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7 (2014/1) 57-81 R. ZAS FRIZ DE COL 57 www.MYS ERION.it Iniziazione alla Presenza trasformante del Mistero di Rossano Zas Friz De Col S.I.* La teologia spirituale, in quanto disciplina che studia il vissuto della trasformazione interiore del fedele alla luce del suo rapporto con la Presenza del Mistero della rivelazio- ne cristiana 1 , ha senza dubbio un compito pedagogico, ovvero non solo quello di intro- durre ai contenuti, ma anche di iniziare al suo vissuto. Sulla base di tale convinzione, certamente condivisa da tutti gli specialisti, il presente articolo affronta l’argomento dell’iniziazione da una prospettiva ‘mistagogica’, ‘iniziatica’. Ciò significa che lo svilup- po della trattazione parte dalla contestualizzazione sociologica del momento attuale for- mulata dal Magistero, per poi spiegare la ragione per cui si sono scelte le nozioni di ‘presenza’, di ‘mistero’ e di ‘trasformazione’ come concetti chiave per mettere a fuoco, dalla teologa spirituale, un’iniziazione mistagogica in tale contesto socio-culturale. Nei paragrafi successivi, dal terzo al sesto, attraverso uno stile letterario narrativo, si esem- plificano percorsi iniziatici al vissuto della Presenza del Mistero trasformante. Infine, si accenna l’importanza del catecumenato nell’ambito ecclesiale per l’iniziazione e la ma- turazione cristiana attraverso i ‘misteri’, i sacramenti. 1. L’attuale contesto socio-religioso visto dal Magistero Nel decreto conciliare sull’attività missionaria della Chiesa, Ad Gentes, non si fa riferimento alle condizioni socio-religiose, come avviene, invece, nell’esortazione apo- stolica Evangelii Nuntiandi (1975). Per esempio, nel n. 1, Papa Paolo VI afferma: “L’im- pegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo animati dalla speranza, ma, parimenti, spesso travagliati dalla paura e dall’angoscia, è senza alcun dubbio un servi- zio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità”. E al n. 3 ricorda il suo discorso al Sacro Collegio dei Cardinali del 22 giugno 1973: “Le condizioni della società ci obbligano tutti a rivedere i metodi, a cercare con ogni mezzo di studiare come portare all’uomo moderno il messaggio cristiano, nel quale, soltanto, egli può trovare la risposta ai suoi interrogativi e la forza per il suo impegno di solidarietà umana”. Secon- do il Papa “la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, * ROSSANO ZAS FRIZ DE COL S.I., docente di Teologia spirituale presso la Pontificia Università Gre- goriana, Piazza della Pilotta 4, 00187 Roma, zasfriz.r @ gesuiti.it 1 Cf R. ZAS FRIZ, “La teologia spirituale e la ricerca della triplice unità: disciplinare, intradisciplina- re e interdisciplinare”, in Mysterion (www.mysterion.it) 6 (2013/1) 65-85.

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Iniziazione alla Presenzatrasformante del Mistero

di Rossano Zas Friz De Col S.I.*

La teologia spirituale, in quanto disciplina che studia il vissuto della trasformazioneinteriore del fedele alla luce del suo rapporto con la Presenza del Mistero della rivelazio-ne cristiana1, ha senza dubbio un compito pedagogico, ovvero non solo quello di intro-durre ai contenuti, ma anche di iniziare al suo vissuto. Sulla base di tale convinzione,certamente condivisa da tutti gli specialisti, il presente articolo affronta l’argomentodell’iniziazione da una prospettiva ‘mistagogica’, ‘iniziatica’. Ciò significa che lo svilup-po della trattazione parte dalla contestualizzazione sociologica del momento attuale for-mulata dal Magistero, per poi spiegare la ragione per cui si sono scelte le nozioni di‘presenza’, di ‘mistero’ e di ‘trasformazione’ come concetti chiave per mettere a fuoco,dalla teologa spirituale, un’iniziazione mistagogica in tale contesto socio-culturale. Neiparagrafi successivi, dal terzo al sesto, attraverso uno stile letterario narrativo, si esem-plificano percorsi iniziatici al vissuto della Presenza del Mistero trasformante. Infine, siaccenna l’importanza del catecumenato nell’ambito ecclesiale per l’iniziazione e la ma-turazione cristiana attraverso i ‘misteri’, i sacramenti.

1. L’attuale contesto socio-religioso visto dal Magistero

Nel decreto conciliare sull’attività missionaria della Chiesa, Ad Gentes, non si fariferimento alle condizioni socio-religiose, come avviene, invece, nell’esortazione apo-stolica Evangelii Nuntiandi (1975). Per esempio, nel n. 1, Papa Paolo VI afferma: “L’im-pegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo animati dalla speranza, ma,parimenti, spesso travagliati dalla paura e dall’angoscia, è senza alcun dubbio un servi-zio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità”. E al n. 3 ricorda ilsuo discorso al Sacro Collegio dei Cardinali del 22 giugno 1973: “Le condizioni dellasocietà ci obbligano tutti a rivedere i metodi, a cercare con ogni mezzo di studiare comeportare all’uomo moderno il messaggio cristiano, nel quale, soltanto, egli può trovare larisposta ai suoi interrogativi e la forza per il suo impegno di solidarietà umana”. Secon-do il Papa “la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca,

* ROSSANO ZAS FRIZ DE COL S.I., docente di Teologia spirituale presso la Pontificia Università Gre-goriana, Piazza della Pilotta 4, 00187 Roma, [email protected]

1 Cf R. ZAS FRIZ, “La teologia spirituale e la ricerca della triplice unità: disciplinare, intradisciplina-re e interdisciplinare”, in Mysterion (www.mysterion.it) 6 (2013/1) 65-85.

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come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosaevangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigene-rate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, sela Buona Novella non è proclamata” (n. 20). Perciò l’importanza del ‘come’ evangelizza-re “resta sempre attuale perché i modi variano secondo le circostanze di tempo, di luo-go, di cultura, e lanciano pertanto una certa sfida alla nostra capacità di scoperta e diadattamento. A noi specialmente, Pastori nella Chiesa, incombe la cura di ricreare conaudacia e saggezza, in piena fedeltà al suo contenuto, i modi più adatti e più efficaci percomunicare il messaggio evangelico agli uomini del nostro tempo” (n. 40).

Il Santo Padre Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Redemptoris Missio del 1990,16 anni dopo l’enciclica del suo predecessore, continua sulla stessa scia: “Oggi ci si trovadi fronte a una situazione religiosa assai diversificata e cangiante: i popoli sono in movi-mento; realtà sociali e religiose che un tempo erano chiare e definite oggi evolvono insituazioni complesse. Basti pensare ad alcuni fenomeni come l’urbanesimo, le migrazio-ni di massa, il movimento dei profughi, la scristianizzazione di paesi di antica cristianità,l’influsso emergente del Vangelo e dei suoi valori in paesi a grandissima maggioranzanon cristiana, il pullulare di messianismi e di sette religiose. È un rivolgimento di situa-zioni religiose e sociali, che rende difficile applicare in concreto certe distinzioni e cate-gorie ecclesiali, a cui si era abituati” (n. 32). Nel n. 37 aggiunge ancora: “Le rapide eprofonde trasformazioni che caratterizzano oggi il mondo, in particolare il Sud, influi-scono fortemente sul quadro missionario: dove prima c’erano situazioni umane e socialistabili, oggi tutto è in movimento”.

Il Papa è consapevole delle difficoltà interne della Chiesa: “Già il mio predecessorePaolo VI indicava in primo luogo «la mancanza di fervore, tanto più grave perché nascedal di dentro; essa si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell’accomodamento,nel disinteresse e, soprattutto, nella mancanza di gioia e di speranza». Grandi ostacolialla missionarietà della chiesa sono anche le divisioni passate e presenti tra i cristiani, lascristianizzazione in paesi cristiani, la diminuzione delle vocazioni all’apostolato, le con-tro-testimonianze di fedeli e di comunità cristiane che non seguono nella loro vita ilmodello di Cristo. Ma una delle ragioni più gravi dello scarso interesse per l’impegnomissionario è la mentalità indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cri-stiani, spesso radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismoreligioso che porta a ritenere che «una religione vale l’altra»” (n. 36).

Per Giovanni Paolo II “il nostro tempo è drammatico e insieme affascinante. Mentreda un lato gli uomini sembrano rincorrere la prosperità materiale e immergersi semprepiù nel materialismo consumistico, dall’altro si manifestano l’angosciosa ricerca di signi-ficato, il bisogno di interiorità, il desiderio di apprendere nuove forme e modi di con-centrazione e di preghiera. Non solo nelle culture impregnate di religiosità, ma anchenelle società secolarizzate è ricercata la dimensione spirituale della vita come antidotoalla disumanizzazione. Questo cosiddetto fenomeno del «ritorno religioso» non è privodi ambiguità, ma contiene anche un invito. La chiesa ha un immenso patrimonio spiri-tuale da offrire all’umanità in Cristo che si proclama «la via, la verità e la vita» (Gv14,6).È il cammino cristiano all’incontro con Dio, alla preghiera, all’ascesi, alla scoperta delsenso della vita” (n. 38).

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Con questi precedenti i Lineamenta e l’Instrumentum Laboris del Sinodo dei Vescovidel 2012, ventidue anni dopo l’enciclica di Giovanni Paolo II, offrono una lettura anco-ra più specifica. In effetti, al n. 6 dei Lineamenta, si descrivono sei scenari che inquadra-no la nuova evangelizzazione: culturale, sociale, comunicativo, economico, scientifico-tecnologico e politico. L’Istrumentum aggiunge un settimo scenario, quello religioso.Come è noto, l’Instrumentum Laboris raccoglie le risposte che arrivano dai Lineamenta,e quindi si tratta di una rielaborazione di queste a partire dalle reazioni suscitate.

Il nuovo scenario emerso nell’Instrumentum Laboris è quello religioso, come presadi consapevolezza degli influssi che gli scenari precedentemente elencati provocano nelsenso religioso della vita: “questo permette anche di comprendere in modo più profon-do il ritorno del senso religioso e l’esigenza multiforme di spiritualità che segna molteculture e in particolare le generazioni più giovani. Se è vero infatti che il processo seco-larizzatore in atto genera come conseguenza in molte persone un’atrofia spirituale e unvuoto del cuore, è possibile anche osservare in molte regioni del mondo i segni di unaconsistente rinascita religiosa. La stessa Chiesa cattolica è toccata da questo fenomeno,che offre risorse e occasioni di evangelizzazione insperate pochi decenni fa” (n. 63).Una situazione, uno scenario, che “favorisce l’esperienza religiosa, ridonandole quellacentralità nel modo di pensare degli uomini, nella storia, nel senso stesso della vita,nella ricerca della verità” (n. 64). Anche se non è priva di ambiguità, poiché molte voltetale esperienza è promossa da un punto di vista quasi esclusivamente emozionale, ri-schiando di favorire un atteggiamento fondamentalista, invece di propiziare il lentoprocesso di maturazione religiosa. Il dialogo interreligioso trova qui senso e il suo mi-gliore contesto (cf nn. 65-67).

In conclusione si afferma che “l’esame di questi scenari permette di fare una letturacritica degli stili di vita, del pensiero, dei linguaggi proposti attraverso di essi. Questalettura serve anche come autocritica che il cristianesimo è invitato a fare su di sé, perverificare quanto il proprio stile di vita e l’azione pastorale delle comunità cristiane sia-no state realmente all’altezza del loro compito evitando l’immobilismo attraverso unaattenta lungimiranza” (n. 68). La nuova evangelizzazione “dovrebbe cercare di orienta-re la libertà delle persone, uomini e donne, verso Dio, sorgente della bontà, della veritàe della bellezza” (n. 69), in un contesto in cui “le figure tradizionali e consolidate – cheper convenzione vengono indicate con i termini ‘Paesi di antica cristianità’ e ‘terre dimissione’ – mostrano ormai i loro limiti. Sono troppo semplici e fanno riferimento a uncontesto ormai superato, per poter offrire utili modelli per le comunità cristiane di oggi”(n. 76). Così per nuova evangelizzazione non si intende “un nuovo modello di azionepastorale, che si sostituisce semplicemente ad altre forme di azione (la prima evangeliz-zazione, la cura pastorale), quanto piuttosto […] un processo di rilancio della missionefondamentale della Chiesa” (n. 77).

