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LA CONQUISTA DELLA COSTITUZIONE IL CAMMINO VERSO L’UNITA’, L’INDIPENDENZA E LA DEMOCRAZIA DAI MOTI RISORGIMENTALI ALLA REPUBBLICA PRIMA PARTE 1- LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI 1789 2- OLYMPE DE GOUGES: DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLA DONNA E DELLA CITTADINA 1791 3- LA COSTITUZIONE FRANCESE DEL 1791 4- LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA DEL 1793 5- DALLA REPUBBLICA CISALPINA (1797) AL REGNO D’ITALIA (1805- 1814) 6- LA COSTITUZIONE DI CADICE DEL 1821 7- LA COSTITUZIONE DI PALERMO DEL 1821 8- LO STATUTO ALBERTINO DEL 1848 9- LA COSTITUZIONE ROMANA DEL 1849 10- IL REGNO D’ITALIA DEL 1861 11- LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA 1848 SECONDA PARTE 1- IL REGNO DI SARDEGNA E LA CARTA DE LOGU 2- LA SARDA RIVOLUZIONE DEL 1794 3- LA FUSIONE PERFETTA E LA RINUNCIA ALL’AUTONOMIA 4- LO STATUTO SPECIALE 5- SEPARATISMO O AUTONOMIA FRANCIA 1789 DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO

Web viewUomo, sei capace d’essere giusto ? È una donna che ti pone la domanda ; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la suprema autorità

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LA CONQUISTA DELLA COSTITUZIONE

IL CAMMINO VERSO L’UNITA’, L’INDIPENDENZA E LA DEMOCRAZIA

DAI MOTI RISORGIMENTALI ALLA REPUBBLICA

PRIMA PARTE

1- LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI 1789 2- OLYMPE DE GOUGES: DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLA DONNA E DELLA CITTADINA 1791 3- LA COSTITUZIONE FRANCESE DEL 1791 4- LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA DEL 1793 5- DALLA REPUBBLICA CISALPINA (1797) AL REGNO D’ITALIA (1805- 1814) 6- LA COSTITUZIONE DI CADICE DEL 1821 7- LA COSTITUZIONE DI PALERMO DEL 1821

8- LO STATUTO ALBERTINO DEL 1848 9- LA COSTITUZIONE ROMANA DEL 1849 10- IL REGNO D’ITALIA DEL 1861 11- LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA 1848

SECONDA PARTE

1- IL REGNO DI SARDEGNA E LA CARTA DE LOGU 2- LA SARDA RIVOLUZIONE DEL 17943- LA FUSIONE PERFETTA E LA RINUNCIA ALL’AUTONOMIA 4- LO STATUTO SPECIALE5- SEPARATISMO O AUTONOMIA

FRANCIA 1789

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO

I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in ASSEMBLEA NAZIONALE, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le sole

cause delle sfortune pubbliche e delle corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una solenne Dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo

1- Gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti.

2- Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza, e la resistenza all’oppressione

3- Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione

4- La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri6- La Legge è l’espressione della volontà generale

10-Nessuno dev’essere molestato per le sue opinioni, anche religiose11-La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo

13-Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese dell’amministrazione, una contribuzione comune è indispensabile: essa dev’essere egualmente ripartita fra tutti i cittadini, in ragione delle loro facoltà.

16-Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri fissata, non ha una Costituzione.

17-la proprietà è un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato

OLYMPE DE GOUGES: DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLA DONNA E DELLA CITTADINA 1791

Olympe de Gouges (Montauban, 7 maggio 1748 – Parigi, 3 novembre 1793) è stata una drammaturga francese che visse durante la rivoluzione francese; i suoi scritti femministi e abolizionisti ebbero grande risonanza.

Nel 1788 pubblicò le "Riflessioni sugli uomini negri" in cui prendeva posizione contro la schiavitù, e nel 1791 la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina in cui dichiarava l'uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna. Nel 1793 fu ghigliottinata perché si era opposta all'esecuzione di Luigi XVI e aveva osato attaccare Robespierre. Con la sua morte si avvia non solo la repressione spietata di ogni dissidenza (si veda anche Condorcet), ma un'involuzione libertaria.

http://it.wikipedia.org/wiki/Olympe_de_Gouges

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLA DONNA E DELLA CITTADINA

Uomo, sei capace d’essere giusto ? È una donna che ti pone la domanda ; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza ; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere. Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata; e rendi a te l’evidenza quando te ne offro i mezzi; cerca, indaga e distingui, se puoi, i sessi nell’amministrazione della natura. Dappertutto tu li troverai confusi, dappertutto essi cooperano in un insieme armonioso a questo capolavoro immortale. Solo l’uomo s’è affastellato un principio di questa eccezione. Bizzarro, cieco, gonfio di scienza e degenerato, in questo secolo illuminato e di sagacità, nell’ignoranza più stupida, vuole

comandare da despota su un sesso che ha ricevuto tutte le facoltà intellettuali; pretende di godere della rivoluzione, e reclama i suoi diritti all’uguaglianza, per non dire niente di più.

Preambolo

Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di potersi costituire in Assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini, potendo essere paragonati ad ogni istante con gli scopi di ogni istituzione politica, siano più rispettati, affinché le proteste dei cittadini, fondate ormai su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione, dei buoni costumi, e alla felicità di tutti. In conseguenza, il sesso superiore sia in bellezza che in coraggio, nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’essere supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina.

Articolo I La Donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell’uomo. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune.

Articolo II Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell’Uomo: questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e soprattutto la resistenza all’oppressione.

Articolo III Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione, che è la riunione della donna e dell’uomo: nessun corpo, nessun individuo può esercitarne l’autorità che non ne sia espressamente derivata.

Articolo IV La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto quello che appartiene agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come limiti solo la tirannia perpetua che l’uomo le oppone; questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione.

Articolo V Le leggi della natura e della ragione impediscono ogni azione nociva alla società: tutto ciò che non è proibito da queste leggi, sagge e divine, non può essere impedito, e nessuno può essere obbligato a fare quello che esse non ordinano di fare.

Articolo VI La legge deve essere l’espressione della volontà generale; tutte le Cittadine e i Cittadini devono concorrere personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; esse deve essere la stessa per tutti: Tutte le cittadine e tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammissibili ad ogni dignità, posto e impiego pubblici secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che quelle delle loro virtù e dei loro talenti.

Articolo VII Nessuna donna è esclusa; essa è accusata, arrestata e detenuta nei casi determinati dalla Legge. Le donne obbediscono come gli uomini a questa legge rigorosa.

Articolo VIII La Legge non deve stabilire che pene restrittive ed evidentemente necessarie, e nessuno può essere punito se non grazie a una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata alle donne.

Articolo IX Tutto il rigore è esercitato dalla legge per ogni donna dichiarata colpevole.

Articolo X Nessuno deve essere perseguitato per le sue opinioni, anche fondamentali; la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna; a condizione che le sue manifestazioni non turbino l’ordine pubblico stabilito dalla legge.

Articolo XI La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri verso i figli. Ogni Cittadina può dunque dire liberamente, io sono la madre di un figlio che vi appartiene, senza che un pregiudizio barbaro la obblighi a dissimulare la verità; salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.

Articolo XII La garanzia dei diritti della donna e della cittadina ha bisogno di un particolare sostegno; questa garanzia deve essere istituita a vantaggio di tutti, e non per l’utilità particolare di quelle alle quali è affidata.

Articolo XIII Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese dell’amministrazione, i contributi della donna e dell’uomo sono uguali; essa partecipa a tutte le incombenze, a tutti i lavori faticosi; deve dunque avere la sua parte nella distribuzione dei posti, degli impieghi, delle cariche delle dignità e dell’industria.

Articolo XIV Le Cittadine e i Cittadini hanno il diritto di costatare personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, la necessità dell’imposta pubblica. Le Cittadine non possono aderirvi che a condizione di essere ammesse ad un’uguale divisione, non solo dei beni di fortuna, ma anche nell’amministrazione pubblica, e di determinare la quota, la base imponibile, la riscossione e la durata dell’imposta.

Articolo XV La massa delle donne, coalizzata nel pagamento delle imposte con quella degli uomini, ha il diritto di chiedere conto, ad ogni pubblico ufficiale, della sua amministrazione.

Articolo XVI Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non sia assicurata, né la separazione dei poteri sia determinata, non ha alcuna costituzione; la costituzione è nulla, se la maggioranza degli individui che compongono la Nazione, non ha cooperato alla sua redazione.

Articolo XVII Le proprietà appartengono ai due sessi riuniti o separati; esse sono per ciascuno un diritto inviolabile e sacro; nessuno ne può essere privato come vero patrimonio della natura, se non quando la necessità pubblica, legalmente constatata, l’esiga in modo evidente, a condizione di una giusta e preliminare indennità.

Risposta al cittadino Robespierredi Olympe de Gouges

Robespierre, come sei stato edificante!Ci fai sapere che hai rinunciato al diritto di una giusta vendetta nei confronti dei tuoi accusatori. E altro non chiedi che torni la pace, che gli odi particolari siano dimenticati, che la libertà sia mantenuta. Che fulminea metamorfosi!Tu, disinteressato; tu, filosofo; tu, amico dei tuoi concittadini, della pace, dell’ordine?

