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Scritti dell’avvocato Adolfo Gatti
Raccolta
a cura di
Giovanna Corrias Lucente
Prefazioni diGiovanna Corrias Lucente, Paola Severino
Copyright © MMXVAracne editrice int.le S.r.l.
via Quarto Negroni, Ariccia (RM)
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: aprile
Nel tempo vi fu un giorno che spensegli ultimi occhi che videro Cristo; la batta-glia di Junìn e l’amore di Elena morirono,con la morte di un uomo. Che cosa mor-rà con me quando io morrò, quale formapatetica ed effimera perderà il mondo? Lavoce di Macedonio Fernàndez, l’immagi-ne di un cavallo rosso per le distese deser-te di Serrano e di Charcas, uno zolfanellonel cassetto di uno scrittoio di mogano?
J.L. B, Il testimone,da L’Artefice, El Hacedor, .
Indice
PrefazioneGiovanna Corrias Lucente
In ricordo di Adolfo GattiPaola Severino
Parte IScritti
Inchiesta sull’eloquenza forenseAdolfo Gatti
I diritti dell’imputatoAdolfo Gatti
Plagiare è mai possibile?Adolfo Gatti
Perché gli italiani diffidano della giustiziaAdolfo Gatti
Giovani avvocatiAdolfo Gatti
L’ergastolo non frena il crimineAdolfo Gatti
Immunità diplomatica, Cittadinanza italianaAdolfo Gatti
Indice
Censura e MagistraturaAdolfo Gatti
Non esistono voci tendenzioseAdolfo Gatti
Il diritto alla speranzaAdolfo Gatti
L’autocrazia striscianteAdolfo Gatti
Aspetti giuridici del problemaAdolfo Gatti
La Costituzione e i codiciAdolfo Gatti
Carcere a volontàAdolfo Gatti
Che fare?Adolfo Gatti
L’ergastolo è anticostituzionaleAdolfo Gatti
Ma cosa c’è dietro il segreto di Stato?Adolfo Gatti
Nel giudice una coscienza apolitica e obiettivaAdolfo Gatti
L’imputato non può attendereAdolfo Gatti
La delinquenza è una malattia del capitalismoAdolfo Gatti
Indice
La toga e la politicaAdolfo Gatti
Diritti ignoti e doveri a sorpresaDino Cimagalli
Quando i giornalisti custodiscono il segretoAdolfo Gatti
Per i diritti costituzionali e le libertà civiliAdolfo Gatti
Quella lettera ai giudiciAdolfo Gatti
Le vite paralleleAdolfo Gatti
La città e il terrorismo: che cosa può cambiareAdolfo Gatti
L’avvocato e la libertàAdolfo Gatti
L’avvocato non può essere impiegato dello StatoAdolfo Gatti
È inutile sacrificare la libertà per combattere il terrorismoAdolfo Gatti
Che brutta legge quest’antiterrorismoAdolfo Gatti
Il contratto sociale non riguarda la vitaAdolfo Gatti
“Caso Di Giovanni”, domani iniziano gli interrogatoriSilvana Mazzocchi
Indice
Ma chi difende il vecchio Beccaria?Adolfo Gatti
Gatti: non può esserci redenzione senza ritorno alla vita so-cialeAdolfo Gatti
La giustizia funziona, è malata la coscienzaAdolfo Gatti
Il futuro governo e il Pubblico MinisteroAdolfo Gatti
L’unica vera soluzione è il sistema accusatorioAdolfo Gatti
Le reazioni al verdetto di MilanoAdolfo Gatti
Sentenza Tobagi. No, i giudici non erano obbligati a dare lalibertàAdolfo Gatti
Magistratura e libera stampa. Quel sequestro anticostituzio-naleAdolfo Gatti
Avvocato, un ruolo difficile nella GiustiziaAdolfo Gatti
Il « segreto » viene rivelato spesso da pubblici ufficiAdolfo Gatti
Un rapporto sempre più difficileAdolfo Gatti
Il pubblico ministero non può essere giudiceAdolfo Gatti
Indice
Quegli inutili maxiprocessiAdolfo Gatti
Dal nuovo Codice al nuovo processoAdolfo Gatti
Primo, salvare la leggeAdolfo Gatti
Il difensore del nuovo processoAdolfo Gatti
Le leggi son, ma chi pon mano ed esse?Adolfo Gatti
ArticoloAdolfo Gatti
Nobile storia dell’avvocaturaAdolfo Gatti
Parte IIBiografie e interviste autobiografiche