Papa Francesco, nel secondo capitolo (nn. 52-75) dell’esortazione apostolica Evan-gelii gaudium, accenna ad alcune delle sfide del mondo attuale: un’economia di esclusio-ne, espressione dell’idolatria del denaro che, invece di servire, governa; la violenza frut-to delle varie forme di disuguaglianza; la persecuzione per motivi religiosi; la vita socialefondata sull’apparenza e non sul reale; il fondamentalismo; il processo di secolarizzazio-ne; la crisi della famiglia; l’individualismo postmoderno e globalizzato; l’assenza di in-

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culturazione della fede per una mancata evangelizzazione della cultura; la manipolazio-ne della pietà popolare; la città con le sue complessità umane.

D’altro canto (nn. 76-109), fa anche un elenco delle tentazioni degli operatori pasto-rali: una esagerata preoccupazione per gli spazi personali; la tentazione dell’accidia egoistao del pessimismo sterile; la mondanità spirituale; le ‘guerre’ all’interno del Popolo diDio; le sfide ecclesiali che non sono ancora sufficientemente fronteggiate all’internodella Chiesa (i laici, le donne, i giovani).

Considerato tale contesto socio-culturale e religioso, che abbraccia lo sviluppo dellasocietà civile ed ecclesiale, quale potrebbe essere un’impostazione di fondo adatta oggiad un discorso centrato sulla teologia spirituale come riflessione sul vissuto cristiano?

2. La nozione di ‘presenza’, di ‘mistero’ e di ‘trasformazione’ nel-l’attuale contesto socio-religioso della nuova evangelizzazione

In realtà tutta la ricerca è indirizzata a dimostrare come la ‘presenza’ del ‘mistero’ sia‘trasformante’. Si preferisce l’uso della parola presenza nel senso in cui la preferisceBernard McGinn, che dopo aver studiato i mistici classici dell’Oriente e dell’Occidentela considera una nozione più centrale e utile per unificare in una sola parola la varietàdella mistica cristiana. Così, McGinn considera la mistica come quella dimensione delcristianesimo “che riguarda la preparazione per, la coscienza di, e la reazione verso quel-lo che si può descrivere come l’immediata o diretta presenza di Dio”2.

Nel saggio “Sul concetto di mistero nella teologia cattolica” 3, Karl Rahner chiarisceil senso cristiano della parola: si tratta dell’autocomunicazione di Dio che si fa presentenella storia come il Mistero Santo, in un doppio significato. Da un lato, come presenzastorica in Gesù di Nazareth, e, dall’altro, come presenza interna all’uomo nel donodella sua Grazia. Più precisamente l’interazione tra questi due aspetti costituisce l’ele-mento oggettivo e soggettivo che rende possibile la Rivelazione cristiana: il MisteroSanto è una presenza storica che è possibile recepire nella sua interezza e pienezzaperché essa stessa non solo appare agli occhi e si fa sentire agli uditi, ma è capace ditoccare l’intimità dell’uomo con un’autorità sconosciuta. Quel ‘tocco’ trasforma inte-riormente la persona come effetto della presenza del Mistero santo. Si può affermareche è possibile ‘verificare’ la presenza del ‘Mistero santo’ per gli effetti che provoca,cioè per la trasformazione che produce. E così si evidenzia l’importanza del secondoconcetto, quello della ‘trasformazione’4.

In effetti, la trasformazione interiore si produce come interazione tra grazia divina ecollaborazione attiva del fedele con essa, è dunque allo stesso tempo attiva e passiva.

2 B. MCGINN, The Fondations of Mysticism. Origins to the Fifth Century, Crosssroad, New York1999, xvii.

3 K. RAHNER, “Sul concetto di mistero nella teologia cattolica”, in Saggi teologici, Paoline, Roma1965, 391-465.

4 Cfr. R. ZAS FRIZ DE COL, Teologia della vita cristiana. Contemplazione, vissuto teologale e trasforma-zione. San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, 129-182.

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San Giovanni della Croce definisce la dinamica trasformativa come trasformazione par-tecipativa:

“[Dio] comunica il suo essere soprannaturale, in modo che quella [l’anima] sembra Diostesso e possiede ciò che possiede Dio. L’unione che s’instaura, quando Dio concede all’ani-ma tale grazia soprannaturale, produce una trasformazione partecipativa tale che tutte lecose di Dio e l’anima costituiscono una sola cosa. L’anima assomiglia più a Dio che a sestessa, addirittura è Dio per partecipazione. È pur vero, però, che il suo essere, anche setrasformato, resta per natura distinto da Dio come prima: proprio come la vetrata che, puressendo illuminata dal raggio di sole, ne rimane pur sempre distinta”5.

San Giovanni inoltre fa una distinzione tra trasformazione essenziale (o sostanziale)e trasformazione per somiglianza. Questa corrisponde “all’unione e trasformazione del-l’anima in Dio, che si verifica solo quando viene a crearsi somiglianza d’amore. Perciò, sipuò chiamare unione di somiglianza, l’altra, invece, unione essenziale o sostanziale; que-sta è naturale, quella soprannaturale”6, la prima coincide con l’unione naturale fra ilCreatore e la creatura.

La nozione di trasformazione acquista la sua importanza quando la si concepiscecome protagonista della rinnovazione/rinascita cristiana del fedele, quella rinnovazioneche porta alla perfezione dell’amore perché è “una trasformazione totale dell’anima nel-l’Amato. In questa trasformazione entrambe le parti si donano l’una all’altra, in manieratotale, con una certa consumazione dell’unione d’amore, in cui l’anima è resa divina e Dioper partecipazione, per quanto è possibile in questa vita”7. Si può avere l’impressione cheuna tale formulazione sia esagerata, ma il Santo ribadisce:

“Non dobbiamo ritenere impossibile che l’anima sia capace di una cosa tanto sublime, checioè, per partecipazione, spiri in Dio come Dio spira in lei. Infatti, dal momento che Dio leaccorda la grazia di unirla alla santissima Trinità, nella quale l’anima diventa deiforme e Dioper partecipazione, non è certamente incredibile che svolga le sue attività d’intelletto, diconoscenza e d’amore, o meglio, che si tenga operosa nella Trinità, strettamente unita a leie attiva come la stessa Trinità, anche se per comunicazione e partecipazione. In realtà, è Dioche opera nell’anima; in questo consiste essere trasformata nella tre Persone divine in po-tenza, sapienza e amore; in questo l’anima è simile a Dio; a tal fine Dio la creò a sua immagi-ne e somiglianza (Gn 1, 26-27)”8.

Di recente la teologia spirituale ha accolto in modo sempre più deciso la nozione di‘trasformazione’, anche se non sempre in maniera esplicita come quando si parla di

5 Salita del Monte Carmelo 2,5,7, in SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Opere complete. Presentazione di C.MACCISE ocd; Introduzione e note di L. BORRIELLO ocd e G. DELLA CROCE ocd. San Paolo, CiniselloBalsamo (MI) 2001, 454, (corsivo del testo).

6 Salita 2,5,3 (202), in Ibidem (il numero tra parentesi indica la pagina della traduzione italiana).L’unione di somiglianza si ha “quando le due volontà, quella dell’anima e quella di Dio, sono d’accordotra loro, senza che nulla dell’una ripugni all’altra. Quando dunque l’anima cancella in sé tutto ciò cheripugna o non è conforme alla volontà divina, allora è trasformata in Dio per amore” Ibidem.

7 Cantico B 22,3 (616), in Ibidem (corsivo del testo).8 Cantico B, 39,4 (685), in Ibidem.

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perfezione, santificazione, cristificazione9. Non c’è dubbio che con tali termini si facciariferimento, anche implicitamente, a un processo trasformativo. Non è possibile parlaredi vita cristiana se non in una prospettiva trasformativa nel tempo. Così, per esempio,per Charles André Bernard la nozione di trasformazione costituisce “il leitmotiv deisaggi di teologia mistica cristiana”10. Carlo Laudazi, da parte sua, inquadra il concetto ditrasformazione in un’ottica di svolta antropologica della teologia, perciò scrive dell’uo-mo in via di trasformazione11 e afferma che “in senso molto ampio, l’uomo spirituale ècolui che, mediante l’azione dello Spirito Santo, è trasformato e assimilato a Cristo”12.Ma, tra gli autori che si sono occupati di trasformazione, forse chi che ha trovato un’ap-plicazione pratica di questo concetto è Kees Waaijman, utilizzandolo in relazione allasua concezione di spiritualità13.

Inoltre, il grande vantaggio metodologico che offre la nozione di ‘trasformazione’ èquello di consentire di mettere a fuoco un aspetto della vita spirituale, per esempio ladevozione alla Madonna, e vedere nella vita di un fedele, o di un santo, come si manife-sta nei diversi momenti. In questo modo è possibile paragonare i distinti momenti ecoglierne le differenze, in quanto indicatori di una trasformazione non solo dell’espe-rienza, ma anche del vissuto di una vita intera14. In questa maniera la ‘trasformazione’ sipuò verificare più facilmente superando alcuni degli inconvenienti che presenta la no-zione di esperienza. La trasformazione paragona esperienze che indicano la linea disviluppo di un vissuto, il quale costituisce, nelle diverse dimensioni vissute, la vita delsingolo credente, la vita cristiana.

Un ulteriore vantaggio, alquanto decisivo, apportato dalle due nozioni in questione,sta nel fatto che, una volta considerato il grande cambiamento socio-religioso avvenutonegli ultimi decenni – corrispondente a un mutamento anche nel modo di percepire ladinamica personale e sociale del dinamismo della trascendenza – i due concetti di miste-ro e trasformazione sembrano pertinentemente utili a esprimere, in continuità con latradizione spirituale cattolica latina, l’autocomunicazione rivelativa e santificatrice diDio in quanto Mistero trasformante della condizione umana.

In effetti, se nell’attuale contesto storico mondiale la situazione è quella descritta nelparagrafo precedente, l’approccio contenutistico con cui si dà continuità alla tradizionesi deve servire di un linguaggio nuovo. Il ricorso alla terminologia scelta per accostarsialla teologia spirituale ha bisogno dunque, in primo luogo, di un aggancio con l’espe-rienza immediata di tutti gli uomini in qualsiasi condizione culturale, esperienza datadalla nozione stessa di mistero. Dall’esperienza del mistero è possibile passare all’espe-

9 Questi concetti esprimono il punto di arrivo a cui la trasformazione tende nel suo dinamismo, masono nozioni, come quella di ‘esperienza’, che hanno bisogno di essere trattate nel loro aspetto dinamico.

10 CH-A. BERNARD, Teologia mistica, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, 67.11 Cfr. C. LAUDAZI, “L’uomo in via di trasformazione”, in AA.VV., La teologia spirituale. Atti del

Congresso Internazionale OCD, Ed. OCD del Teresianum, Roma 2001, 713-734.12 Cfr. C. LAUDAZI, L’uomo chiamato all’unione con Dio. Temi fondamentali di teologia spirituale,

Edizioni OCD, Roma 2006, 154.13 K. WAAIJMAN, La spiritualità, 496-562.14 Per esempio: R. ZAS FRIZ DE COL S.I., “Radicarsi in Dio. La trasformazione mistica di Sant’Igna-

zio di Loyola”, in Ignaziana (www.ignaziana.it) 12 (2011) 162-302.

