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- - n. 218 1 GENNAIO 2016 www.bocchescucite.org n. 218 1 GENNAIO 2016 "Da oggi in ogni documento e in ogni discorso la chiameremo solo Palestina!" Così il premier greco, Alexis Tsipras, ha annunciato il riconoscimento dello Stato di Palestina, il 22 dicembre 2015

- 3 - 1 GENNAIO 2016 n. 218 N ella notte fra l’11 e il 12 dicembre, alle 2.30, soldati israeliani, dopo aver cir-condato l’area, sono penetrati nel Centro medico Al …

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n. 218 1 GENNAIO 2016

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n. 218 1 GENNAIO 2016

"Da oggi in ogni documento e in ogni discorso la chiameremo solo Palestina!" Così il premier greco, Alexis Tsipras, ha annunciato il riconoscimento dello

Stato di Palestina, il 22 dicembre 2015

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…non è che sia colpa sempre della

nonna. A parte che le nostre nonne -

tutte tutte- sono sveglie, aggiornate e

attente. Quindi scusateci in anticipo,

nonne!

Ma mettiamo pure che qualcuna,

distratta un po' dai casi della vita,

dalla preparazione dei pranzi natalizi

e dall'attesa di parenti sparsi abbia

perso ultimamente le fila della narra-

zione mediorientale. E che solo in

questi giorni, seduta finalmente in

poltrona, abbia ripreso telecomando e

quotidiani arretrati e non, e abbia

cercato di rimettersi al passo con gli

eventi.

Ecco: mettiamo che la nonna abbia

preso in mano la Repubblica del 17

dicembre, con l'immancabile servizio

prenatalizio su Betlemme.

“L'Intifada cancella le feste” titola

Scuto a tutta pagina, anche se è la 46.

Eccoci qua-comincia a pensare nonna

- neanche rispetto per le feste coman-

date, sti arabi.

“Guerriglia urbana a Betlemme” pro-

segue a leggere la nonna. Eh però...

sempre a petuffarsi sti arabi, a litigare

tra loro e a far confusione per le stra-

de di Gesù...

“la minoranza cristiana minacciata” -

incalza il nostro embedded- e la non-

na, disorientata a sospirare... ecco,

anche a Betlemme i musulmani per-

seguitano i cristiani. Anche lì, nella

culla del bambinello... ma che mondo.

E quando poi arriva alla riga “le gang

di ragazzetti islamici riempiono la

comunità cristiana di angherie e mi-

nacce” nonna sobbalza indignata...

ma dove devono andare sti poveri

cristiani di Betlemme. Perchè i mu-

sulmani non li lasciano in pace a casa

loro?

Ecco – non vogliono la pace, ecco -

fa eco all'inviato che è lì che vede per

lei e documenta, ecco che ancora “i

palestinesi si scontrano con le truppe

israeliane”. E ti credo che poi “il mu-

ro di sicurezza israeliano” li soffoca.

Se la sono cercata. Non sanno vivere

tranquilli. Adesso anche i coltelli

tirano fuori. E in questi tre mesi sono

stati uccisi 20 israeliani, come ha

detto Marrazzo al telegiornale. E 127

palestinesi sono morti, ha detto Mar-

razzo. “Morti”. Non si sa di cosa pe-

rò, comincia a pensare la nonna, in

un guizzo di perplessità. Ma per cosa

litiga sta gente a Betlemme? Ma per-

chè le truppe israeliane? Che ci fanno

lì? Sono lì a difendere i cristiani dai

musulmani, no? riprende a ragiona-

re nonna, sempre più agitata.

Per fortuna la soccorre l'insinuante

Marrazzo: è l'Isis che porta scompi-

glio e terrore anche lì. Che minaccia

Israele, baluardo dell'occidente, in

combutta con i palestinesi. Ah ecco,

l'Isis. Ora tutto è chiaro. Isis = terrori-

sti = palestinesi.

Crede di aver capito la nonna. Ed è

amareggiata. Niente pace nella terra

di Gesù. Colpa dei terroristi, degli

arabi integralisti, degli antisemiti. Dei

palestinesi insomma.

