di V.Em.Rev.ma aff.mo servit. Il Principe di Bisignano ".

3. Lettera al Cardinale Carpegna.

"Al Sig. Card. di Carpegna. E.mo e R.mo Sig. mio oss.mo, Credo sicuram. che se la diligenza usata dal mio agente nell'informare V.E. sopra del particolare che sta

pendente in codesta S.(acra) C.(ongregazione) tra Mons. Vesc. di Potenza e Mons. Arciprete di Saponara, in materia della visita che procurò farsi delegare in quel luogo, si fosse adoprato con già altri Sigg. Card., non si sarebbero dichiarate valide le censure emanate da detto Vesc., che a mio parere sono completamente nulle. Nè quell'Arciprete sarebbe stato costretto a partire dalla sua chiesa, quando che maggiormente doveva assistervi, se non avesse viste conculcate le sue ragioni per negligenza de' suoi procuratore ed avvocato. A me fu scritto che V.E. s'intese per bene a suo favore, perchè ponderò le scritture pubbliche prodotte per sua parte, e ne li devo restare con particolare obbligazione, per questo luogo che è del conte mio nipote, e vi abita mia madre, la quale ha sentito grande mortificazione di quello successo. Ma s'avanzerà l'obbligo se mi farà grazia di dar benegna udienza a Mons. Arciprete, promovendo e favorendo la sua giustizia, perchè quel pubblico venga relevato da quell'aggravio, come lo spero dalla sua integrità, ed io ne prego V.E. quanto più efficacem. posso, et intanto divotam. Li bacio la mano. Napoli, 26 aprile 1639. (Di proprio pugno): "Io tengo lunga notizia dell'arcipr. di Sapon., e so che, se pecca, sarà nell'eccedere nel rimesso, non già nell'arrogante. Desidera la visita, ma non da sospetto. Il vescovo di Potenza sarà noto a codesta Sac. Congr.: però non aggiungo altro; che certo quando non si può lodar l'ecclesiastico, sfuggo sempre il ragionarne. A codesta S. Sede sta l'Arciprete, e con esso tutto il popolo. Tale fine obedienza meriterebbe indulgenza, quando vi fosse colpa; ma non vi è.

Di V. E.ma. Rev.ma aff.mo Servit. Il principe di Bisignano."

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4. Lettera al Cardinale di Cremona "Al Sig. Card. di Cremona = E.mo e R.mo Sig. mio Oss.mo =

Si ritrova costì il sig. Arciprete della Saponara per mostrare a codesta S: Congr. come è alieno dalla verità quello che Mons. Vescovo di Potenza, accecato dalla propria passione, ha soggerito nel particolare della visita che procurò farsi delegare, e la connatural modestia del suddetto Arciprete rende evidenti che non li fece usare li termini e maltrattamenti che ha asserito il Vescovo in andare colà, poichè non si pretese che di sfuggire la visita di persona sospetta; che però l'Arciprete mandò fino a Potenza ad allegarlo per tale; e volendo tuttavia persistere nelle sue voglie, si replicorono le proteste in scritto e si proposero firmiter li capi della sospensione, come si vede dalli istromenti pubblici, sopra ciò rogati; onde sono remasto assai meravigliato della resolutione presa dalla S. Congr. in dichiarar valide le censure fulminate da persona la cui delegazione veniva sospesa per la sospenzione allegata, se non fusse seguito (come io credo) per non aver l'Arciprete lasciato chi ponesse le sue ragioni; supplico V.E. a restar servita di dargli benegnamente l'orecchio, ed avendo fede nella sua notoria giustizia, favorirlo in maniera che venga relevato dall'oppressione che pretende fargli patire un vescovo, il quale, non governando la sua, ambisce la cura delle altre chiese; che ne le terrò particolare obbligazione, e remettendomi a quanto a voce li rappresenterà il medesimo Mons. Arciprete, finisco, ma non di baciarli devotam.la mano, con pregar a V.E. dal Signore la felicità che desidera. Napoli, 3 maggio 1639. Di V.E.za Roma.aff.mo Servit. Il Principe di Bisignano".

5. Lettera al Cardinale Santi.

"Al Sig. Card. Santi. = R.mo. ed E.mo.Sig.mio oss.mo, (Il testo che segue è lo stesso della lettera precedente trascritto pari pari) "Si ritrova costì il sig. Arciprete della Saponara per mostrare a codesta S: Congr. come è alieno dalla verità quello che Mons. Vescovo di Potenza, accecato dalla propria passione, ha soggerito nel particolare della visita che procurò farsi delegare, e la connatural modestia del suddetto Arciprete rende evidenti che non li fece usare li termini e maltrattamenti che ha asserito il Vescovo in andare colà, poichè non si pretese che di sfuggire la visita di persona sospetta; che però l'Arciprete mandò fino a Potenza ad allegarlo per tale; e volendo tuttavia persistere nelle sue voglie, si replicorono le proteste in scritto e si proposero firmiter li capi della sospensione, come si vede dalli istromenti pubblici, sopra ciò rogati; onde sono remasto assai meravigliato della resolutione presa dalla S. Congr. in dichiarar valide le censure fulminate da persona la cui delegazione veniva sospesa per la sospenzione allegata, se non fusse seguito (come io credo) per non aver l'Arciprete lasciato chi ponesse le sue ragioni; supplico V.E. a restar servita di dargli benegnamente l'orecchio, ed avendo fede nella sua notoria giustizia, favorirlo in maniera che venga relevato dall'oppressione che pretende fargli patire un vescovo, il quale, non governando la sua, ambisce la cura delle altre chiese; che ne le terrò particolare obbligazione, e remettendomi a quanto a voce li rappresenterà il medesimo Mons. Arciprete, finisco, ma non di baciarli devotam.la mano, con pregar a V.E. dal Signore la felicità che desidera. Napoli, 3 maggio 1639. Di V.E.za Roma.aff.mo Servit. Il Principe di Bisignano".

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6. Lettera al Cardinale Cesarini. "Al Sig. Card. Cesarini, Emo e Remo. Sig. mio oss.mo, se la modestia di Mons. G. Fr. Danio, Arciprete della Saponara non fosse notoria e non apparisse anco dall'esterno del suo volto, si potrebbe porre in discussione quel che Mons. Vesc. di Potenza ha sinistramente rappresentato a codesta S: Congreg. in materia di mali termini e maltrattamenti che suppone aver ricevuto nella persona sua e de' suoi familiari nel recarsi che fece colà per visitare quella chiesa; ma se l'Arciprete non potesse più che impedir legittimamente i disegni del Vescovo, che pretendeva ricavarne molto ritratto, ricusandolo come persona sospetta, e questo non per vie di fatto, ma per scritture pubbliche, proponendo firmiter li capi della sospenzione, et interponendo ai superiori supremi le dovute appellazioni, non veggo come si sieno potute promulgare valide le censure dichiarate da un delegato la cui giurisdizione veniva sospesa per l'allegata sospenzione. Veggio che il Vescovo ha giocato solo e che l'Arciprete non ha avuto difesa bastevole, e però è stato costretto nella settimana santa a lasciar la sua chiesa e venire a scoprir gl'inganni e chiarire la S. Congr. della pronta volontà che sempre tenne in obbedire alli suoi ordini, alli quali nel caso presente si sarebbe data esecuzione, se la persona del Vescovo non fosse stata sospetta.

Raccomando dunque a V.E. quanto più efficacem. posso la persona a causa di Mons. Arciprete, pregandola a favorirlo e proteggerlo in guisa che per la potenza dell'avversario non venga conculcato, che me ne farà grazia particolare, massime che quel luoco è del Conte mio nepote, e so che non vi è colpa per questa parte. Favorisca dunque V.E. (come sa fare) e si assicuri che ne sarò molto tenuto, mentre per fine le bacio le mani. Di Napoli, a 3 maggio 1639. Il Principe di Bisignano".

7. Lettera al Cardinale Colonna.

"Al Sig. Card. Colonna, E.mo e R.mo. mio Cugino oss.mo, Veramente confesso a V.E. con sincerità che mai potei supporre l'esito, quale ha tenuto il negotio tra Mons. Vesc. di Potenza e l'Arciprete di Saponara, poichè sapendo la naturalezza di questo più inclinata al rimesso che all'audacia, restai persuaso facilmente che l'eccesso fusse stato tutto da parte del Vescovo, che aveva procurato visitar quel luoco e clero, ne stimavano quel prelato evidentemente zeloso che non potesse soffrire qualche mancamento che trovasse nel suddetto clero, s' oppose con sospenzione con ogni modestia, rimedio nelle leggi tanto privilegiato, e pure senza conoscere nel valor di questa, si cammina alle censure. Quanto si produce dal Vescovo fu fatto dal suo stesso tribunale; il giudice che cammina giurisdizione come delegato sospetto, prima di canonicam. interloquirsi sopra la sospensione, retta... privato e fè violenza alla quale la natura stessa concede la difesa; nè qui vi è eccesso, come lo testificano molti religiosi e degni di credito. Stando in questo loco mia madre e particolarmente per la santità meritava particolar rispetto. Quella celerità di supporre in censura un Capitolo ed una università, dalli costumi risaputi mi fa ricordare di Dionisio Areopagita, le cui parole chiuderanno questa lettera: - Secernendi vim habent pontifices, ut interpretes divinae justitiae, non quod eorum a rationibus aversis cupiditatibus sapientissima Divinitas (ut honesto verbo utatur) quasi ministri obsequantur: sed quod ipsi spiritui ministeriorum Principi ad interpretandum OMISSIS (illegibile) moventi eos qui a Deo judicati sunt, pro meritis cuiusque secernunt. Supplico V.E. protegger la causa e la reputazione di questa casa, che tutta e particolarm. io resterà obbligatissima alla E.V., la cui persona degnissima conservi il Signore nella sua santa grazia. Napoli, 24 maggio 1639. Di V.E. R.ma aff.mo serv. Il Principe di Bisignano".

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8. Lettera al Cardinale Cornari. "Al Sig. Card. Cornari, E.mo e R.mo Veggio tanto valente l'intercessione dell'Abb. Magnesio nel procurare gl'interessi presenti del Vesc. di Potenza

suo fratello, che mi lascia in ammirazione, come sin qui si ha tenuto quella credenza sospesa, conosco che questa mia sarà per officio semplice di raccomandazione, ma devo asserire a V.E. che sia testimonianza del mio senso.

Mons. Arciprete di Saponara non rifiutò la visita, anzi la desidera, ma ebbe bensì per sospetta la persona del visitante per le ragioni che propose. Non si provvide sopra così giusta l'ispezione, e si camminò alle censure, procurandosi di dare un valore al nulla col fare pruove d'irriverente resistenza, e quando Mons. Arciprete viene a codesta S. Sede nell'intendimento di proporre le sue ragioni costretto successivamente a domandare assolutione dove non è legame. Tutto fu la finezza d'obbedienza, ma non li basta. S'ordina a Mons. Auditore della Camera, che dia lettera pro repetendis judiciis, e si commette alli (Vescovi di) Venosa e Marsico, confidanti della parte, e da essa domandati, quando dippiù l'ultimo è odioso dell'Arcipr. per le invecchiate liti note alla Corte.

Mi sovvengono le parole di Gelasio Sommo Pontefice: "Quaero ab his judicium quod praetendunt, ubi nam possit agitari, an apud ipsos, iidem sint inimici et testes et judices". Quando l'Arciprete fosse colpevole, non sarebbe venuto così francamente a presentarsi. Se vi è eccesso, è nella difesa, ch'è naturale, se viene interdetto un popolo e scomunicato un clero e tutto un luogo afflitto, ov'è la persona di mia madre2. Se codesta S. Sede vuole la verità, escluda le passioni e ministri sospetti. Non tutti li Vescovi son tali che con la santità escludano le sospenzioni. E raffreddata la carità della primitiva chiesa, la neve delle colpe ha ricoverto le pedate del Salvatore. Suplico V.E. si serva conoscere la persona dell'Arciprete et informarsene della sua vita; ciò riconosciuto, con quel zelo ch'è proprio del suo grado, se lo trova colpevole, si serva delle parole dello stesso pontefice: “Remitte culpam de praeterito...correct. ore sine dubio consequente”. E non trovandolo tale, si serva promuover l'innocenza, col beneficarlo si dia esempio di ben vivere agli altri. Per tutto restrerò obbligatissimo a V.E., a cui bacio affettuosam. le mani. Napoli, 27 giugno 1639. Di V.E. R.ma aff.mo serv. Il Principe di Bisignano."

9. Lettera all’Arcivescovo Falconieri.

"A Mons. Falconieri, Arcivesc. di Tebe secret. Ill.mo e Re.mo Sig. mio oss.mo, Se a Mons. Arciprete di Saponara fusse permesso di attestare con la viva voce le sue azioni, come ragionevolm. pensò doverli succedere, come a chi di libera volontà si presentava alla S.Sede apostolica, oculatissima giudicante di quanto occorre tra i prelati inferiori, basterebbe solo che io dicessi a V.S. Ill.ma che preme molto al presente interesse del suddetto Arciprete e vivamente la pregasse a tenere protezione per farmene grazia particolare. Ma non essendoli permesso, devo pregarla a riconoscere questo negotio dai suoi principi e vedendo questo abbia affrettato Mons. Vesc. di Potenza la visista di Saponara, tenga per conseguenza per passionato il processo e quanto dopo sia sopra ciò seguito. Negli atti di cotesta S.Congr. costa il primo, e la conseguenza sarà chiara alla sua prudenza, non a fine di far danno .... di Mons. Vescovo, ciò si scrive quando tutti devono sostenere come da ...."

2 Luigi Sanseverino insiste nel sottolineare la persona della madre Isabella Gesualdo perché nota come la nipote di 2

Arcivescovi: Alfonso Gesualdo, Arcivesovo di Napoli e Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano.

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10. Le missive di Luigi Sanseverino trovano scarso ascolto a Roma.

Sin qui rattrovasi la copia di questa lettera, dal di cui senso e di tutte le altre trascritte di sopra si divisa in quai termini di lode si esprima la persona dell'Arc. Danio, di cui peraltro, oltre la testimonianza sì grave di tanto personaggio, la fama finora ne corse essere stato di vita esemplare, sino al fine di sua vita, che terminò in Roma con grido di santità, come dirassi a suo tempo. E di vantaggio come descrivansi la persona e procedure del Vescovo, in cui regnando cupidigia, non poteano uscire se non azioni cattive; avvenga che "cupiditas est radix omnium malorum", disse il testo nel Can. Baronium 47 dist., tanto che disse la Gloss. n.1 can. virum ead.dist. "Cupidus a veritate deviat". Si ha pure per tradizione che i sigg. Cardinali, tuttochè stretti corrispondenti del Principe di Bisignano, nausearono di leggere le lettere, a cagion che non erano trattati col titolo conveniente, cioè del Padron mio, nè si capisce come un uomo tanto savio ed umile avesse mancato a questo, quando alle volte nelli bisogni, per ottener l'intento, dasssi un titolo a persona a cui mica non conviene. Non mancossi frattanto esercitare altri mezzi per conseguir l'effetto del loro intento, poichè in nome dello stesso sig. Principe formossi supplica nella S. Congr. suscritta di proprio carattere dall'arciprete da me conosciuto, di cui tale è il tenore:

11. Lettera di G. Fr. Danio a difesa dell’operato di Luigi Sanseverino.

"Nullius. Visitationis Saponariae = E.mi et R.mi DD. Princeps Bisiniani, qui est etiam dominus Saponariae, animo (quem Leo PP.Epist. 7 ad Imperatorem Theodosium requirebat) et Regio et Sacerdotali, ut simul archipresbyterum loco ordinarium ac sibi subditos protegeret, ac ad parendum huius S. Sedis et S. Congr. mandatis induceret extrajudicialiter se instruxit de causis resistentiae, alias ut praetenditur, per eundem ordinarium et populum factae, Domino Episcopo Potentino visitatori per hanc S. Congr. deputato, nec non de causis quae ad id moverunt, et multis auditis comperit impedimenta in rei veritate fuisse longe minore, quam fama aut testes eidem Domino Episcopo retulerint, et causas reduci ad hanc unam, qui in litteris S. Congr., quarum copia datur (et supra fuerunt transcriptae), non fuit satis expressa illius mens, siquidem. Pro una e parte prohemium earumdem litterarum, a quo colligendum propositus et finis S. Congr. talis erat (considerando questa S. Congr. che la terra della Saponara possa aver bisogno di quelli aiuti e benefizi spirituali che non possono ricevere da altra mano che da quella dei Vescovi, ha stabilito). Quod ostendit facultatem esse ristrictam ad Chrisma, consecrationes ecclesiarum et altarium et milia quae non poterant recipi nisi de manu episcopi, nec comprehendere visitationem, quia fieri poterat per Archipresbyterum, qui jam firmavit diversis Rotae decisionibus, se posse visitare tamquam Ordinarium et causas civiles, criminales et mixtas cognoscere. Pro altera vero parte, litterae dant facultatem eidem Episcopo visitandi et faciendi id totum quod fecisset in ecclesia propria, ut constat ex eisdem litteris, ibi (visiti quella chiesa e faccia quelle funzioni che sono solite dei pastori e dei Vescovi nelle chiese a loro comesse), quod patet ad amplissimum visitationem etiam personarum juxta S. Trid. Conc. Sess. 24, cap.3, vers. Visitationum autem omnium praecipuus sit scopus ibi bonos mores tueri, pravos corrigere. Praesertim quod supponebatur ecclesiam Saponariae non fuisse ab ullo Episcopo tamquam viciniori visitatam a triginta annis.

Quare idem Princeps existimans contemptiones omnes sublatum iri, si S. Congr. suam intentionem circa hanc visitationem declaret, supplicat pro hac declaratione, sui se humiliter observaturum promittit Archipresbyter praesens in Curia, prout ipsemet princeps promittit, pro universo clero et populo, de quo dedit etiam litteras ad diversos

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eminentissimos huius S. Congr.Cardinales. Quare… ego infrascriptus Archipresbyter Saponariae promitto et supra pro me et clero et populo Saponariae. Johennes Franciscus Archipresb. Qui supra manu propria".

Non si sa se questa supplica si fosse presentata, giacchè originale fu rattrovata fra le altre scritture, e come fosse seguita la dichiarazione della S. Congr. circa la visita facienda, e se quella fosse seguita. Solo rattrovo nel II tomo delle conclusioni capitolari, al fol. 52, a terg. che nel 1647 la memoria che il vescovo di Potenza non si sa se fu quello di cui avremo parlato, o suo successore fu a visitare la nostra chiesa, poichè ivi non si descrive il nome del Vescovo, ma solo si prende l'espediente per il ricevimento e il bisognevole.

Tra tanto il nostro Arciprete agevolò la sua causa, e li fu d'uopo sogiacere a quel tanto che giammai pensato aveva, perchè per lo più la ragion di stato e precise dei grandi, per mantenere quel tanto che da eglino oprato si trova, e non essere lor rimprocciato, avere alla cieca ed inconsideratamente trattato, con tutto che si conoscesse per male, vien sostenuto per bene. Laonde, avendo la S. Congr. dichiarate valide le censure al solo informo del Vescovo, che avea più protezione in Roma giacchè la parte dell'Arciprete per la dappocaggine de' suoi avvocati era stata patrocinata con lentezza; li fu d'uopo domandare assolutione dove legame non era. Dovrebbe però ciascuno, siccome già fece l'imperator Giustiniano nella Novella 127 . Anch. ut filii frate corrigere se stesso che aspettarlo da altri.

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CAP. XXVI

SI RAVVISANO LE EROICHE VIRTU' E VITA ESEMPLARE DEL SUDDETTO LUIGI SANSEVERINO PRINCIPE DI BISIGNANO.

1. Luigi Sanseverino a 18 anni rinunzia alla Contea di Saponara a favore del fratello Fabrizio per conseguire a Roma il Dottorato in Teologia.

Per rinnovare la memoria negli animi non meno dei nostri patrizi che cittadini e di chicchesia altro, ignorante delle eroiche virtù e vita esemplare del già detto Ecc.mo Sig. Don Luigi Sanseverino, mi è parso qui compendiare locchè rattrovo di lui scritto dal padre Gio. Francesco Amagrima teatino, nel libretto stampato in napoli nel 1679 col titolo: (Ramaglia omette il titolo che è il seguente: “De memorabilibus/aliquot gestis/D. Aloysii/De S. Severino/Bisiniani Principis/Comitisque Saponariae/Etc. Etc.”)1

Dopo la di lui morte che seguì a 11 marzo 1669, locchè tuttavia da' nostri vecchi si certifica e ne precorre la fama e la tradizione di altri ottimi suoi sentimenti. E per cominciare dal suo nascimento, questo fu nella nostra città di Saponara, ove per anco riceverà il lavacro del santo battesimo, siccome si acclara dal libro battesimale della Collegiata, al tomo I, fol. 64 (poichè altri più antichi non se ne trovano per un incendio accaduto) ove leggesi annotata la seguente particola: “1588 ai 15 aprile, nel dì della Pasca di Resurrezione, il Sig. D. Luise, Americo, Bartolomeo, Giuseppe, Francesco, Aniello, figlio dell'Ill.mo Sig. D. Ferrante Sanseverino, Conte della Saponara, e della Ill.ma Sig. ra D. Isabella Gesualda Contessa, fu battezzato dall'Abb. Camillo Cotino arciprete e fu tenuto da Rosa la Salvia”2.

Frontespizio del testo di Giovan Francesco Amagrima su Luigi Sanseverino.

1 Una rarissima copia è presso la Biblioteca di Napoli. Se ne veda il frontespizio nella pagina.

2 Circa la controversia della data di nascita di Luigi Sanseverino cfr. la nota n° 1 del capit. XXV.

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Nacque parimente da sì gran progenitori altro figlio che chiamossi D. Carlo3, siccome leggesi nel citato libro, al fol. 113, cioè: 1590, ai 3 di luglio. Il Sig. D. Carlo, figlio del Sig. Conte della Saponara D. Ferante Sanseverino e della Sig. Contessa D. Isabella Gesualda, fu battezzato dal Sig. Arciprete di Moliterno, Vicario Generale della Diocesi Marsicana e tenuto da Rosa di Bulina. E ritornando al nostro Luigi, crebbe egli di giorno in giorno, con l'età in virtù, poichè veggeansi nella sua persona esempi del ben vivere e la norma della cristiana pietà, ambizioso sempre di riempirsi delle divine ed umane lettere, a tal segno che, giunto all'anno diciottesimo, bruciando nel suo casto cuore la fiamma dell'amor divino e dello studio delle sacre ed umane lettere, per dare un calcio al mondo e starsene dalle di lui cure affatto lontano, poco, anzi nulla curando di essere egli primogenito de' suoi parenti, ad ottenere il suo bramato fine, rinunziò a benefizio di D. Fabrizio, altro suo fratello terzogenito che pur nacque nella Saponara, dacchè il sopradetto sig. D. Carlo trovavasi sostituito conte di Chiaromonte, tutto e ciò che per la primogemitura li spettava, e memorando i momenti che gli eran di remora e dar di piglio all'intrapreso pensiero, disimpicciato da ogni intoppo, andandosene di volo a rattrovar la madre di ogni virtù e scienza, dico Roma, ove col suo alto e sottilissimo ingegno, sotto la scorta di eccellentissimi maestri, senza veruna appellatione nelle fatighe e sudori che spargeva nello studio delle legge canonica e civile, e, pervenuto nella meta del suo intento, essendo già dottore, prima di esserne dichiarato, volle nondimeno conseguir la laurea del dottorato, e, non contento di ciò, bramando sempre ulteriori progressi, nelle scientie, con la continova et incessante applicatione, si riconobbe in lui una grande dottrina, non meno della teologia che dei Padri, tanto che quei sacri prelati, riputandolo ben degno della di loro conversazione, fu annoverato fra essi, e dando vieppiù saggio del suo grand'essere, faceva a tutti ammirare che in lui fiorivano in grado eminente le virtù.

2. Luigi diventa, suo malgrado, VI Principe di Bisignano e sposa Margherita d’Aragona, figlia del Conte di Terranova.

Godea impertanto il nostro Luigi una pace assai tranquilla, dedito sempre più alla ecclesiastica disciplina, nella quale sperava vieppiù avanzarsi, quand'ecco che a frastornarlo dalla disiata impresa altro non poteva essere che di esser privo di suo padre, per la di lui morte, non meno a persuasione di amici che ad opportune preci dei congiunti, fu costretto a ripigliare la vita secolaresca, che abbandonata avea, conoscendosi di ben superiore talento e magnanimità delli già detti suoi fratelli, per il governo che assumer doveva del principato di Bisignano, il di cui Principe4 era peranco morto senza lasciar descendenti, laonde nell'anno 16225 fu già dichiarato principe di Bisignano e Grande di Spagna, essendo di anni 34.

3 Carlo Sanseverino era il terzogenito e divenne Conte di Chiaromonte. Il secondogenito Giovanni morì giovanissimo nel 1607, il quartogenito

Fabrizio divenne Conte di Saponara per concessione di Luigi, il quintogenito Antonio macchiatosi di azioni criminose nei confronti delle monache di S. Croce e dell‟omicidio del Sacerdote Scipione Giordano, e il sestogenito fu una femmina di cui non conosciamo nulla. Cfr. V. Falasca “Grumentum, Saponaria, Grumento Nova”, Ermes 1997, Potenza, pag. 91, 134, 169. 4 Trattasi di Berardino Sanseverino, V Principe di Bisignano, morto senza eredi maschi il 21 Novembre del 1606. Dopo la sua morte scoppiò

una lite che si protrasse per molto tempo fra i vari pretendenti: oltre a Luigi, vantavano pretese Tiberio Carafa, Antonio Orsino Duca di Gravina, i Marchesi Andrea e Didaco Mendoza e il Marchese Basiliese, marito di Claudia Mendoza. 5 Esattamente nel Marzo di quest‟anno venne siglato un atto di transazione tra Sua Maestà Cattolica Filippo III (cui competeva disporre del

Principato di Bisignano (Cfr. Falasca, op. cit., pag.91) e i vari pretendenti al Principato stesso. Venne stabilito con tale atto che a Luigi Sanseverino di Saponara toccavano tutti i beni del Principato previo esborso di 500 mila ducati. Gli altri furono accontentati in vario modo. Per il frontespizio di tale transazione vedasi foto n° 54. (Arch. St. Napoli, Archivio Sanseverino, carte 323, Foll. 64-66)

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Copia del frontespizio dell‟Atto di transazione tra il Re di Spagna Filippo III e i pretendenti al Principato di Bisignano (Trascrizione trasmessa nel 1838 all‟Avv. Arpino. (Arch. St. Napoli)

Avendo abbracciata questa carica, per menar questa vita, li convenne ammogliarsi; quindi sposò Margarita

d'Aragona, figlia del duca di Terranova, donna veramente trascelta per tal soggetto, la quale essendo vissuta per molti anni in marital consorzio, se ne passò all'altra vita, senza lasciar descendenti del suo corpo e volle esser sepolta nel cimitero dei Santi Apostoli in Napoli.

3. Dopo la morte della moglie Luigi agli studi ecclesiastici. Indole e carattere del Principe di Bisignano.

Il nostro Luigi, sciolto da quella remora da cui veniva impedito seguire il suo incominciato corso, non pensando più alle laidezze del mondo e del senso come altri fanno, menando vita casta, dessi tutto a Dio ed a leggere i sacri volumi, dai quali trarre qual ape ingegnosa, come da diversi fiori il mele, per componerne tanti libri quanti ne die' alla luce. Avea ben egli appreso sin da fanciullo dai padri Teatini della vita spirituale i rudimenti ed istituti; laonde, servendosi della di lor condotta, andava bene spesso a nettarsi la coscienza nella chiesa dei SS. Apostoli, e tanto di quei padri all'arbitrio sottometter si volle che quasi in tutte le sue azioni dipendea dal di loro conseglio e direzione. E come che solea ogni dì andare a visitare quei buoni religiosi, apprendendo da quelli il vivere da Teatino, volle quello esercitare in sua casa in tutte le sue funzioni, a riserva del vestire e del domestico utensile, di modo che avrebbe ognuno con verità

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affermato essere quello un vero e puro religioso teatino. Prescritto si avea con distinzione in determinate ore la sua vita in cotal guisa, che, risplendendo vieppiù i santi esercizi e sagre funzioni, molti e con somma ragione l'appellarono norma e orario della vita più santa, avvegnacchè, a riserva di essere impedito da grave infermità o per qualunque altra occasione, giammai si pervertiva dal suo prescritto ordine o pure tralasciava le sue solite pie operazioni, e , come che ogni giorno (siccome si è detto) conduceasi a visitare i R.R. Padri Teatini (era cosa invero da stupire) giammai si osservò tralasciare l'ora o pure in altra guisa traviarla, di modo che era norma di mettere a sesto gli ororlogi, qualora non camminavano bene, siccome pratico tra gli altri una prudentissima matrona del duca di Madaloni, la quale, avendo visto passare il nostro Luigi nella sedia agli servitori di quella casa: "Olà, accomodate gli orologi, che tocchino ventun'ora, poichè il principe di Bisignano è già da qui passato".

Le passioni dell'animo suo furono bene soggettate alla sferza del dovere, poichè fu così pacato e composto che

non parlava se non a voce sommessa, giammai adirossi o pur commosse in adirar la voce in riprendere i servi o con ingiurie, alterigia, o minacce, ma sempre con placidezza e soavissme parole ammoniva tutti. Siccome accadde una volta tra le altre nell'inverno che, essendosi egli ritirato al palagio, rattrovò tutte le stanze serrate e il cameriere con la chiave uscito fuora. Veggeansi in quel punto gli altri servitori mordere con li denti, fremere con i piedi e strepitar con la lingua contro il cameriere; ma egli con santa modestia ammoniva tutti che avessero zittito, e con animo dimesso e volto allegro e senza punto infadarsi, aspettò il cameriere, il quale non rititrossi prima di un'ora di notte. Ma come crederessivo l'avesse trattato? Al certo da altri sarebbe stato battuto, o almanco discacciato dal di lui servizio: con questi accenti lo riprese: “Perchè, figlio, cammini di notte? Non sai in quanti pericoli suole inciamparsi in queste ore ?”

Nè volle riprenderlo di avere egli trovato chiuse le stanze e con patimento aspettato. Nè dee pur tralasciarsi ciò che accadde ad un buffone, il quale, supponendo una notte si fusse il nostro Luigi addormentato, cominciò a beffarlo e a deriderlo, imitandolo nel parlare. E siccome costoro soglion fare per dar motivo agli altri uditori ed astanti a ridere, aggiungendo molte cose del suo, scorrettissimamente deridevalo; ma egli che mica dal sonno faceasi vincere, anzi dalla finestra onde era solito godere della vista del Cielo, udendo di sè cotante beffe e risate smoderate, niente corrucciandosi e pur stomacandosi, con placida voce, chiamando il derisore per nome, onorevolmente gli disse: “Non è tanto, non è tanto!” additandoli che, quantunque avesse dette molte cose vere, aveane aggionte molte delle false, per movere a riso gli uditori, del che il buffone giammai più altra parola disse.

Dopo che avea compita la sua solita orazione, scrivere e cenare, non andava a letto senza esaminare la coscienza. Andato a letto, teneva un cameriere, o sia aggiutante di camera, il quale aveva commessa di risvegliarlo quando stava riposando, con questi accenti: "Luigi ricordati che hai da morire tra breve et hai da render conto stretto a Dio di quanto hai oprato"; ed egli destandosi dal sonno e alzandosi di letto, metteasi alla lettura e studio dei sacri

libri. La cura delle cose terrene non potè mai distorlo dall'intrapreso metodo di vita, anzi che faceva poco per conto

delli stessi suoi averi, siccome puossi argomentare da un fatto che accadde; cioè che, avendo egli nel tempo della revoluzione popolare e tumulto Napoletano, mandati tutti i suoi argenti nel Vico Equense, che trapassavano il peso di ventimila scudi, per salvarlo dalle mani dei masnadieri furono già attrappate dalle guardie del popolo; ma egli, niente curandosi del resto, solo stava dubbioso se le reliquie dei Santi fossero ancora state sorprese. Ma avendo saputo

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essere quelle state riserbate in luogo sicuro, rendendo grazie all'Altissimo, disse: "Non mi curo del resto, poichè mi bastano due piatti di creta ove possa mangiare". Ma che dirò della fedeltà ed osservanza verso quel monarca re

delle Spagne? Or questa fu sì fine e rispettosa che, curossi perdere il suo, purchè detto non si fosse aver avuto minima corrispondenza con i tumultuanti e loro capi. Già si è detto che l'argento era stato attrappato dalla guardia del popolo. Gennaro Annese che ne era il Capo mandò a dire al nostro Luigi che l'argento era ben salvo ed era

pronto per restituirglielo, purchè ne avesse avuto un biglietto di restituzione. Ma lui, per non esser tacciato di aver dato quella menoma soddisfazione ad un inconfidente e rebelle della Corona, non curò recuperar l'argento, che peraltro gli fu poi restituito. Non potea al certo chiamarsi partigiano o pure in menomo amico dell'inconfidente quando trattavasi del solo recupero dell'argento; ma con tutto ciò non volle nemmeno farlo, del che poi dal Re ne fu cotanto benvoluto, anzi ringraziato.

E della onesta e casta vita ch'egli menò che diremo? Egli è certo che dopo la morte della sua consorte visse con tanta onestà e castità che non permise che neppure uomini a vestirlo o spogliarlo aggiutato l'avessero, ma da sè solo il tutto esercitava. Non permise che donne nella di lui casa commercio, familiarità ed abitazione avuto avessero.

4. La misogenia di Luigi ed altri aneddoti.

Al qual proposito accadde una volta che, essendo stato visitato da un tal Giuseppe Morale dei Teatini, nell'accompagnarlo che fece fino alla porta della sala, siccome era suo costume, si avvide che una donna portava fuor dal riposto i piatti d'argento. A questa veduta, fuor dal suo naturale, si osservò molto corrucciato e disse: "Cosa mostruosa è cotesta, i miei piatti farsi toccare da donna?" Ripigliarono tutti gli astanti esser quella la moglie del

ripostiere, il quale essendosi ammalato, adempiva ella il di lui officio, perchè i vasi e piatti d' argento si ripulissero e con più sicurezza si custodissero. A tal risposta il nostro Luigi replicò dicendo: "Voglio piuttosto che il mio utensile sia calpestato e venduto, che quel che spetta al servizio del mio corpo sia toccato, anche in menoma cosa, per mano di donna".

La dilezione del prossimo fu in Luigi in grado eminente, avvegnacchè amava i suoi servitori come propri figli , anzi non permetteva che eglino affaticati si fossero più di quello che permettevano le di loro forze e salute, e se talvolta qualcuno si ammalava, oh, e con quanta carità l'assisteva e procurava il ristabilimento e soprattutto stimava grandemente la di loro riputazione e fama. Una volta accadde che dal suo scrigno furono rubati mille e cinquecento scudi, nè però si vide alterarsi o prendersi fastidio o molestia, o pur ne avesse imputato i suoi servitori e familiari, poichè non si dava a credere per certa una cosa se con evidenza e chiarezza saputo non l'avesse. In seguenza di ciò, per no infamar la sua gente, di cui ne stava cotanto geloso, dirò cosa di vantaggio. Tra le altre cose preziose ch'egli teneva in sua casa erano due ben smisurati candelieri che appellano "sblendori" d'argento massiccio,

lavorato a meraviglia, con tanta magnificenza e maestria che giungevano al costo di più di un migliaio di scudi. Un di questi faceasi stare in un angolo della sala, l'altro nell'anticamera acciò avesse sostenuto due ben grandi torchi di cera per illuminarle, appiè dei quali e nella stessa sala stava un servidore dormendo, per maggior sicurezza della casa. Tanta fu la destrezza dei ladri che, senza farne accorto quel servitore, pian piano tolsero via quel candeliere e calandolo

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con una fune giù per la finestra, lo trasportarono in luogo ben sicuro. La mattina, svegliatosi il servitore alla sua solita ora, si avvide che la finestra ancora aperta, e pensando come ciò era accaduto, s'avvide poi della mancanza del candeliere, senza che punto accorto si fosse di altro segno. Narrò subito il fatto in quella guisa che egli diceva; non fu per nulla creduto; ma come complice del furto ferono istanza tutti i familiari al padrone che colui con tutti i servitori fossero posti in arresto e ben custoditi nella carcere. Ciò inteso da Luigi, non volle far eseguire locchè si proponeva. Divulgatosi il fatto per tutta la città, ne fu informato il Vicerè, il quale rigorosamente comandò che con tutta la esatta diligenza si fossero investigati gli ladri, e dandone premurosi comandi ad un ministro, questi, per cavare il netto da un sì ingarbogliato fatto, si condusse da Luigi e pregollo che all'inquisizione da farsi acconsentito avesse e di vantaggio poter esaminare alcuni servidori della casa e familiari, da chi la verità indagar pensava, compromettendosi che entro brieve tempo l'appalesava e i ladri e dove costoro riposto avessero il candeliere. Ma Luigi, che stimava più l'onor di tutti i suoi familiari e servidori che la sua roba ciò non volle permettere, replicando a quel Ministro: "Voglio piuttosto che si perda tutto quanto posseggo nella mia casa che riferire menoma taccia di tal sorta d'infamia a' miei familiari", contentandosi con ciò perdere il candeliere che a qualche servidore la stima e la vita tolta si fosse. Or sicchè di tal sorta di padroni, pochissimi, per non dir niuno, se ne trova nel mondo, anzi moltissimi che non per argenti o altre cose preziose ma per piccole bagattelle di vilissime cose si fanno risentiti, con straordinarie ed inaudite procedure che per modestia si tacciono.

Tutto e quanto si è riferito è stato a pro dei servidori; vediamo in qual guisa trattava i sudditi. Egli è pur certo che ancor quelli amava come figli, nè permise mai che alcuno se gl'inchinasse, non dico al piè, secondo la comune del volgo, ma tampoco al ginocchio.

Accadde una volta tra le altre nel convento di S. Maria degli Angeli, alla presenza di quei padri dopo aver cantato, siccome al solito, l'offizio, che un contadino non si sa qual grazia domandar li volea, se gl'inginocchiò avanti; ma Luigi, corrucciandosi li disse: "Figlio, a me che son peccatore tu t'inginocchi? Solamente a Dio e al suo vicario ciò si dee fare. Alzati e sta in piedi e poi parla". Il meschino però, per riverenza di un tanto suo padrone e forse con quell'adulazione che tanto è stimata nelle corti, sperando ottenere l'intento, perseverava in quella positura sì umile; nè giovando cenni per farlo alzare e stare così depresso, Luigi replicò e disse: "Io mi otturerò affatto le orecchie ne ti sentirò giammai se tu non ti alzi".

Così quel meschino si alzò ed ottenne non meno benigna udienza che grato accoglimento. Oh, e quanti, quanti vene sono che si lasciano dai sudditi, quali chiamano vassalli, baciare i piedi, ed ambiscono straordinarie sommissioni anche nelle lettere, vogliono la cerimonia del baciamento dei piedi, giacchè taluni realmente non l'ambiscono!

Al solo Sommo Pontefice spetta tal cerimonia, essendo vicario di Cristo, e per cagion della croce che sul piè sta scolpita; di modo che se l'ebreo dee supplicare il Papa, non potendo egli baciare la croce perchè di quella inimico, bacia la terra, ove posa il piè del Papa; avverandosi con ciò la profezia dello Spirito Santo nel salmo 71, n. 9: "Et inimici eius terram lingent". Nè giammai li Re ad altre più umili cerimonie e sommissioni ammettono li sudditi e vassalli che al bacio della mano.

Hanno taluni signori e padroni temporali quell'alterigia di essere eglino tanti Dei in terra (siccome con proprie orecchie ho udito) e che perciò loro si deve nonchè conviene una tal sommissione. Non v'ha dubbio che sia così,

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che i principi in qualche modo rappresentano Iddio in terra; ma dovrebbonsi ricordare che quella riverenza si deve e si fa all'offizio e dignità che sostengono, non alla persona, se non vogliono esser simili a quel giumento che s'insuperbiva stimando a lui dirizzato fosse l'onore che si faceva alla statua di Giove che portava sul dorso, conforme a quell'apologo di Gabria riferito dal padre Menotti nelle sue storie, tom.3, cent.9, cap.52. "Simulacrum asellus bajulans argenteum - cum id transeuntes flexu adorarent genu - sui hoc honoris gratia est fieri ratus. - Jamque insolenti elatus arrogantia - nolebat ambulare, donec aspero - prohe delatus fuste, clunes adiit : - O stulte, non es tu Deus, sed fers Deum! - "

E ritornando al nostro primiero tema, giacchè abbiamo fatto questa piccola digressione, il lusso comune dei cavalieri fu dalla sua casa affatto bandito, di modo che anche della sua moglie più volte i soverchi fasti riprese, sprezzando e schifando la soperchia pompa, nelle carrozze, nel vestire e nelli stessi suoi servidori, ai quali però con tutta esattezza e puntualità faceva soddisfare il salario giorno per giorno. E se talvolta avesse visto mancare il contante, piuttosto faceasi sottrarre altra spesa, anche necessaria, che far mancare ai servidori ogni dì la dovuta mercede, anzi tampoco differirla per altro giorno, siccome oggi alla moda, non per giorni, ma per mesi ed anni si dilata. Non permise che i suoi sudditi fossero in qualche maniera con le imposizioni ed esazioni gravati, oppure tirannicamente oppressi, siccome taluni fanno da loro esatori; ma voleva che con ogni piacevolezza il tutto si fosse adempito. Ed abbenchè i suoi congiunti se ne fossero con esso stesso querelati, asserendo che in cotal guisa piuttosto diminuiva che avanzava le sue rendite, egli però, niente discostandosi dall'incominciato metodo, a chiunque altramente vivere lo voleva persuadere, con animo costante in siffatta maniera li rispondeva: "Ognuno viva come gli piace; io amo i miei sudditi come figli; non voglio che loro sia inferita molestia o travaglio, nè permetterollo giammai, poichè se Iddio è sommamente misericordioso verso di me, per qual cagione io non devo essere misericordioso verso i miei sudditi?" Laonde la misericordia verso dei poveri tutti era da lui largamente amministrata,

in dispensar loro larghe elemosine non meno per le strade, per le quali quando usciva provvedeasi largamente di denaro, perchè ai poveri avesse possuto soccorrere, che nella casa. Ma se tanta religiosità in uomo si scorgeva, perchè starsene al mondo e non rinchiudersi nei chiostri, o almanco abbandonando la vita secolaresca non si fece sacerdote, quando nel ricevere il santissimo sacramento non si potevano a lui paragonare i più santi religiosi dei chiostri? Alcuno potrebbe andar cercando sapere. Egli è più che certo che, dopo la morte di sua moglie, intensissimamente bramava di farsi religioso, Teatino, ma stimandosi indegnissimo di essere assunto al grado sacerdotale, dubitando che a ciò da quei padri, entrato nella religione, secondo il costume dell'ordine non fosse stato forzato, riprese in tal guisa questa sua brama, che risolse di non entrare in istato ecclesiastico, ma tuttavia eseguirlo interiormente; menando vita religiosa nella propria casa e darsi all'intutto alla scrittura di sacri volumi, siccome già fece e qualora si imbatteva con qualche sacerdote, è incredibile la riverenza che li faceva.

Molte donzelle da lui in segreto furono dotate, perchè non avessero perduto il giglio dell'onestà, nè volle accettare l'eredità di sua moglie per non illaquerarsi di scrupoli, per i molti legati da ella lasciati, et ad altro non pensava che a mantener bene illibata e candida la sua coscienza; questa più li premeva, siccome a tutti dovrebb'essere, e ogni altra cosa metteva in non cale.

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5. L’amore di Luigi per gli studi e il suo rispetto per coloro che avevano studiato. La morte.

Lui come dottore di legge era pure ascritto nel Collegio Napoletano per l'esame ed approvazione dei dottorandi, e tanto godeva di quella porzione che gli spettava per i loro depositi, che con le sue mani se la metteva in saccoccia, asserendo essere quella somma più cara e più preziosa come frutto delle sue fatiche e sudori; e godeva più di esser dottore di legge che principe di Bisignano, poichè questo titolo erali fortuitamente accaduto, ma quello acquistato con la virtù , ad esempio del re Errico, che si gloriava più del titolo di licenziato in legge che di Re, per la stessa ragione, al dir di d. Fulvio Majorana nella sua Appratt.crim., lib. 2, cap. 9 n.58 et seg.; poichè, siccome disse Giovenale, Sat. 8 "Majorum primum quisquis fuit ille tuorum, - Aut pastor fuit, aut aliud quod dicere nolo", al riferir del

cit. P. Menochio, tom. 3. Cent.X, cap. 44. Quindi amava sì teneramente quelli della Saponara che si laureavano nella dignità dottorale, che quella mattina

della funzione seguita l'invitava seco a pranzare, non sdegnando esser quelli suoi sudditi, poichè ascesi a cotanto nobile dignità. Loro è certo che facevano sommo onore quando l'andavano a riverire in sua casa, mentre loro dava il titolo di signore e faceva loro coprir la testa in sua presenza, siccome accadde di alcuni che essendo andati a riverirlo, agli dottori fè coprire la testa col cappello, ad un altro disse: "Voi pure avrete questo onore quando sarete dottore". Tutto ciò si è narrato a piena bocca dalli nostri patrizi dr. sig. D. Carlo e Dr. Sig. D. Paolo Danio, per la

relazione di quell'altro grand'uomo Sig. D. Amato Danio, loro zio, di cui faremo parola più avanti. La conseguenza richiedeva così, che, essendo Luigi in grado eminente di virtù e pietà, amava e stimava egualmente coloro che della virtù erano amanti: locchè non può dirsi degli altri, li quali beffandosi della virtù e dandosi licenziosamente alli capricci del senso disprezzano anche colui che la virtù sèguita e ambisce. Ma oh quanto è più stimato un cavaliere dotto e virtuoso! La sperienza lo fa vedere.

Ed alla fin fine, per non essere molto prolisso in enarrar di Luigi a minuto le eroiche virtudi, dico che di siffatta guisa era incamminata la sua vita che, qualunque cosa egli oprasse, dicesse, o pur con cenni o gesti indicasse, non poteva nè si vedeva spirar altro che una massima pietà e vera santimonia di uomo religioso, e, trovandosi egli sempre preparato alla morte, e conservando altresì viva e presente l'immagine di Dio e della Vergine, può ben comprendersi con quanta carità verso di quelli passasse da questa mortal vita, veggendosi spesso acceso di divino amore, che con sensi astratti dispreggiar le cose terrene ed apparir le celesti. Ma ormai è tempo di vederlo appropinquato alla morte, essendo già vecchio di anni 80, mesi 10 e giorni 226, se ben egli di quella picchiando le porte di continuo se ne stava, sopraffatto impertanto da un morbo, con volto più che giulivo, aspettava quel passaggio dalla presente vita, uniforme vieppiù al divin volere. E crescendo la malattia, vedevasi in lui avanzare l'ardore dell'amor divino e l'abbassamento del suo animo in umiltà profonda verso il suo Dio.

Il suo letto erali come cattedra, dal quale per quanto le sue forze il permettevano, non cessava di tramandar dalla

sua bocca concetti di ogni verasapienza ed esempi di ogni genere di virtù. Era grande lo stupore invero e la meraviglia dei medici e degli stessi padri Teatini, che di continuo l'assistevano, riflettendo la serenità del suo animo e volto, i

6 Sembrerebbe questa la età esatta della sua morte e non quella scritta sulla sua lapide funeraria che trovasi, ancor oggi dietro

l‟altar maggiore della chiesa dei SS. Apostoli in Napoli. Vedasi foto alla pagina successiva.

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Lapide funeraria di Luigi Sanseverino, dietro l‟altare maggiore dei SS. Apostoli in Napoli.

colloqui spirituali ch'egli faceva e la rassegnazione al divin volere. Ma che dirò dei servidori e familiari? Costoro di

giorno e di notte, con torrenti di lagrime agli occhi, non facevano altro che far voti e pregare Iddio per la di lui salute, come che da quello (e dicevano il vero) dipeso avesse la speranza del loro bene e male. Avrebbe detto chicchessia che Luigi guardato avesse che gli antichi patriarchi non fossero passati da questa vita con altra più santa norma di quella; avveganchè non udivasi d'altro parlare che di Dio. In lui non si veggeano segni di stimoli o timori di coscienza, ma tutto assorbito nella contemplazione della eternità divina, avendo a tutti chiesto perdono ed aspettando con lieta fronte la morte, non cessava di recitare i davidici salmi, che ben con sommessa voce e quando parlar più non poteva, colle sole labbra recitar si vedea. Stando dunque rendendo lo spirito al suo Creatore, assistito, come si è detto dai PP. Teatini, il di lui germano fratello, D.Carlo, Conte di Chiaromonte, genuflesso a' suoi piedi, così proruppe dicendo: "Quomodo moritur justus!" (Ecco in che maniera muore il giusto!). Ed invero colui che

era vissuto da giusto non potè se non a guisa di giusto finir la sua vita, che fu agli 11 marzo 1669, d'età -come si è detto- di anno 80, mesi 10 e giorni 22, abbenchè si abbagliò colui che fece la iscrizione sopra il di lui tumulo, descrivendo di anni 837. Restò impertanto erede non meno del burgensatico che feudale, e così del principato di Bisignano, il mentovato D. Carlo8, il quale ben egregiamente esprimeva le virtù del fratello. Ma essendo ancor egli in età cadente, brevi manu rifiutò il

7 Vedasi nostra nota n° 1 del precedente capitolo XXV.

8 Terzogenito di Ferdinando Sanseverino e Isabella Gesualdo.

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mandato feudale, a pro del suo nipote chiamato anche D. Carlo9, nato da D. Giovanni di lui figlio e da D. Delia, pure Sanseverino, di D. Fabrizio Conte della Saponara. Volle il detto Luigi che il di lui cadavere umilmente e senza pompa col solo Parroco con dodeci accesi torchi fusse trasportato al tempio dei S. Apostoli e per non offendere l'altra casa dei Teatini che sommamente amava, spiegò la causa di quella elezione, per aver ivi la prima volta ad istruzione di quei padri ricevuto la sacra eucaristia. E alla perfine ordinò che sopra al suo tumulo nella suddetta chiesa, avante10 all'altare maggiore, queste parole scolpite si fossero: “Hic ossa quiescunt Aloysii peccatoris vocati principis Bisignani, comitisque Saponariae =Obiit die XI martii anno D. MDCLXIX (1669) aetatis suae LXXXIII (83)”.

I volumi da lui scritti e dati alla luce, da me osservati, vengono annotati dal suddetto P. Amagrima; cioè la Collettanea, o sia Catena dei SS. Padri sopra li salmi, tomi tre = Sopra i quattro evangelisti altri quattro tomi. Sopra gli Atti degli apostoli tomo uno = Sopra la disciplina morale, tom.1. Considerazioni spirituali, id. id. = Consideraz. Sopra il ministro della incarnaz. id. id. Animadversioni sopra li sette salmi penitenziali, id. id. = Trattato dell'oraz. T.2 = Del precetto della carità, t.1 = Tutti questi libri furono stampati dal 1635 al 1668. Trovi manoscritto il commentario sopra l'Apocalisse: vi è anche il Rosario di 15 imposte, con altre opere gravi qual si notano dal d.° Amagrima.

9 Trattasi di Carlo Maria Sanseverino, padre della poetessa Aurora, di cui si parlerà appresso.

10 Per la verità la lapide è dietro l‟altare maggiore.

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CAP. XXVII

FRA‟ GIUSEPPE CIANTES SUCCEDE A CASELLI E S'IMPEGNA PUR LUI A MOLESTARE L'ARCIPRETE INTORNO L'APPROVAZIONE DEI CONFESSORI, SU DI CHE SI RAPPORTA UN CONSIGLIO DI MONS. CARLO MARANTA A PRO‟ DELL'ARCIPRETE.

1. Nel 1640 viene nominato Vescovo di Marsico il Frate domenicano Giuseppe Ciantes1, che ricomincia a dar fastidio all’Arciprete Danio.

Per ritornare alla nostra storia, il vescovo Caselli, non avendo potuto in qualche maniera dar molestia al nostro Arciprete, godeva però di quella datali dal vescovo di Potenza, siccome si è già divisato; ma nel mentre godeva delle altrui amarezze contro il dittame dello Spirito Santo nei Proverbi, cap. 29, n.17: "Cum ceciderit inimicus tuus ne gaudeas, et in ruina eius ne exultet cor tuum, ne forte videat Dominus et displiceat ei et auferat ab eo iram suam", avvegnachè quello

che già si concordò nello stesso anno 1639; ai 23 Nov. passò all'altra vita. E non dopo molti mesi, nel 1640, da Urbano VIII fu creato vescovo Giuseppe Ciantes, nobile romano, frate domenicano, il quale dopo, fidando molto nella protezione d'Innocenzo X, Sommo Pontefice succeduto ad Urbano, i ministri Rotali e Porporati, per mezzo dei favori di Donna Olimpia, cognata del Papa, nella di cui corte, prima di farsi religioso servito aveva, e che in grazia sua era stato creato Vescovo, cominciò con più arroganza e calore a molestare l'Arciprete, abbenchè non potè ottenere più di quanto si decise dalla Rota, come dirassi2.

Costituzioni e Decreti emanati

dal Vescovo di Marsico Giuseppe Ciantes nel Settembre del 1643.

1 Nato a Roma da genitori spagnoli, è frate domenicano nel convento di S. Maria della Minerva. Tenne la Diocesi di Marsico

sino al 1656. Appena tre anni dopo il suo insediamento nella sede vescovile, il 27 e 28 Settembre del 1643 tenne un grande Sinodo nella città di Marsico, durante il quale emanò “Costitutiones et Decreta” che dovevano regolare la sua Diocesi. Di tali Costituzioni è rimasta una pubblicazione del 1644, edita a Roma, che si conserva nella Biblioteca comunale. Frontespizio nella pagina. 2 Nel frattempo, il 15 Marzo del 1640 Ottaviano Raggio, Protonotaio apostolico e Referendario del Papa, aveva dato mandato a

tutti i subcollettori e commissari apostolici del Regno di Napoli di non osare molestare G. Fr. Danio, Arciprete di Saponara.

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Costui, dunque, dico il Ciantes, fè notificare all'Arciprete sotto li 10 Luglio 1640 un editto, intorno l'approvazione dei confessori, in virtù della decisione rotale l'anni addietro promulgata ed ai 21 dello stesso mese li fè notificare un monitorio spedito anni 15 addietro dall'A. C., non intimato nè giammai uscito alla luce. Amendue queste scritture si mandarono a presentarsi in Roma, alla Rota, alla quale si ricorse per la dovuta giustizia, e con effetto si ottenne, non avendosene alcuna ragione del primo, come attentato e del secondo come circondotto.

Non acchetossi il Ciantes; ma ottenne altro monitorio coi termini della legge e con la clausola giustificata, quale fè notificare al Danio, a 18 agosto 1640, però fu di poco momento e dileguossi come fumo al vento. In questo tempo reggeva la chiesa di Giovenazzo Mons. Carlo Maranta, uomo savio non meno della giurisprudenza che nelle divine et umane lettere, siccome ne fanno testimonianza i suoi Risponsi dati alla luce nel 1637 e le cariche da lui sostenute prima di essere prelato. Costui adunque fu richiesto per parte dell'Arciprete Mons. Danio per il suo voto circa l'editto per l'approvazione dei confessori, ed egli con tutto che teneva anche lite giurisdizionale in piedi con la Chiesa ed Arciprete di Terlizzi, nella stessa S. Rota, per la giurisdizione che ivi pure esercitava quell'Arciprete, siccome consta dal trattato apologico dato in luce dallo stesso Maranta nel 1639, unito con li responsi già detti a pro della sua chiesa e giurisdizione; spogliatosi della propria passione, diè il suo parere e voto a pro del nostro Arciprete, conculcando le procedure del Vescovo.

2. Il parere di Carlo Maranta, Vescovo di Giovinazzo, sulla lite fra il Vescovo di Marsico e l’Arciprete di Saponara.

E come che questo voto o sia responso fu scritto nel 1640, ed in conseguenza tre anni dopo pubblicati gli altri, restò scritto a penna di proprio carattere dello stesso mons. Maranta; che essendosi rattrovato nell'archivio tra le altre scritture antiche, mi è parso convenevole non farlo star sepolto fra la dimenticanza, siccome è stato sinora, ma pubblicarlo per benefizio comune. Egli dunque è come siegue:

"Marsicen. Approbationis confessorum in Terra Saponariae Nullius Dioeces. Triplex est gravamen quod per modernum Episcopum Marsicen. Archipresbytero Terrae Saponariae nullius diocesis in pacifica possessione existenti, exercendi in illa omnimodam jurisdictionem et contentiosam et voluntariam, non jure et consequenter inique = Infertur =

1° quod in edicto per eum subdato Marsici ex palatio episcopali, die 19 mensis Julii 1640 emanato et publicato incipit Admodum Redo; et D. Jo.Franc.Danio Archipresbytero Ter. Saponariae, Marsicen. Dioec. et RR.sacerdotibus confessariis tam saecularibus quam regularibus eiusd. Ter.Sapon. nostrae Marsic.dioec.etc. fecit itaque Terram Sapon. Marsic.dioec.cum sit nullius.

2.° Quod facultas approbandi confessarios dictae Ter. Sapon. per litteras S.Congreg. fuerat facta Episcopo, dum pendens erat lis, inter Episcopum Marsicensem et Archipresb. Ter. Sapon., ut dictus Episcopus per modum provisionis et citra praejudicium jurium ambarum partium procederet ad approbationem confessariorum atque fuerit proinde ipsa facultas conditionalis. Et postmodum anno 1629 per S.R. Rotam fuerit silentium impositum Episcopo Marsicen. et per consequentiam liberam remansit in omnibus jurisdictionem, quoad illius exercitum tam contentiosae quam voluntariae jurisdictionis dicto Archipresbytero ut a tempore praefato 1629 libere illam exercuerit, etiam confessarios approbando, ut prius faciebat, Episcopo praedecessore non amplius contradicente. Quod nihilominus nunc ex iisdem litteris

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absque aliqua facultate et jurisdictione turbare tentaverit ipsius Archipresbyt. pacificam possessionem, omnimodam jurisdictionem exercendi in ipsa terra Sapon., nullius Diocesis ordinarium in dicta Terra faciendo et asserendo.

Et plane apertum tamen et manifestum in gravamen apparet, quia tentavit modernus Episcop. Ordinarium se asserere in dicta Ter. Sapon., absque consequenter suae jurisdictioni illam subijcere, asserendo illam Marsicen. dioec., ut sit nullius atque sedi apostolicae dumtaxat supposita. Usurpavit itaque jurisdictionem quam non habet, unde et obiici poterit illud Apostoli ad Roman., 14,4 = Tu qui es qui judicas alienum servum? Super quem jurisdictionem non habes? = ut divus Dionis Carthus id subnectit. Quod sane peccatum est quia judicium per vos usurpationem perversum redditur in praedicium tertii, 2.m S.Thom. receptum 2.2.y.60.art.6°. quem sequitur Navarrus, in man. cap. 12, n. 71, vers.2 qui habens, et cap.77, vers.8 eaque propter ei non paretur impune, quia extra territorium jus dicere tentavit, juxta Bonifacii VIII determinationem in cap. ut Animarum, 2 in fin.de const.in 6.

Quod sane nefas est jurisdictione velle uti quin magis abuti ubi illa pro ea utente fundate minime reperitur = Molina, de just. Et jur. Tract. 5 etc.etc. quoniam basis quippe et fundamentum judicii jurisdictio est, sine qua quidquid aedificatur corruit nullamque redditur, ad Ex.in cap.cum Paulus 26.1.g.1. Cum in primis de jurisdictione constare aperte debebit (Rota, apud Card.Caval.dec.P.3, n.2 et apud etc.etc.) quin insanabilis jurisdictionis semper defensus habetur (Rota in Coef.petit.11 maj 1618). Usurpavit eius quod suum faciendo, atque se ordinarium asserendo. Hoc nempe usurpare est non quomodocumque capere, sed quasi jure proprio rem accipere, ut notat F.Ant.a Tomza, in Bulla in Coena D.ni, cap.18, disp.87, n.2 etc.OMISSIS Usurpat igitur qui id quod non habet sibi appropriat et uti proprium facit...OMISSIS

Patet ego contra de facto gravamen et non de facto resisti, quia judex etiam de facto procedens, cum non sit judex, sed ut pars gravare dicitur, unde potest ei resisti, quia temere tunc judex agere dicitur...Non igitur jure profecit Episcopus non suam usurpando jurisdictionem, g. injuste, g. consequitur male, argumento posito ex contrario sensu ex verbis Augustim.

Non minore claritatem secundum deducitur gravamen quippe ex litteris ipsius S.Congr. si attente legantur non sane obscure sed manifeste apparebit etc.".

"All'ill.mo R.mo Sig.come fratello il Vescovo di Marsico, Ill.mo e R.mo Sig. mio come fratello, avendo mons. mio ill.mo card. Trescio riferito di nuovo nella S. R. la

controversia giurisdizionale che passa tra V.S. e l'Arciprete di Sapon., si è risoluto che si osservino le lettere di questa e della S.C. del Concilio ancora, cioè che V.S., mentre penderà indecisa tale differenza e per modo di provisione e senza pregiudizio delle ragioni delle parti, approvi et esponga assentire le confessioni sacramentali, li sacerdoti, così secolari come regolari, habitanti nel medesimo luogo della Sapon., che non hanno cura di anime, acciocchè li sacerdoti non restino senza chi li approvi ed esponghi o venghino esposti da chi non ha autorità et in consequenza dette anime restino illaqueate o prive del necessario ajuto spirituale. Vengo a significare a V.S. tale resolutione affinchè se vaglia dell'autorità che se li dà con la presente, e Dio la conservi. Di Roma, li 14 giugno 1625. Di V.S. come fratello il Card. Bandino."

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Conditionalis itaque facultas fuit per litteras a S. Congreg. demandata necessarias approbandi, dum indecisa lis penderet et per modum provisionis dumtaxat, non finali determinationi et citra praejudicium jurium partium (mentre penderà indecisa tal differenza etc.).

Non sane absque evidenti ratione ita S.C. providit, cum non dubium esset an jurisdictionem hanc voluntariam jurisdictionis confessarios approbandi …OMISSIS…"Neque nempe frusta ita provisionem praefatam tam S.Congr. quam S.Rota fecerunt pendente lite dirempta et omnimoda jurisdictione tam contentiosa quam voluntaria, pro Archpr. in Ter.Sapon. nullius Dioec. Remanente et ab omni Episcopi Marsicen. jurisdictione exempta. Cessare igitur debet modernus Episcopus a gravaminibs, alioquin incivile factum coercebit S. Congr…. Carolus MARANTA, V.I.D. Episcopus. Juvenacen.(di Giovinazzo)"

Chi volesse dubitare se questo responso fosse dello stesso mons. Maranta e non credere a me che l'ho trascritto

dall'originale, potrà leggere i suoi responsi, chè dalla loro lettura si osserverà lo stile dello scrivere uniforme a questo, avendo già detti responsi tra' i miei libri, veramente degni e pieni di ogni erudizione e di sacre scritture.

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CAP. XXVIII

IL VESCOVO CIANTES COL MEZZO RAMMENTATO SI ACCINGE ALLA FINALE DECISIONE DELLA CAUSA, QUALE GIA' OTTIENE A SUO FAVORE. SI DESCRIVONO LE FATICHE DI MONS. DANIO ED I FATTI ACCADUTI CHE FURON CAUSA DI PERDERE LA GIURISDIZIONE.

1. Il Vescovo Ciantes con l’aiuto di Donna Olimpia, cognata del Pontefice, ottiene da Roma alcune sentenze favorevoli.

Veggendo il Vescovo Ciantes non aver potuto superar quell'impresa intorno all'approvazione dei confessori, nella quale aveva succumbuto, quale Anteo risorgendo dalla caduta, fè maggiore scempio di quello non si supponeva, poichè col mentovato mezzo di D. Olimpia, alla quale la tradizione e fama ancora percorre, fè regalo di un paio di cavalli e con lo sborso di molte dobble ai ministri, mezzo peraltro efficacissimo a superar qualsiasi impresa, fè porgere supplica nella signatura di Giustizia ed ottenne la restituzione in integrum sopra la denegata udienza della Rota nel 1629. Qual causa fu commessa a mons. Celso Richi, dal quale fu proposto il dubbio nella Rota:

"An constaret de re judicata sententiae b.m. Manzanedi (che fu quella che ottenne Parisi), vel potius de causis restitutionis in integrum adversus eamdem sententiam?". E la Rota, utraque parte informata, disse: "Sententiam

praedictam fecisse transitum in rem judicatam." Non acchetossi l'Arciprete a questa prima scossa, nè intimorissi, ma di bel nuovo fè proponere il dubbio, meglio

informando i votanti; ma la Rota disse: "Stetur in decisis". Neanche a quest'altra scossa si atterrì il nostro zelante

arciprete Danio, ma virilmente difendendosi non tralasciò mezzi nè fatiche per stare a fronte del suo potentissimo avversario: ma tutto indarno, avvegnachè riproposto altra volta il dubbio nella Rota, per una mala sciagura intese la stessa decisione: "Stetur in decisis". E ciò seguì nel 1647 e con quest'ultima decisione rotale fu condannato il povero

Arciprete alle spese, per le quali furono dal suddetto Richi spedite le lettere esecutoriali e citato l'Arciprete ad dividendum, taxari et moderari expensas et expediri mandatum executorium et de immittendo…

2. L’Arciprete Danio ottiene la revisione delle sentenze negative di Manzanedo.

Nè con tutto ciò perdessi d'animo l'Arciprete, ma domandò la restituzione in integrum, della quale durò molto tempo la decisione. Rattrovasi una lettera di proprio carattere dell'Arciprete Danio predetto scritta ad un suo nipote chiamato D. Roberto Danio, padre di D.Paolo, la quale come degna di memoria e da quella si ravvisa il fatto, non ho voluto tralasciarla. Ma perchè contiene altri affari, ho stimato solamente trascrivere ciò che al nostro proposito è confacente. Ella dunque è come siegue:

"Molto illustre Sig. Nipote Amatissimo, hieri ultimo luglio, giorno anniversario de la morte di mio Padre ed anco di altri miei più cari amici, ricevei la cara di V.S. con l'avviso del risentimento di quelli di Sanseverino, che siano tutti in Cielo, che con la memoria mi rinnovo li pianti e quelli sentimenti propri di chi perde cosa amata assai, compatisco la madre, li parenti e suoi più cari, piango li morti, piango li vivi, piango me stesso, tutto poi con dolcezza rassegno

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nelle mani di Dio, contentandovi del suo santo volere in questo et in ogni altra cosa che dispone per maggior sua gloria .... nella nostra causa è pur vero che al primo luglio fui citato per parte del Vescovo ad videndum taxari etc.. Ma è purtroppo ostinazione mandarle in diocesi prima del tempo, chè può partorire vari efetti, forse contrari alle speranze. Insomma con Mons. Rev.mo abbiamo fatto il gioco dell'oca, dove, dopo molti tiri, lui con la decisione del 18 febbraio fè 55, e perchè io ero nel 53, donde potea anche con dodeci vincere il giuoco, trattassimo d'accordo per impattarla, benchè con suo vantaggio, perchè avea punto megliore ... Ma parendoli facile il vincere la tirò con tanti raggiri che fui necessitato dal tempo tirare e domandar dilazione; feci nove e restai alla porta e lui non si partì dal suo posto, che non avendo io informato nella 2. Decisione che "Domini steterunt in decisis". Ragionandosi del già trattato accordo da un suo caro, a cui aveva dato parola e fede di farlo in ogni evento, mi riferì che era saltato e volea prima il possesso, che poi ne averia parlato e replicandoli io che non se la tenesse come facile, li mostrai alcune mie ragioni efficaci che poteano impedirlo, egli me la concluse che se la tenea stretta tra le mani, che glie lo avevano promesso e non li potea mancare, nella Congreg. rotale dell'ultimo di luglio.Onde cominciai a disporre le mie ragioni in ristrettto, e in questi ultimi giorni mi son visto daddovero in estreme angustie, a causa che il Bertucci nostro procuratore, dopo di avermi tenuto a bada quando doveva scrivere, mi fè intendere che lui non voleva più ingerirsi, mentre io con nuovi scritti la volevo portare a mio modo.. Io ancorchè mi turbai di questo modo di procedere, parendomi un tratto furbesco, diedi questa resolutione la sera del 24, dovendosi informare ai 29. Pigliai subito nuovo procuratore chiamato Sig. Alessandro Santiello, quello stesso che portò la causa contro la decisione ottenuta dal card. Brentaccio e portò la vittoria. Giovine vivace e spiritoso, li mandai il mio discorso ai 25, scrissi contro la decisione prima, chè la 2. Non era uscita; ai 26 feci Congr. con sig.i avv.i e nuovo procuratore, si concluse doversi dare materia bastante per una piena informatione, mentre li Sigg. hanno preso mala piega; ai 27 e 28 ci posimo col procuratore a crepacuore; si fè un'informazione di proposito, di fatto e di jure, ridotta in modo di memoriale ed anche sommario si ragioni. Il dì 29 la parte del Vescovo informò pro esecutione decisionis con molto sforzo, e noi pro nova audientia al meglio che si potesse, e benchè io temessi assai per li ostacoli di molti et il Vescovo si tenessse la resolutione favorevole in mano per il vento favorevole a lui prospero, ad ogni modo questa volta ha prevaluto la ragione. Tirò dunque il vescovo dal 55, colla mano sulli denari per tirarseli, ma fè sette; trovò me che stavo alla porta, e là restò e spero per divino ajuto vi starà sempre, havendo noi ottenuta la nuova udienza contro le sue decisioni e sentenza di Manzanedo, havendo già li signori cominciato a gustare de bono jure a sua Sig.ia Rev.ma conserva quella citazione per memoria di aver fatto assai. Fra poco spedirò compulsoria per compulsar tutti quelli atti e scritture antiche che ci potranno giovare. Intanto s'attenda da tutti i R. di fratelli a pregar Dio benedetto per l'honore e decoro di nostra Chiesa e per tutte le nostre necessità e pubbliche e private, nè si sgomentino, chè Dio soccorre nel maggior bisogno. Il nostro agente e sollecitatore son molti giorni che per alcuni intrighi non può pratticare: onde son costretto far tutte le arti: scrivere, dittare, informare et andare attorno con tanta fatica che per miracolo credo essere vivo, essendo qui li caldi tanto grandi che non si può respirare.