Adolfo Gatti o del diritto alla difesaAdolfo Gatti
Gatti: “In ogni imputato difendo il cittadino”Luigi Bazzoli
I grandi nomi pigliano tuttoPietro Lanzara
Classifica. Tutte le toghe d’oroPietro Lanzara
Indice
Il mio carnet. Dizionario aggiornato e illustrato degli italianiin vista in questo momentoPietro Lanzara
Più avanti negli studiValeria Palumbo
C’è un avvocato in fondo al marGiuseppe Nicotri
Come erano ciclopiche le mie muraRita Pinci
Le Cassazione ha annullato il mandato di cattura e Marcinkusritrova « la fiducia nella giustizia »Paolo Graldi
Il sermone? Lo rifarei. Adriano giudicato innocente si risentesubito predicatoreDaniela Schiazzano
Penalista e gentiluomoNello Ajello
Come affrontai il « giallo Fenaroli »Giulia Massari
Concerti da non perdere. Un fedelissimo raccontaMya Tannenbaum
I Pm: « Queste norme provocano guai »Marida L. Pijola
In aula processi alla Perry Mason col nuovo codice di proce-dura penaleStanislao Parboni
Indice
Il principe del foro e l’artigianoAlberto Papuzzi
« Le registrazioni non accusano »Luigi Ricci
Scritti dell’avvocato Adolfo GattiISBN 978-88-548-8110-5DOI 10.4399/97888548811051pag. 9–39 (aprile 2015)
Prefazione
G C L
Introduzione
Non posso fare a meno, prima di esaminare gli scritti di Gatti, diricordarne il carattere che lo rese un personaggio, anche al di fuori del-l’ambiente forense, in modo che questa somma di articoli ed intervistepossano essere interpretati attraverso il filtro della sua personalità cheli inspira e ne traspare. La loro lettura consente di seguire la direzionedi un pensiero lucido, frutto di un ingegno che spaziava da questioniprocessuali a penali, al di fuori di ogni circuito accademico, ma fortedi una vasta esperienza giudiziaria e di acume che sapeva coglierele conseguenze pratiche di leggi e provvedimenti giudiziari, che haportato avanti, instancabilmente, battaglie di principio ed invocatoriforme, perseguendo con fermezza il suo fine: dare piena attuazioneai principi costituzionali di libertà.
L’ settembre del , La Repubblica annunciava: « È morto Adol-fo Gatti principe del Foro », con un articolo di Mastrogiacomo, chea brevi linee ne ricordava la splendente carriera e la nobiltà della fi-gura professionale. Lo avevo saputo la sera prima e certo non potevoimmaginare che quella freddissima mattina, in cui con commozioneavevo visitato la salma, sarebbe rimasta nella storia per la tragedia cheha trasformato un’epoca: l’attentato alle Tween Towers.
Adolfo Gatti, il mio maestro, lasciò disposizioni precise per la suamorte: non volle funerali, né commemorazioni (tanto abituali in Tri-bunale), né cerimonie pubbliche. La sua bara passò inosservata dallacasa di Via Margutta al Verano, alla sola presenza dei parenti più stret-ti. Impose anche la distruzione del suo archivio. È stata una grandeperdita; quei faldoni, geometricamente ordinati, contenevano un lu-stro di storia d’Italia attraverso i processi. Ne aveva trattati centinaia,li aveva vissuti e discussi, catalogati in ordine alfabetico in fascicoli
Giovanna Corrias Lucente
dove riponeva i suoi appunti e le arringhe – famose nei Fori italiani– scritte meticolosamente con un pennarello blu, corrette più volte esottolineate in diversi colori che segnavano l’enfasi da porre su unospecifico passaggio argomentativo. Tutto era stato scrupolosamentestudiato a tavolino, in ore di lavoro ed impegno; non trascurava nulla,persino all’apice della sua carriera, quando ormai era considerato unmito a livello nazionale.