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rienza cristiana del Mistero santo mediante l’evangelizzazione, che è, per la dinamicainterna del suo movimento, trasformatrice radicale della condizione umana. Ma il lin-guaggio dell’evangelizzazione deve entrare a far parte del linguaggio culturale, in unamediazione che sembra oggi più fattibile se si utilizza il termine ‘mistero’ al posto dialtri. E proprio perché dal mistero si passa alla Presenza del Mistero santo cristiano,l’esperienza risulta trasformativa in virtù stessa del Mistero vissuto. L’evangelizzazione,da questa prospettiva della teologia spirituale, si converte nel ‘far fare esperienza’ delMistero santo trasformante.

3. Il sapere di non sapere

“Sono seduto in treno, insieme a tante persone, e penso a Cartesio”. Ho l’insight diessere seduto nel treno, con tanti altri passeggeri, pensando a Cartesio, colui che affer-mava di esistere perché pensava. E io, che penso a lui, invece mi trovo seduto su untreno, a fare un viaggio che non ho scelto, senza sapere quale sia la stazione di partenzae quale quella di arrivo. Questa consapevolezza è un sapere radicale riguardo a me stes-so, che mi si presenta come radicale ignoranza, come un ‘non sapere’ originale. Cartesiomi aiuta a comprendere che anche io esisto perché penso, ma non mi spiega cosa facciosu questo treno!

Inutile chiedere agli altri compagni di viaggio dove sono saliti e dove scenderanno,perché ognuno porta con sé il suo ‘non sapere’ originario. Inutile pure domandarlo alcontrollore, poiché non c’è e perché, a questo punto, nessuno ha il biglietto. In effetti, èun viaggio senza biglietto. Salire su questo treno è gratuito, perciò non c’è bisogno dicontrollore. Succede sempre così, a tutti: un bel giorno ci si rende conto che si è già inviaggio senza aver chiesto di salire sul treno. Ma per dove? Tutti finiscono per formularela propria ipotesi. Il fatto è che ci si accorge di morire mentre il treno è in movimento eprima che si fermi. In effetti, nessuno ha mai visto il treno fermarsi in qualche stazione.Coloro che muoiono sono inesorabilmente gettati fuori. Il treno è un fiume in piena, nonaccetta cadaveri, i morti sono scaricati senza pietà. Il treno è sempre in movimento, sifermano soltanto i passeggeri, quando muoiono. Ma dove va il treno? È una domandache molti passeggeri non si vogliono fare quando vedono i compagni di carrozza morire,preferiscono aspettare spensieratamente il loro turno. In fondo al cuore, tutti desidera-no non fermarsi mai, continuando a muoversi sempre con il treno. Ma sanno che è im-possibile. Che prima o poi anche loro si fermeranno e il treno continuerà il suo viaggio.

Forse bisognerebbe chiedere al costruttore del treno dove questo sia diretto, o do-mandarlo all’ingegnere che ha stabilito l’itinerario del viaggio. Ci sarà pure qualcunoche sappia rispondere a queste domande! Ma dove trovarlo? Il fatto è che nel treno cisono soltanto viaggiatori. Nessuno di loro è il costruttore o l’ingegnere. Questo nonsapere è il sapere arcano che apre alla trascendenza di tutto quanto sfiora il pensieroquando si dice: “Sono seduto nel treno, insieme a tante persone, e penso a Cartesio”. Èla domanda che apre all’ascolto del silenzio che cancella tutto, lasciando l’io da solo conil suo interrogativo e con il vuoto del non sapere.

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L’incontro con il proprio vuoto ha anche modalità meno elaborate e travagliate, dovesi ha la consapevolezza immediata della trascendenza nell’esperienza di un aldilà chenon è indotto da una deduzione logica, ma da un insight che è la percezione di ‘qualco-sa’ che è al di là della realtà, e che lascia una risonanza emozionale tutt’altro che negati-va, anzi gioiosa. Questo succede quando alcuni passeggeri affermano di aver capito dovesia diretto il treno e cosa significhi il viaggio, asserendo di avere avuto un’illuminazione.Tali situazioni generalmente fanno nascere un po’ di scompiglio nelle carrozze, poichéalcuni accettano la spiegazione fornita, altri invece la rifiutano, creando divisioni e nondi rado anche conflitti gravi e perfino risse. Il fatto è che nessuno può dimostrare razio-nalmente la realtà di quanto ha percepito e così, senza prove concrete, questa percezio-ne perde di forza e di autorevolezza.

Accade spesso che durante il viaggio una persona si concentri, più o meno consape-volmente, per propria scelta, su un’altra persona, o su un particolare lavoro, un proget-to, un’ideologia o semplicemente su una cosa, e poi la perda. L’esperienza di perdere‘quello’ acuisce ancora di più la percezione dello smarrimento nel treno, al punto chealcune persone non resistono e si gettano fuori. La perdita fa sentire ancora di più ilsenso di precarietà e ripropone di nuovo la domanda sul senso. E così questa persona siritrova, all’improvviso, con la consapevolezza che ciò che le accade succede anche aglialtri e che tutti sono accomunati dalla stessa solitudine. La perdita è anche un’occasioneper acquisire coscienza della precarietà del viaggio, cosa che prima non accadeva perchétutto era incentrato sull’oggetto del desiderio, poi perso. Il senso di perdita, quando sitratta delle persone, si produce per il fatto che nella carrozza vi è un continuo ricambiodi passeggeri, che si sostituiscono a coloro che muoiono. Ogni volta è un inizio pieno dipossibilità, ma anche di minacce. E la solitudine si fa sentire ancora di più perché affiorala consapevolezza che si è speso tanto tempo con compagni di viaggio a cui ci si eraaffezionati, che non si possono sostituire con i nuovi, anche perché, a questo punto, si ècoscienti del fatto che il viaggio non durerà a lungo.

Ad alcuni viaggiatori piace creare agitazione nelle carrozze. Vogliono passare dallaseconda classe alla prima. Cercano in tutti i modi di fare il viaggio in prima classe, anchese non stanno male nella seconda. Invece ci sono alcuni che arrivano dalla prima, gene-ralmente sono molto scontenti e trovano sempre qualcosa da dire sulle carrozze di se-conda classe, nonché sui viaggiatori: li definiscono rozzi, paesani. Invece quelli che pas-sano dalla seconda alla prima sono irriconoscibili, guardano tutti dall’alto in basso.

Una categoria speciale di viaggiatori è quella di coloro che, spinti dal vuoto interiore,si mettono a cercare per tutto il treno il costruttore con l’ansia di chiedergli spiegazionisul viaggio. E si disperano perché non lo trovano. Altri cercano di capire come è fatto iltreno e fanno accurate ricerche scientifiche. Altri ancora si occupano dei passeggeri chehanno problemi di salute, o di diverso genere. Moltissimi, durante il viaggio, cercano diguadagnare soldi che poi investono. E sono così occupati che non si preoccupano piùdel senso del viaggio, ma se ne servono a vantaggio dei loro scopi personali. Pensanoche, comunque, non si possa fare altrimenti.

In una carrozza ci sono coloro che pongono solo domande metafisiche e si chiedono:“Perché il treno esiste invece di non esistere? Perché non il nulla?”. Siccome lì regna ilsilenzio e sembra che non ci sia nessuno, pochi sono quelli che rimangono e ci sono

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sempre posti vuoti. I metafisici sono seduti, respirano e pensano. Qui vivono austeramen-te, senza eccessi, al contrario dei passeggeri di tante altre carrozze che si preoccupanosolamente di mangiare, di bere o altro, e il cui unico scopo è di non pensare al viaggio.Vogliono solo distrarsi, tanto sono consapevoli che prima o poi dovranno lasciare il treno.

In altre carrozze ci sono quelli intenti solo ad ammirare il paesaggio dai finestrini o afilmare tutto quello che avviene sul treno o fuori dal treno per poi poter capire meglio ilsenso del viaggio, passando in rassegna i filmati.

A differenza del passato, oggi ci sono poche carrozze in cui si trovano coloro chedagli altri passeggeri sono considerati ‘religiosi’. Questi ultimi dicono di sapere non solodove il treno ha iniziato la sua corsa e dove arriverà, ma spiegano anche chi lo ha costru-ito e perché, qual è l’itinerario e il senso del viaggio. Sono consapevoli che dovrannolasciare il treno prima che arrivi a destinazione, tuttavia non ritengono che questo costi-tuisca un ostacolo per giungere in qualche modo ‘lì’, anche se persino loro ignorano ilmodo. Tra questi, inoltre, ci sono alcuni che dicono che un viaggiatore si è presentatocome il figlio del costruttore del treno. Poi sostengono che lo hanno ucciso per le coseche diceva. In effetti, si era creato un grande trambusto a causa sua in una delle carrozzepiù povere. La cosa strana è che alcuni di quelli che lo seguivano hanno affermato cheuna volta che il suo cadavere fu gettato dal treno vi ritornò, con le carrozze sempre inmovimento, spiegando loro che aveva vinto la morte. E soffiando su di loro scese daltreno, non da morto però bensì da vivo: si sollevò da terra, salendo in cielo. E non èfinita qui: si racconta che dopo questo episodio, una mattina, dentro la carrozza dei suoiseguaci, iniziò a soffiare un vento così forte da fare uscire il vagone dai binari e che soprale loro teste si posarono come piccole fiamme di fuoco. Tutti cominciarono a parlare etutti capivano quello che si dicevano, nonostante provenissero da diverse nazioni e par-lassero unicamente la loro lingua madre. E poi dicono che i suoi discepoli hanno iniziatoa visitare tutte le carrozze del treno annunciando che il tale era morto e resuscitato e chequello era il destino di tutti i passeggeri.

Alcune carrozze sono ‘esclusive’, al loro interno non si accettano passeggeri ‘diversi’.Si può rimanere soltanto se si condividono le idee e le opinioni, di qualsiasi genere, dellamaggioranza dei viaggiatori, perché questi vogliono viaggiare solo con persone che la pen-sano come loro. Invece ci sono delle carrozze dove succede esattamente il contrario: inesse si trovano passeggeri di tutte le razze, religioni, lingue, che convivono serenamente.

La descrizione del treno, delle sue carrozze e dei suoi ospiti, sebbene aiuti a com-prendere come sia il treno, non offre una risposta rispetto al senso del viaggio e deltreno. Tuttavia, ‘sapere’ di ‘non sapere’ è un ‘sapere’, anzi, è il sapere fondamentale dellavita. ‘Sapere’ di ‘non sapere’ come e perché ci si trovi in viaggio, ignorandone il senso, lastazione di partenza e di arrivo, può verificarsi nelle diverse modalità accennate prece-dentemente, e in altre ancora non descritte. Ma il risultato è sempre un ‘non sapere’,cioè il mistero. Precisamente, è dalla consapevolezza di questo ‘non sapere’ che inizia ilvero viaggio e la possibilità di farsi una ragione del senso del viaggio. Il vuoto dettatodallo smarrimento può dare inizio alla più grande avventura.

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4. Iniziarsi al mistero

Il cristianesimo si presenta come la testimonianza di un gruppo di uomini che sonovissuti con Gesù e che hanno annunciato che egli è morto, risorto e asceso in cielo.Tradizionalmente il percorso catechetico incominciava con l’insegnamento delle parolee delle opere di Gesù, per spiegare in seguito la sua morte e la sua risurrezione, eviden-ziando in questo modo le motivazioni per cui tutti si trovano in viaggio sul treno dellavita. Il problema odierno è che quella tradizione si è spezzata e bisogna trovare un nuo-vo punto di contatto con le persone, diverso da quello tradizionale dell’insegnamentodottrinale della vita di Gesù. A questo si deve arrivare, ma forse non sempre è conve-niente incominciare subito da qui. La proposta evidenziata è quella di iniziare le perso-ne non al concetto di cristianesimo, ma all’esperienza del proprio mistero interiore apartire dal quale sviluppare il vissuto cristiano della conoscenza di Gesù.