Domenica per la 2a Decisione che si ottenne appena sul tardi, quanto si faticò, dovendosi informare il lunedì di quella. Tutti i trapazzi per istancarci ed arrestarci siano a gloria di Dio. S'informò lunedì fino a tre ore di notte; martedì si diedero e studiarono le scritture; ieri a ore 16 si fece la resolutione; vi è corso di spese intorno a 27 scudi, con tutte le scritture e cento libbre di sodore.

Roma, 1° agosto 1647. Di V.S. molto illustre aff.mo zio che l'ama quanto se stesso. R.P.F.D. Arc.di Saponara."

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3. I nuovi documenti per il processo non giungono mai a Roma a causa di forti turbolenze nel Regno.

Ottenuta dalla S.Rota la nuova udienza contro le due decisioni e sentenza di Manzanedo, conveniva rapportar nuove prove per ottener l'intento. Laonde fè spedire lettere compulsoriali dirette alla Curia vescovile di Anglona e suo Vicario gener. Che in quel tempo era il sig. D.G.B.Coperta, arcidiacono di quella chiesa, per far compulsare e pur far estraere molte scritture antiche, sì dall'archivio dell'università di Saponara e dal protocollo dei notari, come da quello della nostra Collegiata, al qual effetto si condusse di persona il detto sig. Coperta nella Saponara, procedendo a quanto venivali commesso et ordinato dalla Rota, servendosi di notaro e cancelliere di notar Scipione Majullo della terra di S. Martino, e per cursore del chierico Durante Burneo (Borneo) di S. Chirico Raparo, ambedue diocesani e per connotare e far la collazione delle scritture di notar Franc. Colombo di Moliterno e per interprete delle scritture antiche, del Rev.D.Ottavio di Flore, primicerio di Marsico.

Sarei molto prolisso se avessi trascritto o pure notato tutte quante le scritture che furono trascritte e pur compulsate in quel processo, del quale già trascrissi gli sinodi come più essenziali e degni di memoria con altre consecutive notizie. Comprender però chicchessia potrà dal volume del processo che giugne a 130 carte; che essendosi rimesso in Roma, per doversi presentare in Rota per mano del diacono Marzio Di Netti, di Montemurro, che ne fè la ricevuta, autenticato dal sudd.° notar Majullo in questa forma…OMISSIS…. Questo processo mandato per la volta di Roma, non potè subito ivi giungere per le turbolenze del Regno, che fu causa di grande impedimento. Non si sa se poi giunse a tempo in Roma per farsene uso. Ben vero si stima non essere stato a tempo presentato, giacchè rattrovavasi originalmente nel nostro archivio della Collegiata, ricuperato dalle mani del sig. D.G.B. Laimi, procuratore del nostro Capitolo in Roma, lasciatoli con altre scritture dall'ab. D. Antonio Giannone, nostro concittadino, dal molto rev. P. Fra‟ Bernardo da Moliterno, cappuccino provinciale e primo diffinitore, essendo andato in Roma, per l'elezione del Generale nel 1698, a preghiere del sig. D.Carlo Cotino Danio, Arcipr. in quel tempo a da quel tempo conservato tra le altre memorie.

4. In Saponara avvengono episodi di violenza da parte di Antonio Sanseverino, fratello del Conte Fabrizio, per cui a Roma si stima che la resistenza fatta al Vescovo sia stata stimolata dai Feudatari del luogo per vivere in dissolutezza, senza rispettare i dettami della Chiesa.

Trattanto che attendeasi la resolutione favorevole mediante la nuova udienza ottenuta dalla S. Rota, siccome si è detto, senza risparmiar nè fatica nè denaro, "accadono in Saponara quanto scandalosi altrettanto straordinari e tirannici fatti". Mentre che D. Antonio Sanseverino, altro fratello del conte D.Fabrizio padrone, ossia figlio immemore della pietà e religione cristiana, cotanto custodita, venerata e difesa da' suoi antenati, ed in particolare dal sig. D. Luigi, principe di Bisignano, facendosi dominare dal proprio capriccio, fè ammazzare un sacerdote, chiamato don Scipione Giordano, dentro la nostra Collegiata, facendolo ivi semivivo seppellire, e fè usare alcune violenze al monistero di S. Croce, se ben pur la tradizione accerta; fè bastonare atrocemente un cappuccino, con tanto vilipendio della chiesa e dispregio delle censure ecclesiastiche: i quali fatti furon causa di far recedere dalla giudicatura ordinaria per via della giustizia e di venirsi alla politica e ragion di Stato, e li signori ministri averne ragione, siccome hassi da un'altra lettera dello stesso mons. Danio, scritta al sig. Marcello Giliberto suo nipote affine, come marito di una sua nipote, qual'è come siegue:

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"Mol. ill. Sig. Marcello Giliberto mio nipote… = Saponara = Benchè nell'informar la causa di nostra declaratoria restarono non solo i Prelati di signatura, ma anco i sig.i capaci della nostra giustizia; nondimeno, rappresentandosi poi dalla parte avversa le nuove resistenze fatte al Vescovo, il Signore non volle che si votasse da' prelati, ma da sè ordinò che si obbedisse alla Rota, tutto perchè dalli disordini seguiti costì dopo la mia partita ed in particolare della spietata morte di D. Scipione Giordano e violenze fatte al monistero di S. Croce, con tanto vilipendio della chiesa e luoghi sacri, rapportata alle orecchie di S. Santità, è rimasta con l'impressione che questa repugnanza di ricevere il Vescovo sia violenza fomentata dai Signori temporali, che ricusano il Vescovo per vivere alla libera. Così anche sta impressa la Rota, come lo dissero chiaramente mons. Corrado e mons. Bichi, che mi disse uno per uno li casi seguiti. Io in sin dal 1° agosto che me lo dissero, scrissi al sig. D. Amato che ne facesse consapevole il sig. Conte padrone, acciò vedesse pigliarvi qualche rimedio, specialmente che la S.C., a chi era stato dato memoriale sopra le cose del monistero, havendone commessa l'informazione al Vescovo e vedendo che non poteva avere effetto, supponendo la stessa violenza, avea già determinato scriverne al Vicerè, che col suo braccio vi desse rimedio; benchè quest'ultimo, per evitare maggiori disordini, se avesse impedito per certo mezzo usato dal nostro P. Rev.mo (che era il Rev. P. Vincenzo Giliberto, Generale dei Teatin1i). Amato mi diede di eseguire il mio volere; ma poi, o che non piacesse al Principe, o per altro che ne fusse la causa, non ne ha fatto altro, benchè da me più volte sollecitatone, e benchè ne scrissi al sig. Giannone, acciò si prevenisse qualche modo e non si mostrasse tanta trascuraggine, e non si possette avere effetto veruno. Questi signori, per ragion si Stato, vogliono tirarla contro di noi per le colpe di altri. Dicono che sia lega tra noi fomentata dai padroni temporali, per mettersi in libertà di vita, onde ci bisogna sopportarla con pazienza e procurare al meglio si può, al rimedio salutare, giacchè di qui son già mandati li cedoloni ed a me sarà notificato, fatte tutte le feste, havendomi voluto per loro gratia far rispetto durantino quelle.

"Sicchè, sig. Marcello mio, siamo col P. Rev.mo trovando ripiego per distrarci da questo fatto al meglior modo che si può per non restare censurati. Io aspetto il soccorso, di quale V.S. mi diede intentione per possermene valere alla necessità corrente, che non può passare senza molta spesa alla romana. Io non sparagno fatica, che vene vuole per la potenza dell'avversario; per la spesa poi non si estendono tanto le mie forze, e V.S. ben lo sa. Questi signori pretendono, fatte le ferie, tirar contro il Capitolo, Università e tutti, e mi dicono che non possono capire come possano semplici cittadini, o laici siano o ecclesiastici, serrar le porte de la città o Terra, come fanno costì, se non sono stati d'accordo col Padrone; sicchè ci riducono alle strette e bisogna reparare e remediare prima che venga sì grossa piena. Non so più che dirli. Il Padre Rev.mo l'abbraccia, ed io mille volte l'abbraccio e benedico con tutti i figliuoli; alla Sig.ra Pappa fo riverenza.

Roma, primo Gennaro 1650. Di V.E. Ill. Aff.mo Zio, che l'ama quanto se stesso G.F.D. Arciprete di Saponara". ANNOTAZIONE: Del P. Vincenzo Giliberto, a lui e ad altri virtuosi ed eruditi, il P. Giuseppe Silao di Bitonto della

Congregazione dei Chierici Regolari, sacerdote, nel Catalogo degli scrittori ed uomini illustri di detta Congreg., nel 10° lib. della 3a Parte delle Istorie, tomo II, fol. 438, f.440, ne fa una lunghissima dissertazione, rapportando tutte le

lettere, operazioni ed opere da lui date alle stampe per la sua grandissima eloquenza, asserisce che morì alli 10 gennaio 1656,

1 A questo personaggio di Saponara allude l‟annotazione alla fine della presente lettera. Vincenzo Giliberto fu Preposito

Generale dei Teatini.

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di anni 94, con grandissima religiosità, dopo di essere stato sei anni continui preposito generale dell'Ordine, in cui tanto si avanzò la sua virtù e religione, incominciando così la sua dissertazione: "Vincentius Gilibertus a Saponaria2, quod est Lucaniae in Regno Neapolitano oppidum, universi Ordinis Praepositus Generalis Septimus, in sanctorum apostolorum domo Theol. exceptus in ordinem est; novitque die martii vigesima secunda 1587, et infra: Vixit firma semper valetudine ad annum quartum et nonagesimum, excessitque religiosissime die Januarii decima 1656. Scripsit multa opera…"

Da quando dunque nella trascritta lettera si divisa, chi sarà colui che

asseverare non debba aver l'anzidetto don Antonio, con la sua rilasciata vita, causato molto alla perdita della mitra e giurisdizione della nostra chiesa? Con ragione pensò la Rota prender gli spedienti in contrario, sul riflesso che un Arciprete nato suddito al padrone temporale, e forse dipendente da lui per congiunti secolari, non era possibile che alle di lui mal frenate voglie, nonchè dissolute procedure avesse possuto resistere con gli opportuni remedi, e dar veramente campo alla credenza di esser con egli seco collegato, per viver più alla libera come se un altro Enrico VIII, re d'Inghiltera, in un picciol paese suscitato fusse.

Può dirsi un aborto mostruoso di natura cotante pessime qualità in un soggetto, la di cui prosapia, di cui natali non pativano biasimo così esecrando; avvegnachè nè prima, nè dopo di lui nella fameglia Sanseverino annoverare altro potrassi che tale eccesso commesso avesse. Ma così ella va: dalla rosa esce la spina, poichè di tale ill.ma ed eccell.ma fameglia, non solo che di sangue umano imbrattati mai non furo, siccome la fama ne precorre, ma con carità cristiana e più che cattolica ha sempre i sudditi e chicchessia stato si fosse, benignamente accolti. E verso le chiese con speciale ossequio ed osservanza si sono tuttavia rispettosi ed obbedientissimi dimostrati, siccome lo

Frontespizio dell‟opera di Vincenzo Giliberti,Generale dell‟Ordine dei Teatini, “La città d‟Iddio incarnato”.

fa chiaro quel fatto rapportato dal Summonte ed altri scrittori, che per non seguir le bandiere di quello scomunicato Federico, contro del quale e suoi seguaci il Sommo Pontefice Innocenzo III aveva fulminato sentenza di scomunica per l'invasione del Regno di Napoli, molti titolati e signori Sanseverini, dandosi alla banda del

2 Vincenzo Giliberti, fu per 6 anni il settimo Preposito Generale dell'Ordine dei Chierici Regolari detti anche Teatini. Nato in

Saponara il 1562 e morto a 94 anni nel 1656. Pubblicò in Modena nel 1608 l'opera in 3 Volumi “La città di Dio incarnato”, cui seguirono altri libri, molti dei quali si conservano nella biblioteca municipale. A lui si rivolgeva Luigi Sanseverino per far revisionare i suoi scritti prima della pubblicazione.

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Papa, essendo poi stato scontrato di questi l'esercito, perderono spietatamente la vita, ed appena un fanciullo sotto la gonna di una nutrice fu salvato3. Così ella va! Iddio permise che in quel tempo avesse governato uno, per le cui colpe dovette esser punita una comunità ecclesiastica e secolare, dico la Saponara, in perdere in così poco spazio di tempo ciò che per tanti secoli goduto avea e con sudor di sangue mantenuto.

Per il peccato di un solo Faraone fu percosso l'Egitto tutto; e per le malnate voglie e disonesti capricci di Enrico d'Inghilterra si trova segregata dalla comunione della santa madre militante chiesa cattolica, essendo chiarissimo che le azioni dei padroni secolari, se buone o cattive, causeranno la esaltazione o rovina delli suoi sudditi, per causa del mal'esempio o pure esemplarità di vita.

5. I tentativi dell’Arciprete Danio per tentare di avere ragione presso la Sacra Congregazione dei Vescovi.

Non per ciò l'Arciprete volle abbandonare l'impresa, ma intrepidamente perseverando nella ferma speranza di assisterli la giustizia, fè tutto lo sforzo per informare i Sig.i votanti della Rota intorno al dubio che proponer si dovea (se avea luogo la restituzione in integrum, o pure la res judicata). E con le fatiche non si risparmiò denaro, tanto che per amendue i riflessi ne fa un gran lungo racconto a qual nostro patrizio suo nepote D. Amato Danio, prima celebrato avvocato, poi altissimo consigliere del Sacro Collegio di Napoli, in una sua lettera di proprio carattere, la quale siccome si è conservata sinora, tra le altre memorie, espressiva dei fatti, così emmi paruto preservarla dalla ruggedine della dimenticanza, e trascriverla in questa opera; ed è la seguente: 6. Lettera dell’Arciprete G. Fr. Danio a suo nipote Amato Danio, insigne giurista.

"Al molto ill. Sig. D. Amato Danio, mio aff.mo Dio conserve = Napoli = Lunedì 8 stante con il divino ajuto e sotto la protezione del principe gloriosissimo Michele Arcangelo, se informerà la nostra causa, et acciò V. S. sia informata del modo come si porta, aggionto a questa stessa li mando il fatto nel modo come si dirà, copiato di mia mano, che non si diffideria di racchiudere l'Iliade di Omero in un guscio di noce.. Haverei gusto che il Sig. eccell.mo si rattrovasse ancora in Napoli, acciò che V.S. potesse parteciparnelo, anche per soddisfazione di S.S.. Non si è durata poca fatica per ridur tanta materia in sì poca forma e adattarvi il sommario, li cui numeri incassano tanto bene a provare la nostra intenzione. E perchè riesce assai lungo, l'ho marginato tutto e così fattolo copiare, acciò li Sig.i scorrano almeno li margini, che spiegano quanto è nel corso, e restino capaci del fatto. Correrà al copista sopra quaranta scudi per quello che finora si squadra, che li juris non sono ancora avuti, e li sig.i avvocati vi stanno faticandovi intorno. Se vi bisogneranno risposte in fatto et in jure (come io tengo di certo) compiremo li cinquanta; li darò quel che mi avanza delli sesanta e dei restanti rimarrò debitore; ben credo avanzerà poco, mentre in questa posizione ch'è troppo sopra l'ordinario in lunghezza ed intrighi.

3 Qui si allude alla rivolta, fomentata dal Papa Innocenzo IV, di molti Baroni contro l‟Imperatore Federico II, avvenuta nel 1246 e

passata alla storia come la Congiura di Capaccio. Sedata la rivolta, l‟ira di Federico II fu terribile e della famiglia Sanseverino si salvò solo Ruggiero II, fanciullo di appena 9 anni, figlio di Tommaso I, conte di Marsico, che fu salvato dal domestico Donatello di Stafio.

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Non tratto nè col Procuratore scribente, nè coi signori avvocati con le sportule

consuete, a mano larga, per farli fatigare allegramente e farli ridurre in chiarezza e disposizione il chaos delle mie fatighe. Nello scrivere ho fatigato solo, ma nell'andare a torno ho preso compagnia, in mancanza del sig.Ranalli, al gusto del sig. Beracinelli, dimodochè la spesa tutta toccherà li limiti del centinaro, non per repararmi per lo più. Non credeva mai andar tant'oltre; ma così riesce in tutte le spese, sempre a conti in astratto, vantaggia la spesa in concreto. Piaccia a Dio sortisca esito buono, vadavi il sangue e la vita, chè altro non ho dal canto mio. A mio judicio, jus non deficit, sed probationes non sunt omni exceptione majores, subsunt arbitrio judicis. La nostra giustizia è chiara, evidente e soprabbondante, in verità ed in se stessa. Fu anche legittimamente provata in judicio, ma mancando quelle prove deperdite, queste raccapezzate in subsidio nel rigore di giustizia non bastano se non hanno l'arbitrio del giudice favorevole.... tere haverle, stantela perdita delle legittime per colpa dell'avversario, e nello stesso caso sarebbero, se si avessero le scritture nuovamente

Frontespizio del libro di Amato Danio “Riflessioni sopra un Trattato” (1701)

mandate, essendo anche quelle copie e non originali, pure ho voluto enunciarle nella fine del fatto, come farò più pienamente nell'informare, e mostrerò la lettera e le fedi venute. Non si e potuto più, a mio vedere. Le fondamentali ragioni dell'avversario e tutto il dedotto in testimoni e scritture, con molta chiarezza va per terra, la più parte col solo confronto dei tempi ai quali non si può replicare. Non vedo che possa portare cosa sostanziale e ferma per appoggio di sue pretese ragioni, quando non voglia pplicarvi delle calunnie e darci fuori d'ogni timore, quando questi signori volessero vederla davvero, e come sono obbligati; ma perchè si ha da far con uomini stufi della moltissima varietà delle cause, temo assai che la dilatino, a moltiplicarci la spesa, e piglino altra resolutione stravagante.

E veramente conosco anch'io che la nostra parte vorrebbe essere fortificata con una Pianta del Sito di Saponara e Grumento antico e della Diocesi, tirata e confirmata con diligenza, et anco con una remissoria a pruovar con testimoni la stessa pianta e sito suddetto, con tutte le congetture che si ponno cavare dal luogo, come muri diruti, case, colisei, acquedotti di Grumento antico, l'identità del suo territorio con quello di Saponara, il confronto di quelle fabbriche con quella antica della nostra chiesa, che era l'Ara Saponae la statua insigne di Sapona, con corrotto vocabolo chiamata Sansone (oggi da altri chiamata Serapide4), dall'evidenza che è statua di donna e non di huomo,

che quelle memorie antiche erano nelle mura antiche della chiesa dietro il choro e furono levate quando si levò il choro dal luoco antico e le mura si sprofondarono per fare l'archi delle cappelle nuove, e ripulite furono poste nella facciata della chiesa che rovinò.

4 Vedasi quanto detto al Cap. VII, nota n° 1.

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E col nome del fiume Grumentino e di S. Maria e contrada di Grumentino; la poca distanza di Saponara moderna da Grumento antico, dello stesso territorio; la confinanza con Montesano Caputaquen., Montemurro Tricaricen., con lo Spinoso Anglonen. e con Tramutola Nullius5, altre quelle con la diocesi di Marsico. Il sito di S. Laviero con li fiumi Acri e Sciaura che ivi si congiungono, la fama pubblica ed altri adminicoli tali. Ma vi vuol tempo e quadrini.

Questa lite non è di borza stretta come la nostra ed in questa si potrebbe anco avverare per quanto si può la

restituzione delle antiche scritture, per far fascio di quanto si può. La causa di S.Angelo dei Lombardi è similissima alla nostra, è meno fortificata della nostra e pure ha ottenuto

contro quel Vescovo, che ha fatto quanto si può humanamente per superare con l'assistentia juris ed è stato escluso nelli stessi termini nostri e forse inferiori. Così va: della stessa infermità uno guarisce et uno muore: la stessa causa uno la vince et uno la perde. Sentenza d'uomo: "Lapis de coelo cadit et habent sua sidera causae". Preghiamo Iddio che vada la nostra sotto buona costellazione. Intanto, mille volte l'abbraccio e benedico. La perdita di D.Peppo in tanta strettezza e sua e di V.S. m'ha a viva forza cavate le lagrime e dalli occhi e dal cuore. Sia lodato Iddio che così dispone.

Quando V.S. havrà letto e visto tutto farà favore con tutta la presente lettera annessa mandarla a Saponara, acciò anco ivi sappiano quello che si fa, che non ho tempo da moltiplicar lettere; e di nuovo la benedico.

7. Sintesi di tutta la materia del contendere ed elencazione di documenti e testi fatta dal Procuratore della Chiesa di Saponara Alessandro Saracinellus.

Roma, 6 maggio 1631 (leggi 1651). Il fatto e jus è come segue: "Nullius seu Marsicen. jurisdictionis. Stantibus hinc inde deductis Dub. an constet de causis restitutionis in

integrum, vel potius de re judicata in casu etc. N.1 = In Lucania, hodie Basilicata, fuit antiquitus constructa civitas Grumentina, in qua S. Damasus Papa sedem

constituit episcopalem, ut n. l.et colligitur ex Grat., litterae 63, dixt. = Anno 880 versus a Saracenis invasa fuit et totaliter devastata remanente in ruinis ecclesia collegiata S.Mariae Assumptae, illius archipresbyter conservavit jurisdictionem in populum et clerum.

Verum sub anno 954, ad evitandum continuas hostium incursiones, huiusmodi Ecclesia, assentientibus omnibus presbyteris, cum dicto archipresbytero eorum prelato, translata fuit in eodem territorio ad propinquum locum eminentiorem et magis tutum, ubi erat antiquitus Ara Saponae, et novum oppidum construxerunt, quod a Saponae ara appellatum fuit Saponara.

N.2 = Ubi idem archipresbyter jurisdictionem omnimoda semper exercuit , et postmodum presbyteri dictae Saponariae nullum habentem Episcopum vocaverunt episcopum marsicen., uti viciniorem, conveniendo insimul super approbatione Archipresbyteri et super aliis respiciantibus ratum, quae sunt ordinis episcopalis.

5 Montesano appartenente alla Diocesi di Capaccio, Montemurro a quella di Tricarico, Spinoso a quella di Anglona e Tramutola a

nessuna Diocesi (come Saponara).

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N.3 = At publicato S. Concilio Tridentino, anno 1565 interfuit episcopus Marsicen., Martius Medices, hic ad residentiam reversus, plura innovavit, etiam causas ad se trahendo, et postmodum anno 1572, molestare coepit Hectorem Gilibertum, tunc Archipresbyterum, sub praetensa usurpata jurisdictione, ex sola reservatione Concilii, examinando de super testes. N.4 = Ipse vero Archipresbyter, confisus de suis juribus consentit in jurisdictionem, et probata sua quasi possessione, ab Immemorabili, ex viginti quattuor testibus, ut in copia tunc habita in Curia Marsicen. et conservata in archivio (N.S.) nec non aliis scripturis, quae .... obtinuit sententiam favorabilem a Parisio eius Vicario, de anno 1578, in qua declaratur ad ipsum Episcopum spectare omnimodam jurisdictionem, privative quoad episcopum.

N.6 = Anno demum 1607 dictus Parisius jam electus Episcopus, occultando dictum processum, causa commissa in Rota Bo.(na) me.(moria) Manzanedo, ab eo in contumacia Archipresbyteri (qui absque dicto processo non poterat se defendere, nec ex lapsu tanti temporis poterat novam facere probationem super Immemorabili), obtinuit sub unica ecis, eo tantum informante, sententiam favorabilem super omnimoda jurisdictione ad Episcopum spectare.

Postea autem Archipresbyter sub anno 1614, habita ex nonnullis revelationibus notitia de dicta subtratione scripturarum et processus, facta ab Episcopo, adivit Signaturam gratiae et obtinuit causam restitutionis in integrum committi R.P.D. Buratto, coram quo et successive coram Em.Card.Verospio, fuit pluries resolutum denegandam esse audientiam Episcopo ante exibitionem scripturam et processus. Et nuper modernus Episcopus nulliter, compulsatis diversis scripturis et examinatis quibusdam testibus, qui nihil concludunt, obtentaque audientia, reportavit decisiones favorabiles coram R.P.D. meo Richio, super executione sententiae et rei judicatae, et successive expedita causa, antequam processus compulsatorialis Archipresbyter, Neapoli detentus durante revolutione Regni et illius populi tumulta, ad Curiam transportaretur.

Eo demun habito, adita signatura SS.mi. Fuit commissa restitutio in integrum R.P.D. meo Ponenti (che fu Corrado), super qua emanavit dubium praeinsertum, affirmative resolvendum. Constat n. praesertim ex novia scripturis de bono jure d. Archipresbyteri: Primo quod Terra Saponariae non solum non probatur ex adverso, quod sit in Diocesi, vel de Diocesi Marsicana, ut supponunt decisiones contrariae, prout ab Episcopo plane probari debet, uti fundamentum suae intentionis, sed imo constat de contraria. Quia ut dictum fuit, subrogata in locum urbis grumentinae, ubi stabat antiquitus Episcopus Grumentinus, cui scripsit Pelagius Papa in dicto cap. litteris dist. 63 et etiam de eo idem papa in cap. dilectionis 76 dist., et de eadem urbe meminit Gelasius Papa in cap. Christianis et cap. Silvester 11, q.l. Ut patet ex antiquissima memoria in atrio dictae ecclesiae archipresbyterialis Saponariae conservata, de qua N.1 et de translatione illius in Terram Saponariae factam post destructionem Grumenti, cum suo Archipresbytero, clero et populo, de qua in scripturis et historiis N.2.

Quae omnia bene probant, dum versamur in antiquissimis, et stante huiusmodi translatione et subrogatione legitime facta, sequitur quod dicta Ecclesia habet proprium et separatum territorium, ut erat et habebat ipsum Grumentum dirutum, neque dicitur de Dioecesi, nec in Diocesi marsicana, optime Bellon, cons. n. 8, vers.aut distinguitur cum seg. ubi quod destructa civitate seu castro ab hostibus, retinet jura sua, ac si aliud loco illius abrogetur, in istud consequitur jura illius translata, vi subrogationis, quae capit natura subrogati.

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Probat Archipresbyter suam jurisdictionem ab Immemorabili in dicta Terra Saponariae, ex dictis attestationibus supra datis, N.5. et ex sententia Parisii, N.6; constituit proprium et separatum territorium, ut probant testes, N.7.

Electio Archipresbyteri ipsius fieri solita a Capitulo et ab Episcopo confirmari tantum, N.8. Et inde quoque dicitur habere jurisdictionem a jure secundum Abb. in c. decernimus, n.17 de Judic. quam jurisdictionem etiam plene probatam ex dicttis testibus et scripturis retulit metropolitanus Archiepiscopus Salernitanus in sua relatione facta S.E. Episcoporum ex eiusdem commissione, N.9 ubi etiam enunciat processus in causis fabricatos ab ano 1490 usque ad 1577 et respondit bo. me. (bona memoria) Oranus in suo voto n. X. Eo dantur notae diversorum processorum et actorum jurisdictionalibus, nuper compulsatorum ab anno 1406 usque annum 1571, n.11. Ac plures synodi convocationes ab anno 1426 ad annum 1533, confirmatas etiam de anno 1630, N. 12. De quibus etiam deponunt testes N. 13. = nec non de licentiis datis suis subditis exercendi et eundi extra territorium et Diocesis deponunt testes n.14. = in quibus simul junctis probari videtur Saponariam habere territorium proprium et separatum, omnimodamque jurisdictionem extare penes Archipresbyterum, ut in eisdem terminis fuit resolutum in S.Angeli Lombardorum 6 Maij 1637, coram bo. me. Pirovano et Jo. Februarii, 5 junii 1640 coram R.P.D. meo Putingerio. Nec obstat quod dicatur, quod cum processus originalis dictorum testium fuerit deperditus, copia nunc compulsata non probat; nam cum sit extracta ab Actuario Curiae marsicen., anno 1578, ab eodem Parisio subscripta et per testes recognita (N.15) probat, ac si esset originalis, praesertim stante amissione seu occultatione processus, sequta culpa Episcopi, cuius existentia tunc ab ipso non revocabatur in dubium, quodque in eo continerentur jura Archipresbyteri et deficiat culpa Episcopi, prout Rota pluries firmavit in decisionibus, quarum particulae dantur N.16, sicut etiam quod ex dictu processuesset probata immemorabilis, expresse legitur in relatione Archiepiscopi Salernitani et voto Orani, d.n. 9 et 10 canonizatis coram Buratto 16 januarii et 13 junii 1617, quorum testium depositiones coadiuvantur, etiam ex actis judicialibus supra datis N.11 et seg.

Hinc currunt decisiones datae coram Buratto 578 et coram R.P.D. Bichio, extensae in favorem D. Episcopi, tam super existentia dictae Terrae in Dioecesi quam super jurisdictione Episcopi. Nam dicta decisio Buratti, Episcopo tantum informate, super existentia intra fines, corruit ex facto: necdum quia hodie probamus duos dixtinctos Episcopatus, alterum Marsicen., alterum Grumentinum, in quo erat haec Ecclesia Collegiata S. Mariae, translata in Saponaram, verum etiam quia decisio fundatur tantum in fratis enunciativis et scripturis quae nihil officiunt, ut breviter percurram.

Enunciative n. et confessione factae ut dicitur ab Archipresbytero in suis litteris de anno 1606, et sic post litem ut supra motam de anno 1572, nullius sunt momenti, cum praesertim hodie principaliter de enunciato ipso dubitatur.

Eoadem modo tollitur altera illa confessio a Presbyteris adunatis facta anno 1592, quod procuratores ecclesiae reddebant rationes administrationis episcopo tanquam emissa lite pendente et stante etiam quod contrarium probant testes anno 1572, qui dicunt administrationis rationes fuisse redditam ipsis Capitulo et archipresbytero, N.17. Concordia inter Episcopum et Archipresbyterum super cathedratico eodem anno 1592, inita, eodem vitio laborat, stante edicta lite, et praecipue quod ex prioribus decretis Curiae metropolitanae Salerni de anno 1330, 1368 et 1466, fuit iniuctum Episcopo ne Capitulum molestaret, et ex testibus de anno 1572 apparet non deberi, N.17. Collatio Archipresbyteratus, ut praetenditur facta Hectori Giliberto non habet fundamentum, quia oppugnata a Capitulo, ex cuius parte ipse Gilibertus fuit electus, et uti talis et non aliter acceptatus ut ex instrumentis publicis et testimonium depositionibus N.19.

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Confirmationes electionum archipresbyterorum factae ab Episcopo non impugnatur, sed dicimus fuisse factas non jure ordinario sed ex conventione facta inter Capitulum et Episcopum viciniorem, prout probant testes (dati n.i 3, 7ed 8). Duo testes coram A.C. examinati 1590 (anno) nihil probant, nam q. deponit de jurisdictione Episcopi tamquam in Diocesi ab anno sex retro, et 2 de visitatione ab annis duobus cum dimidio, n.20, et sic post dictam item anno 1572, motam et sententiam latam anno 1578, in qua de facto aliqui actus jurisdictionales fuerunt reservati Episcopo et S.C. Episcoporum, causa ad eam devoluta post dictam sententiam de anno 1578 decrevit per modum provisionis jurisdictionem fore exercendam cumulative ab Episcopo et Archipresbytero, de qua possessione per eum continuata deponunt etiam testes ipsi coram A.C. examinati dicto n. 20. Votum Orani fuit pro hac parte et enunciativa lite pendente emissa de ecclesia Saponariae dioecesis Marsicen. stat demonstrative ad punctum causae p. discutiendum, ut sup. N. 10, ubi plures excitantur difficultates. 6. in ecclesia Saponariae Marsicen. Dioecesis sit Collegiata…

Sententia Episcopi Caputaquens. delegati a S.C. solummodo suspendit Archipresbyterum eo quia concesserat dimissiones contra Concilii dispositionem, remittit tamen causam in reliquis jurisdictionem tangentibus et respicientibus ad judicem, coram quo lis erat coepta, N.22.

Processus a Curia Neapolitana fabricatus super Decimis a clero Saponariae solvendis et Episcopo Marsicen. addictas ad hoc in Dec. Coram D. Bichio, 18 febr. 1647, ultra quod est fabricatus de anno 1581, et sic post litem. Respondimus hanc solutionem decimarum in Terra Saponariae fuisse solitam et consecutam in conventione facta cum dicto Episcopo, uti viciniore, ratione ministrationis eorum quae sunt ordinis episcopalis, N.18, quae solutio non impugnatur quando ea ministrentur.

Non obstat quod ad probantum fines dioecesis, admittantur conjecturae et praesumptiones, quia cum Episcopus sit actor, tenetur plene et concludenter probare situationem intra fines suae dioecesis, si aliquam jurisdictionem praetendit. Cap. omnes Basilicatae 16, q.7, c. conquerente de Off.Ord. et late firmatus in dictis decis. S. Angeli Lombardorum, coram bo. me. Birovano, et Peutincerio, eoque magis stantibus dictis contrariis affirmationibus Capituli et Archipresbyteri, eiusque possessione continuata in exercitio jurisdictionis, quemadmodum fuit ponderatum in dicta causa S. Angeli Lombardorum.

Decisiones vero R.P.D. mei Bichi firmant jurisdictionem spectare ad episcopum per assistentiam et probationem. Assistentia tum penitus tollitur, ex ipso quod non probatur assistentia Saponariae intra fines Marsicen. imo e converso probatur existentia in episcopatu Grumentino, atque esse vere ipsum Grumentum, antiquo subrogatum, et ecclesiam Grumentinam translatam in Saponaram.

Probationes vero relatae in decisionibus consistunt in nonnullius scripturis et testibus nihil concludentibus, ut infra

scripturae n. ante dictam litem anni 1572, non sunt in forma probandi excepta sententia lata in 2a instantia per Vicarium Marsicensem anno 1544, inter Caesarem et Nicolaum Malerbam, quae potius probat contra partem adversam, quia illa causa in prima instantia fuit cognita et decisa ab Archipresbytero et appellata ad Episcopum, ut in dicta sententia, Relatione Arch.ri Salernitani et testibus n.23. Nec non controvertitur ad Episcopum spectare causa in 2a instantia, sed in prima, quae solum spectat ad Archipresbyterum, a quo appellatur ad Episcopum, ut probant testes dati N. 5 et 23.

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Testes coram Manzanedo examinati de anno 1604, quadraginta sex annis post motam litem, post sententiam Parisii, post provisionale decretum S.Congr., post multa attentata Episcopi ab A.C. revocata, deponenetes de deputatione Vicarii foranei et jurisdictionie exercitio per eos nomine Episcopi, restringuntur ad tempus post publicationem S.Conc.Trident. et regressus Episcopi Martii ab eo cui interfuerunt et ex quo motivum sumpserunt perturbationum et deinde litis. Unus dicit: "A tempo di Mons. Martio"; unus indixtincte, alius expressius, hoc coeptum a 40 annis retro et sic quatuor annis ante litem, et sic in praeparatoriis ad eam, ut clare deponunt et declarant testes antiquiores et de facto propinquiores examinati de anno 1572, et omnes deponunt de jurisdictione Archipresbyteri ab immemorabili N. 24. Et licet ipsi testes coram Manzanedo propter defectum aetatis non concludunt ipsam immemorabilem per 40 annos de visu ante litem, tamen bene probant a 40, 50 et 60 annis retro, usque ad annum 1608, in quo deposuerunt, continuationem possessionis et exercitii de visu et auditu a tempore immemorabili ut dicto N. 24, in principio.

Praeterea cum testes de anno 1572, dati n.5 deponunt de visu ab annis 50 et supra et duo nempe quartus et undecimus qui erant annorum 90, dicunt de annis 60 in 70 et Xi supra 70, et omnes de auditu supra 100 et 150, cum fama publica et coeteris aliis requisitis probant immemorabilem Archipresbyteri completam ante ann. 1550, et sic tam dicti testes coram Manzanedo quam alii coram D.Bichio, et quocumque acta Episcopi post ann.1550 non officiunt immemorabili jam completae ex decr. Alb. In cap. auditis de conscrip. N.10. Eamque ante tempus praedictum completam comprobant acta jurisdictionalia ab anno 1406 et 1490 et convocationes synodorum ab anno 1426 datae n.6, 11 et 12. Aliae scripturae prima vice compulsatae ex adverso sunt informes, prout Nota resolvit, coram eodem D.Bichio, die 5 martii 1646, eo sic non probant nec faciunt adminiculum cum adminicula debeant esse in sua specie perfecta. Nec minus sunt informa probanti jura alias exibita coram Manzanedo, quia ob id fuerunt cor. Eodem rejecta in Decis. 8 Maij 1607 et iterum coram Buratto 16 Januarii 1616 (3), ut in particulis decis.n. 25. Jura demum reportata seu extacta ex Metropolitana Curia Salerni ex exhibita coram R.P.D. Bichio, nihil probant tamquam gesta ab Episcopo de anno 1580 et 1586; et sic post dictam litem notam anno 1572 ; nam actus jurisdictionales lite pendente gesti non officiunt. Unus ante litem inter illos de Malerba ut supra, fuit pro Archipresbytero, in prima istantia, ut dictum est.

Alia jura secondo loco legitima compulsata coram eodem R.P.D. Bichio, minus relevant, quandoquidem requisitio per Episcopum facta mediante nuncio apud presbytero Capituli, lite pendente, coram Metropolitano super confirmatione electionis Archipresbyter, ut deputaret alium in locum Johannis Capitulariter electi, non est facta jure ordinario, et preceptive, sed precario, neque habuit effectum, quia presbyteri contradicendo responderunt in Capitulo adesse seniorem, ad quem spectabat ministerium, N.26. Alter vero acus intimationis exequutae contra Capitulum super deputatione D. Nicolai, in locum Archipresbyter facta a metropolitano multo minus suffragantur, quia non est actus Episcopi, sed metropolitani, et Capitulum contradixit, allegando quod ministerium spectabat ad P. Leonardum seniorem de capitulo, tam circa divina quam circa causas spectantes ad officium archipresbyteri (N.27), sed etiam quia postmodum fuit in Curia confirmata electio archipresbyteri facta a Capitulo, per quam evacuit decretum Metropolitani ut n.38.

Transactio demum anno 1572, inita cum Episcopo super ducatis 30 pro 4° decimarum et sepultura, ac pro expensis visitationis; ultra quam quod facta est lite pendente est ad tempus at tamen nihil ad jurisdictionem, quia capitulum non controvertit hanc praesentationem Episcopo, ut viciniori, pro administratione eorum quae sunt ordinis episcopalis, de

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quo etiam deponunt testes eodem anno examinati et superius dati n. Testes tandem examinati coram R.P.D. meo Bichio, ex adverso de anno 1641, non officiunt, quia non deponunt,

nec deponere potuerat de tempore ante litem motam de anno 1572, cum ad hoc tempore usque ad diem examinis effluxerunt anno 69, et ab innovationibus ut sup.n.24 de anno 1566, anni 75, et testes non habent tantam aetatem ut possint deponere de gestis ante illud tempus de visu, cumque etiam plures deponunt de auditu et non dicunt de tempore ante litem, nec a quo audierunt, n.29, minus probationis, imo de eo quod audierunt post litem neque faciunt aliquam praesumptionem. Rursus dicti testes non redderunt causam scientiae, et in pluribus convincuntur de mendacio, signater in eo quod dicunt: Lucium Pulcinellam et Bernardinum Gilibertum exercuisse jurisdictionem ut Vicarios Episcopi, non uti Archipresbyteros; nam Lucius Archipresbyter non fuit Vicarius, sed ante fuerat, obiit anno 1545, de quo tempore non possunt deponere hi testes, nam dum examinati anno 1641 fluxerunt anno 94. Bernardinus, licet vero fuisse Archipresb. et Vicarius Episcopi, non tamen fuit Vicarius Episcopi terrae, ut erronee dicunt testes; neque naturaliter esse potuit, quia Angelus creatus Episcopus anno 1574 et Fera anno 1584, et sic ambo post mortem Bernardini defuncti anno 1565, ut ex instrumento electionis Hectoris per eius obitum dicto anno 1665, dat.sup.N.19. Vivens autem cum esset Vicarius Martii exercuit jurisdictionem in terra Saponariae per suos locumtenentes, ut in sum.N. 5 sup. et clarius deponunt testes supra examinati coram bo.me. Manzanedo n.31. Ideoque testes partis adversae uti Mendaces repellentur omnibus.

E converso praevalere debet probatio Archipresbyteri, qui ostendit Episcopum Grumentinum diversum esse ab episcopo Marsicano, n.1 et 2, et Saponaram vere esse Grumentum, ubi translata reperitur Ecclesia Collegiata, cuius Archipresbyter semper exercuit jurisdictionem ab immemorabili, constituendo proprium et particularem territorium, ut constat ex testibus datis n.5 et patet ex aliis juribus datis n. 6 et seq. Per totum n.14, et propterea remanet sublata omnis juris assistentia et quaecumque juris probatio pro Episcopo adducta, ita ut nullum jus ei competit, praeter ea quae ex conventione antiqua cum collegio et Capitulo Saponariae fuerunt permissa et promissa, de quibus testes sup.n.3,7,8.

Neque imputando Archipresbytero quod usque nunc praedicta jura producta non fuerunt, ne ea utique produxisset archipresb. Cioffus ante sententiam Manzanedi, si processus et acta a tunc Episcopo non fuissent a S. Congr. Episcop. subtracta, delata et inde deperdita, prout probant particulae decisiones datae n.16. Et modernus Archipresbyter produxisset ante ultimam decisionem et causae expeditionem coram D.no Bichio, si processus compulsatorialis ultimo loco, in subsidium deperditorum jurium fabricatus, fuisset expectatus, proutexpectari debebat, cum compulsoria fuisset expedita citata parte et consultato judice in Curia.

Praeterea et si satis credatur ex sup. deductis et datis esse probatem intentionem Archipresbyteri etiam speratur (si fuerit ex DD. Praeclara justitia aperta via) in progressu causae plenius posse probari. Cum his diebus notitia habuerit partem dicti processus ex S.Congr. subtracti, viam secretam ad Urbem transmissum ex partibus ad eamdem S.Congr. reportandam unde haberi poterit et in Rota produci:

Quare…omissis…Alexander Saracinellus.

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8. Invettiva del Ramaglia contro il Dio Denaro adoperato per corrompere Donna Olimpia e causare così la perdita della Giurisdisione da parte della Chiesa di Saponara.

Ma che? Fatiche fatte al vento, sudori sparsi invano, avvegna che "durum erat contra stimulum calcitrare", per i motivi addotti di sopra, quali servendo per velame alla maledetta ragion di stato che pendea dall'arbitrio e domicilio della riferita Donna Olimpia, che a tutto impegno il Vescovo proteggeva, furon causa che la Rota disse: "constare de re judicata sententiae Manzanedi": locchè fu il tracollo delle defatigate speranze dello stanco Arciprete, sospirante

Capitolo ed anelante Saponara tutta. Chi era colui che a tanta potenza resister possuto avesse? Dalle procedure di quel dominante rammentato sopra, potentissima protezione dell'avversario, altro sperar non si poteva che la perdita della causa e quattrini.

Ove ne girono tante resolutioni, tante decisioni di Buratto e Verospio, appoggiate su di validissime ragioni che cantavano a pro dell'Arciprete, denegandosi la udienza al vescovo per il processo dal suo predecessore sottratto? Forse non erano quei ministri di quel tempo versati nella giurisprudenza e consapevoli di quanto dalle parti si adduceva? Gl'inganni, le versuzie, i diversivi son allo più il mezzo di vincere le cause; ma per lo più l'humano rispetto, la maledetta cupidigia: così ella va. Ben lo disse lo stesso mons. Danio nella trascritta lettera: "La stessa causa uno la vince l'altro la perde, et habent sua sidera causae". Ma queste costellazioni giammai dipendono dalla

giustissima bilancia di Astrea, ma dall'infame Nume di Cupido, che fa aver le traveggole a chicchessia, pochi eccettuati, per il fine del proprio interesse, proprio avanzo; convenendo a questo proposito ciò che lasciò scritto Euripide in Ixion, riferito da mons. Carlo Marant. Nel cit. Tract. defens. pro Ecclesia Juvenac. legato dopo i depositi al n. 82: " Quisquis ambitiosum et avarum ingenium habet, = Nihil ille justum sapit, neque cupit, = Difficilisque est amicis et toti civitati". Sicchè la cupidigia è madre dell'ingiustizia, e questa quanti mali partorisca, li descrisse Verino poeta, rapportato dal cit. mons. Maranta, n.81: "Nihil injustitia misere est infestius urbi, = Funditur haec muros, vertitur ipsa domos", ed Euripide in Herculeont.: "Equidem hanc sententiam jam olim approbavi, = Quod vir justus natus sitt in proximi commodum; = Contra cuius animus inclinatus est in lucrum, = Et amicis inutilis est, et diffcilis in commerciis".

Maledetto denaro, scomunica della puntualità, censura della fede, pensione della quiete, burrasca della mente, naufragio dell'anima; non v'è fiamma di rissa che non si stuti con denari; non v'è odio che non fomenti, nè furberie che non consigli. L'onore si compra con peso d'oro, coll'armonia della moneta si reconcilia l'Amore; la fedeltà per i soldi si perde; e la giustizia si misura in bilance d'argento.

Proteo dei metalli si cangia ogn'ora in varie forme; formidabile guerriero, abbatte robustezza di rocche più con i lustri dell'oro che con lampi di spada. Rettorico per effetto, senza parlare persuade ognuno: "Auro loquente, iners est omnis ratio". Persuadet et non illud etiam si voce nullum edat" (S. Gregor; Nazianz.in Eleg.). Pescatore famoso che

fa preda degli animi umani (autentic S. Ambrog. Off.1.2.cap.21). Monarca dei cuori se un mondo intiero a' suoi cenni obbedisce: "Pecuniae obediunt omnia", dice lo Spirito Santo,

cap.10, n.19. Sferico di figura, si dipinge uno zero, e pure assaissimo; tondo tondo, perchè s'agguagli alla luna; se manca il meglio li si imprime forma di Re, ma con colpa di Reo. Egli solo sbaraglia la mente, mette i cervelli a partito,

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conculca i forti, confonde i savi, consegliero de frodi, autore d'inganni, ministro de sanguinose battaglie. "Propter pecuniarum possessionem omnia proelia nobis fiunt" (Plat. In Phedr.).

Per il denaro infine si baratta l'amore, la coscienza, l'anima, la fede e riniega Dio. Il denaro non fa mai riposar l'huomo, onde Filippo Re d'Aragona, havendo ricevuto quarantamila ducati, tutta la notte travagliò a prender sonno, angustiato dal pensiero, in che applicar lo dovesse, si vide in tanto affanno, che, chiamatisi li familiari di Corte, l'aprì le casse e con prodiga mano li divise la moneta, dicendo: "Accipite et inter vos dividite". Doppo che si ebbe sbaligiato gli scrigni, soggiunse: "Jam recessit a me carnifex, qui me flagellavit; nunc securus quiesco" (Riferisce. Aless. Silvan, lib.4, com.in Alphon.= Dal cavalier romito).

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CAP. XXIX

MONS. DANIO RASSEGNA L'ARCIPRETURA IN PERSONA DEL CANONICO FRANCESCANTONIO LAURIA. MONS. CIANTES RINUNCIA AL VESCOVATO E DON POMPEO BISIGNANO RIVELA IL PROCESSO STRACCIATO DA MONS. PARISI, CON ALTRI FATTI NOTABILI.

1. Pompeo Bisignano, di Moliterno, nipote del Vescovo Ascanio Parise, restituisce alla Sacra Congregazione dei Vescovi le carte del processo sottratte dallo zio, con una lettera di accompagnamento.

Nel mentre agitavasi la lite nella S. Rota, siccome si è divisato, D. Pompeo Bisignano di Moliterno, nepote del vescovo Ascanio Parisi, delle di cui pessime procedure era stato a pieno inteso, intorno alla sottrazione e lacerazione del processo, venuto a morte, non potè più celare locchè celato avea per tanti anni, in pregiudizio del Capitolo, per cause prevate e frivole, laonde per mezzo del suo confessore rivela alla S.Congreg. il fatto succeduto e le rimette quello straccio di processo scampato dalle indegne non che scomunicate mani del Parisi, quando leggendolo ne lacerò moltissime carte, e lo sa Iddio se anche costui, non havendo revelato a dovere e non havendo restituito subito lo straccio per mala soddisfazione avuta dall'Arciprete, per l'interessi accagionatili sia salvo; parendo ragionevole ognuno e lecito per qualsivoglia causa cagionare interesse e capriccio, e poi non darne conto a Dio, non restituirlo all'interessato, la copia di questo straccio si conservò dal suddetto D. Paolo Danio, ed in quello si legge la lettera con rivelazione, con quel che siegue:

"E.mi e Rev.mi Sig. Cardinali della S. Congr. sopra i Vescovi, Io D. Pompeo Bisignano, della terra di Moliterno, Diocesi di Marsico, espono e revelo alle EE.VV. come, essendo stato trasmesso a codesta S. Congr. un processo originale fabbricato dall'Arcivescovo di Salerno, delegato di essa S.Congr. sopra le differenze jurisdizionali che vertono tra mons. Vescovo di Marsico e l'Arciprete della Saponara, dopo molti anni, ad istanza dell'Arciprete, fu commessa la causa in Rota nel 1604. Per lo che mons. Ascanio Parise, mio zio, allora Vescovo di Marsico, si conferì in Roma, ed infra gli altri lo accompagnai: dove giunti, detto Vescovo, per mezzo di un tale chamato Girifalco fece levare detto processo dalla Segreteria di detta S. Congr. prima che dall'Arciprete fosse stato richiesto e portato in Rota, ed io andetti con il d° Gio. Battista Galotto, anco nipote di d° Vescovo, di suo ordine, in casa di d° Girifalco, quale ci diede d° processo, ed il detto Galotto gli donò a nome del Vescovo una quantità di testoni, quale processo lo portammo al Vescovo, e tutti insieme lo scartammo tutto, e femmo un notamento di quanto conteneva, e per parte dell'Arciprete vi erano molti processi originali, formati nella Corte per lo spazio di 100 anni circa, in ogni genere di cause prodotte avanti detto Arcivesc. Di Salerno, ed un processo fatto nella Curia vescovile di Marsico in detta causa, con una quantità di scritture antiche. Per la parte del Vescovo vi erano certi processi antichi e moderni, con certi notamenti, ed in ultimo vi era attaccato un processo per detto Arciprete e suo Capitolo, avanti detto Arcivesc. metropolitano di Salerno, chiamato Marcantonio Colonna, mandato ultimamente a detta S. Congr., quale tutto unito d° Vescovo pose in un sacchetto e per il detto Galotto lo mandò in potere del suo Procuratore, che si chiamava Michele Bellini, e quando si scoprisse questo fatto potesse esibirlo, e poco dopo partimmo da Roma e ritornammo in Moliterno, nostra patria, da dove, quando ebbe

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avviso che il detto processo non si era scoperto e che l'Arciprete, non trovandolo in Congr., disperato, avea preso remissoria dalla Rota per far nuove prove dell'Immemorabile, e partito da Roma era già gionto in Napoli, mandò un suo nipote confidente, chiamato D. Felice D'Alessandro dal d° suo Procuratore che con segretezza li portasse detto processo, come in effetto fece, riportandolo nello stesso sacchetto, come già rivelai alla scomunica pubblicata per parte dell'Arciprete, dopo la morte di d° Vescovo Parise, avendo solo il d° procuratore Bellini ritenute le scritture del Vescovo e certe poche dell'Arciprete. Quando il vescovo ebbe detto processo, si pose per molti giorni a rileggerlo, e poco dopo bruggiò in una volta tutti li detti processi delle cause conosciute dall'Arciprete e le scritture antiche, e cominciando di nuovo a leggere il processo fatto nella Curia vescovile di Marsico, dove l'Arciprete del tempo con molti testimoni havea provato l'Immemorabile, esso Vescovo, allora Vicario, l'avea sentenziato, leggeva, stracciava le buttava nel fuoco; e credo che l'averia bruggiato tutto. Ma un giorno una sua nipote chiamata Maria Parise, che era maritata nella Saponara ed allora si trovava in casa di detto Vescovo, con animo più che virile, vedendo tale azione, come un S.Paolo "restitit in faciem eius", redarguendolo con parole assai pungenti, per le quali se pure il Vescovo allora si stizzò e diede nelle furie con fatti e parole contro detta sua nipote, ad ogni modo, in se reversus, non seguì a bruggiare, ma quella poca parte che del processo era rimasta, insieme col processo fatto avanti il metropolitano, come ho detto, ultimo mandato alla S. Congr., remise dentro un suo scrittoio dove stette fino che morì, e nello stesso giorno di sua morte, che fu ai 23 aprile 1614, un suo nipote, chiamato Cesare Parise, figlio di un suo fratello, scassò il detto scrittoio, ed insieme con una quantità di denari, si prese i processi in mia presenza, che teneva tutta la cosa in mano, e dopo poco tempo mi disse di averli dati all'Arciprete della Saponara ed avutane certa quantità di denari, ed io, prestatoli fede, così deposi avanti l'E.mo Card. Caraffa, allora vescovo di Tricarico e giudice remissoriale deputato dalla S. Rota ad istanza dell'odierno Vesc. di Marsico. Ma poco dopo, dentro una quantità di scritture di Claudio Parise, fratello del detto Cesare, detto residuo di processo, fatto nella corte vescovile di Marsico, mi capitò nelle mani, da me riconosciuto benissimo, essendo scritto di mano del Sig. Notaro Alessandro de Petrellis, e da me molto noto, in tempo che scriveva da attuario da mons. Parise, allora Vicario generale di Marsico; quale residuo di processo ritenni in mio potere, nè ho voluto mai pubblicarlo, sì per non disgustare mons. Vescovo mio superiore, come per non dar gusto all'Arciprete odierno. tenendomi mal soddisfatto per certo arresto fattomi gli anni passati nella Saponara di suo ordine, benchè con termine di giustizia

Al presente è piaciuto a Dio vero Padre di misericordia, in quest'ultimo di mia vita, aprirmi gli occhi e farmi conoscere il mal fatto.

Onde col consiglio del mio padre spirituale ho determinato di rimandarlo alla S. Congr. donde intero levato, ho commesso ad esso mio padre, stando io vicino a morte, la diligenza di capitare, sicuramente indirizzandolo all'E.mo.sig.Card. Carafa; quale anco supplico in questa mia a far questa carità all'anima mia, confidato nella sua cristiana pietà. Questa parte che si manda, Emi. Sg.i, è di fogli 31, cominciando dal foglio 33, che comincia "così ho visto in tempo di mia età", e segue tutto il foglio 40, che finisce " P.M. Vicarius generalis", contiene. Mancano poi molti fogli e ripiglia dal fol. 80, che è duplicato, e comincia "Interest", f. 15 e segue per tutto il f. 89, che finisce "Hanno eletto il loro arciprete". Contiene altra fine deposizione, due intere ed una compita; mancano molti altri fogli e ripiglia dal f. 137, che comincia "sono stato figliuolo" e termina nel f. 149, che finisce " Mons. Alexander de Petrellis Locumt.s Curiae E.palis Marsicen." con il suo segno. Contiene anche il fine di una deposizione e quattro altre intiere, molti atti

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ordinatorii con sentenza ed istromento di quella con la confirmazione del Vescovo e lettere dell'arcivesc. Di Salerno per la trasmissione, e nel fine vi è attaccata con ostia rossa una lettera del vicario di Marsico a mons. Arcivesc., al d° responsiva sopra la trasmissione di detto processo, che comincia: "Ill.mo e Remo. Signore", e finisce "L'arcidiacono e vicario generale". E revelo di più: Che il processo intiero fatto avanti il metropolitano di Salerno....

In margine al foglio 330/recto, che dice così: "Dunque il processo originale che restò all'arcivescovo pure fu tolto dal Parise, scommunicato!"

…omissis… che ho detto di sopra, nel medesimo tempo fu pigliato da un giovane, che avea servito il detto Claudio, nella terra di Albano, quale diceva di essere della diocesi di Potenza, che non mi raccordo il nome, e per molto che io lo pregassi, con offrirgli anche denari, non me lo volse mai dare. Tutto questo ho voluto puntualmente esprimere, Emi Sig.i, per iscarico di mia coscienza e chiarezza della verità, con l'aggiunto conseglio e diligenza del d° mio padre spirituale, e per mano di detto mio padre, non potendo io scrivere per la gravezza del male.

In Moliterno, li 10 giugno 1650. D. Pompeo Bisignano."

2. Delle rimanenti carte trafugate del processo vengono fatte varie copie. G. Francesco Danio, rassegna l’Arcipretura nelle mani del Canonico Francesco Antonio Lauria (o De Laurea).

Gionto l'enunciato processo o sia straccio di quello con la suddetta lettera nella S. Congr. ed in mano del di lei segretario Mons. Albrici (deve leggersi Altieri)1, da costui fu rimesso nella Rota, ed in mano di Mons. Giacomo Corrado, che poi fu Cardinale; il quale ne fa l'attestato come siegue: "Queste scritture mi furono mandate nell'anno 1651 dal mons. ill. mo Albrici, segret. Della S. Congr. delli Vescovi e Regolari, a me come Ponente della causa Marsicen. Jurisdictionis, vertente in Rota Rom.tra Mons. Vesc.di Marsico ed il Rev. Arc. di Saponara.

Die 16 januarii 1652 Giacomo Corrado".

Di questo straccio di processo e lettera se ne fè estrarre copia autentica, qual fu presentata in Rota ai 20 Xbre 1688, essendo ponente della causa Mons. Aloisio Bevilaqua; dalla qual copia nel 1681 D. Angelo Cavallo, Arciprete di Saponara, ne fè estrarre altra copia, facendola legalizzare dal Rev. D. Persiano di Cona della città di Marsico, come siegue: OMISSIS

Questa copia rattrovasi nell'archivio della nostra Collegiata, e prima conservata dal riferito sig. D. Carlo Danio, per memoria dei fatti.

Ma ritornando a Mons. Danio, questi, veggendo che la causa della giurisdizione andava di male in peggio, con

tutto che di bel nuovo si fosse appellato dalla suddetta sentenza, non potendo soffrire che, ritornando alla sua patria e residenza dovesse stare da semplice parroco e soggetto al suo rivale, quando prima era stato Prelato con l'uso dei pontificali, volle trattennersi tuttavia in Roma; ma non potendo non risiedere nella sua chiesa, rassegnò l'arcipretura

1 Monsignor Emilio Altieri era Vescovo di Camerino e Nunzio Apostolico. Nella Pergamena n° 56 della Chiesa Collegiata, del 28

Febbraio 1652, (Cfr. V. Verrastro, op. cit., pag. 259) , il medesimo dà mandato a tutti i subcollettori e commissari del Regno di Napoli di non osare molestare Giovan Francesco Danio, Arciprete della Saponara. Rogatario il Notaio Antonius Blancus.

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in persona del Canonico D. Francescantonio Lauria2 della nostra città, suo alunno, e ne fè spedire dalla S. Dataria le Bolle nel 1655, quali originalmente ancora si conservano nell'accennato archivio, e fu provveduto "tamquam de Collegiata", e lui, cioè mons. Danio, essendo già conosciute le sue rare virtù e bontà di vita e gran sapere, dopo di aver ricusato la promozione ad un Vescovato, che il Sommo Pontefice Alessandro VII voleva conferirgli, fu fatto penitenziere di S. Pietro ed esaminatore sinodale, siccome la voce e la fama ancora ne percorre e con tal più che onorata carica passò di questa vita nel 1668, come dirassi avanti.

Frontespizio del Libro dei Battezzati (1660-1672) iniziato dall‟Arciprete Francesco Antonio De Laurea (o Lauria)

“Liber Baptizatorum Universitatis Saponariae inceptus in Anno 1660-72. Tempore Archipresbiteratus patris Illustris et admodum Reverendissimi Francisci Antonij de

Laurea.

2Nei Libri della Collegiata è detto De Laurea.

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3. Giuseppe Ciantes rinunzia alla carica di Vescovo di Marsico e gli succede nel 1656 Angelo Pinerio di Montefiascone.

Il Vescovo Ciantes, guidato dalla sua grande ambizione di maggior potenza, con la speranza della sua gran protettrice3, pensando di passare al altra chiesa più pingue, rinunciò a quella di Marsico, e frattanto infermatosi4 Innocenzo X e passato da questa vita, cessarono le protezioni, finirono i suoi avanzi, e da camaleonte che succhiava l'aere della speranza diventò semplice topo mal veduto e quasi incognito ecclesiastico. Camminando molte volte per quella città, incontratosi col nostro arciprete Danio, sempre ripeteva questo motto: “nè io, nè voi",

volendo intendere al governo della nostra Collegiata, per cui tanto contrasto passato havea .. Ma il Danio non si arrossì giammai replicargli essere a quello ciò accaduto per divina permissione e di S. Antonino; per le moltissime falsità e stratagemmi usati contro la verità sconosciuta, perchè credessi volar senza penne era cascato in terra qual temerario Icaro, non potendo ottenere dal succeduto Alessandro VIII altra promozione, ma in suo luogo fu creato Vescovo di Marsico Angelo Pinerio5 della città di Montefiascone, nell'anno 1656: il quale non abbandonando le imprese dei suoi antecessori, volle anch'egli travagliare la nostra Chiesa, per ridurla semplice parrocchiale. Ma S. Antonino, qunatunque permesso avesse la perdita della giurisdizione, giammai però ha potuto sostenere, nonostante le fierissime scosse inferte dai Vescovi, che l'antico lustro di Collegiata perduto avesse.

Il predetto Lauria, provvisto dalla Dataria dell'Arcipretura, ne prese il possesso nel detto anno 1655. Il Vescovo, poco curando di tale apostolica provvista, volle lui metter mano nella colazione dell'Arcipretura, siccome fece, in persona del R. D. Roberto Corsaro della Saponara, suo affezionato, come di semplice parrocchiale. Ma temendosi di qualche violenza che il Vescovo volesse usare contro l'Arciprete possessore, costui ebbe ricorso dall'A.C., da cui ottenne per osservanza delle bolle apostoliche il mandato “de manutenendo”, e propriamente da mons. Odoardo

Vecchiarelli sotto li 4 agosto 1659, come speciale delegato per la esecuzione delle lettere apostoliche, e con tal mandato si conservò nel possesso. Ma essendo il Lauria stato chiamato da Dio all'altra vita nel maggio 1662, il Vescovo non perdè tempo nel voler provveder lui l'Arcipretura. Al qual effetto spedì editto per il concorso, nominando la nostra chiesa parrocchiale; e come che il riferito Corsaro non havesse potuto prima ottenere il suo intento, volle il Vescovo suo favorevole che fosse concorso alla vacante arcipretura: come già fece, e perchè era solo, ed haveva il favore del Vescovo, fu già approvato. Ma perchè il Vescovo stimava che le bolle si dovessero spedire dalla S. Sede, perchè la vacanza era succeduta in mese riservato, sorrettiziamente fece ottenere dalla medesima S. Sede le bolle "tamquam de parrocchiali" sotto li 22 luglio 1662.

3 Ovvero Donna Olimpia, cognata del Papa Innocenzo X.

4 Ammalatosi.

5 Vicario Generale di Viterbo. Tenne la sede vescovile di Marsico sino al 1671.

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4. Muore nel 1662 Francesco Antonio De Laurea ed il Vescovo Pinerio tenta di nominare direttamente il nuovo Arciprete.

Laonde e per farne seguire l'effetto, mandò il suo vicario generale, in quel tempo N.D. Giacomantonio Parisi, di Moliterno, a dare il possesso a detto Corsaro, il 1° settembre di detto anno. I RR. Capitolari, non potendo soffrire contanto scorno e vituperio inferirsi alla loro chiesa, si opposero con gran virilità a quell'atto, siccome già fecero all'editto, protestandosi di non voler acconsentire ed appellandosi da qualunque innovazione si facesse, mediante pubblico atto per mano di Not. G.B. Padula delal Saponara, ed incontinente ricorsero in Roma per la rivotazione dell'attentato. Il Corsaro, però, arrossito da continovati ed innumerabili rimbrotti che se li faceano e da preti e da scolari a causa che per fine suo privato faceva fare un pregiudizio sì grande alla sua Chiesa, che non ancora perduta aveva la speranza nella lite che ancora pendeva nella Rota romana, da sè rinunciò all'Arcipretura6, e per non esser mostrato a dito come traditore delal sua chiesa, volontariamente assentandosi stiede molti anni lontano dalla patria e casa paterna; ed il Vescovo, proseguendo il suo impegno, provvide l'Arcipretura in persona di un tale D. Apollo di Viggiano: a chi sortì la stessa disgrazia del Corsaro. Laonde per molti anni la chiesa fu governata da economi; nè vi è notizia da chi fossero stati creati.

6 La rinunzia non fu spontanea. Nella pergamena n° 58 del 16 Settembre 1662 (Rogatario Sebastianus Pasquettus, notaio della

Camera Apostolica) il Referendario del Papa Paluzio Albertonio notifica al Corsaro e a Giacomop Antonio Parisi di non molestare il Capitolo di Saponara nel pacifico possesso della loro Chiesa. (Cfr. V. Verrastro. op. dcit., pag. 260)

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CAP XXX

SI RAVVISA IN CHE MANIERA IL CAPITOLO FU PRIVATO DEI CANONICI CON LA TOTALE PERDITA DELLA CAUSA GIURISDIZIONALE, A PRO DELLA QUALE SCRISSE IL SIG. D. AMATO DANIO.

1. I Dodici Canonici di Saponara perdono tale titolo ed il diritto all’uso dell’almuzio.

Veggendo il Vescovo che nell'affare dell'Arcipretura rimasto era deluso, senza potere spuntare cosa veruna, alzò l'ingegno alle versuzie, alli diversivi. Nell'anno seguente 1663 indusse i canonici di sua cattedrale di Marsico a ricorrere nella S. Congr. dei Riti, esponendosi che dodici preti della chiesa di S. Antonino della Saponara si avevano usurpato l'uno degli almuzi1 e titolo di canonici, con l'assertiva che la chiesa nemmeno per ombra fosse mai stata Collegiata, perchè non constava da erectione nè vi era prebenda alcuna, nè li canonici si provvedevano dalla S. Sede o dal Vescovo, e la S. Congr., inaudita parte del Capitolo, e preci scritte al Vescovo come segue:

“Fuori=Reverendissimo Domino uti fratri Episcopo Marsicensi” "Dentro=Reverendissime Domine uti frater, cum exponerent Capitulum et Canonici ipsius Cathedralis Marsici

Sac. Rit. Congr. Presbiterus Ecclesiae S. Antonini Terrae Saponariae ipsius Diocesis, sibi arrogasse nomen et insignia Canonicorum, absque ipsorum assensu vel …superiorum permissu, prout aliis nostris litteris de 17 Maij proximi praeteriti significatum A. I. Atticum (?), Ius pro habenda vera et necessaria informatione, hodie Rev.mi Patres natura presentae relatione ad eos transmissa et de injungendum esse mandarunt, ut presbyteris praedictis omnino prohibeat arrogatum sibi nomen et insignia canonicorum. Et dum ipso meo munere funges amplis e tua mandata S. C. diligentes servari iurabit et Deus servet incolumen. Romae, 16 Junii 1663, Bernardinus Casaluis.