Potrei citare una certa massima, che dice che se un malvagio fa il bene, sta in realtà preparando nuovi grandi mali. Si fa fatica a sopportare la tua improvvisa conversione, il ritornello della tua ambizione sta preparandoci un lugubre concerto. Se sbaglio, scusami;ma vedi, se io ho il fanatismo dell’amor di patria, tu hai quello di un’ambizione tutta particolare. Puoi aver servito la Rivoluzione, lo ammetto;ma i tuoi eccessi hanno cancellato nei cuori di tutti la riconoscenza...Consideriamo ora la tua giustificazione.Ti sei presentato alla tribuna per lavarti dalle molte denunce laboriosamente costruite contro di te. Certo, è bello essere calunniato quando si possono sbaragliare i nemici! Ma come sei lontano, tu, da quel trionfo dell’innocenza che non lascia dubbi sull’accusato! Ti compiango, Robespierre, e ti aborro. Guarda che differenza tra le nostre due anime! La mia è veramente repubblicana, la tua non lo è mai stata. Se ho dato l’impressione di votare per la monarchia, è perché avevo la ferma convinzione che quella forma di governo fosse la più adatta allo spirito francese. Potresti tu negare che i miei princìpi siano per questo meno puri? E se, come Mirabeau, ho cercato di conservare la monarchia costituzionale, l’ho fatto per il bene di tutti noi, mentre tu dici di aver cercato di distruggerla solo per amore di te stesso! Calati nel labirinto della tua coscienza, e smentiscimi se osi.Tu imputi a Louvet il fatto di averti accusato, di avere influenzato i Giacobini, il Consiglio generale della Comune, le Assemblee primarie, l’Assemblea elettorale. Io invece accuso te, e insieme a me ti accusa tanta gente! [...]Dimmi, Robespierre: perché alla Convenzione temevi tanto i letterati? Perché ti hanno visto tuonare contro i filosofi, restauratori dei governi e veri sostegni del mondo, cui dobbiamo la distruzione dei tiranni? Volevi forse istruire i cittadini mediante una Convenzione ignorante, per trasformarla in un’assemblea di bifolchi? O non cercavi piuttosto di dominare su tutti?Rispondimi, ti scongiuro. Benché i tuoi discorsi siano pieni di sofismi, non si può negare che tu possieda un’invidiabile conoscenza delle rivoluzioni, della vita e dei costumi dei grandi conquistatori; ma, di grazia, non paragonarti mai ai saggi di qualunque paese. Sai che distanza c’è tra te e Catone?Quella che sta tra Marat e Mirabeau, tra il moscerino e l’aquila! Tu non sei che la caricatura di un grand’uomo.[...]Coraggio, Maximilien, tenta la fortuna fino all’ultimo, rovescia sul nascere il governo che ha riunito i costituzionali e i repubblicani.Ma la santa filosofia ostacolerà i tuoi successi; e malgrado il tuo trionfo del momento e il disordine di questa anarchia, tu non governerai mai sugli uomini illuminati.Per questo hai puntato gli occhi sul triunvirato. Non hai denaro, dici? Ma hai degli amici che ti hanno già fatto lauti anticipi e che te ne farebbero ancora per dividere con te le massime cariche! Li conosciamo, hanno un sangue colpevole e proscritto.E quel miserabile Marat, che è appena uscito trionfante dalla sua caverna, coperto dell’ignominia generale e che di nuovo, nei suoi scritti pestilenziali, agita il brando delle furie. Quel miserabile Marat, ripeto, che è il vero pulcinella di questo progetto insensato. Tutti gli tirano le pietre, tutti voi lo rinnegate. Quel moderno Nostradamus si vedrà costretto a marcire nel suo antro sottoterra. O Maximilien, Maximilien! Proclami la pace a tutti i venti e intanto dichiari guerra al genere umano. (...)

FRANCIA 1791

LA MONARCHIA COSTITUZIONALE

La Costituzione garantisce, come diritti naturali e civili:

1° Che tutti i cittadini sono ammissibili ai posti ed agli impeghi, senza altra distinzione che quella delle virtù e dei talenti;

2° Che tutte le contribuzioni saranno ripartite fra tutti i cittadini egualmente in proporzione delle loro facoltà;

3° Che gli stessi delitti saranno puniti con le stesse pene, senza alcuna distinzione personale.

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-Sarà creata e organizzata una Istruzione pubblica, comune a tutti i cittadini, gratuita per quanto riguarda le parti d’insegnamento indispensabili a tutti gli uomini

DEI POTERI PUBBLICI

1. La Sovranità è una, indivisibile, inalienabile e imprescrittibile. Essa appartiene alla Nazione

2. La Costituzione francese è rappresentativa: i rappresentanti sono il Corpo legislativo ed il Re.

3. Il Potere legislativo è delegato ad una Assemblea Nazionale composta da rappresentanti temporanei, liberamente eletti dal popolo,

4. Il Governo è monarchico: il Potere esecutivo è delegato al Re, per essere esercitato sotto la sua autorità, da ministri ed altri agenti responsabili, nella maniera che sarà fissata qui di séguito.

5. Il Potere giudiziario è delegato a giudici eletti a tempo dal popolo.

FRANCIA 1793

COSTITUZIONE DELL’ANNO I DELLA REPUBBLICA

E' la Costituzione democratica varata nell'Anno I della Repubblica dalla Convenzione Nazionale a maggioranza giacobina. Evidenti sono le differenze con la Costituzione del 1791. Qui, infatti, si prevede un rafforzamento del potere legislativo, il suffragio universale, il referendum popolare, l'assistenza agli i nfermi ed ai più poveri, il diritto allo studio in una scuola laica e pubblica. Nel corso dell'Ottocento questa sostanziale differenza si ripercuoterà su due movimenti di pensiero: la borghesia liberale si ispirerà, infatti, alla Costituzione del 1791, quella democratica e radicale troverà nella Costituzione del 1793 il suo punto di riferimento ideologico e

politico. http://www.robespierre.it/rivoluz_cost_rep.htm

DICHIARAZIONE DEI DIRITTI

Art. 1. Lo scopo della società è la felicità comune. - Il Governo è istituito per garantire all'uomo il godimento dei suoi diritti naturali e imprescrittibili.

Art. 2. Questi diritti sono l'uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà.

Art. 3. Tutti gli uomini sono uguali per natura e davanti alla legge.

Art. 4. La Legge è l'espressione libera e solenne della volontà generale; essa è la stessa per tutti,

Art. 7. Il diritto di manifestare il proprio pensiero e le proprie opinioni, sia con la stampa sia in tutt'altra maniera, il diritto di riunirsi in assemblee pacificamente, il libero esercizio dei culti, non possono essere interdetti.

Art. 9. La Legge deve proteggere la libertà pubblica e individuale contro l'oppressione di quelli che governano

Art. 13.Ogni uomo essendo presunto innocente fino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si giudica indispensabile arrestarlo, ogni rigore che non fosse necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.

Art. 15 La Legge deve decretare solo pene strettamente ed evidentemente necessarie: le pene devono essere proporzionate al delitto, e utili alla società.

Art. 16. Il diritto di proprietà è quello che appartiene a ogni cittadino di godere e disporre a suo piacimento dei suoi beni, delle sue rendite, dei frutto del suo lavoro e della sua operosità.

Art. 22. L'istruzione è il bisogno di tutti. La società deve favorire con tutto il suo potere i progressi della ragione pubblica, e mettere l'istruzione alla portata di tutti i cittadini.

Art. 2-5. La sovranità risiede nel popolo; essa è una e indivisibile, imprescrittibile e inalienabile.

Art. 30. Le funzioni pubbliche sono essenzialmente temporanee; esse non possono essere considerate come distinzioni né come ricompense, ma come doveri.

Art. 31. I delitti dei mandatari del popolo e dei suoi agenti non devono mai essere impuniti. Nessuno ha il diritto di considerarsi più invio labile degli altri cittadini.

Art. 35. Quando il Governo viola i diritti dei popolo, l'insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte dei popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri.

DELLA REPUBBLICA. Art. I. La Repubblica Francese è una e indivisibile.

DELLO STATO DEI CITTADINI. Art. 4. Ogni uomo nato e domiciliato in Francia, in età di ventun anni compiuti; - Ogni straniero in età di ventun anni compiuti, che, domiciliato in Francia da un anno; - Vi vive dei suo lavoro; o acquista una proprietà; - O sposa una francese; - O adotta un fanciullo; - O mantiene un vecchio; - Ogni straniero infine, che il Corpo legislativo giudicherà di aver ben 'meritato dell'umanità; - è ammesso all'esercizio dei diritti di cittadino francese.

DELLA SOVRANITA DEL POPOLO.

7. - Il popolo sovrano è l’universalità dei cittadini francesi.

8. - Esso nomina direttamente i suoi deputati.