Nessuno le ha parlato della Palestina

occupata. Dell'apartheid di un intero

popolo. Dei checkpoint e della di-

sperazione dei giovani cresciuti tra

la violenza dei coloni e quella dell'e-

sercito occupante. Non le hanno

raccontato della rabbia che scaturi-

sce dalla vita soffocata nei campi

profughi. Del muro e delle colonie

illegali. Non le hanno detto che a

Betlemme i cristiani e i musulmani

appartengono ad un solo popolo.

Con una unica lingua e uno scopo

comune: vivere libero nella propria

terra.

Ma non è colpa della nonna, ci sembra.

BoccheScucite

P.S. La triste conferma che l’uso di

due verbi diversi per le diverse vitti-

me, israeliane o palestinesi (“uccisi”

o “morti”) registrato dal corrispon-

dente RAI, sia una voluta e precisa

arma di condizionamento di massa,

l’abbiamo avuta dal corrispondente

di Repubblica che fa lo stesso spor-

co gioco per togliere ai palestinesi

anche la verità del loro venir

“uccisi” (anzi “freddati” senza pie-

tà): “Da metà settembre –scrive

Scuto- 20 israeliani sono stati uccisi

e almeno 128 palestinesi sono morti

nello stesso periodo” (27 dicembre

2015)

Se la nonna non capisce...

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N ella notte fra l’11 e il 12 dicembre, alle 2.30, soldati israeliani, dopo aver cir-

condato l’area, sono penetrati nel Centro medico Al-Sadaqa di Betlem-me sfondando porte, mettendo a soq-quadro vari ambulatori, distruggendo strutture e apparecchiature sanitarie. Dopo essersi trattenuti diverse ore per portare a termine la loro azione distruttiva, se ne sono andati portan-do con sé 25.000 shekel (circa 6.000

La brutalità contro i malati di Betlemme non ci fermerà, dr. Nidal!

Ancora distruzione nella “nostra” clinica a Betlemme! Se la notizia dell’ultima incursione nella clinica del carissi-mo Dr. Nidal, a cui da anni non facciamo mancare le medicine sempre più necessarie, non ci stupisce certo nel contesto sempre più violento dell’occupazione, il dolore che ci prende nel vedere ancora una volta devastato un luogo di cura che è tappa fissa durante i Pellegrinaggi di Giustizia, ci amareggia e ci indigna. Possiamo solo con-fermare all’equipe medica colpita dall’ennesima aggressione, che non allenteremo l’impegno di solidarietà e l’affetto che ci lega ai più poveri di Betlemme.

euro), computer e archivi ammini-strativi. I danni economici sono in-genti, e lo sono anche quelli sociali dato l’elevato numero di pazienti le cui cartelle cliniche sono state portate via e che avranno, quindi, difficoltà nel ricevere le prossime cure.

Il Centro medico Al Sadaqa cura pazienti indigenti che fanno riferi-mento al centro per effettuare visite ed analisi, praticare terapie e ricevere farmaci a costi adeguati alle loro

scarse possibilità economiche. Di fronte alla gravità di questi fatti che, purtroppo, rientrano nella “norma-lità” della vita quotidiana in Palesti-na, è necessario che tutti coloro che sono sensibili ai valori del diritto e della giustizia facciano sentire la propria voce di protesta.

Barbara (www.amiciziaitalo-palestinese.org)

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Shuafat: l’inferno è a Gerusalemme

“M igliaia di soldati israeliani hanno invaso anche ieri

alle dodici, carissimi amici di Boc-cheScucite, il nostro campo profu-ghi di Shu'fat. Non ci crederete se vi diciamo che stavolta l’incursione è stata davvero enorme: Più di 1.200 soldati israeliani, accompagnati dalla polizia israeliana, ha fatto ir-ruzione nel piccolo campo -sigillato dalle forze di sicurezza fin dal matti-no- impedendo a noi residenti di entrare o uscire”.