+ loco signi”

Il Vescovo, gonfio di questa facoltà camunicatagli, non perdè tempo, ma subito spedì ordini ai nostri Canonici che havessero lasciato le insegne canonicali e nome di canonici, nel modo che segue: “Angelus Pinerius Dei et Apostolicae Sedis gratia Episcopus Marsicen. OMISSIS: 4 Luglio 1663.

Notificato quest'ordine alli RR. Canonici e Preti, costoro si ammutinarono, per modo che, togliendosi dagli omeri l'almuzio, indussero gran pregiudizio ai posteri loro e al Collegio tutto; poichè doveano risentirsi, appellare, mantenersi nel possesso, e ricorrere alla S. Congr. ed ivi far reclamare della ingiusta proibizione delle insegne canonicali, senza essere stati intesi nelle loro ragioni, ma a sola relazione del Vescovo loro nemico giurato.

1 Almuzio o almuzia: piccolo mantello di pelliccia con cappuccio grande che copre anche le spalle, proprio dei Canonici di

alcune Cattedrali e Collegiate. Ramaglia al cap. 46° dice che l‟almuzio della Collegiata di Saponara era di color violetto foderato d‟ermellino cremisi.

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2. Carlo Maria Sanseverino invia a Roma, per difendere la Chiesa di Saponara, Celio Ferro di Armento il quale fa perdere ad essa malamente il titolo di Collegiata.

In quel tempo, e proprio nel 1664, essendo principe di Bisignano D. Carlo Sanseverino2, nipote dell'altro D. Carlo, fratello di Luigi, di cui si è fatta menzione di sopra e padrone della Saponara, costui, volendo nei primi tempi del suo dominio proteggere la causa della nostra Chiesa, che poco fa aveva perduto i canonici, mandò a Roma un tale D. Celio Ferro della terra d'Armento, stimato e creduto uomo dotto e di gran maneggio: locchè dalla sperienza non si avverò (come se la guida di mons. Danio non fusse stata sufficiente)

Il quale, senza aver riguardo dell'enunciato decreto della S. Congreg., peraltro estorto dall'avversario, con farsi sentire nella suddetta S. Congr., con procura speciale del Capitolo, comparve in Rota e domandò la restituzione in integrum adversus rem judicatam, nella causa della giurisdizione contro la sentenza di Manzanedo, Bichi e Corrado, a causa che non potevano offendere il Capitolo suddetto, non inteso nelle discussioni di quella, ma solo contro l'Arciprete, quando l'interesse non era solo l'Arciprete, ma del Capitolo. Ed il motivo quanto era sussistente ed oppugnabile, altrettanto fu mal giudicato e regolato.

Questa causa ed articolo fu commessa a mons. Verospio. Il Vescovo

non stiede con le mani alla cintola, ma facendo valorosamente le sue difese, addusse in pruova che il Capitolo con effetto era stato inteso, avea fatto le sue parti e che nel 1625 avesse fatto la procura per il proseguimento della causa giurisdizionale e che aveva sborsato al vescovo Ciantes le spese della lite, ed altri motivi, contro dei quali ed a pro di quelli che vi scrissero del Capitolo, fu il suddetto D. Amato Danio, il di cui scritto dato alle stampe mi è parso qui trascriverlo e ritornarlo alla

memoria dei suoi concittadini: che è come segue: (Per brevità si omette lo scritto: OMISSIS p.278 -285 Questi ed altri motivi rapportati da altri avvocati nella causa, discussi e ventilati in Rota, non solo che il Vescovo

ebbe la resoluzione favorevole, ma di vantaggio la nostra Chiesa fu trattata da parrocchiale, in seguenza del decreto della S. Congr. dei Riti di sopra rapportato e la decisione fu come segue: OMISSIS , p.285-288).

Quantunque si fosse conosciuto da molto tempo che la Rota piegava a pro del Vescovo per togliere tali prelati minori, nondimeno i preti non si acchetarono a questa decisione, per la quale quei sigg.avvocati facevano gran premura per non perdersi con la Giurisdizione anche la Collegialità. Laonde si domandò nuova udienza per la discussione del dubbio; ma, siccome si disse altra volta, "durum erat contra stimulum calcitrare", la Rota stiede in decisis, come siegue: OMISSIS..da p. 288 a p.292).

2 Trattasi di Carlo Maria Sanseverino (1644-1704), padre della poetessa Aurora Sanseverino, sposò la siciliana Maria Fardella,

Principessa di Paceco, da cui ebbe oltre ad Aurora altri 3 maschi ed una femmina. Fu Preside della Regia Udienza di Basilicata nel 1663 e fu anche persona colta e compositore. Fu forse il più importante Feudatario di Saponara.

Carlo Maria Sanseverino (1644-1704),

Feudatario di Saponara, padre della

poetessa Aurora.

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Quest'ultima decisione Rotale diè l'ultimo tracollo alle speranze del Capitolo, non meno per la Giurisdizione che per la Collegialità, la quale abbenchè indirettamente trattavasi nelle decisioni addotte, elleno però fecero tanta impressione, unita alla resoluzione, alla S. Congr. dei Riti, alla quale Rota come soda colonna appoggiossi, che i preti, buttando gli almuzi, stimavasi la loro chiesa come semplice parrocchiale e come tale il Vescovo la soggiogò con tutta pienezza, mediante il mandato de immittendo spedito dalla Rota col regio exequatur nel 1666, nel qual

tempo, con l'assistenza della regia udienza di Salerno ne prese il possesso, il di cui atto sarebbe stato molto tedioso trascrivere, poco giovando l'appellazione interposta, alla quale poi rinunciarono come stracchi e battuti dalla potenza dei Vescovi.

Il tutto però fu accagionato dalla trascuratezza del Capitolo, che non ricorse subito alla S.C. dei Riti, a far rievocare quell'ordine per l'abolizione degli almuzi, siccome poi si ottenne, poichè, essendo la chiesa Collegiata, la Rota dava udienza al Capitolo, come non inteso; ma così volle Iddio e S. Antonio per motivi imperscutabili.

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CAP. XXXI

ANGELO CAVALLO DEPENDENTE DEL VESCOVO PINERIO, MANDATO A ROMA PER OTTENERE LE BOLLE DELLA NOSTRA CHIESA COME PARROCCHIALE, PERSUASO, L'IMPETRO' COME DI COLLEGIATA, E NE PRENDE VALOROSO PATROCINIO, CON ALTRI FATTI NOTABILI. 1. Padre Emanuele D’Ambrosio, Generale dell’Ordine dei Carmelitani, e Amato Danio convincono Angelo Cavallo, Vicario del Vescovo Pinerio, a chiedere per la Chiesa di Saponara le Bolle come Collegiata e a diventarne Arciprete.

Soggiogata, siccome si è detto, dal Vescovo la nostra Chiesa come parrocchiale e vacando tuttavia l'Arcipreturra, quale si esercitava per mezzo degli economi, andavasi trovando un soggetto che avresse voluto applicarvi, poichè sembrava duro andare a governare in casa d'altri, con controversie accoppiate con lo sdegno, non senza qualche pericolo. Era impertanto ai servigi del Vescovo Pinerio il Rev. D. Angelo Cavallo, della terra di Moliterno, uomo mica ignorante, che esercitava la carica di pedante1 nel Seminario di Marsico e la cura di tutta la casa del Vescovo; tanto che, avendo speso di proprio per sostenere il seminario, era pur creditore per il di lui salario in scudi 271, e in stola di 28 grani, per i quali poi ne convenne il Vescovo nella S. Rota. Costui dunque, come stretto confidente col Vescovo, piegò molto di buona voglia alle costui molto importune persuasioni ed impulsi, e in conseguenza ad accettare l'Arcipretura predetta, come di parrocchiale, a seconda del Vescovo. Laonde, per venire all'effetto si condusse a Roma per ottenerne l'impetra, giacchè la vacanza era seguita in mese riservato. E a mal pena vi giunse, che i nostri patrizi, cioè il rev.mo P. D. Emanuele di Gesù e Maria , seu D'Ambrosio, Generale dei Carmelitani Scalzi, ed il Sig. D. Amato Danio come altresì il fu arcipr. Danio con altri, ne ebbero contezza, e non perdendo tempo di rintracciarlo ed averlo nelle mani, come già seguì, con dolci maniere ed accoglienze, scoprirono dal Cavallo la sua intenzione di essersi condotto ivi. E per impedire quanto potevano uno sfregio tanto vituperoso, d'essere con effetto trattata la loro chiesa, ove ricevuto haveano il santo battesimo, da parrocchiale, li ferono concepir tanto timore, peraltro probabile, che, cioè, dovendo egli come forestiero essere arciprete di Saponara, come lo poteva sostenere, non che sostenere con pace e quiete, se con disgusto del Capitolo dovea soccedere e della patria tutta? Nella quale sin che viveva era mostrato a dito, poco, anzi niente rispettato e forse con pericolo della vita? E per contrario, se egli si procurava le bolle come di Collegiata, non solo che sarebbe stato per lui di sommo onore, ma che avrebbe fatto un buon governo e li sarebbe stato portato tutti il rispetto, ed anche l'avrebbero raccomandato col Capitolo. Questo progetto piacque molto al Cavallo; laonde, abbandonato il primo proponimento, si appigliò al secondo, e con effetto impetrossi le provviste dell'arcipretura di Collegiata.

2. Angelo Cavallo lotta strenuamente a favore della Collegiata di Saponara.

Non poteva ciò stare nascosto al vescovo, il quale quanto cordoglio ne concepì, puossi da chicchessia comprendere, e non potendolo con altri accenti appalesarlo, proruppe in queste parole: "Il Cavallo che tenevo alla

1 Pedagogo.

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stalla mi ha dato un calcio". E per vendicarsi quanto li era permesso dall'affronto e tradimento2, contrastolli con vari

stratagemmi ed inganni il possesso, che alla pur fine con grandi stenti nel 1670 apprese per mezzo di procuratore, dopo tre anni e mezzo; poichè le bolle furono spedite nel 1666 nel mese di Luglio.

Frattanto si trattenne in Roma, e fattosi vero e più che affezionato della Chiesa, virilmente la difesa, spendendovi del suo, e in siffatta guisa infiammossi nel patrocinarla, che un giorno si condusse ai piedi di N. S. Papa AlessandroVII avanti il quale di tal maniera strepitò contro i Ministri rotali per aderire al Vescovo che montare in collera fè il Pontefice, che si fè uscir di bocca queste parole: "Ma voi volete fare eterne le cause? Farò che si riveda il processo un'altra volta, e poi non se ne parli più". Grazia peraltro cotanto desiderata. Al che ripigliò il Cavallo: "Questo appunto, B.mo Padre, io sto supplicando per averne la grazia".

Non credevasi il povero Arciprete in quella guisa rattrovar disposto il Pontefice. Laonde non portò seco supplica veruna; ben vero pensò la mattina vegnente condursi dal Papa e farsi segnare la grazia. Ma quanto ci paion certi li nostri proponimenti, altrettanto sono incerte le disposizioni divine. Non volle Iddio far seguire quella proposizione del suo Vicario, poichè questi trovossi in stato di non poter dare udienza, in letto, indisposto, e crescendo vieppiù la infermità, lo condusse a morte, ed in suo luogo fu eletto il successore Clemente IX, e così svanì la speranza che si era concepita di riacquistare quanto si era perduto.

3. Anche l’Arciprete dimissionario G. Francesco Danio lotta per recuperare il titolo di Collegiata. Or chi poteva dire che i poveri preti e Capitolo, malmenati in siffatta guisa, non davansi quasi alla disperazione? Ne scoprivano l'interno del cuore con amare lettere a mons. Danio, loro primevo pastore, che dimorando tuttavia in Roma, non cessava dal canto suo affaticarsi per venire in aggiunto alla nostra chiesa e sua patria.

Laonde in una sua lettera al Capitolo, consolandolo, così dice: "Non si confidino, ma sperino nella divina clemenza, chè sotto il Clemente pastor regnante vedranno risorgere le

hormai perdute speranze. Et io posso testificarli averle vedute assai più oppresse e sbassate; et in causa propria, dovendosi fare le pubblicazioni per una serva di casa da maritarsi sono costretto rivolgermi al Vicario Foraneo, chè anco questo si negava e proibiva all'Arciprete, essendo io clerico di nove in dieci anni, per mesi e mesi (in tempo di Cotino), non dissi officio nè celebrai messa in codesta chiesa, che dal mio maestro D. Gio. Matteo di Baja si diceva, servita da me; e nelle feste veniva un frate conventuale a dir la messa per il popolo, essendo tutti i preti perseguitati e posti in fuga dal Vescovo con tante suspensioni, interdetti e censure per anni. Pure a poco a poco la vidi risorta a quella grandezza che SS.VV. sanno. Così da questi presenti abbassamenti potemo sperare vederla sublimata… OMISSIS…

M'accompagnino a render grazie alla divina pietà, che con grazia singolare, all'età di 83 anni, si degna mantenermi con robustezza ed integrità di tutti i sensi, che non ho da invidiare alle più fiorite e giovanili età . Roma, 12 agosto 1667 ... Gio. Francesco Danio."

2 Gli fu comminata anche una scomunica per una lite pendente col promotore fiscale della Curia da cui venne liberato l‟11

Febbraio 1667 da Innico Caracciolo, Referendario ed Uditore della Camera Apostolica. Vedasi la pergamena n° 60 (Cfr. V. Verrastro, op. cit., pag, 261)

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L'Arciprete Danio non perdessi d'animo, ma cercando tutti i mezzi possibili a pro della sua Chiesa, nel 1668 ricorse nella S.C. dei Riti, ove con grande vivacità rapportando le sue ragioni, ottenne, utraque parte informate, e referendo la causa l'Emo card. Celso, d'esser circoscritto quel decreto emanato nel 1663, circa la collegialità con la resoluzione seguente OMISSIS ..del 10 marzo 1668 .

Ottenutasi questa resoluzione favorevole, prese animo l'Arciprete, e sperando maggiori progressi, si fè sentire nella Signatura di giustizia contro la sentenza di Verospio, che praltro stava appoggiata al suddetto decreto estorto alla S.C. dei riti... Ma riuscì la speranza invano, poichè, referendo avanti Clemente IX della causa Mons. D'Asta, si disse: "Nihil de appellatione". E con ciò fu preclusa la strada di potersi aggiustar la causa della giurisdizione, ed

aperta solamente per ricuperare la collegialità: il tutto per opra del Card. De Luca, avvocato del Vescovo, o vogliam dirlo protettore, il quale prevalendo nella corte romana, ottenne quanto desiderava; del che fa gran pompo, come lo dimostra ne' suoi scritti dati alle stampe. Ma qual consolazione ed allegrezza potè concepire il vecchio mons. Danio, che quasi con profetico scritto predetto avea, che sotto il Clemente pastore doveva risorgere la nostra chiesa da cotante oppressioni, può chicchessia comprenderlo dall'essere stata sua sposa e dalle fatighe per lei fatte.

4. Morte di Giovan Francesco Danio avvenuta l’11 Novembre del 1668.

Non però potè avere la soddisfazione bramata di vederla reintegrata in collegialità, e Dio non permise che col profeta Simeone avesse decantato "Et nunc dimittis servum tuum, Domine", avvegnachè nello stesso anno, agli 11 nov. 1668 passò di questa vita, in giorno di domenica, a ore 21, in odore di santità, siccome si ravvisa da una lettera di un tale Vittorio de Ragutiis, abbate celestino in Roma, suo amico, scritta al sig. D. Amato, in Napoli, nella quale li dà ragguaglio de tutto minutamente, e come degna per la memoria di un tanto uomo qui la trascrivo:

"... Perchè statutum est hominibus semel mori e che generatio praeterit et generatio advenit, bisogna uniformarsi con la volontà del Signore in una legge tanto comune. Saprà dunque come venerdì 9 corrente, passando per S. Lorenzo in Damaso, perchè pioveva assai, presi occasione d'andare a trattenermi col sig. Arciprete sino a tanto che pioveva. Bussai la porta, et lui mi rispose, ma non veniva ad aprirmi. Dopo un pezzo, ribussai un'altra volta et pure rispose, ma non veniva ad aprire; et osservai che la finestra che corrisponde al cortiletto era serrata con le finestre di legno, quand'ecco sopraggiunse nella sala uno di quei preti di casa con il coco e mi dissero che il sig. Arciprete dal giovedì non aveva aperta la porta, et quando io v'andai erano ore 21. Onde, sentendo questo, dubitai di qualche accidente, onde facessimo per aprire, ma non fu possibile perchè vi era il catenaccio. Feci istanza chè si chiamasse un chiavaro, perchè sfasciasse e schiodasse la porta. Quand'ecco a poco a poco sentessimo rumore alla porta, chè lui si era alzato di letto et era venuto ad aprire, et ne fece avanti in camicia tutto tremante; però io l'appoggiai e lo rimisi a letto, et avendovelo richiesto del suo male, disse che un catarro vischioso se l'era attaccato alla gola, che non poteva ributtarlo, che però voleva consumarlo con la dieta, che però da giovedì mattina non haveva preso cosa alcuna. Onde io, vedendo la sua debolezza ed osservando che c'era la febbre, mandai a chiamre messer Giovanni, quale venne subito con la moglie; si ferono chiamare due medici, si fè tutto quello che ordinarono, però fecero cattivo giudizio della

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sua vita, onde io, prima d'andarmene a casa, lo richiesi se volea confessarsi. Onde io, dopo che si fu confessato con ogni contrizione, lo lasciai nelle mani di messer Giovanni e della signora Anna sua moglie, che lo assistevano con ogni carità e tenerezza. Andai a casa; la mattina poi andai a rivederlo et lo trovai aggravato dalla febbre e dal catarro, che sbolliva in gola, ma non aveva forza di ributtarlo fuori, benchè prendesse alcuni sciroppi ordinatili dai medici. Aspettai sino che venissero li medici, li quali dissero che lui stava assai male et che era pericolo che il catarro lo soffocasse, et però che lo si facesse comunicare, et avendolo io esortato, lui disse che stava dispostissimo, et eravamo restati che la domenica mattina si doveva comunicare; ma perchè il sabato il male andava sempre agumentandosi, quei sacerdoti di casa lo ferono comunicare la sera del sabato a due ore di notte, et prese anche l'estrema untione. V'andai la domenica mattina per tempo e rattrovai che già s'era comunicato la sera e già stava abbattuto e non poteva più muoversi nè parlare; onde io l'assistii con quei sacerdoti di casa, con esortarlo a ben morire e con fare continue orazioni... Lui però stava tutto assorbito in Dio e nodriva pensieri solo dell'altra vita, et così avanzandosi la febbre et il catarro che non poteva ributtare, entrò in agonia, et alla fine alle 21 hore della detta domenica, con quiete grandissima rendè quel suo purissimo spirito al Signore, et subito, sparsa la voce della sua morte, ivi concorsero molti suoi penitenti, tanto huomini quanto donne, che vennero a piangere la perdita di tanto loro padre spirituale.

Messer Gio. et la sig.ra Anna sua moglie hanno inteso la sua morte nel cuore col piangerlo dirottamente; et perchè lui avea dichiarato che volea esser seppellito nella chiesa delli Agonizzanti, dove diceva messa et teneva già la cassa de morto con le torce et candele dentro, la sera, verso le 23 hore, fu portato in chiesa da quattro sacerdoti in collo et da altri tanti accompagnato et co li parrochi di due parrocchie et la notte guardato. La mattina poi fu esposto il suo cadavere in chiesa, con le torce accese intorno et vestito dell'indumenti sacerdotali. Et perchè io l'havevo interrogato se haveva accomodati l'interessi temporali, mi rispose che lui quanto haveva l'haveva donato a messer Gio. e moglie per sodisfare in parte a quanto s'era dovuto in coscienza, et che in virtù della detta donazione fatta due anni fa all'ufficio di un notaro del Campidoglio, han preso il possesso della suppellettile della casa, perchè non li lascia altro che li mobili di Roma, riserbandosi in quella di disporre di 20 scudi soli, dichiarandosi in quella donazione debitore di detto messere Gio. di scudi 300."

Mala fortuna di Mons. Danio al certo, che avendo cotanto fatigato per la sua Chiesa, la vide all'intutto soggiogata al Vescovo, trattata da parrocchiale, oppressa sopra modo, abbenchè intesa che dalla S.C. dei Riti, siccome si è detto, "quoad Collegialitatem ex integro ad Rotam": che fu un'ombra di speranza di racquistare il titolo di Collegiata, non ebbe da Dio la consolazione di sentire, nonchè vederne la decisione in suo favore, che si registrerà avanti.

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CAP. XXXII

SI CONTINOVA LA NARRAZIONE DI QUANTO L'ARCIPRETE CAVALLO OPERO' PER IL RICUPERO ALMANCO DELLA COLLEGIALITA', PER LA QUALE OTTENNE SENTENZA FAVOREVOLE.

1. Angelo Cavallo recupera il diritto di Collegiata dopo che il suo compaesano di Moliterno, Pompeo Bisignano aveva presentato alla Sacra Congregazione le residue carte del processo.

Ma facendo ritorno all'arciprete Cavallo, che per far ricuperare la collegialità nella sua chiesa avea fatigato ed ottenuta dalla S.C. dei Riti quella risolutione di cui sopra, non perdendo tempo d'andar rattrovando e squittinando in che maniera poteva ricuperarlo, li vene la notizia che il suo paesano D. Pompeo Bisignano avea restituito e rimesso nella S.C. dei Vescovi quello straccio di processo di sopra menzionato e dalla medesma rimesso alla Rota, dove era per discutersi la causa, cercò udienza e fu commessa a Mons. Dom. Iaja, poi Cardinale, e la discettazione dell'articolo non camminò meno di tre anni, poichè nel 1671, con la quale si disse "constare de bono jure Collegialitatis", come siegue terminò:

“ R. P. D. – Iaja- Marsicen Collegialitatis- Veneris 14 Aprilis 1671. Constare de bono jure Capituli et Canonicorum Ecclesiae S. Antonini de Saponaria, etiam ad effectum

manutenendi, pro informantibus ipsis hodie A.D. responderunt. Quia universim conferendo et comprobando quae sigillatim contulerunt et comprobarunt informantes videtur pro

decisione germana S. Cong. Episcoporum in causa mandatum a Co. me. Orani: videlicet. Plures in praesenti causa excitantur difficultates. Prima: An Ecclesia S. Antonini de Saponaria sit Collegiata et quantum agitur de primo dico: Ecclesiam de qua agitur fuisse et esse Collegiatam, nam in hac materia quando non constet de initio erectionis Ecclesiae in Collegiata, recurri solet ad coniecturas, Innoc. in c. postulanti Buratto, etc.omissis..et quomodo non possit negari manutentionem Collegialitatis, nisi excepiones adsint clarae, et notoriae ut nullo velamine offuscari possint inquit novissime Rota a decisis 166 n.4 p. 12 cum alleg. Et ex apposito clarae preclareque sunt et fuerint actiones rationesque non solum ad effectum manutentionis, sed etiam pro bono jure Capituli et Canonicorum huius Collegiatae Ecclesiae. Et Ita unanime D.S. suffragio decisum fuit”

Da questa decisione rotale conferisce notare che la Rota, tra le altre scritture presentate ebbe grande credito alla donazione della terra, mista col sangue di N.S. Gesù Cristo, che oggidì si conserva nella nostra collegiata, e come che della mentovata reliquia sacrosanta col divino ajuto ne farò particolare discorso alla fine dell'opera, però qui ne passo col silenzio.

Osservasi anche che la Rota fa gran conto dell'autorità di Prospero Fagnano, e con ragione, poichè nella Corte romana ebbe sette offici, per essere stato uomo di grandissimo talento e stimato fra i migliori canonisti. Quindi conferisce qui rapportare i suoi detti nel suo Trattato De jure patr. Postulati a n.10 ad 20.

"10 - Juxta praedicta quaesitum est a S.C.: 1°: An Ecclesia S. Antonini de Saponaria Marsicen. Dioeces. Sit Collegiata? 2° An electio Archipresbyteri in dicta ecclesia pertineat ad collegium?

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3° An jurisdictio civilis, criminalis et mixta eiusdem ecclesiae spectet ad archipresbyterum et quatenus spectet, An privative ad episcopum?

Ad 1° videtur respondendum ecclesiam praedictam fuisse et esse collegiatam, nam in hac materia, cum non constet de privilegio vel erectione ecclesiae in Collegiatam, recurritur ad conjecturas et signa .... Multa vero hic concurrunt pro parte collegii. Primo. N. ipse colligitur ex 18 instrumentis antiquissimis, S. C. exhibitis, quorum nonnulla excedunt ducentos et trecentos annos, quae ecclesiam hanc Collegiatam nominant; et cum versemur in antiquissimis, licet enunciative loquantur, probant saltem praesumptonem quandiu non probantur in contrarium, ut in puncto respondit .... OMISSIS"...

Sin qui Fagnano, il quale essendo stato segretario della stessa S. Congreg. del Concilio e parlando più spassionato del card. De Luca, che patrocinò la parte del Vescovo in quel tempo e ne' suoi scritti fa gran pompa della vittoria ottenuta, se li deve prestare maggior credito, non essendo d'inferiore autorità del suddetto Cardinale; chè se rapportò la palma o piuttosto per ragioni di stato e per la sua protezione che molto prevaleva nella corte romana, che per diritto di giustizia; e poichè il Capitolo era stanco di tante spese.

2. Per la Giurisdizione viene negata dalla Sacra Rota la restituzione in integrum del processo.

Or ritornando all‟Arciprete Cavallo, questi avendo ottenuto la soprascritta decisione rotale a pro della collegialità e che Fagnano a chiare note decideva che la giurisdizione spettava all'Arciprete stante che la chiesa era Collegiata, nel 1673 ebbe ricorso nella signatura della gratia, ove domandò la restituzione in integrum contro la res judicata, della causa della giurisdizione, stante il processo di sopra menzionato, trovato di fresco, e la decisione ottenuta davanti a Jaia, nella Rota, epilogando tutte le ragioni che tante altre volte si erano rapportate e di sopra rammentate. Ma la signatura avanti Clemente, proponente il fatto e jus mons. Vallati, disse "Nihil de restitutione in integrum".

Laonde restò abbattuto il nostro Cavallo; il quale, quanto pareva dapprima avverso alla nostra chiesa, altrettanto fu dappoi acerrimo ed appassionato difensore di quella, e con proprio dispendio e molti trapazzi del Vescovo inferitili. Quindi così lui, che ritirossi alla sua residenza, come il Capitolo si diedero pace per la giurisdizione, contentandosi di avere almanco guadagnato la Collegialità; la quale peraltro fu di poi contrastata, e non se ne assodarono nel di lei uso e dell'almuzio se non dopo molti anni, siccome dirassi avanti, essendo accaduti altri soccessi premorosi, causa di maggiori spese ed interessi, come vedremo.

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CAP. XXXIII

IL VESCOVO PINERIO E L'ARCIPRETE CAVALLO PASSANO DA QUESTA VITA. MONS. GAMBACORTA PRETESE PROVVEDERE L'ARCIPRETURA COME DI PAROCCHIALE, IN PERSONA DI NICOLO' MORENA DI MARSICO, PER CUI ACCADDE UN INCONVENIENTE GRAVE CHE FU CAUSA DI SCOMUNICA E D'INTERDETTO. 1. Il nuovo Vescovo Giovan Battista Gambacurta vuol nominare Arciprete di Saponara il Canonico di Marsico Nicola Morena, tramite il suo Vicario. Questi trova la porta della Chiesa sbarrata e ne segue una scomunica contro 12 preti.

Frattanto che in Rota agitavasi la causa della collegialità, nel 1671 mons. Pinerio se ne morì, e nello stesso anno fu da S. Clemente X creato Vescovo di Marsico G. B. Falvo1, cosentino. Costui resse la Sede marsicana per anni quattro senza veruna discrepanza colli nostri capitolari. Essendo passato di questa vita nel 1676, nello stesso anno fu creato vescovo G. B. Gambacorta2. Costui sicchè diè tale motivo che poco mancò non vi restasse privo di vita. La cagione fu che, essendo vacata l'arcipretura per morte di D. Angelo Cavallo, seguita in agosto 1676, seguendo l'orme de' suoi antecessori, impegnossi di provvederla come di parrocchiale, immemore della fresca decisione rotale, e per dare sempre materia di liti, ma li riuscì di scorno, di rossore e interesse, con pericolo di vita.

Impertanto, per eseguire il suo malconcepito impegno, pubblicò editto per il concorso all'Arcipretura come di semplice parrocchiale, e nonostante l'appellazione interposta dal Capitolo e proteste di non poter consentire a quel concorso, dovendosi provvedere dalla S. Sede, non comparendo alcuna persona dalla Saponara, tenne il concorso, nel quale fece concorrere un tale D. Nicolò Morena della città di Marsico, come suo affezionato, a cui diede il magis dignus in virtù della quale dichiarazione fè estorquere dalla Dataria le Bolle come di semplice parrocchiale, vacata in mese riserbato.

Non furon cotanto scioperati gli capitolari, che zittiti avessero permesso che solo il Vescovo avesse oprato, poichè ricorsi da quel regnante Sommo Pontefice Innocenzo XI di Santa memoria, opposero che la loro chiesa di S. Antonio era Collegiata insigne in virtù dell'ultima decisione rotale avanti a mons. Jaia che supplicarono provvedersi per tale in persona del Rev. D. Carlo Can. Danio Cotino di Saponara, e siccome dirassi avanti già con effetto seguì sotto li 21 marzo 1677.

Il Vescovo però che per il Morena ottenuto aveva prima le Bolle come di parrocchiale, volendole mettere in esecuzione, mandò il suo vicario generale in Saponara, per darli il possesso; ma l'accorto capitolo, per impedire questo atto cotanto pregiudiziale, fece rattrovar serrate le porte della Chiesa. Ma il Vicario generale3, nonostante

1 Di origine calabrese, della nobile famiglia Mascara dei Baroni di Giulianelli. Per la sua competenza nel diritto la sua opera

veniva richiesta da vari Vescovi. Resse la Diocesi di Marsico dal 1671 al 1675. Sotto di lui furono istituiti il Santuario di Viggiano e la festività della Madonna alla prima Domenica di Settembre. Morì a Viggiano il 29 Dicembre del 1675 e non nel ‟76 come recita il Ramaglia. 2 Nobile di Limatola, feudo della sua stessa famiglia ducale. Religioso dell‟Ordine dei Teatini, maestro di Teologia nel convento

di S. Andrea la Valle in Roma. Vescovo dal 1676 al 1683. 3 Il Vicario del Vescovo Gambacorta o Gambacurta era Don Persiano De Cona che venne in Saponara alle ore 11 circa per

immetere nel possesso dell‟Arcipretura Don Nicola Morena di Marsico.

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l'appellazione e proteste di bel nuovo

replicate, coll'aura pure di potenza secolare, come si conghietturò, fè con una scure tagliare in pezzi una parte piccola, per la quale entrato in chiesa, diè il possesso al Morena; al quale atto perchè niuno dei preti volle assistere, lasciò scomunicati dodici dei medesimi, ritirandosi col vicario il Morena nella città di Marsico4.

2. Il Vescovo si porta personalmente in Saponara per nominare l’Arciprete. Al Morena vengono lacerati i paramenti sacri e fugge insieme al Gambacorta. Ne segue scomunica generale.

Ma dubitandosi dal vescovo che il citato possesso fosse nullo, perchè infetto ed attentato, siccome lo era, pensando di convalidarlo egli stesso , si condusse di persona in Saponara col Morena li 31 ottobre 1677, vigilia di tutti i Santi, sotto colore di visita, senza però mandare editto e denunciazione, siccome dovea.

FOTO A – Pagina 1 della scomunica del Vescovo di Marsico Nuovo Persiano De Cona.

4 La scomunica di Don Persiano De Cona fu emanata l‟8 Luglio del 1677 ed affissa alle porte (valvae) della Chiesa di Saponara

il 10 Luglio dello stesso anno, come attestato dall’unico documento rimastoci (è nel nostro Archivio e si riporta alle foto n° 61-62 alle pagine seguenti): copia notarile del cedolone di scomunica, redatta dal Notaio Apostolico Johannes Toscanus di Saponara. Questi i Preti che vennero scomunicati: Carlo Danio senior (ovvero Cotino), Vincenzo de Lascia, Flaminio Giliberti, Carlo Calabrese, Felice Giordano, Giuseppe Nigro, Francesco Giliberti, Giovanni Bernardino Todisco, Antonio La Salvia e Giovan Battista Roselli.

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Gionto nella chiesa, fè ragunare tutti i capitolari avanti a lui nel coro, e dando voce di voler egli cantare il vespro, per maggiormente accreditare la tela che tramava, fè preparare i paramenti pontificali sull'altare maggiore e vestire di piviali tunicelle i sacerdoti che dovevano assisterlo. Ma ragunati con effetto i capitolari, mica davan credito a quanto si asseriva e compariva dubitando sempre di stare nascosto sotto quell'erba verdeggiante apparente qualche velenosa biscia; ed assiso il Vescovo nel trono pontificale (peraltro antico delli predecessori Arcipreti mitrati, delle di cui fattezze uguale non se ne rattrova nelle stesse cattedrali), fè dal suo cancelliere pubblicare un editto con cui ordinava che tutti i preti e chierici dovessero assistere a quella funzione et a quella del dì seguente, nè di poter assentarsi, sotto pena di 10 libbre di cera et in sussidio di scomunica. Ciò seguito, scoprendo le sue artificiose cabale, ben copiose e premeditate dai Capitolari, disse al suddetto Morena, che ivi nel coro era presente, che cantasse il vespro come preteso Arciprete: locchè inteso dal Capitolo, certificato del dubbio concepito, ed apprendendo, siccome lo era, che cantando il Vescovo, il Morena lo avevano poi da riconoscere siccome Arciprete, e canonizzato per buono il mal preso possesso, fece umilmente supplicare il prelato, anche per mezzo del di lui avvocato ivi FOTO B – Pagina 2 della scomunica del Vescovo di Marsico presente, a non

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inferirli questo pregiudizio. A queste preghiere si uniron quelle di altre persone buone e nobili, che per la curiosità al bisbiglio e mormorio insorto da momento a momento nella nostra città erano accorse alla chiesa, tra le quali era la signora D.Virinia Danio, madre del sig. dr. D.Giov. Antonio Giliberti, matrona veramente dotata d'ogni buona, anzi ottima qualità e virtù, costei, con le ginocchia ignude sulli gradini del coro, avanti ed a vista del Vescovo, pregavalo si fosse astenuto da quell'atto, perchè dubitava di qualche eccesso irregolare, anzi di morte. Ma persistendo quegli nella sua risoluzione, di giungere al fine per cui erasi condotto in Saponara ed asserendo che dal Morena si sarebbe cantato il vespro, si replicarono dal Capitolo le preghiere unite con proteste per atto pubblico. Ma ciò non ostante, impose al Morena che si fosse servito de' suoi paramenti e si fosse vestito per cantare il vespro, non persuadendosi di ciò che potea succedere; dal che si mossero alcuni di quei preti ed ecclesiastici a partirsi dal coro e, levatasi la pelliccia ossia cotta, ad uscire per la porta delle sacrestia. Eransi frattanto ivi chiamati dalla curiosità e dal bisbiglio cresciuto molti secolari; laonde non meno nella sacrestia che nella chiesa tutta sentivasi un mormorio grandissimo; ed il Vescovo, invece di acchetare il tumulto, inculcò i suoi ordini al Morena, si fosse servito del camice e si fosse vestito. Ed eseguendo già i di lui cenni, nel mentre questi stavasi vestendo nella sagrestia del camice del Vescovo, quei quattro prima usciti dal coro, che furono il Can. D. Angelo Prezioso e D. Angelo Calabrese e due altri guidati dal vero zelo ed onore della loro chiesa, spinti dalla rabbia ed ira in essi accesa, per non sapere in che altro modo impedire l'accennato possesso, pensarono di resistere con fatti, aver nelle mani il Morena e, per vendicarsi dell'ingiuria che avea fatta loro soffrire, andarlo a precipitare per alcuni muri della città, con pericolo anche della vita. Si andarono a svestire per non essere conosciuti, con abiti da confrate e con i cappucci calati; per detta porta piccola entrarono nella sagrestia. Del che accortosi il Morena, che forse stava sospettoso, s'avviò per fuggire nel coro, chiamando in aggiuto Monsignore; nel quale atto del fuggire attappandolo nell'uscir della porta i suddetti confrati, ma non potendo far buona presa e quello facendo forza, scappò dalle di loro mani, restando solamente il camice addosso al Morena tutto lacero. Il Vescovo, a questo spettacolo sdegnato ed avvilito del gravissimo affronto ricevuto, incontinente partì dalla chiesa, temendo anche della propria vita. Ed esaminati tre soli testimoni suoi familiari, o sia servidori, senza veruna citazione, pubblicò scomunica ed interdetto generale, locale e personale, per tutta la Saponara, e ritornossene alla sua residenza in Marsico. 3. Il Capitolo di Saponara ricorre alla Sacra Congregazione contro la scomunica comminata dal Vescovo e ne ottiene ragione.

Il capitolo non perdè tempo in ricorrere alla S. Congr. sopra i Vescovi, siccome pur fece il Vescovo, rimettendo il processo ivi formato. La S: Congr. osservandovi la criminalità, sotto li 13 marzo 1678, disse ad D.num Cavecchionum, che era il luogotenente criminale dell'A.C., la quale, a supplica del Capitolo e comunità di Saponara che intendeva impugnare la validità delle censure, si degnò sospendere le censure a suo arbitrio, come siegue ..OMISSIS… da p. 316b a p. 332a).

Il 16 febbr. 1680 la S. Congr. decise a pro della Saponara colla seguente resolutione: " In causa Marsicen. vertente inter promotorem fiscalem Curiae episcopalis ex una, et clerum et univesit….censuit interdictum locale et personale ab episcopo Marsicen. oppositum non sustineri..."

Qual resoluzione, mandata in forma probante alla Saponara, fu il povero Capitolo e Saponara tutta prosciolta dal vincolo delle censure, che tre anni e mesi otto havea travagliato. E per contrario il Vescovo di sommo rossore aver pubblicate quelle, che non poteano sostenersi, guidato solo dalla passione della vendetta.

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TRASCRIZIONE DELLA SCOMUNICA DEL VESCOVO DI MARSICO DELL’8 LUGLIO 1677

(AFFISSO IL 10 LUGLIO SULLE PORTE DELLA COLLEGIATA DI SAPONARA)

“Copia per Innocentius XI° Papa e per Don Persiano De Cona, Canonicus et Decanus Ecclesiae Cathedralis Marsicen tit. divi Giorgij, martjris, copia per Sanctam Sedem Apostolicam ad infrascripta specialiter delegatam.

Hic auctoritate Apostolica nobis delegata vigore litterarum commissionalium et Bullarum Apostolicarum Rome expeditarum super provisione Archipresbiteratus et animarum cura Ecclesiae Parochialis Sancti Antonini Terrae Saponariae Marsicen Diocesis declarantur et publicantur excomunicati et ipso facto notorie incurso ac a Sacramentis partecipatione et fidelium communione segregati infrascripti Presbiteri de Terra Saponariae, quorum nomina et cognomina ex eo quia sub die 4a instantis mensis Iulii , hora undecima circiter, per nos facto accessu ad praedictam Terram, fores praedictae Ecclesiae S.Antonini tempore dictorum officiorum et missarum causa et occasione per nos immittendi et imponendi in realem, actualem et corporalem possessionem dicti Archipresbiteratus et animarum cura dictae Ecclesiae Parochialis A.d.m. Rev. D. Nicolaus Morena Marsicen de dicto Archipresbiteratu per Sanctam Sedem Apostolicam provisum et dictas fores clausas invenire fecerunt et cum nostro ordine per organum Adm Rev. D. Ioseph La Grutta, coram multis ad numerum quadraginta circiter infrascriptis Presbiteris ante fores dictae Ecclesiae adunatis, fuisset mandatum impositum et per nos quatenus sub poena excomunicationis latae sententiae dictas ianuas aperire debuissent et curavissent nec a dicto loco discederent, ipsas clausas ianuas minime aperire curarunt nec fecerunt et ex dicto loco dum per vim ex nostro ordine ianua parvula dictae Ecclesiae per vim aperiretur, discesserunt et nostris mandatis non paruerunt per ut ex actis et tamdìu hic excomunicati subjaceant, quandìu in nobis non consenserint iustitia nec satisfecerint ratione dicti Notarij spreti mandati et dictum N.S. D. Nicolaum Morenam in Archipresbiteratum dictae Ecclesiae S. Antonini nec receperint et acceptaverint, et claves Sacramentorum ac libros Parochiales praedictae Ecclesiae ipsi D.Nicolao non consegnaverint et obedientiam non prestaverint dictarum Bullarum et possessionis dicti Archipresbiteratus vigore ac legitimam absolutionem non obtinuerint quam nobis ut Ill.mo Domino nostro reservavimus. In quorumque affigantur, referantur.

Datum Marsici ex nostris aedibus hac die 8 Iulii 1677. Nomina excomunicatorum sunt: Don Vincentius De Lascia, Don Flaminius Giliberti, Don Carolus Calabrese,

Don Felice Jordano, Don Carolus Danio Senior, Don Ioseph Nigro, Don Franciscus Giliberti, Don Ioannes Bernardinus Todisco, Don Antonius La Salvia, Don Ioannes Baptista Rosella.

Amoventes, lacerantes, quomodolibet deturpantes aut parvi facientes sint, ipso facto excomunicati maiori excomunicatione.

D. Persianus De Cona, Canonicus Delegatus Apostolicae Sedis. Taurisanus Actuarius et nostrum Apostolicum adest sigillum impressum. Fateor ego D. Ioannes Toscanus a Saponaria, Apostolica auctoritate notarius ascriptus in Archivio

scripturarum Collegij Romanae Curiae, presentem copiam cedulonis excomunicationis fuisse exemplata a suo originali affixo hodie X mensis Iulii 1677 in valvis maioribus Collegiatae Ecclesiae Sancti Antonini Saponariae et facta collatio concordat , maiori semper ...et ad fidem, meo quo utor signo signavi rogatus”.

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CAP. XXXIV

IL CAPITOLO RICORRE NELLA SAGRA CONGREGAZIONE PER ALCUNE MESSE CELEBRATE A SUA RICHIESTA IN NUMERO DI 900 ED OTTENNE LO STESSO GIORNO RESOLUZIONE FAVOREVOLE.

1. Il Capitolo di Saponara ottiene ragione dalla Sacra Congregazione anche per la richiesta fatta da Gambacurta di 90 Ducati per il quarto dei funerali.

Nel medesimo tempo che agitavasi la lite per le censure, occorse che il vescovo non richiese al Capitolo per anni tre la soddisfazione della 4a dei funerali nella somma di ducati trenta per ciaschedun anno, che importavano ducati 90, quali poi voleva pagati in una sola volta. Ma il Capitolo, pretendendo la soddisfazione di n. 900 messe celebrate a sua richiesta, e con ciò compensare alli ducati 90 già dovuti, ricorse alla stessa S. Congr., dalla quale fu peranche costituito ponente lo stesso card. Carpegna, da cui si chiese dal Vescovo l'informo del fatto siccome era passato, in sequela di che ne forma la seguente relazione...OMISSIS… da pag. 333b a p. 337b).

Riferita la causa e le ragioni di ambedue le parti nella S. C. dall'E.mo Carpegna, non si potè dalla medesima non deferire alle giustre dimande del Capitolo, a pro del quale uscì resoluzione come segue: "In causa Marsicen. vertente inter episcopum ... S. Congr. ... censuit praedictum Episcopum teneri ad solutionem elemosinae, pro missis a praefato Capitulo celebratis, ad rationem manualis elemosinae.

Roma, 16 febbr. 1680. Card. Carpineus.". Ed ecco che sotto lo stesso giorno il Vescovo ebbe due decreti contro, uno per le censure ingiustamente

fulminate, che fu il maggiore, l'altro per le messe: quello toccante la sua stima e sapere, questo toccante l'interesse, avendo perduto ducati 90, che egli teneva in saccoccia, che, uniti con l'affronto ricevuto, quando avanti la sua presenza e per suo dispetto fu stracciato il camice al Moreno, con certo pericolo di vita, non può dubitarsi aver inteso nel cuore grandissima amarezza. E l'altra sarà stata nel dar conto a Dio dell'interessi patiti dal Capitolo in difendersi dalli gravami che pensava inferirli. Dopo di che, pensando di vivere il resto di sua vita con quiete, trattò d'accordo, quale poi non godè, come poi dirassi.

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CAP XXXV

D. CARLO DANIO COTINO OTTIENE DALLA SAGRA ROTA LA ESECUZIONE DELLE BOLLE OTTENUTE DALLA S. SEDE DELL'ARCIPRETURA COME DI COLLEGIATA, CON ALTRI FATTI NOTABILI ACADUTI.

Or dopo la digressione del racconto degli descritti fatti accaduti, che convenivano annotarsi, fa d'uopo attendere

alla prosecuzione della provvista dell'Arcipretura che si è di sopra enunciata, che D. Carlo Danio Cotino ottenuto havea dalla S. Sede le bolle per la provvista della medesima Arcipretura come di Collegiata E come che ancora era in piedi la causa di Collegialità nella Rota avanti a mons. Flaminio Iaja, a costui furono da S.S. Innocenzo XI quelle drizzate, acciò, trovatolo abile et idoneo et intesa la parte del Morena, a pro del quale eransi dalla Dataria pochi giorni prima spedite le altre bolle come di parocchiale, gliela avesse conferita; e le bolle furono le seguenti:.. OMISSIS… da p.339 a p. 344b.

Presentate al riferito Iaja le soprascritte lettere, il medesimo procedè a citazione e inibizione per il Vescovo e Morena, perchè fossero comparsi avanti di lui a dire ciò che loro occorreva. E parimente commise al Vesc. di Anglona che havesse esaminato il Danio, inteso però il Morena e il promotore fiscale di Marsico sopra la idoneità. Il Vescovo, havendo così eseguito ed havendolo trovato idoneo, sotto li 8 aprile 1679 proferì sentenza come siegue: …OMISSIS… da p. 344b a p. 354b.

Quest'ultima resolutione rotale non potè non apportare estremo cordoglio al vescovo Gambacorta, come quello che in qualunque cosa che tentata avesse, avea riportato sentenza sfavorevole. Non però acchetossi; ma domandò nuova udienza, ed essendo passato alla sacra porpora il riferito Iaja, che poco la godè, nel di lui luogo fu subrogato Antonio Albergati, decano della Rota, il quale, intese di bel nuovo le parti nelle loro ragioni rapportate in piena udienza della Rota, promulgò sentenza diffinitiva a pro della nostra Collegiata, ed in conseguenza di D. Carlo Danio Cotino1, come siegue: …OMISSIS… da p. 355a a p. 357b.

1 Il 16 Dicembre 1702 il Papa Clemente XI dà mandato al Vicario del Vescovo di Marsico di immettere Carlo Danio Cotino nel

corporale possesso dell‟Arcipretura. Vedasi pergamena n° 63 (Cfr. V. Verrastro, op. cit., pag. 263). Nello stesso mese riscontriamo nella pergamana n° 64 il giuramento di Carlo Danio Cotino (ibid.).

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CAP. XXXVI

IL VESCOVO APPELLA DALLA SUDDETTA SENTENZA E TRA TANTO SI TRATTA D'ACCORDO COL CAPITOLO. SUA MORTE ED ELEZIONE AL VESCOVADO IN PERSONA DI FRANCESCO ANTONIO LEOPARDI, DI BUONABITACOLO.

1. Intesa tra Vescovado e Collegiata: l’Arciprete rinunzia alla Giurisdizione e il Vescovo rinunzia alle pretese sulla Collegialità.

Il Vescovo Gambacorta, per non darsi vinto nella causa della Collegialità, ma per tenere sempre più agitato e con timore il Capitolo, appellò a S. Santità, da cui per Signatura di Giustizia fu commessa la cognitione della causa a Mons. Alessandro Ursino, uditore parimente della Rota: il tutto a sommossa del card. De Luca, il quale, dubitando che il nostro Capitolo, come di Collegiata, così dichiarata con tre sentenze rotali di sopra trascritte, come non .... nella causa della Giurisdizione, nella quale avea li medesimi interessi, che l'Arciprete contro del quale cantavano le decisioni rotali, appoggiate sul fondamento che la chiesa non era Collegiata, e che la S.C. dei Riti, le di cui resolutioni tanto venerava, avea interdetto ai preti il nome ed insegne canonicali, che dappoi era stato circondotto dalla stessa S. Congr… OMISSIS…, pretese dal nostro capitolo la renonza della causa giurisdizionale, la quale peraltro era già morta, e il renonzarla non era altro che donare una cosa che non potevano vendere, colla offerta di non parlare della collegialità. I poveri preti, abbattuti da tante tempeste, oppressi da tanti dispendi, che per vari e diversi fatti erano accaduti e loro erano accagionati, per i quali haveano contratto tanti debiti, anche col consumo delle proprie sostanze, dubitando eglino che, non cedendo una cosa, avessero perduto amendue, cioè la Collegialità, ansiosi con ragione di reintegrarsi nel Canonicato e sue prerogative, delle quali per tanti anni erano stati privi, volentieri piegarono ai desideri del Vescovo: il quale, essendo pur egli stufo di tante liti agitate, senza ricavarne frutto, di buona volta si acchetò alle consulte di detto Cardinale suo protettore e fece trattare col Capitolo di qualche onorato accordo, siccome già seguì, abbenchè non godè della conclusione, poichè, essendo passato da questa vita nel mese di luglio 1683, fu quello stabilito col successore Francesco Antonio Leopardi di Buonabitacolo, quasi paesano, conosciuto dal Padre di Gesù e Maria, seu D'Ambrosio, generale dell'ordine dei Carmelitani, nostro patrizio e protetto dal sig. D. Domenico D'Alessandro, di Moliterno, il quale presso il Sommo Pontefice havea per così dire tutta l'autorità, havendo ricusato vari vescovadi, pretendeva la sacra porpora.

2. Nel 1683 diviene Vescovo Francesco Antonio Leopardi di Buonabitacolo1 che tratta amichevolmente la Chiesa di Saponara.

Questo nuovo Vescovo, fatto consapevole degli torbidi successi col suo antecessore, ambizioso anch'egli della quiete, volle servirsi dei trattati d'accordo. Ma prima informossene per mezzo di persona sua confidente, se pure non fu lo stesso D. Domenico D'Alessandro, quello stesso che aveva maneggiato il negozio in Saponara col defonto Vescovo, e la tradizione ci accerta che fu il rev. sig. D. Domenico Lucchetti, che fu poi vescovo di Marsico, dov'era stato Vicario generale, col quale il Capitolo si era consultato, et havea manifestate tutte le sue ragioni, ratt rovandosi

1 Già Vicario Generale dei Vescovi di Taranto, Cassano e Capaccio, cercò di introdurre lo spirito innocenziano e ricercò la pace

con il Clero di Saponara. Fu Vescovo dal 1683 al 1685.

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una copia di lettera fra gli altri cartocci, senza sapersi chi scriva, nella quale raccontandosi tutto intiero il trattato, mi è convenuto di non tralasciarla, ed è come siegue:

"Che la chiesa restasse Collegiata Insigne il sig. Arciprete prima dignità riserbata 3a regola che però dovesse D. Nicolò Morena rinunciare l'appellazione e si dovesse eseguire le bolle del sig. D.Carlo Danio Cotino e che i dodici preti si chiamassero Canonici, formantino capitolo e che si dovesse delegare un Deputato ad universitatem causarum, ad instar ordinarii, che somministrasse la giustizia a Saponara solamente e che l'appellazione si facesse a Marsico, come di ragione ... Il capitolo rinunziava ogni e qualunque ragione avesse potuto pretendere per la giurisdizione ... Per li requisiti di Canonici bastava l'antiquissima costumanza di sei secoli e di esser questa patria della reliquia della famosa città di Grumento .... Ci trovo tutti i requisiti fondamentali che si richieggono nelle formole di simili erettioni. La magnificenza delle fabbriche e palazzi, il copioso popolo, la nobiltà delle famiglie, molte delle quali sono capaci dell'abito militare di S. Gio. Battista; il numero grande dei letterati, e nei regolari in grado eroico; li 4 monasteri di regolari che specchierebbero in ogni città, oltre il luogo di cartusiani et hospitale magnifico di orfanelli espositi. La notoria pietà del popolo; il numeroso stuolo di ecclesiastici che con ogni puntualità servono detta chiesa di S. Antonio come si usa nelle cattedrali, e di vantaggio le rendite di detta chiesa è sufficiente a formar prebenda di più dignità e canonici. In testimonio di ciò si adduce la spesa consumata nelle liti di centomila scudi. Onde queste qualità rendono la Saponara luogo cospicuo... Saponara, 8 agosto 1683".

Che questa informazione sia stata di mons. Lucchetti, si comprova oltre che dalla tradizione, da un'altra sua lettera che trascriverò più avanti.

Questo stesso accordo dopo la descritta relazione manipolossi con mons. Leopardi, il quale, siccome si legge in una lettera del P. Emanuele d‟Ambrosio, soto li 4 settembre 1683, fin dal principio delle sua elezione ebbe vivi sentimenti ed affettuose inclinazioni a favorire la nostra chiesa in tutte le parti del summentovato accordo (a riserva di qualche cosa). Il Capitolo fin dal 1° agosto1682, per riguardo del trattato che si trattava formò pubblico atto di rinunzia alla lite di giurisdizione, con espressa protesta che non si fosse pregiudicata quella della Collegialità, per la quale non acchetossi il vescovo e con esso seco il Morena alle decisioni rotali, fosse stato lecito proseguire la lite della giurisdizione per ottenere la dovuta giustizia.

Ma con effetto, vedendo il Morena che non haveva chi lo favorissse e che il moderno prelato era propenso a favorire il nostro Capitolo, non potendo a sue spese mantener la lite, dalla necessità cavò virtù, ed asserendo che essere lui Arciprete della Saponara era cagionato per impegno del defunto Vescovo e per quel che toccava dal canto suo che havea costituito procuratore in Roma per la rammentata causa, volle cessare da questo peso, facendo ampia ed espressa renonza dell'appellazione in suo nome interposta dalla sentenza dell'Albergati e della nuova commessa dall'Ursini, per pubblico atto stipulato per mano di Notar apostolico D. Gaetano Marotta della città di Marsico li 21 agosto 1683. Quale istromento presentatosi per parte del sig. D. Carlo Danio negli atti della S. Rota, non potè la medesima e per essa mons. Albergati non deferire ai 20 ottobre dello stesso anno alle petizioni del Danio con spedire il mandato de immittendo, o sia commessa farli prendere possesso, in persona del sig. Arciprete di Tramutola, Montesano e Spinoso. Il mandato è molto decorevole, dandosi il titolo d'insigne alla nostra chiesa Collegiata... (OMISSIS).

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CAP. XXXVII

SI DESCRIVE L'ACCORDO GIA' ASSODATO E CONCLUSO COL VESCOVO LEOPARDI, MEDIANTE LA PERSONA DEL SIG. DR. D'ALESSANDRO DOMENICO DA MOLITERNO, CON ALTRE BUONE NOTIZIE.

1. Documento dell’intesa tra il Vescovo e l’Arciprete di Saponara.

Superate da un verso le difficoltà occorrenti ed ottenute dalla Sacra Rota il soprascritto mandato, restava che si fosse posto in esecuzione il trattato accordo.... Con solenne istromento si pubblicarono le convenzioni ed accordo nella città di Roma prima che il Vesc. Leopardi si fosse di là partito, del tenore che siegue, rattrovandosi nell'archivio scritto in pergamena a modo di libretto:

"In nomine Domine =Amen = Praesenti publico istrumento cunctis ubique pateat, evidenter et notum sit quod anno a Nativitate eiusdem D. N. Jesu Christi Millesimo sexcentesimo octuagesimo tertio 1683, indictione sexta, die vero 26 Octobris Pontificatus autem Summi in X Pontif. patris Nostri D. Innocentii Divina Providentia Papae XI anno eius octavo.

Cum fuerit et sit pro ut mihi Notario ab infrascriptis praesentibus verum esse asseritur quod multis abhinc omnis versa fuerit lis et controversia inter Ill.mos et Rev.mos pro tempore Episcopos Marsicen. ex una, et RR. DD. Archipresbiterum, Capitulum Canonicos et Presbiteros Collegiatae Ecclesiae S. Antonini Terrae Saponariae eiusdem Marsicen. Diocesis partibus ex altera, de et super Iurisdictione Ecclesiastica exercenda in dicta Terra Saponariae, praetendentes dicti Archipresbiter, Canonici et Presbiteri, jurisdictionem esse annessam Ar- chipresbiteratui et Capitulo, dictaque causa et lis diu, et acriter discussa fuerit In Sac. Rom. Rot. Auditorio, etc….omissis…Tandem decisione coram eadem Sac. Rom. Rot. Auditore per sententiam diffinitivam terminata fuerit, e qua declaratum existit, litteras per Rev. D. Carolum (Danium) esse immittendum in possessionem dicti Archipresbiteratus, excluso et amato R.D. Nicolao (Morena) et alios…etc. omissis…”

Or stipulatosi già il trascritto istromento in Roma dal sig. D. Antonio Giannone procuratore unitamente coll'anzitrascritto mandato, subito si rimisero in Saponara in mano del Sig. Arc. Danio il quale incontanenete tutte le suddette scritture mandò ad osservarle al detto sig. D. Domenico Lucchetti, della terra di Aliano, per aver egli consultato l'affare ed egli esser stato il mezzano del Vesc. Gambacorta ed havea fatta quella relazione di sopra trascritta, siccome egli stesso asserisce nella seguente lettera responsiva al suddetto sig. D. Carlo Danio Cotino, ove tratta la materia di delegato e della prerogativa di Collegiata insigne, come siegue:

2. Il parere di Monsignor Lucchetti, della Terra di Aliano, poi Vescovo di Marsico.

"Mi dispiace sommamente che non si abbia ottenuto la prerogativa del Delegato, che era fattibile ... Circa il titolo della Collegiata insigne, cammina in questa guisa: quella si dice Insigne qual tiene questi requisiti: 1°) Che sia Matrice la chiesa; 2°) La nobilità del luogo; 3°) L'antiquità; 4°) Che preceda nella processione delle altre chiese; 5°)

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La magnificenza degli edifici, tanto della chiesa quanto della terra o città; 6°) Il numero grande dei ministri che servono la chiesa; 7°) Il numero grande del popolo; 8°) La rendita grande della chiesa e il servigio grande che si rende dai ministri alla chiesa.

La collegiata non insigne si dice quella che ha poco numero di canonici, poca rendita, e poco servizio si presta alla Chiesa ... Il fine principale per cui si erigono le Collegiate è il maggior culto divino, stante il gran numero del popoplo, e che si dica insigne o non insigne è arbitrio del giudice, che deve conoscere se vi sono o no le qualità accennate.

"Nella Collegiata di S. Antonino trovo tutte le qualità di Collegiata Insigne, conforme attestai nella mia relazione: la nobilità del luogo, il numero degli ecclesiastici, la magnificenza delle fabbriche, la rendita proporzionale della chiesa, l'antichità del titolo di Collegiata o sia Matrice, la nobilità delle famiglie, il numeroso popolo che fu nel tempo antiquo quando meritò codesta patria il titolo di Collegiata; il numero grande dei letterati e alcuni di essi in grado eroico, la pietà del popolo, i quattro monasteri dei regolari cospiqui, e tutte le altre qualità che si richiedono alla Collegiata Insigne. Non stiano malinconici cotesti sigg. del Capitolo, che non abbiano ottenuto nella stipula il titolo di Collegiata Insigne, mentre questo titolo si può ottenere appresso ... etc.

Aliano, 4 novembre 1683. Domenico Lucchetti".

Questa lettera si conserva da me originalmente.

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CAP. XXXVIII

MONS. LEOPARDI PARTE DA ROMA PER LA SUA RESIDENZA. SUA TRASLAZIONE ALLA SEDE DI TRICARICO, E LI SUCCEDE NELLA PRIMA IL RAMMENTATO D. DOMENICO LUCCHETTI.

1. Monsignor Leopardi parte da Roma il 13 Novembre del 1683 per venire a prendere possesso della Diocesi di Marsico.

Mons. Leopardi essendo già stato consacrato ed avendo assodate le faccende del nostro Capitolo coll'accennato accordo, alieno affatto dal costume de' suoi predecessori portando sin dalli principii la quiete nel cuore, partì da Roma per la sua residenza li 13 nov. 1683. Quale partenza fu subito avvisata ai nostri capitolari dal nominato P. Emanuele; e come che egli stesso di quello le virtù decanta, mi è parso qui trascrivvere la sua lettera, che è come siegue:

"Questa mattina parte da Roma mons. Leopardi, Vescovo di Marsico, per la sua residenza, dove io gli prego lunga vita e ottimi successi, perchè egli è un Prelato di tanto garbo, integrità e retta intenzione, che non credo cotesta Diocesi sin'ora ne abbia avuto un altro simile nelle dottrine e nella pietà . Inclinatissimo poi a favorire e proteggere cotesto R.mo Capitolo della Collegiata di Saponara, del che sono sicuro per le promesse molte ed esibizioni che me ne ha fatte; onde son certo che le S.V. godranno sotto il suo felice governo la pace di Ottaviano. Tutto sta che lo sappiano conoscere, riverire, onorare, accarezzare secondo che meritano le sue rare qualità. Io mentre vivrò, sarò sempre presso di lui buon intercessore nei loro bisogni. Intanto vengo questa a rallegrarmi con la mia patria di un sì buon pastore, che Dio ci ha conceduto, ed anche con cotesto R.mo Capitolo, qual tengo sopra la mia testa come corona d'honore e di decoro ... Roma, 13 nov. 1683. Fra’ Emanuele di Gesù e Maria, Carmelitano scalzo ".

Tutto quanto annunciavasi nella soprascritta lettera avverossi; di modo che, favorendo strabocchevolmente colla sua grande bontà il nostro Capitolo, diè piuttosto occasione di benevolenza non che di obbligarsi con tenerezza di cuore non meno i Capitolari che la Saponara tutta in quel poco tempo che governò. Nè posso tacere a confusione di molti altri Vescovi, a riserba del di lui successore Lucchetti, che nella prima visita il Leopardi fece nella Saponara, non apportò al Capitolo di spesa più di cinque o sei scudi, siccome si ravvisa da una ricevuta firmata di sua mano, da me veduta; laonde ben aveano rattrovato più di quello che era stato loro presagito .

2. Il Vescovo Leopardi viene trasferito alla Diocesi di Tricarico ed il suo posto viene affidato a Monsignor Lucchetti, protettore della Saponara.

Godevano impertanto i nostri Capitolari e con essi la Saponara tutta del loro ottimo novello pastore, quand'ecco, guidando i suoi meriti a cure maggiori appo la S. Sede, costei volle trasferirlo alla cattedrale di Tricarico, siccome già seguì; laonde fassi il conto non aver governato la sede marsicana più di un anno e mezzo; restando con ciò all'intutto sconsolati li nostri Capitolari, come quelli che con la di lui bontà e retta inclinazione haveano ricuperato la quiete perduta ed altresì il nome ed insegne canonicali. Ma ben si raddolcirono li loro mesti cuori, anzichè vantaggiosamente brillavano di gioia allorchè intesero che le loro concepite speranze dalla lettera del loro tanto caro

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ed amico protettore D. Domenico Lucchetti1, che scrisse come dalla trascritta lettera che a Roma si negoziava per lui, era già venuto all'effetto di essere stato eletto successore al Leopardi nella Sede marsicana. E ben era degno posto maggiore, così meritano le di lui trascendentali virtù ed eroiche azioni che li fecero meritare il nome di Santo; e vieppiù bandirono dal loro cuore il procurare il titolo d'Insigne dalla S. Congreg., avvenga che non di meno quello che costui trattarono, voglio dire il Lucchetti, trattarono la nostra Chiesa da Collegiata Insigne in tutte le spedizioni e lettere, uniformandosi alle apostoliche e a quelle ch'egli stesso havea consultato e dato buon animo agli Capitolari nella sopra trascritta lettera ... egli che con tanta bontà guidava gl'interessi del Capitolo e n'era, non ancor Vescovo, appassionato, poichè essendo Vescovo e per conseguenza padre, poteva vantaggiosamente consolarli, siccome in effetto oprò non meno per la nostra Collegiata che per la Diocesi tutta.

1 Nato ad Aliano (Matera), prima di divenire Vescovo di Marsico era stato Vicario Generale di Tricarico, Anglona, Venosa e

Polignano. Tenne la Diocesi dal 1686 al 1707.

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CAP. XXXIX

D. NICOLO' MORENA ELETTO VICARIO CAPITOLARE NELLA VACANZA DI LEOPARDI FA UN ORDINE CHE GLI SPOSI DI SAPONARA AVESSERO RICEVUTO LA BENEDIZIONE SACERDOTALE NELLA COLLEGIATA, SOTTO GRAVI PENE.

1. Niccolò Morena, succeduto al Leopardi come Vicario, impone ferree regole alla Chiesa di Saponara circa la celebrazione dei matrimoni.

Seguita la rinonza del vescovo Leopardi dalla Chiesa marsicana per esser trasferito a quella di Tricarico, dovette senza manco vacare la prima sede ed in conseguenza succedere il Capitolo alle di lui giurisdizionali; laonde, fatto il dovuto squittinio, fu eletto vicario generale capitolare il Rev. D. Nicolò Morena, colui stesso che per essere Arciprete come di parrocchiale, corse pericolo di vita. Costui dunque, veggendosi con la giurisdizione in mano e rammentandosi del trasandato oltraggio, e non sapendo in che altra maniera vendicarsene, forse ancora fomentato da taluni marsicani nemici della Chiesa nostra, spedì un ordine, nel quale a suo marcio dispetto chiamò la nostra chiesa Collegiata, comandando sotto pena di libre 30 di cera lavorata e di scomunica agli sposi di Saponara, anche coloro che avessero procreato figli, se non avessero ricevuto la benedizione sacerdotale nella forma che siegue: OMISSIS

Se quest' ordine si fosse posto in esecuzione è incerto. Nondimeno chi sarà colui che asseverare non debba che il Morena, accecato dalla ira di passione che avea

contro la Saponara, giacchè non fu editto generale per tutta la Diocesi, diè a vedere l'ignoranza che egli avea del S. Conc. Di Trento, il quale nella sess. 24, de reformat. Matrim., cap. 1, stabilisce che gli sposi debbano esortarsi a ricevere la benedizione, per la grande utilità che possono produrre, ma non si astringano, nè alcun Giudice Ecclesiastico in queste materie può far più di quello che fece il S. Conc. Di Trento, ... usando della parola hortatur e non mandat ...

Con quale ragione potè il Morena nel suo ordine non meno dire e che è comandata dalla chiesa, che con effetto precettarla sotto pena di scomunica? (segue lunga dissertazione al riguardo, che qui si omette, almeno in gran parte OMISSIS).... Laonde i padri, madri e fratelli ed altri, cui spetta la custodia e cura delle donzelle, dovrebbero avere peranche davanti agli occhi ecc. . Ma poichè i genitori stessi ed in particolare le madri, che "luxuriatur in filiabus" e da per loro vanno in cerca di giovani (oh quante ve ne sono di queste!), ambiscono simile commercio, scusandosi e dicendo che, se gli sposi non averanno tra di loro qualche conversazione che essi chiamano lecita, non potrà giammai concepirsi tra i medesimi e tampoco crescere quell'amore dovuto tra veri sposi, anzi qualora lo sposo non va così spesso a rattrovare la sposa, subito se ne rattristano, se ne dolgono, se ne querelano di poco affetto, di poco genio, e non si avvengono che con tal connivenza e permissione inciampano talvolta nel precipizio, oltre del peccato, perchè danno occasione al peccato, anche dell'onore. Veggendo poi le loro figlie senza quel bel candore dell'onestà, per non dire della verginità, per le quali quanto elleno si rendono care agli uomini se le conserveranno, altrettanto vengono dileggiate e schernite se le perderanno, giusta quale saggio sentimento di Catullo in Epithal., riferito, per non esser ritenuto da plagiarlo, da mons. Maranta, vesc. di Giovenazzo, al resp. 6, n. 20:

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"Et flos in septis secretis nascitur ortis, ignotus pecori, nullo contusus aratro,

quam mulcent aurae, firmat sol, aduncat imber; multi illum pueri, multae optavere puellae; idem cum tenui carptus defloruit ungue, nulli illum pueri, nullae optavere puellae;

sic virgo, dum intacta manet, tam chara suis, sed cum castum amisit polluto corpore florem, nec pueris jucunda manet, nec chara puellis."