9. - Esso delega a degli elettori la scelta degli amministratori, degli arbitri pubblici, dei giudici criminali e di cassazione.

10. - Esso delibera sulle leggi.

DELLE ASSEMBLEE PRIMARIE. Art. 11 Le Assemblee primarie si compongono dei cittadini domiciliati da sei mesi in ogni cantone.

DELLA RAPPRESENTANZA NAZIONALE. Art..21. La popolazione è la sola base della Rappresentanza nazionale. Art. 22. Vi è un deputato in ragione di quarantamila abitanti. Art. 23. Ogni riunione di Assemblee primarie risultante da una popolazione da 39.000 a 41.000 anime, nomina immediatamente un deputato. Art. 24. La nomina si fa a maggioranza assoluta dei voti. Art. 28. Ogni Francese che esercita i diritti di cittadino, è eleggibile nel territorio della Repubblica.

32-Il popolo francese si riunisce in assemblea tutti gli anni, il primo di maggio, per le elezioni.

DEL CORPO LEGISLATIVO Art. 39. Il Corpo legislativo è uno indivisibIle e permanente.

43. - I deputati non possono essere ricercati, accusati né giudicati in nessun tempo per le opinioni espresse in seno al Corpo legislativo.

DELLE FUNZIONI DEL CORPO LEGISLATIVO.

53. - Il Corpo legislativo propone leggi ed emette decreti.

DELLA FORMAZIONE DELLA LEGGE.

56. - I progetti di legge sono preceduti da una relazione.

58. - Il progetto viene stampato ed inviato a tutti i comuni della Repubblica, sotto questo titolo: Legge proposta.

59. - Quaranta giorni dopo l’invio della legge proposta, se, nella metà dei dipartimenti più uno, il decimo delle Assemblee primarie di ciascuna di esse, regolarmente formate, non ha reclamato, il progetto è accettato e diviene legge.

60. - Se vi è reclamo, il Corpo legislativo convoca le Assemblee primarie.

DEL CONSIGLIO ESECUTIVO.

62. - Vi è un Consiglio esecutivo composto da ventiquattro membri.

63. - L’Assemblea elettorale di ogni dipartimento nomina un candidato. Il Corpo legislativo sceglie sulla lista generale i membri del Consiglio.

65. - Il Consiglio è incaricato della direzione e della sorveglianza dell’amministrazione generale; esso non può agire che in esecuzione delle leggi e dei decreti del Corpo legislativo.

DELLA GIUSTIZIA CIVILE.

85. - Il codice delle leggi civili e penali è uniforme per tutta la Repubblica.

88. - Vi sono dei giudici di pace eletti dai cittadini dei circondari determinati dalla legge.

90. - loro numero e la loro competenza sono regolati dal Corpo legislativo.

DELLA GIUSTIZIA CRIMINALE.

96. - Gli accusati hanno degli avvocati scelti da essi, o nominati d’ufficio. - L’istruttoria è pubblica. - Il fatto e l’intenzione sono dichiarati da un giurì di giudizio. - La pena è applicata da un tribunale criminale.

97. - I giudici criminali sono eletti ogni anno dalle assemblee elettorali.

DEI CONTRIBUTI PUBBLICI.

101. - Nessun cittadino è dispensato dall’onorevole obbligo di contribuire ai carichi pubblici.

DELLE FORZE DELLA REPUBBLICA.

107. - La forza generale della Repubblica è composta dal popolo intero.

108. - La Repubblica mantiene a sue spese, anche in tempo di pace, una forza armata di terra e di mare.

109. - Tutti i Francesi sono soldati, essi sono tutti esercitati a maneggiare le armi.

DELLA GARANZIA DEI DIRITTI.

122. - La costituzione garantisce a tutti i Francesi l’eguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà, il debito pubblico, il libero esercizio dei culti, un’istruzione comune, dei soccorsi pubblici, la libertà indefinita della stampa, il diritto di petizione, il diritto di riunirsi in società popolari, il godimento di tutti i Diritti dell’uomo.

123. - La Repubblica francese onora la lealtà, il coraggio, la vecchiaia, il rispetto filiale, la sventura. Essa affida la custodia della sua costituzione alla guardia di tutte le virtù.

124. - La Dichiarazione dei diritti e l’Atto costituzionale sono incisi su tavole poste nel seno dei Corpo legislativo e nelle pubbliche piazze.

DEI RAPPORTI DELLA REPUBBLICA FRANCESE CON LE NAZIONI STRANIERE.

118. - Il popolo francese è l’amico e l’alleato naturale dei popoli liberi.

119. - Esso non s’ingerisce nel governo delle altre nazioni; e non sopporta che le altre nazioni s’ingeriscano nel suo.

120. - Esso dà asilo agli stranieri banditi dalla loro patria per la causa della libertà. - Lo rifiuta ai tiranni.

http://it.wikipedia.org/

DALLA REPUBBLICA CISALPINA (1797) AL REGNO D’ITALIA (1805- 1814)

La Repubblica Cisalpina fu costituita dal generale Napoleone Bonaparte il 29 giugno 1797. Lo stato comprendeva gran parte nell'Italia settentrionale, con le odierne regioni Lombardia ed Emilia-Romagna e marginalmente Veneto e Toscana, che Napoleone aveva liberato dal dominio austriaco.

L'Austria dovette riconoscere il nuovo stato con il Trattato di Campoformio il 17 ottobre 1797 ottenendo in cambio la Repubblica Veneta.

l 26 gennaio 1802 alla Consulta di Lione viene sancita la nascita della Repubblica Italiana con capitale Milano e Napoleone presidente.

Il 26 gennaio 1802 i deputati della Repubblica Cisalpina proclamarono la trasformazione di questa in Repubblica Italiana, con presidente Napoleone Bonaparte.

Dopo che, nel 1804, Napoleone fu proclamato Imperatore dei francesi , la Repubblica italiana si trasformò in Regno d’Italia e Napoleone fu incoronato Re d'Italia, il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano.

Nel rito celebrato nel Duomo di Milano, egli si impose da solo la corona sul capo, pronunciando la frase: "Dio me l'ha data e guai a chi me la toglie!". Per devozione alla corona Napoleone istituì poi l'Ordine della Corona del Ferro.

Dopo la parentesi napoleonica, l'incoronazione ritornò prerogativa degli imperatori d'Austria, e Ferdinando I la ricevette nel 1838. Durante le guerre di indipendenza italiane, la corona fu requisita da Monza e portata a Vienna, ma nel 1866, dopo la sconfitta dell'Austria nella terza guerra di indipendenza, fu restituita all'Italia e ritornò a Monza.

Il regno cessò di esistere nel 1814 con la fine del periodo napoleonico: il 6 aprile 1814, Napoleone si disse pronto ad abdicare, atto che fu formalizzato il giorno 11.

LA COSTITUZIONE DI CADICE DEL 1812

La costituzione spagnola del 1812, nota anche come costituzione di Cadice, è la carta costituzionale emanata nel 1812 dalle Cortes, il parlamento spagnolo, in opposizione all'occupazione napoleonica e al regime di Giuseppe Bonaparte.

Di fronte all'avanzata francese nel 1810 furono convocate a Cadice (dove il re si era rifugiato insieme con i suoi fedelissimi) le cortes, secondo la vecchia prassi parlamentare iberica. Dopo due anni di intenso lavoro, il 18 marzo 1812 approvarono una costituzione, che, per la prima volta, dunque, era votata e non soltanto ottriata, ovvero concessa. Essa riconosceva una monarchia ereditaria, a cui veniva affidato il potere esecutivo e a cui veniva attribuita la nomina dei magistrati. Il re esercitava il suo comando attraverso i cosiddetti segretari — ovvero dei ministri — il cui numero era fissato dalle cortes, ma la cui scelta spettava al monarca.

Costoro, semplici esecutori del suo volere, erano coadiuvati da un consiglio di Stato, i cui membri venivano scelti dal re su proposta delle cortes. Sempre al re spettava il diritto di veto sulle leggi votate dalle cortes. La sovranità, come nella costituzione francese del 1791, risiedeva non più nel re, ma nella nazione, intesa a quel tempo come gruppo di individui che condividono un destino politico comune per tradizione di vita associata, formatasi per una comunanza di fattori, tra cui lingua, territorio, religione, razza, consuetudini sociali e giuridiche.

Il sistema parlamentare, cui è affidato il potere legislativo, è unicamerale, quello delle già citate cortes. Queste sembrano risentire ancora parecchio dalla tradizione parlamentare di matrice medievale, con sessioni fisse ogni anno per tre mesi ed un sistema elettorale piramidale che sale per tre gradi dalle parrocchie, ai distretti, alle province fino al Parlamento. L’elezione, benché a suffragio ristretto, era di tutti i membri delle cortes (ogni due anni) all'interno delle quali non compaiono né nobiltà né clero. Accanto a queste disposizioni la Costituzione di Cadice, constando di 384 articoli, ne conteneva numerose altre riguardanti, in primis, la religione, che era, vi si legge, la "cattolica, apostolica e romana, unica vera. La nazione la protegge con leggi savie e giuste, e vieta l'esercizio di ogni altra". Di notevole importanza risultavano anche la disciplina delle amministrazioni locali, la milizia, l'istruzione, l'imposizione fiscale e la possibilità di riforme costituzionali.