Infatti, il posto d’onore che aveva acquisito nell’Avvocatura italianaed internazionale – per i suoi esclusivi e variegati pregi – non lo avevaabbagliato e, per quella che definirei modestia dall’ingegno, pur acutocome pochi, continuava a preparare i processi nel modo in cui avevaappreso a fare, giovane praticante allo Studio Niccolaj e, poi, avevaraffinato. Durante la viva trattazione e discussione del processo, spes-so abbandonava gli appunti e procedeva con il suo eloquio, nobileed elegante, a discutere, tanto conosceva il processo. Lo sforzo discrivere, che pochi compiono, gli serviva per raggiungere il massimodella preparazione e soddisfare i canoni della sua eloquenza. Disse ungiorno: « scrivo le arringhe perché non posso prevedere come mi sen-tirò la mattina della discussione, e se dovessi avere la febbre od esserecolpito da un lutto, questi fogli mi aiuterebbero a non perdere il filologico ed a ricordare date e fatti che, comunque, conosco a memoria ».Quest’attitudine era una forma di cautela e previdenza anche controle disfunzioni del processo. Studiatolo attentamente per la discussione,poteva subire un rinvio di sei mesi, imprevedibile. Il patrimonio distudio ed elaborazione, però, attraverso quei fogli a protocollo minu-ziosamente annotati, sarebbe rimasto intatto; se mai avrebbe subitoun ulteriore perfezionamento. Occorre ricordare che l’arringa fino al, quando è entrato in vigore il nuovo codice con pretese di stampoaccusatorio, segnava per l’avvocato la fase cruciale del processo. Era ilmomento in cui la difesa poteva finalmente esplicare i propri diritti apieno titolo. Di qui si era costruita, da secoli, una forma di oratoriaforense profondamente diversa da quella odierna. La discussione, allo-ra, non era soltanto l’occasione per spendere gli argomenti in difesadell’imputato o della vittima e per contrastare o sostenere le accuse,ma si era trasformata nello spalto in cui i difensori, con citazioni lette-rarie - da Dante a Manzoni, dai latini ai greci - potevano dar sfoggiodella loro cultura e, se abili, asservirla agli interessi del loro mandato,altrimenti abbandonarsi ad un attrezzato esercizio letterario per dare
Prefazione
prova di sé. Ne nascevano vere e proprie maratone: discussioni che siprolungavano per giorni, tra una citazione letteraria ed un richiamoal processo. Ne sortivano sentenze altrettanto ingombranti.
Adolfo Gatti fu il promotore della moderna oratoria forense. Segnòun punto di svolta indimenticabile: sfrondò i rami secchi dell’arringaper raggiungere la sintesi e trattare, con uno stile impeccabile, gliargumenta utili soltanto alla decisione, rinunciando allo sfarzo let-terario. Scelta complessa, perché sopraffaceva una tradizione oramisedimentata e si contrapponeva al passato, in una visione del futurodella professione che é delineata con lucida preveggenza negli scrittiqui pubblicati.
E così, abbastanza velocemente, con vittorie fulminee di processidi rilievo (ricordo: Fenaroli, Don Milani, le cause per L’Espresso)concentrò su di sé l’attenzione di tutti i potentati economici e politici,fino a diventare uno dei più apprezzati avvocati d’Italia noto in tutto ilmondo. Condivideva il primato con altri due eccellenti difensori, mada loro lo distaccava da un lato l’essere insieme a Vittorio Chiusano,Avvocato e non accademico, e dall’altra il dominio che aveva sul dirittoe sulla procedura penale, asserviti però non a mero sfoggio ma allacapacità di semplificare anche il tema più raffinato per raccordarlo alfatto e, soprattutto, un’impareggiabile diplomazia. Di questa facevauso, sia nei colloqui con i Pubblici Ministeri che nelle trattative congli avversari, ma anche con i clienti dei quali conquistava la fiduciaincondizionata, primo ed essenziale passaggio per essere un ottimodifensore.