Ecco il racconto di una prima iniziazione al mistero della vita che può servire comeprimo passo verso la considerazione cristiana del mistero della vita.

Molti anni dopo ricordava ancora il suono delle nocche che battevano sulla porta, quellamattina di autunno. A quell’epoca era un ragazzo che la Nonna seguiva con cura perchéintravedeva nel suo sguardo di adolescente una luce che conosceva molto bene. Sì, conoscevamolto bene le tonalità di quella luce interiore ed era consapevole che il momento era arrivato.Ricordava che il bussare alla porta lo faceva pensare alla Nonna, al dialogo di quella sera.

- Ti vedo pensieroso, disse lei.- Sì. È da mesi che ho un vuoto dentro che mi fa perdere il gusto di tutto, rispose lui.- Allora, devi andare a cercare il Vecchio Saggio del monte.- Ma non sono ammalato.- Lo so, ma è arrivato il momento di diventare uomo.- Ma sono già un uomo.- È vero, non sei una femminuccia, ma per diventare uomo bisogna farsi uomo e questocomporta del tempo e significa prendere delle decisioni. Nessuno diventa uomo qui senzaparlare con il Saggio del monte.- E quando dovrei andare?- Subito, domani all’alba.

Il pomeriggio del giorno dopo, il ragazzo si recò dal Saggio. Bussò, ma nessuno rispondeva.La porta rimaneva chiusa e dall’interno non si sentiva alcun rumore. Un silenzio che glifaceva venire i brividi. Insistette. Silenzio. Guardandosi intorno vide uno sgabello e si se-dette. Aspettò. Non sapeva in realtà perché era lì. E ancora una volta, percepiva chiaramen-te il vuoto che si era creato. La prima volta che lo sentì, pensò che era fame. Era quasimezzogiorno e quella mattina non aveva mangiato, era andato con la Nonna a cogliere legnanel bosco. Avevano trovato dei funghi e aspettava che la Nonna li cucinasse. Ma, strana-mente, dopo averli mangiati, il vuoto rimaneva. Non era il vuoto della morte, dell’assenza,che conosceva bene. Lo aveva provato pochi anni prima, quando sua madre era morta acausa del morso di una vipera. E non era neanche quel vuoto provocato dalla partenza delpapà, quando era andato lontano, lasciandolo con la Nonna e senza fratelli. La Nonna loaveva cresciuto e, adesso, si trovava lì seduto, aspettando il Vecchio. Lo aveva visto soltantouna volta, quando era sceso dal monte a vedere la mamma. “Niente da fare”, aveva detto.Dalla sua borsa aveva estratto un ramo di foglie e la Nonna aveva preparato una tisana. La

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sua mamma l’aveva bevuta e si era addormentata. Il Vecchio si era alzato e la Nonna loaveva accompagnato fino alla porta. Prese la sua mano e la baciò. L’Anziano la benedisse e,voltandosi, si allontanò, riprendendo la strada verso il bosco. Ora si trovava ad aspettareche la porta si aprisse. Si alzò nuovamente e bussò. Silenzio.Forse dovrei andarmene e tornare un altro giorno, pensò. Ma ritornare dalla Nonna senzaaverlo incontrato non gli sembrò una buona idea. Quindi, si sedette nuovamente. All’im-provviso sentì dei passi che provenivano dal sentiero e alzando gli occhi vide il Saggio avvi-cinarsi lentamente, con un bastone in mano. Faceva fatica. Lui si alzò e aspettò che fossevicino: - Buongiorno - disse. L’Anziano, che guardava per terra, alzò gli occhi e non rispose,ma sorrise. - Buongiorno - disse ancora il giovane. L’Anziano, che era già quasi di fronte alui, gli rivolse un sorriso più grande. Incrociando il suo sguardo, si rese conto che il Vecchioera cieco. L’unica cosa che disse l’Anziano, prima di aprire la porta, fu: “Ti aspettavo”.In mezzo alla stanza c’era un camino circondato da alcuni tronchi tagliati a mo’ di sedie.Non c’erano pareti divisorie all’interno. La vita del Vecchio trascorreva in quella stanza inmezzo al bosco. Finalmente il giovane si sentì dire: “Siediti”. Lui, non sapendo che troncoscegliere, rimase in piedi. “Non vuoi sederti?”. “Sì, rispose, ma non so dove”. “Allora rima-ni in piedi fino a quando non avrai scelto”. Intanto, il Vecchio andò in un angolo a posare ilbastone e a lasciare il mantello che indossava. Poi, presa della legna, e sedutosi di fronte alcamino, preparò l’occorrente per accenderla. Il giovane, imbarazzato, non sapeva se sedersiaccanto a lui, o di fronte. Il Vecchio accese un po’ di paglia che aveva messo sotto la legna ein pochi minuti si sentì scoppiettare il fuoco. Lui sentiva che l’aria si stava riscaldando edecise di sedersi di fronte. Accomodatosi, si sentì dire: “Ti sei seduto di fronte a me, non èvero?”. “Sì”. “Hai fame?”.“Un po’ ”. “Allora, per favore, va’ a prendere dell’acqua con lapentola che si trova dietro di te. Il pozzo è dall’altra parte della casa, alle mie spalle”. Prepa-rarono una minestra con alcune erbe e poche verdure, che accompagnarono con un pezzodi pane raffermo, un regalo dell’ultimo visitatore.Cominciava ad imbrunire. “Devi prepararti un posto per dormire. Guarda nell’angolo allatua destra, lì c’è una pelle con cui coprirti. Se vai fuori, dietro la casa, troverai dei pezzi dilegna. Li puoi stendere qui vicino al fuoco e dormirci sopra”. Mentre lui si preparava apassare la notte, il Vecchio se ne stava vicino al fuoco. Ogni tanto aggiungeva della legna, eguardava il fuoco, senza vedere.“Ho finito”. “Vieni a sederti”. Sedutosi l’Anziano gli domandò: “Ti ha mandato la Non-na?”. “Sì”. “Sei pronto?”.“Pronto?”.“Sì, sei pronto?”. Silenzio. Lui non sapeva cosa ri-spondere e il Vecchio lo lasciava pensare. “Pronto a cosa?”, pensava. Dopo una lunga pau-sa, il Vecchio disse: “Va bene, andiamo a dormire. Domani sarà una lunga giornata”. Steso,non poteva dormire e si ripeteva: “Pronto a cosa?”. Sentì forte la sensazione del vuoto e glivenne in mente la Nonna e le sue parole: “Diventare uomo”. Forse il Saggio si riferiva aquello, se lui era pronto a diventare uomo. E pensò a sè come a un uomo adulto, ma nonriusciva a immaginarsi in nessun modo, il vuoto non lo lasciava, anzi lo assaliva. Finalmentecominciò a rilassarsi e si addormentò.Al mattino, ancora prima che spuntasse l’alba, sentì un rumore nella stanza. Era l’Anzianoche stava accendendo il fuoco. Faceva freddo. Si mise a osservare come poteva fare tuttosenza vedere: il Vecchio si alzò e attraversando la grande stanza trovò quanto gli era neces-sario. Prese la pentola della minestra della sera precedente, aggiunse un po’ di acqua, alcu-ne erbe e un pezzo di qualcosa che non riusciva a distinguere. Poi la mise a riscaldare. “Ehi,ti sei svegliato?”. “Come ha fatto a vedere i miei occhi aperti?”. “Non li ho visti, ho sentitoil tuo respiro. Il ritmo cambia se sei sveglio”. Allora anche il ragazzo si alzò e andò a sedersi

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di fronte al Vecchietto, sorpreso di quanto fosse acuto il suo udito. “Buongiorno”, gli disse.“Buongiorno”, rispose. Fuori, cominciava ad albeggiare.Quando la pentola cominciò a bollire, il Vecchio la ritirò dal fuoco e versò un po’ del con-tenuto nella sua ciotola e in quella del ragazzo. Tutto in silenzio. La luce si fece più forte e ilragazzo si rese conto che la stanza era molto ordinata, cosa di cui la sera prima non si eraaccorto. “Come fa a tenerla ordinata se è cieco?”, pensò.Finito di bere quella specie di minestra, rimasero ancora a lungo in silenzio. Aspettava cheparlasse. Ma non parlava. Il sole era già alto e la luce riempiva il silenzio. “C’è il sole?”,chiese l’Anziano. “Sì”. “Allora usciamo”. E senza bisogno di aiuto, il Vecchio si diresseverso la porta, e l’aprì. La luce lo inondò. L’espressione del viso era delicata e, nonostante labarba fosse trascurata, il volto era disteso, pulito, quasi trasparente. Fecero alcuni passi, poiil Vecchio si fermò e disse: “Vieni, siedi lì”, indicando una pietra grande. Egli rimase inpiedi, di fronte a lui. Fu l’inizio.

- Cos’è un uomo?- Non lo so.- Ma, tu, non sei un uomo?- Sì, lo sono.- Allora, come fai a non sapere chi sei?

Silenzio.

- Non lo so.- Bene, già è qualcosa. Dimmi, una gallina sa di essere una gallina?- Mi sembra di no.- Ma se un uomo non sa cosa sia un uomo, allora è come una gallina che non sa di esseregallina.

Silenzio.

- Io so solo che Nonna mi ha detto che nessuno diventa uomo senza parlare con il Saggio delmonte, cioè, con lei. Immagino che lei sappia cosa sia un uomo, altrimenti la Nonna non miavrebbe mandato qui.

Silenzio.

- È strano, tu sai che non sei una gallina, ma non sai chi sei.

Silenzio.

- Forse sei veramente una gallina e non lo sai, perciò la Nonna ti ha mandato da me.- In quel caso, lei sarebbe un Vecchio gallo.- Ottima risposta. Sì, sono un Vecchio gallo, e tu, invece di una gallina, sei piuttosto ungalletto che non sa di esserlo.- Da quando senti il vuoto?- Quale vuoto?- Il vuoto che non ti passa dopo aver mangiato, bevuto, dormito; quel vuoto che avvertisempre durante la giornata e che non ti lascia mai.- Da qualche mese, perché?- Perché soltanto chi si immerge in quel vuoto diventa uomo, o se preferisci, diventa un verogallo. Su, andiamo a fare una passeggiata nel bosco.