Ricevere queste notizie direttamente da chi si conosce bene da anni e im-maginarsi più di 1000 soldati tutti in una volta nelle strettissime viuzze di Shuafat, ci stringe il cuore e ci lascia attoniti. Ma la prima cosa da fare è raggiungere tutti voi lettori con le parole che proprio gli amici di Shua-fat ci hanno mandato:

“Dopo aver circondato completa-mente il campo hanno fatto esplode-re una casa palestinese, causando ovviamente incalcolabili danni strut-turali alle case vicine.

I soldati sono stati dispiegati in di-verse parti del campo profughi, mentre tiratori scelti hanno occupa-to i tetti di molti edifici.

Prima della demolizione, le forze di occupazione israeliane sono entrate nell’abitazione di al-Akkari – in casa c’era la moglie di Ibrahim e cinque figli, e hanno sistemato gli esplosivi.

La casa che è stata demolita è al terzo piano di un edificio residenzia-le, di proprietà di Ibrahim al-'Akari, ucciso dall'esercito israeliano anco-

ra lo scorso anno.

Come era logico, questa colossale invasione israeliana e la demolizio-ne dell’edificio, hanno portato a scontri tra i soldati e decine di gio-vani locali in diverse parti del campo profughi.

Decine di abitanti lanciavano pietre e bottiglie vuote contro i soldati in-vasori che ci hanno sparato proiettili veri, proiettili di acciaio ricoperti di gomma e bombe a gas, causando molti feriti tra i nostri giovani. Alle equipe mediche è stato impedito dal-le forze israeliane di entrare nel campo profughi mentre le forze isra-eliane circondavano il campo e per il gran numero di feriti non c'era un sufficiente supporto medico a dispo-sizione.

Hanno circondato il nostro centro medico UNRWA, che voi amici ita-liani ben conoscete, visto che anche la scorsa estate siete stati ospitati in esso per una notte. E’ l'unico centro medico nel campo in grado di forni-re servizi sanitari di base alle mi-gliaia di residenti.

Per colpirci ancora più duramente le forze israeliane hanno scelto con precisa decisione di sparare lacrimo-geni e proiettili di gomma verso il personale della clinica in servizio di soccorso. In questo modo ci hanno impedito di soccorrere i feriti negli scontri. In particolare il Dr. Salim Anati, medico ufficiale dell'UNRWA ha subito gravi ustioni alla spalla, causate da una bomba sonora.

Dopo aver letto questo agghiacciante “aggiornamento” dall’infermo di Shuafat, non possiamo che denuncia-

re come uno scandaloso stravolgi-mento della verità l’articolo pubbli-cato il 27 dicembre dalla rete di quotidiani locali che copre mezza Italia. Milioni di ignari lettori, che non conoscono la realtà dell’oppressione israeliana su Shua-fat, hanno subito la descrizione del campo profughi come di “un non luogo, la terra di mezzo dove nasce l’intifada 2.0, pieno di armi di ogni tipo”. Ovviamente non viene spiega-to chi sia responsabile di questo vivere “in veri e propri tuguri in stile lego, senza controllo né sicu-rezza nell’edificazione delle case”. Secondo l’articolo, qui “i ragazzini della terza intifada scelgono di com-battere piuttosto che andare a scuo-la, si coprono il volto con stracci e lanciano sassi con le fionde” E per loro, nati e cresciuti con la cittadi-nanza di Gerusalemme ma sotto controllo totale dell’esercito di oc-cupazione, “il malessere giovanile è quasi incomprensibile visto da fuo-ri”.

I due autori del capolavoro di falsi-tà, Alfredo de Girolamo e Enrico Catassi (manager toscani del’area renziana di Sinistra per Israele), concludono affermando che “questa nuova rivolta è vincolata ad una volontà di carattere politico più o meno evidente” e sullo sfondo –ci mancava per completare il quadro di colpevolizzazione dei palestinesi, “da giorni è massima allerta per il timore che affiliati allo Stato Islami-co stiano preparando attentati terro-ristici” (Il Tirreno, La Nuova ecc. 27.12.15).