La sua precisione piemontese non trascurava nulla, oltre all’or-ganizzazione dello studio incentrato sul suo indiscusso predominio,oltre alla spendita delle proprie forze, in luogo di quelle dei collabo-ratori era sempre presente ai processi in prima persona e raramentedelegava (come d’uso ora negli Studi impresa) la presenza personalein aula, ma anche l’informazione ed il contatto diretto con il cliente alquale spesso suscitava timore reverenziale.
Era all’apparenza severo ed algido, ma ben conosceva l’animo uma-no, e si faceva carico delle ansie che inevitabilmente colgono chiunquesia sottoposto ad un processo; dunque riunioni essenziali, che perònon trascuravano l’aspetto psicologico, e notizie continue ai clientidegli eventuali sviluppi del processo perché nulla trascurava. In questocompito impegnativo; occupava le prime ore del suo pomeriggio a
Giovanna Corrias Lucente
studio: aveva accanto la fedele segretaria Cinzia con un elenco di per-sone da chiamare, lei componeva il numero pronta: se l’interlocutoreera un cliente, Gatti prendeva la cornetta alla prima riposta, se eraun collega gli veniva passato dopo che la segretaria avesse risposto,perché il suo interlocutore non subisse lo sgarbo di non essere cercatodirettamente da lui. Attenzioni faticose che però costituivano un segnodel suo inimitabile stile.
Si è detto delle arringhe, degli appunti, per sua espressa volontànon ne è rimasta traccia alcuna. Tutto è andato distrutto. Sono so-pravvissuti al tempo però i numerosi scritti e le interviste che nelcorso degli anni ha pubblicato sui più vari temi in riviste e quotidiani,sempre più ricercato per la sua prosa che raggiungeva la semplifica-zione e diventava accessibile a qualsiasi lettore comune. Queste operesono segno d’un intelletto prismatico e versatile e questo è il materialesopravvissuto al tempo, che merita di essere pubblicato, per apprez-zarne l’attualità. Perché la memoria è labile ed ormai anche il ricordodei grandi si macina in pochi anni. Poiché ogni uomo eccezionale (elui lo era) assume la dignità del classico, alcuni scritti oggi appaionopresaghi; manifestano, dunque, il valore di attualità del classico, benchiaro ai critici. Emerge anche dal corpus di articoli ed intervistela passione civile che animava il suo lavoro, sempre finalizzato adottenere il rispetto dei diritti fondamentali coinvolti nel processo: frai tanti, la libertà personale, il diritto di difesa e di espressione, checostituiscono leit motiv della sua opera.
Gatti va ricordato per queste sue doti, ma anche per un vezzo oduna necessità che ebbe, unico fra tanti; gli avvocati nella maggioranzaesercitano fino alla loro fine, la professione, forse, come dice GiovannaCau è un privilegio fare un lavoro in cui non si va in pensione. Luioperò controcorrente decise di ritirarsi a soli anni, chiudendo lostudio alla fine del , dieci anni prima di morire. L’ho definito unvezzo o una necessità, perché i reali motivi sono circondati dal riserbo: sitrattò certamente di una scelta ponderata e sofferta annunciata soltantosei mesi prima, all’interno dello Studio. La sua scomparsa, a passofelpato, fece scalpore nei Tribunali e da qui sorsero ipotesi, illazioni,leggende metropolitane, fra cui quella che, dopo aver tanto combattutto
. J.F. L, Istruzioni pagane, a cura di F, Premessa, Mimesis Eteropie, p..