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Si alzarono. Il Vecchio cieco guidava il ragazzo nel bosco. “Conosce bene i sentieri”, pensa-va lui. Dopo quasi mezz’ora, si fermarono. “Senti il ruscello?”, gli chiese. “Sì”. “Bene, an-diamo a sederci lì accanto”. Aiutato dal ragazzo, il Vecchio si sedette e così anche lui. “Cosaascolti?”. “Il rumore dell’acqua”. “E cosa dice?”. “Niente”. “Come niente? Ascolta”. Silen-zio, si sentiva solo l’acqua scorrere. Passarono molto tempo lì ad ascoltare l’acqua. A uncerto punto, nel pomeriggio, il Vecchio disse che era meglio tornare a casa. Quando arriva-rono, il sole era calato e, entrati in casa, si rinnovò il rituale della cena del giorno preceden-te. A pasto concluso, il Vecchio disse: “Adesso, nel silenzio del bosco, ascolta nuovamenteil rumore del ruscello”. “Non posso”. “Certo, non puoi perché non ti immagini di esseredove eravamo questa mattina. Immagina di essere lì e ascolta”. Dopo un prolungato silen-zio disse: “È strano, mi sembrava veramente di essere lì”. “Molto bene, addormentati pen-sando di essere lì”.Nel sogno apparve l’immagine del ruscello che scorreva. Cercava di scorgere dove nascevae dove andava a finire, ma non ci riusciva. Vedeva soltanto il pezzo di ruscello che aveva difronte. All’improvviso lo assalì il vuoto in un modo così forte che gli si strinse lo stomaco,ma quando gridò dal dolore, vide che il ruscello si era prosciugato. Allora si ritrovò sedutocon le braccia attorno allo stomaco.L’anziano stava già accendendo il fuoco. “Un incubo?” gli chiese. “Sì. Ho sognato che erodove eravamo ieri, accanto al ruscello. A un certo punto, ho cominciato a sentire moltoforte il vuoto, fino a gridare dal dolore. Ma in quel momento, ho visto che il ruscello si eraprosciugato, non aveva più acqua. Mi sono spaventato e mi sono svegliato”.“Bene, rispose il Vecchio, è già qualcosa”. “Cosa significa?”. “Lo scoprirai da te”.Finita la colazione, andarono nuovamente verso il ruscello. Nel vederlo, ebbe un sospiro disollievo. Era lì. E come il giorno prima, si sedettero per il resto della giornata ad ascoltarel’acqua che scorreva. A un certo punto, lui si addormentò. E sognò ancora di trovarsi lì,guardando scorrere l’acqua, sentendo il suo mormorio. Ad un tratto, il livello dell’acquaincominciò a salire, tanto da oltrepassare gli argini, si sentì un boato e lui fu travolto. Anco-ra una volta, si svegliò spaventato. “Ehi, ancora incubi?”. “Questa volta ho sognato chefuoriusciva così tanta acqua dal ruscello, da travolgermi”. “Bene”, disse ancora l’Anziano“facciamo progressi”. Lui non volle più chiedere nulla. Ritornarono in silenzio. Mangiaro-no quello che qualcuno aveva lasciato in casa e andarono a dormire. Poche parole.Così trascorsero alcune settimane. Ormai lui sentiva il ruscello tutto il giorno. “Lo sentisempre?”, gli chiese l’Anziano. “Sì”. “Allora è tempo di camminare”. E le settimane succes-sive si dedicarono a lunghe passeggiate nel bosco, facendo sempre la solita strada. Fin quandoegli fu capace di percorrerla a occhi chiusi. “Bene, allora è tempo di sederci”. E sedetteromolte settimane fuori dalla casa, a occhi chiusi, percorrendo la strada con l’immaginazionee sentendo il ruscello senza vederlo.A primavera inoltrata, l’Anziano disse: “Adesso va’ dalla Nonna e portale i miei saluti. Poiritorna qui”. E così, in quel preciso momento, il ragazzo se ne andò per vedere la Nonna.Ma la Nonna era morta alcuni giorni prima. Desolato, ritornò lo stesso giorno dal Vecchio.“Ebbene, come mai sei tornato così presto?”. “La Nonna è morta”, disse, molto rattristato.“Allora sei rimasto da solo, che pensi di fare?”. “Non lo so”. Forse poteva rintracciare ilpadre e andare da lui, oppure rimanere con il Vecchio.La mattina dopo gli fu chiesto cosa pensava di fare e lui rispose che voleva rimanere lìperché desiderava diventare uomo. “Va’ al ruscello e ascolta”. E andò. Ritornato disse: “Hocapito che devo rimanere qui e vivere nel bosco per ascoltare il ruscello”.

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5. Interpretare il mistero

In questa storia è interessante il modo in cui il ragazzo è arrivato a una comprensionedi sé che lo ha spinto a fare una scelta. Una comprensione che non ha avuto altro orien-tamento che il contatto con la natura, suggerito dal Vecchio saggio. Non è stato sottol’influsso di ideologie o di presupposti culturali, religiosi o sociali. Il Vecchio saggio delbosco ha messo il ragazzo in contatto con se stesso mediante il contatto con la natura.L’ambiente dal quale è scaturita la decisone è costituito dal bosco, dagli alberi, dal ru-scello, oltre, evidentemente, ad aver contribuito anche il rapporto con il Saggio. Il ra-gazzo ha potuto decidere perché ha avuto fiducia, prima in sua Nonna, e poi nel Saggio,e, ovviamente, nel metodo insegnato per ‘ascoltare’ la natura e se stesso. Non si è lascia-to prendere né dalla paura, né dall’impazienza, né dalla sfiducia. Ha perseverato se-guendo le indicazioni e così ha trovato la sua strada. L’ascolto della natura e di se stessogli ha rivelato qualcosa che lo ha fatto decidere.

La decisione di rimanere a vivere nel bosco con il Vecchio nasce dalla consapevolezzadi una opzione radicale di vita. Si può presumere che prenderà il posto del Vecchio, luiche è giovane, per continuare nello stesso servizio che il Saggio offriva ai paesi vicini,ovvero quello di aiutare i giovani a trovare la loro strada, di guarire gli ammalati, di dona-re, in poche parole, saggezza. Precisamente questa è la domanda: “Dove trovare la sag-gezza necessaria per sapere cosa fare della vita, dove impararla?” Una strada è quella diattivare la consapevolezza del mistero, scoprendone il senso nella propria vita. Un sensoche ha vari livelli di comprensione, i quali abbracciano tutte le dimensioni della vita.

In effetti, il primo livello è quello di acquisire la consapevolezza che il ‘sapere’ origi-nario è un ‘non sapere’. Si compie, a partire da questa coscienza, un passo iniziale versola ricerca di senso, che presuppone un dato non esplicito: il vuoto del ‘non sapere’. Nonlo si deve attribuire, come spesso accade oggi a un fattore psicologico trascurato duran-te il primo periodo di vita o a qualche situazione che ha danneggiato il normale processoevolutivo della persona, causandole danni irreparabili che si manifestano con quellasensazione di vuoto. Bisogna interpretarlo teologicamente e non solo psicologicamente.

Tale vuoto, che ha anche tutte le caratteristiche di una forte nostalgia, si deve inter-pretare piuttosto come il riflesso psicologico di una situazione originale storica che se-gna la condizione umana fondamentale, quella di una mancata comunione con lo Spiri-to Santo. In effetti, la condizione umana originale era ‘beata’, cioè era di piena comunio-ne con lo Spirito divino, nella quale la persona umana si trovava piena di grazia, median-te una consapevolezza immediata della propria vita in Dio come mistero, che non sideve confondere con la comprensione del mistero di Dio. Nella tradizione cristiana siaccenna alla condizione storica originale delle persone divise da Dio utilizzando l’espres-sione ‘peccato originale’, che indica come in un certo momento, tale comunione di vitasi sia rotta, e la conseguenza di ciò è stata che l’essere umano è rimasto solo con il suospirito, ma senza lo Spirito. Tutta la storia della salvezza non è che la ripetuta offerta daparte di Dio di ri-legare il suo Spirito a quello dell’uomo, in modo da ricucire lo strappo.In questo senso, c’è una dimensione nella condizione umana attuale che già dalle sueorigini è ‘mancata’ e che la grazia dell’incarnazione del Verbo divino è venuta a colmare,precisamente con il suo Spirito mediante l’operato della Chiesa nel battesimo.

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Quindi, aiutare a prendere consapevolezza della condizione umana come misterosignifica aiutare ad avere una fondamentale comprensione della vita non solo dal puntodi vista della filosofia, della psicologia e della sociologia, ma vuol dire far comprenderela vita in un’ottica spirituale, o se si preferisce, mistica. Ciò significa che tale compren-sione impregna le altre, senza intaccare la loro validità professionale, piuttosto rispet-tando la valenza olistica della visione teologico/spirituale, che detta la comprensioneoriginale storica dell’esistenza umana. Solo da questo presupposto si può giustificare ilfatto che la ricerca umana di senso risponde autenticamente alla condizione umana,altrimenti si potrebbe giustificare semplicemente come una spinta motivata, più o menoconsciamente, dalla percezione psicologica del vuoto esistenziale.

Ritornando all’argomento del ‘non sapere’, è importante precisare che la consapevo-lezza della propria vita come mistero, cioè il ‘sapere’ di ‘non sapere’, è la base dellaricerca di senso che presuppone un’assenza interiore, quella dello Spirito. Perciò il vuo-to esistenziale che si manifesta in diversi modi e che tuttavia persiste, malgrado i tentati-vi di ignorarlo o di riempirlo, mostra, nell’assenza, la mancanza di una presenza, quellache precisamente si cerca. Così il vuoto diventa Presenza assente dello Spirito. UnaPresenza che si avverte per la sua assenza. E siccome lo spirito umano è originariamenteconiugato con lo Spirito, in realtà vive storicamente in regime di divorzio. La vita cristia-na è il tentativo di rilegare lo spirito con lo Spirito. Tale passaggio si compie storicamen-te nell’incontro del singolo con la rivelazione di Dio nell’incarnazione del Verbo divino,mediante la quale si offre il compimento della promessa divina: la donazione rilegantedello Spirito che congiunge ciò che è separato.

È molto importante la presa di coscienza della vita come mistero, perché porta a unatteggiamento ragionevolmente aperto a tutte le dimensioni della vita stessa. Con untale atteggiamento è più facile utilizzare metodi di ricerca che da un’altra prospettivanon sarebbero presi in considerazione. Per esempio, se si ha un atteggiamento secondoil quale la vita è un ‘problema da risolvere’, ciò significa che si vuole ‘risolvere la vita’ inmodo razionale. Ma le scienze umane dimostrano piuttosto che il ‘problema’ non impli-ca la sola dimensione razionale, ma coinvolge tutte le dimensioni della persona, in modoparticolare quella affettiva. Perciò non basta soltanto percepire la propria vita comemistero, bisogna anche scegliere l’atteggiamento con il quale si vuole interpretarlo. Talescelta diventa un’opzione radicale e fondamentale per la propria vita che diviene princi-pio e fondamento delle scelte successive.

In effetti, si rende necessario fare una scelta, quella di decidere come fronteggiare ilmistero personale. Se farlo razionalmente, trattandolo come un problema da risolvere, ocon una ragionevole apertura a tutte le dimensioni della vita. Questa decisione diventaun’opzione radicale perché implica l’inclusione o l’esclusione dell’interpretazione spiri-tuale di base. Se è esclusa, allora si cerca di ‘risolvere’ la vita razionalmente, se invece èinclusa si decide di ‘vivere’ il mistero. Il passaggio dalla consapevolezza della vita comemistero al vissuto cristiano del mistero si realizza sempre in modo originale, perché cia-scuno lo fa in una maniera personalissima e quindi, irrepetibile. Tuttavia è possibile ac-cennare alcuni tratti comuni, come per esempio il fatto che l’incontro con Gesù Cristo ela sua mediazione ermeneutica per l’auto-comprensione di sé siano imprescindibili. An-che se tale incontro avviene in mille forme diverse, è sempre vero che è incontro con Lui.

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Per esempio, nel caso del ragazzo che va in cerca del Saggio del bosco, come si potrebbeagevolare il passaggio dalla sua esperienza del mistero al vissuto cristiano del mistero?

6. Iniziarsi al mistero cristiano

Immaginiamo che siano passati molti anni nella vita del ragazzo di cui si è narratoprecedentemente. Il suo maestro è morto e lui è diventato adesso il Vecchio saggio delbosco. Un bel giorno arriva alla sua capanna un monaco cristiano. Bussa alla porta, e ilVecchio, che era seduto, si alza tranquillamente e apre.

- Buongiorno.- Buongiorno.- Mi chiamo Alberto e sono di passaggio, vado al mio monastero. Credo di essermi persoperché non riconosco il cammino. Ho percorso la via per il monastero diverse volte, ma nonsono mai passato da queste parti. Lei mi potrebbe indicare come ritornare sulla buona strada?- Certamente, ma entri a riposarsi.

