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Nota a : Cassazione civile , 21 Luglio 2004, n. 13603 sez. Unite Comodato di casa familiare e provvedimento di assegnazione in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio. Familia 2004, 4-5, 874 Luigi A. Scarano SOMMARIO: 1. Il caso. 2. Il precedente del 1966 e la rimessione alle sezioni unite. 3. Il revirement delle sezioni unite. 4. Precario e comodato a termine. Vincolo di destinazione a casa familiare. 5. Provvedimento di assegnazione e concentrazione del diritto di abitare la casa familiare. 6. Funzionalizzazione della proprietà sull'immobile destinato a casa familiare e terzi. 7. Nozione e funzione della casa familiare. 8. Osservazioni conclusive. 1. Il caso. Le sezioni unite della Corte Suprema di cassazione sono intervenute sulla questione, ad esse rimessa in ragione della particolare importanza (1) , in tema di casa familiare in comodato senza determinazione di tempo (c.d. precario) (2) . La fattispecie concreta portata all'attenzione del giudice di legittimità concerneva in particolare la domanda di restituzione di immobile concesso dal genitore al figlio e alla nuora (3) e da costoro adibito a residenza della famiglia, successivamente oggetto − in sede di procedimento di separazione personale ex art. 155, 4° comma, c.c. − di assegnazione giudiziale al coniuge affidatario dei figli minori. Pur costituendo ipotesi ricorrente nella prassi, la disciplina del comodato di casa familiare e della connessa vicenda di relativa assegnazione in sede di procedimento di separazione o di divorzio risulta invero connotata da difficoltà e dubbi interpretativi, attese le scarne norme dettate dal codice in tema di comodato (artt. 1803 ss.), quelle di plurima e disomogenea fonte concernenti la casa familiare (4) , nonché il "quadro normativo" in tema di assegnazione della casa familiare nei suindicati procedimenti di separazione personale dei coniugi e di divorzio (art. 6, 6° comma, L.div.) dalle stesse sezioni unite definito "certamente privo di completezza ed organicità". Come anche nella sentenza in commento non si è mancato di avvertire, la questione risulta aggravata dalla rilevanza della pluralità e diversità (se non − a volte − vera e propria "contrapposizione") degli interessi evocati dalla fattispecie in argomento, richiedenti ormai urgente e "corretto componimento". A fronte dell'esigenza di conservazione e persistente godimento dell'ambiente familiare e domestico (che fondamentale rilievo riveste per la piena e compiuta realizzazione della personalità dei componenti della famiglia, e dei figli in particolare) anche in presenza di vicende patologiche del rapporto coniugale comportanti la frantumazione o lo

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Nota a : Cassazione civile , 21 Luglio 2004, n. 13603 sez. Unite

Comodato di casa familiare e provvedimento di assegnazione in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio.

Familia 2004, 4-5, 874

Luigi A. Scarano

SOMMARIO: 1. Il caso. − 2. Il precedente del 1966 e la rimessione alle sezioni unite. − 3. Il revirement delle sezioni unite. − 4. Precario e comodato a termine. Vincolo di destinazione a casa familiare. − 5. Provvedimento di assegnazione e concentrazione del diritto di abitare la casa familiare. − 6. Funzionalizzazione della proprietà sull'immobile destinato a casa familiare e terzi. − 7. Nozione e funzione della casa familiare. − 8. Osservazioni conclusive.

1. Il caso.

Le sezioni unite della Corte Suprema di cassazione sono intervenute sulla questione, ad esse rimessa in ragione della particolare importanza (1), in tema di casa familiare in comodato senza determinazione di tempo (c.d. precario) (2).La fattispecie concreta portata all'attenzione del giudice di legittimità concerneva in particolare la domanda di restituzione di immobile concesso dal genitore al figlio e alla nuora (3) e da costoro adibito a residenza della famiglia, successivamente oggetto − in sede di procedimento di separazione personale ex art. 155, 4° comma, c.c. − di assegnazione giudiziale al coniuge affidatario dei figli minori.Pur costituendo ipotesi ricorrente nella prassi, la disciplina del comodato di casa familiare e della connessa vicenda di relativa assegnazione in sede di procedimento di separazione o di divorzio risulta invero connotata da difficoltà e dubbi interpretativi, attese le scarne norme dettate dal codice in tema di comodato (artt. 1803 ss.), quelle di plurima e disomogenea fonte concernenti la casa familiare (4), nonché il "quadro normativo" in tema di assegnazione della casa familiare nei suindicati procedimenti di separazione personale dei coniugi e di divorzio (art. 6, 6° comma, L.div.) dalle stesse sezioni unite definito "certamente privo di completezza ed organicità".Come anche nella sentenza in commento non si è mancato di avvertire, la questione risulta aggravata dalla rilevanza della pluralità e diversità (se non − a volte − vera e propria "contrapposizione") degli interessi evocati dalla fattispecie in argomento, richiedenti ormai urgente e "corretto componimento".A fronte dell'esigenza di conservazione e persistente godimento dell'ambiente familiare e domestico (che fondamentale rilievo riveste per la piena e compiuta realizzazione della personalità dei componenti della famiglia, e dei figli in particolare) anche in presenza di vicende patologiche del rapporto coniugale comportanti la frantumazione o lo scioglimento dell'unità della famiglia, si pone infatti l'interesse del concedente il precario a non rimanere in tali vicende (rispetto alle quali è terzo) coinvolto, in particolare sotto il profilo dell'impossibilità di ottenere la restituzione dell'immobile che venga a protrarsi anche per un lungo ed indeterminato periodo di tempo, sì da risultarne sostanzialmente "espropriato".

2. Il precedente del 1996 e la rimessione alle sezioni unite.

La domanda di restituzione ex art. 1810 c.c. avanzata dal comodante (5) è stata nel caso rigettata dai giudici di merito di entrambi i gradi del giudizio, in applicazione del principio posto proprio dalla Corte di legittimità secondo cui, in caso di assegnazione

della casa familiare in sede di procedimento di separazione o di divorzio, il titolo del godimento dell'assegnatario non è più costituito dall'originario contratto di comodato bensì dal provvedimento di assegnazione (6).Provvedimento nel quale il diritto dell'assegnatario risulta, secondo tale orientamento, trovare autonoma e (in caso di precedente titolarità del medesimo sul bene) nuova fonte, sia sotto il profilo del tipo di diritto attribuito (7), sia sotto il profilo della funzione e delle modalità di relativa disciplina, ivi ricompreso l'aspetto della durata.La scadenza del rapporto e del godimento non è più quella contrattualmente prevista bensì, si afferma, quella rideterminata o determinata (in ipotesi di comodato senza determinazione di termine) (8) avendosi riferimento al momento in cui la destinazione funzionale dell'immobile a casa familiare viene meno (9).Oltre che dall'art. 2908 c.c. (secondo cui "Nei casi previsti dalla legge, l'autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa" (10)), tale tesi argomenta essenzialmente dalla ravvisata opponibilità del provvedimento ai terzi, ai sensi dell'art. 1599 c.c., entro il novennio se avente data certa e non trascritto ed oltre il novennio se trascritto (11).La I sezione della Corte di cassazione ritenendo, nel recepire anche le critiche mosse dalla dottrina al riguardo (12), di non poter più seguire tale interpretazione, in luogo di emettere una pronunzia di segno diverso ha optato per la rimessione della questione al Primo Presidente per la relativa assegnazione all'esame delle sezioni unite, al fine di un intervento volto a prevenire, anziché comporre a posteriori, un altrimenti inevitabile contrasto interpretativo (addirittura interno alla stessa sezione), il cui ingenerarsi avrebbe certamente avuto pesanti ripercussioni sul piano della certezza dei rapporti giuridici.Nella citata inedita ordinanza di rimessione n. 17688 del 2002 la sezione rimettente ha osservato che, in assenza di una norma di tenore analogo a quello di cui all'art. 1599 c.c. in tema di locazione, e vertendosi in ipotesi di comodato, sono piuttosto gli artt. 1809 e 1810 c.c. a dover trovare applicazione, secondo una disciplina rispettosa in particolare dei seguenti princìpi: a) individuazione dell'insorgenza dell'obbligo di restituzione in capo al comodatario allorché questi se ne è servito in conformità al contratto (art. 1809 c.c.), tale momento determinando "il termine del contratto"; b) vigenza, nei contratti senza termine di scadenza, della regola generale della recedibilità ad nutum (art. 1810 c.c.); c) necessità di tenere presente, nel bilanciamento degli interessi, la circostanza dell'assenza di corrispettività propria del contratto di comodato; d) irragionevolezza di una soluzione che rende assolutamente imprevedibile il momento del conseguimento della autosufficienza economica di (tutti i) minori; e) irragionevolezza di una tutela meno intensa del comodante (concedente in epoca anteriore al provvedimento di assegnazione) rispetto a quella accordata a chi abbia acquistato in epoca successiva all'emissione del provvedimento di assegnazione, ancorché non trascritto.