BoccheScucite

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A vveniva nell’agosto del 1942. La Svizzera chiudeva le fron-tiere agli ebrei che cercavano

di salvarsi dalla deportazione. Berna era al corrente della minaccia che incombe-va su quelle persone ma decise di re-spingerle. Da allora si sono moltiplicate in Europa le giornate della memoria, i parchi della memoria, i monumenti alla memoria, i musei della memoria, cine-matografia, letteratura e arte dedicate alla memoria. Celebrare la memoria è diventato un imperativo morale e civi-co, richiesto in Italia alle scuole di ogni ordine e grado dalla legge 211 del 20 luglio 2000.

Perché fare memoria?

In prima battuta diremmo che ricordare il cattivo agire di ieri dovrebbe servire a migliorare l’agire di oggi. A che servi-rebbe fare nomi e cognomi delle vittime del passato se non favorisse la denuncia dei responsabili delle vittime del pre-sente? Eppure sembra che gli occidenta-li cresciuti a suon di commemorazioni non si facciano tanti scrupoli a brindare con i boia odierni. Che memoria è quel-la di Renzi quando condanna Hitler ma poi se ne va in Arabia Saudita a vendere armi al re Salman che le usa per distrug-gere il già stremato Yemen, che finanzia l’estremismo islamico, foraggia l’Isis in Siria e taglia teste e crocifigge in massa persone sospettate di dissenso politico, minorenni compresi? Quale credibilità può avere l’Italia che siede ai tavoli negoziali invocando soluzioni diplomatiche e nel contempo vende armi agli stati estremisti? Quale

credibilità possono avere gli Stati uniti e l’Inghilterra quando condannano il nazifascismo e l’Isis e nel frattempo, per convincere l’Occidente a radere al suolo l’Iraq nel 2003, fabbricano intenzionalmente la falsa accusa delle armi di distruzione di massa? E come giudicare la nostra Europa e i capi di stato di tutto il mondo, mano nella mano, compunti e commossi per Charlie Hebdo ma per i 130 mila civili uccisi in Iraq (prevalenza donne e bambini) non hanno trovato di meglio da dire che: “scusate, ci siamo sbagliati”!? Come giudicare l’Europa che si commuove di fronte alle camere a gas e riempie di fiaccolate Parigi ma tace le sue responsabilità dirette e indirette nella sistematica distruzione della Siria, delle comunità Yazidi e Cristiane, dei civili che muoiono a grappoli e fuggono a milioni? Cosa pensare di Israele che attorno alla Memoria della Shoah ha costruito la legittimazione della sua esistenza ma proibisce con una Legge apposita ai palestinesi di fare memoria pubblica della catastrofe (Nakba) che li ha colpiti nel 1948? E non è rivoltante che i capi delle nazioni facciano inderogabilmente omaggio alle vittime della Shoah allo Yad Vashem e nessuno di loro citi Israele in giudizio presso i Tribunali Internazionali per i crimini contro l’umanità che ininterrottamente dal 1948 Israele compie impunemente contro la popolazione palestinese? A che serve “commemorare” se poi chiamiamo barbarie la violenza altrui e “guerre giuste” le nostre? E soprattutto, a che serve celebrare “giornate della

Non dobbiamo tacere Perché fare le Giornate della memoria

don Gianluca, don Andrea, don Alessandro e don Emanuele

memoria” se non ci interessa conoscere e capire queste cose? Se voltarci verso il passato non ci muove a guardare il presente con verità, allora il nostro è soltanto un voltafaccia, né più né meno di quello svizzero nel 1942.

Lo stesso male sotto spoglie diverse

Tutti i governi e gli stati europei si sono fatti premur di istituzionalizzare le cele-brazioni della giornata della memoria, di renderle obbligatorie a scuola, di richiamarne l’importanza in programmi televisivi di approfondimento, di descri-verne la necessità in numerosi articoli di approfondimento. Com’è possibile allora che nell’Europa della memoria non esista un vasto, generale e unanime sussulto di fronte alle migliaia di persone (uomini, donne e bambini) che premono sulle frontiere europee perché fuggono da guerre di cui sono vittime designate? Nessuno si accorge che il male è lo stesso? Nessuno si accorge che ha soltanto cambiato nome, che ieri si chiamava nazi-fascismo e oggi si chiama capitalismo selvaggio? Due facce diverse di un male endemico: il primo si era diffuso in un’Europa malata di nazionalismo, il secondo è cresciuto a dismisura in un’Europa già malata di colonialismo. È risaputo che la situazione del Medio Oriente è al centro di una ridefinizione delle aree di influenza da parte dei paesi colonizzatori (Israele, Stati Uniti, Europa, Turchia, Russia) che stanno facendo a brandelli quel territorio decisi ad accaparrarsene il più possibile. L’Isis è l’ultimo arrivato e pretende di avere la