Sedutisi, mentre bevono una tisana, il monaco elogia l’ordine all’interno della capanna,mentre il Vecchio sorride timidamente. Non ha mai incontrato un monaco cristiano. Hasentito parlare del suo monastero perché il paese più vicino è attraversato dall’unica via checollega il monastero con la capitale della provincia. Ha sentito dire tante cose buone ecattive, tuttavia è ancora incuriosito. E così, mentre prende la tisana dice:

- Nel paese vicino ho sentito parlare molte volte del suo monastero.- È un monastero antico. Risale a sei secoli fa, quando il paese era ancora solo un gruppettodi case di contadini. Adesso siamo circa 120 monaci. Venga a visitarci qualche volta.- Grazie, ma mi risulta difficile lasciare questo posto.- Perché non viene con me?

Silenzio.

- Potrei venire con lei, ma non ho nessuna ragione per cui venire. E quella di conosceresemplicemente il monastero non mi pare sufficiente.- Non sempre si può avere una buona ragione per fare una cosa prima di farla, ma la si puòtrovare dopo averla fatta. Se lei viene con me, forse troverà nel monastero una buona ragio-ne per esserci andato.- Ma ciò significa che dovrei andare senza ragione, anche se la potrei trovare là. Invece quimi trovo bene e ho una buona ragione per non andarci. Piuttosto, perché non rimane qual-che giorno qui con me? Forse lei potrà trovare una buona ragione per rimanere qui perqualche giorno, anche se adesso non c’e l’ha.- Ottima controbattuta. Effettivamente, potrei rimanere, ma non questa volta, perché miaspettano al monastero. Ma ritornerò fra un mese, più o meno.

Finita la tisana, il monaco si alza e si salutano. Il Vecchio non solo gli indica la strada, ma loaccompagna fino al bivio, dove il monaco prende a sinistra, invece di continuare sulla destra.

- Allora l’aspetto tra un mese.- A presto e grazie.

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Trascorso quasi un mese, verso la fine del pomeriggio, il monaco riconosce il bivio dove sisono salutati e si avvia verso la capanna del Vecchio. Ha pensato a lui specialmente negliultimi giorni, quando si avvicinava il momento di rincontrarlo. Ha chiesto di lui nel mona-stero e i più anziani gli hanno dato precise informazioni. L’idea che si è fatto del Vecchio è,praticamente, quella di un eremita, per la vita solitaria che conduce, ma gli hanno detto chenon è religioso, nel senso tradizionale del termine. Tuttavia è molto rispettato non solo peril suo stile di vita, ma anche per le sue conoscenze mediche che mette al servizio degliammalati. Oltre al fatto che è un ottimo consigliere. In effetti, per questa ragione è cono-sciuto come il Saggio del bosco. Queste cose lo intrigano. Quando vede la capanna si rendeconto che il Vecchio è seduto lì fuori, approfittando degli ultimi raggi di sole. Si salutanocordialmente e si siedono a chiacchierare, bevendo il vino di benvenuto.

- Perché è ritornato? Immagino che se non aveva una buona ragione per venire, dopo ilnostro primo incontro, avrà almeno la speranza di trovarla qui!- Sono venuto perché dopo averla conosciuta mi sono informato dai miei confratelli su di leie sul suo stile di vita e sono incuriosito. Così è lei la ragione della mia visita.- Come posso io incuriosire un monaco? Sarebbe più logico che io sia incuriosito dalla vitadei monaci, e non il contrario.- Capisco la sua sorpresa, ma, guardi, attualmente nel regno tutti cercano ciò che si potreb-be definire come le cose di questo mondo. Lei invece, non è un monaco e vive come uneremita. Lei deve avere capito alcune cose che altri non hanno compreso e che le dannomotivo di vivere come lei vive. O mi sbaglio?- In realtà molti anni fa presi la decisione di diventare discepolo di un Vecchio saggio delbosco. Avevo perso tutti i miei familiari, morti o emigrati. Il Vecchio diventò una buonaragione per vivere, se non l’unica. Fu come un padre per me e fece di me un uomo. Dopo lasua morte, decisi di rimanere per fare per gli altri quello che lui aveva fatto per me. Lui milasciò tutto quello che lei può trovare nella capanna, ma soprattutto mi lasciò il senso del-l’allegria. E sono contento.- Il senso dell’allegria? Mi sembra piuttosto che l’allegria non abbia senso, ma che sia l’espres-sione del senso.- In realtà, più che l’espressione del senso è l’espressione del mistero, che dà senso ancheall’allegria.- Bravissimo! Quando ero novizio, il mio maestro ci insegnava a ridere nel mezzo della cella,al buio. Io all’inizio non capivo, ma lo facevo. Una volta, mi accorsi che già ridevo prima ditentare di ridere. Allora mi resi conto che ridevo dei miei tentativi di trovare una ragioneper ridere, ridevo perché cercavo una ragione per ridere, invece di ridere allegramentesenza ragione. Confesso che mi scoprii imbarazzato nel constatare che pensavo che dovevoavere una ragione per ridere. Invece, e questa fu la mia sorpresa e la mia scoperta, avevosperimentato che mi veniva da ridere spontaneamente al pensiero che dovevo avere unaragione per ridere. Sembra assurdo, ma è vero. Questo fu l’inizio di un percorso che miportò a scoprire la vera allegria, quella che è al di là della ragione. Da quel momento ridosempre quando sono da solo, senza ragione. Ed è bellissimo!- Un giorno il mio Vecchio maestro, che era cieco, mi domandò: “Dimmi, come ride unrospo?”. Gli risposi che i rospi non ridono. Allora, mi disse: “Devi passare parecchi giorninel bosco accanto a un rospo ad aspettare la sua risata”. Io mi arrabbiai a morte, ma lo feci.Dopo parecchi giorni di assurda attesa mi venne da ridere spontaneamente al pensiero chestavo aspettando che il rospo ridesse. Di corsa andai dal maestro e gli dissi: “Il rospo cheride sono io”. “Bravo”, mi disse, e quel giorno facemmo festa.

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- Bellissimo. Quello che è assurdo per la ragione invece può rallegrare il cuore. Una volta mitrovai a spaccare la legna e mi stupì il fatto che l’ascia potesse tagliare un piccolo tronco indue, penetrando nel legno con il suo filo e, grazie alla forza acquisita nella caduta, potessespartire il legno. Mi impressionava il fatto che io indirizzavo l’ascia dall’alto mentre avevofissi gli occhi sul legno. Io mi ero fermato riflettendo su quel fatto. Un confratello chepassava mi domandò cosa facessi lì, fermo, guardando l’ascia. Gli riferii quello che pensavo.Lui allora mi raccontò questa storia: «Una volta l’arciere più bravo di un certo paese parte-cipò al famoso concorso di tiro a segno della regione. Uno dopo l’altro gli altri arcieri riusci-rono a totalizzare buoni punti e man mano che la gara proseguiva lui si scoraggiava e sisentiva sempre più nervoso, cosa che rendeva sempre più difficile la sua situazione, cioè lasua concentrazione e la stabilità del polso. In quel momento ricordò spontaneamente quel-lo che succedeva quando andava a tagliare la legna: bastava semplicemente sollevare l’asciaperché cadesse sul legno. Si trattava solamente di lasciarla andare, di accompagnarla nellacaduta, non di spingerla. L’ascia ha una propria forza di caduta che si deve accompagnare.Così l’arciere si rese conto che doveva semplicemente lasciare andare la freccia con unmovimento dolce di liberazione. Ma pensava a come potesse indirizzarla verso il segno, e sirese conto che anche l’ascia si doveva indirizzare, ma la si indirizza con le mani, mentre gliocchi guardano il legno. Allora ebbe l’ispirazione di ciò che doveva fare: guardare fisso ilsegno e aspettare che arrivasse il momento in cui lui avrebbe saputo che doveva liberare lafreccia, non indirizzarla o spingerla. Semplicemente, aspettare il momento per liberarla ecosì la freccia avrebbe raggiunto il segno, come l’ascia raggiunge il legno».- In effetti, lo interrompe il Vecchio, per raggiungere certi obiettivi basta soltanto liberare laforza che è dentro di noi. Il problema è che quella forza la vogliamo indirizzare, manipolare,e non la lasciamo libera. Il mio Vecchio maestro lo sapeva molto bene. A proposito dell’ar-ciere e della freccia, il Maestro mi diceva che la vita non è una via da percorre, ma, piutto-sto, che la via da percorrere dipende da dove si vuole arrivare. È il punto di arrivo chemostra il cammino da seguire. Come la freccia tesa nell’arco, la nostra vita ha un impulsoproprio, una vitalità che deve sbocciare, ma non sappiamo essere buoni arcieri perché nonsappiamo dove puntare. Tutta la saggezza che ho imparato nel bosco è semplicemente que-sta: sapere dove puntare e liberare la mia forza interiore.- E dove punta?- Dovrebbe dirmelo lei, giacché è il monaco della situazione.- Tutte le mattine, quando mi alzo, nel monastero, per pregare nel buio della notte, hol’impressione di fare qualcosa di assurdo. Vado volentieri a intonare i salmi, ma mi sentocome una freccia in viaggio che constata ogni giorno che l’impulso iniziale va diminuendo eche in qualsiasi momento può cadere nel vuoto, prima di raggiungere il segno.- E quale sarebbe questo segno?- È un mistero, un segno nero che si trova su una parete nera che abbraccia tutto l’orizzontein una notte senza luna.- Ma, allora, qual è il vuoto?- La paura di cadere senza sosta, infinitamente, prima di arrivare ad attaccarmi al segno. Lapaura che la freccia possa perdere il suo impulso prima di arrivare al segno e perdersidefinitivamente.- Il fiume può prosciugarsi prima di arrivare al mare, ma c’è sempre la possibilità che piovalungo il tragitto.- Esattamente per quello ho deciso di farmi monaco. Un giorno, ancora giovane, mentreandavo a mungere l’unica mucca che avevamo a casa, pensai: «Cosa succederebbe questamattina se la mucca non avesse latte?» Mi risposi: «Oggi non berremmo latte, e non acca-