3. Il revirement delle sezioni unite.

Disattendendo il diretto e specifico precedente costituito da Cass. n. 10977 del 1996, nella sentenza in commento le sezioni unite enunciano la massima secondo cui, nell'ipotesi di "concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare" del comodatario, "il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l'uso previsto nel contratto, salva l'ipotesi di

sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell'art. 1809, 2° comma, c.c.".Nel precisare che l'ipotesi evoca la problematica del coordinamento tra i due titoli di godimento, e della interferenza della pronunzia del giudice della separazione (o del divorzio) rispetto al regime proprio del preesistente rapporto contrattuale; ed altresì che la concessione in comodato dell'immobile da parte del terzo proprietario si colloca in un momento anteriore al provvedimento di assegnazione della casa familiare, le sezioni unite premettono anzitutto che solo "in modo assai limitato" rilevano, nel caso in esame, i princìpi richiamati ed affermati dalla recente Cass., sez. un., n. 11096 del 2002, costituendo "orientamento consolidato" quello che limita l'opponibilità dell'assegnazione nei confronti del terzo proprietario dell'immobile alle "sole ipotesi in cui detta titolarità sia stata acquistata successivamente alla vicenda attributiva dell'alloggio al coniuge separato o divorziato". Non anche a quelle in cui l'acquisto della proprietà o di altro diritto reale sia viceversa anteriore, "non potendo il provvedimento giudiziale incidere negativamente ed in modo diretto su una situazione preesistente facente capo ad un soggetto estraneo al giudizio nel quale è stata disposta l'assegnazione". I limiti soggettivi ed oggettivi del provvedimento di assegnazione non consentendo una "compressione dei diritti vantati dal dominus, che non è stato parte del giudizio nel quale il provvedimento stesso è stato emesso".Nella loro stringata formulazione, tali affermazioni suscitano qualche perplessità, non cogliendosene invero appieno l'effettiva portata.Le sezioni unite riprendono al riguardo un principio posto da Cass. 27 maggio 1994, n. 5236 (13), la quale, nell'affermare testualmente che "qualora la proprietà sia (...) anteriore, il relativo diritto non può essere pregiudicato dalla assegnazione", fa a sua volta richiamo ad un passo della massima evinta da Cass. 2 febbraio 1993, n. 1258.Nella motivazione di quest'ultima inedita sentenza, nel più articolatamente procedersi alla disamina dell'evoluzione interpretativa in tema di opponibilità del provvedimento di assegnazione all'esito della modifica della disciplina del divorzio introdotta con L. 6 marzo 1987, n. 74, e della successiva pronunzia Corte cost. 27 luglio 1989, n. 454, risulta operata invero una distinzione relativamente all'ipotesi in cui "si tratta non già di terzi che hanno acquistato il bene successivamente al provvedimento di assegnazione, ma di terzi che erano titolari della proprietà o di altro diritto reale sull'immobile anteriormente alla vicenda attributiva dell'alloggio al coniuge separato o divorziato"; e si afferma che trova in tal caso applicazione la disposizione di cui all'art. 6, 2° comma, L.locaz., espressione di "un favor verso la conservazione del rapporto di locazione indipendentemente dal mutamento soggettivo (...) proprio perché quel rapporto è mezzo al fine dell'esercizio del diritto di abitare la casa familiare, preferenzialmente attribuito al coniuge cui sono affidati i figli".Anche movendo da una tale distinzione, non sembra che, come appare viceversa evincersi (o non rimane per converso sicuramente escluso) dal sintetico passo della motivazione sul punto, possa in ogni caso giungersi ad affermare che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare è da considerarsi opponibile solamente a colui che acquista la proprietà dell'immobile in epoca successiva alla sua emissione, e non anche viceversa a chi ne fosse titolare già anteriormente.Una tale conclusione risulterebbe invero non condivisibile, il significato dell'opponibilità nel caso in esame compendiandosi proprio nell'indicazione al proprietario o alla (contro)parte (sia esso locatore o comodante) del contratto da cui discende il diritto di godimento sull'immobile adibito a casa familiare di chi sia il soggetto nuovo (o esclusivo) titolare, anche formale, del rapporto (14). A tale stregua conseguendone, ad es., che uno sfratto o una disdetta per finita locazione ovvero una richiesta di restituzione dell'immobile indirizzati, anziché all'assegnatario, al coniuge (o ex coniuge) originario contraente (rispettivamente, conduttore o comodatario), rimarrebbero invero privi di effetto.Pur argomentando in termini a volte apodittici, e movendo da presupposti non sempre oggetto di concorde interpretazione, nella sentenza in commento viene a delinearsi

una disciplina connotata da aspetti di indubbia novità. Secondo una ricostruzione peraltro non sempre connotata da rigorosa coerenza sistematica, che finisce per suscitare invero dubbi e perplessità forse ancora più numerosi e gravi di quelli che le Sezioni unite erano state chiamate a risolvere.Nella sentenza in commento si afferma anzitutto che la citata decisone del 1996 appare segnata "dalla peculiarità di alcuni elementi fattuali", risultando "in contrasto con numerose decisioni, precedenti e successive" della Suprema Corte, tanto da doversi considerare "del tutto isolata".Si esclude, in termini senz'altro pienamente condivisibili e secondo quanto del resto già minoritariamente ma autorevolmente osservato in dottrina (15) nonché anche in giurisprudenza affermato (16), che il provvedimento giudiziale di assegnazione, pur costituendo "nuovo ed autonomo titolo" di godimento per l'assegnatario, sia idonea a modificare "la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile" (17).Il diritto del coniuge assegnatario, si osserva, resta nel suo contenuto modellato dalla disciplina del titolo negoziale preesistente, con la conseguenza che è alla normativa regolatrice dell'originaria convenzione che occorre fare riferimento al fine di delineare il complesso dei diritti e dei doveri di detto coniuge nei confronti del proprietario contraente.A tale stregua, non chiara (se non addirittura contraddittoria) appare allora la precisazione al riguardo ulteriormente, seppure in via incidentale, formulata secondo cui il provvedimento giudiziale "come è noto, non attribuisce un diritto reale di abitazione, ma un diritto personale di godimento, variamente segnato da tratti di atipicità".Sostenere che l'assegnatario consegue sempre e comunque un diritto personale di godimento (18), anche quando il provvedimento giudiziale viene ad essere correlato ad una originaria posizione giuridica (in capo ad uno od entrambi i coniugi) di natura reale (proprietà o comproprietà o altro diritto reale limitato di godimento, come ad es. il diritto di abitazione ex art. 1022 c.c.) (19), e non anche in tal caso un diritto di godimento viceversa di corrispondente natura reale (20), significa infatti in realtà ammettere che il provvedimento giudiziale su tale (originaria) posizione incide, mutandone la natura. Ad esso finendo così per sostanzialmente riconoscersi proprio quel potere che in via di principio viceversa si nega possa avere.Facendo compiuta applicazione della massima secondo cui la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull'immobile trovano persistente fonte nell'originario contratto deve coerentemente negarsi che, per converso, quando la posizione giuridica sussistente in capo ai coniugi discende da un contratto di locazione o di comodato, il provvedimento giudiziale possa attribuire all'assegnatario un diritto di natura reale.4. Precario e comodato a termine. Vincolo di destinazione a casa familiare. Premesso che la posizione del coniuge assegnatario resta ("nei confronti del terzo concedente") conformata "dalla natura del diritto preesistente", si afferma altresì che l'applicabilità della disciplina relativa al titolo contrattuale preesistente non esclude, ma anzi necessariamente comporta, che la concessione in comodato del bene nella specifica prospettiva della sua utilizzazione quale casa familiare assume decisiva rilevanza, specificamente in ordine al termine finale, per la determinazione del quale è alla destinazione della cosa che deve aversi riguardo.Se ne evince, a tale stregua, un quadro in base al quale, trattandosi di comodato senza determinazione di durata (c.d. precario), risulta escluso che, così come nei confronti del comodatario, all'esito dell'emissione del provvedimento di assegnazione dell'immobile possa dal comodante esercitarsi il recesso ad nutum nei riguardi dall'assegnatario. La durata del diritto di godimento dell'immobile risultando determinata dalla persistenza o meno della destinazione funzionale dell'immobile a casa familiare, in ragione delle esigenze da questa tutelate.A tale conclusione le sezioni unite pervengono argomentando non già, come viceversa Cass. n. 10977 del 1996, dal mutamento del titolo di godimento dell'immobile, bensì in termini asseritamente consentanei alla preesistente e persistente natura del diritto

attribuito con il comodato, e in relazione al contenuto proprio di questo.Contenuto che si ravvisa peraltro determinato dall'art. 1809, 2° comma, c.c., con termine di durata cioè implicitamente determinato in ragione dell'uso cui il bene concesso è destinato, e non anche, come finora viceversa ritenuto, dall'art. 1810 c.c., che prevede per il comodatario l'obbligo di restituire la cosa al comodante non appena questi la richieda.

In altre parole, trattandosi di bene immobile, le sezioni unite giungono a sostanzialmente negare che, in presenza di funzionale destinazione a casa familiare (e solamente in tale caso), la figura stessa del precario sia in effetti configurabile.In presenza di comodato di casa familiare, si afferma, un termine non può infatti non sussistere. Qualora non convenzionalmente fissato dalle parti, esso rimane implicitamente determinato alla stregua di tale uso, cui il bene è destinato.Orbene, la soluzione prefigurata dalle sezioni unite presuppone anzitutto una distinzione tra beni immobili, a seconda che gli stessi vengano o meno funzionalmente destinati a casa familiare.Mentre per i beni immobili privi di tale destinazione continua ad essere senz'altro possibile la costituzione di un comodato (anche) senza determinazione di durata (21), per gli immobili adibiti a casa familiare il comodato non può invece che essere a termine (22).

In giurisprudenza di legittimità si esclude, in realtà, che la durata del comodato possa desumersi dalla "destinazione abitativa", cui per sua natura un immobile è adibito (23).

Pur dandone atto, le sezioni unite ritengono tuttavia di poter ora disattendere tale orientamento "consolidato", osservando che la destinazione dell'immobile a fungere da casa familiare è non già "genericamente connessa alla natura immobiliare" bensì profilantesi in termini di "marcata specificità", essendo finalizzata ad assicurare "che il nucleo familiare già formato o in via di formazione abbia un proprio habitat, come stabile punto di riferimento e centro di comuni interessi materiali e spirituali dei suoi componenti".Nell'affermare che la destinazione a casa familiare crea un vero e proprio vincolo di destinazione dell'immobile, esse precisano che al riguardo è in effetti necessario un rigoroso "accertamento in fatto", postulante una specifica verifica della "comune intenzione delle parti", come pure della "natura dei rapporti tra le medesime", degli "interessi perseguiti" e di ogni altro elemento idoneo a consentire di evincere la "effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare".Nell'ammettere che la detta destinazione non può essere desunta dalla "mera natura immobiliare del bene concesso", le sezioni unite non indicano peraltro quando l'indicato vincolo di destinazione viene a concretamente insorgere (24), né quale sia il momento di relativa cessazione.Con riferimento in particolare a quest'ultimo aspetto, poiché le esigenze abitative, e a fortiori quelle di una famiglia, hanno naturale tendenza a durare indefinitamente nel tempo, il vincolo di destinazione dell'immobile "alle esigenze abitative familiari" viene ritenuto idoneo a conferire all'uso in qualità di casa familiare il carattere di termine implicito di durata del rapporto.