Prefazione
per raggiungere la civiltà del processo accusatorio, in solo un annoe mezzo aveva compreso che il Codice del non la garantiva, senon formalemente. Non indago oltre, perché non ho ricevuto alcunaconfidenza, né ho fatto domande, rispettando la sua impenetrabileriservatezza. So soltanto che ho continuato a frequentarlo con continuitànei successivi dieci anni per l’affetto che mi legava a lui e per il privilegioche ritengo di aver ricevuto per essere stata sua allieva.
Era attento sia alla politica che all’economia. Appassionato di storia,soprattutto napoleonica, attento alla letteratura ed all’arte (e cometutti gli ingegni aperti non trascurava quella contemporanea) dopoessersi occupato delle difese di Schifano e De Chirico per le contraffa-zioni delle loro opere. Possedeva un ritratto di sua moglie, che chia-mava con il dolce appellativo di Nanà, eseguito dal grande Maestroesposto alla sinistra della scrivania, nella sua stanza di studio.
Melomane appassionato, almeno ogni domenica si recava all’Ac-cademia di Santa Cecilia od altrove, ad ascoltare i concerti e la seraamava sentire la musica o guardare qualche trasmissione, scelta congrande attenzione, dalla poltrona accarezzando il gatto in grembo.Un’immagine domestica, non distante da quella pubblica, circondatodalla nobiltà dei gesti e della postura.
Da queste sue passioni nacquero frequentazioni ed amicizie conscrittori, artisti, musicisti.
L’interesse per la politica è stato un perno della sua vita; a partiredal gruppo che intorno agli anni cinquanta–sessanta si era costituitointorno al Mondo di Panunzio (lo ricorda Scalfari nel volume Lasera andavamo in Via Veneto). Sennonché mai accettò di candidarsi adalcuna elezione o di ricoprire una delle tante cariche politiche che glivenivano offerte. Sono un Avvocato amava dire con orgoglio e perquesto rifuggiva ogni carica istituzionale e rispondeva: sono Avvocatoe tale è rimasto. L’uomo che è stato traspare correttezza dalla raccoltadi articoli e interviste che in questo volume copre un lustro.
Gli scritti
. Gli articoli e le interviste prodotte con continuità da Gatti costitui-scono un corpo organico in cui la sua autorevole personalità rimaneimpressa, unitamente ai suoi ideali.
Giovanna Corrias Lucente
Si rinvengono tre direttrici nel suo pensiero, che costituiscono unalveo lineare dove s’incanalano i suoi scritti: la prima è rappresentatadalle necessità di riforma che s’impongono nei codici emanati dalregime, una volta caduta la dittatura fascista. È sua cura rintracciareretaggi antidemocratici ed illiberali, sia nella procedura penale che neldiritto penale, e pretendere la riforma in senso costituzionale, primacon le battaglie in aula e poi con i saggi critici; la seconda è la necessitàdi riforma in senso accusatorio del processo penale, in cui ravvisa unaincredibile spinta innovatrice; la terza è l’attenzione riposta verso idiritti di libertà e di difesa, ovunque e comunque li ritenga violati,nell’interesse del cittadino che pone al centro di ogni suo riguardocon umanità.
Gatti dimostra in questo modo di essere un vero paladino sia dellaCostituzione, che dei cittadini inermi di fronte all’incomprensibilemacchina giudiziaria.