Sonovi però talune, anzi moltissime zitelle, che capricciose al loro volere, quanto più dai genitori e altri congiunti

loro si proibisca tal commercio (e volesse Dio e ciò almanco fosse sulla speranza di matrimonio, e non altro più cattivo e pernicioso) tanto più elleno hanno da rattrovar mezzo per compiacere lo sposo, per non dire se stesse e la loro inclinazione, e se a quelle figliuole che sono oneste lo Spirito Santo per bocca dell'Ecclesiastico a cap. 36 dà un suo consiglio ad essere vigilanti sopra di quelle ("in filia avertente se, firma custodiam, ne inventa occasione utatur se"), quanto maggiormente i genitori devono invigilare per quelle che sono licenziose e cortigiane, prendendo insegnamento dallo stesso savio al citato luogo, al n. 40, ivi: "Filia patris abscondita est vigilia et sollicitudo eius aufert somnum, ne forte in adolescentia sua adulta efficiatur . etc.”

Laonde dovriano togliere ogni ombra di occasione, per menoma che sia, poco importando che la donzella sia onesta e pudica, scornosa e dabbene, la occasione dunque devesi fuggire, massime di cose appetibili, avvegnachè "qui tetigerit anguem, disse il Savio, inquinabitur ab eo". Questo consiglio del Salvatore di fuggire la occasione del peccato, vien significato con quella pietra preziosa che chiamasi crisolito, la quale risplende in faccia del sole, come

una stella d'oro, e se si ripone in faccia del fuoco, ivi risalta. Così la cautela di fuggire il peccato risplende nell'anima, come stella d'oro che guida l'uomo nelle sue azioni... etc.

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CAP. XL

SI RAPPORTA LACONICAMENTE LA VITA ESEMPLARE DI MONS. LUCCHETTI E GLI BUONI TRATTAMENTI CHE FECE ALLA NOSTRA CHIESA.

1. Elogio del Vescovo Lucchetti.

Quantunque la penna mia non di rettorico sia, per mentovare le eroiche virtù del mentovato mons. D. Domenico Lucchetti e il mio talento non sia notrito con quei principi che richiede una tale impresa, siccome dissi nel principio dell'opra, tuttavolta spenderò in questa parte di quella moneta che l'Altissimo a mia confusione mi ha compartito, protestando soggettare questa mia relazione al giudizio di S. Chiesa, e se ne abbia quella fede che merita un privato, a tenore del decreto di Urbano VIII Sommo Pontefice, pubblicato nel 1623 e 1634, intendendo solo perpetuare queste notizie per non farle ingoiare nel buio della dimenticanza.

Egli dunque Domenico nacque nella terra di Aliano, diocesi di Tricarico, da questi parenti, li quali conoscendolo di alta intelligenza, lo fecero applicare allo studio della giurisprudenza, nella quale tanto approfittossi che, prima di prender la laurea del dottorato, ben potea nominarsi dottore nell'una e nell'altra legge; ma poi fattosi sacerdote diessi più alla lettura dei sacri canoni.

Ma divulgatasi la fama del suo gran sapere, non li mancarono clienti per esser patrocinati nelle loro cause, nè li mancarono cariche onorate di Vicario generale nelle diocesi di Marsico, Tricarico, Matera ed altre, nel quale officio fecesi conoscere molto rigido e severo, ambizioso altresì di accumulare quadrini, siccome oggi ne percorre la fama, ed avanzossi vieppiù nella lettura dei Sacri Canoni, dei quali rammetavasi come di cosa volgare e senza veruna difficoltà; ed a tal segno precorreva la fama di tal sua scienza, che rinunciato da mons. Leopardi alla sede marsicana, fu egli a quella anteposto ed eletto, siccome egli stesso ravvisa nella trascritta lettera, e dovendo esporsi all'esame come protetto da un cardinale di vaglia, gli esaminatori gli avevano prescritta la morale, ma nel tempo che fu introdoto dal cardinale all'esame, interrogò gli esaminatori dela materia di cui dovevano esaminarlo; ma rispondendo averli prescritto alcuni punti morali, replicò il cardinale facendo pompa della persona da lui introdotta: "E via, signori, l'abate mio deve esaminarsi sopra i sacri canoni, sui quali si compiacciano esaminarlo". Il nostro Domenico, niente temendo dell'esame, con intrepidezza fè stordire tutti gli esaminatori nell'udire le risposte adeguate alli dubbi che all'improvviso li proponevano, nè poterono non colmarlo di somma lode dopo che l'ebbero approvato. Ritirato poi nella sua sede marsicana, cominciossi ad osservarsi in lui una mutazione di vita da quella che avea menata da semplice sacerdote in una più perfetta e più santa e più regolata, di modo che, mosso da scrupoli di coscienza da qualche torto che aveva esercitato nel tempo del suo vicariato, purificandola al possibile, di mano in mano fè molte restituzioni, e tanto affinossi in lui la carità verso il prossimo, che la rigidezza cambiossi in clemenza, il rigore in piacevolezza, la severità in accoglienza e da lupo in agnello più che mansueto, del che facendo ammirar tutti per soddisfare la lor curiosità egli rispose: "Allora ero giudice, oggi son padre".

Oh volesse il cielo che tutti i Vescovi facessero una tal mutazione; chè al certo così dovrebbe seguire per virtù di quel sacro santo carisma col quale sono unti, significandosi con quello la pienezza dello Spirito Santo che ricevono.

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Ma regnando in moltissimi l'ambizione d'ingrandire la loro casa, nobilitare i nipoti, passare ad altro posto maggiore, la mutazione non si osserva, siccome nel nostro Domenico.

L'umiltà fu in lui in grado eminentissimo, la semplicità dell'animo a guisa di colomba, giusta l'evangelico avvertimento registrato in S. Matteo, 10, n. 16, in lui osservossi, avvegnachè nell'esercizio della dignità pastorale, difficilmente si persuadeva che un sacerdote avesse potuto commettere un peccato mortale e siccome era propenso a dare credito a qualche relazione, precise in materia di disonestà, così ad un'altra relazione in contrario costantemente davasi a credere per la innocenza del malignato.

2. La sua vita.

Tanto che una volta, trovandosi rattenuto nella carcere per ordine del Vicario generale un prete, accusato da una donna di peccato disonesto, pregato il prelato di aver compassione di quel povero supposto reo, essendo più che innocente di ciò che se gl'imputava, essendo una mera impostura nata dalla malvagità di quella perversa donna per altri suoi fini e che quel sacerdote era incapace di aver commesso un tale peccato, quando che menava la sua vita tra digiuni continui, s'impresse per siffatta guisa per vera nella mente questa narativa, che subito mandò chiamando la donna, la quale giunta innanzi a lui, le rimbrottò con severità, quell'impostura avendo inventata contro il povero sacerdote innocente, ed esortandola che non avesse così malvagiamente altra volta operato caricando la sua coscienza, la licenziò con sommo suo scorno e confusione e il sacerdote fu subito scarcerato senza menomo interesse, non senza dispiacimento del vicario e d'altri ministri.

Se si riguarda la carità verso i poveri, è indicibile quanto egli li compassionava, tanto che spesse fiate dava loro i propri vestimenti, a guisa di un altro Francesco d'Assisi, anzi una volta non potè alzarsi di letto, per aver dato il giorno avanti le sue calze, o sia le brache ad un meschino che si fè vedere ignudo, senza che se ne fossero avveduti i suoi familiari, andando egli con la veste lunga da camera, perchè non teneva più. All'infretta fu d'uopo farli cucire un paio nuovo. Di vantaggio era nella città di Marsico, o pure come altri dicono in quella di Tricarico, se pure non è succeduto in ambedue le città, una donna civile ridotta in condizione assai miserabile. Costei essendosi raccomandata alla pietà del caritativo pastore, segretamente ogni anno riceveva dal medesimo una convenevole somma con la quale viveva onoratamente nella sua casa. Morto che fu il vescovo, la povera donna era inconsolabile per la perdita del suo benefattore, e quasi sull'orlo della disperazione, perchè non aveva chi la potesse soccorrere come prima, e con le mani proprie voleva uccidersi. Ma quell'anima, che si credea infallibilmente, siccome si crede, assunta in cielo, per le sante virtù da lei esercitate, non permise si avverasse il sinistro pensiero, ma raccordevole di lei sua divota, per molti anni le fè rattrovare nella propria casa la solita limosina.

Mentre il di lui cadavere trasportavasi nella cattedrale, con tutto che soffiava un forte vento e sì tempestoso che avrebbe fatto smorzare ben grosse fiaccole di legno, non già faci di cera, pure osservossi che non pure una candela si smorzò nell'accompagnamento del cadavere: segno evidentissimo che, siccome egli in vita bruciò nel suo cuore ardentissima fiamma di amore verso il prossimo, cioè verso Dio, poichè chi ama il prossimo ama Dio ("Qui vos diligit me diligit" disse il Salvatore in S. Matteo al c. 10, v.40), che giammai si smorzò in mezzo alle cure mondane, così

Dio volle che si fosse manifestata per viva quell'ardente carità del suo servo per mezzo delle faci ardenti alla faccia del

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vento che soffiava con grandissimo impeto. Bel paragone al certo si fa della carità al carbonchio, avvegnachè siccome questo tra le pietre preziose tiene il primato, siccome lo tiene l'oro tra i metalli, così la carità avanza tutte le altre virtù, le quali vengono in essa racchiuse. Di più, siccome il carbonchio è di natura ignea, ed a guisa di carbone acceso riluce tanto che cambia l'oscurità della notte in chiarissimo giorno, così la carità è un fuoco che maggiormente riluce nella notte delle avversità che nel giorno della prosperità; anzi che cambiala tribolazione in consolazione, avverato tutto ciò nei ceri accesi in tempo di moltissimo e impestoso vento. Accoppiossi altresì al memorato portento un odor soave che gli astanti a quel corpo sentivano nella cattedrale in tempo dei divini offici, che aggiunse meraviglia a meraviglia nei cuori di tutti.

Parcissimo altresì nel vittitarsi1, alieno dall'uso di cioccolata e regolatissomo coi servitori, e soprattutto nel tempo che andava visitando la Diocesi, nel qual tempo, oltre che non faceva siccome altri (salva però la pace delli buoni) che non camminano per corrigere i difetti e mali dei sudditi e far risarcire ciò che manca per il culto divino, ma per andare alla busca dei regali, mangiar bene e dispendiare i sudditi, contro il divieto cotanto inculcato dai sacri canoni e dal Conc. Di Trento, sess. 24 ma di vantaggio trapassare non faceva la spesa più di quattro o cinque scudi, non ammettendo nella sua mensa vivande di pulli o altre vivande dilicati.

Potè dunque ben dire il nostro Rev. P. Emanuele che doveasi godere la pace di Ottaviano, la quale avendola posta in piè mons. Leopardi, la mantenne Mons. Lucchetti, anzi l'accrebbe, ed almanco se mons. D. Carlo Danio Cotino ebbe tanti contrasti, travagli ed angosce sotto il tempo dell'Arcipretura, godè poi tutte le gioie e le contentezze in tutto il tempo ch'ei visse sotto il governo di un così buon pastore.

3. Atteggiamento benevolo nei confronti della Chiesa di Saponara e sua morte nel 1706.

Ed il povero ed afflitto Capitolo respirando all'aura di un così dolce zeffiro, non cessava di rendere a Dio le dovute grazie, per aver eletto la strada di mezzo, cioè farli perdere il proprio prelato con la omnimoda giurisdizione e farli mantenere la collegialità, difesa e mantenuta con sudori di sangue.

Non cessò il buon prelato sin che visse di trattare con particolar distinzione la nostra sua favorita Chiesa, nominandola in tutte le scritture, spedizioni e lettere Collegiata Insigne, siccome egli aveva consultato, con dare alla

nostra patria il titolo di città siccome tra le altre memorie si acclara da una lettera capitatami tra le mani, scritta del governo di quel tempo:

"Miei Sigg. Oss.mo, Per servire le SS.VV. ho conceduto la facoltà al P. Filippo di Lagonegro che possa predicare nel prossimo tempo quaresimale sul pulpito di codesta insigne Collegiata e nelli due monasteri delle monache. Attendano le SS. VV. a comandarmi sempre, nelle congiunture, perchè protesto non cordinaria obbligazione a cotesta città e con cordialissimo affetto delle SS. VV. le bacio le mani.

Marsico, 22 febbr. 1694 -Aff.mo servo di cuore Domenico Vesc. di Marsico".

O volesse il Dio a quel comun proverbio che "Honores mutant mores", tal cangiamento si osservasse in tutti siccome si osservò nella persona del nostro Domenico; il quale nelle cristiane virtù vieppiù avanzando, carico d'anni

1 Alimentarsi.

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passò da questa mortal vita, per goderla eternamente felice, siccome si spera, nell'anno 1706, spirando il di lui corpo una fragranza di odor soave, si come si è detto. Lo pianse la città di Marsico, e tutta la Diocesi; ma più lo pianse la nostra Saponara, che era stato recolmato di tanti ottimi trattameni, con tutto che egli osservava conservarle con ordinaria abnegazione e sopra tutti lo pianse il nostro Capitolo.

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CAP. XLI

DON CARLO DANIO COTINO PASSA DA QUESTA VITA E LI SUCCEDE DON CARLO DANIO CERAMELLI E NELLA SEDE MARSICANA VACATA PER PIU' ANNI FU CREATO VESCOVO DONATO ANZANI DI ARIANO.

1. Muore nel 1702 Carlo Danio Cotino e gli succede come Arciprete Carlo Danio Ceramelli.

Fra li contenti del felicissimo governo di mons. Lucchetti godendo il Capitolo, diè di piglio a far qualche ornamento alla chiesa, ciò che potuto non avea negli anni trasandati per la spesa strabocchevole delle liti e per la inquietudine della mente. Laonde, essendo la cona dell'altar maggiore di pittura in legname, sebben di buon pennello, ma logorata dall'ingiuria del tempo, la fè costruire nuova d'intagli dorati, siccome al presente si divisa, nel 1696.

E il Danio, avendo goduta l'arcipretura per lo spazio d'anni 19, passò da questa vita nel 1702, con somma lode della sua condotta.

Vacando dunque l'Arcipretura suddetta, il Capitolo, ben informato non pur dei natali, ma del talento e sapere di un altro D. Carlo Danio1, figlio del Dr. D.

Atto di nascita dell‟Arciprete Carlo Danio Ceramelli del 16 Luglio 1669. (Archivio parrocchiale Grumento Nova, Liber Baptizatorum aa.1660/1733, fol. n°46 Recto e verso)

Giuseppe e Sig.a Violante Ceramelli, pronipote del defunto Arciprete e del celebre giureconsulto e consigliere D.

Amato Danio; che, già laureatosi in giurisprudenza nel Sacro Collegio della Sapienza di Roma, ivi tuttavia dimorava applicato alle varie erudizioni, adocchiollo per la successione, e dimentico della derogazione fatta dalla S. Sede per la elezione dell'Arciprete nelle Collegiate, come di prima dignità e che molti Arcipreti mica erano stati da lui eletti, ma provvisti

1 Nacque in Saponara, dal Dott. Giuseppe Danio Mendoza e da Violante Ceramelli il 16 Luglio 1669. Vedasi l’atto di nascita

alla foto n° 63 (Fol. 46 del Libro dei battezzati-1660/1733). Fu il primo archeologo delle Antichità Grumentine. Anche se di lui non è residuato alcuno scritto, tranne una lettera sulle iscrizioni grumentine a Matteo Egizio riportata dal Momsen, egli lasciò il segno nella cultura e nella storia di Saponara.

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addirittura dalla S. Sede; supponendo di avere tal facoltà di eliggere, con pubblica scrittura ed unanime consenso l'elessero, quantunque appena era chierico, e la remise alla Dataria per le bolle. La Dataria, però, informata della qualità del soggetto secondo la brama del Capitolo, spedì effettivamente le bolle, ma ordinò espressamente che prima della presa del processo rinunciasse alla elezione fatta dal Capitolo per pubblica scrittura, che poi avesse rimesso alla Dataria nello spazio di tre mesi, siccome dalla bolla che soggiungerò. (OMISSIS la trascrizione della bolla, p.413 - 417).

In esecuzione di questo diploma2, convenne al provvisto D. Carlo soggiacere al rigoroso esame in presenza del vicario generale di Marsico, in quel tempo il rev. Dr. D. Giov. Lucchetti, nipote del prelato e rigido osservatore di tutte le materie e degli esaminatori sinodali e rattrovatolo quale egli era, più che abile e idoneo all'Arcipretura, lo stesso Vicario promulgò sentenza d'approvazione e della ammissione al beneficio predetto e ne remise l'atto del possesso al Rev. Canon. D. Angelo Prezioso, Vicario foraneo, e non essendo, siccome si è detto, in ordine sacro, con breve apostolico, in tre giorni festivi, fu a quelli promosso dallo stesso prelato. Non godè molto tempo il novello Arc. D. Carlo Danio della gran clemenza del prelato, poichè siccome si è divisato, passò da questa vita nel 1706.

Laonde, restava vedova la chiesa marsicana, quel Capitolo fece elezione del suo Vicario generale in persona dell'arcidiacono sig. D. Tommaso Saso, il quale per 4 anni che vacò la sede, governò con somma lode.

Ma alla pur fine ai principi del 1710 la sede apostolica provvide il nuovo pastore, che fu D. Donato Anzani3, della città di Ariano in Puglia4, dottor di legge e maestro in sacra teologia ed in fatti uomo savio; il quale essendo stato consacrato al 15 di giugno dello stesso anno, mandò al suo clero e popolo una lettera del tenor che siegue: OMISSIS

2 Trattasi del giuramento di fedeltà a Dio e alla Chiesa Romana di Carlo Danio contenuto nella pergamena n° 64 (Cfr. V.

Verrastro, op. cit., pag. 263) in scrittura bollatica. Scrittore o Rogatario: Bortana?. 3 Già Vicario Generale delle Diocesi di Ariano, Potenza, Troia, Mileto, Lanciano e Bari. Tenne la Diocesi dal 1710 al 1732. I suoi

22 anni di governo furono caratterizzati da una fiera lotta contro il Clero per l‟amministrazione dei beni comuni e per i tassi usurai praticati dai preti nei prestiti. Egli affermò per la prima volta che la statua della Madonna di Viggiano era stata ritrovata miracolosamente sul monte nel 307 da pastori. 4 Si chiamò Ariano di Puglia sino al R: D. del 5-6-1930 con il quale assunse la denominazione di Ariano Irpino in Provincia di

Avellino.

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CAP. XLII

SI DESCRIVE LA SOLENNE CERIMONIA E IL NOBILISSIMPO TRATTAMENTO CON CUI FU RICEVUTO MONS. ANZANI, IN TEMPO DELLA PRIMA VISITA IN SAPONARA.

1. Preparativi per la visita del Vescovo Anzani.

Non potè il novello Prelato partirsi da Roma per i caldi avanzati, siccome indi poi fece alla rinfrescata e giunse alla residenza nel mese di Nov. dello stesso anno 1710. E quantunque il nostro Capitolo ivi a la possibile complimentato lo avesse, pure non era quello il luogo opportuno per dimostrarli l'affetto con cui lo venerava. Impertanto, avendo il Prelato avanzata notizia per la santa visita nel mese di maggio 1711, in questo atto riserbò gli veri atti di complimenti. E come che l'ingresso di questa visita fu daddovero eccellente e magnifico, di modo che non sarebbe in altra maniera ricevuto lo stesso Sommo Pontefice, perciò mi è parso convenevole per memoria dei posteri trascriverlo, abbenchè la penna non abbia l'arte della rettorica e di altra maniera non abbia concetti e frasi confacenti.

Appalesò impertanto il Prelato di voler giungere in Saponara per l'anzidetto fine, ai dì 21 maggio 1711. E quanto il Capitolo mostrò la consolazione della presenza del suo novello pastore, altrettanto si rammaricò come che non era quel giorno festivo, in cui si avesse potuto sperare quella quantità di gente che egli sperava per onorarlo.

Prima di tutti gli altri preparamenti si formarono indicibili archi di legname ben intessuti di verdeggianti allori, ellere, erbe e fiocchi ed altro simile, da quel luogo dove si scorge il convento dei Cappuccini, ove oggi e costrutta una cappelletta in onore di Maria SS. del Rosario, sino alla porta della Collegiata. Nella sommità della di cui scala si eresse una pittura, che esprimeva un giardino, figurato per le delizie che apportava alla chiesa il novello prelato, e nel mezzo della sommità dell'arco si conficcò l'impressa delle di lui armi, non essendosi di vantaggio lasciato farsi ai piè della scala uno scherzo d'acqua d'accordo col giardino.

Terminato questo ed altri preparamenti nello spazio due giorni, ecco comparso quello delli 21, in cui a buon'ora avviossi un canonico della collegiata alla volta di Marsico, non meno per servire il Vescovo per istrada che per disporre il cammino a lenti passi, a fine di dare maggior agio al disbrigo di altre minori cose rimaste a compiersi. Dopo mezzodì vociferossi per la città che chiunque avesse avuto ardire uscire incontro per complimentare con armi il prelato, sarebbe stato punito, locchè fu appalesato da persona mica vaga di onore, quantunque appoggiata la voce su di fiacchi fondamenti di un picciol torbido più prima insorto tra padrone ecclesiastico e secolare della città, credo per causa di trattamento.

Sorpreso il Capitolo dal momentaneo ed improvviso nonchè stravolto mormorio, tanto disse, tanto oprò che fece revocar quell'ordine. Nel medesimo istante cavò tanta gente, che alla stessa meraviglia avrebbe dato motivo d'innalzar le ciglia, di modo che una sì gran quantità inaspettata generò qualche confusione al sì bel registro meditato.

2. Inizio della cerimonia di accoglienza e festeggiamenti in onore del Vescovo.

Or questa numerosità di gente armata, con soldati del battaglione ben vestiti, alabardieri in numero di 16 con bandiera spiegata e ben risuonanti tamburi, accompagnando una man di galantuomini a cavallo riccamente vestiti,

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si avviarono per incontrare il prelato, con cui si affrontarono nel luogo chiamato la Foresta1, sopra il ponte di S. Vito,

mezzo miglio distante dalla nostra città, che veniva in lettiga, e fatti gli scambievoli gentilissimi complimenti, la soldatesca fè la prima scarica di archibugi, al rimbombo dei quali le campane cominciarono a mandar suono di allegrezza, nè terminarono se non dopo finita la funzione, e il Capitolo avviossi adagiatamente colle confraternite e uscì dalla città, aspettando il prelato davanti la cappella di Nostra Donna, prima detta S. Sofia, ove preparò la credenza con gli abiti pontificali. Il vescovo impertanto marciò con l'accennato accompagnamento, e giunto al convento dei cappuccini, scese di lettiga; il maestro di cerimonie domandolli la maniera con cui guidar si doveva quella funzione. Egli gli rispose, siccome sta ordinato nel pontificale romano, così convenendo ad un luogo cospicuo sì insigne. Ciò inteso, lo fè vestire con la cappa magna; e covertosi col cappello prelatizio, montò sulla mula e in cotale guisa camminò fino all'anzidetta cappella S. Sofia. Ove giunto, smontò; e in quell'atto che inginocchiossi sopra un cuscino, che rattrovar gli si fece, su di un tappeto strato per terra, baciò la croce d'argento esibitagli da un canonico maestro di cerimonie della Collegiata, poichè l'Arciprete restò in chiesa, per una flussione di podagra che l'incomodava a camminare, se pure non fu per ostentazione2. Dopo entrò nella cappella per vestirsi dei pontificali. Frattanto non tralasciossi di eseguire una triplice scarica di mortaretti e archibugi. Volle però il prelato usare una finezza verso il Capitolo, che si era mostrato così circospetto, piacendogli di cingersi di una delle mitrie degli Arcipreti ed Ordinari, che tuttavia si conservano per memoria; facendole preparare su quell'altare. E frattanto le Confraternite, che con gli stendardi si erano fatte trovare in buon ordine fino alla spianata della chiesa dei Cappuccini, girarono per formare la solenne processione, la quale seguì nella forma che dico.

Dopo che il Vescovo fu uscito dalla cappella vestito dei pontificali, montò di bel nuovo sulla mula, benchè con non poca fatica, per la calca del popolo ivi accorso, anche di qualche forestiero, ivi venuto a soddisfare la sua giusta curiosità. Precedeva in primo luogo la bandiera spiegata in mezzo a due tamburri; a costoro seguivano i soldati del battaglione; dopo gli alabardieri; appresso le Confraternite per ordine, al numero di cinque3, di poi li religiosi Cappuccini e Conventuali4, dietro al quale camminava il clero grado a grado, cioè chierici, preti fuori del corpo capitolare, coi due grancieri, cartusiano5 e cistercense6, poi li preti capitolari e canonici, e alla pur fine compariva il Vescovo sotto un famoso baldacchino, sostenuto dagli eletti e principali della città, servito da un lato dal maestro di cerimonie col pastorale alla mano, alla staffa destra dal Sindaco e alla briglia dal Governatore della città, e seguito in ultimo da nobili ed ignobili innumerabili.

1 Ancora oggi è chiamato così il bosco che a circa 500 metri dopo il ponte sull‟Agri si estende verso Villa d‟Agri.

2 Qui si allude al concetto della “pari dignità” sempre rivendicata dalla Chiesa di Saponara.

3 Del SS. Sacramento, della SS. Annunziata, di S. Maria di Monserrato, del SS. Rosario, del Monte dei Morti.

4 I monaci dei conventi dei Francescani Cappuccini e dei Francescani Conventuali.

5 Il rappresentante della Grancia di S. Lorenzo della Padula dell‟Ordine dei Certosini. Aveva una sede in paese sotto l‟attuale

casa municipale e una sede in contrada Spineta. 6 Il rappresentante della Grancia del Sagittario, dell‟Ordine Cistercense, con sedi in paese e in “Valle vecchia” agli scavi di

Grumentum.

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Al gran largo del castello, chiamato lo Steccato e del Pirozzo, prima d'entrare, la porta della città7, facea mostra sì grandiosa e superba, che lo stesso Campidoglio avrebbe diffidato in confronto delle città produrne un'altra simile.

Il regolamento degli armigeri e soldati, la positura degli alabardieri, il tocco dei tamburri, il gioco della bandiera, la scarica continovata degli archibugi e salva incessante dei mortaretti, il suono gioioso delle campane di tutta la città, il registro delle confraternite, l'ordine dei regolari, la disposizione del capitolo, la comparsa del Vescovo in quella guisa ai gravi passi della mula, benedicendo sempre il popolo che da ogni banda se li faceva avanti, le voci d'allegrezza di costui, la infinità degli uomini, le donne che ingombravano le strade, le finestre e porte alla pur fine la riverenza con cui tutti accompagnavano una sì festosa solennità, facevano spettacolo sì grande ed eccelso, che negli animi degli spettatori introducevano senso tale che ne cacciava poscia copiosissime lacrime; nè vi fu cuore, quantunque di sasso, che per tenerezza pianto non avesse, sì come io in descriverlo, leggerlo e alla rinfusa rammentarlo non posso dagli occhi le lacrime contenere.

Giunti gli armigeri e li soldati nella piazza, ivi si squadrarono, e con altra salva inginocchiati licentiaronsi dal Prelato, il quale data loro la pastorale benedizione, incamminossi verso la Chiesa, alla di lei gradinata smontato, salì e alla porta dalle mani dell'Arciprete ricevuto l'aspersorio, benedisse gli antistanti e, piegate le gambe su di un cuscino, baciò la croce e, ricevuto l'incenso dal sig. Arciprete, subito s' intonò il Te Deum solennemente dai musici al

suono dell'organo e tra tante andò ad adorare il venerabile in altare separato e poi al maggiore, che era ornato di fiori, siccome tutti gli altri, e di lumi innumerabili, che facevano come il sole alla notte già incominciata, ed assiso poi al trono vescovile, ricevè al bacio della mano tutti li ecclesiastici in segno della loro obbedienza e, dopo compartita la benedizione pontificia, si spogliò dei pontificali e adorò di muovo il venerabile; ed alla fin fine, essendo già notte, ritirossi con sei torchi8 al palagio dei sigg. D. Mario e Rev. D. Giuseppe Zottarelli9 preparatosi per sua dimora, seguito dal Capitolo e clero, nobilità e plebe, ove ringraziando infinitamente tutti, espresse la meraviglia in pubblico arrecatagli dalla finezza e maniera assai gentile indifferentemente in quella funzione, confessando altresì che Roma non avrebbe in altra pomposa foggia possuto ricevere lo stesso Sommo Pontefice, Vicario di Cristo.

Chi mai si avrebbe creduto che la Saponara, come occhio dell'Italia, cuore dell'universo ed anima del mondo, avesse dato in quell'occasione nuovo saggio del modo come venera la religione cattolica? Certo che fu pruova dello zelo di quell'onore succhiato dal seno della sua nobilissima madre Grumento, quale onore, qual religione sono stati e saranno i due poli sempre fermi e stabili dei cuori dei cittadini, che sparsi per le strade in ogni uscita del Vescovo, giubilanti e contenti per vedere non che ammirare i portenti di un tanto pastore.

Stimerà forse taluno non dico dei convicini paesi, ma di quelli più che lontani, abbatterassi a leggere questo mal

composto ragguaglio, che sia un mitologico rattrovato, una favola dei poeti, o pure rettorica invenzione per accrescere e magnificare le azioni e procedure della patria, abbagliato dalla passione dell'obbligo che ciascuno li deve, ma se per avventura venisse divisato di chi forse talvolta in simili congiunture si fosse rattrovato presente, confesserebbe con

7 Trattasi della Porta di Corte (oggi Piazza Umberto I). Vedasi foto n° 64.

8 Con sei libri.

9 Potrebbbe essere il palazzo ove oggi è la casa del geom. Laveglia Michele e Franco De Cilla.

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ingenuità la maniera ed il tenore con cui ha saputo la Saponara ricevere, onorare e riverire li padroni temporali, nonchè spirituali e maggiormente più quando ha conosciuto menomo segno di amorevolezza, bastando in pruova aver saputo trattare quel gran principe di Bisignano D. Carlo Sanseverino, il quale per dimostrare l'affezione verso la Saponara, la elesse per sua quasi continova abitazione, con rifare ed ingrandire un sontuoso e magnifico palagio, che è stato la meraviglia di chi, per soddisfare la curiosità della fama precorsa, coi propri occhi l'ha osservato, rattrovandosi più di quello che si asseriva, bastando dire una sola relazione, che solamente di finissimo oro consumato per indorare gli stucchi e cornici ad altri quadri, si consumò la somma di molto più che centomila ducati. Volle il prelato, per consolazione, non meno dei diocesani che forestieri, celebrare solenne ordinazione, giacchè occorsero i quattro tempi di Pentecoste, nei quali restò consolata la mia casa, coll'ordine cattedrale conferito a mio fratello Giov. Battista.

Partitosi alla fine dalla Saponara, non si smemorò del cortesissimo ricevimento e continovi ossequi prestatili, ma ben rammentandoseli a pieno, con spezial contraddistinzione la riguardò sempre, favorendo vie più gli acclesiastici ed onorandola continuamente col titolo di città; seguendo l'orme di Mons. Lucchetti, con altre circospezioni ben adatte a farte spiccare la gratitudine del Prelato: il quale, tutto che interessato, non può trovarsi chi di Saponara, d'inquisizioni o almanco di estorsioni lagnato si fosse, abbenchè rattenuto da altri ragguardevoli motivi e senza andar squittinando più oltre, la nostra città ne godè il migliore tra li altri luoghi della Diocesi, come quella che nell'onorare ha saputo sovrabbondare in cortesissime accoglienze, nonchè finezze e gentilezze, e nel difendersi avvalorata da nobilissimi patrizi, lasciare addietro qualunque rispetto per non perder nulla delle sue antiche e incontrastabili preminenze, peraltro ereditate dalla sua madre Grumento.

Col tempo poi mutossi di complessione il Vescovo, poichè, volendo a suo modo cibarsi di vivande che li erano

state vietate, fu di mestieri darli dei medicamenti amaricanti, per farli metter lo stomaco dalli umori viscidi, accagionati dal volere con ingordigia metter le mani nei piatti altrui che toccar non potea. E come che i medicamenti, oltre che dall'amaro, avevano del pontico, non potendo il di lui fermento digerirli, fu astretto contro cambiare le dolcezze ingoiate per molti anni a suo bell'agio colla estrema amarezza della morte, siccome dirassi nel progresso di questa storia, discorrendosi della provvista dell'Arcipretura che volea incorporare a lui.

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CAP. XLIII

IL SIG. D. CARLO DANIO RIFIUTA L'ARCIPRETURA ALLA S. SEDE. IL VESCOVO CON UN BEL RATTROVATO LA CONFERISCE AL SIG. DOTT. D. DOMENICO DEL MONACO.

1. Carlo Danio Ceramelli si dimette dall’Arcipretura il 5 Settembre del 1720.

Godea senza fallo la nostra Chiesa una tranquillità più che amena, avendo il Prelato che riguardavala con limpido occhio e l'Arciprete che in qualunque avversità vigorosamente difendevala, tanto che una persona dotta ebbe a dire, alludendo alla buona difesa e custodia che ne faceva l'Arciprete, essere Saponara un repubblichetta ove non facevasi caso dei superiori, nel caso avessero voluto eccedere li limiti del dovere, facendoseli sempre origine ed ostacolo alle di loro irregolari procedure, e lo stesso Prelato il confessò in tempo di visita, dopo creato D. Domenico Del Monaco, che quella era la prima volta visitava la Saponara, intendendo a suo volere e senza ostacolo, poiché essendo quegli sua creatura, condiscendea volentieri alle sue voglie.

Stemma dei Danio,inquartato

con quello dei Giliberti.

Nel quarto in bassoa sinistra si

nota il Daino della Famiglia

Daunio e poi Danio.

Nel quarto in basso a destra

il simbolo normanno dei Giliberti.

(Portale in rione S. Rocco)

Stemma della Famiglia Giliberti collocato

sotto alla volta dell’atrio d’ingresso del loro

palazzo in Moliterno (oggi Municipio)

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Ma quando sel pensava incominciossi a turbare il bel sereno delle contentezze, appena che il detto sig. Arciprete si fè sentire che voleva rifiutare l'Arcipretura per motivi molto gravi e rilevanti. Questa novella oprò nei cuori dei nostri capitolari più che il gelo alle novelle piante sbocciate fuora del materno seno, agghiacciandovi nelle vene il sangue, per tema di perdere colui che tanto desiderato avevano e per il quale spero avevano tutta la di loro sostanza; e per togliere forse la scusa esteriore si essere la sua casa molto lontana dalla chiesa e di strada malagevole, a quel fine non avesse possuto accodire et assistere alli affari della chiesa, li chiesero volere a sua disposizione far eligere l'economo. Anzi che per la spiacenza ne sentivano i patrizi della città, e tra costoro il di lui fratello dott. Sig. D. Roberto, uomo e peraltro degno di sostenere cariche di provincie, non che di sole città, sostenendo in quel tempo l'auditorato generale di S.E. di Bisignano ben voluto e stimato da tutti, Prima parte del documento di rinuncia all‟Arcipretura da parte di Carlo Danio.

per molto tempo lo dissuase a non eseguire quella sua opinione, sul dubbio non fosse assentato dalla casa in Napoli o a Roma, siccome quello era versatissimo nelle sacre e profane erudizioni, ma essendosi poi accertato che il fratello rinunciar volea per fini rilevanti della coscienza, non per abbandonar la casa, più non lo contrastò; ma procrastinandosi tal rinunzia da un mese ad un altro, ora da un affare trattenuto, ora da un altro, dilatossi tanto che il prenominato D. Robero passò da questa vita per una febbre maligna nel mese di settembre 1715, con universale spiacenza e cordoglio, non meno della patria che del contorno tutto e di quanti lo conoscevano, senza lasciare di sè prole alcuna1. 1 Roberto Danio e il cugino Paolo Danio, avevano sposato il 17 Novembre 1692 le sorelle Donica e Virginia Giliberti (cugine

degli sposi). In virtù di tale matrimonio gli stemmi delle due famiglie più nobili di Saponara si inquartarono come è visibile dalla foto n° 65. La foto n° 66 riproduce lo stemma della famiglia Giliberti. Entrambe le coppie morirono senza lasciare figli e la famiglia Danio si spense con i due cugini Roberto e Paolo Danio.

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Avendo perduto l'Arciprete il caro fratello, a costo del quale giva il peso e guida di casa, fu fu di mestieri ch' egli se l'adottasse; e, come che era pratico, durò non poca fatica avanti che se ne fusse instrutto; laonde, agitato dalla cura domestica, per molto tempo non pensò al negozio della rinunzia. Ma alla pur fine, per vivere quieto, senza che alcuno l'avesse possuto frastornare, a' 5 settembre 1720, con pubblica scrittura stipulata per mano del rev. D. Gaetano Restanio2, Notaro apostolico di Saponara, rifiutò liberamente l'arcipretura suddetta, e per suoi ponderati rispetti, volle farla in manus SS.mi. e facendone estrarre copia, inviolla in mano del vescovo per darli contezza di quanto avea oprato; non meno perché avesse provveduto di rettore per la cura delle anime che per darne notizia in Dataria, siccome già seguì. E per la cura delle anime fu costituito economo il Rev. Can. Sig. D. Giuseppe Caputi Santelmo, il quale era peranche Vicario foraneo col titolo di luogotenente.

La Dataria, dando la dovuta providenza alla notizia ricevuta, scrisse al Vescovo per mezzo dell'Em.o Card. Sacripante Prodatario, che avesse tenuto il concorso

Seconda parte della rinuncia all‟Arcipretura di Carlo Danio

secondo la mente di S. Santità, in esecuzione di qual rescritto fu dal Vescovo spedito editto della forma che

siegue OMISSIS p. 432-434 . Questo editto già fu affisso alla porta della nostra Collegiata, da dove si estrasse copia dal sig. D. Carlo Toscano,

ora canonico, notaro apostolico, che qui si è trascritto in conferma di quanto dirassi.

2 A noi consta che la rinuncia alla carica di Arciprete fatta da Carlo Danio fu rogata davanti al Notaio Nicola Celso, esercitante in

Saponara, di origine cosentina. Il documento originale di tale rinuncia è stato da noi rinvenuto presso l‟Arch. St. Potenza, Protocolli Notarili, Notaio N. Celso, Vol. 1596, 5 Settembre 1720, Foll. 106 e 107. Vedi foto n°67 e 68. I due righi sottolineati verso la fine del documento sono di mano del Danio.

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2. Il Vescovo vorrebbe sostituire il Danio con il Canonico Caputi Santelmo, ma trova l’opposizione del Capitolo.

Ora il Vescovo, non veggendo persona che avesse aspirato all'Arcipretura, li venne in pensiero provederla in persona dello stesso Can. Caputi Santelmo, il quale veggendosi così onorato e sollevato, diè segno di accettare i favori del Vescovo. Ma il Capitolo, considerato il cambio che faceva per la perdita del Sig. D.Carlo Danio, non lasciò i mezzi per farlo escludere, accoppiandosi su costui anche il riflesso della considerazione che in suo luogo si fusse posta una persona non graduata. Rattrovavasi nella Saponara il Rev. Dr. Domenico Del Monaco3, uomo peraltro pratico e versato negli affari del mondo, essendo stato per molti anni Agente nel Regno di Sicilia di S.E. di Bisignano, a costui insinuò (il Capitolo) questo pensiero, che adeguandoli per ascendere a quel gradino, mica perdendo tempo, si condusse dal Vescovo, appalesandoli la sua intenzione, pregandolo di vantaggio di non esporlo ad un rigoroso esame.

3. Il Vescovo Anzani nomina direttamente Arciprete il Del Monaco, facendo figurare che la Chiesa di Saponara aveva una rendita inferiore a 10 Fiorini.

Il Vescovo, veggendosi pregato da persona di migliore qualità del can. Caputi, anche sul riflesso che veniva appoggiato da S.E. di Bisignano, volentieri accondiscese al di lui desiderio; ma per contrario spinto dalla maledetta ambizione di goder lui quel diritto che si dovea spender nella Dataria per la spedizione delle bolle, alzò l'ingegno a far comparire che la elezione dell'Arciprete, sebbene in Collegiata insigne, non venisse compresa nella reservazione della reg. 3 o 4 della Cancelleria, come quella che non avesse avuto rendita eccedente i 10 fiorini o sia scudi di camera. Laonde con la sua norma fece formare dallo stesso Del Monaco la supplica essendosi che detta Arcipretura, abbenchè prima dignità in Collegiata, non era riservata nè affetta, stante le tenuità della rendita, e che non era curata. In dorso della quale il Vescovo segnò la grazia "Dummodo preces, veritate nitarentur" sotto li 15

febbraio 1721, commettendo con ciò al suo Vicario generale la verificazione dell'esposto, fingendo essere inscio del concertato, della rendita e della cura, quale egli nell'editto l'asseriva curata. Il Vicario, ch'era il cantore D. Scipione Tafuri da Marsico, tutto dependente dal Vescovo, si condusse in Saponara per il già detto fine, ed esaminati 4 preti affezionati del promovendo e che mica penetravano nel fondo e non comprendevano qual pregiudizio apportavano,dissero che l'Arcipretura non rendeva 10 fiorini e che non era curata, ma che la cura delle anime si esercitava dal Capitolo per turnum, siccome si era esposto. Li preti furono il can. D. Roberto Indula, D. Lucio Rosella, D. Francesco Antonio Maggio e D. Nicola Tornesi, li quali come che furono esaminati senza giuramento, non ebbero ritegno non aderire al Vescovo e al promovendo. Quale informazione già presa e ritiratosi in Marsico, proferì sentenza che la grazia fatta dal Vescovo all'anzidetto Del Monaco si dovesse eseguire e così piacendo al Prelato si dovesse spedire la bolla, siccome in effetto seguì sotto il 14 maggio 1721, e fu come siegue: OMISSIS BOLLA DI NOMINA DI DEL MONACO p. 436-441).

3 Fratello di quel Giacomo Antonio del Monaco, autore della famosa Lettera a Matteo Egizio.

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CAP. XLIV

SI NARRA LA METODO CON CUI IL CAPITOLO PENSO' CONSERVARE IL JUS DELLA PROVVISTA SPETTANTE ALLA S. SEDE E SI TRASCRIVE UNA NOTA DI FATTO E JUS DEL DOTT. NICOLO' CORSARO SU TALE MATERIA DEGNA DI MEMORIA.

1. Domenico Del Monaco entra in possesso dell’Arcipretura il 10 Giugno 1721.

Spedita e pubblicata la suddetta descritta bolla, il Vicario generale trattenne in condursi in Saponara e mettere in possesso il nominato Del Monaco sino alli 10 Giugno, in cui giunto in Saponara e datolo ad intendere come che il negozio erasi maneggiato in segretezza, non mancarono persone che l'avessero contrariato, per essere quell'atto molto pregiudizievole alle prerogative della nostra Collegiata, la di cui prima dignità era stata sempre provvista dalla S. Sede. Per contrario, perchè concorrevano molti rispetti umani, che facevano remora ad ogni altro risentimento, essendo il riferito Del Monaco, come si è detto, ben riguardato da S.E. di Bisignano, come figlio e protetto delli suoi agenti, così gli ecclesiastici come li secolari si ammutinarono; ma benchè cautelarono tale risentimento con una protesta, con la quale conservarono il jus della loro chiesa, la quale presentatasi al delegato ottennero copia autentica dal cancelliere, che fu come siegue:

"In presenza del rev.mo Sig. V.D.Sig. D. Scipione cantore Tafuri, Provicario Gen. dell'ill.mo e r.mo Mons. Anzani, Vesc. di Marsico, comparendo li sottoscritti canonici e preti della insigne Collegiata Chiesa di S. Antonino, dicono di avere preinteso che il suddetto sig. è in detta città per dare il possesso di nuovo Arciprete di detta chiesa al sig. D. Domenico Del Monaco, in vigore di bolle spedite da esso Mons. ill.mo, quando essi comparenti stimavano dovessero essere spedite dalla Dataria romana secondo l'antico solito. Pertanto non si oppongono a detto possesso, ma si protestano che tal atto non inferisca minimo pregiudizio all'antico solito predetto ed a qualunque ragione di essa chiesa o capitolo che in qualunque modo, luogo e tempo loro potesse competere; di modo che qualsivoglia atto di loro intervento, o s'intenda sempre colla riserva protestata come sopra et non aliter nec alio modo, e così dicono e si protestano in questo ed in ogni altro modo migliore , supplicando esso Rev.mo voglia restar servito ricever la presente ed ordinare che si conservi negli atti.

Io can. D. Angelo Prezioso, decano = Can. D. Giuseppe Padula = id. D. Antonio Santelmo = Id. D. Giuseppe Caputi = Id. D. Carlo Ferraro = Id. D. Carlo Mazzeo = Id. D. Roberto Padula = Id D. Perrone = Id. D. Zottarelli = D. Lucio Roselli = D.G.B. Ramaglio = D. Domenico Ant. Prezioso = D. Giorgio Nigro = D. Antonio Giordano = D. Geronimo Ianneo = Io D. Francesco Pinnella = D. Sebastiano Roselli = D. Carlo Giannone = D. Carlo Toscano, ecc. ecc. ecc."

Con quest'atto diessi ad intendere che il Vescovo non aveva provveduto con ragione, ma per contrario, perchè il soggetto era buono zittirono per dippiù. Trattanto il detto giorno 10 Giugno 1721 il detto Arciprete prese il possesso. Il vescovo però, al ritorno dal vicario, che gli narrò il fatto della protesta, malamente l'intese, dolendosi col medesimo che non dovea ricevere.

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2. Il parere del Giurista di Saponara Dr. Nicola Corsaro sulla legittimità della nomina di Del Monaco.

E come che in quel tempo fiorivano in Saponara uomini niente inferiori a quelli che qui si son rapportati, e fra gli altri il Dr. Nicolò Corsaro, uomo al certo stimato di molta letteratura, al di cui paragone difficilmente ne insorgerà un altro versatissimo nelle sacre ed umane storie ed a quel tempo trovavasi auditor generale dello Stato di S.E. di Bisignano, costui adunque, per dare a divedere che la sua opinione, benchè confermata da altri molti giureconsulti, di non essere cioè l'Arciprete legittmamente investito e possedere dell'Arcipretura, non era senza fondamento, scrisse su questo articolo laconicamente una nota, la quale per non farla macerare nel buio dell'ignoranza, ho stimato qui trascriverla per notizia dei posteri, cioè:

"FATTO DELLE BOLLE SPEDITE DA MONS. DI MARSICO PER L'ARCIPRETURA DELLA SAPONARA =1721 = I.M.I.= Sorge nelli confini della Lucania, Regno di Napoli, dalle rovine dell'antica, celebre e vescovile città di Grumento, quella della Saponara, la di cui matrice chiesa, sotto l'invocazione di S. Antonino, martire, fu per parecchi secoli retta come nullius, dal proprio Arciprete decorato dei pontificali e della quasi vescovil dignità e giurisdizione.

Infesta1 però la povera chiesa alla cattedrale di Marsico, in cuius dioecesis fines credeasi collocata, fu il bersaglio di fierissime liti agitate per secoli tra il Capitolo della Saponara e i Vescovi di Marsico. Dopo l'anfratto di diversi accidenti hic, inde, terminorsi poscia queste, sicuti Domino placuit, con un “motu proprio” d'Innocenzo X, che procurossi, Dio sa come, fra Giuseppe Ciantes Vesc. di Marsico, in vita del quale e da quel tempo in qua obbedisce la città ai prelati di Marsico ed alla loro omnimoda giurisdizione.

(Stimo che il sig. Corsaro, poco inteso degli distinti fatti da me rapportati, abbia errato nel riferire che terminorsi le liti col “motu proprio” e circa il tempo della totale obbedienza e della lite avuta per la sola collegialità).

Non fu perciò che non fossero rimaste nella chiesa molte reliquie della pristina preminenza, e quelle appunto che sogliono costumarsi da chiese collegiate, come siggillo, arca comune, sindico, denominazione di Capitolo, consuetudo se congregandi, prebenda canonicale ed altro, per le quali la già detta chiesa si pose a vivere almeno in qualità di Collegiata. E benchè nella elezione del superiore sotto il nome di Arciprete (tuttochè privo dell'uso della mitra, bacolo e giurisdizione primiera), nei primi lustri dopo Innocenzo X, passò qualche controversia tra i Vescovi e il Capitolo, pretendendo quelli proveder essi l'Arcipretura tamquam de simplici parochiali, e il Capitolo de facto opponendosi anche amata manu con l'impedire di prender possesso agli eletti Vescovili (si come fu lo stracciamento di camice in persona di D. Nicolò Morena di sopra rapportato), si mantenne nondimeno il Capitolo in possesso di spuntarla sempre in pratica con non ammettere per Arcipreti altri se non quelli che venissero da esso eletti, provisti non altrimenti dalla S. Sede con bolle apostoliche, come prima e principal dignità di chiesa Collegiata.

Or passando le cose in sistema sì pacifico sotto parecchi Vescovi, or saranno più di 40 anni, mons. Franc. Ant. Leopardi, Vesc. di Marsico, considerando quanto torto facevasi a chiesa sì cospicua, di patria gentilissima (con lasciarla humilmente trasmigrare dalla antica condizione di semi-cattedrale in quella di parrocchiale) fè un accontentamento solenne, seu accordo, col quale si stabilì che la Chiesa matrice di S.Antonino della Saponara fosse restata perennemente Collegiata insigne, Arciprete, Canonici etc. (siccome si è già rapportato, però si abbaglia di esser restata insigne, e stimo che stiede a relazione e non ebbe sotto l'occhio l'enunciato e da me trascritto accordo).

1 Leggi: invisa.

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E benchè potesse dirsi che l'accordo predetto non pregiudicasse ai Vescovi successori come non vallato dall'assenso del papa, del quale nel ventre dell'istromento si vede l'impetrazione, tutta volta, checchè ne dicano i dottori contrari, deve questo presumersi dal corso di tanto tempo e dall'osservanza dell'atto, siccome taluno asserisce ricordarsi, che si ottenne, non si sa se per breve semplice, o per lettera seu scritto dalla S. Congr. dei Vesc., e stimasi smarrito per le vicende dei Prelati successori o per melensaggine degli ecclesiastici di quel tempo. Qual presunzione, tamquam resultans ex dispositione juris comunis, non si stima tolta dalla Cost. 7. Di Urbano VIII, tanto più che seguì una esatta, reciproca, pacifica ed univoca osservanza del concordato.

Intanto, o fosse stato per le primeve ragioni del Capitolo di detta chiesa, o quelle risultanti dall'accordo di mons. Leopardi, egli è certissimo, senza andar disputando dello stato primevo delle cose (del quale molto sarebbe da notarsi) che almeno da 40 anni in qua e forse più ha ella goduto di tutto il possesso di Collegiata insigne, in tutte le sue circostanze, così trattata ed enunciata in moltissime scritture vescovili sotto diversi prelati e parimenti in molte scritture dell'apostolica Dataria e altre romane. E perchè nelle materie beneficiali ultimus status attendendus est, come ognun sa dal cap. consultat.etc., perciò, senza rivangar le bolle di tutti gli altri arcipreti, da 70 anni in qua dopo il “motu proprio” d'Innocenzo XI, che furono anch'esse spedite dalla Dataria apostolica, e gli provvisti ne furono messi in possesso in faccia di molti Vescovi marsicani, basteranno solamente certo le bolle spedite 17 anni o 18 circa addietro dalla medesima Dataria in persona del molto rev.sig. de. D. Carlo Danio, ultimo ed immediato possessore di detta Arcipretura, per far che resti saldo il diritto di spedizione dell'apostolica Dataria.

Or vacando detta dignità per rinuncia fattane in manus SS. dal sig. D.Carlo Danio ai 5 sett. 1720, mons Anzani, odierno Vesc. di Marsico, ricevè lettera dall'e.mo. Card. Sagripante, allora prodatario, sotto li 7 sett. 1720, ordinante che in vacanza di una dignità curata di Collegiata si fosse fatto concorso per provvedersi dalla Dataria, servat is senrvandis, alla provvista dell'Arcipretura. E Monsignore, in osservanza di essa, ai dì 2 gennaio 1721, pubblicò editto di concorso con la inserta forma di lettera suddetta, con stabilir termine per detto concorso, che poi fu prorogato da esso ill.mo ai preti del Capitolo.

In questo tenore di cose molti preti del Capitolo adocchiarono la persona del Can. Sig. D. Domenico Del Monaco per idoneo alla vacante dignità e pensarono di promuoverlo, pregando monsignore che per quanto era in lui lo avesse avuto a cuore nel concorso che si credeva imminente. Ma Mons., senza far altro atto di esecuzione di quanto da Roma eragli venuto imposto, a supplica particolare del medesimo Del Monaco, li segnò la grazia di detta dignità sotto li 15 febbraio 1721, vivente tuttavia Clemente XI di felice memoria, con la quale li promise di conferirli l'Arcipretura quante volte si fosse constato che l'annuo valore di essa non havesse ecceduto li X fiorini, seu scudi di camera, secondo dal detto D. Domenico erasi esposto, servata la forma di accentuazione compresa nella reg. 3 seu 4 della Romana Cancelleria. E speditosi Commissario in partibus dal medesimo Vesc., si fè con amiche deposizioni costare che la rendita di detta arcipretura non eccedeva i 10 fiorini seu annui scudi suddett i; sopra del quale fondamento furono senza concorso da Mons. spedite le bolle d'Arciprete in persona di esso D. Domenico, sotto li 14 maggio 1721, però come di Arciprete non curato di collegiata insigne, ob non exceptum decem florenorum.

Ed è da supporsi a beneficio del Capitolo, il quale giusta derogarsi con dette Bolle vescovili tanto alla natura di Collegiata della sua chiesa, quanto alle ragioni della Dataria apostolica, come alla dignità predetta di Arciprete

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stimasi annessa la cura delle anime nella detta città della Saponara, la quale benchè in esercizio si porta per tutto dai capitolari canonici e preti, ciascuno nella sua ebdomada, in quanto all'amministrazione del sacramento dell'eucarestia ed estrema unzione agl'infermi, assistenza dei moribondi e celebrazione della messa conventuale, nulla di manco sembra che in proprietade tal cura risieda per lo più penes dell'Arciprete, come quello che sovrastà ai medesimi ebdomadari, emanda i loro difetti, assiste i matrimoni, amministra il Sacramento del battesimo, conserva il libro dei battezzati, dei morti, dei maritati, ne spedisce le fedi, fa le cartelle ai comunicati nella Pasqua di Resurrezione, ha cura di farsi lo stato delle anime, d'insegnarsi la dottrina cristiana ed atti simili, nei quali par che propriamente consista la cura delle anime e che lui si eserciti privative in quanto ai medesimi ebdomadari.

Deve di più sapersi come detta Collegiata non è recettizia, ma viene servita da numero prefisso di venti sacerdoti, dodici dei quali, li più anziani, godono prebenda canonicale e l'Arciprete sta in possesso di conferir l'almuzio e l'insegna canonicale, col dichiararli Canonici, in luogo dell'altro canonico premorto. E chiunque vuole entrare nel Capitolo da partecipante, nell'esercizio degli ordini maggiori paga ducati 50 di elemosina alla chiesa seu sacristia, fatte le quali prestazioni, viene aggregato in Capitolo ed entra a parte dei frutti della chiesa, consistentino in distribuzioni quotidiane, rendita di censi, poderi, industria e decima di vittovaglie, che vengono ad ascendere alla somma di ducati 40 all'anno circa, col solo peso di 104 messe l'anno e dell'ebdomada per turno che li toccherà. Della quale elemosina e servizio hanno costume i Capitolari di farne immune quel soggetto extra gemmiun che scegliessero per Arciprete, il quale viene a godere del primo ingresso non solo quanto gode ogni canonico, cioè ducati incirca 40 l'anno, ma la metà in più... Al che si aggiunge la rendita della stola, che certamente frutta 30 ducati e più, con che la rendita dell'Arcipr. viene ad essere ducati 85 e più, e ad un ar. Extra capitulum2 verrebbe a rendere meglio che ducati 100 l'anno.

Ma vago il commissario del Vesc. di far prendere al suo principale la dignità, niente di tutto ciò considerando, fè apparire che la sola metà di più delli altri preti capitolari, sia quella rendita nella quale consista la rendita arcipretale, per la modicità della quale finge il Vesc. essersi mosso lui in pregiudizio della Dataria, quando nell'ultima immediata provvista fatta da Roma in persona del rev. Sig. D. Carlo Danio Cotino, dalla s. memoria di mons. Lucchetti delegato apostolico a riflesso dei medesimi motivati punti, liquidossi la rendita suddetta in annui ducati 60 di Regno, oggi mica diminuita, anzi piuttosto accresciuta per la maggiore popolazione della città seguita da 18 anni a questa parte.

Attese le quali considerazioni, pretende il Capitolo della Saponara che le suddette bolle spedite dal Vesc. mons. Anzani ordinario in persona del riferito D. Domenico siano nulle, tanto per appositionem manuum SS.mi Domini, per la rinunzia di D. Carlo Danio fatta in manus SS.mi e preamboli di provvista cominciati a farsi dalla Dataria, come si è detto, e che dalla medesima Dataria si attenda nuova provvidenza. E ciò non ostante il Vesc. pretenda essere vacata la dignità in mese suo, cioè quello di settembre, non dovendosi attendere ragion di mesi laddove trattasi di beneficio, che sui natura è reservato al Papa e che nell'ultimo suo stato aveva goduto di provvista apostolica non solo in persona del detto D. Carlo Danio, ma anche di moltissimi altri suoi predecessori; di modo che, quanto tutto mancasse, ratione praescriptae consuetudinis, dev'essere di riserva papale, come stabilisce la predeta regola.

2 Rendita al di fuori di quella del Capitolo.

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CAP. XLV

SI RAVVISA LA METODO CON CUI L'ARCIPRETE DEL MONACO GOVERNO' LA NOSTRA COLLEGIATA, LA DI LUI MORTE E COME IO FUI ELETTO AVVOCATO DEL CAPITOLO.

1. I lavori fatti fare dall’Arciprete Del Monaco alla fabbrica della Chiesa Matrice.

Acchetato il Capitolo con quella protesta di sopra trascritta, nè facendosi più motto in pubblico della validità delle Bolle vescovili per i riferiti riguardi, abbenchè in segreto sempre si borbottava non esser egli il vero Arciprete e che non faceva suoi i frutti dell'arcipretura il suddetto Del Monaco, il novello Arciprete intraprese a governare la sua Chiesa con molta efficacia e zelo, che richiedesi in comunità, dimostrando autorità assai superiore non superba, che richiedesi in tutti li ecclesiastici, i quali bensì arrossivano comparirli davanti allorchè non adempivano al lor odebito del servizio della chiesa. E, o che fosse stato per occulta intelligenza col Vescovo, siccome si stima, o per aura della suddetta protezione, divisavasi che egli fosse stato il proprio ordinario, a guisa degli antichi arcipreti mitrati disponendo tutti gli ecclesiastici affari a seconda del suo volere, non meno pel governo della Collegiata che di tutte le altre cappelle. Ma come che volle governare indipendente da chi che si fosse stato e tutto affezionato dal Vescovo, siccome sua creatura, che per aver più mano nel governo tenealo ben bene regalato, tirossi addosso la malevoglienza delli capitolari. Egli è vero però che quanto il di lui antecessore fece elargire al Vescovo, siccome peraltro erali di bisogno per non stendere la mano in cose che potevano portare pregiudizio alla chiesa, poco riguardando al di lei materiale governo ed a suppellettili della sacristia. Questi per contrario tutto del vescovo, sebbene senza pregiudizio della comunità, pensò bene spesso a ristabilirla di suppellettili e a renderla decorosa e vaga, e con pitture e con altri ben doverosi ornamenti e utensili, e avanzandosi vieppiù la di lui solecitudine, nel 1730 fè scrustare la nave grande della chiesa, cioè quella di mezzo e la fè intonacare di bel nuovo, a cagione che il bianco che vi si metteva di sopra era inutile per l'antichità della tonica e perchè la chiesa era alquanto oscura, anzi umida. Nella parte verso il fonte battesimale fè aprire sopra la porta una finestra, ben spaziosa, facendola fortificare con ferriata ed ornare con vitreata.

Una poco acconcia procedura fè in sul principio del suo governo, e fu che essendo sulla sommità del coro verso levante un occhio ben grande, lavorato con bellissimi marmi bianchi, dalli antichi costruttori della chiesa, nella parte di dentro, e per quanto conteneva la grandezza dell'occhio fu riposta una rame ben doppia e massiccia, tutta perforata con sopraffini lavori, con in mezzo una finestrina per far entrare nel choro più lume, la quale si serrava ed apriva secondo il bisogno. Or parendo all'Arciprete che il choro per quella rame non riceveva quel lume che desideravasi - ed era infatti così -, la fè toglier via e vendutala ne ricavò ducati 22 ed in scambio vi fè costruire una vitreata con legni, perchè a suo bell'agio entrato fosse il lume.

Ma perchè questa rame riputossi cosa preziosa e non di poco momento, come egli stimava e tanto più venduta contraddicente il Capitolo, facendosi coscienza di essere incorso nelle censure, stiede per molto tempo racchiuso in casa, non celebrando messa, fingendo essere indisposto, fintantochè non procurossi l'assoluzione nel Foro della penitenza, per non essere l'affare dedotto in giudizio. Può dirsi con certezza che, se per il divin culto li di lui antecessori e successori avessero oprato ed oprassero quanto egli oprò, la chiesa sarebbe incrostata d'argento e li ecclesiastici

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con più esemplare osservanza ademperiano al lor oobbligo per il servigio e del choro e della chiesa, poichè tutti in quel tempo, non meno i semplici chierici fanciulli lo temevano che i provetti sacerdoti e canonici ne avevano gran soggezione. Ma per parte di esser ben voluto e venerato, era odiato e mal visto, come quello che biasimava il malo servizio e decoro della chiesa ed eccitava sempre il culto divino.

2. Morte di Del Monaco il 10 Giugno del 1731. Il Vescovo nomina Economo della Chiesa Carlo Danio che chiama Niccolò Ramaglia a ricoprire la carica di Avvocato universale del Capitolo.

Ma che? Quanto egli in questo santo e decoroso fine si esercitava, altrettanto decresceva il numero de' suoi giorni; avvenga che, quantunque allo spesso fosse annoiato da continue indisposizioni, tuttavolta non lo distoglievano dalle cure della chiesa; siccome alla purfine, infestato da una pertinace, non che incurabile tisi, che emaciandolo insensibilmente con una tale perdita della voce, fu costretto a render lo spirito a Dio ai 10 giugno 1731, appunto 10 anni dopo che egli aveva assunto il governo della chiesa, lasciandola vedova, con rammarico estremo di tutti; poichè, sebbene fosse stato esoso a pochi, fu nondimeno encomiato da molti, ed in progresso di tempo lodato il di lui governo e maneggio manieroso. Il di lui cadavere fu solennemente trasportato alla Collegiata ed ivi sepolto nella sepoltura dei RR. Capitolari, contro l'antico costume di andare li cadaveri dei sacerdoti seduti in una sedia tenuta a questo fine.

Rimasta la chiesa senza il suo rettore, eranvi taluni che aspiravano averne la cura in figura di Economo; poco graditi al Capitolo; ma fattasene passar parola al Vescovo, che rattrovavasi in Moliterno in occasione della S.visita, il medesimo fè sentire al sig. D. Carlo Danio che avesse accettato questa carica. E quantunque egli fosse stato alieno dall'ingerirsi in tali affari, che un tempo aveva spontaneamente rifiutati, pure ai prieghi del Capitolo e d'altri zelanti, e per non dar luogo ad altro ambizioso, volendo o no, piegossi al giogo della cura e governò la chiesa.

Essendo dunque economo il riferito sig. D. Carlo Danio, accadde agitarsi alcune varie cause contro dei galantuomini a pro del Capitolo, squittinando i soggetti della professione legale, che erano nella patria, di cui poteva servirsi, fè richiedere a me per il patrocinio di quelle. Ma perchè non convenivami per cause particolari addossarmi una malavoglianza odiosa, mi scusai non poterlo servire. Ma qualora il Capitolo, conoscendo la mia abilità mi avesse eletto per avvocato universale, mi sarei piegato all'impresa e non mi sarei arrestato a qualsiasi causa contro qualunque persona. Questa replica fu stimata più che ragionevole dal sig. D. Carlo Danio, il quale, esponendo al Capitolo la mia proposizione e stimandola tuttavia giustificata, mi elessero avvocato universale del Capitolo, con una congrua e competente provvisione, cioè di dover io conseguire a parte delle decime, censi ed industrie delli neri1, come un altro sacerdote partecipante, che poi, tra lo spazio di tre anni, che 10 per ciaschedun anno e forse più.

1 Così erano chiamati i maiali.

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CAP. XLVI

IL VESCOVO ANZANI TENTA DI PROVVEDERE EGLI ALTRA VOLTA L'ARCIPRETURA, IN PERSONA DEL CAN. D. NICOLO' TORNESE DI SAPONARA; MA IL CAPITOLO VIGOROSAMENTE SI OPPONE E SI RAVVISA LA METODO.

1. Il Vescovo nomina direttamente Arciprete Don Nicolò Tornese, suo Economo per la Mensa di S. Laverio. Tale nomina trova l’opposizione di tutto il Capitolo.

Lettor benevolo, convienmi da qui avanti narrar la storia del mio patrocinio e di quanto affaticandomi oprai in occasione che il Vescovo altra volta voleva ingerirsi nella elezione dell'Arcipretura, siccome aveva già fatto col defunto Arc. Del Monaco. E però stimeranno taluni censori delle altrui operazioni, anzi della stessa verità, questo mio racconto essere un Ente metafisico, una favola da poeti, un rapporto alle proprie azioni; ma se quanto rappresenterò andasse sotto l'occhio e purgato intelletto di qualche sincero cittadino della patria, che toccò e videle con mani ed occhi le mie fatiche, confesserà di certo aver io mancato in descriverle tutte! E benchè sappia che laus in ore proprio exordescit, nondimeno, trattandosi di affare pubblico, è necessità, non lode volontaria, ad esempio di

Giustiniano Imperatore nel proemio delle civili istituzioni. Ed in ciò, Deum testor che, per non esser asiatico1 e prolisso, mi restringerò al possibile in esporre quanto si oprò e addusse a difesa del Capitolo, a cui ho sempre servito con tutta sincerità e candidezza, nonostante che con qualche mia procedura si fusse toccato alcun particolare della comunità.

Del resto poi non sono io solo scalognato, essendovi tanti e tanti nomi che anche contro la stessa verità non cessano esercitare la loro maldicenze.

E per continovare il nostro assunto discorso, essendo già rassettate le pretenzioni dell'Economato, pensavasi ben bene per il successore nell'Arcipretura. E quantunque il Capitolo avesse adocchiato la persona del Rev. Abate Sig. D. Gerardo Ceramelli, fratello cugino dell'anzidetto sig. D. Carlo Danio2, che trattenevasi in Napoli, applicato allo studio di varie lezioni, tuttavolta il medesimo, o che poco avesse pensato addossarsi questo peso, o che altri motivi avessero mosso la di lui mente, non si diè (ndr. disponibile) verun modo, in questo affare di cotanza importanza per tutti.