Si esclude al riguardo, correttamente, che il vincolo a casa familiare rimanga "automaticamente caducato per il sopravvenire della crisi coniugale".In presenza di figli, il termine finale dell'attribuzione viene correlato al "raggiungimento dell'indipendenza economica dell'ultimo dei figli conviventi con l'assegnatario" (25).Rimane altresì da considerarsi il fenomeno della successione nel diritto, in

applicazione analogica dell'art. 6, 2° comma, L.locaz. (26).A fronte della del pari avvertita esigenza di non legittimare soluzioni che vengano a risolversi in termini di "sostanziale espropriazione delle facoltà e dei diritti" del proprietario (concedente) dell'immobile, "con evidenti riflessi sulla sfera costituzionale della tutela del risparmio e della sua funzione previdenziale", l'individuazione del momento di cessazione del vincolo di destinazione in argomento si profila invero di assoluto rilievo (27).Le sezioni unite avvertono che "un'opzione interpretativa" la quale "privasse in modo assoluto il comodante proprietario, che ha già rinunciato ad ogni rendita sul bene in favore della comunità familiare, della possibilità di disporne fino al momento, peraltro imprevedibile all'atto della conclusione dell'accordo, del raggiungimento dell'indipendenza economica dell'ultimo dei figli conviventi con l'assegnatario, si risolverebbe in una sostanziale espropriazione della facoltà e dei diritti comuni alla sua titolarità sull'immobile, con evidenti riflessi sulla sfera costituzionale della tutela del risparmio e della sua funzione previdenziale". E quasi in via di compromesso giungono a riconoscere al concedente la facoltà di esigere la restituzione immediata del bene quantomeno nell'ipotesi di sopravvenienza di un suo urgente ed impreveduto bisogno (28), ai sensi dell'art. 1809 c.c.

5. Provvedimento di assegnazione e concentrazione del diritto di abitare la casa familiare.

La sentenza in commento suscita perplessità (anche) là dove, attesa la delineata ricostruzione della disciplina del comodato nei termini sopra riportati, in essa si afferma ulteriormente che l'assegnazione giudiziale della casa familiare in sede di separazione o divorzio si sostanzia "non tanto in termini di attribuzione" del diritto di continuare a godere della casa familiare bensì di "esclusione di uno dei coniugi da una utilizzazione in atto, tale da determinare una concentrazione della sfera dei soggetti beneficiari".Tale assunto evoca la questione concernente l'accertamento della posizione giuridica sussistente in capo ai componenti della famiglia in ordine alla casa familiare (29), e del rispettivo titolo ad abitarla (30).Certamente costituendo una novità nella ricostruzione sistematica della disciplina della casa familiare e dell'istituto della relativa assegnazione giudiziale, esso muove dall'ulteriore principio secondo cui, pur non essendo stato parte (formale) del contratto, e a prescindere dalla intestazione (formale) del medesimo (31), il coniuge del comodatario è comunque un "componente del nucleo in favore del quale il godimento stesso era stato concesso".Pur se il riferimento all'attribuzione del godimento in favore del nucleo nonché la considerazione secondo cui il comodatario riceve "il bene non solo o non tanto a titolo personale quanto piuttosto quale esponente di una comunità" prospettano dei profili di equivocità, non sembra che con tali espressioni, così come del pari con il fare riferimento all'operare della cennata concentrazione, le sezioni unite intendano fare in effetti riferimento alla famiglia in sé e per sé considerata, quale centro di imputazioni giuridiche autonomo e distinto dagli stessi soggetti (coniugi e, se sussistenti, i figli) che la compongono.Diversamente, risulterebbe invero rievocata una ormai da tempo superata concezione della famiglia quale ente volto al perseguimento di un superiore interesse, rispondente ad un modello autoritario e gerarchico definitivamente disatteso dalla riforma del 1975 con la previsione di una struttura paritaria (32).Meno sicuro è viceversa se del provvedimento giudiziale di assegnazione, considerato sotto il diverso profilo della privazione (dall'esercizio) del diritto di godimento in capo al non assegnatario, risulti adombrata una configurazione addirittura in termini di sanzione.

Si verrebbe invero a prospettare in tal caso una soluzione che neppure la misura di salvaguardia dell'ordine di allontanamento dalla casa familiare ex artt. 342-bis ss. c.c. può correttamente ritenersi configurare (33).Vale al riguardo osservare che anche il provvedimento di assegnazione della casa familiare viene per il coniuge non assegnatario a ridondare sostanzialmente in termini di privazione pro-tempore del diritto di relativo godimento, al riguardo peraltro certamente non dubitandosi che esso attribuisce all'assegnatario un diritto (reale o personale) di godimento (34).Il principio affermato dalle sezioni unite non può essere allora correttamente inteso che nel senso del positivo riconoscimento in capo ai componenti della famiglia (coniuge e, se sussistenti, i figli) degli effetti sostanziali del contratto da cui discende il godimento della casa familiare, a prescindere cioè dalla relativa titolarità formale, come del resto si evince dall'ulteriore passo della motivazione là dove si fa riferimento al comodatario quale parte formale, che acquista il rapporto sostanziale anche in rappresentanza degli altri componenti della famiglia (35).Ne risulta, a tale stregua, l'affermazione di un principio sicuramente meritevole di apprezzamento, che a sua volta necessita peraltro di precisazioni e specificazioni in ordine ad aspetti che non risultano tuttavia dalla sentenza in commento presi in considerazione.Non si distingue, ad esempio, a seconda che il comodato risulti costituito in epoca precedente o successiva al matrimonio.Sotto il profilo oggettivo, avuto in particolare riguardo alla questione se di casa familiare possa parlarsi anche in presenza di un fatto meramente programmato (36) ovvero, in conformità con il prevalente orientamento, esclusivamente in quanto si tratti di fatto compiuto (37).Sotto il profilo soggettivo, in ordine alla configurabilità o meno del rapporto anche in capo al coniuge (38) e ai figli del comodatario, con riguardo a questi ultimi ponendosi in particolare la questione se in caso di nascita successiva alla costituzione del comodato divengano anch'essi titolari sostanziali in proprio del rapporto, ed eventualmente in quale momento (concepimento, nascita, maggiore età); ovvero come possa diversamente ritenersi che i medesimi, pur essendo membri della famiglia e a fortiori se differentemente dal coniuge del comodatario che non sia stato originaria parte formale del contratto (39), rimangono comunque privi della titolarità sostanziale del rapporto; e, ancora, se, in tale caso, siano da considerarsi addirittura quali meri "ospiti" del titolare (40), ovvero a quale (altro) titolo abbiano diritto ad abitare nella casa familiare (41).

6. Funzionalizzazione della proprietà sull'immobile destinato a casa familiare e terzi.

L'intervento delle sezioni unite è stato motivato dall'ormai indifferibile esigenza di evitarsi una "sostanziale espropriazione delle facoltà e dei diritti connessi alla sua titolarità sull'immobile, con evidenti riflessi sulla sfera costituzionale della tutela del risparmio e della sua funzione previdenziale".Soluzione dallo stesso Supremo Collegio odiernamente definita come "palesemente irragionevole", ed altresì "deteriore" rispetto alla situazione viceversa "spettante al successivo acquirente, il quale (...) in mancanza di trascrizione è tenuto a subire l'assegnazione per un periodo non superiore a nove anni", nonché "anche rispetto a quella del locatore, che è parte di un contratto a prestazioni corrispettive e può avvalersi di forti strumenti di tutela nei confronti del conduttore inadempiente".Può senz'altro concordarsi in ordine alla ravvisata "irragionevolezza" dell'orientamento delineato dalla citata Cass. n. 10977 del 1996.Quanto al concedente il precario, deve viceversa osservarsi che la sua posizione appare nel caso al contrario maggiormente garantita di quella dell'acquirente, in virtù del potere di recesso ad nutum attribuitogli dall'art. 1810 c.c. E che appunto negando

al medesimo detta facoltà, nonché ponendo la durata dell'attribuzione in diretta e specifica correlazione con la persistenza o il venir meno della destinazione funzionale dell'immobile a casa familiare, le Sezioni unite paradossalmente pervengono a sostanzialmente determinare proprio quella situazione cui si prefiggevano viceversa di ovviare.A fondamento dell'esclusione della possibilità di recedere ad nutum, anche all'esito dell'assegnazione in sede di procedimento di separazione o divorzio, è dal Supremo collegio nel caso evocato il principio della funzionalizzazione della proprietà sull'immobile destinato a casa familiare.Diversamente che per altri profili, come ad esempio quello relativo all'opponibilità del diritto attribuito là dove si esclude che possa ritenersi dall'ordinamento ammessa una "funzionalizzazione assoluta" del "diritto di proprietà del terzo" a tutela di "diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale", e pur riconoscendo in termini generali la necessità di fare riferimento, in sede di accertamento e verifica della "effettiva intenzione delle parti" di "dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare", anche alla "natura dei rapporti" tra le medesime sussistenti, le Sezioni unite sul punto non distinguono invero a seconda che il proprietario concedente sia coniuge o genitore del beneficiario, ovvero mero terzo estraneo.Poiché, anche in ragione dell'operare della relativa vicenda successoria, l'attribuzione in questione risulta a priori indeterminabile nella durata, risultando pertanto assolutamente incerto il quando (se non addirittura l'an) della scadenza (42), una distinzione delle posizioni pure sotto il profilo considerato appare allora viceversa imprescindibile al fine di delinearsi una disciplina rispettosa anche del dettato costituzionale.La compressione del diritto reale del coniuge proprietario trova infatti il suo fondamento costituzionale nella tutela della famiglia, coniugi e figli (artt. 29-31 Cost.), e nella funzionalizzazione della proprietà ex art. 42, 3° comma, Cost. (43), a salvaguardia della solidarietà coniugale e postconiugale (44).Trattandosi viceversa di terzi, mentre per il genitore può farsi al riguardo richiamo all'obbligo, ai sensi dell'art. 148 c.c., di concorso negli oneri per l'assolvimento da parte dei figli agli obblighi di cui all'art. 147 c.c. nei confronti della rispettiva prole (45), altrettanto non può invero certamente dirsi con riferimento al mero estraneo (46).7. Nozione e funzione della casa familiare.