La fortuna della Costituzione di Cadice [modifica]

L'adesione al modello monocamerale, nel quale l'élite liberale ottocentesca vide la possibilità di garantire ogni forma di rappresentanza, si distanzia dalla matrice illuminista francese e, proprio in quanto considerata meno giacobina, verrà presa a modello da ampia parte dei sovrani europei, primo fra tutti Carlo Alberto, il quale la adottò in qualità di principe reggente di Savoia-Carignano nel 1821.

COSTITUZIONE DI PALERMO 1812

La Costituzione siciliana del 1812 venne adottata nel Regno di Sicilia in opposizione alla politica oppressiva e fiscalista del re Ferdinando I di Borbone e all'avanzata napoleonica.

Ferdinando, nel 1810, riunì il Parlamento domandando personalmente aiuti adeguati per la salvaguardia del regno minacciato dai Francesi.

Dopo lunghe discussioni il governo ebbe un donativo appena sufficiente ai bisogni immediati, dovendo così imporre una gravosa tassa sulle entrate. La rivolta esplose.

A farsi arbitro della situazione un emissario del governo inglese nell'isola, Lord William Bentinck, la cui flotta proteggeva il regno di Sicilia dalle invasioni del regno di Napoli napoleonico. Egli invitò Ferdinando ad abbandonare il governo, nominando il figlio Francesco suo luogotenente. E così fu.

Al giovane rampollo venne accostato un governo esclusivamente siciliano presieduto da un consigliere di stato anziano (una sorta di primo ministro). L'attribuzione del comando militare, con il titolo di capitan generale de' reali eserciti di S. marina siciliana, andò allo stesso Bentinck. Obiettivo fondamentale fu la ratifica di una nuova costituzione. L'idea trovò non pochi seguaci e prevalse l'idea che il testo sarebbe stato elaborato dai Bracci, le antiche istituzioni parlamentari di derivazione normanna.

L'impianto della costituzione [modifica]

La costituzione siciliana fu quasi un prototipo del modello inglese, adattato alle esigenze locali. Le dodici basi o principi generali, dopo la loro approvazione da parte del parlamento, furono sottoposte al re, che, pur molto lontano dall'entusiasmarsene, fu costretto ad accettarle.

L'anno successivo la costituzione fu approvata dal parlamento (fu perciò votata e non ottriata, proprio come quella di Cadice). Essa prevedeva un potere legislativo attribuito a due camere, una dei Comuni (corrispondente all'ultimo Braccio, detto demaniale, eleggibile con voto censitario e palese) e l'altra dei Pari (dove si accorpano primo e secondo Braccio, rispettivamente ecclesiastico e militare, e le cui cariche erano vitalizie), un esecutivo in mano al re ed un giudiziario composto di togati indipendenti soltanto formalmente. Le camere erano convocate dal re, almeno una volta all'anno e le leggi da esse approvate erano suscettibili di veto da parte del monarca.

Si trattava dunque di un costituzionalismo moderato che poteva stare bene persino ai baroni, i quali in opposizione al re aspiravano a modificazioni, seppur progressive e non troppo brusche. Appena poté, tuttavia, il re evitò di applicarla. Tornato a Napoli dopo la caduta di Gioacchino Murat, non convocò più il Parlamento siciliano e così, anche senza formale abrogazione, la costituzione siciliana cadde disapplicata.

LO STATUTO ALBERTINO

Lo Statuto del Regno, noto come Statuto albertino dal nome del Re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia-Carignano, fu lo statuto adottato dal Regno sardo-piemontese il 4 marzo 1848. Nel Preambolo autografo dello stesso Carlo Alberto viene definito come «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia» sabauda.

Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino al biennio 1944-1946 quando, con successivi decreti legislativi, fu adottato un regime costituzionale transitorio valido fino all'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana, il 1º gennaio 1948.

Lo Statuto Albertino, nonostante non abbia natura di fonte legislativa sovraordinata alla legge ordinaria, può essere considerato a tutti gli effetti un primo esempio di costituzione breve.

Essendo lo Statuto albertino una carta ottriata (dal francese octroyée: concessa dal sovrano), riveste una particolare importanza il suo preambolo. L'assolutismo illuminato, ultima evoluzione dello Stato di polizia, è estremamente evidente: «con lealtà di Re e con affetto di padre Noi veniamo a compiere quanto avevamo annunziato ai nostri amatissimi Sudditi», così come è evidente la riserva mentale con cui lo Statuto viene concesso, laddove - celando le forti motivazioni sociali che hanno indotto Carlo Alberto ad emanare questo atto - si afferma «di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue».

È inoltre da notare come lo Statuto non sia mai qualificato con il termine costituzione, ritenuto ancora pregno di significati assiologici e non meramente descrittivi, e come dalle intenzioni espresse dal sovrano esso dovesse intendersi come una costituzione rigida, «perpetua ed irrevocabile». La storia si incaricò però di smentire questa affermazione: fin dall'inizio, lo Statuto -

che definiva una forma di monarchia costituzionale pura - tese ad evolversi verso la differente forma di monarchia parlamentare, rivelando quindi una natura di costituzione flessibile (e infatti era modificabile con legge ordinaria). Il sistema costituzionale italiano, quindi, subì un'evoluzione molto particolare, dettata, in parte, da una scelta costituente compiuta formalmente dal monarca, ma in buona parte legata al concreto divenire del sistema politico. La prima modificazione che lo Statuto subirà sarà quella relativa alla bandiera, da quella con la coccarda azzurra a quella con la coccarda tricolore, in occasione della ribellione del Lombardo-Veneto contro il dominio austriaco nel 1848. Il fatto che il testo si sia poi rivelato lacunoso, ambiguo e generico può certamente apparire come un difetto, ma, nei fatti, poi, si rivelò essere invece un vantaggio, perché ne permise un pacifico adeguamento a mutate esigenze e situazioni, come d'altronde in quasi tutte le carte costituzionali sette-ottocentesche (si pensi in primis alla Costituzione statunitense redatta nel 1787). Tale elasticità dello Statuto fece dire ad Arturo Carlo Jemolo che esso “visse di vita propria” per quasi cent'anni. Per lungo tempo, in effetti, non ci furono vere modifiche formali del testo statutario, almeno fino al periodo fascista. L'elasticità del testo permetteva infatti di piegarlo ad una certa interpretazione (invocando certe espressioni a danno di altre), sottolineando un punto o un articolo piuttosto che un altro. Lo Statuto acquistò così, fin dall'inizio, un certo aspetto di intangibilità, proprio mentre nei decenni ne mutavano i contenuti effettivi.

Lo Statuto albertino corrisponde a ciò che si definisce una costituzione breve: si limita ad enunciare i diritti (che sono per lo più libertà dallo Stato) e ad individuare la forma di governo, ma non si pone il fine di raggiungere obiettivi di convivenza, né di prefigurare i rapporti dei consociati (Stato-comunità) tra di loro e tra questi e lo Stato-apparato. Riconosce il principio di eguaglianza (art. 24: «tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge. // Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi»), ma si limita ad affermare un'eguaglianza formale. Riconosce formalmente la libertà individuale (art. 26), l'inviolabilità del domicilio (art. 27), la libertà di stampa (art. 28), la libertà di riunione (art. 32), ma le riserve di legge ivi previste si risolvono nel ben più blando e meno garantista principio di legalità, mentre è sconosciuto l'istituto della riserva di giurisdizione: in definitiva, il vero cardine del sistema dei diritti statutari è costituito dal diritto di proprietà (art. 29). Per quanto riguardava la libertà religiosa il Regno di Sardegna era (art.1) uno Stato confessionale. La religione, si scrisse, "è quella Cattolica, Apostolica e Romana" e gli altri culti esistenti erano unicamente tollerati, come sotto Vittorio Amedeo II. Tale prospettiva muta ben presto e verrà l'emancipazione prima dei Valdesi (17 febbraio- Lettere Patenti) e poi degli Ebrei (29 marzo) con il riconoscimento dei loro diritti civili e politici, infine con l'abolizione dei “privilegi” ecclesiastici a partire dal 2 marzo successivo con un decreto regio che cacciava i Gesuiti dallo Stato. Una legge di poco posteriore ( "LEGGE SINEO"del giugno del 1848) aggiungeva che la differenza di culto non formava eccezione al godimento dei diritti civili e politici e all'ammissibilità alle cariche civili e militari.

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA, 1849

PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA Decreto istitutivo:

art.1 - Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano.

art.2 - Il Pontefice romano avrà tutte le guarantigie necessarie per la indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale.

art.3 - La forma del Governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana.

Art.4 -.La Repubblica Romana avrà con il resto d’Italia le relazioni che esige la nazionalità comune.