Frattanto che il Capitolo se ne stava spensierato per qualche inconveniente che poteva accadere, indagando però sempre persona non meno idonea che invogliata di voler prendere questa carica, il Vescovo, che più di un Argo tutt'occhi pensava per suoi interessi conservarsi nel suo preteso jus di provvedere lui l'Arcipretura, siccome si disse, veggendo che a tenor della sua supposizione non veniva richiesto per la provvista dell'Arcipretura in persona che fosse desiderata dal Capitolo: e considerando peranco essere prossimo il termine delli sei mesi a lui prefissi a poter provvedere, come vacata la chiesa in mese suo, che terminava ai 10 dicembre 1731; adocchiò egli una persona sua dipendente ed affezionata, qual era il Rev. Can. D. Nicolò Tornese, quale teneva per economo della sua mensa in Saponara3; ed avendolo a sè fatto andare, comunicolli quel suo pensiero, di volerlo far Arciprete di Saponara;

1 S‟intendeva un oratore retorico.

2 Figlio di un fratello di Violante Ceramelli, madre di Carlo Danio.

3 E‟ la Mensa arcivescovile di S. Laverio.

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ed egli, il Tornese, stimolato dalle persuasive del Prelato e dall'ambizione di dominare e dall'essere da un nulla sollevato ad un posto eminente, nel quale erano stati i migliori galantuomini del paese, accettò l'offerta e, speditegli le bolle, ritirossi in Saponara appunto li 6 Dicembre 1731, con ordine datogli dal Prelato che a niun altro avesse comunicato la provvista eccetto che all'anzidetto sig. D. Carlo Danio, poichè all'improvviso pensava mandar delegato per darli il possesso (ciocchè fu stimato per una pruova per scoprire in che maniera servivasi la provista, per non ricevere un affronto nell'atto del possesso che gli lo potevano contrastare, ed anche per rendere più benevolo il Tornese a farlo restar beffato).

Appalesato questo segreto al riferito sig. D. Carlo, non perdè tempo in far capire ai Rev. Capitolari di esser già creato l'Arciprete, senza però scoprire la persona, che venivale vietato; ma quelli che stavano sospetti per li andamenti del Tornese, udita tale straordinaria ed intempestiva novella dallo zittire del detto Sig. D. Carlo stimarono subito essere quegli l'Arciprete; ed abborrendone la provvista, insorse nel cuore dei Capitolari un'alterazione e bisbiglio universale; e per trovar rimedio a male sì grave, la mattina del 7 (Dicembre 1731) radunaronsi tutti nella casa del detto sig. D. Carlo Danio, col quale discorso e consultato con naturalezza l'affare così premuroso, stimossi da tutti necessario ed opportuno mandarsi persona da Mons. e pregarlo non dare effetto a quanto progettato si era, e che perciò io che ero avvocato del Capitolo avessi seguito il negoziato.

2. Niccolò Ramaglia, in qualità di Avvocato del Capitolo, viene incaricato di andare dal Vescovo per farlo recedere dalla decisione presa.

Fattasi questa istantenea resolutione, mi convenne accingermi all'impresa e al viaggio. Laonde, comunicatimi dallo stesso Sig. D. Carlo li suoi progetti e pensieri ch'io dovevo praticare col Prelato, quanto più frettolosamente potei, dopo pranzo, cavalcai alla volta di Marsico, ove giunto sul tardi, non potei avere ingresso con Mons.

Nondimeno, secondo le istruzioni avute, sapendo che il Sig. Arcidiacono di Potenza era stretto confidente del Prelato e domiciliava nel Seminario, ivi l'andai a rattrovare. Ed avendomi ricevuto cortesissimamente, li esposi il fine per cui ero ito così tardi, anzi di notte rattrovavami colà per incomodarlo ed acciocchè il medesimo avesse confidenzialmente potuto persuadere il Prelato ed avanzarne prima di me l'imbasciata, ad astenersi da quella provvista, li insinuai due motivi. Primo perchè il soggetto era incapace alla cura, esoso a tutto il Capitolo, ignorante, di bassi natali, con qualche taccolo di considerazione nel parentado, che convienmi tacere, e però incapacissimo a tal dignità. Laonde, se davvero ostinavasi a volerlo portare per Arciprete, ne potevano nascere disturbi ed inconveninti gravissimi, anche con la morte del provvisto, e che speravasi la protezione di S.E. di Bisignano padrone, a cui erasi scritto il tutto nella terra di Sanza, ove rattrovavasi nell'esercizio delle cacce. Secondo: dato e non concesso che il soggetto fosse stato idoneo ed accettabile, la provvista non spettava al Vescovo, ma alla S. Sede, come quella che da tempo immemorabile stava nel possesso di provvedere questa Arcipretura, e che solo il fu Arc. Del Monaco fu provvisto dal Vescovo con falso supposto e sorrettizia informazione che la rendita non eccedeva i 10 fiorini e che non aveva cura d'anime; quando che se altra pruova non eravi che la rendita, poteva arguirsi dalla decima pontificia che si pagava. Il discorso al certo fu ben di un'ora, di modo che, comprendendo il sig. Arcidiacono esser di buona ragione quanto il Capitolo desiderava, si compromise abboccarsi col Prelato ed insinuargli il tutto.

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La mattina degli 8 (Dicembre 1731) andai dal Prelato, il quale mi ricevè con molta cortesia e decoro, ed espostagli l'ambasciata da parte del Capitolo per ambedue i motivi ed insinuatili tutti quei pensieri onesti che mi fussero venuti in memoria, alla fine, dopo molti contrasti e discorsi, che non furono così brevi, conchiuse la sua risposta con le seguenti parole: "Per la persona, mi dica che il Capitolo desidera per Arciprete, purchè il soggettto sia da me conosciuto, che io tanto lo farò; e per la provvista da Roma, mi faccia costare la verità; che io di buona voglia farò che le Bolle vengano dalla S. Sede. Però frattanto utor jure meo, e non voglio far passsare la giornata delli 10 che è termine mio".

Con questa placida risposta frettoloso me ne tornai lo stesso giorno delli 8 alla patria, ove ansiosi tutti mi aspettavano se con buona o mala nuova. E conferito il tutto coi Rev. Capitolari alla presenza del riferito Carlo, per far ch'eglino avessero ottenuto l'intento e il Vescovo fosse rimasto deluso, cercavano persona loro affezionata che per allora avesse accettato la carica e non avesse fatto restare addietro le prerogative della chiesa. Laonde per la scarsezza dei soggetti, ne fecero calda preghiera al rev. sig. D. Giov. Lucchetti, di cui si è fatta menzione in altro luogo, che, essendosi da molti anni ritirato nella Saponara, per affetto che portava a due sue sorelle monache nel monastero di S. Giovanni Battista, che a lui premorirono, facea vita privata. Uomo peraltro d'intera vita. Ma costui, come che affatto spassionato delle cure mondane, non volle acconsentire a tale richiesta, asserendo non aver egli merito alcuno ad esser capo di un sì eccellente Capitolo, di cui dichiaravasi infimo servo, incapace a nettare la stessa chiesa. 3. Il Principe di Bisignano, Luigi II Seniore4, fa sapere, attraverso un suo Agente, di essere anch’egli contrario alla nomina del Tornese, raccomandando di farlo sapere al Vescovo.

E stando in questi termini , il 9 Dicembre, giorno di domenica, giunse da Sanza l'Agente di S.E. il Principe di Bisignano (taccio la persona per modestia) pubblicando che S.E. malamente avea intesa la provvista dell'Arcipretura in persona del Can. Tornese e che desiderava anch'egli che fussero spedite le bolle dalla S. Sede e che a volo era venuto per far sapere la di lui volontà, non meno al Capitolo che allo stesso Prelato, per mezzo di persona idonea.

Convocossi perciò assemblea nella casa del sig. D.Carlo, della maggior parte dei capitolari per trattarsi questo affare e di trovarsi persona che fusse andata dal Prelato da parte di S.S. E quantunque fussi stato proposto ancora io, talvolta mi scusai, e fu stimata ragionevole la mia scusa, a causa ch'essendovi andato da parte del Capitolo, non conveniva vi fussi andato da parte di S.E., ma necessitava mandarsi altra persona. A questo ufficio si antepose il medico sig. Antonio Pennella, ma quando credeasi assicurato il negozio, dopo un poco di tempo si scusò non potersi cimentare col Prelato, al quale poco, anzi niente l'ambasciata gradiva, e che avendo un fratello Chierico, dubitava a suo tempo la di lui avversione, e che non essendo egli legale, non poteva rispondere e contrastare col Prelato; e qualunque a tutto se li fosse replicato bastantemente,nondimeno non volle andarvi.

Pensossi farvi andare il Dr. sig. Felice Antonio Decina, il quale trovandosi in Viggiano alli servigi di quel Sig. Principe, fu indi frettolosamente chiamato. Ma tampoco potè adempire l'intento, avendo un premuroso affare per le mani, per il quale non poteva assentarsi un'ora sola. Eravi il Dr. Sig. Gaetano Giannone, ma pure si scusò non poter disgustarsi col Prelato, per riguardo di un fratello prete che tenevan, se pure non fu per altre causa più convincente.

4 Primogenito di Giuseppe Leopoldo, nato il 1705, divenne nel 1726 il IX Principe di Bisignano. Si sposò 2 volte: la prima con

Ippolita Spinelli, Principessa di S. Giorgio e la seconda volta con Cornelia Capece Galeota, Duchessa di S. Angelo. Da quest‟ultima ebbe bel 11 figli, di cui solo il primo maschio, Francesco Vincenzo.

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Ma standomene con la mia quiete nella mia casa, nel procinto di andarmene a letto, sulle due ore di notte, fui chiamato per parte dell'Agente, ed andatolo a rattrovare in sua casa, vi trovai il sig. Can. D. Giuseppe Caputi Santelmo, Sig. Giov. Roselli, mio fratello, Gio. Battista ed altri. Ed espostami la cagione della chiamata, con grande istanza m'insinuò che fossi andato in Marsico a porgere a Mons. l'ambasciata di S.E., giacchè non trovavasi persona veruna. E quantunque mi fossi ancor io scusato come gli altri, dei quali non avevo minore ragione, ad ogni modo, non meno per obbedire alla cieca alli ordini del padrone ciocchè altri non aveva considerato, che per evitare il pregiudizio della Chiesa se non trattavasi quell'affare, piegai alla richiesta che tutti me ne facevano, spiegandosi di bel nuovo S.E. desiderava la spedizione delle Bolle in persona di altro soggetto, ma dalla Dataria Apostolica. Laonde, risoluto di partire, mi convenne andare a rattrovare il riferito D. Carlo, a cui appalesai tal resoluzione; ed inteso i di lui saggi regolamenti, mi ritirai alla casa; ove, appena giunto, da un cursore del Vescovo mi fu recata una di lui lettera, che mi scriveva nella forma che siegue:

(Fuori: Al molto illustre sig. il Sig. D. Nicolò Ramaglia=Saponara.) Dentro: "Molto ill.e Sig. Vostra potrà dire a cotesti Capitolari che il Can. D.Nicolò Tornese ha mandato la rinuncia

all'Arcipretura che li volevo conferire; epperò mi facciano sentire per domani a ora di pranzo chi vogliono per Arciprete ma, come restammo in appuntamento, con V.S., che il soggetto sia da me conosciuto. Non venendo a ora di pranzo, io provvederò subito dopo pranzo, prima che spiri la giornata mia delli 10 del corrente, che è quanto mi occorre significare a V. S. in conferma di quanto le dissi a voce, e con farle riverenza (parola inconvenevole verso di me) mi confirmo, con offerirmi di servirla in ogni congiuntura di suo vantaggio.

Marsico, li 9 dic.1731. Di V.S. aff.mo per servirla sempre D. Vesc. di Marsico".

Letta questa lettera, mi convenne di bel nuovo recarmi dal detto D. Carlo, per riferirli quanto il Vescovo mi scriveva, e non essendovi altro da comunicarmi, accinto al viaggio, la mattina per tempo cavalcai alla volta di Marsico, li 10 Dicembre. Ove giunto e ricevuto all'udienza del Prelato, spogliatami la figura capitolare, esposi l'ambasciata di S.E. di Bisignano nella stessa forma e nelle stessissime parole comunicatemi dall'Agente. Udito il mio parlare, il Prelato, con somma compitezza, proruppe con i seguenti termini: "Come comanda il sig. Principe così farò, nè voglio provveder più".

4. Il Vescovo cede ai desideri del Principe ma vuol conoscere i reali introiti della Collegiata.

Volle nondimeno, seguendo il suo discorso, che il Capitolo avesse fatto costare nella sua Curia la verità della rendita dell'Arcipretura, asserivasi di gran lunga vantaggiosa a quella che si era fatta tassare la prima volta dal defunto Arciprete. Laonde, dopo molti altri gentilissimi atti usatimi, mi licenziai e lieto e contento me ne tornai al paese, ove numeravano i momenti per giungere, per far restar consolati non meno il Capitolo che la patria tutta, tanto per la esclusione del soggetto, quanto per la spedizione delle Bolle dalla S.Sede.

E per far toccare con mano al Prelato che quanto da me erasi asserito circa la rendita era vero, si formò la seguente supplica scritta e firmata etc. OMISSIS

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L'informazione si commise al Rev. Can. D. Gerolamo De Blasiis, Cancelliere della Curia marsicana, il quale, conferitosi nella Saponara il 15 Dicembre., esaminò li canonici D. Ant. Santelmo, D. Benedetto Masullo, D. Giuseppe Zottarelli e D. Dom. Ant. Prezioso, sopra la rendita dell'Arcipretura etc.etc.etc. (OMISSIS minuziosi dati di rendita).

Ma perchè in quella domenica 9 Dicembre temevasi che in effetto il Prelato non avesse provveduto il giorno 10, prima di saper la propensione del sig. Principe, si pensò darne notizia in Dataria per mezzo del Nunzio di Napoli; ed io, con l'intelligenza del ridetto sig. D. Carlo, mi affaticai a comporre e transcritturare la seg. lettera:

"Il Capitolo della Collegiata Insigne della chiesa di S. Antonino martire della Saponara, la quale da tempo immemorabile gode di titolo di città non negatoli nemmeno dai propri Vescovi costa di num. Prefisso di 21 sacerdoti, cioè l'Arciprete, 1a dignità, 12 canonici, ornati d'almuzio di color violetto e fodera d'armosino cremisi, ed 8 altri sacerdoti che si chiamano partecipanti" OMISSIS(da pag. 469 a p.471).

Mons. Nunzio, Arciv. Di Nicosia, ricevuta la lettera, rispose cortesissimamente al Capitolo, e disse di averne già

avanzata la notizia in Roma, ove si fusse dal Capitolo accodito.

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CAP. XLVII

SI RAVVISA COME SI SCOPRI' CHE S.E. DI BISIGNANO NON AVEVA PRETESO LA SPEDIZIONE DELLE BOLLE DA ROMA, MA SOLO L'ESCLUSIONE DEL SOGGETTO E SI TRATTA PER LA PROVVISTA IN PERSONA DEL SIG. CAN. D. ANTONIO PERRONE, CON ALTRI FATTI NOTABILI.

1. Maneggi dell’Agente del Principe per far nominare Arciprete un suo congiunto.

Ora accertatasi l'esclusione del Can. Tornese dall'Arcipretura e stimandosi star sulla calma, ecco che più fiere tempeste insorgono per altri pretenzori dell'Arcipretura, ed essendo io andato in Sanza nelle feste di Natali a consolarci con mio cognato D. Nicolò Maria Veglia, non potei per i tempi cattivi ritirarmi prima delli 10 gennaio, e ritrovai quelle novità che sono per descrivere. L'anzidetto Agente, avendo vista l'esclusione del Can. Tornese, macchinando pensieri a suo capriccio, cominciò a far idee metafisiche, forse per pescare nel torbido il fine del suo intento. Andò dal Vescovo, non si sa se per descritto affare, o pur velandolo con sopraveste di altri finti negozi. Per adescare l'animo del Prelato, li disse che al sig. Principe non era passata nemmeno per idea la provvista da Roma; ma la sola esclusione del soggetto, (locchè erasi già avverato in Saponara), ma che tal proposizione era stata inventata da chi aveva recata l'imbasciata (che era io). Se il Vescovo, in sentendo questa notizia, si fosse attristato verso di me, il consideri chi ha senno, l'uomo. Or checchè sia di ciò, dirò avanti locchè avvenne di questa indegna impostura. Avvenga che la bugia non è andata mai scevra di pena, essendo la principale che, quantunque il bugiardo dicesse il vero, non se li presta fede, oltre di quelle fulminate dallo Spirito Santo nell'Ecclesiastico al cap. 20, n.26 "Ob proprium nequam in homine mendacium et in ore indisciplinatorum assidue erit. Potius fur quam assiduitas viri mendacis, perditionem enim ambo haereditabunt. Mores hominum mendacium sine honore". E però Salomone, al cap.30 n.7, dei Proverbi, chiedeva in gratia: "Vanitatem et verba mendacii longe fac a me".

Il Prelato però, quantunque avesse creduto a quella relazione e fatto mal concetto di me, ad ogni modo però volle sincerarsene con lo stesso Sig. Principe, che rattrovavasi in Napoli, ed altre persone ancora.

Frattanto che il narrato fatto ascoso stava, ecco che si vide spuntar sotto l'ombre delle macchinate frodi dell'Agente il parto delle sue macchinate imprese, quale era il voler promuovere all'Arcipretura un suo congiunto (uomo per altro degno di somma lode) senza però che questo ne fosse stato inteso, e pensando di valicar l'oceano di questo affare con l'aura del padrone, richiese al suddetto sig. D. Carlo perchè avesse fatto formare dal Capitolo un'acclamazione ed attestato a pro dell'anzidetto suo congiunto, acciò se ne fosse potuto avvalere per il predetto suo fine. Il sig. D. Carlo si scusò che ciò dipendeva dai Sig.i Capitolari, del corpo dei quali egli non era, ma per poco tempo Economo, laonde si fusse con essi loro spiegato.

E non potendo quegli contenere la sua passione che concepito aveva del suo pensiero e veggendo di essere escluso dal capo e dubitando di che poi seguì, avanzandosi nell'escandescenza, proruppe in un progetto che non potea se non da un ateo preferirsi, cioè che per superare un impegno non si curava di andare all'inferno. Ciò mi riferì poi il sig. D. Carlo, che pur lo disse ad altri.

E per far pruova della sua facondia col Capitolo, progettò con alcuni dei Rev. Capitolari il suo pensiero; ma

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odorandone la esclusiva, per non ricevere un affronto e servendosi di quell'aura, cominciò con minacce a borbottare contro i Rev. Capitolari; ma costoro, ponendo in non cale le di lui minacce, feron petto forte a questo primo assalto. Ma egli, veggendosi schernito e per ottenere il suo intento, formò a suo modo e irregolarmente l'acclamazione sospirata, andando casa per casa dei Capitolari, loro costringe blandis sive subdolis verbis, o per

meglio dire, temendo eglino qualche sinistro avvenimento per la loro casa, a soscrivere l'acclamazione. E volendola pure costui non volle ciò eseguire, non osservando la scrittura formata colla valida forma. Ma con tutto ciò, facendo pompa della sua virtù e non accorgendosi della sua invalidità, la sottopose agli occhi di Mons. il quale avedolo assicurato essere di niun valore, restò confuso e più non aprì la bocca per questa impresa. Ma per contrario il Capitolo, che aveva tutta l'inclinazione per l'abate D. Gerardo Ceramelli, come s'è detto, volendogliela appalesare con affetto, sempre con la speranza che avesse voluto accettare, formò a suo favore altra acclamazione ed attestato con tutta pienezza di voti dei Capitolari, convocati e ragunati al suono della campana, secondo il solito, nella sagristia, ed ivi soscrivendosi da tutti con soddisfazione e libertà, roborandola col solito suggello capitolare, locchè fu poi il maggior cordoglio all'avversario. 2. Il Principe suggerisce al Vescovo una terna di nomi per l’Arcipretura, fra cui Don Antonio Perrone.

Frattanto che questi fatti accaddero, il Prelato scrisse al Sig. Principe per accertarsi della verità dell'ambasciata già fattagli in suo nome, e se con affetto io gliela avea recata di mio capriccio informossene con destro modo, lagnandosi di me, col dr. Felice Antonio Decina, il quale non potè non accertarli la verità, il quale dovea ancor lui rapportare l'ambasciata. Laonde come restò sgombrato il Prelato di me, altrettanto fece mal concetto di colui, che per discapitarmi forse come se stesso mi aveva trattato da impostore.

Il Sig. Principe alle proposte del Prelato replicò adeguatamente, dicendo egli non aver mai avuto pensiero di reclamare le provviste da Roma, ma solo si era impegnato per l'esclusione del Can. Tornese, ma solo desiderava che fosse galantuomo del paese, nel quale non ne mancavano, siccome erano il sig. D. Antonio Can. Perrone, D. Giuseppe Can. Zottarelli e D. Gerardo Abate Ceramelli, dei quali come che noti tutti tre con obbligazione avesse trascelto colui che li piaceva.

A vista di questa lettera, il Vescovo formò o che l'avesse tenuta formata in data 10 Dic. 1731, la Bolla in bianco per il nome e con espresso corriere la manda in Napoli per il Principe; il Don Antonio Perrone, scrisse di nuovo al Prelato, ringraziandolo dell'attenzione. Quegli(il Principe) scrisse una lettera al detto Perrone chiamandolo Arciprete ed una diretta al Capitolo ed ambedue col suggello in falso, ed un'altra all'Agente: tutte rimesse in mano del prelato.

Fra questo tempo il Vesc. ordinò al nostro Capitolo che avesse rimesso nella sua Curia alcuni librett i di conti dei procuratori del medesimo senza sapersi il fine; e dubitandosi di qualche trama, si pensò di fargli portare da me, che essendo già ritornato da Sanza ai 13 Gennaio, cavalcai alla volta di Marsico, con tutto che spirava un vento tanto impetuoso, che, giuro il vero, passai pericolo di venir soffocato in quelle pianure; di modo che lo stesso Prelato meravigliossi come con sì cattivo tempo mi fossi posto in cammino.

Ora, essendo col Prelato in lungo discorso e volendo rapportare le mie giustificazioni veridiche su di quanto erali stato insinuato circa la mia imbasciata, della quale erasi a pieno informato, senza farmi aprir bocca (testor Deum) mi

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replicò che non occorreva che mi fossi affaticato, poichè dal sig. Decina si era informato del tutto, e per altro verso aveva conosciuto di quanto valore ed efficacia erano le parole dell'avversario; il quale, perchè disse al Prelato di volermi da S.E. far dare una buona mortificazione per la temerarietà avuta di rappresentare il falso, il prelato m'impose sotto precetto di coscienza e di stima, non che per evitare la pena, mi fussi giustificato col Sig. Principe, chiamando lui in autore, siccome già feci; dal che il finto amico, ma avversario ebbe una buona ripassata, siccome lui si spiegò sotto altro colore con me in presenza d'altri. Volle di vantaggio il Prelato per sua benignità farmi leggere la lettera del Sig. Principe, nella quale specialmente diceva (V.S. Ill.ma non creda uscita da me, ma da altri), cioè: la spedizione delle bolle da Roma, e che nel paese vi erano galantuomini, come ho detto. E perchè in punto quella stessa sera dei 13 gennaio giunse da Napoli il corriere con la bolla e lettera, siccome pure ho detto, la mattina delli 14, con tutto che nella notte era cascata buona copia di neve, per espresso che meco si accompagnò, mandò tutte le lettere con la Bolla al suddetto Sig. Can. Perrone, da cui fu consegnata quella diretta al Capitolo, al di lui procuratore (cioè il Ramaglia), del seg. tenore:

"Molto Reverendi, ha già Mons. di Marsico pubblicato elezione di cotesto Arciprete, che s'avea riserbata ai 10 dello scorso mese, avendo trascelto alla carica il Rev. Can. D. Antonio Perrone, col quale concorron tutti li requisiti che poteansi desiderare, e della bontà e della dottrina e della nascita, e siccome fa la provvista conoscere che il prelato non ha altra parzialità che per il merito, così si deve da loro venerare per ogni capo. Io che ne avanzo loro la notizia, avrò molto caro che ne diano tutti i saggi al medesimo, senza lasciarsi da qualche spirito di contraddizione, assicurandoli che in tal forma mi troveranno sempre pronto ad inclinare ai di loro vantaggi e quelli della loro Chiesa, e prego il Cielo che li feliciti. Napoli, 10 genn. 1732. Aff.mo loro il principe di Bisignano". 3. Il Capitolo non si oppone alla designazione di Antonio Perrone ma invia una lettera al Principe per ottenere le Bolle della Dataria e non farsi scavalcare dal Vescovo.

Lettasi la soprascritta lettera dai Rev. Capitolari e saputasi la bolla fatta dal Vesc., contro del quale tanto erasi prima oppugnato, e stimavasi avere il medesimo ceduto alla vanità della pretensione, giacchè eraseli fatta conoscere la verità della rendita e della cura, quanto i Rev. Capitolari si commossero in animo applausibile verso la persona trascelta, altrettanto con sdegno verso il Vescovo, veggendo pertinace nella sua opinione. Laonde, dopo aver fatto una lunga sessione con vari discorsi, conchiusero che avrebbero contribuito del loro alla spesa da farsi alla Dataria perchè si fosse tolta al Vesc. tal pretensione; e che ciò si fosse appalesato al Sig. Principe, pregandolo di voler favorire la di loro giustissima causa. Laonde con la scorta del suddetto Sig. D.Carlo, che suggerivami li motivi, formai la lettera come siegue:

"Ecc.mo Sig. Principe nostro semper e Colendissimo, non è capace la nostra lingua in palesare nè la nostra penna in trascrivere la nostra obbligazione viva, che ognuno di noi eternamente confessa alla somma e innata benignità di V.E. che si è degnata sempre con occhio particolare riguardarci e proteggere, ed ora più che mai veggendoci ricolmati

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delle sue singolarissime grazie, per la persona del nostro fratello D. Antonio Perrone, promosso alla dignità di questa Arcipretura, che per altro non potea conferirsi a miglior soggetto di lui, chè come nostro fratello ben lo conosciamo fornito di tutte quelle qualità, virtù e dottrina che a simil dignità ricercansi, di modo che tutti, unica voce ed a braccia aperte ce ne siamo grandemente congratulati. Ma come che l'onore di questa nostra chiesa, che è stato sempre in grado ragguardevole ed eminente, sì per la dignità a V.E. ben nota, come per le altre protezioni della V.E. e de' suoi gloriosissimi antenati, ci stimola allo zelo di mantenerla in quel medesimo grado e prerogative nelle quali alle nostre mani è pervenuta, per non essere rimprocciati da trascurati non che indegni di questo Collegio; perciò supplichiamo benignamente l'E.V. non sdegnarsi se, replicando alla nobilissima, divotamente la preghiamo che, oltre per non perdere l'antico lustro della Chiesa ed introdursi abusi e per non farci per il vegnente suppeditare1 dal Vescovo, con la elezione di soggetti poco, anzi niente meritevoli, siccome si è visto presentemente, ed ha preteso altra volta, e per non darli ansa a far a suo modo ciò che li viene in mente, a pregiudizio della nostra Chiesa, avendo posta bocca anche sopra la nostra insegna canonicale dell'almuzio, volendo sempre, anche insensibilmente inoltrarsi negli nostri pregiudizi, si degni adoprar la sua validissima protezione ed efficacia, o col medesimo Vescovo, o colla Romana Dataria, in persona dello stesso D.Antonio che tanto stimiamo ed acclamamo, ed acciocchè V.E. meglio conosca l'animo nostro inclinato verso questo soggetto propostoci dalla gran magnificenza di V.E. e ci moviamo del puro zelo della chiesa, noi ci contentiamo di soccombere anche de proprio, se la comunità non bastasse, alla metà della spesa che farassi per la spedizione delle Bolle dalla cennata Dataria. Ma pure, Eccell.mo Signore, se volessimo contro il dovere postporre il bene della Chiesa e l'onore e gloria di nostra patria, adombrati con vari colori dal Prelato prontamente eseguire gli ordini di V.E. siccome dovriamo, con occhi velati, ci troviamo in istato di non potere, venendoci legate le mani della notizia data in Dataria da cotesto mons. Nunzio, del quale giorni sono ci giunse riscontro, accertandoci essersene già partecipata S.Em.za il Sig. Card. Datario. Ch'è quanto di tutto cuore supplichiamo V.E., nelle di cui mani poniamo tutte le nostre speranze ed armi, protestando di sempre uniformarci alla saggia non che pia soddisfazione della E.V., alla quale per non più tediare rimettendoci al dippiù che a voce verrà rappresentato dal Can. D. Giuseppe Zottarelli che si spera partirà a cotesta volta sabato corrente, facciamo umilissimi inchini col raffermarci sempre di V.E. = Saponara, 16 genn. 1732, Devot.mi, umil.mi servi, l'Economo, Canonici e Preti della Saponara".

Formatasi da me questa lettera, lo stesso giorno delli 16 fu letta nella sagrestia alla presenza della magior parte dei Rev. Capitolari, ragunati al suono della solita campana, ed intesone il tenore, fu grandemente applaudita, e per dire la di loro voce, degna di stampe; ed usciti dalla chiesa, rattrovossi lo stesso Can. D. Antonio Perrone sulla piazza e letta ancora a lui la lettera, restò sommamente appagato delli cortesi pensieri e metodo tenuto dal Capitolo a suo favore. Laonde alla sua presenza la suggellai e la consegnai al Rev. Sig. D. Francesco Pennella, procuratore del Capitolo, per la spedizione del corriere a S.E., come erasi enunciato nella lettera. Essendo questi colà arrivato e discorso del vero pensiero del Capitolo, S.E. rescrisse al Capitolo nella forma che siegue:

1 Sottomettere

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"Nella di loro lettera esibitasi dal Rev. Can. Zottarelli, ho ravvisato che, aderendo al soggetto preposto per cotesta Arcipretura che è il Can. D. Antonio Perrone, vorrebbero che la provvista e la spedizione delle Bolle si facessero da Roma, da dove si sono sempre spedite. Spero che Mons. si uniformerà al loro sentimento, come pure io non rimango di fare al medesimo e le insinuazioni e le preghiere, e frattanto che attendo i di lui sentimenti, non manco di attestarle il mio sentito gradimento, per volere contribuire per mio riguardo la metà della spesa che si farebbe in Roma, ed attestando la mia distinta stima e il desiderio che ho dei loro vantaggi, prego il signore Iddio che li guardi.

Napoli, il 26 (Gennaio) del 1732. Aff. mo loro Il principe di Bisignano".

4. Il Principe non mantiene le promesse circa la spedizione delle Bolle.

Con questa benigna lettera di S.E. il Capitolo prese fiato sulle riflessioni ch'egli non aveva preso in mala parte le sue giustificazioni rapportategli, ed ebbe certa speranza di conseguir l'intento, ed avendo scritto il Vescovo, questi per vincere il suo punto replicò in siffatta guisa alla detta Ecc.za, che, forse inaffiata da altre informazioni, che non potea produrre buon effetto, spiccò al Capitolo un'altra lettera, ma risentita, come siegue: OMISSIS

Da questa lettera i Rev. Capitolari si attristarono, veggendo che S.E. in un subito erasi mutato dalla promessa e buona inclinazione: in tutto ad insinuazioni del Vescovo, che l'insinuò la protesta, e che il Capitolo avesse pensato ad altro soggetto. Nondimeno, persistendo vigorosamente nell'intrapreso impegno, replicò al Sig. Principe nella forma che siegue: OMISSIS LETTERA DI PERRONE AL PRINCIPE da p. 483 a p.486).

A questa lettera peraltro responsiva S.E. non replicò; ma poichè il Can. Perrone con lo stesso procaccio scrisse a' detta Ecc.za che il suddetto sig. D. Carlo avealo consultato a fargli prendere il possesso con le Bolle del Vescovo, procedette a una protesta in suo nome e il Principe replicò al Perrone come siegue…. OMISSIS ….

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CAP. XLVIII

SIEGUE A NARRARSI L'IMPEGNI E CONTRASTI AVUTI PER L'ARCIPRETURA E LE DIFESE DEL CAPITOLO PER FAR SPEDIRE LE BOLLE DALLA DATARIA. 1. Il parere di Carlo Danio circa la possibilità da parte del Perrone di conservare insieme alla carica di Arciprete anche quella di Canonico.

Credesi già che con la soprascritta protesta, che preceder doveva il possesso, si chetavano le commozioni capitolari che, onnimamente voleano si fossero spedite le Bolle dalla S. Sede, secondo il solito; ma sursero più duri scogli e difficoltà da superare.

Il Can. Perrone, temendo che col progresso del tempo avesse avuto a perdere l'arcipretura, non volea almanco perdere il Canonicato, che pretese tenere con l'Arcipretura, siccome gli aveva insinuato il Sig. Principe. Laonde, consultatosi con il sig. D. Carlo Danio, persuadendosi quegli che nè la retenzione del Canonicato nè la protesta potè aver più cammino, per far che il Sig. Principe, impegnato in questo affare, ne fosse pure restato inteso, richiese al detto Sig. D. Carlo un biglietto ostensivo, acciò lo avesse mandato in Napoli, che fu come siegue, senza punto alterarlo, come di tutte le altre scritture:

"Casa, li 2 marzo = Carlo Danio riverisce il Sig. Can. Perrone, ed in risposta di quanto favorisce avvisarlo, con la solita ingenuità e facilità possibile, li dice e li raccorda che la consulta della protesta fu prima che si ventilasse che Mons. non avea spedite le Bolle a tempo legittimo, ma artificiosamente con l'antedata. Ora li notifica che se egli li accerta esser così, la protesta non potrà giovargli che per metterlo al coperto di una mortificazione li potesse venire dalla Dataria; ma la coscienza non andrebbe bene, perchè non sarebbe legittimo Arciprete. Se poi crede altrimenti, prenda in santa pace il possesso con l'accennata protesta, e non ci perda tempo, perchè anch'egli è di parere che con la protezione di S.E. Padrone non li può accadere disturbo alcuno, come dice il padre predicatore essere accaduto all'arciprete di Ferrandina, il quale con li stessi termini nostri essendo stato provveduto con le Bolle del vescovo, dopo il termine di un anno di possesso, ne è stato tolto via dalla Dataria ad istanza del Capitolo. E se ne consulti con la coscienza. Ed in quanto li viene insinuato da altri di prendere il possesso e poi di rinunciarvi, se ne consulti con la borsa. Ma con tutto questo non può far di manco di dire che non capisce perchè non si debbano aspettare le Bolle da Roma; quante volte sia vero quanto disse giorni sono il sig. Francesco suo fratello, cioè che per la spedizione di queste si era scritto da Mons. all'abate Commeta? In quanto poi al ritenere il Canonicato con l'Arcipretura, ha difficoltà che ciò possa succedere legittimamente; avvegnacchè li nostri Canonici sono differenti dalli altri: perchè, ove quelli si provvedono per concorso o con Bolle da Roma, questi vanno per successione.

Di maniera che, essendo composto il nostro Capitolo di numero 21, cioè l'arciprete, 12 canonici e 8 preti partecipanti, col costume immemorabile di succedere nella mancanza del Canonico il prete più anziano, non sarebbe che male per più rispetti il pervertire e togliere quest'ordine così praticato da tempo antichissimo nella nostra Collegiata, sempre che gli Arcipreti sono stati del corpo capitolare, come avvenne del Can. D. Francesco

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Antonio Lauria e D. Carlo Danio predecessore; i quali con la nuova dignità dell'Arcipretura diedero luogo alli altri di succedere e non vi fu il pregiudizio del terzo; oltre che verrebbe a togliere il numero prefisso e così a poco a poco avvilire all'in tutto questo povero Capitolo, che è lo scopo del Vescovo presente ed è stato quello de' suoi predecessori, dalla b.m. di mons. Lucchetti in fuori, il quale fu giustissimo. Ed infine su questo punto, dell'unione delle due dignità avrebbe altre riflessioni; ma per non esser molto lungo, le riserbo alla viva voce, a Dio piacendo, ed intanto resta baciandoli devotamente le mani."

Questo biglietto del sig. D. Carlo fu a me consegnato per darlo al can. Perrone; ma volli trascriverlo per futura memoria. Questi però avrebbe voluto che detto D. Carlo con più chiarezza avesse detto che non poteva prendere possesso con la Bolla del Vescovo e non rimetterlo a suo arbitrio, per far che da S. E. non fosse stato incolpato se non lo prendeva; giacchè da sè non si confidava risolvere. E standosi in questi termini e progetti e discorrendosi vie più del modo da praticarsi per prendere il possesso, poichè pareva che voleva essere Arciprete, ma non disgustarsi col Vescovo nè col Capitolo; uscì voce che tra due o tre giorni Mons. mandava delegato per mettere al possesso il suddetto Perrone. Ed essendosi di tal notizia di bel nuovo commossi li animi dei Capitolari, il suddetto. Perrone scrisse al Vicario generale per informarsi della verità nella forma che siegue: "Non so il canale donde il Capitolo penetrato avesse la resolutione presa da Mons. mio ill.mo di mandar qui tra poco persona da lui delegata, per conferirmi il possesso della decantata Arcipretura, ma so benissimo che siasi il detto Capitolo attristato e commosso perchè io abbia a conseguirlo innanzi di esser egli informato dello spediente tenuto dalla Dataria, mentre, come aveva presentito si trovava Mons. aver dato parte del consaputo affare per strada del sig. Calmeta. Ond'io vedendo delli uomini agitati e commossi di non poter quello assumere con la felicità e quiete che desidera il mio animo, e perchè non vorrei infine che una cagione d'un tanto mio rilevante decoro avesse a produrre un effetto tutt' opposto al mio rossore, supplico V.S. Rev.ma a far sì che, siccome Mons. mio ill.mo ha usata sì strana benignità, camminando sinora con passi lenti in cosa di lui a mia premura, così si compiaccia ugualmente di sospendere l'impresa per altri pochi dì, finchè non giunga il sig. D. Carlo Danio a sedare e porre in calma i cuori delli capitolari sconvolti dall'intempestiva novella, essendo egli in ciò entrato mio mallevadore; nè temo potermi mancare, perocchè non lo può e per nascita e per sapere e per proprio costume. Ed in tal guisa, per un'altra minima dilazione, qual sarebbe un ente piuttosto accidentale che d'essenza, io verrei a guadagnare la tranquillità che sol bramo sopra gli lucri e più degli onori ovvero per avere almeno campo (allor che mal portasse l'occasione di ribatter gli colpi delli avversari) di dire che non ho lasciato anche dalla mia banda di praticare ecc. Saponara 5 marzo 1732".

Il suddetto sig. D. Scipione Tafuri, avendo posto sotto gli occhi di Mons. la soprascritta lettera, replicò come siegue:

"Avendo parlato a Mons. mio ill.mo circa il supposto che ha cotesto Capitolo del possesso dell'Arcipretura conferita a V. S., mi ha risposto che questo è un sogno o pure una invenzione di bell'ingegno, e lui tanto pensa all'Arcipretura della Saponara quanto V.S. pensa alle Indie Nove; e che una volta ha promesso fare spedire le Bolle per la via di Roma, tanto attenderà; e perciò si quieti ognuno. E mi meraviglio che V.S. o altri abbia creduto in Mons. questa mancanza: ch'è quanto devo in risposta al suo gentil.mo foglio

Marsico, 6 marzo 1732".

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2. Il Vescovo continua a rimanere nell’ambiguità facendo credere che la Bolle sarebbero state spedite dalla Dataria.

Acchetaronsi a questa notizia i Rev. Capitolari, i quali giudicarono che Mons., avendo osservato la di loro durezza, non si avesse voluto cimentare. Ed essendo poi trascorse molte settimane senza nemmeno aprirsi la bocca su questo affare, uscì altra voce e notizia dal Rev. Can. D. Gerolamo De Blasiis, cancelliere di Mons., poi Cantore della cattedrale, il quale scrisse al suddetto Perrone aver Mons. saputo da Roma essersi di già segnata la grazia dell'Arcipretura in sua persona, per la quale molto erasi contrastato, per essersi date tre suppliche in Dataria, l'ultima delle quali era uscita libera, e che la spesa era di 52 scudi romani. Questa novella fè grandemente dubitare il detto sig. D. Carlo di essere schietta e sincera. Ma essendo stato di passaggio il detto De Blasiis per la Saponara ed avendo discorso a lungo col suddetto Perrone, questi gli appalesò essere insorti da parte del Capitolo alcuni gravi dubbi sulla grazia segnata. Laonde il detto De Blasiis volle discorrere con i Rev. Capitolari, dei quali la maggior parte ragunati nella sagristia col suddetto sig. D. Carlo, questi volle che io solo avessi con quello parlato e proposto quali erano i dubbi e replicato al Cancelliere; al quale con effetto dissi che, essendosi date tre suppliche in Dataria e con gran contrasto erasi segnata la grazia libera, si andava filosofando la causa. Poichè, se era scaduto per altro concorrente, siccome si vociferava, nulla importava. Ma se fosse avvenuto per conculcare le ragioni della Chiesa, facendola segnare come devoluta alla S. Sede o con altro modo pregiudicante, al certo il Capitolo non si sarebbe acchetato, non per la persona la quale acclamava, ma per jus che si voleva far perdere. Locchè essendo vero, Mons. doveva compatire se si prendeva l'impegno della difesa. Il Cancelliere finse non esserne pieno informato, ma disse di volerne far parola al Vescovo. Per la spesa, pur si disse che pareva strana, quando il tempo della spedizione delle bolle del sig. D. Carlo si erano spesi meno di 50 scudi di regno, ma ciò forse derivava dagli spedizionieri.

Laonde avendo il Capitolo promesso di succumbere alla metà della spesa (sebbene i Capitolari ritrattati dall'osservare la parola, a cagione che il Perrone non voleva disgustarsi col Vescovo ed assentire alla difesa della loro chiesa), pure, volendo mettere in deposito la sua posizione, non voleva essere ingannato per la detta spesa, e con ciò il Cancelliere restò informato della decisione capitolare acciò l'avesse riferita a Mons. Ma pensandosi tuttavia scrivere in Roma per sapere la verità dell'oprato in Dataria, un amico del Sig. Carlo gli scrisse una lettera col ristretto della grazia segnata, cioè che la provvista dell'Arcipretura era devoluta alla S.Sede ob lapsum temporis, ob non excessum decem florenorum2, anche con le distribuzioni cotidiane, e che stante la tenuità della rendita, poteasi

ritenere il Canonicato con l'Arcipretura senza veruna dispensa. Questa lettera li 9 maggio 1732 fu letta dal sig. D. Carlo Danio in sagristia in presenza di molti capitolari, tra i

quali rattrovossi il suddetto Perrone, il quale avendo ingenuamente appalesato non poter soffrire che in tale guisa si fosse provvista l'Arcipretura, non potè con gli altri non adirarsi alle procedure del Vescovo e non acconsentire si fossero presi li dovuti espedienti e più propri con la stessa Dataria per conservare la vacanza antica e che a tale effetto, senza dar molta noia a tutto il Capitolo si fossero eletti 4 sacerdoti per tutto quello che dovevasi operare circa questo malaugurato affare dell'Arcipretura.

2 Qui si allude sempre al sotterfugio che la Collegiata di Saponara non aveva una rendita superiore a 10 Fiorini per cui poteva

essere considerata semplice Parrocchiale e quindi sottoposta alla volontà del Vescovo per la nomina dell‟Arciprete.

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Lo stesso giorno il sig. Francesco Di Persia (oppure Di Parsia?) rampognava gravemente il Sig. Fr. Perrone come quuello che, per conseguire il fratello arciprete contrariava gravemente il Capitolo, il quale giammai permetteva quello sfregio. Laonde detto Sig. ricevendo grave affronto da una simile ripassata, senza dir cosa veruna a chicchessia, li 11 maggio 1732 andò da Mons. per accertarsi della verità, e già fu accertato che la grazia era stata segnata secondo diceva il sig. D. Carlo, poichè l'altra maniera non si era potuta ottenere (e ciò a seconda dell'idea del Vescovo che onninamente voleva far sua sempre la provvista dell'arcipretura).

3. Il Capitolo si appella di nuovo al Principe di Bisignano. Frattanto lo stesso giorno dell'11 maggio, per non perder tempo al riparo ma dando di piglio alle provvidenze, si

pensò di scrivere di bel nuovo a mons. Nunzio e al Sig. Principe nella forma che siegue: "Credevamo aver la sorte di ravvivare a V.E. con propria bocca la nostra dovuta osservanza ed altresì supplicarla

per le materie concorrenti di questa Arcipretura; ma giacchè siamo rimasti delusi di questa speranza (diceasi dover passare per la Saponara per la volta di Calabria) si fa d'uopo con questa nostra devotissima supplicare la bontà dell'E.V. e palesarle gli inganni con i quali Mons. nostro ha pensato e pensa di pregiudicare questo nostro Collegio, ma vieppiù annichilito. Avvegnacchè essendosi compromesso e con V.E. e con noi di fare spedire le Bolle da Roma, ciò che ha inteso sempre secondo l'antico solito, cioè come spettante alla Dataria, si presentisce come le faccia spedire addirittura dalla Dataria, sì ma come devoluta, e ciò con false assertive et parte una informante, mentre spedirsi le Bolle da Roma come devoluta è lo stesso come confermare il pleno jure al Vescovo; nè è cosa nuova che da Roma si veggano simili provviste parte una informante, mentre noi stessi ne abbiamo l'esempio di più soggetti, li quali fatti provvedere a richiesta del Vescovo tamquam de parochiali, quando poi il Capitolo se ne è risentito appresso la romana Curia, sono state le medesime Bolle annullate e non se n'è avuta ragione.

Così accadde in persona di N. Niccolò Morena di Marsico, D. Polidoro di Viggiano e D. Roberto Corsaro di questa città, li quali sfrattorono dall'arcipretura (locchè in quel tempo io non sapevo).

E quel c'è peggio, Ecc. mo Sig.e, si è che ha voluto e vuole togliere l'antico ordine di questo Collegio, di numero 21 partecipanti, cioè l'Arciprete, 12 canonici ed 8 preti semplici, con far ritenere all'Arciprete il canonicato predetto, ciò che non solo sarebbe contro il cennato ordine giacchè non sarebbero più di 12, ma 11, li quali non sarebbero provvisti dal Vescovo o da Roma per concorso o merito, ma subentrano per successione in anzianità, cioè che, in mancanza di qualche canonico defunto, o per qualche causa del canonicato, subentra il prete più anziano; ma di vantaggio si pregiudicarono li interessi di due sacerdoti, e cioè del più anziano, che non avrebbe più il canonicato con i suoi frutti, e del soprannumerario ed ancor partecipante, ma del grembo del capitolo, che dovia avere il luogo in detto collegio, e li frutti che partecipava il canonico defunto, come ogni altro partecipante, separatamente da quelli del canonicato: locchè è stato astutamente taciuto nella supplica data da mons. in Dataria, con l'esposto altresì falsissimo che l'Arcipretura non oltrepassi la redita di 10 fiorini di camera, quando noi abbiamo fatto costare al medesimo Prelato che renda ducati 83 e più, e che sia stato solito esser provveduto dal Vescovo, locchè è falsissimo.

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Onde , Ecc.mo Sig., siamo giunti in uno stato che ci vedemo spinti con le spalle al muro, e come tali non saremo giudicati temerari e petulanti se, ad esempio dei nostri maggiori, per difendere il nostro antico jus e decoro, faremo ogni sforzo , anche con la vendita delle proprie vesti, quando la rendita di questa comunità non bastasse e la croce con li calici non fossero sufficienti, trattandosi di punto tanto pregiudizievole che fra poco tempo dovriamo contrastare per non farla riuscire parrocchiale.

Servirà impertanto questa nostra umilissima per un testimoniale della nostra osservanza verso l'E.V., che, seguendo l'orme de' suoi gloriosissimi antenati, ha promosso sempre gli avanzi e non i pregiudizi di questo nostro Collegio; acciò non siano reputati per petulanti, se già a tal fine costituiamo avvocato e procuratore in Roma e facendo a V.E. ecc. Saponara, 11 maggio 1732".

Ritornato, siccome si disse, il sig. Francesco Perrone da Marsico e avendo conferito a Mons. li dubbi del Capitolo, non potè tacere ciò che quello li aveva suggerito, anzi li aveva insinuato, che se il canonico suo fratello per disimpacciarsi da questo intrico avesse voluto rinunciare alla supplica data per lui, l'Arciprete era fatto. E perchè scorgeasi dall'esterno del detto Sig. Francesco che il di lui animo era uniforme al volere del Capitolo, passando forse di necessità in virtù, fingendo di saper nulla di ciò che il Vescovo aveva fatto per oprare in Roma, si restò in concorde appuntamento col suddetto sig. D. Carlo di scrivere in Roma e prendere quei passi che più erano convenienti contro le procedure del Vescovo, non contro la persona. Ma il sig. Francesco, facendo meglio riflessione all'affare, dubitando che, dovendosi pubblicar concorso, nel quale il fratello, con tutto che detto, non si sarebbe esposto all'esame, sarebbe stato escluso dall'Arcipretura (egli è certo che lui, come maggiordomo del sig. Principe, avevalo impegnato a far seguire come Arciprete il fratello, il quale di poco buona voglia acconsentiva) andava rattrovando modi convenevoli per ottener l'intento; senza disgustarsi nè col Vescovo nè col Capitolo, andò a rattrovare il Rev. Can. D. Domenico Cesareo, Arc. Di Tramutola, uomo peraltro dotto e di gran senno, e nel ritorno disse che quello l'avea consultato, che il capitolo potea contentarsi di questa grazia così segnata e farsi spedire le Bolle, poichè, preso poi il possesso, dopo la morte del Vescovo che stimavasi imminente, siccome già seguì, poteasi dare altra supplica in Dataria per parte dell'Arciprete, esponendo il fatto, che, avendo già ottenuto il benefizio predetto con falso esposto, cioè di spettare al Vescovo la provvidenza, e come devoluta, poi provvista dalla Dataria, a cui realmente e non al Vescovo tal provvista spettava, gliel'avesse dispensata su tale falsa assertiva ed avesse pubblicato il Perinde valere; ma questo sentimento non fu applaudito per diversi rispetti e precise perchè al Vescovo restava aperto l'adito ed egli non era legittimo Arciprete; laonde il detto Sig. Francesco, veggendo che per niun verso potea spuntare quella carriera, per non disgustarsi col Vescovo si restrinse che egli di buona voglia avrebbe fatto rinunciare al fratello, qualora S.E. da chi volea richiedere i sentimenti e il Capitolo ciò avessero permesso.

Ma il Capitolo li fece sentire che egli appugnava per la sol aprovvista, non per la persona. Alla pur fine, per non perder tempo con le sole chiacchiere, convenne dar principio all'impresa; tanto che ai 16 maggio, giorno di venerdì, convocossi il Capitolo con la solita campana, e ragunati tutti li Capitolari nella sagristia della Collegiata, luogo solito a trattare i comuni negozi, discorso appieno emergente, formarono solenne conclusione, registrata nel libro di tali affari, che fu come siegue:

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"Die XVI mensis Maii 1732 et proprie dentro la sagristia di questa Collegiata chiesa di S. Antonino martire di questa città di Saponara, etc., si sono radunati ad sonum campanae ut moris etc. il molto ill.tre Sig. D. Carlo Danio li

sottoscritti Sig.i Can. e Preti di detto Collegio, per determinare di affari urgenti del medesimo , e sono: Sig. Can. D. Antonio Santelmo, decano; sig. Can. D. Benedetto Masullo , D. Carlo Mazzei, D. Giuseppe Caputi, D. Antonio Perrone, D. Giuseppe Zottarelli, D. Gerolamo Janneo, D. Francesco Pinnella, D. Carlo Toscano, D. Carlo Giannone, D. Ferdinando di Persia (Di Parsia?), D. Lucio Roselli, D. Nicolò Tornese, Can. D.G. B. Ramaglio, Can. D. Antonio Prezioso, Can. D. Ant. Giordano, D. Giorgio Nigro, D. Carlo Caputi, D. Gius. Ant. La Rossa, D.G.B. Bianculli, D. Nicolò Masurino e D. Nicolò Spadafora (sopranumeri).

Alli medesimi si è dallo stesso sig. D. Carlo proposto che, essendo ormai vacata l'Arcipretura di detta Collegiata mesi 11 ed avendo in quella mons. Anzani Vesc. di Marsico avuto pensiero provveder lui come vacante per la morte del fu Dr. D. Domenico Del Monaco, il Collegio predetto vi si è grandemente con varie maniere opposto, per non spettargli tale provvista come ab immemorabili spettante alla romana Dataria, dalle quali opposizioni si sperava

Mons. avesse voluto far sortire locchè aveva promesso, di far venire le Bolle da Roma in persona del Sig. Can. D. Ant. Perrone, Can. di questo Collegio, dal medesimo grandemente acclamato, anche per intercessione di S.E. il sig. Principe di Bisignano, infine si è saputo che con effetto stava segnata la grazia dalla Dataria ma come devoluta ob lapsum temporis in persona del medesimo Can. D.Ant. Perrone, preteso da esso Vescovo, e non come pleno jure

spettante alla medes. Dataria, con falsa assertiva che la rendita di detta dignità non arrivi ai 10 fiorini di camera e di vantaggio colorendosi della tenuità della rendita, possa ritenersi l'Arcipretura col canonicato predetto.

4. Il Capitolo incarica Nicolò Ramaglia ed alcuni religiosi di difendere in qualsiasi sede i diritti della Chiesa Collegiata.

E come che tutte queste cose sono pregiudiziali ad esso Collegio e d'interesse ancora rispetto al canonicato, venendosi a pervertire l'ordine e natura di questo Collegio, nelle cui dignità s'entra per successione, come da tempo immemorabile si è praticato, ed altresì venendosi ora a provvedere dalla Dataria come devoluta, verrebbesi sempre a provvedere in futurum dal Vescovo con tro l'antico solito ed immemorabile. Pertanto essendosi scorto l'animo di essi sigg. del Collegio, che intendono mantenere in ogni modo possibile il decoro, onore e prerogative della chiesa, è necessario prendere quei mezzi più efficaci ed opportuni con la medes. Dataria acciò non siano conculcate le ragioni di questo Collegio; al qual fine, trattandosi di decoro e d'interesse universale, se n'è richiesto il loro voto e parere.

Locchè inteso da essi Sigg. del Collegio, una voce et nemine discrepante, si è risposto che, essendo dovere difendere l'antico onore, jus e prerogative della lor chiesa, anche ad imitazione dei loro predecessori, si contentano e vogliono che si prendano tutti quei mezzi che si stimano propri da apportarsi da esso sig. D. Carlo, loro capo, e dal sig. avvocato del prefato collegio, dr. Nicolò Ramaglio, al qual effetto hanno deputato, destinato ed eletto , conforme deputano, destinano ed eligono li Rev. Sigg. Can. D. Gius. Zottarelli e D. Dom. Ant. Prezioso e li Rev. Sigg. D. Carlo Toscano e D. Carlo Caputo, alli quali danno e concedono ampia potestà ed autorità, anche a tenore delle antiche conclusioni, di mettere in esecuzione quel tanto venise concluso e determinato doversi fare da essi sigg. rev. D. Carlo e sig. avvocato, anche di

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dover prendere a censo qualsivoglia somma di denaro per le spese che occorreranno tanto in Roma quanto in qualche altra parte per le cose predette. E che i Rev. sigg. destinati ed eletti possano discorrere, concludere, determinare e mettere in esecuzione senz'altra convocazione, parlamento e decisione di detto Collegio, e solamente siano tenuti partecipare a detto Collegio delle cose accadranno appresso, una o due volte al mese, conforme vene sarà di bisogno. Debbono però tener segreto e celato tutto ciò che accadrà e avran determinato di fare, per non esser notati da traditori del Collegio, e stante l'elezione predetta nelle persone come sopra, le medesime così promettono, con la facoltà di poter far soscrivere la presente in propria casa dal cancelliere a quei sacerdoti che si sono trovati legittimamente impediti ed assenti. Et sic fuit conclusum determinatum, unanimi voce, nemine discrepante, F.to.Carlo Danio, Economo etc. etc.

Firmata la già scritta conchiusone, pensossi per gli espedienti. E primo si fusse eletto per avvocato in Roma il Rev. Sig. Dr. D. Giampietro Bevilacqua, noto per una causa che

patrocinava nella S. Congr. dei Vesc., tra l'università di Moliterno e lo stesso Vesc., contro del quale aveva ottenuto; secondo, che al medes. si fusse mandata procura in bianco; terzo, si fece estrarre copia della rinuncia fatta dal detto sig. D. Carlo Danio dell'Arcipretura nell'anno 1720; quarto, la copia dell'editto mandato da Mons. in quel tempo per il concorso; quinto, si fè formare un atto pubblico di più persone vecchie, le quali descriverò avanti, della natura ed ordine che

si tiene nel Collegio, quali scritture ebbero il pensiero di tener pronte li predetti Rev. Sigg. Deputati.

5. Lettera di incarico all’Avv. Giampietro Bevilacqua in Roma.

Ed io ebbi il pensiero di scrivere l'informo in mio nome al sudd. sig. Bevilacqua. Quale, abbenchè in sostanza sia degli stessi fatti sopra enunciati, tuttavolta per dar saggio delle mie fatiche, ho voluto qui trascrivere con tutta puntualità la lettera da me mandata in Roma; quantunque qualche prete capitolare e li stessi sigg. Perrone (il Canonico Antonio e il fratello Francesco) di me reciprocamente dubitavano: i primi perchè i dett i Perrone mi erano congiunti, costoro perchè loro avesse contrariato, del che testis sit Deus quia non mentitor, a dire dell'Apostolo (Lettera) ai Romani, c. 9, n.1, non meno perchè il mio oprare giammai è stato secondo taluni, aliud in ore, aliud in corde, ma perchè tutte le lettere da me scritte passavano sotto l'occhio e l'orecchio del suddetto Sig. D. Carlo, ed in tali occasioni servomi allo spesso di quella sentenza di Ovidio che dice: "Conscia mens certi, famae mendacia ridet".

La lettera dunque fu come siegue: el Ms.). Saponara, 18 maggio 1732; "Ed acciocchè le lettere di V.S. ill.ma venghino qui sicuramente, si compiaccia di scriverci sopra (Napoli=Procaccio di Tursi3=Saponara), essendovene un'altra in Sicilia, ed allo spesso vengono qui lettere che devono andare colà" …OMISSIS…

Prima di formarsi questa lettera erasi pensato scrivere allo stesso sig. Avvocato perchè procurato egli avesse la spedizione delle Bolle in persona del suddetto can. Perrone, libere et in forma solita, senza l'unione del canonicato, poichè, dovendo il Capitolo contribuire per la spesa, questa fosse andata ben regolata per le sole bolle e non per

3 Durante il Viceregno austriaco (1707-1734) e nel primo periodo della dominazione borbonica di Carlo III, il Comune di

Saponara venne collocato nel Ripartimento di Tursi o Procaccio di Tursi (uno dei 4 Ripartimenti in cui era stata divisa la Basilicata. Cfr. V. Falasca “Grumentum, Saponaria etc.”, op. cit. , pag. 70)

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qualche altra spesa di dispensa, essendo egli monocolo a cagione che un fulmine, essendo egli paggio di S.E. di Bisignano, percotendo ad una finestra dove egli era vicino, una scheggia di quella li cavò un occhio e lo buttò via con aver ammazzato due altre persone, pure nostre paesane: cioè il dr. D. Paolo Zottarelli, figlio del dr. Tarquinio e fratello del suddetto can. dr. D. Giuseppe, ed il rev. D. Gerolamo Ianneo, che stavano servendo la suddetta Ecc. in Napoli, benchè detto Can. Perrone fu dispensato nel prendere gli ordini sacri e si dubitava non li fosse bisognata altra dispensa o altro che li fosse occorso. Ma perchè i sigg. Deputati avevano avuto notizia che il suddetto sig. Francesco erasi di bel nuovo condotto da Mons. senza sapersi il perchè, dubitando di unione col medesimo, sperando protezione e difesa da S.E. Padrone, non vollero che quel progetto si fosse inserito nella lettera, ma che, se eglino volevano l'Arcipretura, avessero fatto accodire in Roma e speso di proprio in tutto e per tutto quello che abbisognava; poichè, dovendo il capitolo far la spesa per la lite, non potea pur soccumbere per le Bolle, siccome avea promesso.

Ed avendo io conferito alli suddetti sigg. Perrone quella novità posta in campo, nel mentre in mia casa stavo col suddetto D. Carlo Toscano, Notaro Apostolico, notando la procura ed altre scritture che doveansi mandare in Roma, la stessa mattina delli 18 (Maggio 1732), venne a trovarmi il suddetto sig. Francesco per giustificarsi della diceria uscita in campo, asserendo che egli giammai si era partito dal paese e che neanche eragli passato per idea di unirsi col Vescovo e promuovere li pregiudizi del Capitolo, apportando le prove che apportò ai Rev. Capitolari in Sagrestia, che restarono persuasi, ma non vollero che si fosse scritto come sopra, e per molti aspetti e persuasive che avvennero, appena si permise che nel margine della lettera si fossero aggiunte le seguenti parole OMISSIS

Per la certezza e stato del Collegio si mandò in Roma un atto pubblico stipulato per mano del detto Notaro D. Toscano, di sei persone più vecchie del paese, quali furono il rev. D. Ant. Can. Santelmo d'anni 78, rev. Can. D. Benedetto Masulllo, d'anni 71, dr. D. Fr. Ant: Zottarelli, d'anni 89, D. Carlo Danio, d'anni 72, Giovanni Nigro, alias Perticone, d'anni 88, Maestro Giulio Tornese, d'anni 70, Giov. Ant. Biancullo, d'anni 71, i quali attestarono intorno al numero prefisso e quanto sopra si è detto. Per farsi affrancare le lettere per Roma se ne diè l'incombenza al sig. Fr. Maria Corsaro, figlio del dr. Nicolò, studente di legge in Napoli.

Mons. Nunzio replicò aver ricevuto la relazione mandatali e che quella stessa aveva mandata in Dataria, ove si fusse accudito. Il sig. Principe non rispose subito alla lettera mandatali, ma bensì essendo ivi, cioè in Napoli andato Gius. Argenzio, staffiere, suo confidente, il quale essendo stato ben instrutto delle materie che correvano, in un discorso confidenziale avuto con S.E., le appalesò con più energia le buone ragioni del Capitolo, ed il sig. Principe rispose: " Il Capitolo ha ragione, ed io ho buon avvocato in Roma. Se si vogliono servire del mio, me lo avvisino, che tanto il farò". Rescrisse nondimeno al ritorno del sudd. Argenzio, ma di un altro tenore; forse per secondare il Vescovo e far piegare il Capitolo al genio di quello e al volere degli Perrone. Il detto Argenzio poi meravigliossi a legger quella lettera della mutazione avvenuta e fu la lettera come siegue:

"Molto Reverendi del Capitolo della Saponara = Se per la elezione del Pontefice avesse a prendersi tanta dilazione quanta sev ne prende per cotesta Arcipretura avrebbe il mondo cristiano a dolersi di stare a lungo tempo senza il suo capo. Si potrebbe dunque una volta terminare quest'affare... Ed eglino sanno pure che nelle liti avute con i Vescovi antecessori, non vi ha molto avanzato il capitolo, volendone Roma sempre più per i vescovi ... etc.

Napoli, 19 maggio 1732".

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Giunta questa lettera, si vide più sommesso il sig. Francesco, il quale avendo egli pure scritta una lettera a S.E., stava col supposto d'aver d'altro tenore la replica da quella che s'ebbe cioè consimile a quella del Capitolo. Ma bensì lo rimbrottò aver egli colpato in accender tanto fuoco con la sua pretenzione precipitosa e vesana di volere il fratello Arciprete che avesse percepito li frutti o legittime o illegittimamente.

6. Lettera del Vescovo al Perrone che gli assicura l’invio delle Bolle da Roma conformi al desiderio del Capitolo.

Ma ecco che , quando stavasi spensierati aspettando la risposta del sig. Avvocato da Roma, giunse in Saponara un corriere espresso di Mons. con una lettera diretta al can. Perrone; di cui questo era il tenore:

"Molto Rev. Sig. come fratello, ecco finalmente sono terminati i disturbi tra V.S. e codesto Rev. Capitolo, insorti per causa dell'Arcipretura, ob devolutionem etc., mentre la Bolla si spedirà libera e si straccerà la supplica ad evolutionem etc., come V.S. più particolarmente dell'annessa del sig. Colmeta, pervenutami questa sera per la posta. Che è quanto mi occorre partecipare a V.S. alla quale dò la mia pastorale benedizione e mi confirmo sempre. Marsico, 10 giugno 1732".

Il Capitolo però, acciò non fosse rimasto ingannato, e vie più chiarito della importanza delle già dette parole ("per novam concessionem"), se ne diè notizia al sig. Avvocato in Roma, rimettemdogli la copia della lettera del sig. Colmeta, e ciò fu ai 15 di giugno; e prima di detto dì, cioè alli 8, perchè non si potè avere dalla Nunziatura la copia della relazione concernente la rendita, si fè un atto pubblico da quelle medesime pesone che deposero circa la rendita avanti il Cancelliere di Mons., rettificando la stessa deposizione e che per la stessa rendita si pagava la decima papale in carlini 32 e grana 2, e si mandò in Roma per non perdere tempo in mandare i documenti necessari per la causa.

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CAP. IL

CONTINOVA LA NARRAZIONE DI QUELLO CHE SI OPRO' PER LA PROVVISTA DELL'ARCIPRETURA DALLA S. SEDE, CON ALTRE COSE NOTABILI.

1. Risposta dell’Avv. Bevilacqua a Niccolò Ramaglia.

Il Sig. Avv. Bevilacqua, conforme ebbe ricevuto la mia relazione con le scritture subito rispose come siegue: "All’Ill.mo Sig. Padr. Col.mo il Dr. Sig. Nicolò Ramaglio = Saponara = (Procaccio di Tursi). Col pregiatissimo foglio di V.S. ill.ma in data del 18 Maggio (1732), ricevuto in questa settimana ho ricevuto

insieme gli annessi documenti per il consaputo affare di codesta Arcipretura, circa la quale restando pienamente inteso di quanto si desidera da codesto Rev. mo Capitolo, non ho lasciato subito di fare le dovute pratiche, e prevenire in modo che possa conseguire l'intento nella maniera che presentemente si richiede. Intanto ho primieramente fatto fare il nihil transeat, perchè resti impedita la spedizione delle Bolle, e non passata la grazia se non discusso quanto si deve dedurre per parte di questo medesimo Rev. mo Capitolo, contro la grazia segnata, e farò a tal fine comparire il Procuratore della Dataria che ha l'incumbenza di difendere li diritti della medesima e a tal fine pure in nome dello stesso Procuratore ho fatto fare il nihil transeat e l'ho pienamente informato di quanto circa l'affare occorre.

Resta ora da informare il sig. Card. Datario, che sinora non si è potuto, ed a formarne una supplica al medesimo, con l'esposto di tutto, affinchè la grazia non si ottenga altrimenti se non come reservata alla S. Sede, ed insieme col Canonicato non possa ritenersi l'Arcipretura, ma si ottenga secondo l'hanno ottenuta i predecessori prima dell'ultimo defunto Arciprete la provvista di cui fu veramente un pasticcio del Vescovo, che avrebbe potuto passare guai quanto si è accennato, tanto più che era vacata allora in manus ill.mi, e il Card. Prodatario avea già dato gli ordini per il concorso, dato che anche per questo motivo come nuova diseretà (assenza) non poteva in niun conto provvedersi dal Vescovo, il quale in quest'altra vacanza cerca con nuovo ritrovato far autorizzare dalla Dataria le sue precezioni.

Presentemente però ho fatto segnare nuova grazia a favore del sig. can. Perrone, secondo apparisce dalla vacchetta; ma l'esposto non si è potuto ancora osservare e solamente ho traspirato che detta nuova grazia siasi ottenuta con l'esposto, che asseriscesi da alcuni che l'Arcipretura passi il valore di 10 fiorini, se gli facesse la grazia anche a maggior cautela, come si riservava. E del Canonicato non ho potuto avere notizia se si fosse domandato, come dalla supplica antecedente, da poterlo cioè insieme ritenere con l'Arcipretura. Tutto questo però dovrà discutersi stante il suddetto nihil transeat e ritrovandosi non conforme al nostro intento, c'impedirà la spedizione, e penseranno gli Officiali stessi della Dataria di far in modo che restino preservati tali diritti della S. Sede.

Ad ogni buon fine però V.S. ill.ma favorisca provvedermi di qualche documento che le rendite dell'Arcipretura passino i 10 fiorini di Camera ed in risposta mandarmelo; giacchè dell'avvisata relazione non si è potuta avere copia della Nunziatura di Napoli, come si soggiunse nella sua il Sig. Corsaro. Onde anche per via di attestato di più Canonici potrà mandare documento quando in altra maniera non si possa, e qui frattanto, chi assiste per detto sig. Perrone, o risolverà di fare l'impetra come è riservata, o pure si ridurrà per non poter altrimenti ottenere l'intento; ed a questo proposito non so per qual fine detto Sig. Can. Perone non dineghi

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l'incombenza che si faccia l'impetra secondo desidera il Capitolo, giacchè non avendo ad esso competitore, potrebbe ben farlo con tutta sicurezza del suo intento ed in tal modo toglierebbe il Capitolo dall'impegno; benchè peraltro io spero che senza impegno e litiglio l'affare si sopisca a nostro vantaggio e intento, anche nei termini in cui siamo. Circa ad ogni altro favorisca notificarmi su questo affare anche circa l'Economo, non posso dirle niente per ora, perchè bisogna vedere come sia segnata la detta nuova grazia, per poter fare ogni altra resoluzione, e però di quanto se ne otterrà gli ne anderò sempre avanzando notizie e con la seguente potrò meglio informarla. Non lascio poi d'accusarle di aver ricevuto la remessa di ducati 10 di codesta moneta, trattami da mio fratello da Napoli, altro suo servitore, dei quali mi servirò per le spese da farsi e cominciate già a fare.