Nel delineare la nozione di casa familiare quale "luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e si svolge la continuità delle relazioni domestiche, centro di aggregazione e di unificazione dei componenti del nucleo, complesso di beni funzionalmente organizzati per assicurare l'esistenza della comunità familiare" (47), da cui emerge un sicuro e pienamente condivisibile riconoscimento della relativa funzione essenzialmente morale (48), e nel fare altresì richiamo ai connessi profili di stabilità e continuità che ne costituiscono il fondamento, le sezioni unite ritengono la delineata soluzione come "coerente con le scelte di fondo compiute dal legislatore in materia familiare, in quanto idonea a garantire una certa efficacia temporale al provvedimento di assegnazione, evitando il rischio di una frustrazione anche immediata della fondamentale esigenza di tutela della prole cui esso è rivolto".Avuto riguardo al provvedimento di assegnazione, tale esigenza viene considerata quindi con essenziale riferimento alla tutela della prole (49). Pur non precisando il rilievo (esclusivo, preponderante o meramente concorrente) ad essa da assegnarsi, le Sezioni unite sembrano invero propendere per l'orientamento che indica nell'affidamento dei figli minori il presupposto dell'assegnazione della casa familiare in sede di separazione o di divorzio (50).Sembra doversi al riguardo peraltro obiettare che tale tesi appare profilarsi come inammissibilmente fallace là dove finisce per obliterare l'interesse all'habitat

domestico anche del coniuge affidatario (51), la cui rilevanza non può viceversa fondatamente disconoscersi, come risulta invero confermato dalla più ampia ricostruzione sistematica della disciplina in tema di casa familiare, riguardata anche sotto il profilo della relativa vicenda successoria(52).

8. Osservazioni conclusive.

Nel limitare per il comodante la possibilità di recedere solamente all'ipotesi di urgente ed impreveduto bisogno di cui all'art. 1809 c.c., con conseguente esclusione della recedibilità ad nutum ex art. 1810 c.c., le sezioni unite pervengono a sostanzialmente negare la configurabilità del precario di casa familiare, pur riconoscendolo "strumento frequentemente adottato da genitori o parenti quale soluzione del problema abitativo in favore delle giovani coppie che contraggono matrimonio". Con la conseguenza che, avuto riguardo alla casa familiare, il ricorso alla figura del comodato sembra destinato a rimanere invero quantomeno scoraggiato (53).Deve al riguardo chiedersi se, pur senza configurare una così radicale soluzione, il contemperamento tra le contrapposte esigenze del comodatario e del concedente avrebbe potuto essere ugualmente realizzato.Movendo dall'assunto secondo cui la circostanza che il comodatario sia coniugato e abbia dei figli non può considerarsi di per sé idonea a modificare, (anche) sotto il profilo contenutistico, i rapporti contrattuali che il medesimo mantiene generalmente con terzi, e quello concernente il godimento della casa familiare in particolare, quand'anche il suo rapporto coniugale pervenga ad una fase patologica; argomentando, in quest'ultima ipotesi, dal principio posto dalle stesse sezioni unite nella sentenza in commento in base al quale ai rapporti tra comodante ed assegnatario (ed altri membri del nucleo familiare "residuo") deve essere applicata la "medesima disciplina che avrebbe regolato detti rapporti ove non si fosse verificata la crisi coniugale", in quanto il mutamento soggettivo determinato dal subingresso nel contratto di comodato non determina un corrispondente mutamento delle esigenze di tutela dell'habitat domestico in capo al beneficiario; atteso l'altrettanto condivisibile rilievo secondo cui non può "ipotizzarsi una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale"; riconoscendo che l'esigenza di garantire la continuità dell'habitat domestico impone, se il rapporto di coniugio del comodatario anziché svolgersi fisiologicamente perviene ad una fase patologica, di accordare una tutela non deteriore ma nemmeno poziore, tanto più a scapito di terzi (rispetto al rapporto di coniugio) quale appunto è il comodante (54); ritenendo conseguentemente l'assegnatario esposto, così come il comodatario, al recesso ad nutum del comodante; a tale stregua, si sarebbe forse potuto diversamente salvaguardare le esigenze in argomento mediante l'attribuzione al precarista della possibilità di rilasciare l'immobile, all'esito della domanda di restituzione, entro un termine congruo, giudizialmente determinato in assenza di accordo tra le parti, idoneo a consentirgli di trovare altro alloggio.Limitandosi a fare pertanto nel caso applicazione di un principio dalla giurisprudenza di legittimità affermato proprio con riferimento al precario di casa familiare ex art. 1810 c.c.Come si è al riguardo posto in rilievo, non diversamente dall'ipotesi di recesso ad nutum esercitato dal comodante nella fisiologia del rapporto coniugale del precarista, non rimane infatti nel caso esclusa, pur prevedendosi dall'art. 1810 c.c. che il comodatario è tenuto a restituire la cosa "non appena il comodante la richieda", l'applicabilità della regola generale (di cui tale norma configura ipotesi specifica) posta dall'art. 1183 c.c. secondo cui, quando è necessario per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell'esecuzione, il giudice, in mancanza di accordo tra le parti, può stabilire un termine (congruo) di rilascio della cosa oggetto di comodato

(55).Emerge con tutta evidenza che tale diversa soluzione è ispirata ad una logica o prospettiva peraltro opposta a quella cui risulta improntata l'odierna decisione delle Sezioni unite.

(1) V. Cass. (ord.) 11 dicembre 2002, n. 17688, inedita, il cui ordito motivazionale è richiamato in SCARANO, Coabitazione e casa familiare, in Giust. civ. (in corso di pubblicazione). V. altresì infra al par. 2.

(2) Trattasi di figura invero non prevista dal codice, e dalla giurisprudenza ricondotta al comodato senza determinazione di durata ex art. 1810 c.c., caratterizzata dall'essere il comodatario tenuto a restituire la cosa non appena il comodante la richiede: v. Cass. 17 ottobre 2001, n. 12655, in Arch. loc., 2001, p. 295 ss. e in Rass. loc., 2002, p. 525 ss.; Cass. 10 maggio 2000, n. 5987; Cass. 8 ottobre 1997, n. 9775; Cass. 22 marzo 1994, n. 2750, in Giust. civ., 1994, I, p. 2517 ss., con nota di MORENA, e in Giur. it., 1994, I, 1, c. 1702 ss., con nota di VENTURIELLO e in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 465 ss., con nota di IOFFREDI; Cass. 23 maggio 1992, n. 6213; Cass. 10 agosto 1988, n. 4921, in Giur. it., 1989, I, 1, c. 1245 ss. e 1990, I, 1, c. 138 ss., con nota di VINCENTI e in Giust. civ., 1989, I, p. 383 ss. e in Arch. loc., 1989, p. 486 ss.; Cass. 18 gennaio 1985, n. 133; Cass. 26 marzo 1971, n. 897, in Foro it., 1971, I, c. 1526 ss., con nota di D'ANGELO e in Giust. civ., 1971, I, p. 369 ss. e in Giur. it., 1971, I, 1, c. 1104 ss. V. anche Cass. 21 giugno 2001, n. 8482, in Foro it., 2002, I, c. 484 ss., con nota di CAPUTI e in Arch. loc., 2002, p. 301 ss. e in Rass. loc., 2002, p. 525 ss.In dottrina v., per tutti, C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano, 1998, p. 842 ss., ivi alla p. 843, il quale (ivi alla p. 845, nota 42) pone in rilievo che di precario può parlarsi anche con riferimento alla concessione di alcune facoltà di godimento in via provvisoria, facendo al riguardo richiamo a Cass. 22 aprile 1981, n. 2358, in tema di "diritto di godimento provvisorio di passaggio su un fondo" concesso "solo temporaneamente e a titolo provvisorio".Contra, per l'esclusione viceversa della possibilità per il comodante di richiedere la restituzione ad nutum quando sia possibile ravvisare una indiretta determinazione di durata attraverso la delimitazione dell'uso consentito della cosa, desumibile dalla natura di essa, dalla professione del comodatario, dall'esame degli interessi e dalle utilità perseguite dai contraenti, v. Cass. 16 aprile 2003, n. 6101; Cass. 8 marzo 1995, n. 2719, in Giust. civ., 1996, I, p. 1773 ss., con nota di DE TILLA.Nel senso, peraltro, che la clausola "fino a quando i comodatari non abbiano reperito altro alloggio", apposta in un contratto di comodato di immobile adibìto ad abitazione, indica un termine meramente apparente, in quanto mancante di qualsiasi concretezza di determinazione, con la conseguenza che esso deve considerarsi non apposto, rimanendo il rapporto regolato dall'art. 1810 c.c., che facoltizza il recesso ad nutum del comodante, v. la citata Cass. 22 marzo 1994, n. 2750.

(3) Come si evince, invero, dalla citata ordinanza di rimessione Cass. 11 dicembre 2002, n. 17688, più che dalla motivazione della sentenza in commento.

(4) La legge non dà una definizione della casa della famiglia e non ne detta una disciplina particolare e specifica. Numerose norme del codice e di leggi speciali fanno tuttavia espresso riferimento alla residenza della famiglia (art. 144 c.c.), alla residenza familiare (art. 146 c.c.), alla casa familiare (art. 155 c.c. e art. 6 L. 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 11 L. 6 marzo 1987, n. 74), alla casa adibita a residenza familiare (art. 540 c.c.). Cfr. SCARDULLA, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano, 1977, p. 207; DI NARDO, L'assegnazione della "casa familiare": evoluzione legislativa a attuali orientamenti giurisprudenziali, in Nuova giur. civ. comm., 1998, II, p. 332 ss., ivi alla p. 333 ss.