Roma lì 9 febbraio 1849 ore 1 antimeridiane

Voti: 120 favorevoli – 12 astenuti – 10 contrari

Il PresidenteG. GALLETTI

I Vice-PresidentiA. SALICETI - E. ALLOCCATELLI

I SegretariG. PENNACCHI - G. COCCHIA. FABRETTI - A. ZAMBIANCHI

PRINCIPII FONDAMENTALI

I.La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.

II.Il regime democratico ha per regola l'eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.

III.La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

IV.La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l'italiana.

V.I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato.

VI.La piú equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll'interesse politico dello Stato è la norma del riparto territoriale della Repubblica.

VII.Dalla credenza religiosa non dipende l'esercizio dei diritti civili e politici.

VIII.Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l'esercizio indipendente del potere spirituale.

TITOLO IDEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI

ART. 1. - Sono cittadini della Repubblica:Gli originarii della Repubblica;Coloro che hanno acquistata la cittadinanza per effetto delle leggi precedenti;Gli altri Italiani col domicilio di sei mesi;Gli stranieri col domicilio di dieci anni;I naturalizzati con decreto del potere legislativo.

ART. 2. - Si perde la cittadinanza:Per naturalizzazione, o per dimora in paese straniero con animo di non piú tornare;Per l'abbandono della patria in caso di guerra, o quando è dichiarata in pericolo;Per accettazione di titoli conferiti dallo straniero;Per accettazione di gradi e cariche, e per servizio militare presso lo straniero, senza autorizzazione del governo della Repubblica; l'autorizzazione è sempre presunta quando si combatte per la libertà d'un popolo;Per condanna giudiziale.

ART. 3. - Le persone e le proprietà sono inviolabili.

ART. 4. - Nessuno può essere arrestato che in flagrante delitto, o per mandato di giudice, né essere distolto dai suoi giudici naturali. Nessuna Corte o Commissione eccezionale può istituirsi sotto qualsiasi titolo o nome.Nessuno può essere carcerato per debiti.

ART. 5. - Le pene di morte e di confisca sono proscritte.

ART. 6. - Il domicilio è sacro: non è permesso penetrarvi che nei casi e modi determinati dalla legge.

ART. 7. - La manifestazione del pensiero è libera; la legge ne punisce l'abuso senza alcuna censura preventiva.

ART. 8. - L'insegnamento è libero.Le condizioni di moralità e capacità, per chi intende professarlo, sono determinate dalla legge.

ART. 9. - Il segreto delle lettere è inviolabile.

ART. 10. - Il diritto di petizione può esercitarsi individualmente e collettivamente.

ART. 11. - L'associazione senz'armi e senza scopo di delitto, è libera.

ART. 12. - Tutti i cittadini appartengono alla guardia nazionale nei modi e colle eccezioni fissate dalla legge.

ART. 13. - Nessuno può essere astretto a perdere la proprietà delle cose, se non in causa pubblica, e previa giusta indennità.

ART. 14. - La legge determina le spese della Repubblica, e il modo di contribuirvi.Nessuna tassa può essere imposta se non per legge, nè percetta per tempo maggiore di quello dalla

legge determinato.

TITOLO IIDELL'ORDINAMENTO POLITICO

ART. 15. - Ogni potere viene dal popolo. Si esercita dall'Assemblea, dal Consolato, dall'Ordine giudiziario.

TITOLO IIIDELL'ASSEMBLEA

ART. 16. - L'Assemblea è costituita da Rappresentanti del popolo.

ART. 17. - Ogni cittadino che gode i diritti civili e politici a 21 anno è elettore, a 25 è eleggibile.

ART. 18. - Non può essere rappresentante del popolo un pubblico funzionario nominato dai consoli o dai ministri.

ART. 19. - Il numero dei rappresentanti è determinato in proporzione di uno ogni ventimila abitanti.

ART. 20. - I Comizi generali si radunano ogni tre anni nel 21 aprile.Il popolo vi elegge i suoi rappresentanti con voto universale, diretto e pubblico.

ART. 21. - L'Assemblea si riunisce il 15 maggio successivamente all'elezione.Si rinnova ogni tre anni.

ART. 22. - L'Assemblea si riunisce in Roma, ove non determini altrimenti, e dispone della forza armata di cui crederà aver bisogno.

ART. 23. - L'Assemblea è indissolubile e permanente, salvo il diritto di aggiornarsi per quel tempo che crederà.Nell'intervallo può essere convocata ad urgenza sull'invito del presidente co' segretari, di trenta membri, o del Consolato.

ART. 24. - Non è legale se non riunisce la metà, piú uno dei suoi rappresentanti.Il numero qualunque de' presenti decreta i provvedimenti per richiamare gli assenti.

ART. 25. - Le sedute dell'Assemblea sono pubbliche.Può costituirsi in comitato segreto.

ART. 26. - I rappresentanti del popolo sono inviolabili per le opinioni emesse nell'Assemblea, restando inerdetta qualunque inquisizione.

ART. 27. - Ogni arresto o inquisizione contro un rappresentante è vietato senza permesso dell'Assemblea, salvo il caso di delitto flagrante.Nel caso di arresto in flagranza di delitto, l'Assemblea che ne sarà immediatamente informata, determina la continuazione o cessazione del processo.Questa disposizione si applica al caso in cui un cittadino carcerato fosse eletto rappresentante.

ART. 28. - Ciascun rappresentante del popolo riceve un indennizzo cui non può rinunziare.

ART. 29. - L'Assemblea ha il potere legislativo: decide della pace, della guerra, e dei trattati.

ART. 30. - La proposta delle leggi appartiene ai rappresentanti e al Consolato.

ART. 31. - Nessuna proposta ha forza di legge, se non dopo adottata con due deliberazioni prese all'intervallo non minore di otto giorni, salvo all'Assemblea di abbreviarlo in caso d'urgenza.

ART. 32. - Le leggi adottate dall'Assemblea vengono senza ritardo promulgate dal Consolato in nome di Dio e del popolo. Se il Consolato indugia, il presidente dell'Assemblea fa la promulgazione.

TITOLO IVDEL CONSOLATO E DEL MINISTERO

ART. 33. - Tre sono i consoli. Vengono nominati dall'Assemblea a maggioranza di due terzi di suffragi.Debbono essere cittadini della repubblica, e dell'età di 30 anni compiti.

ART. 34. - L'ufficio dei consoli dura tre anni. Ogni anno uno dei consoli esce d'ufficio. Le due prime volte decide la sorte fra i tre primi eletti.Niun console può essere rieletto se non dopo trascorsi tre anni dacché uscí di carica.

ART. 35. - Vi sono sette ministri di nomina del Consolato:1. Degli affari interni;2. Degli affari esteri;3. Di guerra e marina;4. Di finanze;5. Di grazia e giustizia;6. Di agricoltura, commercio, industria e lavori pubblici;7. Del culto, istruzione pubblica, belle arti e beneficenza.

ART. 36. - Ai consoli sono commesse l'esecuzione delle leggi, e le relazioni internazionali.

ART. 37. - Ai consoli spetta la nomina e revocazione di quegli impieghi che la legge non riserva ad altra autorità; ma ogni nomina e revocazione deve esser fatta in consiglio de' ministri.

ART. 38. - Gli atti dei consoli, finché non sieno contrassegnati dal ministro incaricato dell'esecuzione, restano senza effetto. Basta la sola firma dei consoli per la nomina e revocazione dei ministri.

ART. 39. - Ogni anno, ed a qualunque richiesta dell'Assemblea, i consoli espongono lo stato degli affari della Repubblica.

ART. 40. - I ministri hanno il diritto di parlare all'Assemblea sugli affari che li risguardano.

ART. 41. - I consoli risiedono nel luogo ove si convoca l'Assemblea, né possono escire dal territorio della Repubblica senza una risoluzione dell'Assemblea sotto pena di decadenza.

ART. 42. - Sono alloggiati a spese della Repubblica, e ciascuno riceve un appuntamento di scudi tremila e seicento.

ART. 43. - I consoli e i ministri sono responsabili.

ART. 44. - I consoli e i ministri possono essere posti in stato d'accusa dall'Assemblea sulla proposta di dieci rappresentanti. La dimanda deve essere discussa come una legge.

ART. 45. - Ammessa l'accusa, il console è sospeso dalle sue funzioni. Se assoluto, ritorna all'esercizio della sua carica, se condannato, passa a nuova elezione.

TITOLO VDEL CONSIGLIO DI STATO

ART. 46. - Vi è un consiglio di stato, composto da quindici consiglieri nominati dall'Assemblea.

ART. 47. - Esso deve essere consultato dai Consoli, e dai ministri sulle leggi da proporsi, sui regolamenti e sulle ordinanze esecutive; può esserlo sulle realzioni politiche.

ART. 48. - Esso emana que' regolamenti pei quali l'Assemblea gli ha dato una speciale delegazione. Le altre funzioni sono determinate da una legge particolare.

TITOLO VIDEL POTERE GIUDIZIARIO

ART. 49. - I giudici nell'esercizio delle loro funzioni non dipendono da altro potere dello Stato.