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drebbe niente». Ma pensai: «E se la mucca morisse?...Allora non berremmo il latte di quellamucca, anche se potremmo bere il latte di un’altra mucca». E questo pensiero mi sconvolse.Mi fermai di colpo e immaginai di trovare la mucca che andavo a mungere morta. Fu unpensiero insopportabile. Di corsa aprii la porta della stalla e trovandola lì, tranquilla che sigirava per guardarmi come tutte le mattine, sentii un grande sollievo. Tuttavia la possibilitàsempre in agguato di non bere più il suo latte mi torturava. Un giorno di fine estate andai inpaese e trovai un monaco che stava cercando braccianti per la raccolta del grano nelle terredel monastero. Dopo avere avvisato la famiglia, andai a lavorare con loro per tre settimane.Durante la notte ci lasciavano dormire in una grande stanza e prima dell’alba spesso sentivocantare i monaci. Qualche giorno prima di finire i lavori mi avvicinai al monaco che miaveva contattato e gli chiesi come mai cantavano di notte. E lui mi spiegò che lo facevano dinotte per lodare il Signore della luce, perché la luce brilla in mezzo alla tenebre. Questarisposta mi piacque molto e gli chiesi se potevo fare anche io la stessa esperienza. Quellanotte non dormii aspettando il momento di entrare in chiesa con i monaci. Mi piacque cosìtanto che le poche notti che mi rimanevano andai con loro. Un bel giorno, già ritornato acasa, la mucca morì. Allora mi resi conto che il suo latte non doveva andare perso e decisi dientrare in monastero. I primi tempi non capivo quale fosse il rapporto tra la mucca, il lattee la decisione di farmi monaco, anche se sentivo di fare la cosa giusta. Dopo, con gli anni, miresi conto che il latte di quella mucca rappresentava per me la vita e che lei era la fonte dacui ricevevo la vita. La paura di perderla era la paura di perdere la fonte di vita, e quindi, lapaura di morire. E quando effettivamente la mucca morì, mi resi conto che il monastero midava una specie di sicurezza contro la morte, come se fosse una mucca da cui mungere lavera vita. Con il passare del tempo ho scoperto sempre di più, anche se comunque misterio-samente, la fonte di quella sicurezza che all’inizio sentivo solo a livello istintivo. Ho scoper-to nel monastero la forza che mantiene la mia freccia nell’aria, anche se ho sempre paurache un bel giorno possa cadere nel vuoto. Quella forza è come la pioggia che cade sul fiumee lo rincuora dalla paura di prosciugarsi prima di sfociare nel mare.- Anche io ho trovato nel bosco una forza che è come un soffio di vita che tutto pervade eche spinge, giorno dopo giorno, la vita del bosco verso l’alto e in avanti. Il bosco è come unseme che dall’interno sviluppa una forza propria che fa crescere tutto. È come una freccia.Tuttavia, assisto anche ogni giorno allo spettacolo onnipresente della morte, qua e là: alberi,animali, piante. Mille pericoli presenti che minacciano la vita. Ma se questo è vero, è anchevero che ho sempre avuto l’impressione che la vita del bosco fosse più forte della morte. Misuccede molte volte durante la sera, quando accendo il fuoco nella capanna, di pensare a unfuoco che non si spegne mai. E mi immagino un fuoco sempre accesso. Purtroppo, non èpossibile. E penso che anche la vita finirà un giorno e che il mio fuoco si spegnerà. Nelbosco ho visto per anni come i cicli della vita si rinnovano allo stesso modo delle stagioni.Tuttavia, più volte ho pensato che io, attraverso le stagioni, invece di rinnovarmi fisicamen-te, invecchio. Ma stranamente, mi sento più contento, più tenero interiormente, con unacompassione sempre più grande verso tutto e tutti. Anche io trovo quella forza, quellapioggia che si aggiunge al mio fiume durante il suo percorso verso il mare e che mi conforta.Come spiega lei quella forza, quella pioggia?- Nel monastero ho assistito al trapasso di vari miei confratelli. Muoiono generalmentevecchi, dopo tanti anni di vita vissuta nella routine quotidiana. E tuttavia, è un’esperienzadiversa per ogni singolo caso. Ho visto morire monaci disperati, che volevano aggrapparsiancora alla vita, per nulla rassegnati alla scadenza naturale, anche se consapevoli che il lorotempo era finito. Nel momento in cui lo stoppino della candela emanava la sua ultima lucee si raffreddava la poca cera che vi rimaneva, si ribellavano e urlando gridavano disperati la

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volontà di non morire. Di altri invece non si sapeva se erano già morti o se si erano sempli-cemente addormentati. Ho visto alcuni morire sorridendo e ad altri illuminarsi il volto ediventare più belli nel momento dell’ultimo respiro e dopo una lunga malattia con sofferen-ze atroci. Sono arrivato alla conclusione che entrare in comunione con quella forza dipendada una decisione personale, equivale a un radicale affidamento al mistero.- Anche a me pare che siamo avvolti da un grande mistero e che riusciamo a comunicare conesso soltanto se ci affidiamo alla sua incomprensibilità. È un non sapere.- È vero. Mi ci sono voluti molti anni per capire che il ‘non sapere’ è il ‘sapere’ più impor-tante. Ma per comprendere una cosa così semplice bisogna rompere lo schema mentalerazionale, solo così diventa trasparente il senso del ‘non sapere’, un senso che è molto ragio-nevole, anche se non è razionale.- Maestra è stata per me la contemplazione della natura, che mi ha aiutato tanto, insiemeall’insegnamento del mio Maestro. Ma voi nel monastero come fate per iniziarvi al mistero?- Dipende da chi si sceglie come maestro. Ci sono molti modi, e nel monastero hai libertà discelta. Io, per esempio, mi affidai a una guida che aveva studiato molto, e praticato tantissi-mo l’arte della respirazione. Su questo ci sono molti pregiudizi, ma sono convinto dellabontà del metodo.- E quale sarebbe questo metodo?- Si parte dall’esperienza del mistero della propria vita per poi focalizzare il mistero dellarespirazione e il suo rapporto con la vita e il vivere quotidiano. Da qui si contempla nellaBibbia come il ‘soffio’ abbia un ruolo di primissimo ordine nel rapporto tra Dio e l’uomo epoi tra Gesù, il fedele e la Chiesa. Così respirare serve da mediazione pedagogica per vivereil personale mistero in comunione con il mistero di Dio e di Cristo. È il mistero dello SpiritoSanto. Il mio Maestro diceva che a partire da questo punto si poteva parlare di spiritualitàcristiana in senso proprio, perché si arrivava a respirare consapevolmente con lo Spirito,consci del fatto che il respiro dell’aria è contemporaneamente la fonte della vita biologica edivina, della vita nel tempo e dell’inizio dell’eternità.- Tutto questo è nuovo per me.- In realtà non è complicato. La consapevolezza del ‘non sapere’, cioè di vivere nel mistero,apre la porta a un sapere che non è, al suo avvio, nozionale, né contenutistico, né discorsivo,ma esistenziale/sapienziale. Perciò è assolutamente importante che l’approccio al metodo ealla tecnica non sia di tipo razionale, cercando a tutti i costi di capire e valutare costante-mente quello che si fa. La ragionevolezza del metodo infatti, se di ragionevolezza si puòparlare, si comprende con la pratica, non prima. Bisogna imparare che non è il comprende-re che soddisfa, ma il gustare internamente il mistero che appaga lo spirito. Anche se biso-gna soffrire molto prima di arrivare a questa consapevolezza.- Soffrire?- Si soffre molto in due sensi. Prima di tutto fisicamente, perché ci si deve abituare a rima-nere per molto tempo seduti su una sedia con la schiena in posizione retta a novanta gradirispetto al pavimento, ma con un poco di pratica lo si fa. In secondo luogo, c’è una sofferen-za di tipo morale: l’affidarsi al metodo senza verificare razionalmente e in modo immediatoi risultati molte volte scoraggia e spinge ad abbandonarlo. A partire dalla mia esperienza, ladifficoltà maggiore si trova nella perseveranza da parte del praticante. Questi, infatti, puòessere assalito dalla sfiducia nei confronti del maestro, dubitando della sua capacità di gui-darlo, o dall’incertezza di non sapere dove arriverà con la pratica del metodo, o ancoradall’impazienza, perché vorrebbe ottenere dei risultati immediati, generalmente finalizzatiad uno scopo stabilito prima dell’inizio della pratica del metodo, o semplicemente perché,a suo giudizio, sembra che non succeda niente d’‘importante’.

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- Ma perché è così importante la postura del corpo?- Perché con essa si deve esprimere la disposizione interiore all’ascolto. Perciò è fondamen-tale mantenere la schiena a novanta gradi quando si è seduti, in una posizione vigile. Permantenerla retta bisogna tenere in tensione la zona lombare, lasciando invece le spalle rilas-sate, posizione che favorisce una respirazione addominale piuttosto che pettorale, con lapancia rilassata e il respiro che passa attraverso le narici. Con una pratica costante si puòmantenere la posizione eretta a lungo, senza fatica e praticare una respirazione ritmica eprofonda. Altro suggerimento da seguire, quando si è seduti sulla sedia, è quello di tenere ipiedi paralleli e i polpacci a novanta gradi rispetto al pavimento, formando un angolo rettospeculare rispetto a quello formato dalla schiena. Alcuni preferiscono posture di tipo orien-tale, come il lotto o il mezzo lotto, ma la posizione descritta è sicuramente buona. Altroparticolare da non trascurare è il momento che precede la contemplazione: conviene prepa-rare il corpo e pacificare l’immaginazione, cosa che è possibile realizzare mediante unabreve serie di esercizi raccomandati sia per prendere consapevolezza del corpo e disporloalla contemplazione, sia per impedire la dispersione dell’immaginazione, in modo da uniremente, spirito e corpo.- Dà l’impressione che si tratti di una seduta di ginnastica.- Una volta un monaco cominciò ad allenarsi con il mio Maestro, e alla fine della primaseduta disse tutto arrabbiato: «Io non sono venuto qui per fare ginnastica, sono venuto perimparare a pregare!» e se ne andò. Questo accade a causa di un atteggiamento molto diffu-so rispetto alla preghiera che il mio Maestro definiva ‘razionale’; un atteggiamento chescaturisce dal considerare la preghiera, la meditazione o la contemplazione, come una esclu-siva attività mentale che non c’entra nulla con il corpo e l’immaginazione. Solitamente sipensa che la postura fisica, l’alimentazione, il ritmo di vita siano indipendenti dal rapportocon il Mistero di Dio, che basti semplicemente comunicare con esso mediante il pensiero. Ecosì la vita dello spirito si riduce a pensare e ragionare. Ma la via da percorrere è esattamen-te il contrario: lasciare da parte il pensare per dare spazio al vedere senza pensare, comequando si ascolta la musica. Una pratica a cui si arriva con il tempo, anche se si deve direche non è per tutti.- Ma quanto dura la seduta e cosa si fa in quel tempo?- Per cominciare basterebbero dai dieci ai quindici minuti. Dopo si può aumentare progres-sivamente fino ad arrivare a quaranta minuti, anche se alcuni rimangono un’ora, ma mai dipiù. È importante non allungare o accorciare il tempo stabilito, per non lasciarsi influenzaredalle sensazioni che si provano durante la seduta, e abbandonarla per noia o fastidio fisico,o prolungarla per il conforto provato. Per quanto riguarda il percorso, generalmente siinizia facendo esercizi per sviluppare un atteggiamento contemplativo: la durata di questafase dipende dalla pratica del singolo, può variare da alcune settimane ad alcuni mesi. Inseguito si passa a contemplare la vita di Gesù per comunicare con il mistero della sua vita,morte e risurrezione. Alcuni rimangono anni nella contemplazione di Gesù, altri vanno incerca di Dio Padre, altri ancora si rivolgono allo Spirito Santo. Ma quello che rimane sem-pre fondamentale è la respirazione, perché serve da mediazione con Dio.- Mediazione?- Sì. Nel libro della Genesi si interpreta la creazione dell’uomo come l’atto mediante il qualeDio soffia il suo alito attraverso le narici dell’uomo, comunicandogli la sua vita divina, e nonsoltanto quella biologica. In realtà, agli inizi della creazione, il soffio alimentava la vitabiologica e divina contemporaneamente. Quando Adamo ed Eva disobbedirono al Creato-re, rifiutarono la comunione con lo Spirito ed Egli li abbandonò. Da quel momento il respi-ro perse la sua dimensione divina e i due cominciarono a respirare soltanto per soddisfare il

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bisogno biologico. Come conseguenza della perdita dello Spirito, si trovarono con un vuotointeriore e con una grande nostalgia di qualcosa di impreciso, ma molto profondo. La storiadel popolo d’Israele è la storia dei ripetuti tentativi, falliti, da parte da Dio, di ri-soffiare ilsuo Spirito nell’uomo. Fino a quando Gesù, il Verbo di Dio, soffiò su alcuni dei suoi disce-poli prima di salire in cielo e lo stesso Spirito si fece largo tra di loro. Secondo questapresentazione, trasformarsi interiormente consiste nel prendere consapevolezza che l’attodella respirazione non è solo un atto biologico che permette di vivere corporalmente, ma unatto simbolico e mistico, nel senso che è avvolto nel mistero, perché in esso si rivela loSpirito Santo, fonte di vita in tutte le sue dimensioni, fisica e divina. Lo Spirito è il Misterooriginario che si raffigura simbolicamente con il mistero della respirazione, ma è anche ilMistero che sostiene la vita e la rinnova costantemente.- Bene, bene. Ma adesso entriamo, che comincia a fare fresco e lei sarà affamato dopo ilviaggio. Venga che le offro qualcosa da mangiare.