(5) In ordine alla configurabilità del comodato anche tra soggetti nessuno dei quali sia titolare di un diritto reale su di esso, v. Cass. 27 febbraio 1969, n. 662.Per la proponibilità dell'azione di restituzione da parte di chiunque, avendo la disponibilità materiale della cosa in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, l'abbia concessa in comodato, trattandosi di azione di natura personale prescindente dalla prova del diritto di proprietà, v. Cass. 26 ottobre 1998, n. 10627, in Arch. loc., 1998, p. 833 ss. e in Foro it., 1999, I, c. 1246 ss. e in Rass. loc., 1999, p. 644 ss.; Cass. 23 febbraio 1981, n. 1083. Analogamente, in tema di onere della prova, v. Cass. 13 febbraio 1982, n. 912; Cass. 27 aprile 1973, n. 1164.Nel comodato a tempo indeterminato, per l'individuazione del momento di decorrenza del termine di prescrizione del diritto del comodante alla restituzione "da quando resta inadempiuta la richiesta di restituzione" v. Cass. 18 maggio 1976, n. 1772.Nel senso che il proprietario della cosa data in comodato può avvalersi, al fine di ottenere la restituzione della cosa medesima, non solo dell'azione contrattuale, di natura obbligatoria, ma anche dell'azione di rivendicazione, v. Cass. 30 luglio 2002, n. 11284; Cass. 5 ottobre 1978, n. 4454. Contra, per l'esclusione della configurabilità della rivendica nell'azione promossa dal comodante (o dal suo avente causa) contro il comodatario, diretta ad ottenere la restituzione della cosa concessa in comodato, in quanto tale azione non mira a tutelare il diritto di proprietà ma trova fondamento nel rapporto obbligatorio esistente tra le parti, v. invece Cass. 12 settembre 1968, in Foro pad., 1969, I, p. 1208 ss.

(6) V. Cass. 10 dicembre 1996, n. 10977, in Foro it., 1997, I, c. 3331 ss., con nota di PIOMBO e in Giur. it., 1977, I, 1, c. 1510 ss., con nota di QUARANTA e in Nuova giur. civ. comm., 1998, I, p. 591 ss., con nota di DI NARDO e in Dir. fam. pers., 1998, I, p. 18 ss.

(7) Per l'affermazione, ribadita anche dalle sezioni unite nella sentenza in commento, che mediante l'assegnazione della casa familiare in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio si attribuisce un atipico diritto personale di godimento v., da ultimo, Cass. 18 settembre 2003, n. 13736, in questa Rivista, 2004, II, p. 611 ss., con nota di SCARANO e in Giust. civ., 2004, I, p. 688 ss.; Cass. 7 marzo 2003, n. 3434, in Dir. giust., 2003, fasc. 6, p. 77 ss. con nota di SAN GIORGIO; Cass. 17 settembre 2001, n. 11630, in Giust. civ., 2001, I, p. 55 ss., con nota di M. FINOCCHIARO e in Giur. it., 2002, p. 1147 ss., con nota di COSTANTINO e in Arch. civ., 2002, p. 197 ss.In ordine alla riconduzione dell'assegnazione in questione alla locazione v. invece Cass. 6 maggio 1999, n. 4529, in Fam. dir. 1999, p. 554 ss., con nota di PADOVINI e in Foro it., 1999, I, c. 2215 ss., con nota di PIOMBO e in Giust. civ., 1999, I, p. 2305 ss. e in Riv. not., 2000, p. 109 ss. e in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, p. 103 ss., con nota di QUADRI e in Dir. fam. pers., 2000, p. 608 ss. e in Notariato, 2000, p. 30 ss.; Cass. 11 dicembre 1992, n. 13126, cit. In dottrina v. JANNARELLI, L'assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei coniugi, in Foro it., 1981, I, 1, c. 1382; GIUSTI, Commento, a Trib. Catania 11 luglio 1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, p. 348 ss.; FRALLICCIARDI, Assegnazione della casa familiare nella separazione personale dei coniugi e nel divorzio: quale diritto per l'assegnatario, in Studi in onore di Capozzi, Milano, 1992, I, 609 ss.

(8) V. Cass. 10 dicembre 1996, n. 10977, cit.

(9) Per tale riferimento v., da ultimo, Cass. 18 settembre 2003, n. 13736, cit.; Cass. 7 marzo 2003, n. 3434, cit.

(10) In ordine a tale specifico richiamo v. già Cass. 2 aprile 1992, n. 4016.

(11) In tal senso v. Cass., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096, in Fam. dir., 2002, p. 461 ss., con nota di CARBONE e in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, p. 470 ss., con nota di BUSANI e in Giur. it., 2003, p. 1133 ss., con nota di CARRINO e in Corr. giur., 2003, p. 361 ss., con nota di LENA e in Riv. not., 2003, p. 706 ss., con nota di PISCHETOLA e in Notariato, 2003, p. 15 ss., con nota di ZARRILLI, e in Giust. civ., 2003, I, p. 93 ss., e in Foro it., 2003, I, c. 183 ss.; e, conformemente, da ultimo Cass. 14 maggio 2004, n. 9181. Decisioni che segnano un orientamento che muove da Corte cost. 27 luglio 1989, n. 454, in Giust. civ., 1989, I, p. 2244 e in Foro it., 1989, I, c. 3336, con nota di JANNARELLI e in Arch civ., 1989, 1052 e in Arch. loc., 1989, p. 443 e in Cons. stato, 1989, II, p. 1063 e in Rass. dir. civ., 1990, p. 225 ss., con nota di E. GIACOBBE e in Nuova giur. civ., 1990, I, p. 292 ss., con nota di DI NARDO, che ha dichiarato la "illegittimità costituzionale dell'art. 155, quarto comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai terzi"; successivamente "autenticamente interpretata" da Corte cost. (ord.) 23 gennaio 1990, n. 20, in Giur. cost., 1990, p. 54, la quale ha precisato che l'onere di trascrivere il provvedimento di assegnazione riguarda, ex art. 1599 c.c. (richiamato dall'art. 6, 6° comma, L. 898/70, come sostituito dall'art. 11 L. 74/87), la sola assegnazione ultranovennale, ferma restando l'opponibilità del provvedimento in difetto di trascrizione nei limiti del novennio. In dottrina v. C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia, Le successioni, 3ª ed., Milano, 2001, p. 196 ss., ivi alla p. 198 ss. V. anche MANTOVANI, L'assegnazione giudiziale della casa familiare tra interesse dei figli, interesse dei coniugi e diritti dei terzi, in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, p. 451 ss.; FREZZA, Opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare, in Rass. dir. civ., 1998, p. 519 ss.; CECCHERINI, I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, p. 545 ss.Contra, per l'inapplicabilità dell'art. 1599 c.c., non costituendo l'assegnazione della casa familiare istituto affine alla locazione, e nel senso che la relativa opponibilità è consentita solo in presenza della trascrizione del provvedimento di assegnazione, in difetto della quale essa non opera non solo per quanto riguarda il periodo successivo ai nove anni dall'assegnazione "ma neanche per quanto riguarda il periodo precedente, non esistendo alcuna eccezione ricavabile dalla normativa vigente che consenta una distinzione in funzione della durata dell'assegnazione stessa", v. Cass. 6 maggio 1999, n. 4529, cit. In dottrina v. G.GABRIELLI, Il diritto di abitare nella casa già familiare dopo la dissoluzione della famiglia, in Vita not., 1997, p. 1284 ss., ivi alla p. 1285 ss.; PADOVINI, Commento a Cass. 6 maggio 1999, n. 4529, cit., ivi alla p. 555 ss.; DOGLIOTTI, Separazione e divorzio, Torino, 1995, p. 238 ss.; L. RUBINO, op. cit., p. 400 ss., ivi alla p. 403.

(12) V., per tutti, G. GABRIELLI, I problemi dell'assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 137 ss., ivi alla p. 141, il quale giunge ad affermare che le case in comodato non debbono costituire oggetto di assegnazione in sede di procedimento di separazione personale dei coniugi o di divorzio.

(13) V. Cass. 27 maggio 1994, n. 5236, in Giust. civ., 1994, I, p. 2460 ss. e in Dir. fam. pers., 1994, I, p. 1241 ss. e in Giur. it., 1995, I, 1, p. 841 ss., con nota di ZAFFINA: "L'opponibilità nei confronti del terzo titolare del diritto di proprietà del provvedimento di assegnazione della casa al coniuge separato o divorziato (anche nel quadro della disciplina di garanzia risultante dal testo novellato dell'art. 6 L. 898/70 e dalla sentenza costituzionale n. 454/89 sub art. 155 c.c.) ricorre infatti nella sola ipotesi in cui una tale titolarità sia stata acquisita dopo l'indicato provvedimento. Mentre, qualora la proprietà sia (come pacificamente nella specie) anteriore, il relativo diritto non può essere pregiudicato dalla assegnazione".Non sembra, invero, che possa al riguardo propriamente evocarsi anche la citata Cass.

n. 4529 del 1999, la quale esclude l'opponibilità del provvedimento di assegnazione "non solo per quanto riguarda il periodo successivo ai nove anni dell'assegnazione" ma anche "per quanto riguarda il periodo precedente, non esistendo alcuna eccezione ricavabile dalla normativa vigente che consenta una distinzione in funzione della durata dell'assegnazione stessa", giacché quest'ultima diversamente muove dalla considerazione della ricorrenza o meno della trascrizione quale esclusivo ed indeffettibile presupposto di operatività del fenomeno dell'opponibilità in questione.

(14) Al riguardo, si noti, Cass. 20 ottobre 1997, n. 10258, dalle sezioni unite espressamente richiamata nella sentenza in commento, sul punto significativamente afferma: "si tratta di opponibilità corrispondente al contenuto del titolo preesistente, come è proprio degli effetti meramente dichiarativi della trascrizione degli atti di disposizione di beni immobili: art. 2644 cod. civ. Il principio è stato già affermato da questa Corte ed interpretato nel senso che la disposizione del richiamato art. 6 della legge n. 898 del 1970 "non modifica la natura del rapporto e la natura del diritto in base al quale il conduttore detiene la cosa locata, ma solo consente a soggetto diverso dall'originario conduttore di sostituirsi nella titolarità del contratto, con attribuzione dei relativi diritti ed assunzione delle obbligazioni che ne derivano'': sent. 18 giugno 1993, n. 6804, tra le altre".In argomento v. amplius SCARANO, L'assegnazione della casa familiare: presupposti e funzioni, in nota a Cass. 18 settembre 2003, n. 13736, cit., p. 624 ss., ivi alla p. 629 ss.