ART. 50. - Nominati dai consoli ed in consiglio de' ministri sono inamovibili, non possono essere promossi, né trasclocati che con proprio consenso, né sospesi, degradati, o destituiti se non dopo regolare procedura e sentenza.

ART. 51. - Per le contese civili vi è una magistratura di pace.

ART. 52. - La giustizia è amministrata in nome del popolo pubblicamente; ma il tribunale, a causa di moralità, può ordinare che la discussione sia fatta a porte chiuse.

ART. 53. - Nelle cause criminali al popolo appartiene il giudizio del fatto, ai tribunali l'applicazione della legge. La istituzione dei giudici del fatto è determinata da legge relativa.

ART. 54. - Vi è un pubblico ministero presso i tribunali della Repubblica.

ART. 55. - Un tribunale supremo di giustizia giudica, senza che siavi luogo a gravame, i consoli ed i ministri messi in istato di accusa. Il tribunale supremo si compone del presidente, di quattro giudici piú anziani della cassazione, e di giudici del fatto, tratti a sorte dalle liste annuali, tre per ciascuna provincia.L'Assemblea designa il magistrato che deve esercitare le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale supremo.È d'uopo della maggioranza di due terzi di suffragi per la condanna.

TITOLO VIIDELLA FORZA PUBBLICA

ART. 56. - L'ammontare della forza stipendiata di terra e di mare è determinato da una legge, e solo per una legge può essere aumentato o diminuito.

ART. 57. - L'esercito si forma per arruolamento volontario, o nel modo che la legge determina.

ART. 58. - Nessuna truppa straniera può essere assoldata, né introdotta nel territorio della Repubblica, senza decreto dell'Assemblea.

ART. 59. - I generali sono nominati dall'Assemblea sopra proposta del Consolato.

ART. 60. - La distribuzione dei corpi di linea e la forza delle interne guarnigioni sono determinate dall'Assemblea, né possono subire variazioni, o traslocamento anche momentaneo, senza di lei consenso.

ART. 61. - Nella guardia nazionale ogni grado è conferito per elezione.

ART. 62. - Alla guardia nazionale è affidato principalmente il mantenimento dell'ordine interno e della costituzione.

TITOLO VIIIDELLA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE

ART. 63. - Qualunque riforma di costituzione può essere solo domandata nell'ultimo anno della legislatura da un terzo almeno dei rappresentanti.

ART. 64. - L'Assemblea delibera per due volte sulla domanda all'intervallo di due mesi. Opinando l'Assemblea per la riforma alla maggioranza di due terzi, vengono convocati i comizii generali, onde eleggere i rappresentanti per la costituente, in ragione di uno ogni 15 mila abitanti.

ART. 65. - L'Assemblea di revisione è ancora assemblea legislativa per tutto il tempo in cui siede, da non eccedere tre mesi.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

ART. 66. - Le operazioni della costituente attuale saranno specialmente dirette alla formazione della legge elettorale, e delle altre leggi organiche necessarie all'attuazione della costituzione.

ART. 67. - Coll'apertura dell'Assemblea legislativa cessa il mandato della costituente.

ART. 68. - Le leggi e i regolamenti esistenti restano in vigore in quanto non si oppongono alla costituzione, e finché non sieno abrogati.

ART. 69. - Tutti gli attuali impiegati hanno bisogno di conferma.

http://www.ossimoro.it/p41.htm

IL REGNO D’ITALIA DEL 1861

I Savoia

I Savoia non la utilizzarono mai la corona di ferro, poiché conservarono la corona del regno di Sardegna (anche nello stemma regio). In ogni caso la corona faceva parte delle insegne reali, come testimonia l'esposizione di essa ai funerali di Vittorio Emanuele II (1878), il quale aveva anche istituito l'Ordine cavalleresco della Corona d'Italia.

Il re Umberto I forse meditava di incoronarsi con la Corona Ferrea quando il clima politico fosse stato più favorevole: nel 1890 egli inserì la Corona Ferrea nello stemma reale, e nel 1896 donò al duomo di Monza, città in cui egli amava risiedere, la teca di vetro blindato in cui essa è tuttora custodita. Il suo assassinio nel 1900 interruppe i suoi progetti, ma di nuovo alle sue esequie venne esposta la Corona e la sua tomba al Pantheon ne reca una copia bronzea.

Il figlio Vittorio Emanuele III non volle alcuna cerimonia di incoronazione.

Lo Statuto del Regno, noto come Statuto albertino dal nome del Re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia-Carignano, fu lo statuto adottato dal Regno sardo-piemontese il 4 marzo 1848. Nel Preambolo autografo dello stesso Carlo Alberto viene definito come «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia» sabauda.

Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino al biennio 1944-1946 quando, con successivi decreti legislativi, fu adottato un regime costituzionale transitorio valido fino all'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana, il 1º gennaio 1948.

Lo Statuto Albertino, nonostante non abbia natura di fonte legislativa sovraordinata alla legge ordinaria, può essere considerato a tutti gli effetti un primo esempio di costituzione breve.

Il Regno d'Italia fu il nome assunto dallo stato sardo dopo l'unificazione dell'Italia nel 1861 [2]. Lo Stato cambiò nuovamente nome nel 1946 quando venne indetto un referendum istituzionale con il quale la maggioranza degli italiani decise per la repubblica.

Nel gennaio 1861 si tennero le elezioni per il primo parlamento unitario. Su quasi 26 milioni di abitanti, il diritto a votare fu concesso dai nuovi governanti solo a 419.938 persone (circa l'1,8%), sebbene soltanto 239.583 si recassero a votare; alla fine i voti validi si ridussero a 170.567, dei quali oltre 70.000 erano di impiegati statali. Vengono eletti 85 fra principi, duchi e marchesi, 28 ufficiali, 72 fra avvocati, medici ed ingegneri.

Con la prima convocazione del Parlamento italiano del 18 febbraio 1861 e la successiva proclamazione del 17 marzo, Vittorio Emanuele II è il primo re d'Italia nel periodo 1861-1878. Nel 1866, a seguito della terza guerra di indipendenza, vengono annessi al regno il Veneto (che allora comprendeva anche la Provincia del Friuli) e Mantova sottratti all'Impero Austro-Ungarico. Nel 1870, con la presa di Roma, al regno viene annesso il Lazio, sottraendolo definitivamente allo Stato della Chiesa. Roma diventa ufficialmente capitale d'Italia (prima lo erano state in ordine Torino e Firenze).

Seguono i regni di Umberto I (1878-1900), ucciso in un attentato dall'anarchico Gaetano Bresci al fine di rivendicare la strage del 1898, quando dei manifestanti pacifici a Milano vennero presi a cannonate dall'esercito sotto ordine reale, e di Vittorio Emanuele III (1900-1946). Con quest'ultimo, nel 1919 dopo la prima guerra mondiale vengono uniti al Regno il Trentino, l'Alto Adige, Gorizia ed il Friuli orientale, l'Istria, Trieste, Zara e le isole del Carnaro, Lagosta, Cazza e Pelagosa. Seguirono l'annessione dell'isola di Saseno nel 1920 e di Fiume nel 1924.

Durante la seconda guerra mondiale vengono annesse le isole Ionie (ad eccezione di Corfù, legata con statuto speciale all'Albania), la Dalmazia e il territorio di Lubiana.

Dopo la seconda guerra mondiale, l'Istria, Fiume, la Dalmazia (con le isole di Pelagosa, di Lagosta e di Cazza) vengono cedute nel 1947 alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, le isole Ionie passano alla Grecia e l'isola di Saseno all'Albania. Vengono inoltre ceduti alla Francia i territori di Tenda e di Briga, il passo del Monginevro, la Valle Stretta del monte Thabor, il Colle del Moncenisio ed una parte del territorio del Colle del Piccolo San Bernardo. Il Regno d'Italia, retto intanto da Umberto prima come luogotenente del Regno (1943-1946) e poi per poco più di un mese come re (il Re di maggio) in seguito all'abdicazione di Vittorio Emanuele III, si conclude con la proclamazione della Repubblica Italiana a seguito del referendum del 1946, che segnò l'esclusione di casa Savoia dalla storia d'Italia dopo 85 anni di regno.