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sua parte. Il punto è che vuole troppo. Quindi va combattuto. Ma non troppo, cioè non fino al punto di impedirgli di far cadere il presidente siriano. Da questo punto di vista gli attentati di Parigi sono stati un ottimo spot pubblicitario a sostegno della campagna militare che la Francia stava già portando avanti contro Assad.

Associazione a delinquere

Dobbiamo cominciare a dire che ogni giornata della Memoria a cui non corri-sponde un esercizio metodico di cono-scenza circostanziata delle forme odier-ne di violazione della dignità umana ad opera degli stati e di chiunque altro, è inevitabilmente complice di quei poteri il cui terrore ha spinto l’Europa di ieri a tacere. Nazionalismo ieri, neo-colonialismo e capitalismo selvaggio oggi. Entrambi stanno facendo milioni di vittime. Alle migliaia che muoiono di stenti in viaggio, vanno aggiunte infatti le decine di migliaia che vengono dilaniate dalle bombe intelligenti delle coalizioni che di volta in volta nascono attorno ai soliti capofila (USA, Francia, Inghilterra), a volte perfino con la benedizione dell’ONU. Tra queste coalizioni ce n’è una permanente, si chiama NATO, un’organizzazione intergovernativa finalizzata a proteggere militarmente gli interessi dei suoi membri anche a scapito di tutti gli altri. E pazienza se per raggiungere lo scopo le diverse coalizioni abbiano messo a ferro e fuoco Stati interi (Iraq, Libano, Siria), abbattuto governi legittimi democraticamente eletti (Iran 1954), premiato Stati occupanti e punito la resistenza delle popolazioni occupate (Israele-Palestina), razziato interi continenti, (Africa), affamato un quarto dell’umanità. Questa cosa non si

chiama “coalizione”, si chiama “associazione a delinquere”.

Nel nostro nome

L’opinione pubblica occidentale conti-nua a pensare se stessa come la miglio-re compagine umana mai apparsa sotto il sole. È vero che l’Europa è stata grembo di civiltà. Questo non significa che quella di oggi sia degna di quella di ieri. In un passato remoto l’Europa ha saputo apparire al mondo come la patria della democrazia, la stella polare del progresso, la madre dei diritti dell’uomo, la culla della civiltà. Ma di quell’Europa (se mai è esistita) non è rimasto nulla. Le nostre società civili (cioè noi, la gente), insieme alle classi dirigenti, ai politici, agli intellettuali, agli industriali, ai professionisti della comunicazione non si sono sollevati con sufficiente energia di fronte all’affondamento dei primi barconi…hanno permesso che la cosa si ripetesse e continuano a permetterlo. Nel solo 2015 abbiamo lasciato annegare in mare 700 bambini che erano in fuga da condizioni allucinanti strettamente connesse alla destabilizzazione dell’area mediorientale e nord-africana. Destabilizzazione di cui proprio le politiche occidentali hanno una responsabilità fondamentale. Basterebbe soffermarsi sulla cronaca degli ultimi 25 anni per rendersi conto di come le politiche occidentali abbiano soffocato ogni dissenso democratico interno al mondo mediorientale e africano quando si trattava di sostenere i dittatori alleati e come abbiano finanziato l’estremismo per dividere la società araba quando gli stessi dittatori risultavano scomodi agli interessi di Borsa. Come abbiamo potuto permettere ai nostri

rappresentanti di commettere questi scempi nel nostro nome? Come possiamo pensare che le nuove generazioni del mondo palestinese, arabo, afgano e nordafricano, cresciute con i fischi dei missili negli orecchi e costretti a nascondersi come topi per non morire non nutrano risentimento verso l’Occidente che finanzia la corruzione dei loro paesi, spalleggia il proliferare dei gruppi terroristici spontanei e giustifica senza vergogna le azioni terroristiche sistematiche e decennali compiute da Stati quali Israele e Arabia saudita?