E mentre godo anch'io dell'occasione di avere acquistato la di lei padronanza, non lascio insieme di ringraziarla

delle obbliganti espressioni e dell'onore conferitomi da lei con i suoi venerati comandi e di codesto rev.mo Capitolo. A cui insieme protesto tutta la mia dovuta osservanza e con ciò attendendo nuovi motivi di potergliene

l'obbligazione che gliene conservo, resto. Roma, 7 giugno 1732. Obblig. mo Giov. Pietro Bevilacqua".

Le notizie avute con questa lettera fero respirare alquanto non meno i Rev. Capitolari che tutti coloro erano onorati ed appassionati del tesoro della patria; onde stimossi darne parte al sig. Principe in Napoli, rimettendogli la copia della trascritta lettera, per farlo avveduto degli inganni coi quali aveva proceduto il Vescovo.

2. Scambio di lettere tra il Canonico Perrone e il Vescovo di Marsico.

Frattanto il Sig. Can. Perrone dovette altra volta scrivere al detto Vescovo e darli maggior contezza della maniera che si era intesa dal capitolo la lettera del sig. Calmeta: cioè che quando le Bolle venivavno spedite secondo l'antico solito e senza l'unione del canonicato, altra grazia desiderar non si possa, anzi che del Canonicato nemmeno se ne fosse fatta parola ed in occasione che andò in Marsico il Can. Tornese, consegnò a lui la lettera, di cui non potei avere copia. E Mons. riscrisse al Perrone che avesse se voleva accettare e mandare i danari, altrimenti l'Arciprete era fatto, e che perciò se ne scusava con S.E. il Sig. Principe, col quale per strada dallo stesso Perrone nella stessa lettera ne aveva avuta premurosa richiesta per la spedizione delle Bolle da Roma, senza che si nominasse devoluzione; e da questa lettera che Mons. scrisse a detto Rev. Can. Perone, si avvide che statizzava, mentre la firma non era sua, ma del segretario, in questa guisa OMISSIS da pag. 523 a p. 526

Il sig. can. Perrone, per scusarsi con Mons. e tenerlo a bada e ben affetto fintantoche si riceveva altra notizia da Roma, li scrisse nella forma che siegue OMISSIS da pag. 526 a p.527

A questa lettera Mons. non rispose. Frattanto il martedì 22 giugno 1732, in cui il procaccio con le lettere pernottava in Saponara, pervenne a noi la seconda lettera del sig. avvocato da Roma, che stavasi non senza ansietà aspettando, e fu come siegue:

Dopo avute le soprascritte notizie, il Sig. Can. Perrone, considerando che non poteasi ottenere l‟intento senza che si facesse altra supplica in suo nome per mezzo d‟altra persona, si risolvè di far pregare lo stesso avv. Bevilacqua dal dr. Sig. Angelo Tortorella, di Moliterno, di lui stretto conoscente, acciò si fosse formata la supplica secondo del desiderio capitolare e della giustizia e pregò il suddetto D. Carlo Danio acciò l‟avesse fatta raccomandare dal Capitolo: locchè essendo giusto, li fu raccordato.

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CAP. L

MONS. ANZANI PASSA DA QUESTA VITA. IL CANONICO PERRONE OTTIENE L‟ARCIPRETURA SECONDO L‟ANTICO SOLITO E NE PRENDE IL POSSESSO.

1. Morte del Vescovo Anzani il 29 Luglio del 1732.

Il Vescovo Anzani, che stava osservando tutto questo andamento del Capitolo e pensando altresì che potea passar travagli presso la S. Sede se si andava squittinando1 la provvista fatta in persona dall‟Arc. Del Monaco, siccome venivagli avvisato da Roma, cadde in una grave infermità, nella quale facendoseli un cumulo di velenosa bile, li accagionò un‟incurabile indisposizione di stomaco, per mezzo di cui il glorioso S. Antonino patrono della Chiesa gli fè digerir ben tosto con contrappesati bocconi di veleno gli saporiti dolci assaggiati nel principio del governo, e nel di lui corso durante quello del riferito Sig. D. Carlo Danio, la nostra Chiesa e Capitolo furono sempre stimati e ben trattati, anziché giammai usar la di lui stretta giurisdizione, come in altre terre; poi avendo già preso piede in tempo del defunto Del Monaco, suo favorito, morto costui, tornò, per così dire, sotto la sferza dello stesso sig. D. Carlo, il quale in questa occasione, facendo tenere il piè sodo al Capitolo, fè in cotal maniera accorare il Vescovo; che non potendo con lo stomaco sfibrato dello spirito fermentato digerire quel rabbioso veleno che concepito avea del nostro Capitolo, fu costretto a togliersi da questo impaccio e altresì per esimersi da qualche mortificazione della S. Sede, a dì 29 del mese susseguito di luglio 1732 rinunziò in mano del SS.mo quella Prelatura che per mano del suo Vicario ottenuta, avido d‟interesse esercitata avea, asserendosi dalli Marsicani tutti per sollevar la sua casa, ed esser morto crepato di dolore per causa del capitolo di Saponara.

2. In Agosto arrivano le Bolle da Roma, insieme al regio exequatur, e nel succesivo mese di Ottobre Antonio Perrone diventa Arciprete.

Durante dunque l‟indisposizione del Vescovo, il Sig. Can. Perrone volle esser raccomandato al sig. Avv. Bevilaqua, per sollecitarsi la spedizione delle Bolle, siccome poi seguì, nella lettera che si scrisse come siegue: (OMISSIS la lettera di N.R. del 6 luglio 1732, da p. 537 a p. 539).

Il Sig. Avv. Bevilacqua, intesi gli pensieri del Capitolo e del Can. Perrone, mosse due dubbi circa la spedizione della Bolla.

Il primo che nella supplica tacer si dovea esser egli Canonico, poiché esprimendosi tale, la grazia sarebbe seguita cum decreto vacationis canonicatus, il quale sarebbe rimasto affetto alla S. Sede. E per contrario, non essendo il canonicato collativo, non avrebbe indotto verun pregiudizio. Il secondo, che si doveva tacere che l‟Arcipretura era curata, e ciò per evitare il concorso , quale la Dataria avrebbe ordinato tenersi dal Vescovo, ed in questo caso si sarebbe andati di bel nuovo di sotto al medesimo, ed essendo il Can. Perrone del corpo Capitolare, non poteva esimersi da quel peso comune a tutto il Capitolo. Questi motivi parvero da non sprezzarsi: il primo a pro del Capitolo, il secondo a pro del Perrone. Laonde si pensò al rimedio: che però si prese temperamento di far rinuncia al Canonicato

1 Indagando

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prima di prendere possesso dell‟Arcipretura dallo stesso Perrone; il quale in secondo luogo avesse fatta protesta ed obbligo della cura delle anime, che dovea addossarsi, siccome la esercitarono i predecessori: qual rinunzia e protesta così accordata, si scrisse a Roma per la spedizione delle Bolle. E perché il Vescovo era già passato da questa vita, non vi era chi avesse contrastato. E con effetto tra poche settimane ebbesi notizia delle Bolle già spedite le quali pervenute a Napoli, le trattennero molti giorni per ottenere il regio exequatur per i requisiti. Ma

pervenute alla purfine in Saponara, si osservò che la S. Sede avea delegata la recessione della professione della fede al Vicario generale di Capaccio, ed il possesso a costui e al canonico più anziano di Marsico2.

Laonde convenne al can. Perrone andare in Sassano, ove quello si rattrovara, e dal detto Canonico più anziano per il possesso si fè commettere al sig. D. Carlo Danio nelle cui mani doveasi prestare il giuramento di fedeltà, siccome trascriverò. La rinuncia poi del Canonicato e protesta enunciante si fè stipulare dal rev. Sig. D. Carlo Toscano, Notaro Apostolico, poi Canonico, nella forma che siegue: (Die 21 septembris 1732 =OMISSIS, p. 541 – 543).

Stipulato quest‟atto che molto tempo prima erasi preparato ed adempitisi li requisiti enunciati nelle Bolle, giunse il determinato giorno in cui doveasi prendere il possesso, che fu ai 9 Ottobre 17323. Quello seguì con universale contento ed applauso, stipulandosene atto pubblico per mano del suddetto Rev. D. Carlo Toscano.

La formula del giuramento che si enuncia nelle Bolle, che pure in pergamena fu trasmesso alla Dataria è la seguente, poiché essendo le Bolle della stessa maniera come le altre due di sopra trascritte, solo noterò la data ed altri particolari (OMISSIS, p. 543 – 545).

Le Bolle furono spedite ai 18 agosto 17324, semplici, senza dirsi esser che la nostra Chiesa fosse stata Parrocchiale, cioè che l‟Arciprete avesse avuto cura delle anime5.

2 La Bolla di Clemente XII porta la data del 13 Agosto 1732 ed in essa si dà mandato a Giuseppe Caballini, Referendario e

Canonico Decano della Diocesi di Marsico, e al Vicario del Vescovo di Capaccio di immettere Antonio Perrone nel corporale possesso dell‟Arcipretura, previa acquisizione del giuramento, da parte del Perrone, secondo la formula contenuta nella Bolla. Cfr. V. Verrastro, op. cit., Pergamena N° 66, pag. 264, Rogatario N. Peseus. 3 Il giuramento del Perrone è contenuto nella Pergamena N° 67 che riporta solo l‟indicazione dell‟anno (Cfr. V. Verrastro, op.

cit., pag. 265). Presumiamo che il giorno sia quello indicato da Ramaglia: 9 Ottobre 1732. C‟è però una contraddizione: il Ramaglia indica come Rogatario il Notaio Carlo Toscano mentre la pergamena riporta il nome di N. Peseus. 4 Presumiamo che questa sia la data dell‟arrivo delle Bolle in Saponara, perchè la data della firma (vedi nota n° 2) è quella del

13 Agosto. 5 L‟Arciprete Antonio Perrone muore nel 1735 e gli succede Giuseppe del Monaco che viene immesso nella carica da

Ferdinando de Signeribus, Referendario e Canonico Decano della Diocesi di Marsico, secondo il mandato di Clemente XII contenuto nella Pergamena N° 68 del 17 Agosto 1735 (ultima delle pergamene conservatesi presso l‟Archivio della Chiesa di S. Antonino di Saponara). Cfr. V. Verrastro, pag. 265.

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CAP. LI

EPILOGO DI QUANTO NELLA PRESENTE OPERA SI CONTIENE, CON ALTRE COSE NOTABILI.

1. I principali motivi per cui la Chiesa di S. Antonino, martire, è da ritenersi Collegiata Insigne.

Resta ora in epilogo di quanto sinora si è detto e rapportato, di dare al lettore un compendioso ragguaglio dello stato della nostra Chiesa, acciò negli casi occorrenti se ne possa avere più spedita la notizia.

Oggi dunque la nostra chiesa, siccome da molti anni ancora, è trattata col carattere di Collegiata Insigne, col numero dodenario1 di canonici, li quali succedono e vengono creati dallo stesso Collegio e Capitolo per anzianità senza che possa ritenersi il Canonicato insieme con l‟Arcipretura, ripugnando alla natura dello stesso Collegio, siccome si è detto.

La cura delle anime in sostanza risiede presso l‟Arcipretura ; in quanto poi all‟esercizio, risiede presso al Capitolo tutto: il quale per mezzo de‟ suoi Rev. Canonici e Preti, al numero di venti, presta le sue mani adiutrici nell‟amministrazione dei sacramenti ed assistenza dei moribondi per domanda e per turnum insieme con l‟Arciprete,

siccome si è detto2. L‟Arcipretura, come prima dignità in Collegiata, è riservata alla S.Sede la di lei collazione, sì perché i frutti

trapassano i 10 fiorini, o siano scudi di camera. In prova che la sia Collegiata, quantunque abbastanza siansi addotte le decisioni rotali, nondimeno, perché Pirro

Corrado dice altre notizie moderne, mi è parso qui per istruzione dei principianti e cognizione dei termini, quelle rapportarle.

E primieramente quando il titolo di Collegiata non costasse dalla sua elezione, si pruova e arguisce questa qualità quando vi è il Rettore e sotto di quello vi sono i Canonici ed i Chierici come membri, siccome disse la Rota OMISSIS

Ed abbenchè il solo Capitolo non aguisca collegialità, nondimeno s‟induce la vera collegialità e può dirsi Collegiata quella chiesa che consta dei necessari requisiti, cioè Capitolo, stallo, mensa, cassa, borza, sigillo e coro comuni, e di tutti gli altri e singoli segni collegiali ed insegne di altre Chiese Collegiate Insigni. Se però la Chiesa comunemente sarà tenuta, reputata e stimata Collegiata, pruova che ella sia tale o almanco la costituisce nel possesso di tali prerogative, uscita l‟assertiva dell‟Ordinario nelle visite ed altre scritture, al quale come informato della qualità dei benefici della sua Diocesi, devesi abbastanza credere a tanto più se nel catasto del Vescovo stesse descritta per Collegiata (siccome è la chiesa di S. Angelo Fasanella, ove si chiama Capitolo l‟unione dei preti).

Non però è di bisogna che tutti i predetti segni copulativamente concorrano; ma basterà se alcuni ve ne siano… Nel concorso dei testimoni che deporranno pro et contra la collegialità devesi piuttosto credere e stare a quelli che deporranno pro collegialitate .

Che poi tutti i requisiti di sopra enunciati rattrovansi nella nostra Collegiata, è più che certissimo e per tale tenuta

1 Di dodici.

2 Nel 1788 le Regole e gli Statuti che governavano la Chiesa Collegiata vennero codificate dall‟Arciprete Andrea Giliberti, come

si riferisce nella nota n° 4 del Cap. XVI.

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e stimata da Vescovi di Marsico dopo la contesa delle liti, come mons. Leopardi e mons. Lucchetti di cui una sola lettera si è trascritta, per non far volume di altre scritture; di mons Anzani bastano le bolle spedite in persona del dr. D. Domenico Del Monaco, trascritte a suo luogo. Di Mons. Alessandro Ruoti, succeduto ad Anzani nello stesso 1732, che passò da questa vita nell‟8 agosto 1744 nella sua patria di Arienzo, dopo di essere stato da circa un anno e mesi 10 gravemente offeso da una goccia, ossia apoplesia accagionatali in Marsico, per brevità non si trascrivono.

Le qualità poi che la rendono insigne furono acclarate, nonché accertate dallo stesso Mons. Lucchetti, come si scrisse a suo luogo.

Che l‟arcipretura sia curata, l‟esercizio però di quella sia presso tutto il Collegio, il quale praebet manus adiutrices nell‟amministrazione dei Sacramenti, si è più volte ciò asserito. Non potendosi dire che la cura in sostanza sia presso il Collegio in esclusione dell‟Arciprete, privative o cumulative OMISSIS

E di tal fatta è la nostra collegiata, la cura della quale in proprietate è in potere dell‟Arciprete, capo e rettore del Collegio, poiché l‟esercizio si amministra da tutti gli partecipanti dello stesso Collegio, anche soprannumerari che aspettano la vacanza. Laonde, essendo l‟Arciprete capo, egli è il primo che esercita la cura predetta per turnum nella sua domanda. Cessa il concorso quando la cura delle anime spetta alla chiesa collegiata… Questo però due volte non fu eserccitato dalla S. Sede: 1° in tempo di Giov. Franc. Danio, 2° in tempo della rinuncia del sig. D. Carlo Danio; nel qual caso dalla Dataria si ordinò il concorso, non ostante che nella rinuncia si asserì che la Chiesa era Collegiata Insigne.

Che nella nostra Collegiata non possa ritenersi il Canonicato insieme con l‟Arcipretura è chiaro, poiché non essendo i Canonici provvisti per concorso, ma entrandosi per anzianità, un sacerdote, dopo che avrà cantata la prima messa e ricevuto nel ceto canonicale, si chiama ed è Canonico in potenza, perché, se non muore prima della vacanza, per necessità dev‟essere canonico. Altramente ne resulterebbe che non sariano dodeci canonici né ventuno partecipanti, siccome si è detto.

Ma quando i Canonici si provvedono con bolle e non per anzianità, se ottenere volesse un Canonico altro benefizio o prebenda apostolica a riserba se in quella chiesa vi fosse statuto o consuetudine di ritenere due benefizi, di esercitare due officii, poiché in tal caso non si ricerca la dispensa, siccome la S. Congregaz. Dichiarò etc. La principale causa della preservazione della dignità principale nelle Chiese Collegiate è l‟eccesso nei frutti o sia rendita di 10 fiorini, o siano scudi id Camera. Se dunque la rendita di tal dignità trapassa il valore di 10 scudi, vengono comprese nella reservazione della regola già addotta, l‟Ordinario non può mettervi mano, altro che vi fosse consuetudine o altra affezione alla S. Sede. Resta ora a sapersi quanto importano i già detti 10 fiorini di moneta di nostro regno, onde il fiorino abbia l‟origine, e il vero scudo di camera in questa materia quanto lo porti. In quanto alla denominazione, giova sapere che dicesi fiorino perché tal moneta ebbe il suo principio dai Fiorini, onde dicesi fiorino dalla città di Firenze, o pure dal fiore del giglio che ha una parte di esso veggeasi impresso, poiché dall‟altra stava scolpita l‟immagine di S. Giov. Battista. Questo fiorino è lo stesso che il ducato d‟oro di camera… Ora il ducato di Camera vien costituito di uno scudo d‟oro in otto stampe e di un giulio d‟argento, qual giulio così cominciò ad appellarsi da Giulio iI Sommo Pontefice, e costa di 10 baiocchi. Lo scudo però d‟oro nelle predette stampe sino al tempo di Paolo V valse 13 giulii e

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forse meno, e di là poi cominciò ad alternarsi fino a 15 , né può dirsi tal prezzo così certo che siccome salì non possa scendere, di modo che secondo la varietà dei tempi varia anche la moneta.

Queste dignità così riservate, vacando la S. Sede, non possono così provvedersi dall‟ordinario, secondo lo afferma etc. etc. OMISSIS

Che poi la rendita dell‟Arcipretura della nostra Collegiata trapassi i 10 fiorini, si acclara dall‟informo presosi in tempo d‟Anzani.

Si disse peranche essere stata nulla quella provvista del mons. Anzani in persona del Rev. Del Monaco, per la ragione della ragione fatta in manus SS.mi del dr. D. Carlo Danio, e con ragione, poiché egli è stato provvisto dalla S. Sede dell‟Arcipretura, ed avendola rinunciata alla S. Sede, non poteva in niun conto l‟Ordinario metter mano alla provvista, anche se prima non fosse stata riservata al detto.

Anzi nel caso nostro il Vescovo aveva pubblicato l‟editto per il concorso ordinatoli dalla Dataria, siccome si disse a suo luogo.

Posto da una parte che ostava la immemorabile consuetudine e prescrizione di averla sempre provvista la S. Sede sin da quel tempo che uscirono le riserve nelle regole della Cancelleria.

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CAP. LII

SI DESCRIVE IL SITO E FIGURA DELLA CHIESA COLLEGIATA SAPONARIENSE.

1. La Chiesa Matrice, la parte esterna.

Conviene alla pur fine rapportare sotto l‟intelligenza di chi la nostra S. Chiesa Collegiata Saponariense giammai ha veduto, qualora questi scritti si avessero a pubblicare, la di lei forma e figura. Laonde laconicamente ne fo qui la descrizione. Fu dunque ella costrutta nella parte più sublime del colle ove la Saponara fu edif icata, verso Settendrione o sia Borea, circondata da altri edifici a sé inferiori. Non ha magnifico frontespizio o almanco apparenza di chiesa, alla sua prima vista dalla strada mùaestra per dove a quella si conduce, ma di semplice muraglia antica scrostata, e solo nella di lei sommità osservasi un occhio grande di finissimo marmo ben connesso, con colonnette in mezzo che la fanno appalesar chiesa1.

Fondazioni della facciata dell‟antica Chiesa Matrice

Fondazioni della facciata dell‟antica Chiesa Madre

1 L‟asse principale dell‟antica Chiesa Madre era spostato, rispetto a quello attuale, di circa 25-30° verso Occidente e il portone

guardava verso il cimitero, come è dimostrato dalla foto n° 70 che mostra le fondazioni della facciata principale da noi fotografate durante i lavori di costruzione del locale-caldaia.

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Voltandosi però a mano destra pochi passi riguardasi una lungo scalinata di durissimi marmi al numero di gradi 18, larga palmi2 …, con gli due angoli laterali due lapidi grandi3, reliquie della città di Grumento, fatte ivi trasferite

a grande spese dal riferito Sig. D. Carlo Danio, eruditissimo e più che amante delle antichità. E quantunque vi siano le solite iscrizioni, nondimeno per l‟ingiuria del tempo, non possono interpretarsi. Nella fine della scalinata evvi un atrio o sia largo scoperto, il di cui suolo è lastricato di pietre quadre in forma reticolare, nella qual forma osservasi costrutto il frontespizio della chiesa ov‟è l‟atrio, con grande artificio lungo palmi…, largo palmi…, difeso dalla parte di levante da un ben alto muro, ov‟è una piccola porta dalla quale si scende per un‟altra scalinata più stretta, di numero gradini…

A man sinistra dell‟atrio evvi la porta grande della chiesa di buoni marmi, sopra la quale sono tre teste di marmo, cioè alla destra quando uno si entra, come se fusse in cornu Epistolae, vi è una rappresentante quella di S. Paolo; a man sinistra quella di S. Pietro, evvi un‟altra porta più piccola su della quale sono quei marmi ed iscrizioni rapportate a pag.

2. L’interno della Chiesa. Entrati nella chiesa per la porta grande a mano destra vedesi il fonte

dell‟acqua benedetta, di finissimo marmo bianco, ed a mano sinistra in lungo spazio ed a paragone della scala grande seu suo principio, onde incomincia il muro della chiesa, osservasi il sacro fonte battesimale, e dalla parte di sopra di detta fonte un magnifico organo. E‟ costrutta in tre sezioni, cioè nave di mezzo e due arcate seu sfondi di volte di lamie.

La nave è lunga palmi … in mezzo della quale è un grado di marmo per fare acconcio il pavimento, e larga palmi … dopo di qual lunghezza sieguono due altri gradi ed indi si entra nel coro, il quale è della stessa larghezza della nave, dalla quale vien diviso da una decente balaustrata di marmo, è lunga palmi …

Vien adornato il coro per numero 16 stalli grandi, cioè 8 in cornu Evangelii, che servono uno per l‟Arciprete nel quale è scolpito per geroglifico un gatto che dorme con accanto un libro, un compasso e una candela accesa, col motto “Non omnibus dormio”; sei altri per altrettanti canonici, l‟ultimo per

l‟avvocato del Collegio; ed 8 in cornu Epistolae, il primo dei quali per diametro per l‟Arciprete e dell‟Ebdomadario, siccome si disse, e gli altri per i Canonici.

Appiedi degli stalli grandi vi sono altri stalli piccoli, al numero di 14 per i preti mansionari. In cornu Evangelii è situato il trono pontificale, ove stanno assisi gli Arcipreti ordinari mitrati, sollevati dal pavimento con tre gradini di legname, ed in

2 Il Ramaglia non riporta le misure.

3 Ne è rimasta una alla base del muro a destra sotto la Chiesa Madre: cippo funerario dedicato a un tale Ferullo, secondo il

Momsen che la catalogò al n° 254 del suo CIL (Corpus Iscriptionum Latinarum, Vol. X, parte 1a, pag. 31) e la decifrò nel modo

seguente: D. M. S / FERULLO FABUIC

/ QUI VIXIT ANNIS / XXXVI MENS XI / FECIT PROTE CO / IUGI B. M. CUM QUO / VIXIT ANNIS VIII / MENSIS VIII

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cornu Epistolae per diametro4 al suddetto trono è situato il pulpito per i predicatori. Tutto il legname è di noce, e di noce intagliato a maraviglia con vari disegni di animali e geroglifici di fiori, che, secondo viene stimato da buoni artefici, quest‟opera costò poco meno di duemila ducati.

Nel mezzo del coro seu suo finimento, è l‟altare che appellasi maggiore, con una bellissima cona di legname intagliato, indorata e dipinta nei luoghi convenevoli, nella quale sono cinque nicchie e uno stipo, dei quali nicchi in cornu Evangelii abbasso la statua di S. Pietro e sopra quella di S. Antonino; in cornu Epistolae per la statua di S. Paolo e di sopra quella di S. Stefano protomartire. In mezzo sta situata quella di S. Michele Arcangelo, sotto del quale vi è uno stipo ossia armadio, ove si conserva il corpo di S. Giovenzio, con latre altissime reliquie dei Santi, dei quali si rapporterà il catalogo a suo tempo e luogo.

Riceve il lume il suddetto coro da quattro finestre, tra le quali v‟è un occhio grandissimo di marmi intagliati e commessi con colonnette, nel quale da tempo antichissimo dalla parte di dentro fu posta una rame perforata con grande artificio con una finestrina in mezzo, la quale con funicellla si serrava ed apriva per dar più comodo lume. Qual rame dal Sig. Arc. Del Monaco fu venduta, siccome si disse, e vi fu costrutta una vitreata, e sta situata verso levante. Nel tetto non v‟è tempiato, ma con tal maestria sono commessi i legnami e tavole ben corniciate sotto gli embrici, che non penetra menomo segno di luce, con tutto che abbia una smisurata altezza più della chiesa.

Siegue in cornu Evangelii la parte della Sagristia, nella quale sta intagliata la ruota della fortuna, con tre leoni con lo scettro nelle branche, con tre motti, cioè sopra Io regno; a man destra precipitando Io regnava; a man sinistra salendo Io regnerò. E‟ lunga la sagrestia palmi …, larga palma … ma viene angustiata dal bancone ove stanno

riposti i sacri utensili e si vestono i sacerdoti per le sacre funzioni, e dai cascitelli5 dei Rev. Capitolari. A man destra dietro la porta è l‟armajo grande con due chiavi, cioè l‟archivio per tutte le scritture del Collegio. Su

del bancone sta situato un quadro di pittura in tela rappresentante Gesù flagellato alla colonna. E‟ la volta in lamia, ben ornata di pitture e vitreate. Nell‟altra banda a man sinistra evvi un‟altra per dove si entra in un‟altra stanza, ove stanno riposte molte casse e stipi, per la conservazione delle suppellettili, dove prima vi era, siccome ora vi è, un‟altra porta piccola, per la quale si dà l‟adito fuor della chiesa.

Indi salendo due gradi si entra un‟altra porta, dalla quale a man sinistra evvi gradinata di 16 gradi, per giungere al piano del campanile6, la cui base quadrangolata è ben costrutta in forma reticolare, siccome l‟atrio della chiesa, ed a man destra per un‟altra porta si entra nel cimiterio7. Dal piano del campanile sin dove risiedono le campane son palmi … Nel mezzo sta situata una campana molto grande, che per suonarla vi vogliono quattro uomini, costrutta nel 1609 dall‟Arc. Cioffi, siccome si disse a suo luogo. Un‟altra campana mezzana sta situata in un finestrone verso ponente e due campanelle verso levante, che nel suonarsi fanno un accordo armonioso.

4 Di fronte.

5 Piccole casse.

6 Il campanile era a sinistra rispetto all‟asse principale della chiesa, mentre oggi è sul lato destro.

7 Come è noto prima dell‟editto di Sait-Cloud emanato da Giuseppe Napoleone, i morti si seppellivano attorno alle chiese ed i

religiosi direttamente in chiesa.

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Da quel luogo sino alla cima sono palmi …, soggetta sempre all‟influenza dei fiumi, dai quali allo spesso viene devastato e ferito, siccome succede tra le altre volte nel 17378.

Ritornando al piano della chiesa, nell‟angolo del coro, in cornu Epistolae, è una cappelluccia prima sotto l'‟nvocazione del SS. mo Crocifisso, della famiglia Cotino, fondata dall‟Ab. Camillo Cotino nel 1604, ai 2 Aprile, per mano di Mr9. Giuseppe Cibello, poi cambiato in tempo dal sig. D. Carlo Danio con quell‟altare di S. Giannino della famiglia Padula ricaduto al Capitolo.

A man destra della nave della chiesa vi sono tre lamie ben grandi10, costrutte dal sig. D. Giov. Franc. Danio, Arciprete mitrato, col legato del fu D. Fabrizio Sanseverino, Conte della Saponara. In questo braccio vi sono 5 altari, cioè: di S. Filippo Neri11, jus patronato della famiglia Lauria; S. Maria di Monserrato del Capitolo; di S. Maria del Principio della famiglia de‟ Sigg. Giordano; del SS.mo Sagramento, jus patronato della mag.(nifi)ca Università12; e del Monte dei morti, che vien governato da‟ suoi amministratori, per esser confraternita. In quest‟altare viè un quadro di pittura in tela, rappresentante l‟effigie di Maria SS.ma del Carmine, di S. Francesco di Paola e l‟anime purganti, adornato con bellissimi stucchi dorati.

Pittura parietale all‟interno della chiesa madre (a destra dell‟entrata)

8 Da questa data capiamo che il manoscritto del Ramaglia inizia ad essere scritto nel 1736 ma continua sino ad alcuni anni più

avanti. 9 Mastro o Maestro.

10 Nell‟ultima di queste cappelle o lamie c‟erano le pitture parietali i cui frammenti sono venuti alla luce durante i lavori di

consolidamento eseguiti con perizia per il sisma 1980. Vedasi foto nella pagina. 11

Molto probabilmente a questa Cappella appartiene lo spiccato di muro venuto alla luce durante i lavori del terremoto e che si trovava di fronte alla Sacrestia: ovvero a man destra della nave della Chiesa (come si rileva dalle parole del Ramaglia). In seguito colpevolmente da parte degli esecutori dei lavori fatti effettuare dalla Comunità Montana questo porzione di muro ed altri segni significativi sono stati distrutti. Vedasi foto nella pagina successiva. 12

Ossia il Comune.

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A man sinistra, quando si entra la porta grande della chiesa verso il fonte battesimale v‟è un altare detto di S. Maria dell‟arco, dei Sigg. Giliberti, sospeso, senza verun ornamento. Siegue sotto l‟organo l‟altare di S. Mar ia

della Pietà del Capitolo. Nel lato sinistro della chiesa in cornu Evangelii vi è un altro braccio di lamie, tre grandi ed una piccola sotto la base del campanile; ed in questo v‟è l‟altare del S. Angelo custode. Siegue quello della S.ma Immacolata Concezione, jus patronato della famiglia Zottarelli, Ambrosio. Indi in un cappellone, quello del prezioso Sangue di Cristo, adornato di finissimi stucchi ed intagli dorati e con magnifico altare di porfidi lavorati, fatto venire nel 1740 da Napoli. Poi in una cappelluccia, quello di S. Maria di Costantinopoli, fondato dal fu D. Carlo Manziero. Appresso eravi un altro di S. Giov. Battista, della famiglia Ferrara, poi del Capitolo, oggi demolito; e alla pur fine quello del SS.mo Crocifisso, di sopra enunciato, oggi ricaduto alli Sigg. Giliberti, come chiamati dal fondatore.

Il tetto della chiesa è senza tempiato, ma all‟antica, con tavole semplici sotto l‟imbrici. La Chiesa poi è consacrata e se ne celebra la festività sotto li 22 gennaio con rito doppio di prima classe13.

Spiccato di muro dell‟antica Chiesa Madre (antistante l‟attuale Sagrestia) Rovine della Chiesa Madre dopo il sisma del 1857. (Foto Robert Mallet)

13

Della Chiesa Matrice di Saponara, il sismologo irlandese Robert Mallet, che ne fotografò le rovine, rimaste in piedi, subito dopo il terremoto del 1857, (vedasi foto n° 73) dice: “Proprio sulla cima, a destra del Castello Giliberti (leggi Sanseverino) si osserva un edificio massiccio di grande solidità ed antichità innalzarsi oltre i detriti e i solitari frammenti ancora intatti della vecchia chiesa. La muratura dell’edificio, indurita dal tempo, attesta dall’osservazione degli enormi blocchi nei quali gli spigoli furono rimossi, la sua resistenza alla terribile violenza della scossa in questa zona” ( Cfr. “Il grande terremoto del 1857” di R. Mallet, trad. italiana a cura di Guidoboni-Ferrari, Ed. SGA, Bologna 1987, pagg. 253-254)

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CAP. LIII

SI RAPPORTA LA MANIERA CON CUI LA NOSTRA COLLEGIATA CONSERVA LA PREZIOSA <RELIQUIA DELLA TERRA MISTA COL SANGUE DEL DIVIN SALVATORE>1 E LI PORTENTOSI FATTI SUCCEDUTI A PRO DEI FEDELI E IL FURTO SEGUITO.

1. Ruggiero II Sanseverino, nominato Vicerè di Gerusalemme, al suo ritorno dona le reliquia alla Chiesa di Saponara.

Essendosi fatta menzione in più luoghi della presente opera della preziosa reliquia del Sangue di N. S. Gesù Cristo, o sia terra mista col medesimo, non è fuor proposito, anzi obbligo doveroso farne particolare rimembranza e discorso, poiché un tanto tesoro, quantunque da altri, appalesato colle stampe ed i fatti portentosi accaduti, non deve stare ascosto sotto il moggio, ma rinnovarsi alla memoria dei fedeli ed appalesarsi agl‟ignoranti.

Regnando dunque nel nostro Regno Napoletano la chiara memoria di Carlo I d‟Angiò Duca di Provenza, che aveva pure il dominio del Regno della Palestina ed in conseguenza della S. Gerusalemme, tra gli anni del Signore 1265 ed 85 dovendo poi mandar persona che le sue veci sostenuto avesse, ed avendo altresì il mentovato Re ben conosciuto il vero talento e sapere di Ruggiero Conte di Marsico2, della nobilissima prosapia normanna Sanseverino, costui volle che in quel regno da Vicerè condotto si fosse, siccome già seguì. Ma la crisitiana e cattolica pietà di Rogiero, che per altro si è sempre conservata nella di lui famiglia non lasciò addietro, ivi risiedendo, che quei santissimi luoghi ove il nostro Redentore patì visitato non avesse e con la visita non fulli malagevole di sapere ciò che conservavasi di reliquie, non men del comun Salvatore che dei suoi s.Apostoli, fedeli discepoli e servi. Laonde come viceregnante non li fu difficile ottenenre quei religiosi custodi buona parte di quelle, e tra le altre quella della terra mista ed intinta col sangue di N.S. Gesù Cristo, raccolto da quelle sante e devote donne nel monte Calvario, con l‟altre innumere reliquie, che col ritorno di bel nuovo fece in questo Regno con gran letizia e diligenza condusse.

Stima il volgo che questo Ruggiero fosse stato principe di Salerno, ma s‟abbaglia, poiché costui fu semplice Conte di Marsico, 180 anni prima di Roberto, pur conte di Marsico, che da Ferrante I Re di Napoli fu fatto Principe di Salerno, per la ribellione di Felice Ursino, siccome dal Summonte per T. Campanile nella famiglia Sanseverina

1 Pare che esistano nel mondo ben 47 reliquie del Sangue di Cristo: alcune dirette altre indirette (quali ostie che grondano

sangue). In appendice della sua opera “Le reliquie del Sangue di Cristo” lo studioso Volk William le elenca. Tale elenco inizia con la reliquia di Acquapendente in Italia del 1587 “Macchie di sangue sulla reliquia del sepolcro” e termina con quella di Burghwindhelm in Germania del 1465. Il Caputi nella sua opera citata “Tenue contributo, ecc.”, pag. 194 ci dà notizia di uno studioso dell‟epoca, tale Padre Giovanni Maria Sanna Solare, che gli scrisse da Torino il 26 Luglio del 1890 per chiedere notizie di prima mano per la sua opera monumentale sul Preziosissimo Sangue. Con Breve dell‟8 Dicembre 1801 Papa Pio VII proclamò Uffizio e Messa Ritu duplice majore in onore della Reliquia. Tale documento il Caputi, sempre a pag. 194; affermava di averlo in originale. 2 Trattasi di Ruggiero II, figlio di Tommaso I Conte di Marsiconuovo, che dopo aver domato la rivolta ghibellina scoppiata dopo

la discesa in Italia di Corradino di Svevia, ottenne da Carlo I D‟Angiò nel 1278 la carica di Vicerè di Gerusalemme.

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si fa chiaro. Il secondo principe di Salerno, della suddetta famiglia Sanseverino, fu Antonello3. Il 4° fu Ferrante, figlio del medesimo, il quale, essendo rubelle, finì la sua vita in Avignone d‟anni 71 (Summonte, p.4) e fu nel 1568, e con ciò si estinse la linea dei conti di Marsico e principi di Salerno. Giunto in questo regno e poi alla residenza della sua città di Marsico il riferito Ruggiero, considerando che non potea tenere quelle reliquie presso di sé, ma in luogo sacro ed alla pubblica venerazione, pensò in qual paese della sua giurisdizione riponer le dovesse; et adocchiando la nostra Saponara, tra le altre sue città e terre la più diletta. Ell‟è certo che è stata sempre sì fedele ed osservante al suo padrone, che con le eroiche azioni de‟ suoi patrizi a forza si è attirata la di lui spezial benevoglienza. Alla medesima e al Collegio dei preti volle farne dono, siccome seguì nell‟anno 1284, ai 274 sett.; costando tutto ciò dalla donazione in pergamena che conservasi nell‟archivio della Collegiata, dalla quale furono estratte copie che furono presentate nelle liti giurisdizionali, siccome si è detto.

E poi avendo voluto l‟abate Pacichelli dare alle stampe “Il Regno di Napoli in prospettiva”, dominando in quel

tempo nella Saponara l‟Eccell.mo Sig. D. Carlo Snseverino, Conte della Saponara e principe di Bisignano, volle che questa donazione sopra scritta (per il grandissimo affetto ed affezione che alla città di Saponara portava, rinnovando l‟antico palagio de‟ suoi antenati sin dalli fondamenti che si diedero alla Saponara, siccome dall‟antichità delle fabbriche si ravvisa, aggiungendovi nuovi edifizi ed addobbandolo con tanta magnificenza di pitture, di stucchi ed intagli indorati, che è stato la meraviglia di chiunque, non meno regnicolo che forestiero osservato l‟avesse; chè per descriverne solamente le stanze, nonché la qualità e gli addobbi, non basterebbe un libro intiero, trapassando il numero di 360) fosse appalesata alla repubblica letteraria, e non fosse stata ascosa nell‟armajo o sia archivio del Collegio. Ed avendo detto Sig. Principe nelle mani, non trovandosi l‟originale nell‟archivio, si stima essere rimasto in potere di detto Sig. Principe, di modo che, oltre quella data alle stampe, se ne conservano altre copie a mano dei virtuosi e pii patrizi. E parendo che quella dell‟abate Pacichelli sia posta in oblio, e narrando io la storia di sì preziosa reliquia, ho voluto ancor io qui trascriverla da una copia autentica, datami dal detto Sig. D. Carlo Danio, conservatore di tutte le memorie antiche e zelantissimo dell‟onore e gloria patria, e riportarla alla memoriea dei nostri devoti concittadini e forestieri, con tutti gli fatti miracolosi oprati in virtù di sì prezioso tesoro; ed è la seguente

“Omnipotentis Dei, Universi generis Moderatoris gratia, et inclyti Regis praesidio, Marsici Comes, et Dominus Saponariae, etc.

Venerabilibus Viris nobis dilectis, Presbyteris et Clero Collegii Sancti Antonini ejusdem Saponariae salutem in Domino sempiternam,etc.,Cum Gloriosissimi Regis Nostri Caroli, in Civitate Sancta Hyerusalem, toto Palestinae Regno vices fungeremur, loca illa Sancta invisentes, et honore debito venerantes, plura sacra pignora dono accepimus, inter quae unum fuit, illudque pretiosissimo omnium terreno Thesauro praeferendum, ipsoque Mundo toto pretiosus

3 Antonello capeggiò la rivolta fomentata da Papa Innocenzo VIII contro il Re Ferdinando I D‟Aragona. La congiura, passata alla

storia come “Congiura dei Baroni” falli miseramente nell‟Agosto 1487 perché i congiurati furono attirati con un tranello in Castel Nuovo a Napoli e fatti prigionieri. Il Re fece giustiziare successivamente tutti gli aderenti al complotto e pochi scamparono alla morte fra cui Sigismondo Sanseverino, Conte di Saponara. 4 La data esatta è 24 Settembre 1284

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aestimandum, Terra nempe mixta cum Sanguine Domini Nostri Jesu Christi,servata per Sanctas mulieres, illasque Deo devotas, Marias Jacobi et Salome nuncupatas, quae cum Maria Matre Beatissima, juxta ipsius Salvatoris nostri Crucem perstiterunt , cogitantes sacris viris tradere, et in Sacro loco deponere, osservandum, et custodiendum, notum habentes in caetera loca nostrae ditioni subiecta, Saponariam ob ejus fidelitatem, et vere filialem amorem prae aliis cunctis semper caram, atque dilectam Majoribus nostris, et proinde etiam Nobis, maxime cum in eis placuerit Magnifico Venerando Patri nostro Thomasio Sancti Martyris Laverii Ecclesia, et Odorisio, Rogerio,Roberto, et Arnulpho Atavis ipsius in vestra Sancti Antonini Collegiata, tumulari statuimus, Vobis et vestro Collegio tradere, et in eadem vestra Collegiata reponere, una cum parte Ligni Crucis ejusdem Redemptoris, et Domini Nostri, ac parte Rubi, in qua Deus apparuit Moysi, cum Digito S.Stephani Protomartyris, ac Reliquiis Sanctorum Innocentium, et S.Helifaei Profaetae, cum Ossibus Santi Jo: Baptistae, Sancti Joseph ab Arimathia, et Sanctae Ma: Jacobi, et cum Petris de Sepulchro Domini, de Foramine Crucis ejusdem, Lapidationis Sancti Stephani, de Sepulcro Innocentium, atque de Venerabili Columna ubi Christus fuit verberatus.

Custodite dilectissimi fideliter, ac devote tale Depositum, ut in tutelam,et praesidium certum Ecclesiae Vestrae, et Populi commissi: Deum benedictum pro Nobis orate , et in eodem Domino Valete.

Ad futuram memoriam hanc paginam nostra manu subscripsimus, eamque nostro solito sigillo, et cordula pendente jussimus muniri.

Saponariae die 24 Mensis Septembris Anni 12 indiction. millesimo ducentesimo octaugesimo quarto. EGO ROGERIUS DE SANCTO SEVERINO. Ego Lambertus de Oneri scripsi. + Adest Sigillum» Avuto sì prezioso tesoro, i Canonici e i preti di quel tempo lo conservarono con quella venerazione e pietà che

permetteva la calamità dei tempi, nei quali non regnava altro che la dominazione di dominare e togliersi l‟un l‟altro il loro avere, poiché con continue guerre civili altro non si sentivano che ruberie, saccheggiamenti di chiese e monasteri religiosi, siccome accadde a quello delle donne monache sotto il titolo del l‟ordine di S. Basilio, oggi cistercense, che fu ridotto a semplice badia, siccome si è detto a suo luogo.

Laonde non si potè con la dovuta pompa ed ornamento esporla alla pubblica venerazione dei fedeli, né si sa in qual luogo della Collegiata nascosto si fosse per la malvagia rapacità degli ingordi di ogni bene. Ma calmate alquanto tutte quelle calamità, fu la sacrosanta reliquia depositata in uno stipo o sia armajo, ben acconcio ed adornato, in un muro, dentro quella stanza dove sta la portella piccola, e vi stanno molte casse, appunto nel muro della sagristia verso settentrione, ove poi si è fatto uno stipo grande pei sacri suppellettili: luogo per altro indecente, né si sa come per tale mestiere, leggendosi nel detto parete la seguente iscrizione: “Cum terra Christi sanguine permixta Sanctorum corporum hic plurimae reliquiae conditae, pie religioseque servantur, cum magno fidelium concursu ac pietae, cum saepe aliis, tum maxime S. Stephani protomartyris die festo divinique martyris Antonini Saponariae Patroni anniversaria celebritate coluntur. A.D. 1598”.

Ma l‟ill.ma sig.ra D. Isabella Gesualdi, Contessa della Saponara, di cui sopra si è fatta menzione, con la sua innata pietà, zelo e devozione santa, veggendo che la sacrosanta reliquia in quel luogo veniva poco decorosamente

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venerata e tampoco poteva alla pubblica venerazione sporsi, pensò che in un bel decente ed onorato ostensorio fosse riposta, unita con le altre reliquie di sopra descritte, ed al pensiero accoppiò la sua industria e carità, poiché, siccome la tradizione assevera, contribuendo ella in gran parte alla spesa che dovea farsi, contribuir anche fece l‟Università, Capitolo e galantuomini alla costruzione di una mole ben spaziosa, capiente tutte le reliquie che conservava la Collegiata, di finissimo argento, ben acconcia e connessa, con esquisiti cristalli, qual oggi attualmente si osserva, facendovi dietro scolpire le armi Sanseverine di suo marito e le sue di Gesualdo, di un leone con tre stelle. E di vantaggio diè principio e costrurre la cappella di sopra descritta, acciò ivi poi con più decenza si fosse esposto il sacro ostensorio, che poi fu strasferito in un altro luogo dell‟altare maggiore, quantunque apparisca per pubblico istromento stipulato per mano di Notaro Francescant. Benincasa di Saponara, da me riconosciuto, nel 1605, nel quale si asserisce aver la suddetta sig.ra Contessa D. Isabella costruito un reliquiario, con molte sacre reliquie ed averlo donato alla Collegiata chiesa e suo arciprete Cioffi, Canonici e preti di quella.

E siccome in vita della predetta signora, alienata dalla fondazione del monastero di S. Giovanni Battista, dell‟ordine carmelitano, siccome si disse, la cappella non fu perfezionata, così dopo la di lei morte stiede casaleno5, poiché il Capitolo, dovendo attendere al proseguimento della lite giurisdizionale, per la quale si spendevano de‟ migliaia di scudi, come quella che teneva la base della chiesa, non potè spendere per la perfezione della cappella.

Nell‟anno poi 1669, essendo passato da questa vita D. Luigi Sanseverino, principe di Bisignano e succedutoli, come sopra si è divisato, il suo fratello D. Carlo, conte di Chiaromonte, il quale riconoscendosi cadente, rinunciò a benefizio del già detto sig. D. Carlo suo nipote, come figlio di D. Giovanni suo figlio e della sig.ra D. Delia Sanseverino, figlia di D. Fabrizio Sanseverino Conte della Saponara, restò anche di questa signore e padrone. Ed avendo, dopo molti anni di dominio anche lui preso di Saponara amore ed affezione, non solo che rifece l‟antico palagio, come si è detto; ma venutagli notizia dell‟opra cominciata dalla sua ava D. Isabella, si prese egli l‟assunto di ridurre a perfezione la cappella anzidetta, siccome già fece, adornandola di stucchi ed intagli dorati a meraviglia, ed in uno stipo ben acconcio ed adornato, sopra l‟altare, fè riporre il sacrosanto reliquiario ed ostensorio, facendolo rinserrare con tre chiavi, delle quali volle, siccome dovevasi, che una fosse tenuta dal suo agente, la seconda dall‟Arciprete e la terza dal Sindaco della città, acciò non fosse stato in qualche maniera violato e profanato.

Indi, per eccitare maggiormente la devozione del popolo e la venerazione verso la sacra reliquia, s‟introdusse nel nostro Collegio esponeerla alla pubblica venerazione per molti giorni dell‟anno, cioè nel giorno della Circoncisione del Signore, esponendosi al bacio di tutto il popolo che accorreva, da chi si erogava qualche elemosina per compra di cere; negli venerdì di marzo e nel giorno dell‟Ascensione, in cui introdussero portarla in solennissima processione per tutta la città e con pompa decente al possibile, siccome al presente si pratica, nei quali giorni è indicibile non che incredibile l‟immenso concorso di popolo e dai vicini e dai lontani paesi, accorsi sempre alla venerazione ed adorazione di così sacrosanta reliquia. Era intanto la terra mista predetta racchiusa e conservata in un‟ampollinetta di cristallo e della grandezza di un pollice della mano, in quantità che occupava la metà incirca del vasetto.

Or molte volte in atto della processione dell‟Ascensione e dei venerdì di marzo si è veduto il sangue liquefatto

5 Rudere

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e spumante, anzi riempire tutta intiera la vacuità del vasetto, alla vista ed osservazione di chiunque la pia e sacra curiosità soddisfar voleva. Quali atti succeduti, sebbene certissimi e veduti da moltissime persone, ancor dei tempi nostri, non vi fu chi con accuratezza ne avesse fatto registrar pubblico documento, per confusione di taluni increduli ed oppugnatori della verità. Fors‟anche si astennero da ciò, perché non vi era dubbio alcuno in contrario, oppure per melensaggine e scipitezza dei ministri. Su di che non devo tacere ciò che nella terra di Carbone, ove mi trovavo governatore nell‟anno 1738, mi fu riferito, discorrendo di questi fatti col molto Rev. Sig. D. Carlo Giordano, Arciprete di quella parrocchial chiesa, uomo di probata vita.

Che egli in uno dei venerdì di marzo, essendo andato alla venerazione dell‟adorata reliquia, vide liquefatto il sangue nel vasetto e tutto spumante. De che restò pienamente certificato, nel mentre celebrava la S. Messa nel di cui altare era esposta la reliquia. In sequela di qual verità non devo altresì tacere altri stupendi e portentosi successi, accaduti per la devozione e fede viva avuta per la preziosa reliquia, per i quali ripeto sempre la protesta rapportata nel principio dell‟opra, che se abbia quella fede che conviene.

Per tradizione dei vecchi e ralazione fattane dal tante volte nominato sig. D. Carlo Danio, narratoli dalla sua ava materna sig. Lucrezia Rinaldi della Rotonda e madre sig.ra Violante Ceramelli, matrone da me sapute e di probatissima vita, ho inteso che una volta, predicando dal pulpito della Collegiata un predicatore negli venerdì di marzo, volendo fare il saputo e saccente nello spiegare e persuadere al popolo astante, radunato in gran numero, le parole “Cum exaltatus fuero, omnia traham ad me” e quelle altre “Quod semel assumpsit, numquam dimisit”, che quel sangue adoravasi in quel sacro vasetto, che tuttavia su l‟altare stava esposto, non era sangue naturale di Gesù Cristo, ma sangue o miracoloso o battezzato: si vide ed osservò miracolosamente da tutti ripieno tutto il vasetto di sangue rubiconto, spumante, che bolliva, in segno di convincere le assertive del predicatore. Al quale portentoso spettacolo gridaron tutti in faccia del predicatore: “Miracolo, miracolo!”. Ed egli, pieno di confusione e rossore, non

potè far di manco, con la disciplina di ferro alle mani, non calar giù precipitoso dal pulpito e genuflesso avanti alla sacrosanta reliquia, non meno si disdisse di quanto aveva asserito, che con copiose lacrime le domandò perdono della colpa commessa. Anzi tal fu la confusione del popolo, sollevata dalla santa curiosità della pentizione di quell‟incredulo predicatore, in voler tutti rimirare con abbontantissime lagrime il miracoloso successo, che nella calca della gente un figliuolo si trovò morto ed una donna con una gamba spezzata; senza dire di quelli che, men valevoli con spinte ed urtoni caddero stramazzoni sul suolo calpestati, udendosi da per tutto urla e strida, chi di pietà, chi di dolore.

In tempo già raccontato dalle liti giurisdizionali e dopo che non fu ricevuto il Vescovo di Potenza6, come egli bramava a fare la visita della nostra Collegiata, siccome si è detto a suo luogo, nell‟anno 1647 di bel nuovo il Vescovo di Potenza mandato dalla S. Congreg. (non si sa però se fu quello stesso di prima, o altro di lui successore) a visitare la nostra Chiesa, siccome si ricava dal tomo II delle Conclusioni capitolari, fol. 52 e seg. Egl i dunque, visitando le sacre reliquie, s‟invogliò di possedere una parte della terra-mista col sangue di N.S. E perché nelle comunità non sono mancati giammai i poco zelanti della propria stima ed ambiziosi di farsi merito, tanto fè tanto oprò quel Vescovo, che segretamente ottenne di potersi prendere da dentro il vasetto con una testa di spingolone quanto con quella entrarne

6 Trattasi del Vescovo Geronimo. Cfr. Cap. XXIV.

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potè; che conservando religiosamente e cautelatamente, col ritorno alla sua residenza, ripose in un calice ricoprendolo con la patena, otturato con piombo liquefatto, o pure stagno, lo espose alla pubblica venerazione: siccome da quel tempo ne precorse e precorre la fama, autorizzata da veridiche tradizioni.7

Or dopo qualche tempo che fu d‟uopo esponere la sacra reliquia secondo al solito, si accorsero gl‟infidi custodi che quel vacuo lasciata nel vasetto per quella porzioncina portata via dal Vescovo era riempiuta come se giammai fosse stato tocco, allora confusi e pieni di rossore, non ebbero vergogna di appalesare il sacrilego furto con la di loro intelligenza commesso, scusandosi col timore incussoli dal Vescovo visitante, stimando di certo che N.S. non avesse permesso che furtivamente fosse stato smembrato e fè che riunito si fosse con la maggior parte di esso che conservavasi nella nostra Collegiata. Laonde la comune fama e pia credenza giudica che ivi in Potenza si veneri la sola spingola che toccò la sacra reliquia, con la fede che ancor di questa ne resti porzione.

Intanto avendo vieppiù colla fama che di tempo in tempo divulgavasi la pia devozione dei fedeli, con la venerazione di sì prezioso tesoro ed udendosi sempre più nuovi miracoli e portentosi successi a pro di chi con viva fede l‟invocava nelle proprie necessità, accadde per divina permissione e per i pecati forse di poca reverenza, nel 1717, che, dimorando nella nostra città il Rev. Sig. Abate D. Gio. Franc. Sanseverino, fratello germano dell‟ecc.mo sig. D. Giuseppe Leopoldo principe di Bisignano, figli del già detto sig. D. Carlo, dotati amendue di rara pietà e somma clemenza, trovaronsi presenti all‟esposizione dell‟ostensorio in occasione della festività di S. Bartolomeo apostolo: di cui buona porzione di pelle8 conservasi nell‟ostensorio, che osservandolo ben bene con attenzione, li parve sconveniente che per esporre ai fedeli la reliquia del S. Apostolo, si dovesse esporre quella del Salvatore. Laonde progettò si dovesse separare la sacra ampollina e riponerla in un altro vaso più decente.

Questo progetto parve da non dispregiarsi; ma come che né la cappella, a cui qualche rendita era costituita, separata dalla messa capitolare, né il Capitolo né l‟Università poteano succumbere ad una spesa considerabile, il suddetto sig. rev. D. Giov. Franc. si offrì di farlo a sue spese, siccome di volo scrisse in Napoli, ed ivi fè lavorare un prezioso reliquiario con spesa di 300 ducati, siccome si divulgò; e venuto in Saponara, vi fè riponere l‟anzidetto vasetto della terra mista col sangue del N.S. Gesù Cristo.

Non meno i Preti che Saponara tutta stavano giulivi e festanti della pia devozione e carità avuta dall‟anzidetto Ecc.mo Signore ed erano ben contenti e soddisfatti di sì religiosa opera. Ma ecco che nel colmo delle loro spirituali contentezze, così permettendo lo stesso Redentore del mondo per i suoi imperscrutabili fini e per i peccati del paese, che quasi si fosse abusato della divina pietà praticata per mezzo di quel sacro pegno, dopo non molti giorni che nel nuovo reliquiario la sacra reliquia riposta si era, la mattina appunto del 25 Novembre dello stesso anno 1717, quando il sagrista9 ne

7 Il Vescovo portò la particola della reliquia nella chiesa di S. Maria in Potenza. Cfr. F. P. Caputi, op. cit., pag. 193. Di recente in

un articolo apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 15 Maggio 1999, nella pagina riservata alla Basilicata si dà la notizia che la Principessa Kathrin Von Hohenstaufen, discendente dell‟Imperatore Federico II di Svevia, nell‟archivio della sua famiglia ha rinvenuto documenti che attesterebbero che la reliquia conservata a Potenza nella Chiesa di S. Maria sia stata donata a quella Chiesa dall‟Imperatore. Trattasi chiaramente di una falsa notizia dovuta al desiderio della Principessa Hoenstaufen (studentessa in medicina) di farsi pubblicità in occasione della presentazione del suo libro “Il segreto della Sindone”. 8 Esagerazioni del Ramaglia per amplificare la Chiesa Collegiata di Saponara.

9 Sagrestano

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299

andò per suonar mattutino, trovò una scala nell‟atrio della chiesa, aperta la di lei porta e scassata quella della cappella suddetta ed anche quella dello stipo, rubato l‟ostensorio con la sacra reliquia, tolte tre lampade d‟argento che ivi stavano accese ed un‟altra d‟argento che stava davanti il Venerabile.

Entrarono nella chiesa salendo per la suddetta scala gli esecrandi ladri, che trovarono non in campagna, che fu poi conosciuta della famiglia Ciuffo, servendosi per uso della masseria e per il fieno, per una finestra che corrisponde nel suddetto atrio, dalla quale si suppone si fossero calati giù con qualche fune. Qual finestra fu poi fatta fabbricare. Scassarono la porta della cappella, che pure era ben forte, con uno istrumento, anche per non far rumore, che comunemente chiamasi guerdolo, o vogliasi dire spillo, o sia vegara, facendo con la medesima più

buchi attorno alla tavoletta ov‟ora ribattuto il ponte ove entrava la serraglia, facendo altresì saltare detta tavoletta, e con ciò facilmente aprirono.

Quella dello stipo, abbenchè con tre chiavi serrata, perché più debole, con un paletto di ferro, ebbero l‟intento. Dopo di questo andarono per scassare la porta della sagristia, nella quale con tutto che fecero più buchi, non riusciruno ad aprirla, essendo una porta forte, e dovevano far saltare tutta la serraglia, che non poterono; ma quella della cappella essendo più grande, divisa in due, fu più facile aprirla. Né per la sagristia si accorsero che accanto alla porta, più alta, eravi una finestra, fatta per dare più lume al coro; la quale, quatunque serrata, con una spinta potevasi aprire, ovvero per non far rumore non lo fecero: che poi fu dal fu Arc. Del Monaco cautelata con ferriata.

Si sarebbero contentati non meno li Rev. Capitolari che detto Ecc.mo signore e tutta la Saponara si fosse rubato tutto l‟argento e li calici e non avessero toccata la santa reliquia; che infatti scassando il reliquiario potevano quei maledetti ladroni lasciare l‟ampollina sopra dell‟altare e portarsi l‟argento; ma ciò il signore non permise per dare alla Saponara e contorni una grave amarezza. Or sì che qui vi vorrebbe una penna di famoso storico panagerista, per descrivere le pene, il cordoglio, le lagrime, gli urli, i lamenti, gli schiaffi, le percosse, i pianti del popolo, non meno di fanciulli che di grandi, di donne che di uomini, di plebei che di galantuomini, del popolo tutto ad un tratto accorso allo spettacolo del sacrilego furto. E dopo aver sfogato con amare lagrime ed atroci sospiri in parte l ‟angoscie che nel cuore si avevano, si appigliarono ben tosto a rintracciare li maledetti ladri. Laonde, non sparagnando fatiche né strapazzi, chi scorreva per monti, chi per valloni chi per vicini, chi per lontani paesi, proseguendo or una novella, or un‟altra, di essere stati veduti alcuni supposti ladri. Ma che! Poiché di quegli scomunicati, come venti guidati dall‟infernal nemico, loro fido custode e condottiero, di tal fatta se ne precluse la strada, di tal guisa se ne occultò la notizia, che non fu possibile averne la benchè menoma notizia. Non mancarono dal canto loro gli Ecc.mi Padroni, li quali dal canto loro con santissimo zelo avrebbero speso la metà dello stato per riavere il preziosissimo tesoro, facendo perciò emanare editto e per vicini e per lontani paesi, col quale non solo prometteasi indulto generale ed abolizione generale dell‟esecrando delitto a pro di coloro che contribuito avessero ad appalesare il furto; ma oltre del rilascio dell‟argento rubato, si prometteva una somma considerabile di centinaia di ducati. Ma il tutto invano, indarno.

Della corte, con spezial delegazione del padrone, con tutta la pienezza dell‟autorità in virtù de‟ suoi amplissimi privilegi, con rigida procedura si procedè alla cattura di due persone, delle quali vi erano alcune presunzioni ed indizi. Uno fu Angelo Albano della Saponara, con moglie e figli, quali abbandonati per alcune discolezze e per aver commessa la poligamia, contraendo matrimonio nella città di Cosenza per verba de praesenti e consumatolo,

andava fuggiasco;

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300

trovandosi in Napoli, ivi fu arrestato e condotto in Saponara: uomo di mal cervello. L‟altro fu Franc. D‟Agosto, della terra d‟Agora, incantatore di serpenti e cavamole, prattichissimo nella Saponara; i quali, con tutto che si fecero macerare nelle carceri criminali per molti anni, sempre con l‟aspettativa di altri indicii per le continove diligenze si facevano, poiché quelli non erano sufficienti alla tortura, purgarono altri loro peccati, ma del sacrilegio furono esclusi.

All‟editto di sopra divulgato appigliandosi di tempo in tempo molti facinorosi condannati ed esistenti in galea, per fare almanco busca di qualche presentaneo regalo, davano a intendere che la reliquia con l‟argento erano nascosti ora in un luogo, ora in un altro, ora in questo, ora in quell‟altro paese, essendosi alle volte alcune notizie molto verisimili; per accertarsi del vero duplicandosi la spesa, nulla si avverò, permettendo lo stesso Redentore del mondo precludersi affatto la strada ad ogni immaginaria notizia.

Passato da questa vita l‟Ecc. mo Sig. D. Giuseppe (Leopoldo) Principe di Bisignano10, e nel Novembre 1726, il di lui figlio D. Luigi succeduto al dominio del padre, di non minor pietà e zelo crisitiano, continovandosi udir dicerie di notizie, non mancò ancor egli di fare accuratissime diligenze, con editti di abolizione e promesse di premi.

Ma il tutto invano, avvegnachè delle notizie niuna se ne potè avverare, perdendosi con ciò e la spesa e la speranza di averne certa la notizia, laonde ognuno acchetossi a farne altra parola, uniformandosi al divino volere che aveva indotto tal flagello nella Saponara, con la perdita di quella particolar protezione.

Giuseppe Leopoldo Sanseverino, figlio di Carlo Maria, Conte di Chiaromonte e VIII Principe di Bisignano

10

Primogenito di Carlo Maria Sanseverino e fratello della poetessa Aurora. Nel 1717 fu nominato da Carlo VI il 13 Novembre del 1717 Gran Giustiziere del Regno. In Saponara risiedette poco perché trascorreva gran parte dell‟anno ad Acri in Calabria ove morì il 19 Settembre del 1726. .

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CAP. LIV

SI RAVVISA LA MANIERA IN CUI DIO CONSOLAR VOLLE DI BEL NUOVO LA SAPONARA CON LA INASPETTATA INVENZIONE1 DELLA SACRA RELIQUIA.

1. Il Principe Luigi II Seniore scopre fra i suoi gioielli, uno scrigno di cristallo contenente l’altra parte della “Terra mixta cum sanguine Christi”.

Ora standosi dalla Saponara in questa disperata dormizione (o magnificenza divina, che consola i suoi fedeli quanto manco sel credono), ecco che nell‟anno 1730 il riferito Sig. Principe D. Luigi2, continovando il suo affettuoso amore verso la Saponara, seguendo le orme de‟ suoi progenitori, volle quivi far dimora in tutta quell‟està, unitamente con la dilettissima sua consorte, Ecc.ma Sig.ra D. Ippolita Spinelli (signora invero di cui piuttosto ne oscurerei i pregi, se volessi in minima parte impegnarmi e descriverne le eroiche virtù ed ottimi costumi) e la famiglia tutta. Un giorno dunque, essendo li 25 di Settembre, non essendo come il solito andato a diportarsi con la caccia, li venne in pensiero di dare un‟occhiata alle moltissime reliquie dei Santi che egli teneva nel suo tesoro, curiosità giammai avuta né da lui più prima, né da suo padre ed avo. Quand‟ecco, nel rivolgerle, se li fè avanti una borsa di seta, intessuta di oro e di argento, con di dentro un vaso a modo di piccolo scrigno di cristallo, ben serrato, ed osservando dalla trasparenza del cristallo, poiché allora sembrava difficile ad aprirsi, una cartellina di cui appena divisavansi le lettere, che dicevano “Terra mixta cum sanguine Christi”, con l‟assistenza de‟ suoi familiari, in un istante cominciaron

tutti a palpitare per allegrezza e sacro orrore col cuore usando poi ogni sopraffina diligenza, non sapendo con qual mezzo disserrare quel sacro vaso, spezzando alla fin fine l‟ostacolo che dal tempo erasi corroso ed aprendo quel piccolo avello, trovossi realmente ciò con dubbiezza erasi dalla superficie interpretato. Laonde confirmossi in eglino tutti la contentezza concepita, che avanzando da momenti nei loro cuori, andavano indagando in che maniera e da chi in quell‟erario riposta si fosse, che peraltro non era sola, ma accompagnata con quelle altre descritte nella donazione di Roggiero. Ed in un quasi direi istante divolgatasi la fama per tutta la città, giunse alla mia presenza alle orecchie del riferito D. Carlo Danio, che rade volte usciva di casa, il quale subito sapendo quel tanto del reliquiario che ho riferito, fatto costruire dalla Contessa Sig.ra D: Isabella Gesualdi, fè sano argomento e verisimili che la medesima avesse voluto ritenere presso di sé porzione di dette reliquie.

Or non potendosi di ciò dubitare, esser quelle reliquie vere ed autentiche e convenendo non far stare più a lungo ascoso un sì prezioso tesoro, della terra mista in particolare, ma riponerla in qualche luogo sacro, nacque tra i familiari o sia servidori del Principe una pia contesa ed ambizione, avvegnachè i Calabresi lo spronavano che in qualche chiesa del suo stato in Calabria lo riponesse, e per contrario i nostri compatriotti, aggiuntevi altre persone di qualità

1 Ritrovamento.

2 Luigi II, detto “Seniore”, figlio di Giuseppe Leopoldo Sanseverino, fu tenuto a battesimo, per procura, dal Re di Francia Luigi

XIV (Re Sole) e si sposò due volte: la prima moglie fu Ippolita Spinelli, Principessa di S. Giorgio, da cui ebbe un solo figlio Pietrantonio che gli successe nel Principato di Bisignano, la seconda moglie fu Cornelia Capece Galeota, duchessa di S. Angelo, da cui ebbe ben 11 figli, di cui solo il primo maschio: Francesco Vincenzo.

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istantemente faceansi sentire con le loro suppliche acciò alla nostra Collegiata si restituisse quell‟onore e decoro che per lo spazio di 446 anni, o per meglio dire di 443, dal giorno della donazione sino al 1717, quando fu rubata, goduto aveva di poter conservare la memorata reliquia.

2. Il Principe fa estrarre a sorte dal suo figliolo Pietrantonio a quale Chiesa, fra due calabresi e quella di Saponara, dovesse essere assegnata la seconda parte della Reliquia ritrovata.

E il Sig. Principe, non sapendo a quale delle due richieste inchinar la sua annuenza e conoscendo altresì che la ragione forte era per la nostra Collegiata, volle nondimeno rimetter la decisione dell‟emergente contrasto alla sorte, cioè al prototipo del sangue, come dagli apostoli si fece, bussolando S. Mattia e Giuseppe Giusto.

Laonde in tre cartelle fè scrivere il titolo della chiesa, in una delle quali si pretendea di rimmettere ai Riformati di Bisignano – Cappuccinelle d‟Acri – e Collegiata di Saponara. E plicatele3 bene ugualmente, le fè disponere dentro uno scatolino, quale scuotendosi poscia, fece indi traere una di quelle dal suo primogenito, Sig. Conte di Chiaromonte D. Pietrantonio, figliolo innocente di circa 6 anni, ed apertasi trovossi quella della nostra Collegiata.