Istituzionalmente e giuridicamente, il Regno d'Italia venne configurandosi come un ingrandimento del Regno di Sardegna, esso fu infatti una monarchia costituzionale, secondo la lettera dello statuto albertino concesso a Torino nel 1848; il Re nominava il governo, che era responsabile di fronte al sovrano e non al parlamento; il re manteneva inoltre prerogative in politica estera e, per consuetudine, sceglieva i ministri militari (Guerra e Marina). Nei vent'anni antecedenti allo scoppio della I guerra mondiale, il Regno d'Italia aveva visto un graduale ma costante cambiamento verso la forma parlamentare, ovvero, i governi di quegli anni chiedevano la fiducia alla Camera dei deputati, e non più al Senato del Regno, infatti si può dire che il Senato avesse perso quasi ogni sua funzione, dall'approvazione delle leggi fino alla fiducia al governo. Si può dire che in quegli anni l'Italia si trasformò quasi completamente in una monarchia parlamentare come il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Il diritto di voto era attribuito, secondo la legge elettorale piemontese del 1848, in base al censo; in questo modo gli aventi diritto al voto costituivano appena il 2% della popolazione. Le basi del nuovo regime erano quindi estremamente ristrette, conferendogli una grande fragilità. Nel 1861 il Regno d’Italia si configurava come una delle maggiori nazioni d’Europa, almeno a livello di popolazione e di superficie (22 milioni su una superficie di 259.320 km2), ma non poteva considerarsi una grande potenza, a causa soprattutto della sua debolezza economica e politica. Le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato ostacolavano la costruzione di uno stato unitario. Accanto ad aree tradizionalmente industrializzate coinvolte in processi di rapida modernizzazione (soprattutto le grandi città e le ex capitali), esistevano situazioni statiche ed arcaiche riguardanti soprattutto l'estesissimo mondo agricolo e rurale italiano. L'estraneità delle masse popolari al nuovo Stato si palesò in una serie di sommosse, rivolte, fino a un'estesa guerriglia popolare contro il governo unitario, il cosiddetto brigantaggio, che interessò principalmente le province meridionali (1861-1865), impegnando gran parte del neonato esercito in una repressione spietata, tanto da venire considerata da molti una vera e propria guerra civile. Quest'ultimo avvenimento in particolare fu uno dei primi e più tragici aspetti della cosiddetta questione meridionale, problema dalla conseguenze gravissime che ancora oggi attanaglia il Mezzogiorno d'Italia.

Ulteriore elemento di fragilità era costituito dall'ostilità della Chiesa cattolica e del clero nei confronti del nuovo Stato, ostilità che si sarebbe rafforzata dopo il 1870 e la presa di Roma (questione romana).

Gli uomini della Destra affrontarono i problemi del Paese con energica durezza: estesero a tutta la Penisola gli ordinamenti legislativi piemontesi (processo chiamato "Piemontesizzazione"); adottarono un sistema fortemente accentrato, accantonando i progetti di autonomie locali (Minghetti), se non di federalismo; applicarono un'onerosa tassazione sui beni di consumo, come la tassa sul macinato, che gravava soprattutto sui ceti meno abbienti, per colmare l'ingentissimo disavanzo del bilancio.

LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA

Lo statuto albertino rimase in vigore, quindi, quasi 100 anni, dal 4 marzo 1848 al 1 gennaio 1948, quando entrò in vigore la costituzione repubblicana.

Lo Statuto albertino fu simile alle altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel 1848 e rese l'Italia una monarchia costituzionale, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. Era una tipica costituzione "ottriata", ossia concessa dal sovrano e da un punto di vista giuridico, si caratterizzava per la sua natura "flessibile", ossia derogabile ed integrabile in forza di atto legislativo ordinario. Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l'Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modo di operare tradizionale delle istituzioni inglesi (benché il potere esecutivo fosse detenuto completamente dal re, sempre più spesso il Consiglio dei ministri rifiutò di restare in carica quando non gradito alla camera elettiva). Il primo Parlamento dello Stato unitario, in principio del 1861, si compose con un suffragio elettorale ristretto al 3% della popolazione; nel 1882 il diritto di voto fu portato al 7% della popolazione, con riforme nel 1912 e 1918 il diritto fu esteso fino a una forma di suffragio universale maschile.

Anche a causa della mancanza di rigidità dello Statuto, col giungere del fascismo lo Stato fu deviato verso un regime autoritario dove le forme di libertà pubblica fin qui garantite vennero stravolte: le opposizioni vennero bloccate o eliminate, la Camera dei deputati fu abolita e sostituita dalla «Camera dei fasci e delle corporazioni», il diritto di voto fu cancellato; diritti, come quello di riunione e di libertà di stampa, furono piegati in garanzia dello Stato fascista, mentre il partito unico fascista non funzionò come strumento di partecipazione, ma come strumento di intruppamento della società civile e di mobilitazione politica pilotata dall'alto. Tuttavia lo Statuto albertino, nonostante le modifiche, non fu formalmente abolito.

Il 25 luglio 1943, verso la fine della seconda guerra mondiale, Benito Mussolini perse il potere, il re Vittorio Emanuele III nominò il maresciallo Pietro Badoglio per presiedere un governo che ripristinò in parte le libertà dello statuto; iniziò così il cosiddetto «regime transitorio», di cinque anni, che terminò con l'entrata in vigore della nuova Costituzione e le successive elezioni politiche dell'aprile 1948, le prime della storia repubblicana. Ricomparvero quindi i partiti antifascisti costretti alla clandestinità, riuniti nel Comitato di liberazione nazionale, decisi a modificare radicalmente le istituzioni per fondare uno Stato democratico. Con il progredire e il delinearsi della situazione, con i partiti antifascisti che iniziavano ad entrare nel governo, non fu possibile al re di riproporre uno Statuto albertino eventualmente modificato e la stessa monarchia, giudicata compromessa con il precedente regime, era messa in discussione.

quindi la convocazione di un'Assemblea Costituente incaricata di scrivere una nuova carta costituzionale, eletta a suffragio universale (giugno 1944)[3]. Fu poi esteso il diritto di voto alle donne (febbraio 1945)[4] e, ormai raggiunto il silenzio delle armi, fu indetto il referendum per la scelta fra repubblica e monarchia (marzo 1946).[5]

Dopo i sei anni della seconda guerra mondiale e i venti anni della dittatura, il 2 giugno 1946 si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l'elezione dell'Assemblea Costituente, con la partecipazione dell'89% degli aventi diritto[6]. Il 54% dei voti (più di 12 milioni) fu per lo stato repubblicano, superando di 2 milioni i voti a favore dei monarchici (che contestarono l'esito[7]).

L'Assemblea fu eletta con un sistema proporzionale e furono assegnati 556 seggi, distribuiti in 31 collegi elettorali.

Ora i partiti del Comitato di liberazione nazionale cessarono di considerarsi uguali, si poté constatare il loro grado d'influenza. Dominarono le elezioni tre grandi formazioni: la Democrazia Cristiana, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito socialista, 20,7% dei voti e 115 seggi; il Partito comunista, 18,9% e 104 seggi. La tradizione liberale (riunita nella coalizione Unione Democratica Nazionale), protagonista della politica italiana nel periodo precedente la dittatura fascista, ottenne 41 deputati, con quindi il 6,8% dei consensi; il Partito repubblicano, anch'esso d'ispirazione liberale ma con un approccio differente nei temi sociali, 23 seggi, pari al 4,4%. Mentre il Partito d'Azione, nonostante un ruolo di primo piano nella Resistenza, ebbe solo l'1,5% corrispondente a 7 seggi. Fuori dal coro, in opposizione alla politica del CLN, raccogliente voti dei fautori rimasti del precedente regime, c'è la formazione dell'Uomo qualunque, che prese il 5,3%, con 30 seggi assegnati.

Giorgio La Pira [8] sintetizzò le due concezioni costituzionali e politiche alternative dalle quali si intendeva differenziare la nascente Carta, distinguendone una "atomista, individualista, di tipo occidentale, rousseauiana" ed una "statalista, di tipo hegeliano". Secondo i costituenti, riferì La Pira, si pensò di differenziarla nel principio che per il pieno sviluppo della persona umana, a cui la nostra costituzione doveva tendere, era necessario non soltanto affermare i diritti individuali, non soltanto affermare i diritti sociali, ma affermare anche l'esistenza dei diritti delle comunità intermedie che vanno dalla famiglia sino alla comunità internazionale.

Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana. 22 dicembre 1947

I lavori dovevano terminare il 25 febbraio 1947 ma la Costituente non verrà sciolta che il 31 dicembre 1947, dopo aver adottato la Costituzione il 22 dicembre con 458 voti contro 62. La Costituzione entra in vigore il 1° gennaio 1948.

Caratteristiche [modifica]

Composizione e struttura [modifica]

La costituzione è composta da 139 articoli (ma 5 articoli sono stati abrogati: 115;124;128;129;130), divisi in quattro sezioni:

principi fondamentali (artt. 1-12); parte prima, diritti e doveri dei cittadini (artt. 13-54); parte seconda, contenente l'ordinamento della Repubblica (artt. 55-139); 18 disposizioni transitorie e finali, riguardanti situazioni relative al trapasso dal vecchio al nuovo

regime e destinate a non ripresentarsi.

Caratteristiche tecniche [modifica]

La Costituzione italiana è una costituzione scritta, rigida, lunga, votata, compromissoria, democratica e programmatica.

Innanzitutto, la normazione è contenuta in un testo legislativo scritto. La scelta è comune all'esperienza di civil law ed a quella di common law, con la grande eccezione della Gran Bretagna, paese nel quale la Costituzione è in forma orale (tranne alcuni documenti come la Magna Charta).

Inoltre, si dice che la Costituzione italiana è rigida. Con ciò si indica che da un lato è necessario un procedimento parlamentare aggravato per la riforma dei suoi contenuti (non bastando la normale maggioranza ma la maggioranza qualificata dei componenti di ciascuna camera, e prevedendo per la revisione due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi l'una dall'altra), e dall'altro che le disposizioni aventi forza di legge in contrasto con la Costituzione vengono rimosse con un procedimento innanzi alla Corte costituzionale.