(15) V. C.M. BIANCA, op. loc. ult. cit., p. 196 ss.

(16) V. Cass. 4 marzo 1998, n. 2407, in Arch. civ., 1998, p. 817. V. anche Cass. 17 luglio 1996, n. 6458, in Foro it., 1997, I, c. 205 ss e in Dir. fam. pers., 1997, p. 551 ss. e in Vita not., 1996, I, p. 1326 ss.; Cass. 26 gennaio 1995, n. 929, in Dir. fam. pers., 1995, I, p. 990 ss.; Cass. 18 giugno 1993, n. 6804, in Arch. loc., 1993, p. 721 e in Riv. giur. edil., 1994, I, 2, p. 293 ss., con nota di DE TILLA e in Vita not., 1994, I, p. 238 ss. In giurisprudenza di merito v. già Trib. Roma 20 gennaio 1982, in Giust. civ., 1982, I, p. 1931 ss., con nota di CARTONI.

(17) Nello stesso senso v. anche amplius SCARANO, op. ult. cit., p. 624 ss., ivi alla p. 627 ss.

(18) In tal senso, con riferimento ad una casa in comodato assegnata ex art. 155, 4° comma, c.c., v. Cass. 7 marzo 2003, n. 3434, cit.

(19) V., da ultimo, Cass. 8 aprile 2003, n. 5455, in Fam. dir., 2003, p. 439 ss., con nota di QUARGNOLO. V. anche Cass. 18 agosto 1997, n. 7680.

(20) Per tale conclusione v., in dottrina, C.M. BIANCA, op. loc. ult. cit., ivi alla p. 198: "Il problema della natura del diritto di abitazione del coniuge separato o divorziato non può dunque essere risolto qualificandolo univocamente come diritto personale o come diritto reale. Si deve invece tenere conto del diverso titolo di godimento che il coniuge assegnatario consegue sulla casa. In definitiva, se si tratta di casa d'affitto, il coniuge assegnatario ha un semplice diritto personale di godimento. Se, invece, il diritto viene esercitato sulla casa appartenente in tutto o in parte all'altro coniuge, la sua natura reale appare difficilmente contestabile".Per la tesi secondo cui l'assegnazione della casa familiare di cui il beneficiario sia proprietario o comproprietario non ha "ragione d'essere" v. peraltro, da ultimo, Cass. 17 gennaio 2003, n. 661, in Dir. giust., 2003, fasc. 6, p. 77 ss., con nota di SAN GIORGIO e in Arch. civ., 2003, p. 635 ss. V. anche Cass. 14 settembre 2001, n. 11630, cit., ove si afferma che, a tale stregua, il diritto di abitazione viene conseguentemente

ad estinguersi nel momento in cui, all'esito dello scioglimento della comunione legale, un coniuge acquisisce in piena proprietà anche la quota dell'altro.

(21) Si afferma testualmente nella sentenza in commento: "(...) secondo consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte non può desumersi la determinazione della durata del comodato dalla destinazione abitativa cui per sua natura è adibito un immobile, in difetto di espressa convenzione sul punto, derivando da tale destinazione soltanto la indicazione di un uso indeterminato e continuativo, inidoneo a sorreggere un termine finale (...)", orientamento "(...) certamente condivisibile con riferimento alle fattispecie in cui si prospetti una destinazione genericamente connessa alla natura immobiliare del bene (...)".

(22) Osservano al riguardo le sezioni unite: "(...) e tuttavia tale orientamento (...) non appare utilmente invocabile nei casi in cui la destinazione sia diretta ad assicurare (...) che il nucleo familiare già formato o in via di formazione abbia un proprio habitat, come stabile punto di riferimento e centro di comuni interessi materiali e spirituali dei suoi componenti".

(23) V. Cass. 8 ottobre 1997, n. 9775; Cass. 8 marzo 1995, n. 2719; Cass. 22 marzo 1994, n. 2750; Cass. 18 gennaio 1985, n. 133; Cass. 20 gennaio 1984, n. 491, in Giur. agr. it., 1984, II, p. 89 ss., con nota di BUSETTO; Cass. 23 maggio 1992, n. 6213.

(24) Sembra potersi affermare che trattasi di fatto relazionale, il quale viene in essere in modo istantaneo nel momento in cui la permanenza del soggetto in un dato luogo si connota di tratti oggettivi univocamente denotanti l'idoneità di tale situazione a durare, potenzialmente, nel tempo (abitualità): v. amplius SCARANO, op. ult. cit., p. 621 ss.Per la tesi che alla destinazione funzionale dell'immobile riconosce viceversa rilevanza meramente "differita", al momento cioè dell'assegnazione giudiziale o dell'apertura della successione mortis causa, v. G. GABRIELLI, Il diritto di abitare nella casa già familiare dopo la dissoluzione della famiglia, cit., p. 1268 ss., ivi alla p. 1269 ss.

(25) Nello stesso senso v., da ultimo, Cass. 2 luglio 2003, n. 10417.Per la precisazione che la mancata autosufficienza economica (o anche soltanto psicofisica) dei figli maggiorenni deve essere incolpevole v., in particolare, Cass. 16 marzo 2004, n. 5317, in Guida al diritto, 2004, fasc. 19, p. 50; Cass. 20 agosto 1997, n. 7770, in Gius., 1997, p. 2969; Cass. 6 aprile 1993, n. 4108, in Dir. fam. pers., 1993, p. 1023. Nel senso che la "non autosufficienza economica incolpevole" è presunta in caso di convivenza, per cui il genitore che invoca a suo favore il criterio preferenziale previsto dal citato art. 6, 6° comma, L. div. può limitarsi a provare quest'ultima, "mentre l'indipendenza economica del figlio maggiorenne o la colpa per il mancato conseguimento di tale indipendenza deve essere provata da genitore che allega dette circostanze", v. Cass. 22 gennaio 1998, n. 565, in Giur. it., 1999, p. 34 ss., con nota di LEZZA.Al riguardo va peraltro osservato che il principio in questione non appare invero del tutto esaustivo, laddove si consideri che il conseguimento dell'autosufficienza economica "dell'ultimo dei figli conviventi con l'assegnatario" non può considerarsi valere, di per sé solo, a segnare la venuta meno della destinazione funzionale dell'immobile a fungere da casa familiare, potendo questa persistere anche successivamente a tale momento, avuto riguardo alle esigenze dello stesso coniuge assegnatario, ed altresì del coniuge originariamente non assegnatario, in favore del quale ben può la precedente assegnazione essere modificata: in tal senso v. Cass. 18 settembre 2003, n. 13736, cit.; Cass. 2 aprile 1992, n. 4016. In tal senso v. anche amplius SCARANO, op. ult. cit., pp. 621 ss., 624 ss. e 635 ss.

(26) Risponde ad orientamento ormai consolidato al riguardo l'applicazione analogica dell'art. 6 L. 392/78: v. Cass. 20 ottobre 1997, n. 10258, cit.; Cass. 10 dicembre 1996, n. 10977, cit.; Cass. 17 luglio 1996, n. 6548, cit.; Cass. 19 aprile 1991, n. 4258, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 346 ss., con nota di CANALE; Cass. 18 agosto 1990, n. 8409, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 346 ss., con nota di CANALE e in Arch. civ., 1991, p. 165 ss.Contra, per l'inconfigurabilità di un subentro degli eredi al comodatario defunto v. Cass. 22 settembre 1999, n. 10268, in Giur. it., 2000, 909 ss., con nota di BERGAMO; Cass. 6 maggio 1999, n. 4529, cit.In dottrina, la sussistenza della pretesa analogia della successione del coniuge assegnatario dell'immobile nel rapporto di comodato con il subingresso dell'assegnatario nel rapporto di locazione è peraltro autorevolmente negata, ponendosi in rilievo che l'interesse liberale del comodante non può considerarsi analogo all'interesse ai frutti civili del locatore; e che l'essenzialità dell'intuitus personae connotante l'agire liberale trova sintomatico riscontro nella inconfigurabilità di una successione per causa di morte a titolo universale nei diritti personali costituiti per spirito di liberalità: v. GABRIELLI, op. ult. cit., p. 137 ss., ivi alla p. 138 ss.Si osserva altresì che l'art. 1811 c.c. esclude espressamente la successione proprio nel contratto di comodato v. A. PALAZZO, Le donazioni, in Il Codice civile. Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, 105, il quale pone in rilievo che la mancanza di un'espressa regola in tal senso in tema di donazione obbligatoria trova giustificazione nell'operare del principio generale dell'estinzione per morte del soggetto attivo di tutti i rapporti aventi carattere e funzione personale.Per il rilievo secondo cui l'art. 6 L.locaz. in argomento pone piuttosto un'ipotesi di cessione legale del contratto (di locazione) a favore del coniuge dell'originario conduttore: v., per tutti, PADOVINI, in G. GABRIELLI e PADOVINI, La locazione di immobili urbani, Lezioni di diritto civile raccolte da Martone, Padova, 1994, p. 311 ss.; ZATTI, op. loc. cit., ivi alla p. 263, il quale osserva come sia "impropria l'espressione per cui il coniuge che non ha stipulato il contratto "succede" nel rapporto", in quanto "ne è parte, invece, fin dall'origine", sottolineando al riguardo che la "novità" nel rapporto "sussiste piuttosto dal punto di vista della estromissione dell'altro coniuge".