7. L’iniziazione ecclesiale attraverso i sacramenti:il catecumenato

L’episodio appena raccontato indica un modo di iniziarsi all’esperienza del misteroche si può definire non tradizionale, anche se pienamente ecclesiale. La pratica tradizio-nale della Chiesa ha privilegiato il catecumenato come mezzo per introdurre le persone aisuoi ‘misteri’. In effetti, il sostantivo greco mystêrion utilizzato nel Nuovo Testamento,specialmente da Paolo (Rm 11,25; 16,25; 1Cor 15,51; Ef 1,9; 3,3-5; 3,9; 5,32; 6,19; Col1,26-27; 2,2; 4,3; 2 Tes 2,7; 1Tim 1,12; 3,9; 3,16), si traduce nella Volgata come sacramen-tum15. Mystêrion proviene dal verbo myô (dalla radice my-) che si traduce come l’azione dichiudere gli occhi, per vedere in segreto, e di chiudere la bocca, per non rivelare ciò che sivede in segreto. Così, per i cristiani dei primi secoli, traducendo mystêrion con sacramen-tum, si stabilisce “un’identità non solo lessicale, ma teologica, tra mistico e sacramentale:l’insieme di ciò che attiene a Dio e al suo disegno di salvezza si conosce appunto mediantei sacramenti, celebrati nella comunità cristiana”16. Secondo Origene, per esempio, misti-co è “il senso delle Scritture come mistica è la loro sostanza; mistico anche il cammino checonduce alla loro intelligenza; mistica infine l’opera spirituale, grazie alla quale il Verbo sifa presente”17. Si spiega in questo modo perché la Chiesa ha mantenuto la tradizionecatecumenale, perché, introducendo le persone ai ‘sacramenti’, le introduce ai ‘misteri’.

7.1. La maturazione nell’atteggiamento teologale di fronte al Mistero trasformante

Il contenuto dell’articolo ruota attorno alla Presenza trasformante del Mistero, comesi è affermato nell’introduzione. In questo senso si sottolinea che il catecumenato non può

15 Cfr. L. BORRIELLO, Esperienza mistica e teologia mistica. LEV, Città del Vaticano 2009, 21-25.16 E. ANCILLI, “La mistica alla ricerca di una definizione”, in La mistica. Fenomenologia e riflessione

teologica. I. Città Nuova, Roma 1984, 19.17 CH. A. BERNARD, Il Dio dei mistici. I: Le vie dell’interiorità, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 98.

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essere soltanto un’introduzione alla nozione di cristianesimo, ma una vera iniziazione al-l’esperienza del cristianesimo. Un cristianesimo, che è Presenza storica del Mistero tra-sformante della condizione umana, va presentato anche come un’iniziazione all’esperien-za di tale mistero in modo da accompagnare gli iniziati affinché la loro esperienza maturi.

In effetti, la maturazione cristiana si concepisce come un processo di sviluppo che sirealizza alla Presenza del Mistero santo, la quale porta a una situazione di stabilità emo-zionale, di autosufficienza, non di egocentrismo, ma di responsabilità personale e socia-le. Implica un progressivo accomodamento alla realtà circostante che si esprime comeequilibrio tra desideri personali e valori trascendenti e che, quindi, stabilisce la base perprendere decisioni oggettive gestite con autocontrollo e padronanza di sé. Una personamatura è una persona adulta, consapevole del fatto che la sua identità personale si co-struisce nel tempo e che lei stessa evolve con l’età, ma senza perdere il proprio nucleo.A questo proposito si è già spiegato come la vita spirituale segua un percorso che, dopoil suo inizio, porta alla personalizzazione e all’interiorizzazione del mistero cristiano, eche non è esente da crisi, ma che certamente evolve verso una maturità che preannunciala vita eterna.

Essere adulti, essere maturi nell’atteggiamento teologale, significa vivere e interpretareil percorso di vita personale in una prospettiva escatologica che evolve storicamente e sirealizza soltanto relativamente nella storia, perché si raggiunge escatologicamente dopola morte18. Una comprensione teologica come questa non si scontra, per esempio, con lefasi di maturità elencate dagli psicologi, anzi, trova consonanze specialmente nella suadinamicità. In effetti, si arriva all’età adulta mediante la costruzione e ricostruzione co-stante di se stessi, della propria vita. Così: “Divenire adulto è un processo piuttosto cheuno stato. Tale processo, al contempo, integra sia una certa stabilità predominante, siaun cambiamento costante ed è la conseguenza di una triplice interazione tra l’organismoin crescita continua, l’Io individuale con le sue rappresentazioni, sistemi di valori, ecc., ela situazione specifica sociale, culturale e storica”19.

7.2. Il catecumenato

La pratica di introdurre gli adulti alla fede cristiana attraverso un’adeguata prepara-zione ha una storia tanto antica quanto il cristianesimo stesso. Non è il caso qui di soffer-marsi sul percorso storico che ha avuto, ma semplicemente di accennare al fatto che ilcatecumenato delle origini si è trasformato durante i secoli nella prassi ecclesiale dellacatechesi. Con il Concilio di Trento quella prassi si è istituzionalizzata nella vita ordina-ria della Chiesa, presupponendo un contesto socio-religioso omogeneo, cristiano, conun notevole ed efficace influsso sociale della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha preso attodel fatto che tale contesto omogeneo stava cominciando a cambiare a causa del fenome-no della secolarizzazione, ragione per la quale ha visto la necessità di rinnovare la cate-

18 Cfr. J. VALLABARAJ, Educazione catechetica degli adulti. Un approccio multidimensionale, LAS, Roma2009, 23-43.

19 J. VALLABARAJ, Educazione catechetica degli adulti, 42 (corsivo dell’autore).

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chesi (cfr. Costituzione dogmatica Christus Dominus 14) e di ristabilire il catecumenato(cfr. Costituzione Dogmatica Sacrosantum Concilium 64; Decreto Ad Gentes, 14)20.

Il catecumenato si concepisce come “l’istruzione iniziatica di carattere catechetico-liturgico-morale, creata dalla Chiesa dei primi secoli, con il fine di preparare e condurregli adulti convertiti, attraverso un processo a tappe, per incontrare pienamente il miste-ro di Cristo e la vita della comunità ecclesiale, espresso nel suo momento culminante dairiti battesimali di iniziazione: battesimo, riti post-battesimali, eucarestia che, normal-mente presieduti dal vescovo, si celebrano nella Veglia pasquale”21. Lo scopo del cate-cumenato è di iniziare la persona alla via della maturità cristiana attraverso un’adesionesempre più piena a Cristo con tappe e riti, che implicano un cambiamento di stile di vitae un nuovo ordine affettivo e morale (la conversione). Così, progressivamente, il catecu-meno si introduce nel mistero dello Spirito e del Padre, attraverso la rivelazione di Cri-sto nella Chiesa, e nell’ambito di una comunità ecclesiale concreta.

7.3. La proposta dell’iniziazione secondo il Rito di Iniziazione al Cristianesimo degliAdulti (RICA)

A seguito del desiderio conciliare di ripristinare il catecumenato, il 6 gennaio 1972,Papa Paolo VI promulga il nuovo Rito di iniziazione cristiana degli adulti (RICA)22. Perquesta ricerca, del documento interessa specialmente la prima parte, dedicata alla strut-tura dell’iniziazione degli adulti.

Il RICA si presenta come un processo dinamico, segnato da tappe e riti che favori-scono il processo di maturazione dell’atteggiamento teologale. Un’iniziazione gradualein tre gradi (n. 6): il primo “si ha quando uno, dando inizio alla conversione, vuol diven-tare cristiano ed è accolto dalla Chiesa come catecumeno”; il secondo, “quando, cresciu-ta la fede e quasi terminato il catecumenato, viene ammesso a una più intensa prepara-zione ai sacramenti”; e il terzo e ultimo grado “si ha quando, compiuta la preparazionespirituale, riceve i sacramenti che formano il cristiano”. I passaggi attraverso questi gradisi compiono mediante tre riti liturgici, ovvero rispettivamente: il rito dell’ammissione alcatecumenato, l’elezione a cristiano e la celebrazione vera e propria dei sacramenti.

Questi tre gradi si dividono in quattro momenti. All’inizio si ha il pre-catecumenatodedicato a una prima evangelizzazione, alla fine della quale si passa al catecumenato,che non ha un tempo determinato e può durare anni. In questa tappa il catecumeno si

20 Per una storia del catecumenato, cfr. A. LAURENTIN - M. DUJARIER, Il catecumenato. Fonti neotesta-mentarie e patristiche. La riforma del Vaticano II, Dehoniane, Roma 1995; G. CAVALLOTTO (ed.), Iniziazio-ne cristiana e catecumenato. Diventare cristiani per essere battezzati, Dehoniani, Bologna 1996. Per unaprospettiva geografica attuale su come si svolge il catecumenato in diverse parti della Chiesa, cfr. D.BOROBIO, Catecumenado para la evangelización, San Paolo, Madrid 1997.

21 Cfr. D. BOROBIO, Catecumenado para la evangelización, 13.22 Nella ‘Premessa’, firmata dalla Conferenza Episcopale Italiana, si legge: “Questo «Ordo» infatti,

più che un rito contiene un complesso di riflessioni teologiche, di indicazioni pastorali e azioni liturgicheche vogliono sostenere e guidare l’itinerario di iniziazione alla vita cristiana nella Chiesa, di un adulto odi un gruppo di adulti” CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Rito dell’iniziazione Cristiana degli adulti,LEV, Città del Vaticano 1980.

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dedica all’istruzione catechetica fino a quando non matura la decisione di farsi battezza-re. Presa la decisione, allora, si hanno i due ultimi momenti che coincidono, anche senon necessariamente, con la celebrazione della quaresima e della Pasqua. In effetti, laterza tappa, quella ‘della purificazione e dell’illuminazione interiore’, si realizza durantela quaresima; mentre l’ultima, chiamata ‘mistagogica’, implica la ricezione del battesi-mo, della cresima e dell’eucarestia durante la celebrazione della Vigilia Pasquale, ed èorientata “all’esperienza cristiana e ai suoi primi frutti spirituali e anche a stabilire sem-pre più stretti legami con la comunità dei fedeli” (n. 7).

Come si può facilmente evincere, non si tratta soltanto di un percorso dottrinale, maanche esperienziale, altrimenti non si viene incontro a uno dei segni dei tempi più forti,quello del bisogno di ‘fare esperienza’. In effetti, la nuova evangelizzazione, secondoColzani, “nasce da una grande attenzione alle circostanze storiche” come “una rispostaalle sfide che nascono da una storia, dove la perdita della fede o la sua privatizzazione èormai una caratteristica di una società profondamente secolarizzata”23. Si tratta di evan-gelizzare, cioè di illuminare quel contesto dall’interno con l’esperienza della fede cristia-na, e tale illuminazione non può esserci se non attraverso la luce dell’esperienza conte-stualizzata, che abbraccia tutta la persona.

8. Conclusione

Papa Francesco, nel n. 41 della sua Evangelii gaudium, afferma che il pericolo di unlinguaggio ortodosso che non corrisponda al Vangelo è sempre presente, con il rischiodi trasmettere un falso dio o un falso ideale umano, non cristiano. Così si può esserefedeli a una formulazione, ma non alla sostanza. Certamente, è un rischio che non ri-sparmia le formulazioni ‘nuove’, le quali anch’esse possono attirare nella forma, masenza trasmettere la sostanza del Vangelo. Tuttavia, volendo essere fedeli all’impostazio-ne che Papa Francesco sta dando alla Chiesa, il rischio accennato non può togliere ilcoraggio di avanzare linguaggi diversi.

23 G. COLZANI, “Evangelizzazione”, in Dizionario di Ecclesiologia, Città Nuova, Roma 2010, qui 667.