Ad introdurre la diretta lettura, ritengo utile segnalare l’articolo“Perché gli italiani diffidano della giustizia?”; un capolavoro di capaci-tà divulgative, risalente al . Salvo le riforme processuali, potrebbeessere riproposto intatto oggi, perché i mali segnalati non stati guaritidai molteplici cambiamenti intervenuti in circa cinquant’anni: segnoche le odierne storture, forse portate al parossismo, non sono un’e-pidemia passeggera, ma sono endemiche al sistema. Con stile secco,ma elegante ed un artifizio abile, Gatti impersona un cittadino cheper la prima volta « varca la soglia del Palazzo di Giustizia » ed —attraverso questa figura immaginaria, ma realistica — descrive da que-gli occhi ignari le disfunzioni del processo e gli effetti devastantiche riversano sull’imputato. La costruzione logica e strutturale delpezzo è modello del suo ingegno e del profilo umanistico. In tre soleserrate pagine raggiunge una sintesi notevole e contenuti degni di unTrattato: traccia il perimetro delle deficienze del sistema processualeallora vigente e con forza reclama l’intervento del difensore fin dalleprime fasi del processo, all’epoca negato; segnala che gli interventiper potenziare la difesa nelle prime fasi del processo si sono rivelati in-sufficienti, ancorché quando vennero concessi fossero parsi “eversivi”,evidenzia come le fasi del processo e soprattutto l’istruttoria (chiamatapreliminare) consentissero al Pubblico Ministero di allestire l’appara-
. Perché gli italiani diffidano della giustizia, La fiera letteraria, novembre , p. .
Prefazione
to accusatorio, senza informare l’imputato e non risparmia lodi allaCorte costituzionale che in quegli anni diede un impulso per liberarela procedura dai residui fossili del ventennio fascista. Tuttavia, Gattiguardava sempre avanti e nella chiusa dell’articolo, non dimentica chela strada da percorrere per raggiungere la civiltà è ancora, lunga:
Avvengono certi fatti, esplodono certi processi e l’opinione pubblica neè colpita, ne subisce una violenta emozione. Vengono fuori le carenzedi un sistema processuale antiquato, autoritativo, che praticamente negaun’efficace difesa a colui che, per una qualsiasi ragione, si trovi di frontealla legge penale. Si verifica quindi una presa di coscienza su problemi chefino a ieri l’opinione pubblica trascurava, considerandoli momenti tecnicidi un settore remoto e che appaiono, ora, come una realtà immediata epotenzialmente aggressiva per tutti.
Il suo ingegno, per il vero, non poteva limitarsi ad una sterile criti-ca distruttiva, ma era portato a segnalare gli strumenti di riforma edelineare i binari di quelli che diverranno i temi per cui si spenderàenergicamente, nell’arco di tutta la sua carriera: l’intervento della dife-sa sostanziale nel processo, come unico reale baluardo per l’imputatoe la corretta amministrazione della giustizia; la parità tra difensore epubblico ministero, che – a suo parere – passa per l’ancora scottantetema della separazione delle carriere. Va precisato che invoca questariforma, ma scrive a chiare lettere che l’Ufficio della Procura deverimanere del tutto indipendente dalle interferenze del Governo e delpotere politico.
Ne emerge la lucida percezione non solo delle norme, ma delleloro conseguenze nella realtà sociale, la comprensione degli effetti, sulsingolo e sul popolo, dei processi e la chiarezza delle vie per innovareil sistema. Poco dopo, con sintesi, commenta a caldo la “memorabi-le” sentenza della Corte costituzionale che impose l’intervento delladifesa anche per gli atti compiuti da Polizia giudiziaria e PubblicoMinistero, fino ad allora al riparo della fase formalistica dell’istrutto-ria preliminare che, a suo parere, veniva artatamente utilizzata per la(interdetta) raccolta di prove, ignara la difesa. L’articolo costituisceun esempio della temibile ironia di Gatti: in esordio, stigmatizzata laRelazione del disegno di legge-delega di riforma del Codice di rito:
. I diritti dell’imputato, « L’Espresso », luglio .
Giovanna Corrias Lucente
Con una certa sufficienza il relatore democristiano Valiante aveva respintoun emendamento comunista che esigeva « l’obbligatorietà in ogni casodella presenza della difesa ». « È ovvio » aveva detto l’on. Valiante « che ladifesa non potrà intervenire negli atti di polizia giudiziaria » Alla Corte(costituzionale, N.d.R.) è invece sembrato ovvio il contrario.
Il suo sagace spirito si esprimeva implacabile contro ogni superfi-cialità anche in aula.