(27) Nella sentenza si afferma al riguardo che la "scadenza non è determinata ma è strettamente correlata alla destinazione impressa ed alle finalità cui essa tende".Nel senso che, venendo meno la destinazione funzionale, ed estinguendosi conseguentemente il diritto dell'assegnatario di abitare nella casa familiare, si verifica il fenomeno della naturale riespansione del diritto dominicale in precedenza funzionalmente compresso, v. Cass. 28 agosto 1993, n. 9157, cit. V. altresì Cass. 29 novembre 2000, n. 15291, ove si afferma che all'esito della perdita del carattere "familiare" la casa può essere "assegnata" al coniuge che ne è proprietario. V anche Cass. 23 marzo 2000, n. 2070.In dottrina cfr. G. GABRIELLI, I problemi dell'assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, cit., p. 127 ss., ivi alla p. 131 ss., e in part. p. 133.L'attualità della qualità di casa familiare costituisce, si noti, indefettibile presupposto del provvedimento di assegnazione in sede di procedimento di separazione personale dei coniugi e di divorzio, nonché ai fini dell'apertura della relativa vicenda successoria: v. amplius SCARANO, op. ult. cit, pp. 621 ss. e 624 ss.

(28) Nel senso che il bisogno può essere anche "non grave" v. Cass. 5 febbraio 1987, n. 1132.

(29) Nel senso che la casa familiare debba qualificarsi come una "concreta res facti, che prescinde da qualsiasi titolo giuridico sull'immobile, di proprietà, di comunione, di locazione ", v. Corte cost. 27 luglio 1989, n. 454, cit.

(30) V. al riguardo ROSSI CARLEO, Provvedimenti riguardo ai figli, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia, I, Torino, 1999, p. 246 ss., ivi alla p. 254, la quale sottolinea che "(...) trattandosi appunto dell'abitazione "familiare", viene a determinarsi, durante il matrimonio, un rapporto che fa capo ad entrambi i coniugi e che, prescindendo dalla eventuale titolarità formale di uno dei partners, attribuisce anche al coniuge non proprietario una situazione giuridica "autonoma"''.In ordine alla tematica dell'interesse e del titolo dei familiari al godimento della casa familiare v. amplius SCARANO, op. ult. cit., p. 624 ss. e p. 635 ss.

(31) Per la distinzione tra parte formale e parte sostanziale del contratto v. C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, p. 53 ss.

(32) In argomento v. C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, 3ª ed., cit., p. 10 ss., il quale (ivi alla p. 11) afferma che tale modello paritario si traduce in un'idea della famiglia piuttosto in termini di "comunità nella quale ciascuno dei compartecipi realizza le prime esigenze di convivenza e di solidarietà umana"; S. PATTI, Fascismo, codice civile ed evoluzione del diritto privato, in Riv. dir. comm., 1998, p. 555 ss., ivi alla p. 558 (ed ora in Codificazioni ed evoluzione del diritto privato, Roma-Bari, 1999, p. 14 ss., ivi alla p. 16 ss.), il quale pone in rilievo come il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi accolto, in antitesi al modello ottocentesco, dalla Costituzione del 1948 sia stato in realtà realizzato solamente dalla Riforma del diritto di famiglia del 1975, la quale è anzi pervenuta a superare le affermazioni della stessa Costituzione attribuendo, anche con riguardo alla posizione dei figli, "scarso rilievo ai limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".

(33) Contra, v. peraltro SACCHETTI, Allontanamento dell'autore della violenza dalla casa familiare: un problema aperto, in Fam. dir., 2001, p. 664 ss., ivi alla p. 666.

(34) V. amplius SCARANO, L'ordine di allontanamento dalla casa familiare, in questa Rivista, 2003, p. 343 ss., ivi alla p. 345 ss.

(35) Si legge testualmente nella motivazione: "Il dato oggettivo della destinazione a casa familiare, finalizzata a consentire un godimento per definizione esteso a tutti i componenti della comunità familiare, comporta che il soggetto che formalmente assume la qualità di comodatario riceva il bene non solo o non tanto a titolo personale, quanto piuttosto quale esponente di detta comunità".

(36) In tal senso v. C.M. BIANCA, op. ult. cit., p. 196, nota 95.In giurisprudenza, per la sufficienza della mera destinazione della casa a divenire residenza della famiglia v. App. Venezia 3 febbraio 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, c. 292; Trib. Taranto 14 luglio 1978, in Dir. fam. pers., 1979, p. 116 ss.; Trib. Bari 12 luglio 1978, in Dir. fam. pers., 1979, p. 745, che fa in particolare riferimento alla casa in cui la famiglia avrebbe dovuto trasferirsi.Nella sentenza in commento si pone peraltro in rilievo come la destinazione dell'immobile a casa familiare sia diretta ad assicurare "che il nucleo familiare già formato o in via di formazione abbia un proprio habitat".

(37) Per l'assoluta infondatezza del rilievo della destinazione ipotizzata in luogo della "effettiva utilizzazione del complesso di beni (immobili e mobili) funzionalmente attrezzato per assicurare l'esistenza domestica della comunità familiare" v. Cass. 10 dicembre 1996, n. 10977, cit.In dottrina v. M. FINOCCHIARO, voce Casa familiare (attribuzione della), in Enc. dir., Aggiornamento, I, Milano, 1998, p. 274 ss.; COSPITE, I diritti di abitazione e di uso e le nuove nozze del coniuge superstite, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1984, p. 1175 ss., ivi alla p. 1184 ss.; BELVEDERE, Residenza e casa familiare: riflessioni critiche, in Riv. crit.

dir. priv., 1988, p. 245 ss. e p. 273 ss.; FALZONE CALVISI, Il diritto di abitazione del coniuge superstite, Napoli, 1993, p. 120 ss., ivi alla p. 125 ss.; SANTOSUOSSO, Il matrimonio, in Giur. sist. dir. civ. comm. fondata da Bigiavi, Torino, 1987, p. 378. V. anche SCARANO, La casa familiare, in questa Rivista, 2001, p. 131 ss., ivi alla p. 134.

(38) Con riferimento "all'ipotesi in cui la famiglia abbia prescelto a ``casa familiare'' l'abitazione condotta da uno dei coniugi prima del matrimonio", per la tesi secondo cui "se non è intervenuta, tra il matrimonio e la separazione, una rinnovazione del contratto, non si può ritenere parte se non il conduttore originario" v. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 3, II, Torino, 1996, pp. 5 ss. e 261 ss., ivi alla p. 265.

(39) Sintomatico appare al riguardo che l'operare dell'indicata "concentrazione" del titolo di godimento sull'immobile in un passo della motivazione risulta dalle Sezioni unite riferita esclusivamente in favore della "persona dell'assegnatario".

(40) In ordine al risalente orientamento giurisprudenziale che qualificava invero coniuge e figli quali meri "ospiti" del capofamiglia, in quanto tali non legittimati all'esperimento dell'azione possessoria, v. Cass. 4 dicembre 1962, n. 3264, in Foro it., 1963, I, c. 296 (in motivazione). Recentemente v. peraltro Cass. 22 aprile 2002, n. 5857: "La nozione di convivenza rilevante agli effetti di cui si tratta comporta, peraltro, la stabile dimora del figlio presso l'abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di ospitalità, con conseguente esclusione del diritto del genitore ospitante all'assegnazione della casa coniugale in assenza di titolo di godimento della stessa, a prescindere dalla mancanza di autosufficienza economica del figlio, idonea, se mai, ad incidere solo sull'obbligo di mantenimento".

(41) Nel senso che gli obblighi di contribuzione e di mantenimento impongono di provvedere anche all'abitazione, e che, anche a prescindere da essi, in ogni caso "l'accoglienza in casa può avere titolo nella solidarietà coniugale o nella convivenza extraconiugale", v. C.M. BIANCA, op. ult. cit., p. 61 ss., ivi alla p. 65.In giurisprudenza, per la qualificazione dei figli come "detentori autonomi" della casa coniugale, legittimati in quanto tali all'esercizio dell'azione di reintegrazione o spoglio ex art. 1168 c.c. anche nei confronti del locatore, v. Cass. 7 ottobre1971, n. 2753, in Foro it., 1972, I, c. 2463 ss., con nota di BALDACCI, che ha nel caso desunto la codetenzione da una situazione di cogestione della cosa locata estrinsecatesi, in particolare, nel pagamento del canone. Nello stesso senso, in giurisprudenza di merito v. Trib. Genova 18 marzo 1992, cit.V. anche Cass. 26 gennaio 1982, n. 511. Per la qualificazione del coniuge non proprietario o non titolare di un diritto reale o personale di godimento e dei figli quali detentori autonomi della casa familiare, v. C.M. BIANCA, op. loc. ult. cit. In tema v. anche L. RUBINO, op. cit., p. 404 ss, ivi alla p. 406; COCCIA, La "casa familiare": qualificazione giuridica e "diritti" del coniuge, in Dir. fam. pers., 1985, p. 1107; BELFIORE, La posizione possessoria del familiare convivente sull'alloggio della famiglia, in Giust. civ., 1992, I, p. 1208 ss.; G. GABRIELLI, op. ult. cit., p. 1270 ss., il quale lamenta l'inadeguatezza di una tutela fondata invero sui meri doveri coniugali.Analogamente si ritiene trattandosi di casa goduta in comodato: V. Cass. 4 marzo 1998, n. 2407, cit.Per la diversa soluzione in presenza del c.d. precario v. C.M. BIANCA, Diritto civile, 6, La proprietà, cit., p. 842 ss., ivi alla p. 845, il quale esclude che il precarista possa essere qualificato come detentore autonomo della cosa e che sia quindi legittimato ad esperire l'azione di reintegrazione o spoglio nei confronti del possessore.In ordine alla configurazione del detentore quale titolare di una posizione di diritto e

non già, come viceversa tradizionalmente e pacificamente ritenuto, di mero fatto v. S. PATTI, Una nuova lettura degli articoli degli articoli 1140 e seguenti c.c., in Riv. dir. civ., 2003, I, p. 151 ss. e p. 162 ss.Con riferimento all'ordinamento tedesco, v. CUBEDDU, La casa familiare: profili di diritto comparato tra l'ordinamento italiano e quello tedesco, in Annuario di diritto tedesco a cura di S. Patti, Milano, 1998, p. 209 ss., ivi alla p. 214 ss.: "(...) a prescindere da questioni di titolarità del bene, i coniugi sono entrambi possessori della casa di abitazione (...)". L'A. sottolinea altresì, da un canto, come nel momento in cui il coniuge non proprietario o locatario (nel testo è riportato il termine "locatore", ma trattasi evidentemente di mero errore di stampa, come emerge chiaramente dal contesto) "va ad abitare nella "Ehewohnung", egli acquista in virtù del dato oggettivo della permanenza nella casa e del diritto reciproco al mantenimento, nel quale si esprime la solidarietà coniugale, un diritto al compossesso".In ordine alla soluzione dell'ordinamento francese, ove in ipotesi di locazione i coniugi, ai sensi dell'art. 1751 Còde civil, sono contitolari del diritto di godimento derivante dal contratto, a prescindere dal regime patrimoniale prescelto, v. AUTORINO STANZIONE, ZAMBRANO, Separazione e divorzio nell'esperienza europea, in AA.VV., Separazione e divorzio diretto da Ferrando, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, I, 1, Torino, 2003, p. 86.