È vero che nelle nostre città si aprono mostre, si tengono concerti, si fa teatro, si stampano libri e si scrivono poesie. Ma se non proviamo un po’ di empatia per gli incolpevoli che picchiano alle nostre frontiere, se ci commuoviamo per i morti di Parigi ma non ci accorgiamo che Israele uccide i palestinesi come fossero insetti, se non diciamo “basta” al vezzo militare di chiamare effetti collaterali i morti accidentali (?) delle nostre bombe…allora “la bellezza non ci salverà”.

Prendere coscienza

Noi occidentali viviamo in quella parte di mondo che gode di privilegi dai qua-li la maggioranza dell’umanità è esclu-sa. Non è una colpa essere nati dalla parte ricca del mondo, lo diventa però goderne senza chiedersi da dove arrivi quella ricchezza, perché sia così spro-porzionata, perché in taluni luoghi si accumuli e in altri scarseggi. Diventa un colpa abituarsi ad essa sapendo che il suo prezzo è la riduzione in schiavitù di una parte dell’umanità. Diventa una colpa anche descriverla come l’esito di un sistema socio culturale e organizza-

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tivo più avanzato (i nostri valori) tra-scurando l’enorme vantaggio accumu-lato in secoli di colonialismo e sfrutta-mento. Diventa una colpa sorvolare sul fatto che questo sistema non cambia perché blindato da sistemi politico-giuridici internazionali creati appositamente da coloro che ne traggono vantaggio. Diventa una colpa l’ingenuità protratta nel credere che quella in corso sia una guerra globale dettata da ragioni di sicurezza. Sicurezza si, ma non della gente, non dei diritti umani, non delle legittime aspirazioni dei popoli ma dei privilegiati e dei privilegi, con qualsiasi mezzo, a qualsiasi costo. Con il pretesto della lotta al terrorismo le potenze mondiali e regionali stanno conducendo la più grande e trasversale

operazione militare e politica dai tempi del primo dopoguerra per assicurarsi il controllo di maggior territorio possibile. In questo gioco mortale su vasta scala assumono rilevanza strategica i gruppi terroristici che vengono combattuti o finanziati nella misura in cui possono essere utili agli interessi delle contrapposte coalizioni internazionali o regionali. La guerra in corso peraltro considera i terroristi e i resistenti un irrilevante distinguo lessicale: ciò che conta è che entrambi minacciano lo status quo. Così mentre gli elefanti combattono, sul terreno restano stritolate comunità, famiglie, villaggi. Guerra contro la gente, guerra contro l’umanità: è questo il nome che dobbiamo dare alla guerra in corso. Non è detto che prima

o poi toccherà a noi. Il futuro non lo prevede nessuno. Ma la colpa delle nostre società civili diventa palese nell’assordante contrasto tra l’enorme movimento di uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra e l’assenza di ampi e significativi movimenti civili di solidarietà e di condanna delle politiche dei nostri governi. Le strade dei poveri pullulano di mani, volti, e voci imploranti. Le nostre sono desolatamente vuote. Così noi legittimiamo le scelte dei nostri governanti e ci rendiamo complici.

TUTTI I VIDEO degli interventi alla GIORNATA ONU a NAPOLI puoi vederli nel nostro sito www.bocchescucite.org/category/esperienze/

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P ossiamo già annunciare il vincitore. L’ultranazionalismo religioso

che si nasconde dietro il nome logoro di “sionismo religioso,” ha già vinto, alla grande in Israele. L’intera leadership del sistema legale e parte della difesa dello Stato d’Israele sono nelle loro mani.