Ritorna sul tema dei diritti di difesa e dell’adeguamento dei codicialla Costituzione, in un breve articolo in cui ricorda le conquistedifficilmente ottenute e le questioni perduranti. Il superamento ditentativi di escludere l’efficacia precettiva della Costituzione; la leggedel che ammetteva il difensore a qualche atto d’istruttoria; la leg-ge del dicembre che aveva conseguito tre risultati: l’estensionedelle garanzia di difesa alla fase delle indagini di polizia giudiziaria eall’interrogatorio della persona fermata od arrestata; l’avviso di pro-cedimento per cui l’inquisito veniva finalmente a conoscenza delprocesso a suo carico; la limitazione della durata del fermo di poliziagiudiziaria; la legge del luglio che aveva imposto limiti alla custo-dia preventiva anche nella fase del giudizio; la legge del novembre che aveva abrogato l’effetto sospensivo dell’impugnazione del P.M. avverso la concessione della libertà provvisoria; la legge del che aveva permesso la concessione della libertà provvisoria anchenel caso di mandati di cattura obbligatori. Fenomenologicamente,registra anche
un’apprezzabile modificazione della mentalità dei Giudici, di cui è prova lagiurisprudenza sempre più risoluta della Corte di Cassazione circa l’obbligodi motivare gli ordini e i mandati di cattura.
Plaude ai risultati, ottenuti attraverso l’applicazione della Cartacostituzionale; non ritiene, però, esaurito il percorso riformatore;restano da un canto problematiche aperte, che individua con fermezza:l’ergastolo, la revisione del sistema delle pene, l’abolizione dei reati diopinione l’integrale partecipazione della difesa nelle istruttorie penali,la creazione di un organo collegiale per la libertà personale. Dall’altro,con disincanto e lucidità sostiene:
. La Costituizone e i codici, « Il Pannunzio », anno VI, autunno .
Prefazione
Va riaffermato, non senza inquietudine che le conquiste del diritto nonsono mai definitive e che se ne impone una quotidiana difesa: basta unatemporanea flessione politica [. . . ] per porle ogni volta in pericolo, comebasta un episodio delittuoso, perché subito si levi qualcuno a domandarnedemagogicamente la cancellazione.
La presa d’atto, dunque, di un’inarrestabile dinamica conflittualeper ottenere la pienezza della democrazia nel processo.
Si dedica, con chiarezza esemplare, ad un tema di estrema attualità:le problematiche inerenti la custodia preventiva. Con sensibilità vivarivolta al sociale, rileva lo sconcerto della pubblica opinione quandoun arrestato venga posto in libertà per insufficienza d’indizi. Spiegaai meravigliati lettori la natura del provvedimento e ricorda che ilsistema, ancorché sorretto dall’art. della Costituzione, non contieneancora strumenti sufficienti a garantire la libertà personale. Per que-sto, sostiene una proposta di riforma (suggerita dall’allora Presidentedella Repubblica, Giovanni Leone) di istituire un organo collegiale, ilTribunale della libertà, per evitare che il singolo magistrato dispongain questa materia senza sottostare a controlli.
Tuttavia, sin d’allora propone un intervento più radicale, di quelloattuato con la legge del : l’organo collegiale dovrebbe intervenireper infliggere la misura, non soltanto per controllarne la validità. Tra-scorsi circa quarant’anni dalla innovativa proposta, occorre rilevareche tale riforma non è ancora adottata, né più divisata. Ritorna sultema al quale ha dedicato intense energie, un anno dopo, definisce lasituazione “inquietante” e cita Cordero per ricordare che il sistema
è caratterizzato da una cieca sovrabbondanza di misure di coercizione,mentre non prevede affatto, malgrado i perentori precetti contenuti nell’art. della Costituzione, gli istituti sufficienti a garantire la libertà personale,contro possibili errori od abusi.
Ribadisce che la soluzione risiede nell’istituzione dei tribunali dellalibertà, ma non come « tardivo rimedio, ma quale organo istituito perl’emanazione dei provvedimenti ».
. Carcere a volontà, « L’Espresso », dicembre .. I Tribunali della Libertà, « Gli oratori del giorno », febbraio , p. .