La Costituzione è lunga, ossia contiene disposizioni in molti settori del vivere civile, non limitandosi a indicare le norme sulle fonti del diritto. In ogni caso, da questo punto di vista, è da dire che il disposto costituzionale presenta per larga parte carattere programmatico, venendo così in rilevanza solo in sede di indirizzo per il legislatore o in sede di giudizio di legittimità degli atti aventi forza di legge. Il processo di consolidamento dei principi indicati dalla Costituzione, attraverso la loro concretizzazione nella legge ordinaria (o, talvolta, nell'orientamento giurisprudenziale come è avvenuto per l'attuazione dell'art. 36 relativamente al principio del trattamento economico minimo previsto per i lavoratori dipendenti), è detto attuazione della Costituzione. Tale processo non è da considerarsi ancora concluso. Il legislatore costituzionale, inoltre, ha ritenuto di ritornare nella Costituzione repubblicana su alcune materie, per integrarle e ampliarle, adottando provvedimenti di legge costituzionale, tipici di tutte le costituzioni lunghe. Tali emendamenti sono integrazioni alla costituzione, approvate con lo stesso procedimento della revisione costituzionale, e costituiscono modificazioni più o meno profonde. Per quanto concerne l'attuazione e l'integrazione delle norme costituzionali, si ricorda ad esempio che la Corte costituzionale non venne attivata che nel 1955 (le elezioni dei giudici tramite una legge non avvenne che nel 1953), che il Consiglio superiore della magistratura venne attivato nel 1958 e che le Regioni ordinarie vennero istituite nel 1970 (sebbene quattro regioni speciali vennero istituite nel 1948 e il Friuli Venezia Giulia nel 1963); il referendum abrogativo, infine, venne istituito con la legge 352 del 15 maggio 1970.

Votata perché rappresenta un patto tra i componenti del popolo italiano. Compromissoria perché frutto di una particolare collaborazione tra tutte le forze politiche uscenti

dal secondo conflitto mondiale. Democratica perché è dato particolare rilievo a sindacati e partiti politici e c'è la partecipazione del

popolo.

Infine, è programmatica perché rappresenta un programma (attribuisce alle forze politiche il compito di rendere effettivi gli obiettivi fissati dai costituenti, e ciò attraverso provvedimenti legislativi non contrastanti con le disposizioni costituzionali).

Direttrici fondamentali [modifica]

Nelle linee guida della Carta è ben visibile la tendenza all'intesa e al compromesso dialettico tra gli autori. La Costituzione mette l'accento sui diritti economici e sociali e sulla loro garanzia effettiva. Si ispira anche ad una concezione antiautoritaria dello Stato con una chiara diffidenza verso un potere esecutivo forte e una fiducia nel funzionamento del sistema parlamentare, sebbene già nell'Ordine del giorno Perassi (con cui appunto si optò per una forma di governo parlamentare) venne prevista la necessità di inserire meccanismi idonei a tutelare le esigenze di stabilità governativa evitando ogni degenerazione del parlamentarismo. Non mancano importanti riconoscimenti alle libertà individuali e sociali, rafforzate da una tendenza solidaristica di base. Fu possibile, anche, grazie alla moderazione dei marxisti, ratificare gli accordi Lateranensi e permettere di accordare una autonomia regionale tanto più marcata nelle isole e nelle regioni con forti minoranze linguistiche (aree in cui la sovranità italiana era stata messa in forte discussione durante l'ultima parte della guerra, e in parte lo era ancora durante i lavori costituenti).

I principi fondamentali della repubblica italiana [modifica]

I primi dodici articoli della costituzione pongono i cosiddetti principi fondamentali, e non possono essere oggetto di modifica attraverso il procedimento di revisione costituzionale previsto dai successivi articoli 138 e 139.

Principio personalista [modifica]

La Costituzione coglie la tradizione liberale e giusnaturalista nel testo dell'art. 2: in esso infatti si dice che "la Repubblica 'riconosce' e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo". Tali diritti sono considerati diritti naturali, non creati giuridicamente dallo Stato ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione è agevolmente rinvenibile nella parola "riconoscere" che implica la preesistenza di un qualcosa. Tale impostazione, stimolata dalla componente d'ispirazione cattolica dell'assemblea costituente, fu il frutto di una sentita reazione al totalitarismo e alla concezione hegeliana dello Stato che in esso si propugnava.

Principio di laicità [modifica]

La Costituzione all'art. 7 sancisce che Stato italiano e Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, sovrani e indipendenti. Il principio di laicità, che non ha nella Costituzione italiana un richiamo diretto e letterale, così come avviene in altre Carte costituzionali, è stato ricostruito dalla Corte costituzionale sulla base di quanto espresso nell'articolo 7 e degli altri articoli.

«Il principio di laicità, quale emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale».[9]

Principio pluralista [modifica]

È tipico degli stati democratici. Pur se la Repubblica è dichiarata una ed indivisibile, è riconosciuto e tutelato il pluralismo delle formazioni sociali (art. 2), degli enti politici territoriali (art. 5), delle

minoranze linguistiche (art. 6), delle confessioni religiose (art. 8), delle associazioni (art. 18), di idee ed espressioni (art. 21), della cultura (art. 33, com. 1), delle scuole (art. 33, com. 3), delle istituzioni universitarie e di alta cultura (art. 33, com. 6), dei sindacati (art. 39) e dei partiti politici (art. 49). È riconosciuta altresì anche la libertà delle stesse organizzazioni intermedie, e non solo degli individui che le compongono, in quanto le formazioni sociali meritano un ambito di tutela loro proprio. In ipotesi di contrasto fra il singolo e la formazione sociale cui egli è membro, lo Stato non dovrebbe intervenire. Il singolo, tuttavia, deve essere lasciato libero di uscirne.

Principio lavorista [modifica]

Ci sono riferimenti già agli art. 1, com. 1 ed all'art. 4, com. 2. Il lavoro non è solo un rapporto economico, ma anche un valore sociale che nobilita l'uomo. Non è solo un diritto, bensì anche un dovere che eleva il singolo. Non serve ad identificare una classe. Nello stato liberale la proprietà aveva più importanza, il lavoro ne aveva meno. I disoccupati, senza colpa, non devono comunque essere discriminati.

Principio democratico [modifica]

Già gli altri tre principî sono tipici degli stati democratici, ma ci sono anche altri elementi a caratterizzarli: la preponderanza di organi elettivi e rappresentativi; il principio di maggioranza ma con tutela della minoranze (anche politiche); processi decisionali (politici e giudiziari) trasparenti e aperti a tutti; ma soprattutto il principio di sovranità popolare (art. 1, com. 2).

Principio di uguaglianza [modifica]

Come è affermato con chiarezza nell'art.3, tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali, sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1). Lo Stato rimuove gli ostacoli che di fatto limitano l'eguaglianza e quindi gli individui di sviluppare pienamente la loro personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale, comma 2) Riguardo al principio di uguaglianza in materia religiosa, l'art. 8 dichiara che tutte le confessioni religiose, diverse da quella cattolica, sono egualmente libere davanti alla legge.

Principio solidarista [modifica]

I diritti inviolabili sono riconosciuti all'individuo sia considerato singolarmente sia nelle formazione sociali adeguate allo sviluppo della personalità e finalizzate alla tutela degli interessi diffusi (interessi comuni ai diversi gruppi che si sviluppano in forma associata). Questi gruppi possono assumere diversi aspetti e tipologie, ugualmente rilevanti e degni di tutela per l'ordinamento :associazioni politiche, sociali, religiose,culturali, familiari

Principio internazionalista [modifica]

Come viene sancito dall'art. 10, l'ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute; ciò comporta un "rinvio mobile" ovvero un adattamento automatico di tali norme nel nostro ordinamento. Inoltre l'art. 11 consente, in condizioni di parità con gli altri stati, limitazioni alla sovranità nazionale, necessarie per assicurare una pacifica coesistenza tra le Nazioni.

Principio pacifista [modifica]

Come viene sancito all'art. 11, la Repubblica italiana ripudia la guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (ovvero consente l'uso di forze militari per la difesa del territorio in caso di attacco militare da parte di altri paesi, ma non con intenti espansionisti) e accetta una limitazione alla propria sovranità (ad esempio accetta di ospitare sul proprio territorio forze armate straniere) nell'intento di promuovere gli organismi internazionali per assicurare il mantenimento della pace e della giustizia fra le Nazioni.

Si intende comunemente che questa seconda parte consenta all'Italia di partecipare ad una guerra in difesa di altre nazioni con le quali siano state instaurate alleanze (ad esempio in caso di attacco armato ad un paese membro della NATO).

Appare invece di controversa interpretazione il fatto se sia rispettoso di questo principio costituzionale il partecipare ad azioni di definite come "missioni di pace" e similari, o guerre che non rispondono ad azioni di offesa esplicita (vedasi il caso della guerra d'Iraq del 2003).