Rallegrandosi tutti giolivi li nostri compaesani per essere stati degni della reintegrazione di un tanto tesoro, insorse nondimeno dagli emuli calabresi la difficoltà che la cartella fosse stata conosciuta e non fosse stata uguale alle altre. Ma il Sig. Principe , per togliere via quella sagra contesa e far tutti acchetare, non una ma due altre volte fè tirare la cartella. Ma, oh portento della divina pietà e clemenza! Sempre la stessa cartella si vide uscir fuori; tanto che, confusi di rossore i calabresi, conobbero che la divina volontà e provvidenza concorreva con quel triplicato segno a pro della nostra patria.

Quindi dai nostri con santa confusione ed allegrezza cominciossi a rendere all‟Altissimo le dovute grazie, sperando con viva fede di essere reintegrati nella di lui speziali protezione e dispensamento d‟innumerevoli benefici. E benchè queste particolarità non si rattrovino registrate nell‟atto di donazione fatto da S.E. il Sig. Principe a pro del nostro Collegio, quale riferirò avanti, tuttavolta ciò è verissimo, per relazione avuta da persone veridiche, che furono presenti a tutto il succeduto, e tra gli altri dal Sig. Francesco Perrone, maggiordomo della casa Ecc.ma, e stimo si tacquero per non far fascio di tante circostanze che non hanno relazione con la sostanza dell‟accennato fatto.

3. Il Vescovo Anzani fissa il giorno della traslazione della Reliquia, dal castello del Principe alla Chiesa Collegiata, a Domenica 8 Ottobre 1730.

Ma poiché sì veneranda reliquia non doveva più stare ascosa e priva della dovuta venerazione, ma esponersi al pubblico, fu di mestieri implorare il braccio della chiesa. Quindi si condusse dall‟Ill.mo mons. Anzani, Vescovo diocesano, il Rev. Sig. D. Carlo Danio, accompagnato dal Rev. Sig. D. Giuseppe Can. Zottarelli, per rappresentarli tutto l‟accaduto, attestarli la genuina verità e supplicarlo della sua autorità per quanto si desiderava per esporla alla pubblica adorazione. E il saggio Prelato, abbenchè avesse avuto tutta la fede e credito agli sopraccennati e precise al sig. D. Carlo, come più vecchio, un tempo Arciprete e l‟intiera relazione, nondimeno, trattandosi di dare il culto ed

3 Sigillatele

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adorazione ad una reliquia, volle informarsene con una precisa informazione, qual fece prendere dal suo nipote e vicario generale il Rev. D. Giov. Angelo Anzani, che benchè giovane, tuttavolta saggio e virtuoso, è ben degno di quella mitra che oggi tiene in capo nella chiesa della Campagna d‟Eboli. Il quale condottosi nella Saponara col Rev. D. Gerolamo De Blasiis cancelliere, ed esaminati tutti coloro che all‟invenzione e portentoso spettacolo eransi trovati presenti e constatato quanto facea di bisogno, rappresentò poscia sotto l‟occhio del saggio Prelato suo zio quanto aveva costato di verità nella causa commessali.

E quello, accertatosi della essenza della reliquia e conoscendo non abbisognarvi altro per esporla alla pubblica venerazione e trasferirla dal palagio del Sig. Principe per far più venerabile, sontuosa e accreditata la traslazione alla nostra Collegiata, formò un editto circolare che originalmente si conserva dal Rev. Sig. D. Carlo Toscano, nostro apostolico, del sig. tenore:

“Donato Anzani per la grazia di Dio e della sede apostolica Vescovo di Marsico. Avendo la Divina Provvidenza preordinato che l’Insigne Collegiata della città della Saponara non restasse senza

l’onore e prerogativa che per circa 500 anni ha sempre goduta, di aver presso di sé il tesoro del preziosissimo Sangue di Cristo Signor Nostro donatoli dalla gloriosa memoria di Ruggiero Sanseverino, Conte di Marsico e Signore della Saponara, il quale l’aveva seco portata nel ritorno che fece dalla S. Città di Gerusalemme, dopo di averla governata insieme con tutto il regno della Palestina da Vicerè del gloriosissimo d’Angiò, ha disposto che l’Ecc.ma sig. ra D. Ippolita Spinelli, odierna principessa di Bisignano e Contessa della Saponara, con religiosa curiosità avesse riconosciuto il tesoro delle reliquie che si conservano in detta Ecc.ma casa da tempo immemorabile, con ogni squisita e diligente custodia, e tra di queste vi havesse rattrovato una piccola ampollina di cristallo, dentro della quale vi è una particella del medesimo sangue prezioso di Cristo Signor Nostro, donato, come si è detto, da Ruggiero Sanseverino alla suddetta Collegiata Chiesa, la quale haver già da anni tredici e mesi perduto questo tesoro rubatole da figli d’iniquità con l’ostensorio d’argento in cui si conservava; per il qual furto, benchè si fossero fatte fine diligenze al fine di rattrovarla, il tutto riuscì senza frutto.

Che però l’odierno Sig. Principe di Bisignano, spinto dall’amore che porta alla suddetta Chiesa Collegiata e dalla sua innata e religiosa pietà e dall’esempio de’ suoi maggiori, ha determinato di donarlo alla medesima, affinchè si restituisca il concorso ed affluenza dei popoli che godeva prima dell’anzidetto furto: qual deliberazione partecipò giorni sono a noi, con suo riverito foglio portatoci dal Rev. Sig. D. Carlo Danio, patrizio della detta città della Saponara, inviato da S.E. a farci una distinta relazione di questo avvenimento, che riempì il nostro cuore di una spirituale consolazione.

E affinchè non si camminasse nell’oscuro e con facile condiscendenza, nell’esporre alla pubblica venerazione questa reliquia, fu da noi mandato il nostro Vicario generale a prenderne diligente informazione; il quale rattrovò essere tutto vero quanto ci fu esposto e ne formò processo con pruove bastanti, dalle quali ci siamo mossi e determinati di esporre alla pubblica venerazione la suddetta ampollina col sangue prezioso di Gesù Cristo Signor Nostro, di quello appunto che si bagnò la terra quando stiede pendente in croce. Ed abbiamo determinato farne la solennità della traslazione Domenica otto del corrente Mese di ottobre 1730 e di aver noi l’onore di portarle processionalmente dalla cappella del castello alla suddetta Chiesa Collegiata di S. Antonino e riporla nell’antica custodia nella propria cappella. Che però abbiamo stimato dedurlo a notizia di tutti li paesi convicini, dove il presente sarà mandato, con

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invitarli, come li invitiamo, a venire Domenica prossima alla processione che si farà e alla benedizione che si darà col detto prezioso sangue, colla indulgenza; sperando che Sua divina Maestà, per glorificare questa sacrosanta reliquia abbia a concedere molte grazie a quelli che con viva fede e devozione se li raccomanderanno.

Marsico, dal palazzo vescovile, 4 ottobre 1730. D.Vescovo di Marsico. Et +F.to come sopra D. Angelo Francia cancelliere”.

4. Atto di donazione della Reliquia del Sangue di Cristo alla Chiesa Collegiatra da parte del Principe Luigi Sanseverino Seniore.

Questo editto girò per molti paesi. Tuttavolta si sparse la voce di tal fatta, che concorse tanta gente da ogni banda, che pare impossibile a credersi. Frattanto il Sig. Principe, per porre in esecuzione locchè aveva deliberato, ad imitazione de‟ suoi maggiori e di Ruggiero, fè esemplare un solenne e grande diploma, o sia privilegio in pergamena, col quale testificò il sopranarrato fatto, benchè più in accorcio, e donò la sacrosanta reliquia, cioè buona parte di quella, ritenendosene una parte o porzioncella per sé, alla Collegiata. Qual privilegio, quantunque dal Rev. Sig. D. Costantino Gatta sia stato dato alle stampe nella sua opera Lucania illustrata, tuttavolta, e per darli maggior

fede e per rinnovarlo alla memoria dei fedeli e letterati, essendo ripieno di grandi erudizioni, ho voluto anch‟io trascriverlo dall‟originale, che si conserva nel citato archivio, ed è tale:

“Alloysius de S. Severino, Princeps Bisiniani, Paceci, San Georgii etc., Dux S. Marci et San Petri in Galatina, Marctio S.R.I., et S. Laurentii, etc.=Comes Saponariae, Clarimontis, Altimontis, Tricarici, Coriolani et Mileti Dominus Terrarum Nerii, Rotundae, Vingianelli, Cryptolarii, Cirellae et Colubrarii, Nec non Casalium Sanctae Sophiae, Lungri, Aquae Formosae, Sanseverini ac Lacus Salpi=Dominus Domus de S. Severino=Primus hujus Regni Neapolitani Baro, Magnusque Magister Iustitiarius, ac Hiapaniarum prima Classe Magnus.

Universis et singulis adm: RR. ac Venerabilibus viris, Archipresbitero, Canonicis et Presbiteris Collegii S ancti Antonini civitatis Saponariae, Salutem in Domino sempiternum=

Cum ex eo tempore cum majoribus nostris, fuit Civitas Saponariae subiecta, eius cives clara atque egregia amoris atque fidelitatis specimina semper exibuerunt, nihil ipsis maioribus nostris antiqis fuit quam liberaliter erga eos se gerere, eisque praebere grati animi monumenta, ita etsi innu8merae eorum largitiones testentur, nulla major adhuc faciendam fidem est, quam ea, quam Rogerius de S. Severino, Marsici et Saponariae Comes, post reditum ex S. Civitate Hierusalem, et ex Palestinae Regno, in quo per plures annos urbes Caroli Regis substinuit, vobis admodum RR. Archipresbitero, Canonicis et Presbyteris Collegii Ecclesiae S. Antonini donum fecit ac tribuit.

Cum enim invisens sacra loca, ibi omnium celeberrimam, cunctisque praestatiorem ac existemandam habuerit Reliquiam Terram, nempe Amatissimi Redemptoris nostri Jesu Christi Sanguine mixtam, a piis sanctisque mulieribus Mariis Jacobi et Salome ipso Passionis tempore collectam, et ad eiusque tempora servatam, ex tot locis suae Ditioni subjectis, ex tot Ecclesiis a viris nostrae Domus constructis et dotatis nulli alii loco, nulli aliae Ecclesiae nisi vobis RR. ad admodum venerabilibus viris, Archipresbitero, Canonicis et Presbyteris Collegii S. Antonini Civitatis Saponariae, elargiri ac concedere placuit, et tantum insigni Thesauro lignum SS. Christ Crucis, aliasque insignes et praestantes reliquias adiunxit, ut plenius et abundantius vobis amorem suum testaretur.

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Post quadringentos annos curante Domino Johanne de S. Severino Patruo nostro, ac de sua pecunia expediente, nitiori ditioreque sphera, in qua repositus fuit ingens Thesaurus, Terrae Sanguine Christi mixtae, extructa fuit neque reliquia quae per se metipsa maxime excellens et splendens ac continentis materiae tenuitatem abumbraretur. Verum ex argenti moles que extructa fuerit sic pessimorum ac scelestum hominum mentes occupavit, ut non solum eam subripere et furari aussi fuerint, sed eo processit impietas, ut cum ipsa argentea mole, ipsum sanctissimum et pretiosissimum Thesaurum substulerint, atque eripuerint nec ad eam restitutionem potuerunt adduci, ac ex oblatae ponae ac argenti relaxatione, nec exibita non contemnenda praemii mercede, unde irrita, et frustra tentata fuerunt omnia quae pro eius recuperatione suscepimus.

Evolventes autem die 25 elapsi mensis septembris, cum dilectissima coniuge nostra Domina Ippolita Spinelli

pretiosarum gemmarum nostrae domus scrinea, in quibus innumerae ac praestantes adservantur reliquiae, occurrit quaedam crumena ex serico ac auro et argento contexta, ventustate consumpta, in qua vasculum crystalleum continebatur.

Et licet in eo vasculo repositam aliquem praestantem reliquiam arbitraremus, quoniam ab crystallo intueri non poterat, ad eam aperiendam manum admovimus, ut quae esset cognoscere possemus. In eo tamen reserunto non multum laboris impendimus, nam et ipsa crystalis vetustate corrusa facile nobis praebuit aditum ad vas aperiendum.

Verum post reserationem et lignum salvare Christi Crucis et Terram eiusdem sanguine mixtam contineri reperimus.

Excultante nobiscum nostra Dilectissima coniuge, ac deinde tota nostra domo, ac civitate Saponariae,inquisitionem facere curavimus per Rev.mum D.minum Vicarium Generalem Marsicen. probatissimum virum Dominum Johannem A ngelum Anzani, ac per eum capta informatione de mandato Ill.mi et R.mi D.ni Praesulis Marsicen, partes esse cognovimus, quas supradictus Rogerius de S. Severino, anno Domini 1284, dono dederat Archipresbytero, Canonicis et Presbiteris Collegii S. Antonini Civitatis Saponariae. Cum autem per tam diuturnam temporis orbitam haec sanctissima pignora, etiam nobis hinc novam trahentibus innocuerint, id tamen divino consilio factum aestimavimus per lacrymabilem jacturam a nobis paucis abhinc annis factam rependere et resarcire possemus.

Voluntate tamen nostra elargiendi, concedendi ac dono dandi ipsam Terram cum sanguine Christi D.ni mixtam nuper inventam, non leve pondus dederunt preces. quas nobis V.I.D. Rev.do P. D. Carolus Danio, confessorius noster, viri vitute, nec pietate nulli secundus ac de omni re litteraria optime meritus, nec non V.I.D. adm. Rev. D . Dominicus Del Monaco Archipresbyter, nec non Canonicus adm. R. D. Ioseph Zottarelli, omnes claris natalibus orti, et eorum mores a nobis bene visi cum aliis exfunderunt.

Sectantes itaque eiusdem Rogerii praedecessoria nostri vestigia, ex ea quae penes nos inventa est Terra sanguine Christi mixtam, pariter praecipuam vobis admodum RR. Archipresbytero, Canonicis et Praesbiteris Collegii S. Antonini Civitatis Saponariae elargimus, concedimus et donamus, servata nobis alia parte ut quod est…pretium Redemptionis nostrae, sit pignus futurae gloriae quam per eius gratiam eiusque fusum pro nobis sanguinem expectamus et expectamus.

Quam tamen partem vobis dono damus, concedimus et elargimus ea lege et pacto transferimus ut illam non nisi qualibet feria sexta mensis Martii, in die Circumcisionis, in die Resurrectionis Domini, et in die translationis,

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quae celebrabitur Dominica secunda Octobris, nec in publicum exponere, nec in processionibus deferre valeatis nisi postulantibus nobis, haeredibusque et successoribus nostris, cum videat morbi vim aut calamitatem aut aliam quam cumque causam nobis haeredibusque et successoribus nostris, bene visam ad Deum recuperandum eiusque auxilium implorandum erit.

Caeterum in reliquis temporibus etiam urgente, aut instante quovis spectatissimo Viro, a suo altari foras non extrudatur nec publice non exponatur aut in processionibus deferatur, sua sancta tecta servetur, nec ob frequentem expositionem qui honos et cultum tam praestanti, ac excellenti reliquiae debetur, aut minuatur.

Tribus autem clavibus altaris locus in quo reposita erit claudatur, quarum prima penes Rev.um A rchipresbyterum, aut Canonicum vobis bene visum adservetur, Secunda a nostro Agente pro tempore, ac demum tertia a Syndico nobilium detineatur. Atque ut omnia et singula in hac praesenti concessione, firma, valida ac in suo ordine maneant, hanc extendi curavimus ac nostra manu munievimus ac nostro sigillo magno pendenti roborari mandavimus.

Datum in Palatio Civitatis nostrae Saponariae, die octava mensis Octobris, anno 1730. Aloisius de Sancto Severino Bisiniani Princeps, Saponariae Comes, etc. etc.

Nicolaus Gallo, a secretis. + loco sigilli”

Prima di formare il soprascritto diploma, S.E. il sig. Principe, volendo solennizzare con magnifica pompa la traslazione, siccome d‟altronde li conveniva, fè unire da molte Terre delli suoi Stati tutta la gente atta alle armi, di modo che si videro in Saponara più di 400 uomini con i loro schioppi, li quali poi, ben ordinati, a guisa di schiere militari, accompagnati con alabarde, tamburi e bandiere, facevano una vista assai superba e sontuosa, e ciò in atto che celebrossi solennemente il vespro nella Collegiata, che fu il sabato 7 di ottobre.

5. Si descrive la traslazione della reliquia dell’8 Ottobre 1730.

In questo stesso giorno giunse da Marsico mons. Anzani, per solennizzare, siccome egli compromesso si era nell‟editto, la traslazione. Il dì della Domenica 8 di Ottobre, in cui celebravasi anche l‟ottava del SS. Rosario, con solenne processione la statua di Maria SS. del Rosario, inviati dalla devozione che i popoli convicini coltivavano verso la preziosa reliquia, giubilanti di essersi rattrovata, si vide ragunata una moltitudine sì grande di popolo di ogni stato, sesso e ceto di persone, che a guisa di quella viene raccontata da S. Giovanni nell‟Apocalisse al c.7, n. 10, “dinumerare nemo poterat”, ed al certo giunger potevano al numero di 5000 uniti con quelli della Saponara, quali

quasi tutti ragunaronsi nelle gradinate e cortile del palagio; quali, benchè spaziosi e capienti di più migliaia, non eravi però luogo da potere scansare il piede.

Essendosi già l‟ora di vespro, accintosi il Prelato per la sacra funzione, accompagnato da ecclesiastici e da una mano di galantuomini, per far la divisione della veneranda reliquia, s‟intromise nella stanza di S.E., ove con effetto, prendendola dall‟antico vaso e mettendola su di una bianca carta, con un temperino la divise, e quantunque a tale azione io non mi fussi trovato presente, egli è certo però, riferitomi da persone astanti, che quella carta ne restò talmente intinta, come da fresco sangue fosse stata toccata; anzi di vantaggio, avendo il prelato purificato il temperino, quell‟acqua riserbandosi in un‟ampollina dal sig. Michelangelo Giannone della Saponara, Razionale

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Generale della casa di S.E., il medesimo asserì che per molti anni quell‟acqua si conservò della stessa maniera, senza putrefarsi e con raggi vermigli: dal che poi, facendo egli dimora in Altomonte, non ho avuto altra notizzia. Or fatta la divisione la minore restò presso il Sig. Principe; la maggiore fu riposta in un piccolo vasetto, fatto a posta venire da Napoli, ove mandò un suo volante, anche di cristallo, e ripostolo nell‟antico ostensorio4, fu processionalmente portato dallo stesso prelato, presso la stessa

cappella, sita nell‟atrio del medesimo palagio, ove preparatosi quanto necessitava per una sontuosa processione, la quale incontinenete incominciò, dopo dato alla sacra reliquia l‟incenso, e potè dirsi al certo confusione, poiché affacciandosi dalla porta della cappella la sacra reliquia portata dal Vescovo, assistito da due Canonici, sotto un baldacchino, o sia palio, sostenuto da sei galantuomini del paese, altro non si udì che, da una parte il rimbombo delle archibugiate e dall‟altra gridi, pianti, urli della spettatrice gente, che chiedeva pietà e misericordia al Redentore del mondo, che si era degnato quivi lasciare sì pegno sacrosanto, e se non era per la destrezza di 16 alabardieri,

dei quali parte circondavano i sacri ministri e parte precedevano a fare scansare la gente, al certo sarebbe stato impossibile uscire dal palagio, desiderando tutti baciar la sacra reliquia.

Avviatasi dunque la processione con la guida degli alabardieri, con la regolar simmestria delle Confraternite, Religioni e Capitolo della Collegiata, ed adagiatamente uscendo dal palagio, s‟incamminò fuori dall‟abitato verso li Cappuccini; e per dar luogo alla gente accorsa e alle Confraternite, fè girarsi la processione per una strada che avevasi prima fatta accomodare, per dove è la croce di pietra o cappella di S. Maria di Loreto5, si rendette alla solita strada diritta per dove si va alli Cappuccini, sì perché l‟ora era tarda, sì anche perché il Prelato non si fidava6 più di camminare col peso dell‟ostensorio, ch‟è molto grave, e con ciò si ricondusse alla Collegiata. Ivi giunta, si vide quella Chiesa davvero simigliante alla santa Gerosolima descritta da S. Giovanni nell‟Apocalisse al cap. 21 “Sicut sponsa parate viro suo”, illuminata di sblendori, apparata di fioraggi e tappeti e fornita di quelle qualità che richieder si potevano e maggiormente appariva maestosa poiché giorni prima erasi finita

Reliquia del Sangue di Cristo.

d‟imbiancare, dopo scrustata ed intonacata di nuovo e polita al miglior modo si poteva, siccome si disse al suo

luogo. (Anzi può dirsi tal polizia essere avvenuta per divina permissione, che allora fè seguire la invenzione della

preziosa reliquia, quando conobbe la sua chiesa ben adornata e fornita, secondo l‟alta intelligenzia del riferito Arc. Del Monaco, alla di cui mente aveva ciò ispirato7). 4 Oggi la Reliquia appare come da foto n° 75. Essa è collocata nel piccolo Museo municipale religioso della cappella di S.

Caterina dei Ceramelli in Piazza Pertini e viene confusa con quella donata da Ruggiero II nel 1284. 5 La processione girò per il rione Clemenza ove c‟era la chiesetta di S. Maria di Loreto (oggi appunto della Clemenza)

6 Non era più in grado.

7 Ci sembra abbastanza fuori luogo argomentare, come fa il Ramaglia, che il ritrovamento della Reliquia fu un regalo del Cielo

per aver rimesso a nuovo la Chiesa Matrice.

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Udivasi non altro che un concerto di suoni di campane, campanelli e organo. Insomma sentivasi ognuno

commoversi per sacro timore ed allegrezza insieme, che acccagionavano copiosissime lagrime uscir dal cuore nonché dagli occhi corporali. Riposto poscia il sacro ostensorio sopra l‟altare maggiore e datosel i il culto e venerazione, con i profumi d‟incenso dal Prelato, questi pontificalmente come era vestito a riposarsi su della pontificia sede, da dove fè un sermone sì fervoroso e pio al popolo astante che tutto capir non potea nella chiesa, che comosse a copiosissime lagrime tutti gli uditori, per la confusione che ciascuno comprendeva dover avere per i peccati commessi, riottenendo il prezioso tesoro perduto.

Ma come che si faceva già notte, essendo tramontato il sole, accorciò il sermone e data la santa benedizione con lo stesso sacro sotensorio si andò a riporre al suo antico luogo; e ciascuno, ripieno di santa speranza ed allegrezza si ritornò al suo abituro, ed i forestieri, tutto che notte, non si sgomentarono rimpatriarsi alle loro case, ripieni di somma consolazione.

Ma che dirò alla pur fine dell‟ordinanza e simmetria della processione? Del registro degli armigeri, tamburi e bandiera? Delle consecutive e ben regolate salve dei medesimi? Dello sparo incessante dei mortaretti? Del canoro suono di tutte le campane? Delle vociferazioni e grida tutte del popolo, che chiedeva grazia, pietà e misericordia al Sangue prezioso di Cristo, nel girar che faceva la processione con la sacra reliquia? Non è di mia penna il descriverli, né del mio talento il concertarle il periodo ed introdurre i termini e concetti adeguati a tal materia. Basterà soltanto avvertire che se in altre funzioni sacre o profane, come fu quella della prima visita del Vescovo medesimo, il Capitolo e la città tutta dimostraronsi con tutta venerazione tutti osservanti, ora quanto dovrassi credere, siccome già seguì, della presente, in cui non riceveasi un Prelato, un vice pastore, ma festeggiavasi l‟invenzione del sangue del vero Pastore e vero Prelato, e poi alla presenza di un Principe grande, di stirpe regale, e d‟una sua egregia fameglia e famigliari. Laonde posso ben dire che bastava il tutto esser regolato dalla saggia mente del Sig. Arc. Del Monaco, perché ogni azione fusse succeduta bene.

Chi adunque attentamente osserverà il di sopra trascritto privilegio resterà ben certo ed edificato che la Saponara; posseduta sin dai primi tempi della sua fondazione dalla Ecc.ma fameglia Sanseverino, ad eccezione di poco tempo in cui fu tenuta da Emilio del Balzo8, sia stata sempre affezionata ed osservante al suo padrone, da cui non ha potuto non conseguire reciproco amore ed in conseguenza singolari benefizi, dei quali il massimo può dirsi la prima e la seconda concessione della preziosa reliquia, che già poteano riponere in altre chiese da eglino dotate e costrutte. Ma spiacemi che, essendo ciò derivato dalla divina volontà, tale speciale favore ci servirà per maggior nostra confusione, se ci abusiamo della sua special protezione.

8 Il nome non era Emilio ma Aurelio come annotato in precedenza, alla nota 5 del Cap. X.

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CAP. LV

SI NARRANO ALCUNI PORTENTOSI SUCCESSI ACCADUTI PER DIVINA PERMISSIONE PER TESTIFICARE LA VERITA‟ ED ESSENZA DELLA PREZIOSA RELIQUIA.

1. Altre Reliquie del Sangue di Cristo fuori Saponara.

Per confusion di coloro che han voluto impugnare l‟essenza di questa preziosa reliquia, asserendo che sia sangue o battezzato o miracoloso con quella massima comune e da eglino poco ben intesi “Quod semel assumpsit nunquam dimisit”, e che “Cum ex altare fuero, omnia traham ad me”, che benchè potrei, non però m‟accingo a

spiegarle, mi basterà solo apportare un altro fatto simile approvato da S: Chiesa. Nella città di Mantova, nella nostra Italia, circa gli anni di Cristo 802 essendosi scoperta un‟ampollinetta di sangue

che tenevasi essere di Cristo N. S., da taluni nacque un dubbio e difficoltà asserendo che quello fosse stato sangue miracoloso uscito da un‟immagine di un crocifisso martirizzato dagli Ebrei in Berico, nella Tracia, ragunato poi da fedeli e tenuto con venerazione, e che non fosse stato di quello uscito da N. Signore sul monte Calvario, siccome altri asserivano.

Ventilata questa difficoltà, andò all‟orecchio di Carlo Magno Imperatore, il quale, ansioso saperne il vero, pregonne il Sommo Pontefice Leone III acciò si fosse compiaciuto squittinar1 l‟affare, anche con l‟andare di persona in Lombardia, e Leone fu bramoso più di Carlo. Con effetto di persona si conferì in Mantova e, fatta diligente inquisizione delle scritture presentate da cittadini, conchiuse che detto sangue esser veramente di quello che uscì dal costato del Redentore trapassato da Longino e raccolto da sante donne. E ne spedì bolla pontificia della quale non può dubitarsi, trovandosi un sì nobile tesoro nella insigne basilica di S: Andrea; al quale effetto l‟Ecc.mo Sig. March. Gonzaga, per maggior venerazione di quel sacro tesoro, nel 1608 istituì un insigne ordine di cavalieri, chiamati del Redentore, con l‟approvazione apostolica di Paolo V Sommo Pontefice, siccome il tutto vien riferito dal rev. P. Foresti, nel Mappamondo istorico, tomo III, nella vita di Leone III, fol.250. Dunque, siccome fu approvata quell‟ampollina dal Sommo Pontefice per vero sangue del Redentore, contro l‟opinione dei miscredenti, così non deve oppugnarsi la nostra. Nella città di Dorica nella Spagna si conserva un corporale bagnato di sangue del Redentore a causa che, dovendosi dagli Aragonesi dar battaglia ad un castello chiamato di Chio, posseduto dai Mori con l‟aiuto di 2000, e quelli con pochi, risoluti di cimentarsi con detti mori, risolsero la mattina sei capitani di cibarsi col pane eucaristico, trattanto si diceva la Santa Messa. Li Mori osservando dalle tende per investire i cristiani, li quali lasciando di udire la messa si diedero contro li detti Mori, li quali furono vinti e disfatti. Tra tanto il sacerdote, o per paura o per riverenza del sacrifizio, involge prestamente e nasconde nel corporale le sette ostie consagrate e si pone in salvo. Dopo della vittoria spianò i lini che coprivano le ostie sagrosante e si trovarono molli di un vivo sangue, avendo Gesù pugnato per i cristiani ( De Roga, nella “Storia della Spagna”).

1 Indagare sul fatto.

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2. Il miracolo operato dalla Reliquia di Saponara su una donna che non produceva latte per il suo nato.

Ma è d‟uopo comprovare questa verità da molti altri stupendi fatti succeduti a taluni, che per mezzo della nostra sagrosanta reliquia, han ricevuto le grazie domandate, non meno in tempo antico che dopo la invenzione di quell‟altra, che si raccontano da persone degne di tutta la intiera fede, oltre di quelli annotati di sopra. Attesta il Rev. Sig. Can. D.Giuseppe Caputi Santelmo, confessore vecchio nella collegiata e poi delli due monasteri di S. Croce e di S. Giov. Battista, di donne monache, uomo peraltro di probata vita, che essendo egli giovane di 23 anni circa ed anche servendo la chiesa da sagristano, una bella mattina, poiché dalla detta chiesa erano usciti tutti ed egli già stava per serrare la porta, ed essendo altresì solo, si vide avanti una bellissima, ben disposta, vestita di bianca gonna forastiera, siccome appariva dall‟aspetto, la quale, genuflessa avanti di lui, con le lagrime agli occhi , li chiese per carità con l‟olio della lampada quale ardeva avanti la sacra reliquia il suo petto, un segno di benedizione delle sue mammelle, le quali con tutto che in apparenza grandi di mole, erano però sterili di latte, per allattare il bambino che diceva avere: tenendo con certa e vera fede che tale unzione ella ricevuta avesse, al certo avrebbe ottenuto la grazia della sospirata abbondanza del latte, a guisa della donna “emorroissa” narrata da S. Matteo2, cap. 9, n. 21.

Il povero Giuseppe allora subdiacono, confuso della richiesta fattali e dal pericolo imminente al quale si esponeva se eseguiva ciò che la donna li chiedeva, replicò non essere egli sacerdote, ma che fusse andata in altro tempo, quando ve n‟erano in chiesa; ma la donna importuna della viva fede che le avvampava il cuore e non volendo perder tempo a conseguir quanto bramava, li replicò che ella non poteva ritornare in altro tempo e non necessitava essere unta da mano di sacerdote, ma bastava che quell‟olio le fusse applicato al suo petto . A questa importunità, conoscendo il Caputi la gran fede della giovane, per divina ispirazione li sovvenne di far prendere, siccome già fece, il di lei faccioletto3, lo intinse nell‟olio della lampada e lo diede in mano alla giovane, perché con le sue man i ella stessa si fosse unta, siccome già fece in sua presenza. E ciò fatto, ambedue se ne andarono dalla chiesa.

La mattina seguente il suddetto Caputi vide la stessa giovane ritornare in chiesa tutta gioliva, sia pure con le lacrime, ch‟erano d‟allegrezza, agli occhi, e corre dentro la mentovata cappella, ed essendo egli accorso e domandatala che vi era di nuovo, li replicò: “ Sono venuta a rendere le dovute grazie al prezioso sangue di Cristo del benefizio e grazia dispensatami, avvegnachè io non facevo tanto latte che avesse potuto bagnare le labbra del mio figliuolo ed essendo povera, non avevo modo che farlo allattare. Ora dopo untami con quell’olio benedetto che voi mi destivo, ne fo in tanta abbondanza che potrò allattarne due”. Laonde, pieno di sagra confusione, genuflesso avanti l‟altare, ringraziò anche lui la sacra reliquia, che si era degnata consolare quella povera giovane; poiché siccome il prototipo, dico Gesù, se alla donna evangelica fè cessare il flusso del sangue, che per tanti anni travagliata l‟aveva, a costei diè gran copia e abbondanza di latte.

2 Voce dotta dal greco haimorrousa “che soffre per fluire (reein) (perdite) di sangue (haima). Qui si allude alla donna che guarì

toccando le vesti di Gesù. 3 Fazzoletto

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3. Una donna di Tramutola che non credeva nella Reliquia vide comparire del sangue nella madia mentre impastava la farina.

Di non minore conseguenza parmi il fatto, che qui soggiungerò, decantato e vieppiù rimembrato tra gli nostri contadini e registrato con suo pugno dal fu Rev. Can.D.Giov. Toscano, Notaro Apostolico e uomo di probata vita. Cioè che circa l‟anno 1685, nella Terra di Tramutola, siccome le altre convicine, non è stata mai la seconda nella venerazione della sacra reliquia, al quale effetto ed uomini e donne senza intermissione, in buona parte sono stati soliti conferirsi nella Saponara, negli venerdì di marzo per espiarsi dei peccati commessi e guadagare quelle indulgenze che in quei giorni erano concedute alla visita della suddetta cappella, oltre il rendimento delle grazie per i benefizi ricevuti. In uno dei detti giorni, certe donne, l‟una con l‟altra s‟andavano invitando per andare alla Saponara, dicendo: “Andiamo al sangue di Cristo, alla Saponara”; e nel mentre andavasi invitando, di quelle donne trovassene una così scioperata e senza senno (locchè fu al certo per divina permissione, per accreditare la sacra reliquia), che nel mentre le fu fatto quell‟invito “Andiamo al sangue di Cristo alla Saponara”, rispose: “Quando il sangue di Cristo viene qua, allora vado là”. Ed avuta una tale imprudente e sciocca risposta, le altre buone donne si avviarono verso la Saponara, non facendo conto della misericordia di quella loro vicina insensata. Appena partite costoro, quella sciocca donna, che aveva eruttato quelle parole, prese per ammassare certa farina, o per fare il pane o altro cibo, ecco che invece di mischiare acqua dentro la farina, si avvide mischiarsi sangue vivo. Sbigottita la donna da quello più che strano accidente ed essendo rimasta tuttavia stupefatta ed estatica, non sapendo che si pensare, si avvide che in ogni luogo ove ella si voltava riguardava sangue. Allora tutta piena di spavento, gridando uscì di sua casa dicendo: “Sangue di Cristo, ti cerco perdono”. Ed essendo accorse altre vicine, raccontò loro quanto le era accorso,

congetturando di certo che a sua confusione il Sangue di Cristo si era fatto conoscere da chi non le credeva: che subito poi non fu da altri veduto.

Laonde allo stesso punto, con le lacrime agli occhi, a piè nudi e scapigliata, accompagnata da altre donne, si condusse in Saponara a chiedere perdono delle scioperate parole proferite e raccontò al pubblico il fatto succedutole, quale fu registrato, come ho detto, dal Can. D. Giov. Toscano dietro un suo libro.

4. Un giovane peccatore spinto alla confessione dalla Santa Reliquia.

Questi ed altri meravigliosi fatti, che da tempo antico, per tradizione dei vecchi si raccontano per accertati, anzi sarebbe un non finirla se tutti qui volessi registrare, ne addurrò bensì altri che di fresco si sono uditi dopo questa nuova invenzione4 seguiti più nello spirituale che nel temporale.

Attesta il Can. D. Giov. Battista Ramaglio, mio fratello, anche Confessore di ambedue li monasteri suddeti ed Economo della nostra Collegiata, che in un giorno della festività della traslazione della sacra reliquia in quello spressato5 della donazione, cioè nell‟ottava del Santo Rosario, li giunse un penitente costituito in ordine del diaconato, il quale, immerso nelle sozzure della disonestà con la frequente recidiva e con circostanze che rendevano il peccato riserbato, asserendo aver conosciuto la conoscenza indurita in vomitare quel veleno ai piè del confessore. Ora il giorno avanti della suddetta festività, la sua druda, discorrendo fra essi loro, quasi scherzando li disse: “Andiamo

4 Ritrovamento da parte di Ippolita Spinelli.

5 Già riferito.

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domani a confessarci alla Saponara”, sapendo già la festività. Ma egli, poco curando di tali insinuazioni ed avviso, lo pigliò a scherzo. Iddio, però, non volleabbandonarlo, con altri impulsi del suo divino spirito: poichè quella proposizione fattali dalla impudica donna fu un continuo martello alla infracidita coscienza del giovane, stimolandolo a metterla in esecuzione. Ma egli, più duro del sasso, ributtandola, dispregiava la divina chiamata. Ma il Sangue di Cristo, sparso per lui e per tutti, che “stat ad ostium et pulsat”, non cessò con continuate percosse al di lui indurato cuore, al vomito totale dei di lui velenosi cibi. “Andai a letto – diceva egli al confessore – ma tutto angoscioso ed inquieto non potei prender sonno e riposo, per dimenticarmi di quella insinuazione fattami, benchè dalla donna impudica, ma dallo Spirito Santo, consentendo alle suggestioni dello spirito maligno; e tra le angosce dello spirito e le inquietudini dell‟animo e del corpo ancora, che non sapeva in qual sito dimorare, a guisa di un furioso febbricitante, prevalse il Sangue di Cristo per me sparso e per tutti. In un subito mi sono alzato dal letto e di notte tempo mi sono avviato per la Saponara, parendomi la distanza di dodici o quatordici miglia un delizioso dipinto, e qui giunto, con anzietà mi son gettato ai vostri piedi”. Sicchè confessando e appalesando al confessore i suoi peccati e ricevendo da quello le salutari ammonizioni a guisa della Maddalena pentita, ricevè la sagramentale filiazione; e rendendo alla Sacra Reliquia le dovute grazie di quel singolare benefizio, con serenità di coscienza, lieto e festante, ritornò al suo paese, confessando altresì al detto suo padre spirituale che quella grazia l‟aveva spronato incessantemente e battuto il cuore indurato a portarsi in Saponara e prosciogliersi da quei lacci infernali.

5. Un indemoniato spinto alla confessione dalla Sacra Reliquia.

Di maggior conseguenza parmi che sia il fatto raccontatomi dal rev. Sig.can. D.Carlo Toscano, anche con l‟esercizio del Sacramento della confessione; per una mattina di venerdì di marzo, essendo concorsa una gran moltitudine di popolo, fu di mestieri che la sacra reliquia si trasportasse sull‟altare maggiore per soddisfazione di tutti. Dopo finita la funzione e riportatosi al suo luogo nella mentovata cappella, stando egli il Toscano avanti la medesima col tavolino, per riscuotere qualche limosina dai fratelli, essendo procuratore, ecco che se li fè avanti un uomo malaticcio, mal sano, col bastone alla mano, col quale appena si sosteneva in piedi, che disse volersi riconciliare, e credendo in effetto esser così, all‟impiedi accostossi ad un altare vicino, che è quello della santissima Concezione, per udire ciò che gli occorreva. Ma quando credevasi trovar come da poco e da svilupparsi al soffio e con la stessa positura all‟erta in uomo quasi usato dal sepolcro, trovò uno scoglio che richiedeva lunga discussione. Avendo udito che la di lui anima era illaqueata6 con un peccato mortale di bestialità, commesso 14 anni addietro e che giammai confessato se l‟aveva, il confesore, conoscendo che vi bisognava del tempo e li correva una necessità del corpo7, lo lasciò per un poco e, ritornato, postosi più adagiatamente ad udire di quel meschino la confessione, incatenato dal diavolo; questi, cominciando dal principio ad accusarsi di quel peccato, confessò che per vergogna giammai l‟aveva voluto palesare, non meno ai confessori del suo paese, giacchè il pen itente era forestiero, ma tampoco in tempo di santa missione che ivi era stata, oltre delli giubilei, anzi nonostante la buona salute ultimamente inciampato in una grave infermità che già

6 Presa al laccio.

7 Doveva andare al bagno.

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l‟aveva tolto di vita, riducendosi ad estremarsi. Per la qual causa egli era così convalescente che appena reggevasi in piedi. Pure la vergogna li aveva tolto la lingua per manifestarlo. Ed avendo il confessore con paterna carità voluto qual giudizio egli, il penitente, avesse fatto di quel peccato per cui aveva fatte le confessioni nulle e sacrileghe per le quali era indubitabile che trabalzava nell‟Inferno, il penitente rispose: “Io stavo di tal maniera offuscato nell‟intelletto, che non pensavo a nulla; anzi l‟esser venuto qui in Saponara non è stato per vero e fermo proponimento di confessarmi; poiché, abbenchè partito mi sono della casa con questa intenzione, nondimeno stavo in siffatta guisa agghiacciato e senza menoma disposizione di confessarmi, che avevo pensiero di ritornarmene senza confesarmi.

Ma accostandomi in questo indeliberato proposito tra il si e il no in questa chiesa, nel mentre che la reliquia del Sangue di Cristo si è trasportata dall‟altare maggiore per riponersi nella sua cappella, passando avanti me ed accompagnando anch‟io esternamente la devozione di tutti verso la preziosa reliquia, col cuore però aggiacciato e indurito come sasso, mi ho inteso nel petto un interno calore, come un fuoco vivo al cuore, e nella mente mi suggeriva: “Mò vatti confessa, mò vatti confessa”. E con questa spinta spirituale datami dal Sangue di Cristo, da me con gli occhi riguardato ed adorato estrinsecamente, mi son mosso e disposto a confessarmi quello che per tanti anni e per tante occasioni diverse taciuto m‟avevo. “Laonde, conoscendo aver fatto le confessioni nulle, con l‟aiuto del confessore, per quanto potè raccordarsi, degli altri peccati fè una general confessione; dei quali ottenutane la sacramentale assoluzione, si spera certamente avere avuto il perdono. Parmi che il Redentore oprò con quest‟anima siccome fè con S. Pietro.

6. Due interventi miracolosi della S. Reliquia ottenuti dalla moglie dello stesso Ramaglia.

Di questi portentosi successi ne potrei addurre moltissimi per le continove grazie che dai fedeli si son conseguite con la sola invocazione del Sangue di Cristo che si conserva nella nostra Collegiata, del che posso di mia cosa farne testimonianza, essendosene stato beneficato in due casi gravi ed urgenti d‟infermità e pericolosi ambedue, in persona di Carmina Veglia, fu dilettissima mia consorte, la quale ai 9 maggio 1736, trovandosi in un parto quanto laborioso altrettanto pericoloso, indi fu liberata dalla sola fede di avere addosso la chiave dello stipo della sacra reliquia, che in tempo di notte non potè aversi: col dare alla luce una bella bambina, quale si chiama Rachele, senza ulteriore pena. Ed un‟altra volta nel mese di settembre dello stesso anno, sorpresa da un fierissimo ed acuto dolor di testa, che scendeva per tutto il collo e le spatole, con tali spasmi veniva tormentata, che non riposando né giorno né notte, né valendo l‟applicazione di molti medicamenti, era ridotta con l‟effigie di cadavere e quasi esanime, quand‟ecco, rivoltasi al patrocinio della sacrosanta reliquia ed ottenuto uno zingarello8 ch‟era stato legato ad una chiave dello stipo suddetto, ligatolo alli di lei capelli, in un subito e meravigliosamente cedè il malore, senza applicarvi altro medicamento, ristabilendosi a poco a poco nelle forme perdute, riconoscendo aver ricevuto quella grazia singolare della Sacra reliquia. E noi tutti di Saponara, ed in generale ed in particolare, confessiamo in sincera verità che, se non fusse per questo sacro pegno della divina pietà, saremmo subissati9 all‟Inferno per le tante colpe si commettono con tanta perversa iniquità contro un sì benefattore.

8 Laccio

9 Scaraventati

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CAP. LVI

SI RAPPORTA LA MANIERA IN CUI LA REGINA DEL CIELO HA APERTO L‟ERARIO DELLE SUE GRAZIE A PRO‟ DEI SUOI FEDELI, IN UNA CAPPELLA SITA NEL TENIMENTO DELLA SAPONARA, CHIAMATA DI “GRUMENTINO”, SOTTO L‟INVOCAZIONE DI S. MARIA DELLA SALUTE, O PURE SALUS INFIRMORUM.

1. La cappella vicino al torrente Grumentino.

Non ha giammai l‟Imperatrice dell‟universo Maria SS.ma, per consolazione de‟ suoi divoti fedeli, mancato di tempo in tempo destinar luoghi, ove Ella dispensar dovea le sue grazie anco per comodo di quelli, siccome le è parso spediente1.

Nella nostra Lucania se ne annoverano molti ben chiari e noti, or con più, or con meno frequenza di concorso di popolo, che Ella stessa con modo prodigioso ivi ha voluto dispensar le sue grazie, dei quali si fa lunga descrizione dal Beato Serafino Montorio nel libro intitolato “Il divoto di Maria”. E chi si raccorda di quanto dissi della chiesa di S. Maria delle Grazie, del nostro tenimento, non fu forse quella con sua prodigiosa volontà fatta costruire e più secoli mantenutane special venerazione col concorso di tanti popoli che per loro comodità concorsero all‟edifizio di molte stanze di case, e da molti anni per qual cagione si vede abolito quel concorso? E la chiesa non si vede più

addobbata di tanti ceri e voti in segno delle grazie ricevute come prima? Ella stessa, per suoi giusti fini, opra come le pare spediente. Ma per dar principio al discorso del nuovo erario da Ella stessa per nostro bene aperto, ed essendosene piaciuto sostituire quel concorso nella chiesa di S: Maria delle Grazie, ma in un‟altra, sono a dire che in un tempo antichissimo, nella contrada chiamata Grumento, della quale si è fatto discorso nel II cap., tra due boschi, l‟uno chiamato Guardemaldo2, verso tramontana, ed un altro chiamato il Casal Pedone, verso oriente, un tiro di balestra distante dal fiume o sia torrente chiamato Grumentino, fu edificata una piccola cappella in luogo piano ed anche

ameno, con la porta verso oriente, lunga palmi 22, larga 18, e per diritto alla porta l‟altare su del quale il nicchio tutto rivelato fuor del muro, in forma di semplice stipo, costrutta una effige di rilievo, di stucco, della beatissima Vergine3, in forma sedente col bambino Gesù all‟erta, tenuto con la mano destra e nella sinistra un libro chiuso, per comodo, siccome è probabile, o del Casale Grumentino di cui si sono ritrovati

“Salus infirmorum” o Madonna del Grumentino

1 Giusto, conveniente.

2 “Guard” in longobardo indicava il “bosco”. In dialetto grumentino divenuto “Uard‟mmàur”

3 Vedasi foto nella pagina.

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alcuni edifici antichi, o pure dell‟altro casale chiamato Pedone, prima situato in quel boschetto verso oriente , ove ancora si divisano le rovine e segni di edifizi, con due altre stanze di case adiacenti, lungi dalla città di Grumento distrutta circa mezzo miglio, ed ora dalla Saponara un miglio. La tradizione antica ci fa avvertiti che quivi avesse fatto dimora il glorioso S. Luca Abate, se pure non avesse egli stesso restaurata o edificata, in tempo che dimorò nel monistero di S. Giuliano, sì da una pittura di un santo Prelato, col bacolo alla mano, che si osserva in un parete, sì anche da un‟altra riflessione che si addurrà più avanti: prima però di andarsi al castello di Armento, dove fè molti miracoli e morì nell‟anno 993, ai 23 Novembre, siccome costa dalla sua vita che tengo scritta a penna.

Seguendo la tradizione a noi più fresca, la suddetta sacra cappella e l‟effigie di Maria SS.ma ivi esistenti, nei trasandati tempi fu di tal guisa coltivata, non meno da Saponariensi, Grumentini, che da forestieri che ne solennizzavano la festività la domenica in Albis, anche con l‟esercizio di pubblico mercato, o pur come chiamano, di perdonanza; e si mantennero in piedi le due casette per comodo di un romito. Ma poi per le vicende dei tempi, così permettendo la stessa beata Vergine a nostra confusione, in siffatta guisa si agghiacciò la venerazione dei divoti, che, dismesso affatto il concorso dei forestieri, si alienarono anche i Saponariensi dal dovuto culto, di modo che, restando desolata, senza veruna guida, le due stanze rovinate a terra, a mala pena restò in piedi la cappella, ma in che maniera!

Da tempo in tempo profanata senza porta, quasi discoperta di tetto, l‟altare e la statua della beata Vergine rovinati dai curiosi di trovar tesoro e quasi cadenti, insomma ridotta un ricettacolo di animali, in un foltissimo spinaio che appena malagevolmente vi dava l‟ingresso, e solo facevala comparire chiesa una immagine della stessa Regina del cielo dipinta a fresco nel muro della Cappella, a mano destra della porta, coverta con due tavole, che a gran maraviglia, con tutta la inclemenza dei tempi e delle stagioni, si è conservata sin dall‟anno 1593, siccome apparisce dalla iscrizione, come se di brieve fosse stata dipinta, che al certo muove i risguardanti alla più devota venerazione.

Negli pareti poi si divisano molte pitture antiche, fatte dipingere da particolari divoti, c ioè allo stesso muro dov‟è l‟altare in cornu Evangelii, v‟è l‟effige della Madonna dell‟oliva; in cornu Epistolae, di S. Maria di Loreto, sedente sopra la casa santa; S. Lucia da una parte S. Maria Maddalena dall‟altra. Nel muro laterale della stessa banda , quella di S.Luca abate, benchè schizzata dall‟acqua, siccome si stima, oppure di S. Cataldo, e di S.Antonio abate.

Nell‟altro muro laterale, in cornu Evangelii, l‟effigie di S. Leonardo, quella della beata Vergine, con di sotto S. Leonardo e di S. Caterina; un‟altra che si stima di S. Cosma e un‟altra S. Apollonia.

2. L’epidemia di pleurite in Saponara agli inizi del 1739.

Or nel mentre per così dire tale influenza per disavventura cappella ridotta in sì lacrimevole stato, non potendo più la gran madre di Dio soffrire un tanto sfregio e disonore, che per tanti anni per la sua pietà e misericordia, delle quali Ella è la madre, sofferto aveva, ecco che, principiando l‟anno 1739, cominciò a travagliare la Saponara con morbo epidemico di pleuritide, o sia di punte sì fiere e crudeli che avevano atterrito non meno gli abitanti che i forestieri, poiche gli ammalati ne morivano due o tre al giorno, senza dire gli ammalati, che erano innumerabili, e continovando per tutto febbraio, aveva ad ogniuno incusso tanto timore,

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che dubitavasi essere specie di peste, essendone morti più di 704. Verso la fine dello stesso mese, la stessa madre delle misericordie, avendo pietà delle miserie e angustie del popolo saponariense, e, per così dire, non bastandole l'animo di affliggere un luogo ove conservavasi il sangue del suo unigenito Figliuolo, e volendo altresì esserle restituito quell'antico culto e venerazione che in quella cappella se le prestava, degnossi farlo avvertito della rovina e desolazione che li soprastava, tenendola così più tempo profanata, a quale oggetto s'era insinuato quel morbo.

3. L’apparizione della Vergine ad una monaca di S. Giovanni Battista.

E delle grazie che in quella con la dovuta venerazione dovea conseguire appalesando questa singolare protezione e gran misericordia, ad una sua diletta serva e più che proba, religiosa claustrale del monistero di S. Giovanni Battista dell'ordine carmelitano della nostra città, che chiamasi Suor Maria Carmela Arleo, della terra di Craco, la cui retta via ed eroiche virtù furono da principio cominciate a descrivere dal Can. D. Giov. Battista Ramaglio, mio fratello e confessore di quel monistero, e poi continovata dal suddetto rev. can. D. Giuseppe Caputi. Costei dunque appalesò al suddetto Caputi suo confessore, oltre di quelle cose che palesarsi non volle, la revelazione o fosse stata visione della Vergine, acciò avesse fatto sentire al popolo di Saponara, che se con affetto voleva essere libero da quel presentaneo flagello ed in avvenire ricevere simili ed altre grazie, con averla per special protettrice, avesse ristabilita la mentovata cappella, perché ivi avesse potuto avere la dovuta venerazione; altrimenti le sovrastava la desolazione. Il riferito Can. Caputi, sapendo la qualità della religiosa, dando credito alla di lei replicata presentazione, considerando altresì di dar venerazione non a qualche uomo, ma alla Vergine SS.ma, pubblicò il segreto; annunciò sì felice avviso al popolo, che in buona parte, in giorno di domenica, appunto il 1° del mese di marzo, stava recitando il SS.mo Rosario nella cappella alla Piazza sotto quella invocazione, ed insinuandoli altre spirituali ammonizioni e racconti.

4 La nostra ricerca sui libri parrocchiali della Chiesa di S. Antonino di Grumento Nova (Cfr. V libro dei Defunti, 1734-1782) ha evidenziato la

morte di 25 persone nei mesi di Gennaio e Febbraio del 1739. Pare che Ramaglia abbia un po‟ esagerato nel aumentando iperbolicamente il

numero delle persone morte, a meno che i deceduti in campagna non fossero stati registrati e seppelliti in tutta fretta per paura del contagio.

Ad ogni buon conto i morti da noi rilevati sono i seguenti:

1) 4 Gennaio - Angela Falasca, figlia di Carlo, monaca, anni 64 /2) 6 Gennaio - Carlo Landolfo, figlio di Francesco, anni 55/ 3) 8 Gennaio -

Giovanni Ant. Ciuffo, figlio di Domenico Ant., 1 giorno 4) 15 Gennaio - Rosa Pennella, figlia di Niccolò, anni 2 / 5) 20 Gennaio - Maria Teresa

lanneo, figlia di Carlo Ant., giorni 4 / 6) 20 Gennaio - Maria Boniello, figlia di Guglielmo, anni 36 / 7) 20 Gennaio - Rosa Galotti, della Terra del

Casaletto, anni 50 / 8) 27 Gennaio Antonia Martuccio, figlia di Giovan Giacomo, anni 70 / 9) 27 Gennaio Natale Montesano, della Terra di

Gallicchio, anni 63 10) 1 Febbraio - Domeníco Ant. Gilibetto, figlio di Carlo, anni 25 11) 4 Febbraio - Antonia di Majo, figlia di Giuseppe, anni

50 12) 7 Febbraio - Rosatia Caputo, figlia di Giovanni, mesi 4 / 13) 9 Febbraio - Giuseppe Toscano, figlio di Francesco, anni 34 / 14) 10

Febbraio - Francesco Caputo, figlio di Giovanni, anni 25 / 15) 10 Febbraio - Mastro Antonio (conciatore di scarpe-forast.) anni 60 / 16) 10

Febbraio - Anna Lagrutta, figlia di Giuseppe, anni 40 / 17) 13 Febbraio - Antonia Falotico, figlia di Marco, anni 30 / 18) 17 Febbraio - Vincenzo

Caputo, figlio di Giovanni, anni 80 / 19) 18 Febbraio - Teresa Tornese, figlia di Giuseppe, anni 25 / 20) 19 Febbraio - Rosa Liuccio, figlia di

Giuseppe, anni 24 / 21) 20 Febbraio - Eugenia Merola, monaca, di Pietrapertosa, anni 64 / 22) 22 Febbraio - Orsola Giannone, figlia di

Giuseppe, anni 59 / 23) 22 Febbraio - Giovanni Caputo, figlio di Vincenzo, anni 70 / 24) 24 Febbraio - Vittoria Lombardo, figlia di Giovanni,

anni 32 / 25) 26 Febbraio - Giacomo Canovo, della Terra di S. Mauro, anni 25

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Quel popolo ivi ragunato appena ciò intese, conoscendo il torto che alla madre di misericordia si era già fatto, con

dirotte lagrime e gemiti di compunzione subito allo stesso punto si mosse, accompagnandolo il suddetto Can. Caputi ed altri ecclesiastici, e si condusse in forma di penitenti a chiedere pietà e misericordia alla Regina del cielo in quella deserta cappella e promettendole di restituirla nel suo diritto,culto e venerazione, cominciò in quelle poche ore del giorno a troncare le spine e i roveti che d'intorno erano cresciuti. E dando di piglio alla restaurazione, di giorno in giorno non si mancò dall'intrapreso lavoro, chi trovando legnami, chi calce, chi imbrici e chi una cosa bisognevole e chi un'alta.

4. Il primo Marzo 1739 cessa il morbo pleuritico, si riatta alla meglio la Chiesetta e la si pone sotto l’invocazione di “Salus Infirmorum”.

E perché da quel 1° di marzo prodigiosamente si vide cessare la mortalità, a riserba di un solo che morì alli tre, e successivamente cessò il morbo, che da malegno si ridusse benegno, fattosi più animoso il popolo della grazia ricevuta, per più assistenza e cura frettolosamente accomodò in guisa tale cappella e l'altare, avendo in ciò particolar cura ed attenzione non meno il suddetto Rev. Can. Caputi che il chierico Gaetano Di Lorenzo e Carlo Mollica, oblato dell'ospedale della SS. ma Annunziata, per cagion di una massaria che ivi contigua teneva, che tra lo spazio di 15 giorni più la Domenica in Albis, giorno in cui abitualmente si rammemorava la festività, si rese abile alla celebrazione della santa messa, che fu ai 5 aprile5. E volendo il popolo mostrare più attenzione e far più sontuosa la festività, non solo che vi fè bandire pubblico mercato, ma di vantaggio preparossi un considerabile sparo di archibugi, e molte persone a guisa militare a cavallo nel giro accompagnando la solenne processione, che da tutto il Rev.mo Capitolo e copioso popolo si fece. E con effetto seguì a meraviglia. Ma perché subito per i contorni paesi precorse la fama delle grazie dispensate alla nostra città, dai medesimi concorse gran gente per chiedere anch'elleno grazie alla SS.ma Vergine, che apportorno al certo somma confusione. E perché anch'io dovevo andare a render grazie alla Vergine sagrosanta per aver liberata dallo stesso morbo Carmina Veglia, mia consorte, che stava tuttavia convalescente, vi andassimo il dopo pranzo, in tempo che la calca della gente non era sì copiosa, e nel mentre stavamo indegnamente orando, il riferito Can. D. Giuseppe, infervorato della venerazione della Vergine SS.ma, per animare il popolo alla divozione e concorso di quel sacro luogo, non potè contenersi dal manifestare altre cose ch'Ella manifestate aveva alla sua divota religiosa, che in quei primi tempi volle si fussero pubblicate.

Disse che ella, avendo in ispirito veduto uscire dalla sacra cappella una quantità innumerevole di stelle verso il cielo, ne supplicò la stessa Madre di Dio, perché si fosse degnata indicarle che cosa significavano quelle stelle, e le fu risposto: "Figlia, queste stelle sono tutte le orazioni e preghiere che i miei devoti spargeranno in questa cappella davanti alla mia effigie, che io per loro bene offrirò al mio benedeto Figliuolo".

Un'altra volta la stessa pia religiosa anche in ispirito vide uscire dalla stessa cappella un numero infinito di ramaglietti di fiori e rose, che pur givano verso il cielo, ed ella con la solita santa curiosità ne supplicò peranco la Vergine SS.ma a dimostrarnele il significato; ed Ella replicò: " Questi sono le preghiere che i miei divoti faranno in questa cappella,

5 La Messa venne officiata dall‟Arciprete Antonio Perrone e in tale occasione venne imposto alla Vergine il titolo di “Salus infirmorum”

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che io come tanti ramaglietti per loro bene rappresenterò al mio benedetto Figlio, peraltro sdegnato per i loro peccati". Laonde tutti gli astanti restarono e consolati da simile relazione e animati alla continova venerazione del sacro luogo, sapendo altresì la ottima fama che percorreva della suddetta religiosa.

Disse di vantaggio il suddetto Can. Caputi che la Vergine SS. per allora desiderava che le fosse accesa la lampada due volte la settimana, cioè il mercoledì e il sabato, poiché il veniente avrebbe lei provveduto. E tanto seguì: Chè da quel tempo giammai è mancata d'accendersi ogni giorno: anzi continuo si dispensano innumerabili caraffine ai divoti dei quali con l'unzione di quell'olio hanno sperimentato e sperimentano infiniti miracoli. Così volendo la medesima Vergine per consuolo di cui l'implora da tutti questi ragionamenti ed avvisi niuno fu che per dirotte lagrime no navesse domandato perdono delle colpe fatte per fuggirle in avvenire.

Non sapevasi qual titolo d'invocazione si dovesse dare a quella sacra immagine, giacchè particolare non si sapeva, ma solo si appellava “S. Maria di Grumentino”.

Poi per la grazia ricevuta della sanità non meno corporale che spirituale, si come si attesta dai Rev. confessori, le si diede la invocazione di “S. Maria della salute”, facendosi scrivere nella parte superiore del nicchio, che subito con pulizia si costruì di stucco, il titolo "S: Maria, salus infirmorum, ora pro nobis"

5. Suor Maria Arleo di Craco.

In quelle prime settimane per molto tempo fu udito da più persone un rumore sotto la stradella dell'altare, come se fosse stato di serpi e sorci, tanto che su questo sospetto alzatasi più volte la predella, non vi si trovò cosa veruna. Ma continovandosi a udire quel rumore, una donna che sola un giorno si trovava facendo orazione, udendo lo strepito, ne concepì tanto timore che quasi cadde stramortita in terra, stimandosi da tutti, o fosse stato alcun segno soprannaturale, o pure il demonio, invidioso di quel bene si dava ivi da fare. E così fu: avvegnachè, andatane la notizia all'orecchio della religiosa, disse allo stesso suo confessore che tutto ciò era opera dell'infernale nemico per frastornare i devoti e per crepacuore e per invidia del bene che si doveva fare. Ma che si fusse stato di buon animi, poiché vi era la protezione di Maria SS., che non avrebbe permesso più tal rumore: siccome in effetto giammai più s'intese.

E perché si procurò al possibile per mano di un pittore per accomodare il viso in modo più leggiadro alla sacra effigie in statua e apparendo già vaga e maestosa, il suddetto Caputi in un discorso avuto con la sua penitente religiosa e narratole questo che la statua della beata Vergine di Grumentino le pareva molto bella e maestosa, quella sì rispose: "Con ragione doveva comparir tale, perché un tempo la stessa grande Signora era calata in persona in questa cappella e parlava per mezzo di quella effigie per consolare un suo divoto”. Ed essendo stato curioso il confessore di sapere chi fosse stato quel divoto, stimando che fosse stato o S. Luca Abate, che dimorò in detta cappella, oppure S. Francesco d'Assisi, che in questa città di Saponara fu, per edificare il suo convento, siccome si disse a suo luogo, li fu replicato che non fosse stato così curioso di saper altro, se pure in altro tempo, non glielo aveva notiziato.

Perché già di tutta la vita e fatti di questa venerabile religiosa non ha cessato né cessa registrarne le minuzie, col consiglio, annuenza ed autorità di Vescovi pro tempore, spiacendomi che non sarà per la nostra età la pubblicazione.

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Né posso tacere un fatto che mi fù riferito da una persona degna di fede, che il suddetto can. D. Giuseppe, negli principii dell'esecizio della confessione nel cennato monistero di S. Giov. Battista, volendo far pruova dello spirito della divota religiosa nel celebrar ch'egli fece la S. Messa nella chiesa di quel monistero, volle raccomandarsi al Signore acciò si fosse compiaciuto assisterla per non farla prevaricare; ma avanzandola sempre in meriti fosse stata di lui vera sposa, ad esempio non meno delle altre religiose che di chicchessia. Finita la messa, andò al confessionale, dove andò similmente ad accostarsi la penitente Maria Carmela, la quale per prima cerimonia li disse: "Padre mio, vi ringrazio del benefizio che mi avete fatto". E replicandole che non sapeva qual servizio le avesse fatto, ella replicò: " E quale altro servizio maggiore le aveva potuto fare più che averla raccomandata nel momento della messa al suo Signore e sposo? " Ciò inteso, non replicò altro. Ma poiché dai Vescovi fu proibito a lui e alla religiosa aprir la bocca, nulla si è saputo più. Ella però dalla infanzia per special grazia della Vergine SS. Fu prescelta per sua particolare serva. Poiché giunta con altre due sorelle in Saponara, con il già detto fine di monacarsi, ed entrare nel sacro serraglio, baciò quelle mura preparatele dalla Vergine per sua temporanea magione. Laonde volle nomarsi Maria Carmela, la 2a chiamossi Marianna e la 3a Rosa Antonia, amendue di ottime qualità e virtù.

Per ritornare al nostro interrotto tema, come che il prodigio si manifestò a grazia sì speciale conceduta alla Saponara dalla Regina dell'Universo non potevano stare ascosi, in siffatta guisa divulgossi la fama, che da per tutto concorrevano popoli, chi a rendere grazie dei favori ricevuti dalle di loro infermità e malori, chi ad esser partecipe della sanità perduta; perché, avendo la Vergine aperto l'erario delle sue grazie in questo luogo, niuno volle farne

privo, raddrizzando zoppi, liberando ossessi, paralitici ed altri malori prodigiosamente sanati. Dei quali lungo sarebbe qui il parlarne, non pure scriverne, e non pure la mia, ma non basteria la penna del Taumaturgo ad esprimerli come si conviene.

8. La costruzione della nuova chiesa del Grumentino.

La nuova chiesa, oltre dell'antica cappella, è lunga palmi trenta, larga palmi venti. La porta è costrutta di finissimi marmi bianchi, rattrovati nelle rovine dell'antica città Grumento, rattrovati nello stesso escavare certe propaggini nella vigna di Antonio Toscano, fratello del detto Can. D. Carlo, quali donarono detti marmi ad onore della beata Vergine, dei quali restò una lapide, siccome erano le altre, lunga palmi … larga palmi… alta o sia grossa palmi…(le misure mancano nel manoscritto).

Si faranno due altari sopra di quel vacuo; si è fatta erigere una convenevole cupola, che si sta ornando di stucchi e pitture. Al certo che può dirsi magnifica, e si spera osservarsi maggiormente tale, volendo così la stessa Maria per sua gloria e suo onore.

Ad un muro laterale dell'antica cappella, verso borea, si è destinato fabbricarsi la sagristia, anche per avere il comodo di un'altra stanza

La Chiesa del Grumentino, dopo il terremoto del 1857 (anno 1930)

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dalla parte di sopra. All'altro muro laterale, verso mezzogiorno, si fabbricò una stanza per comodo dei Rev. Sacerdoti, con di sopra anche della lamia della cappella, per comodo dell'oblate. E di mano in mano se ne fabbricheranno delle altre per comodo dei forestieri6, per i quali altro non v'è che due stanze costrutte di legname, che fecero da principio. Laonde la cappella, che era quasi cadente, ora con dette fabbriche si è resa più che forte.

Per dietro scorre l'acquedotto per un fonte d'acqua invero preziosa, che si è pensato fare scaturire avanti la chiesa7 per comodo di tutti, e sperando nell'aiuto della Vergine sacrosanta e con lo zelo fervente dei Rev. Capitolari, che, avanzandosi vie più la devozione dei fedeli, li doni, elemosine dei medesimi, ogni altra cosa venga a perfezione, ad onore e gloria della SS. Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo e della di loro figlia, madre e sposa Maria immacolata e sempre vergine. Amen, Amen, Amen. Insorse sul principio una pretensione del Sindaco della Università che per entrare con piede, o per meglio dire con tutti e due nell'amministrazione delle elemosine ed entrate che da queste si costituiranno, asseriva esser la cappella terreno demaniale e, per conseguenza, dell'Università; e pensava-opra per altro dell'infernale nemico per disturbar l'opera buona escludere afffatto il Rev.mo capitolo, anzi ne convocò parlamento. Ma quello dalla platea nella quale enunciavasi la cappella col largo avanti per comodo dell'Oblato essere stata descritta fra gli altri suoi beni, fe‟ dare addietro il sindaco e qualche altro cervello torbido, aggiungendosi da me la notizia che nel 1484, nel sinodo tenuto da Tommaso Malerba, questra chiesa fu descritta fra le altre capitolari, siccome si è detto a suo luogo8. Non mancarono taluni, per sgomentare la divozione dei fedeli, o per invidia, o per altro fine, adombrare questo Santuario, fucina delle grazie celesti, ed asserire che quanto erasi divulgato e grazie osservate e ricevute nella sacra cappella e con l'unzione dell'olio delle lampade era tutta invenzione dei nostri preti capitolari, per far profitto di messe ed altri lucri. Ma ben presto si avvvidero che la loro maldicenza s'avversava in contrario, senza però togliere dal loro cuore la ruggine dell'invidia, che loro macera nel temporale e nello spirituale. Nel temporale per gli ecclesiastici per la concorrenza delle messe o per la provvidenza che vi era per ogni sorta di persona che doveva quivi fatigare in ogni genere di mestiere; e per lo spirituale, veggendo la Saponara spallegiata da due potenti sopra li potentissimi protettori, cioè dal preziosissimo Sangue del Divino Redentore e della sua SS. Madre. Erami ricordato di un fatto assai memorando e degno di non essere taciuto, in segno previsto dal demonio sia dove doveva estendersi la nuova chiesa, che fè stordire chiunque se ne avvide, siccome fra altri fui io, fattone avvertito da chi prima l'aveva osservato.