Con un denominatore comune basato principalmente sul messianismo, su convenzioni religiose razziste e sull’odio per l’altro, in particolare diretto verso l’arabo; su un amore fittizio per la terra, sull’isolamento dal mondo e su una religione folclori-stica, senza una visione pratica, con una guida spirituale che basa la sua forza sull’ incitamento all’odio e alla approvazione del sangue, questo mo-vimento, con una arroganza intollera-bile, ha sfruttato il vuoto, l’apatia

orribile che si è diffusa nella società laica, ed è arrivato al potere.

Erano gli unici disposti a lottare per un obiettivo collettivo. Essi non han-no escluso alcun mezzo. Hanno estor-to e sfruttato le debolezze del gover-no, il senso di colpa e la confusione in campo laico, e hanno vinto.

Lo hanno fatto in modo sistematico e intelligente: in primo luogo hanno stabilito il fondamento della loro esi-stenza nello sviluppo costante e senza interruzioni delle colonie in terra palestinese. Dopo che hanno raggiun-to il loro obiettivo –l’uccisione di qualsiasi accordo diplomatico e la distruzione della soluzione dei due Stati– ora sono pronti al controllo del dibattito pubblico in Israele per mo-dificarne la struttura di potere.

Ora stanno iniziando a raccogliere i frutti della loro vittoria. Non c’è più nessuno che può fermarli. Coloro che in Israele sono andati in letargo, presto si sveglieranno in un nuovo paese. Si possono cercare i colpevoli solo tra di loro.

(sintesi di BoccheScucite da Haaretz, 25 dicembre 2015)

Israele nel baratro dell’ultranazionalismo religioso di Gideon Levy

Tutti i destinatari della mail sono inseriti in copia nascosta (L. 675/96). Gli indirizzi ai quali mandiamo la comunicazione sono selezionati e verificati, ma può succedere che il messaggio pervenga anche a persone non interessate. VI CHIEDIAMO SCUSA se ciò è accaduto. Se non volete più ricevere "BoccheScucite" o ulteriori messaggi collettivi, vi preghiamo di segnalarcelo mandando un messaggio a [email protected] con oggetto: RIMUOVI, e verrete immediatamente rimossi dalla mailing list.

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Apriamo porte e non muri a Betlemme

Carissimi,

come sapete da anni ormai ogni primo marzo, a Betlemme, ricordiamo con do-lore e indignazione la costruzione del muro da parte dello stato d’Israele. Un muro che illegalmente soffoca, opprime e umilia tutta la comunità palestinese, grandi e piccini.

Ogni anno il nostro grido che invoca giustizia si eleva insieme a quello dei tanti che, come voi, hanno conosciuto la situazione drammatica in cui vivono migliaia di persone.

Quest’anno Un ponte per Betlemme ha bisogno anche del vostro aiuto.

Dal primo gennaio, giornata in cui papa Francesco ci invita a ‘vincere l’indifferenza per conquistare la pace’, fino al 15 febbraio, vi chiediamo di inviarci una preghie-ra, un pensiero, un’invocazione al Dio della pace.

Tutte insieme diverranno un salmo corale, collettivo, che sarà appeso al muro dell’apartheid e che il Primo marzo 2016 sarà preghiera comune ovunque vorremo: nelle parrocchie, nelle comunità, nei monasteri di tutto il mondo.

Dal primo gennaio al primo marzo 2016: dalla Giornata per la pace al Primo Marzo di preghiera contro il muro.

MANDATE A BETLEMME IL VOSTRO MESSAGGIO DI PACE

affinché, come dicono le suore del Caritas Baby Hospital, il muro della vergogna ca-da e per Betlemme, casa del pane, si spalanchi, nell’anno della Misericordia, la PORTA SANTA della pace. Inviate i messaggi a:

[email protected]

Campagna Ponti e non muri di Pax Christi Italia con le suore del Caritas Baby Hospital

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IN PALESTINA CON TEI DUE PROSSIMI PELLEGRINAGGI DI GIUSTIZIA

28 MARZO-4 APRILE 2016

2 - 9 AGOSTO 2016

CON QUESTE TAPPE NELL'ITINERARIO:Betlemme, Hebron, At Twani, Neghev, Beersheva,Gerusalemme, Betania, Ramallah, Bir Zeit, ecc.quota: 500 euro + biglietto aereo

INFO [email protected]