(42) Per l'esclusione della possibilità che il comodato possa essere subordinato ad un evento futuro che sia incerto anche nel suo verificarsi v. peraltro Cass. 13 novembre 1989, n. 4790, in Vita not., 1989, p. 496 ss.

(43) Cfr. G. GABRIELLI, I problemi dell'assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, cit., p. 127 ss., ivi alla p. 131 ss., e in part. p. 133.

(44) V. Cass. 23 marzo 1995, n. 3402, in Giust. civ., 1995, I, p. 1441 e in Dir. fam. pers., 1995, I, p. 1409 ss. e in Arch. civ., 1995, p. 1571 ss.In dottrina v. C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, 2ª ed., cit., p. 61 ss., ivi alla p. 65; L. RUBINO, Particolarità dello scioglimento nelle ipotesi di separazione personale, divorzio e scioglimento del matrimonio, in AA.VV., La comunione legale a cura di C.M. Bianca, Milano, 1989, II, p. 930 ss.; QUADRI, Famiglia e ordinamento civile, Torino, 1997, p. 267 ss. (e già in L'attribuzione della casa familiare in sede di separazione e divorzio, in Fam. dir., 1995, p. 271). V. anche DI BERARDINO, Figlio maggiorenne con proprio nucleo domestico e revoca dell'assegnazione della casa familiare, in nota a Cass. 17 luglio 1997, n. 6559, in Dir. fam. pers., 1998, p. 880 ss., ivi alla p. 886; LEZZA, Assegnazione della casa familiare al coniuge convivente con figli maggiorenni non autosufficienti, in nota a Cass. 22 gennaio 1998, n. 565, in Giur. it., 1999, p. 35 ss., ivi alla p. 37.

(45) In argomento v. C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, 2ª ed., cit., p. 278 ss. ivi alla p. 281 ss.; S. PATTI, Diritto al mantenimento e prestazione di lavoro nella riforma del diritto di famiglia, in Dir. fam. pers., 1977, p. 1341 ss., ivi alla p. 1345, il quale pone in rilievo come l'obbligo degli ascendenti di provvedere al mantenimento dei nipoti fosse già previsto anteriormente alla riforma, e che la nuova disposizione introduce solamente una novità concernente le modalità di relativo adempimento, disponendo di provvedere direttamente ovvero di fornire ai genitori (o agli altri soggetti preposti) quanto al riguardo necessario.

(46) Cfr. G. GABRIELLI, op. loc. ult. cit.

(47) Le sezioni unite fanno propria e ribadiscono la nozione di casa familiare che può considerarsi ormai recepita, originariamente posta, in assenza di una definizione

normativa, da Corte cost. 27 luglio 1989, n. 454, cit., in termini sostanzialmente corrispondenti ad un concetto già emerso in dottrina: v. C.M. BIANCA, op. ult. cit., p. 10 ss., ivi alle pp. 11 e 196, nota 95, il quale fa riferimento alla casa della famiglia quale "comunità nella quale ciascuno dei compartecipi realizza le prime esigenze di convivenza e di solidarietà umana"; R. TOMMASINI, I rapporti personali tra coniugi, in AA.VV., Il diritto di famiglia, in Trattato di diritto privato diretto da Bessone, IV, Il diritto di famiglia, I, Torino, 1999, p. 113 ss., ivi alla p. 124 ss., che definisce la residenza familiare come il "luogo in cui si realizza la comunione di vita e di affetti, dove dunque si vive materialmente, luogo in cui ci si riporta idealmente anche quando si è lontani". In argomento v. ancheBELVEDERE, Residenza e casa familiare: riflessioni critiche, in Riv. crit. dir. priv., 1988, p. 243 ss. Nozione quindi accolta anche dalla giurisprudenza di legittimità: da ultimo v. Cass. 18 settembre 2003, n. 13736, cit.

(48) In ordine alla funzione essenzialmente morale assolta morale assolta dalla casa familiare, v. Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166, in Giur. cost., 1998, p. 2518 ss., con nota di BIN e in Nuova giur. civ., 1998, I, p. 678 ss., con nota di FERRANDO e in Fam. dir., 1998, p. 205 ss., con nota di CARBONE e in Giur. it., 1998, c. 1783 ss. con nota di COSSU e in Guida al diritto, 1998, fasc. 21, p. 40 ss., con nota di A. FINOCCHIARO e in Rass. dir. civ., p. 1998, p. 880, con nota di VELLUZZI e in Dir. fam. pers., 1998, p. 1349 ss. e in Giust. civ., 1998, I, p. 1759 ss., che indica il diritto all'habitat domestico quale espressione di un principio immanente dell'ordinamento, prescindente da qualificazioni in termini di status del relativo titolare. In giurisprudenza di legittimità v., da ultimo, Cass. 18 settembre 2003, n. 13736, cit. In tal senso v. altresì SCARANO, L'assegnazione della casa familiare: presupposti e funzioni, cit., p. 618 ss.; SCARANO, La casa familiare, cit., p. 138 ss., ivi alla p. 140 ss. e passim.

(49) In particolare là dove si fa riferimento all'"interesse della comunità familiare, e specificamente della prole, alla conservazione dell'ambiente domestico".

(50) In tal senso v., da ultimo, Cass. 18 settembre 2003, n. 13736, cit.; Cass. 8 aprile 2003, n. 5455, cit.; Cass. 28 marzo 2003, n. 4743; Cass. 7 marzo 2003, n. 3434; Cass. 17 gennaio 2003, n. 661, cit.; Cass. 9 settembre 2002, n. 13065, in Dir. fam. pers, 2003, p. 36 ss, con nota di M.F. TOMMASINI; Cass. 22 aprile 2002, n. 5857, in Giust. civ., 2002, I, p. 1805 ss., con nota di FREZZA.In dottrina v. in particolare G. GABRIELLI, Il diritto di abitare nella casa già familiare dopo la dissoluzione della famiglia, cit., p. 1279 ss.; CARBONE, La soluzione sofferta delle Sezioni Unite: l'assegnazione della casa familiare presuppone la prole, in nota a Cass., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11297, in Fam. dir., 1995, p. 521, e in Giust. civ., 1996, I, p. 45, con nota di MARINELLI e p. 675 (m.), con nota di FREZZA; CECCHERINI, op. cit., p. 531.Per il rilievo che, diversamente dall'ipotesi di genitori coniugati ove è l'affidamento giudiziale a costituire il presupposto dell'assegnazione della casa, per i genitori non coniugati è la convivenza di fatto dei figli con il genitore, da cui l'affidamento automaticamente discende (art. 317-bis c.c.), a legittimare l'attribuzione v. G. GABRIELLI, I problemi dell'assegnazione della casa familiare al genitore convivente con i figli dopo la dissoluzione della coppia, cit., p. 137 ss., ivi alla p. 144.

(51) Per l'affermazione secondo cui, in ipotesi di separazione personale dei coniugi, l'assegnazione della casa familiare, in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, spetta di preferenza e ove possibile, e perciò non necessariamente, al coniuge cui vengano affidati i figli medesimi v., da ultimo, Cass. 11 aprile 2000, n. 4558, in Giur. it., 2000, p. 2235 ss., con nota di MASSAFRA e in Arch. civ., 2000, p. 831 ss.In dottrina, per l'ammissibilità dell'assegnazione anche al coniuge non proprietario o non titolare v., per tutti, C.M. BIANCA, op. ult. cit., p. 259 ss., ivi alla p. 260.

In ordine all'interesse del stesso coniuge non originariamente assegnatario a vedersi successivamente attribuito il diritto di abitare nella casa familiare, v. Cass. 2 aprile 1992, n. 4016; nonché amplius v. SCARANO, L'assegnazione della casa familiare: presupposti e funzioni, cit., p. 624 ss., ivi alle pp. 625 e 634 ss.

(52) V. SCARANO, La casa familiare, cit., p. 146 ss., ivi alla p. 151 ss.

(53) Sotto altro profilo, va osservato, si pone altresì la questione se il principio affermato dalle sezioni unite debba trovare applicazione anche nelle altre ipotesi in cui viene attribuito un diritto personale di godimento sull'immobile, e, trattandosi in particolare di locazione, se in difetto di determinazione della relativa durata, e considerandosi questa ridotta a 30 anni ai sensi dell'art. 1573 c.c., il godimento venga a cessare allo spirare del trentennio anche laddove la destinazione funzionale dell'immobile a casa familiare (del locatario o dell'assegnatario) in tale momento risulti non essere ancora venuta meno.

(54) In tal senso cfr. Trib. Roma 20 gennaio 1982, cit.: "La situazione di uno dei coniugi che abbia un titolo di godimento della casa destinato a cedere di fronte al diritto del terzo, non può mutarsi, con il provvedimento del giudice del divorzio (o della separazione), in posizione poziore, per il solo fatto che tale godimento venga trasferito all'altro coniuge come modalità di adempimento dell'obbligo di assistenza gravante sul primo coniuge".

(55) V. Cass. 17 ottobre 2001, n. 12655, cit. Conformemente v. Cass. 10 agosto 1988, n. 4921, cit. In argomento v. anche Cass. 8 ottobre 1997, n. 9775; Cass. 22 marzo 1994, n. 2750, cit.; Cass. 23 maggio 1992, n. 6213. Cfr. altresì Cass. 26 gennaio 1995, n. 929, cit.; Cass. 18 giugno 1993, n. 6804, cit.