Subito divulgatasi la fama di questo Santuario, tra gli altri concorrenti alle grazie di Maria vi fu un uomo di Pietrafesa9 chiamato Francesco, ossesso dal demonio da molti anni, d'età provetta ed avanzata, il quale, condotto da' suoi congiunti per liberarsi da quel maligno invasore, a gran forza fu tratto nella sacra cappella. Non mi accingo a descrivere gli urli, le strida, gli schiamazzi di quel poveretto, anche col bastonar se stesso, istigato dal maligno spirito;

6 Trattasi del romitorio che in genere si costruiva a fianco dei Santuari. 7 La posizione attuale della fontana presumibilmente è ancora quella originaria. 8 Vedasi Cap. XV, § 3 , Art. 6 del Sinodo. 9 Attualmente Satriano di Lucania.

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il quale, sentendo cantare le litanie, a quel versetto o sia elogio che si dà alla Vergine chiamandola Virgo potens, tutto si consumava in rabbia con i denti ed altri crepacuori. Non avendo il poveretto - così piacendo alla Vergine SS.. - ricevuto la grazia, si volle ivi trattenere sulla certa speranza di doverla conseguire, vivendo intanto delle limosine dei divoti che ne avevano cognizione e precise dei rev. procuratori. Ma giammai si vide entrare di buona voglia nella sacra cappella; ma condottovi a forza da altri per il fine di esorcizzarlo o di farli udire la S. Messa. Frattanto si andava procurando il materiale delle pietre, che si buttavano nel luogo ove oggi è la chiesa, e s'andava discorrendo quando doveva estendersi la nuova fabbrica, chi dubitando che, cominciandosi una mole grande, non vi fossero state forze sufficienti a perfezionarla, la volevano disegnare poco più grande della vecchia. Altri appoggiati alla fiducia della stessa Vergine, dicevano che un nuovo edifizio non poteva prendersi angusto, che poi non poteva ampliarsi, e che dieci palmi più o meno di fabbrica in simili congiunture non dovevano fare ostacolo al buon andamento, al buon disegno dell'opra proporzionata all'affluenza dei divoti: siccome eravamo io, il Can.Toscano ed altri di buon genio, talchè stabilivasi la nuova chiesa esser convenevole di palmi 30, appunto sin dove già costrutta.

Fra questi ed altri dibattimenti prima d'incominciarsi ad escavare i fondamenti, si vide, ed anch'io il vidi, fattone avvertito, che il suddetto Francesco, volendo adorare l'effigie sacrosanta, non entrava nel luogo ove oggi sta la chiesa, ma s'inginocchiava dirimpetto la porta della cappella, sopra certe pietre, fuori del sito dove è oggi la porta grande della chiesa, né giammai entrò in quel luogo vacuo prescritto se non a forza condottovi, che fu giusto motivo di accertarsi della grandezza della mole, che aveva già il demonio saputa, chè ivi doveva esser sempre flagellato e perdere dalle sue catene ed artigli anime di numero infinito per mezzo della S. Confessione e delle grazie della Vergine potente; e così fu fatto e si cavorno i fondamenti.10

Il muro della cappella e dov'è la porta e quell'effigie in pittura fattasi di sopra la volta, e ridotto in sicuro la chiesa, si diè a terra, restando la sola effigie predetta, avanti la quale si è costrutto un altare per darvi luogo ai sacerdoti celebranti nei giorni di concorrenza, sintanto che saranno costrutti li altri due altari, in uno dei quali si pensa di trasferire con matematica diligenza quel picciol muro che contiene la santa effigie, quantunque sarebbe più a proposito se si ponesse sopra la porta grande siccome stava prima. Ed esponersi all'adorazione di tutti li viandanti.

E prima di venire alla spiegazione delli portentosi fatti e grazie accadute, co‟ quali desidero illustrare quest'opra,quantunque dovranno essere autorizzati con documento apostolico, pure ho voluto annotarli per futura memoria, poiché i voti esistenti e le magnifiche fabbriche autenticheranno i miei rapporti. Voglio descrivere l'epigramma

10

La Chiesa venne ultimata nel 1754 (il Ramaglia era già morto nel 1750, per cui nel manoscritto non vi è menzione). Essa venne consacrata il 2 Luglio di quello stesso anno, dal Vescovo di Marsico Andrea Tomacelli (1744-1766, di Scilla) che fissò anche l‟annuale ricorrenza “in perpetuo” alla 3

a Domenica di Ottobre (come recita la lapide collocata per l‟occasione sulla parete

sinistra, guardando l‟altare). Il popolo non ne tenne conto e continuò a festeggiare la ricorrenza nella Domenica in Albis, durante la quale si svolgeva e si svolge una grande fiera. Con il capitale di 500 ducati offerti dal Dott. Giovanni Antonio Giliberti, successivamente fu anche istituito un Monte di Pietà. Con l‟arrivo in Italia Meridionale dei Francesi, il patrimonio del Santuario venne disperso. La Chiesa danneggiata gravemente dal terremoto del 1857 (Vedasi Mallet, op. cit., che la chiama erroneamente di S. Clementina) venne ricostruita nel lento volgere di 40 anni. (Cfr.”Racconto storico del Santuario Grumentino di Maria SS.”, Fr. P. Caputi, 1898, Rist. a cura di V. Falasca, Ed. Ermes, 2002). Vedasi foto del Mallet n° 77.

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composto da un divoto e fatto dipingere nel muro laterale in cornu Epistolae della cappella, come siegue:

"Ad virginem, de reddita sanitate propter morbum pleuritidis penem illapsa Saponariae civium” (epigramma)

Quis valet Virgo, nostri praestanda referre

reddita dum sanitas prodigiosa fuit? Utique nec chorus cantent, si carmina vatum Promat, nec quisquam munera quaeque tibi.

Excipe sed tantum confisi praemia voti, non enim vires reddere digna valent.

Praesens et domus dudum tentata ruinis Est nomini tandem restaurata tuo.

A.D. MDCCXXXIX (1739)".

E per venire già alla narrazione delle prodigiose grazie della Vergine della salute, seu Salus Infirmorum, concedute a' suoi divoti nell'addotto santuario, o con la di lei sola invocazione, quali fui molto curioso e bramante annotare: la prima che ottenne la grazia della nostra grande Signora fu Giulia Albano, della terra di Moliterno ….

(Qui sieguono altre 18 carte di grazie miracolose fatte a persone di vari paesi, le quali si indicarono dettagliate per paternità, patria, infermità, guarigione ecc. Fra gli altri è riferito di un Rev. D. Antonio Beneventano juniore, di Sasso, il quale, non potendo muoversi, per un fiero dolore al ginocchio, scrisse una lettera in forma di supplica e la mandò pe' suoi paesani. La supplica aveva di fuori: "Alla gran Signora Maria Salus Infirmorum - Per il sacerd. Ant. Benevent." Dentro: " Gran Signora Maria…" .. Il Ramagli, dopo riportata tutta la supplica, dice: "Con effetto subito ricevè la grazia". Questo fu nel 1739. Annotazione del 1878 di Giacomo Racioppi).

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CAP. LVII

SI RAMMEMORANO ALTRI PORTENTOSI E STUPENDI FATTI ACCADUTI NELLA SAPONARA, DEGNI DI CONSIDERAZIONE PER UN FULMINE CASCATO E TREMUOTI.

1. Danni provocati da un fulmine caduto sul campanile della Chiesa Matrice il 22 Febbraio del 1742.

Siccome già dissi nell‟antecedente Capitolo, la Saponara può chiamarsi un Emporio della divina munificenza che con tanti mezzi vuole farl‟avvertita dal traviamento della sua santa legge, colla singolar protezione e dispensamento dellle sue grazie, avendosi costituito in pegno una porzione del suo Prezioso Sangue, accoppiato col patrocinio di

sua dilettissima genitrice di grazie infinite. Laonde non posso tacere altri due stupendi fatti, anzi dico soprannaturali, che son degni di eterna memoria, anche a confusione della nostra ingratitudine verso cotanti benefattori.

A‟ 14 di Gennaio 1742 giunse nella nostra città la Santa Missione de RR. PP. Pii Operari esercitataa da sei Sacerdoti ed ottimi Padri che furono il R. P. Francesco Guido Prefetto,

D. Tommaso Buono, D. Carlo Parlati, D. Michele Mascetti, D. Niccolò De Laurentiis, e D. Paolo Parisi,

li quali dovendosi ritirare alla di loro residenza in Napoli negli ultimi giorni di Carnevale, giacchè il primo di Quaresima cadeva ai 7 Febbraio, non poterono trattenersi più di 8 giorni, fecero due Communioni generali, una per i figlioli e figliole che non trapassavano i sedici anni, col farli andare processionalmente per la città il Sabato 20 Gennaio e la seconda per tutti la Domenica seguente anche in processione, accompagnando il Santissimo Sagramento dello Altare con altri divoti di penitenza.

Ma perché doveano trattenersi altri 8 giorni per i spirituali esercizi alle RR. Monache di ambidue i Monasteri di S. Croce e di S. Gio. Battista e doveano lasciare un santuario d‟indulgenze impartite dal Sommo Pontefice, piantando ed erigendo cinque Croci in onore degli cinque cinque Misteri della Passione di Gesù Cristo, determinassi far seguire questa funzione e far cominciare a godere al Popolo divoto di un un tanto Tesoro, il giorno 22, giorno in cui il nostro Capitolo solennizza la consegrazione o sia dedicazione della Collegiata.

In questo giorno adunque ad ora di Vespro poste in ordine le cinque Croci nella Colllegiata, dubitavasi che la funzione non sarebbe seguita per cagione della pioggia che apparia imminente, anzi cominciata; ma il P. Prefetto per zelo cristiano volle vincere l‟opera del Demonio, che cercava impedire la sagra funzione e ciò piovendo leggermente fe‟ avviare in modo di processione il popolo colle croci, che erano ben grandi fuori della Città ove è la Cappella di S. Maria di Loreto1, e siccome cominciò a piantarsi la prima Croce, così cresceva la pioggia, e così nel 2°, 3° e 4° punto,

1 S. Maria di Loreto è l‟attuale Cappella della Clemenza.

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che nell‟erigere la quinta, che fu avanti la Cappella di S. Matteo, si corrucciò in siffatta guisa l‟aere, che tuoni, fulmini, seu lampi e grandine , che quei buoni Padri non poterono proseguire il loro sermone, ma tutti bagnati, frettolosamente col popolo numeroso a gran fretta se ne ritirarono alla Chiesa per compiere il sermone.

Frattanto che durava la funzione di piantarsi le croci, io col Rev. D. Gerardo Ceramelli ci eravamo ricoverati dentro la cappella di S. Maria di Loreto2, per non soggiacere a quella inclemenza del tempo. Ma veggendo che tutti eransi ritirati, ancor noi frettolosamente ci avviammo verso la città, continovando sempre a piovere.

Giunti alla Piazza, trovata aperta la speciaria3 di Feliciantonio Alberti, in dove il dottor fisico dr. Antonio Pinnella (leggi Pennella), ivi entrassimo a prender fiato, sperando che fosse alquanto cessata la pioggia e poi andare alla chiesa; e nel mentre detti signori stavano seduti ad uno sgabello, io e lo speciale in piedi, essendo entrato Mons. Ant. Sarapo, più vicino la porta, discorrendo di cose indifferenti, meno di un mezzo quarto d'ora, in un subito ci vidimo avvampati da un fulgore di fuoco ed udimmo senz'altro strepito una botta, che in quell'istante giudicossi di bombarda o sia di mortaretto; ma poiché quei vicini alla porta si udirono percossi alle gambe, ed in quello stesso tempo entrò dove noi stavamo uno di Moliterno tutto sbigottito, giudicassimo essere stato tuono subitaneo e che il fulmine fosse stato sopra dell'orologio, tanto che m'affacciai verso la porta per vedere qualche cosa; ma in un subito udii un urlo. Francesco Alberti, che gridando "S: Antonio, aiuto, semo morti", che calava dalla Collegiata; lo ripresi a non far quelli urli e strepitose voci, mi replicò:

"Come non voglio gridare, mentre nella chiesa sono tutti morti per il tuono?". In udir ciò, non curando una gran tempesta di acqua e grandine, considerando essere ivi mio fratello e figli, e tra costoro una figliuola grande senza la madre che era rimasta alla casa, frettolosamente m'incamminai verso la chiesa; e prima di giungervi, già vidi detto mio fratello e i due figliuoli, che erano usciti dalla portella; ma non allentando i passi per andare a rattrovare la figliuola, quando fui sulla scalinata della chiesa vidi che si portava sulle braccia maestro Gaetano Biancullo, con la faccia tutta insanguinata e dagli occhi pareva uscisse certa materia bianca, come se fosse stata infranta la medolla del cerebro. Arrivato alla porta della Chiesa, trovai una gran confusione di gente che si andavano rattrovando con pianti ed urli. Eravi il suddetto R.P.D. Paolo Parisi, il quale diceva: "Vedete dove sia il predicatore, perché non si trova". Ciò inteso, concepii gran terrore, e volgendo gli occhi tra quella gente, già vidi la mia figliuola Maria Isabella, la quale, non avendomi più prima visto in chiesa, dubitando della mia vita, piangente e lagrimante, subito che mi vide, corse ad abbracciarmi per allegrezza vedendomi vivo. Ma volendomi trettenere alquanto per osservare tutto il successo, s'udì tuonare altra volta con strepito grandissimo. Dubitandosi di peggio, alcuni gridarono: "Uscimo, uscimo, perché ci morimo tutti". Prendendo per mano detta mia figliuola, in compagnia di altri me ne uscii, avanzandosi di tal fatta la pioggia ed i grandini, che per strada si vedevano torrenti d'acqua giammai veduti. Ma non curando mi ritirai alla casa. Ove giunto, si vociferò essere morto M.ro (Mastro) Domenico Sica; laonde, per saper la verità non curando essere tutto bagnato, ritornai alla chiesa, ed incontrai molti (che) si portavano storpi sulle braccia, siccome tu D. Niccolò Rocco e Francescantonio Paradiso; e s'avverò che il suddetto Sica fu creduto morto, come sorpreso dal lampo e

2 Al rione della Clemenza. 3 Farmacia, letteralmente “ove si vendevano le spezie”. Attualmente è la casa del Geom. Michele Laveglia e Francesco De

Cilla. Di fronte vi era la sede dell‟Università o Comune.

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perciò calpestato in terra da molti. Mentre Gaetano Biancullo di sopra rammentato fu riposto sopra un letto dei Padri Missionari, che abitavano davanti le gradi della chiesa ed apparendo spirante, se li diede l'assoluzione ai segni; ma si risolvè poi e stiede molto tempo a letto, curandosi una ferita che teneva alla testa; e quel bianco che teneva agli occhi era tutta calcina spruzzata dal fulmine. Egli però fu il più offeso, poiché restò lesionato negli suoi nervi ottici; onde appena guarda, senza poter esercitare la sua professione di legnaiuolo.

Credevasi al certo che fussero remaste molte persone morte; niuno però andò soggetto a tale sciagura, riservati per miracolo e grazia della gran Regina del cielo e della Immacolata Concezione, sotto i di cui auspicii erasi dagli stessi Padri fondata una Congregazione di fratelli, poiché dalli fatti seguiti ed acclarati che soggiungerò, buona parte, se non tutti coloro che erano in chiesa dovevano morire. Ma la plenipotenziaria Maria volle far seguire quel caso inopinato e portentoso, non solo per tenere i suoi fedeli refrenati nel santo timor di Dio, per non più trasgredire la sua santa legge; ma perché li peccatori più ostinati nella consuetudine del peccare si fossero avvertiti della loro pessima vita, rappresentando a tutti una figura dell'inferno, siccome già tutti confessarono, che resi stolti e mentecatti all'oscurità che dopo del lampo succedè, dalla puzza dello zolfo e dalla confusione del timore, non sapevano se erano sulla terra o pur nello inferno. E in verità il R.P.D. Michele4 disse il martedì dopo al R.D. Carlo Toscano che aveva fatto più profitto un tuono che la S. Missione, poiché erasi con lui confessato uno che per lo spazio di 15 o 16 anni era stato in peccato mortale.

Ed essendosi ciò riferito dal detto Toscano alla presenza del Sig. Arciprete, questi disse: che quando questo uomo entrava la porta della chiesa cadde il fulmine, dal quale intimorito, poiché si vide morto e nell'inferno, s'andò a confessare.

E per venire alli fatti e alle persone offese, sarei pur troppo lungo in raccontare tutte le circostanze; dirò solamente le sostanziali. Cadde il fulmine sul campanile, nella parte verso oriente, e con tanto fracasso che, con tutto che ciò sia altre volte accaduto, non però con tanto danno quanto ne accagionò questo; poiché debilitò in siffatta guisa il balaustro dove stava appoggiata la campana che per molti mesi non si potè suonare; senza dire della cupola, facendo strabalzare i sassi, la croce con bandiera di ferro e le calcine su della chiesa, con una notabile rovina d'imbrici e insinuandosi per entro lo stesso muro del campanile, fè dentro la Collegiata tre aperture. La prima nel coro, sopra la figura di S. Carlo Borromeo, sfiorando il secondo stallo dopo quello dell'Arciprete dove stava seduto il Rev. Can. D. Giorgio Nigro, appoggiato solo col braccio destro, che veniva dirimpetto al muro, e lo ferì di tal maniera che può dirsi vivo per miracolo, mentre gli bruciò tutto il braccio per metà, di là al petto, ventre, coscia e gamba sinistra, dove più, dove meno penetranti le scottature, le quali non viste, non potevano esser credute, con spasmi atroci, li quali durarono per più settimane. La seconda apertura fu sopra il trono vescovile, dalla quale, come più grossa della prima, caddero in terra due grosse pietre che potevano ammazzare tutti coloro che erano al disotto. Ma la più maraviglia si fu che apparivano nel pulpito ivi dirimpetto li segni della calcina, come se fussero stati di calce liquefatta e poi spruzzata; e da questi fu buttato a terra il padre predicatore D. Carlo Parlati, salito a predicare, in atto appunto che voleva cominciare l'Ave Maria, assistito dal chierico Bernardo Rosella, che pur stiede per molto tempo senza moto, e queste calcine

4 Michele D‟Ambrosio ovvero Emanuele di Gesù e Maria.

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offesero buona parte del popolo: perché alli gradi sotto questo buco si trovò seduto tra gli altri Antonino Padula e costui restò scottato nelli reni, cosce e gambe, come il Can. Nigro.

La terza apertura, che fu la massima, fu nell'angolo seu pilastro dello stesso campanile, avanti l'altare della SS. Concezione di Maria, in cui fè due aperture, l'una nell'unione dell'arco della lamia al muro del campanile, in luogo da sopra in sotto e l'altra più abbasso, nell'angolo di detto arco, tagliando e frantumando i mattoni di quello; e perché in questo luogo tra gli altri si trovò il detto Sica, perciò cadde per morto. Così Niccolò Rocco, di cui solo i panni si brugiarono. Insomma il numero dei feriti, chi grave, chi leggermente, passò il sessantesimo, tra i quali Giovanni, figlio di Niccolò Fusco, il quale trovossi nelle spalle un segno di croce, con tutti li misteri della passione, che fa meravigliare li stessi padri che l'asservarono; senza dire che molti altri furono buttati a terra, chi percossi nelle braccia, chi nelle gambe, chi in altre parti.

2. Forte scossa di terremoto avvenuta la notte di Sabato del 3 Marzo.

Oltre altri motivi e riflessioni addotte, vi si accoppiò un'altra da tutto il popolo, che parve aver coadiuvato a quello scempio: cioè negli anni trasandati fu in Saponara a far la missione un padre cappuccino chiamato P. Angelo d'Acri, di cui in vita si udirono molti fatti portentosi e che la fama delle sue virtù lo predica in stato di beato. Or costui volle erigere in onore della passione del Signore il calvario con le tre solite croci, delle quali una molto grande e pesante, che rappresentava quella di Cristo, volle lui portare sul dorso da dentro quello steccato vicino il castello fino avanti il Casaletto dietro la cappella di S. Maria di Loreto, dove si piantarono. Qual trasporto fu stimato soprannaturale, poiché non poteva una persona macilenta e di debolissima complessione quale egli era sopportare quel gran peso. Or dovendosi fare le nuove croci e mancandovi il legname, dovendo essere sette con due delli ladroni in onore delli cinque principali misteri della passione di N.S., cioè dell'orazione dell'orto, flagellazione, coronazione e quando portò la croce al calvario e la crocifissione, il Sindaco di quel tempo dr. D. Franc. Maria Corsaro fè togliere la croce grande dalla quale eran caduti li misteri, tenuta puranche in venerazione, benchè non come prima, poiché le cose spirituali subito si raffreddarono, siccome è anche raffreddata quest'altra; e quella del buon ladrone, giacchè l'altra non vi era, e si scompaginò la croce grande per farne altre di quella struttura delle nuove e con tale accomodamento e pulire andò molto di quel legno benedetto per terra, quando poteasi quella stessa croce vecchia restarsi nel numero delle cinque e riponersi solo gli istromenti della passione o pure non toccarsi dal suo luogo. Laonde quella violenza potè smuovere lo sdegno divino ecc. ecc….(gli omissis sono nel manoscritto)

Laonde si avverò che Dio permise che il demonio avesse sfogato la sua rabbia nel non poter soffrire quel gran tesoro d'indulgenze concedute dal Sommo Pontefice in beneficio di chi le visitava, in pena d'essersi tolta quella croce benedettta e fattosi gire le scheggie per terra …

Partiti gli padri missionari ai 28 gennaio5, quei pochi giorni carnevaleschi a mala pena da taluni si passarono in silenzio da soliti balli, suoni, mascherate. Giunse frattanto il predicatore per la imminente quaresima, che cominciar doveva li 7 Febbraio, per nome Fra‟ Giuseppe Tarsitano, domenicano cosentino, il quale come giovane robusto

5 L‟anno è il 1742, come si deduce dai passi successivi.

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nell'arrivo pareva fosse uscito dal noviziato, le prediche non avessero dovute essere di sua mente e che solo avesse avuto a mantenere quel tanto avevano oprato i padri missionari. Ma l'evento poi rese falso il giudizio che dall'apparenza ed estrinseco s'era fatto contro la sentenza del Salvatore, in S. Giov., 7, 27:

"Nolite judicare secundum faciem"; essendosi osservato che predicava con spirito, con dottrina e persuasiva,

facendosi intendere dalle femminucce, laonde ebbe più concorso degli altri predicatori e con molto profitto. La notte delli tre marzo, giorno di sabato, da molti s'intese una forte scossa di terremoto, e più s'intese dal Predicatore, il quale al mormorio del popolo, essendo verso le ore cinque della notte, si alzò, fè suonare la predica e poi fè camminare per tutta la città in modo di missione, facendo delli sermoni ed eccitando il popolo a stare unito con Dio. Si radunò gran numero di popolo sulla piazza, ed entrando nella chiesa del Rosario fece una lunga predica. La domenica seguente s'intese di nuovo il tremuoto, ma con tanto scasso, e per allontanare ogni pericolo si espose la reliquia del preziosissimo sangue di G. C. (Gesù Cristo) e si portò in processione la statua della beata Vergine del Rosario alla Collegiata e si ferono altri esercizi di devozione. Il lunedì 5 di marzo, dopo la predica, si osservò un altro portento, cioè che quell'effigie di marmo di S. Pietro apostolo che sta nel muro dirimpetto la porta grande della chiesa, un tempo altare della fameglia Giannone, era bagnata in guisa di sudore, ma facendosi più lunga e fina osservazione, si vide che non era semplice medefazione ed umidità, ma avanzandosi quell'umido, scorreva per la faccia dell'effigie e per tutto il marmo e per molto tempo. Si mossero da molte parti della chiesa per vedere se quel sudore era naturale per l'umidità della muraglia e marmo e si avvidero che la colonna di S. Laviere e quell'effigie di S. Carlo Borromeo dipinta nel muro dove lo stallo dell'Arciprete, grondavano le gocciole del sudore, che per non farlo andare in terra, ne raccolsero una quantità con la bombace; ed acciocchè di tale portento non restasse luogo da dubitare, se ne stipulò pubblico atto per mano di Notar Celsi6, della nostra città, benchè oriundo di Cosenza; dal sudetto sig. Predicatore, dal Can. Ramaglio, mio fratello, dal sig. Arciprete Can. Toscano e da altri che fecero replicatamente l'oculare ispezione. E quantunque alla prima non si fusse stimato portentoso il sudore, ma attribuito all'umidità e dal calore delli fiati della gente accorsa alla predica, nondimeno discorso sanamente il fatto, non potè essere se non portentoso; avvegnachè poste da parte le riflessioni che addurò in prova di essere portentoso il sudore delle effigie di S. Pietro e di S. Carlo e potessero svanire, non può dubitarsi che la colonna di S. Laviero, come separata dal muro e sua base, coverta con una semplice cassa di legno, avesse potuto trarre tanta umidità, che poi l'avesse mandata fuori in gocciole: e poi altri tempi come ciò non si è osservato? Ma discorrendo su le riflessioni che si fecero per la due effigie, tampoco poteva e può negarsi esser portentoso, poiché ciò doveva accadere nel tempo della missione, nel quale era tanto il concorso del popolo che non capitava nella chiesa; di modo tale che nel mese di gennaio vi si sentiva gran caldo.

In detto tempo furono piogge continue, anzi eccessive, e per tutto il mese di gennaio, ed il febbraio fu asciutto e secco e continovò per buona parte di marzo. E per ultimo in che maniera quel liquore usci in detto giorno, e giammai né prima né dopo? Come in quelle tre parti e non in altre della chiesa? Anzi che l'effigie di S: Carlo come dipinta nel muro che scende dal campanile, dovrebbe grondare sempre acqua, ma ciò non si osserva né in tempo d'inverno né

6 Trattasi del Notaio cosentino Nicola Celso che esercitò per molti anni in Saponara (Cfr. Arch. St. Pz)

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di està? E come in quel tempo ed in ocasione di tremuoto e non di altre contingenza? Sicchè stimossi e si stima di certo che sia stato più che portentoso.

Ma perché i tremuoti continuarono a sentirsi, benchè leggermente, molte notti uomini stiedero nella chiesa del Rosario, recitando il mariano salterio7; indi, a insinuazione del Predicatore si recitava la sera il mariano salterio, dal quale si è sperato e si spera esser preservati da qualunque pericolo spirituale e corporale. Laonde il suddetto padre, indefesso nelle fatiche, non sparagnò né tempo né luogo né ora da predicare, ed avendo finito il quaresimale, riposatosi alquanti giorni, volle fare anch'egli la santa missione, e quantunque alcuni Ecclesiastici l'avessero contrastato presso il vescovo questi però, conosciuta la verità adombrata, permise che si fosse seguita. Laonde cominciossi ai 3 aprile, il martedì in albis e finì alli dieci, con molto plauso del popolo, avendosi fatte intendere da tutti, per sciocchi ed ignoranti fossero stati, quale zelo e fervore mossero il Rev. Fra‟ Lodovico da Lagonegro, cappuccino lettore, in questo nostro convento, molto erudito a decantare le lodi con i seguenti sonetti:

"Al molto rev. P. Giuseppe Tartisano, lettore eccelso dell'ill.mo Ordine dei predicatori e savio nunzio di Dio nella città di Saponara, nella quaresima dell'anno 1742.

SONETTO

"Insigni pompe, onor, imprese altere Ricche corone e laureati fregi, Altere palme, campioni egregi

Del secol son grandezze, e non son vere.

Ori, trofei e consigliare i regi, rivolger serti ed innalzar bandiere, Donar le leggi ancor alme e severe Brievi piaceri son, son finti pregi.

Veri ed eterni son nell'alto regno

Cui Giuseppe ne va tra de' splendori, Mercè del zelo suo, che n'è ben degno.

E se sudò per Dio in santi ardori,

Vedrà gli avori, gli ostri ed il triregno, Tributari al suo piè, a fargli onori"

7 Il Santo Rosario

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ALTRO SONETTO ACROSTICO "Giacea proteso su del suolo estinto, Intriso al proprio sangue empio Golia,

Onde l'Ebreo con gran melodia Saggio dicea che diecimila ha vinto.

Era dal sangue e dal furore avvinto,

Per Betulia Nabucco, empio, un'Arpia, Prence a sue schiere un Oloferne invia,

E per man di Giuditta egli fu estinto.

Trofei illustri! Ed or dal suolo eterno Angiol esso ne vien che al puro ardore Rompe ogni duro cuor, vince l'Inferno.

Si ange Trifone in sempiterno orrore. Tal ogni mostro pur del cieco Averno

Non ha pari, no, no, in suo valore. Divotissimo ascoltatore LODOVICO."

3. Furti e violenze avvenuti in Saponara lo stesso anno. Partitosi il buon Padre, nonostante tante manifesti segni divini, visti ed osservati nella Saponara, non trapassò

molto tempo ad udirsi l'esercizio dell'iniquità verso il prossimo, che, siccome poi si acclarò, aveva ben covato nei cuori di taluni, aspidi sorti alle chiamate dello Spirito Santo, da molto tempo prima; poiché, oltre di tanti furti seguiti d'animali somarini e d'altro, a Maggio, da 4 persone della Saponara furono rubati a Carlo Giliberto da circa 140 ducati di contanti; per qual cagione scoperto il furto, il Giliberto chiamato Pucino, recuperò buona parte del denaro e

li ladri furono anche inquisiti dalla R. Udienza di Salerno. Alli 23 Luglio fu rubata la mula alli PP. Cappuccini da dentro la loro stalla, benchè poi scoverto dove fu veduta, recuperarono ducati venti. Per ultimo, essendo stato rubato un cavallo al sig. Principe di Marsicovetere, dicevasi essere nascosto in una casa di fabbrica tenuta per masseria di bovi dalla M.ca Ippolita Matera, e per timore del possessore, non vi era persona che si fosse avventurata di far la diligenza. Era in quel tempo una squadra di soldati della R. Udienza di Salerno, per affari di controbandi. Si fè richiesta al caporale; il quale dopo aver fatto seguire l'osservazione se il possessore era dentro, temendo di qualche incontro e saputo essere uscito, andò con tre suoi compagni e due altre persone a far la diligenza. Ed avvendandosi alla porta, pareva esser chiusa da dentro; ma facendo poca forza, allo aprire che si fè la porta, quel soldato che l'apriva, chiamato Franco di Musi, nativo di Sanza e casato al Vallo di Novi, vide già il lampo della schioppetta e poi s'intese ferito nella bocca,

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laonde cadde in terra e semivivo e carponi diede pochi passi, arrestandosi dalla porta sotto uno piede di noce vicino.

Li compagni, stimando anco eglino essere offesi da dentro, non poterono aiutare il ferito moribondo; e nello stesso tempo, poiché dalla città come in prospettiva osservavasi il tutto, essendosi udito il colpo, si suonò la campana all'armi, supponendosi molta gente nella casa, per unir gente in soccorso e dei soldati e del ferito che faceva fiumi di sangue, come in effetto seguì anche col confessore, il quale temeva accostarsi al moribondo temendo essere offeso per i buchi della casa, ma dandosi dalla parte della noce, ed i soldati tutti in guardia; già il ferito fu preso e trasportato al confessore, e poi sperandosi di vita o pur morte, in appresso anche alla città.

Il caporale, non potendo soffrire tanto scorno, non sapendo in che maniera avere in mano i masnadieri, che si supponevano molti, deliberò averli in mano o morti, o vivi, non con altro mezzo che col fuoco, laonde mandò un soldato alla città, e col suono della campana e con bandi fè unir uomini e donne con ogni sorta di armi, per metter fuoco alla casa, ricettacolo di tal gente facinorosa. Eran già le 22 ore del 30 Luglio che seguì il colpo, tanto che al tramontar del sole, a mala pena essendo la gente nell'aria si trovarono con quantità di fascine di una calcara8 preparata, ove la casa, e già si attaccò il fuoco, che non passò molto tempo ad incendiar la casa, la quale era composta di due stanze, soprana e sottana e lastricata e con l'altra porta di sopra alla quale pure si attaccò fuoco, senza che alcuna persona fosse uscita fuori; ed essendo quasi oscurato, dalla porta di sopra uscì uno per mezzo alle fiamme che parve un demonio, e tale era, con due pistole alle mani, e scaricandone una verso quella gente, poco mancò che non avesse colpito Giov. Cavallo. Si diè alla fuga per una scoscesa verso la chiesa di S. Maria delle Grazie. Ma il detto Giovanni non mancò di scaricare lo schioppo suo, e così di mano in mano ben furono scaricati da trent'altri, ad uso di caprio che fugge in mezzo a tanti cacciatori. Ma perché portava seco di cose superstiziose, non trapassavano le palle nemmeno le vesti. S'incontrò con un forese, chiamato Nicola Giannone, e temendo da costui esser sorpreso, scaricò contro di lui l'altra pistola, però senza offesa.

Ma perché poi si osservò ch'era stato ferito con due palline piccole, una nella gola, l'altra nel petto, queste lo trattenevano nel corso tanto che, inseguito da molti e con pietre e con bastoni fu atterrato, sotto la chiesa di S. Maria delle Grazie; e benchè l'avessero potuto prender vivo, un soldato compagno del ferito però sdegnato con un bastone lo tolse di vita. E si conobbe essere un calabrese, maestro setacciaro di farina, pratico della Saponara, cinto d'una solfatara (così chiamavasi) con 12 o 16 canduoli da poter tenere monizioni per lo schioppo, benchè vuoti. Nelle mani teneva uno stile con il quale faceva segno di difendersi prima di morire.

Erano però le mani tutte scottate e nell'atto del delitto in genere che si prese dalla Corte si osservò pieno delle lividure delle palle, che per le superstizioni non erano penetrate. Laonde, perché morto impenitente, fu seppellito dietro il castello, verso la stalla, sotto le camere della paglia.

Da tutti si giudicò costui, abbandonato da Dio, avendo perso la sineresi della coscienza, pensare non poteva all'anima sua che senza dubbio perdeva in quel conflitto. Anzi essendo stato un'ora e forse più dentro la casa avvampata, poteva darsi in mano dei soldati e salvarsi l'anima e forse il corpo, cioè la salvezza corporale con la lunghezza della causa dei tribunali, ma Dio permise che, privo della sua grazia, come impenitente ed indurito alle sue chiamte, collegato col

8 Fossa per la cottura della calce.

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diavolo con lui farli provare ancorvivo le pene dell'inferno, dove tra pochi momenti piombar doveva la di lui anima, avverando in lui quel profetico detto "Descendent in infernum viventes".

Ho voluto annotare questi altri fati accaduti in quell'anno, o pur sei mesi, meno per tramandarli alla memoria dei posteri che per ringraziare la divina misericordia e clemenza, tanto più sdegnata, nonostante i segni prima seguiti.

Il ferito Francesco Mati, già dopo molto tempo restò curato, abbenchè perdè li denti ed un occhio. Finisco questo cap. col rinnovare alla memoria dei divoti di Maria e dei posteri in che maniera ella si fece

fabbricare il monistero detto del “Sagittario” e come questo titolo abbia avuto origine (OMISSIS si omette il racconto, che del resto è nell'Ughelli, Italia sacra, 7, col. 123 - da pag. 646 a p. 648).

(1878 - Qui, dopo una carta in bianco, nel Ms. originale, segue la vita di S. Antonino, come appresso Giacomo Racioppi).

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APPENDICE N° 1

VITA DI S. ANTONINO MARTIRE1 (VOLGARE)

1. L’Autore dell’Agiografia di Sant’Antonino di Apamea e la sua dedica agli Amministratori di Saponara.

Quantunque il P. Giacomo da Voragine, scrittore della Sacra storia, o sia del “Flos Sanctorum”2, rapporti la vita di S. Antonino martire, padrone titolare della nostra Collegiata, nondimeno, perché è molto breve, ed un tempo si trovava nell'archivio della stessa chiesa in latino, scritta a penna in pergamena, oggi non si sa come sia dispersa. Anzi, perché non è così facile poterla intendere, presa per coperta di libri e fu un tempo tradotta in volgare dal dr. Giovanni Flavio Bruno e stampata nel 1597, mi è parso più che convenevole rinnovarla alla memoria dei nostri concittadini e dello stesso Rev. mo collegio, giacchè appena in Saponara se ne trova una stampata e mezzo lacera, che negli anni passati volli trascrivere per qui registrarla intieramente come fu stampata, unitamente con quella di S. Laviere che avanti soggiungeremo, ed è come siegue:

"Historia della vita di S. Antonino e S. Laviere, gloriosissimi martiri e padroni dell'alma città della Saponara,

tradotta dal dr. Giov. Flavio Bruno in volgare da due antichissimi libri latini scritti a penna, quali insieme con altre scritture ecclesiastiche si trovano oggidì in potere del rev. D. Camillo Cotino, Arc. Della Saponara ed ab. Di S. Antonio = In Napoli, per Giov. Jacopo Corsino ed Antonio Pace, MDXCVII = 1597 =

Al Sindaco ed Eletti della Saponara. Essendo venuto nella Saponara, per molti e diversi rispetti, vivomi lieto e contento, ringraziando sempre Iddio

N.S., perciocchè il luogo è attissimo alla contemplazione, né vi è cosa che non t'inviti a lodare Iddio.

1 Di Santi a nome “Antonino” se ne venerano molti in Italia e fuori: Antonino martire di Antinoe, Antonino martire di Bitinia,

Antonino Pierozzi Santo di Firenze, Antonino Vescovo di Meaux in Francia, Antonino Vescovo di Milano, Antonino Abate di Sorrento, ecc., ecc. Il nostro Antonino Martire, nacque in Pemanea nella provincia di Apamea, nella Siria seconda e visse sotto l‟Imperatore Costanzo Cloro (padre di Costantino), fra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C. A lui venne dedicata nel 1118 la Chiesa Madre di Saponara, e il suo culto in questo Comune è un “unicum” in Italia. E‟ venerato anche in Francia (nella cittadina di Saint Antonin, vicino al fiume Garonna e a Pamiers, vicino ai Pirenei) e in Spagna (a Palencia, cittadina vicina a Valladolid). Come mai il suo culto in Italia si ritrova solo nel paese di Saponara? Resta un mistero. Il Falasca (Cfr. Vincenzo Falasca «Il culto di S. Antonino, martire di Apamea, in Saponara”, Ed. Ars Grafica, Villa d‟Agri (Pz) 1994) formula quattro ipotesi: la più attendibile sembra quella che considera il culto del Santo importato direttamente dall‟Oriente dal Feudatario del posto, Guglielmo d‟Altavilla che aveva partecipato alla Prima Crociata (1096-99) al seguito di Boemondo di Taranto. Sulla vita di Sant‟Antonino Cfr.anche C. Daux «La barque legendaire de Saint-Antonin, apotre et martyr de Pamiers» in Revue de questions historiques LXVII, 1900. 2 Una rarissima copia dei Sermones sui Santi di Jacopo da Voragine è stata consultata presso un privato, Venetiis 1589.

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Il sito è bellissimo; l'alto suo non è estremo, ma piacevole. L'aria è salutifera; e quando sono i dì chiari, si gode quello dell'amato Posilipo, poiché attorno piani, colli, selve e fiumi. Tutto il suo territorio è fertilissimo di frumento d'ogni qualità e frutti e di lino tale qual mai in Alessandria o nella costa si vede. Et have (oltre che vi spira sorta di vento piacevole), per ripararsi dal noioso caldo d'estate, lasciando parte le freddissime acque di che abbonda, non molto lungi, gli agghiacciati monti Raparo e Sirino, quali d'estate e d'inverno sono vestiti di gelata neve. Che pensate di bello che vi giunga il chiaro, dolce e fresco e cristallino Agri, il quale a guisa di vero amante cinge amorosamente la falda di questo amenissimo colle, ove la Saponara siede da una parte, e dall'altra parte il fiume Sciàgura, o ver Sora, facendole perpetua armonia col canto del suo corso: i quali sono sì dolci e sì suavi che mai s'udì cantare il loro tenore, che non invitassero a farvi contrappunto in infinito numero di rusignuoli ed altri uccelli.

Udiste pur le risonanti valli, che raddoppiando loro le medesime note, fanno tal concerto che dalla dolcezza tirati sareste per venir meno.

Hanno questi fiumi ancora un certo particolar dono, che producono trote ed anguille preziosissime, oltre che siano di smisurata grandezza per lo più, che stupisce di meraviglia chiunque le vede (egli è certissimo che delle trote se ne sono prese et alla giornata se ne prendono di cinque, sei ed otto rotola3). Certo che l'amenità dell'aria è tale, che qualsivoglia forastiero che qui venisse d'estate sarebbe costretto sfogando dire: "Qua voglio finire i giorni miei". E se taluno dicesse che, essendo il luogo piacevole d'estate, non più d'inverno corrispondere con la stessa piacevolezza, li risponderò: Buone selve da fare legne copiosamente, che vi cantano attorno, e miglior vini. Infine tutto è vita piena di soddisfazione e di piacere.

Non vi manca la buona e nobile conversazione di pellegrini ingegni, di dottori, medici e legisti e d'altri gentilhuomini prudentissimi, i quali con suo singolo giudizio sono atti a governare un regno non che la Saponara solamente; di maniera che io vi sto il più contento uomo del mondo; perché appena mi scuoprono da lungi i miei congionti s'affrettano a venirmi allo incontro; ed io che veggo la carità de' miei cognati, l'amorevolezza di mia consorte4, la quale amo sopra gli occhi miei, i carissimi nipotini, l'affezione che tutto il resto della Saponara mi portano, non saprei discernere onde più mi venga il nodrimento, se dal cielo o dall'amore o dall'universal cortesia, che da ogni parte veggo essermi usata.

E chi non chiamasse felice la Saponara, se tra l'altre doti che le ha date la natura have anco la sua chiesa di S. Antonino Collegiata, perché have avuto oggidì ottiene giurisdizione annessa ordinaria, come chiaramente si è provato nella Corte Romana, malgrado dell'avversario.

Qual città è oggi che si possa gloriare e vantare di avere un padrone e una signora di più illustre sangue, bontà e sapere? (che fu D. Ferrante Sanseverino e D. Isabella Gesualdi). Qual citttà mai del nostro Regno si legge che sia stata fatta franca da ogni pagamento e tributo fiscale? Come si trova essere stata privilegiata la nostra Saponara dalla Regina Giovanna?5

3 Antica unità di misura di peso corrispondente a gr. 891.

4 Lo Storico Tommaso Pedìo, che evidentemente non aveva letto il manoscritto delle Memorie del Ramaglia, definì

erroneamente Flavio Bruno un “Chierico di Rotonda” (Cfr.” Storia della storiografia lucana” pag. 27). Da questo passo si evince, invece, che l‟autore dell‟Agiografia era sposato. 5 Trattasi di Giovanna II che nel 1417 reintegrò nel Feudo di Saponara Giacomo Sanseverino, figlio di Ugo I.

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Lascio da parte le altre sua infinite lodi, perché non mi pare conveniente restringere in una dedicatoria epistola, riserbandomi di ragionare in altra occasione, di tante cose notabili ed antichissime medaglie che ivi si trovano.

Ma tali e tante grazie giammai asseguir potuto avrebbe la nostra città se i suoi concittadini con la virtù accompagnata non avessero la ragione, nelle quali due cose io anco confirmo consistere la vera felicità humana. Onde per questo si vede ornata di bellissimi monasteri, pieni d'uomini e donne di santa vita. Tanta è ancora la devozione che ai santi i suoi cittadini conservano, che si vede la loro Collegiata chiesa ripiena di tante reliquie, che riempie a ciascuno di meraviglia il cuore.

E lasciando ogni altra cosa da parte, vengo al mio intento, che è di dedicarmele per servidore in questa occasione, che avendo due martiri gloriosissimi per avvocati e patroni, dico S. Antonino e S. Laviero, io ho tradotto la loro vita dal latino in volgare per essermi parsa cosa molto piacevole ed a proposito. Tanto più che, se pur si trova scritta in volgare la vita di S. Antonino, nondimeno è brevissima. Ma questa nostra è stata copiosamente scritta, con tutti i suoi miracoli. E quella di S. Laviero non si trova altrove, né in latino né in volgare. Et con ciò supplico le SS. VV. a ricevermi sotto le ali della loro protezione, assicurandole che non sarà la Saponara defraudata della mia servitù. Perché di giorno sotto la vostra difesa, augumenterò negli studi et mi sforzerò in nome vostro et della vostra città pubblicare e fare stampare altre opere di maggior fatica. Ricevete dunque questa mia piccola opera con quella magnanimità con la quale siete soliti ricevere i doni dei vostri più amati servitori, mentre io qui humilmente m'inchino a farvi riverenza e a pregarvi dal dator della felicità vera ed eterna beatitudine celeste.

Dal Castello del vostro e mio Conte6 il dì 17 gennaio 1597 Il vostro Gio. Flavio Bruno della Rotonda.

(Qui nel Ms. originale siegue la vita di S. Antonino come appresso. F.to: Giacomo Racioppi) 2. Il testo dell’Agiografia trascritta da Flavio Bruno della Rotonda.

VITA DI S. ANTONINO MARTIRE Il Beato Antonino fu nobile certo per sangue, ma molto più nobile per santità; perché da che era fanciullo cominciò ad operare le sante virtù et operazioni attendendo da se stesso a studiare le sacre lettere, nelle quali era già stato prima ammaestrato.

Di modo che, essendo già infiammato del divino amore, camminando di virtù in virtù divenne vaso eletto del Signore. Nacque costui in Pemanea, dove, permanendo vergine, fu tenuto per uno specchio di castità e innocenza. Et essendo desiderosissimo del martirio, uscì fuori di Apamea; cominciò camminando per diversi paesi ed informarsi in che modo

Testa marmorea di S.Antonino Di Apamea (Chiesa Madre)

6 Trattasi di Ferdinando Sanseverino (o Ferrante) che aveva sposato nel 1587 la Contessa Isabella Gesualdo da Venosa,

vedova del Conte di Potenza Alfonso de Guevara.

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potesse egli trovare alcuni illuminati del nome cristiano et huomini fedeli in qualche luogo. Finalmente, avendo per guida il Signore, giunse ad un certo luogo, dove ritrovò assaissimi huomini che perseveravano nella fede di Cristo e nella santa religione: tra i quali trovò anche pastori e dottori sapientissimi, che avevano supremi gradi della chiesa. Con questi dunque dimorando lungo tempo, il beatissimo huomo, cominciò a praticare et predicare l'Evangelio di Cristo N.S., dove fu tenuto in molta stima et ebbe molti gradi honorati ecclesiastici. Et come che era fatto imitatore di G.C. Signore e Salvator nostro, nel predicare riprendeva gridando i vitii ed i vitiosi, non habbiendo riguardo a persona veruna. Et esortava tutti coloro che credevano a ciò molto profitto facessero. Et d'una santa costanza fortificato, biasimava fortemente quelli che non credevano et erano di duro cuore. Ma ritrovandosi solo in una certa villa, tra le tenebre dei Gentili come il sole et il suo raggio oscurato da una oscura e folta nube, la sua faccia non può illustrare la terra, così appunto si stava il glorioso Santo impedito della perfidia ed ostinazione di quelli, non potendo predicare per fuggire la maledetta e sacrilega pazzia loro. E tanto più perché non solamente non si contentavano e consentivano alla santa predicazione, ma orgogliosamente contrariavano. Onde secondo il precetto evangelico, riferendo le parole di Cristo, disse in presenza di tutti: "Appresso coloro che non vi riceveranno, partendovi da essi scuotetevi la polvere dai vostri piedi, che servirà per testimonio in contrario". Medesimamente: "Se voi sarete perseguitati in una città, fuggite in un'altra." E così il Beato Antonino se ne andò in un luogo dove si era ritirata una

moltitudine di assaissimi cristiani. Et finalmente illustrato et infiammato dalla lampa della celeste dottrina, per li suoi meriti giunse alla dignità sacerdotale; et ivi contento nel Signore celebrava messa seminando la parola del Signore.

Di modo che il santissimo huomo amato da Dio, abitando del continuo fra i cristiani e desiderando con tutto il

cuore ricevere la corona del martirio, mai non cessava dalla santa predicazione, essendo stato animato et fortificato dalli stessi religiosissimi huomini con i quali per tempo dimorò.

Adunque per adempiere più a pieno il servizio che si era dato a fare, non cessò di eseguirlo predicando hora in una parte ed hora in un'altra.

Una volta havendo predicato et facendo viaggio, accascò per lo travaglio del lungo cammino, rimase impedito, lasso e stanco. (Et ciò è da credere essere stato permesso dalla divina potenzia, acciò che il merito della virtù sua si testificasse et lo stesso Santo si fortificasse, con la costante fede del dono conferitoli dalla Divina Maestà), avvenendogli una ardentissima sete. Il perché, alzando gli occhi al cielo et credendo fermamente che Iddio può dare tutte le cose, lo pregò così dicendo: "O Signore onnipotente, autore e pontefice di tutte le cose che sono state fatte, il quale discendendo di cielo e terra per la salute del genere umano, ti degnasti prender carne della fragilità nostra ecc. ecc." … Avendo finito di far questa preghiera, riguardando la faccia della terra, col bastone che portava in mano, confidandosi nel Signore, la percosse. Allora, esaudendolo il Signore, fece della tera nascere un nuovo e soavissimo fonte, et al suo fedele concesse non solamente il temporale, ma anche l'eterno bene. Il qual fonte, dato dal Signore al santo huomo, fu per recreazione e salute degl'infermi che se ne fanno il bagno … (Ritornato in Apamea e visitando i luoghi santi, predisse il proprio martirio.) Accortosi il santo huomo che li Gentili si accostavano a lui per tradirlo, da se stesso di sua volontà andò ad incontrarli; e così fu preso dai pagani ed essendo battuto, fu condotto sino alla ripa del fiume, che furiosamente dalla falda del monte di Apamea corre, dove … fu fatto del capo

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scemo7. Finalmente gl'impiissimi manigoldi e birri, non sazi di averlo decapitato … lo tagliarono a membro a membro et andorno trovando li più orribili e profondi gorghi del gran fiume per buttarvi poi le membra del glorioso martire. Adunque avendo sbranato tutto il suo corpo crudelmente, insieme con la tagliata testa l'affondarono nel fiume.

All'ultimo gli uomini convertiti da lui, che vi si trovavano presenti all'hora et che erano venuti alla santa fede per sua predicazione, essendo stati battezzati e fatti cristiani, con gran devozione cercando il corpo del Beato Martire, qual trovarono già senza punto dubitare che fusse il corpo di qualche altro, ma non poterono trovare la testa dell'istesso corpo.

Avendo dunque il santo martire Antonino complito il suo pretioso martirio et il sacro corpicello suo essendo stato buttato nel fiume dalle scomunicate e furiose mani, l'onnipotente Iddio che si è degnato mostrare innumerabili miracoli per mezzo dei Santi suoi, ivi si degnò anco concedere un gran miracolo per questo suo martire.

Perché quel glorioso sangue che in nome di Cristo N.S. fu già sparso e buttato nell'acqua, si congelò nondimeno e si restrinse tutto insieme in una massa, e così fu dai fedeli raccolto, perché l'impeto dell'acqua corrente niente ne disperse. E quell'istesso fiume nel quale era stato affondato il corpo del Santo, essendo al suo creatore ubbidiente e riconoscendo il servo di Cristo, per modo si ritirò dal suo solito corso, che dimostrò temere fare ingiuria al santo corpo, e così aperse la strada e preparò ai fedeli la vera via di ritrovare le membra del beato martire, perché egli fece nel fondo la via ai cristiani, e così tolto quel corpo, fu seppellito insieme col sangue.

E tutto ciò oprò l'onnipotente Signore per mezzo del suo guerriero, a lode e gloria del suo nome, innovando quell'antico miracolo del popolo israelitico, quando, avendolo cavato dall'Egitto, fece passare il Mar Rosso con i piedi asciutti ecc. ecc.

Per opinione di molti è stato rilevato che essendo stato dai manigoldi tagliato il capo del Santo Martire e buttandosi per non potersi mai più ritrovare nei gorghi del fiume, subito fu preso dagli Angeli e posto in una piccola navicella, la quale essendo governata da due angeli a similitudine di due aquile, senza remo, contro il corso del fiume era condotta e poi scorrendo per altri fiumi correnti di altri paesi, arrivò fino a Garumna8, famoso fiume di

Francia e finalmente lasciando di navigare per le parti occidentali, velocemente se ne corse per le parti d'oriente, di modo che, cambiando il corso indietro per un fiume detto Tarnis9, se ne entrò nel profondo Avarione10 e così pervenne felicemente al luogo destinato dal Santo, chiamato "Nobilvalle del tempio"11; nella qual valle abitava un certo gran principe chiamato Festo12 che da S. Antonino era stato convertito, e pregato che nella sua stanza

l'avesse lasciato abitare. Ed essendo arrivata la navicella alla riva del fiume, accadde che ivi venisse uno dei servi del detto signore. Accostandosi dunque vide la navicella da lontano e che dentro vi era la testa del martire Antonino, ed avendo ivi chiamati i suoi compagni,

7 Fu privato della testa. Gli fu mozzato il capo.

8 Trattasi del fiume Garonna.

9 Odierno Tarn, affluente destro del medio corso della Garonna,

10 E‟ l‟attuale Aveyronne

11 Oggi “Noble Val”, ove c‟è ancora il convento di Saint-Antonin. 12 Principe dei Ruteni, popolo che abitava vicino al fiume Tarn. Secondo i Padri Bollandisti la traslazione del corpo del Santo a Saint Antonin sarebbe avvenuta all‟inizio del VII sec. proprio ad opera di Festo. Successivamente parti del corpo furono traferite prima a Pamiers (a sud della Garonna) e poi a Palencia in Spagna.

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visto che ebbero il miracolo, insieme subito andarono in fretta a farlo intendere al suo signore. Ed essendo poi venuto al medesimo luogo il detto principe Festo, comprese per ispirazione divina essere stata destinata a sé la testa del martire Antonino. E ricordandosi della dimanda che per i passati tempi il Santo Martire aveva fatta, finalmente ritornando alla sua coscienza, disse a tutti quelli ch'erano con esso: "Or non vedete voi il gran mistero del Signore? Perciocchè quella medesima stanza che questo Santo mi domandò quand'egli veniva, ora essendo cononato nel cielo, per volere di Dio, prezioso martire, egli me la richiedeancora?". Allora dunque lasciò di abitare in

qual luogo e facendosi edificare una chiesa, ripose la testa del gloriosissimo Martire in quella con gran riverenza ringraziando e benedicendo il Signore.

Al medesimo tempo che la testa del Beato Martire Antonino fu ricevuta dal detto Principe Festo e da' suoi fedeli popoli, riverentemente posta dentro la chiesa fabbricata dal Principe, i cittadini della città caturcense delle parti della Spagna avevano mandato ambasciatori nella città chiamata Tolderis per farvi lavorare una pietra d'altare con altri

suoi paramenti ad onore e gloria di S. Stefano Martire, i quali ritornando poi e portando seco la gran pietra dell'altare ben intagliata e polita ed avvicinandosi al sopradetto luogo, accassò (accascò?) che facessero passaggio per la villa, quasi, del suddetto Principe. Approssimandosi dunque et venendo dirimpetto la chiesa dov'era riposta la testa del Beato Martire Antonino, subito quel carro dietro il quale la gran pietra dell' altare era stata riposta si fermò, rimanendo impedito et immobile, di modo che molte paia di buoi non l'avrebbero potuto rimuovere, onde vedendo questo, tutti si meravigliavano e stupivano.

Fu questo subito riferito al principe Festo, il quale avendo tutto il fatto inteso, alzando la voce disse: "O veramente meraviglioso Signore, che fa vedere a' servi suoi un tale e tanto miracolo", così glorificando ad alta voce

Iddio e tutti ragionevolmente esortando disse: "Udite l'intenzione mia, o voi tutti: si per sorte l'Onnipossente Iddio sarà stato, che voglia dimostrare la volontà sua, fate che si congiungano a quel carro due vacche non domate, senza alcuno che le guidi o meni." E così fu fatto. Ma le dette due vacche, lasciando la via che gli altri conduttori facevano, andarono da se stesse, senza punto traviare, insino al medesimo luogo, dove perfino ad ora quel bellissimo altare sta posto dentro. Il principe Festo, dunque, vedendo quello che il martire Antonino aveva dal Signore impetrato, disse: "Ora non è maraviglia se il Santo Martire have ottenuto la mia abitazione insieme con la possessione, poichè si have ritenuto l'alare del protomartire Stefano, che tanto da lungi è stato portato. Fatta dunque la convenzione solennemente con tutti coloro che stavano nel medesimo luogo, il detto gran Principe Festo con gran devozione e riverenza, pose la testa, condita con cose aromatiche, del martire Antonino in mezzo dell'istesso altare, nel qual luogo e parimente dove stanno sepolte le altre membra del detto martire Antonino, si ottengono dal Signore molti benefici e grazie, per sua salutare intercessione; perciocchè ivi ricevono i ciechi la vista, i sordi l'udito, si sanano gli stroppiati et spiritati et gli altri infermi ottengono la perfetta salute da Cristo.

Trovasi oggidì nella Collegiata chiesa della Saponara un osso di questo martire, benchè il P. Jacopo da Voragine, scrittor della Sacra Historia non abbia potuto intendere di certo dove si ritrovi il corpo di questo Santo13.

(Qui) il fine della Vita di S. Antonino.

13 Da quanto detto in precedenza i frammenti del corpo del Santo si troverebbero a Saint-Antonin (la parte più consistente), a Pamiers e a Palencia, non certo in Saponara.

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Si celebra solennemente la sua festività nel dì secondo di Settembre14 con rito doppio di prima classe e festa di precetto nella Saponara come padrone titolare. Siegue dopo detta Vita (queste parole sono del manoscr.originale –Giacomo Racioppi). :

Copia reliquiarum quae reperiuntur in Ecclesia S. Antonini civitatis Saponariae. A) Terra mixta cum sanguine Christi, servata per Mariam Jacobi et Salomen. (La più importante in assoluto) 1)De ossibus S. Antonini 2)De ossibus pedis S.Ludovici 3)De tunica S.Clarae 4)De rubo(rovo) in quo Deus apparuit Moise' 5)Reliquiae S.Romanae Virginis 6)Reliquiae S.Felicis 7)Reliquiae Innocentium 8)De ossibus S.Laurentii 9)De pilis S.Jacobi 10)De ligno Crucis 11)Reliquiae S.Jacobi maioris 12)De habitu S.Ludovici 13)Petra de sepulcro Innocentium 14)Petra de sepulcro Domini 14)Reliquiae S.Joannis 15)Reliquiae quadraginta martyrum 16)Petra de foramine Crucis Christi 17)De lapide S.Stephani 18)De columna ubi Christus fuit verberatus 19)Reliquiae S.Helenae 20)Reliquiae S.Cristofori 21)Digitus S.Stephani protomartirys 22)De cavilla pedis S. Joannis 23)Reliquiae S.Lucae Evangelistae 24)De ossibus S.Vitalis 25)De ossibus S. Ioseph ab Arimathea 26)De ossibus S.Mariae Jacobi 27)De ossibus S.Vincentii 28)Reliquiae S. Sebastiani 29)De digito S.Blasii 30)De pulvere S.Laurentii 31)De ossibus S.Silvestri 32)Reliquiae S. Mariae Magdalenae 33)Reliquiae S.Mattiae Apostatae 34)De ossibus S. Johannis Baptistae 35)Reliquiae S.Margaritae Virginis 36)De brachio S.Alberti 37)Reliquiae S.Joannis de Galato 38)Reliquiae S.Fhilarionis 39)Reliquiae S.Helisaei prophetae 40)Pellis

Padre Emanuele D‟Ambrosio, Generale dell‟Ordine dei Carmelitani scalzi, nato in Saponara nel Novembre del 1621.

S.Bartolomei 41)De ossibus capitis S.Hursulae 42)Reliquiae S.Thimotei 43)Corpus S.Iuventii (S.Giovenzio)

martirys, dono datum a Per.illimo et R.mo Padre D. Emanuele D'Ambrosio15 de Jesu e Maria Generali Carmelitanum dilectae patriae suae Saponariae, eiusque Collegiatae Ecclesiae traslatum ab urbe Roma die 9 Maij 1676, ibique eidem P. Emanueli concessum a Papa Clemente X et coemeterio Calisti depromptum.Celebratur eius festum die 1° Iunii 44)Corpus S.Bonifacii martirys, in venerabile Monasterio S.Crucis dictae civitatis, eius festum celebratur die 29 Decembris. 45)Columna in qua S.Laverius martyr fuit alligatus,verberatus, et coesus, permanet in collegiata ecclesia. (= 1878 = Qui nel Ms. originale del Ramaglia siegue come cap. LVI la Vita di S. Laviero martire, in italiano dalla pag. del Ms. sudd. 719 alla pag. 742, che si tralascia di ricopiare. Poi siegue con le parole: Sin qui le vite... come appresso, F.to Giacomo Racioppi.)

14 Nel Martirologio romano Sant‟Antonino è ricordato il 2 Settembre in Francia e Spagna, nel Codice di Costantinopoli il 7-9 e 10 Novembre, nel Codice Wissemburghese del Martirologio Geronimiano il suo martirio è fissato al 3 Settembre. 15 Vedasi foto sopra.

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Ovvero nel presente manoscritto, di proprietà di Giacomo Racioppi, manca la “Vita di S. Laverio”16

Sin qui le Vite e gli atti di S.Antonino e di S.Laviero martiri tradotti dal latino nel volgare dal dr.G. Flavio Bruno,

come si è detto. Resta ora che consecutivamente si rapporti la vita dello stesso S. Laverio in latino, siccome è trascritta nel suo originale in pergamena, che si conserva presso il riferito D. Carlo Danio, il quale si è compiaciuto dare a me la copia scritta di suo carattere, per esser più corretta di quella stampata da Ferdinando Ughellio nella sua “Italia sacra” e dal Rev.D.Bonefacio Pecorone o sia Petrone nel 173... (sic nell'originale)17.

Spiacemi però al sommo che nel mentre stavo fatigando e registrando nella migliore forma così questa come quell'historia del prezioso Sangue di Cristo, egli, dico, il suddetto Sig. D. Carlo passò da questa vita mortale agli 2 Nov. 173718.

Poichè da lui quest'opera ha avuto il suo principio, il suo essere e da egli dependea la sua autorità, nondimeno per non lasciarla imperfettà, camminerò con quei lumi da egli stesso influitimi. E prima di registrare gli atti suddetti di S.Laverio voglio rapportare certi dubbi che nell'anno passato 1734 furon proposti su degli atti suddetti e rimessi al suddetto Sig.D.Carlo da' suoi amici e corrispondenti in Napoli, e furono nella guisa che siegue: "Avendo il Sig. D. Bonifacio Pecorone stampato la vita di S.Laviero, un corrispondente del P. Gilliese gesuita, che continova gli Atti SS. del Bullando stimò mandargliela. Detto P. rispose che restava meravigliato come nessun martirologio, nè Ferrario che fa i Santi d'Italia facci di questo Santo menzione, e di più che vi era un errore in detta vita, leggendosi nella persecuzione di Costantino, quando Costantino non fece persecuzione; ed essendosi informato dal detto D. Bonifacio da dove avesse avuta detta vita, li rispose averla presa da Ughellio; ed essendosi data questa notizia al detto P.Gilliers rispose che questo santo è stato malissimamente servito da quello che ha scritto i suoi atti19; e che Ughellio ancora, nello stesso tomo dove tratta di S. Laviero, fa menzione di un S. Gennaro Vescovo di Cartagine, un Felice et Honorato per li 26 luglio; si pare detto P.Gilliers non ne ha trovato vestigio alcuno anche in Ferrario, che non lascia i suoi santi patrizi. Onde ha inviati questi dubbi per essre delucidati quanto il si potrà sopra S. Laviero, li di

16

Giacomo Racioppi, che pur trattò l‟argomento in un pregevole “Fonti della storia basilicatese al Medio Evo” (Roma 1881, Ed. Barbera) si servì però di un testo dell‟Agiografia già pubblicato da Ferdinando Ughelli in “Italia Sacra”, 1659 Venetiis, vol. VII, pagg. 681-695. Noi abbiamo rinvenuto nell‟Archivio Vaticano la copia di prima mano del Codice pergamenaceo della Collegiata di Saponara eseguita dal notaio saponariense Marco Giannone ed inviata all‟Ughelli su disposizione dell‟Arciprete Giovanni Francesco Danio. Consultando il catalogo di Alberto Poncelet “Catalogus Codicum Hagiograficorum Latinorum Bibliotecae Vaticanae” (Bruxelles 1910) è stato individuato il codice barberiniano 3207, n°5, che contiene la “Vita Sancti Laverij” ai fogli 65-73 (una volta 434-442) con l‟annotazione del Giannone “Ex codice membraneo archivi collegiatae ecclesiae Sancti Antonini civitatis Saponariae”. 17 Le “Memorie dell‟Abate D. Bonifacio Pecorone della città di Saponara” sono del 1729, stampate in Napoli presso Angelo Vocola. 18 La data esatta della morte è 3 Novembre 1737, cfr. Archivio Chiesa S. Antonino, Libro Collegiale dei defonti (1734-1779), fol. 48/R 19 Nella copia vaticana della Vita di S. Laverio essa risulta scritta da Roberto de Romana, prete di Saponara, nel 1162. In base alle acute osservazioni del Racioppi il testo risulta, però, variamente rimaneggiato e riscritto dai Letterati religiosi del posto per adattarlo alle esigenze della Chiesa saponariense durante il litigio con la Diocesi di Marsico.

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cui Atti notano il martirio ai 17 novembre; quali notizie saranno utili e necessarie per i successori, che continueranno l'opera.

QUAESTIONES DE S. LAVERIO I. In qua Ecclesia celebratur festum S. Laverii apud Marsicanes? An ibidem honorem sacrum, corpus aut

saltem maior eius pars? II. Quo die fiat solemnitas? III. Quo ritu? An proprio aliquo officio? IV. An de eius vita et gestis nihil superstit praeter ea quae habet Ughelli? V. Unde haurire potuit scriptor saeculi XII quae traderet de martyre in principio saeculi IV? VI. Quis satis digerere posset nos Actorum principium "In diebus igitur Constantini imperatoris, dum furor eius

saevissimus, diversis poenis Christi famulos laniaret?" Agli quali dubbi il dottissimo Sig. D.Carlo Danio di eterna memoria rispose nella forma che 'siegue... (Nell' originale Ms. del Ramaglia siegue un foglietto di una pagina e mezzo in bianco (cioè p.745 e 746 retro); poscia alla pag. 747 siegue la VITA ET GESTIS S. LAVERII MARTIRIS. Le risposte del Danio ai dubbi del bollandista mancano, dunque nel Ms. originale: e questo è spiacevole lacuna. La vita poi di S .Laverio in latino è quale si legge in Ughelli. Perciò in questa copia si tralascia. Ho però collazionato questa VITA copiata dal Ramaglia con la stampa dell'Ughelli. In genere, molti errori e lacune del Ramaglia non sono nella stampa, che è più corretta: salvo in uno o due luoghi che ho notati, con tutte le varianti, in altro foglio, e che possono dar materia ad osservazioni. G.RACIOPPI).

Alla fine della Vita in latino di S.Laverio, dopo le parole "Robertus de Romana diaconus scripsi anno Domini MCLXII" sieguono le parole qui dietro trascritte... "Haec communa de qua supra est memoratum hodie servatur in Ecclesia S.Antonini martyris huius civitatis Saponariae, in angulo sub pulpito ante altare S. Mariae de Monserrato, translata e loco ubi prius collocata erat, cum antiqua in marmore sculpta, ut sequitur: IMPERANTE COSTANTINO MAGNO, LAVERIUS TERGIAE NATUS, OB CHRISTI FIDEM ACHERUNTIAE CARCERIBUS MANCIPATUS , EXINDE AB ANGELO VINCULIS SOLUTUS ET HUC GRUMENTUM MISSUS AD FIDEM PRAEDICANDAM, POST DOCTUM EVANGELIUM MULTAQUE PERPESSA EXTRA MOENIA, UBI DUO FLUMINA, ACIRIS ET SCIAGURA, C0NNECTUNTUR, TRUNCATO CAPITE MARTYRIUM CONSUMAVIT = ANNO D. CCCXII DIE XVII NOVEMBRIS. Cum alio supposito lapide, in quo haec alia sculpta leguntur: IOANNES FRANCISCUS DANIUS V.I.D. ARCHIPRESBYTER ET ORDINARIUS SAPONARIAE COLUMNAM SANCTI MARTYRIS PASSIONIS TRANSTULIT ET VETUSTAM MEMORIAM POSUIT= A. D. MDCXXXVI DIE XI NOVEMBRIS." (Qui finisce il Ms. originale del Ramaglia - G.RACIOPPI).

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