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Simona Morani Simona Morani L’ultimo anno L’ultimo anno delle fate delle fate

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Simona MoraniSimona Morani

L’ultimoL’ultimo anno anno

delle fatedelle fate

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- Posso farti una domanda, Vera?- Dimmi.- Secondo te, una persona può essere davvero felice?Vera rimase qualche secondo a pensare, distesa sul suo letto, con le

sopracciglia aggrottate e lo sguardo fisso al lampadario della sua camera. Non si era mai posta questo problema, e a pensarci bene non era la persona adatta con cui fare filosofia, ma lei era l’unica amica di Giulio, e Giulio a queste cose ci pensava sempre.

Dopo qualche minuto, con un’espressione tipica di chi ha riflettuto intensamente, Vera concluse:- Sì. Ma non per molto.Giulio fece un sospiro di sollievo e con un enorme sorriso esclamò:- Grazie! Mi sei stata davvero utile! Era proprio quello che pensavo io, ma

non riuscivo a dirlo con le mie parole! Ora so finalmente come chiudere il mio ultimo romanzo!- Cosa? Hai scritto un romanzo?- chiese Vera sorpresa.- No – rispose l’amico soddisfatto - ma ho già in mente tutto l’intreccio, ed

ora anche la conclusione!- Interessante… Che storia avresti intenzione di raccontare?- continuò la

ragazza con un pizzico d’ironia. A quella domanda, Giulio scattò dalla sedia e agitando le braccia cominciò a gridare:- Oh, una storia di fantasia! Con magie ed incantesimi, rane che piovono

dal cielo, personaggi inquietanti e percorsi tortuosi in cui radici di alberi secolari si alzano per indicarti la strada sbagliata, e…- Scusa se t’interrompo - disse Vera alzandosi improvvisamente dal letto -

ma in tutto questo cosa c’entra la felicità? - C’entra e come!- esclamò il giovane- Perché dopo una lunga serie di

vicissitudini i protagonisti troveranno finalmente la pace, vivranno momenti meravigliosi, ma ecco che quando meno se lo aspettano…zacchete! Succede una catastrofe irreversibile che li travolge irrimediabilmente e qui…scatta il tuo finale! Ovviamente è tutta una metafora…bene, allora che te ne pare?

Attimi di intensa meditazione.- Ci sono delle ragnatele che penzolano dal lampadario.- rispose Vera, ma

rimediò subito dopo:

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- No, davvero, sono lusingata…dico sul serio. Sarò la prima a leggerlo, OK?

Giulio si strinse nelle spalle, ma sorrise subito dopo, perso in chissà quali riflessioni.

Fuori intanto il buio cominciava a nascondere le colline, gli alberi e le case dei vicini, tra cui anche quella di Giulio, che pensò che forse era giunto il momento di rincasare.- Perché non resti qui anche per cena?- chiese Vera, uscendo dalla sua

stanza per dirigersi verso la cucina.- No, questa volta no, non ho avvisato i miei genitori, sai quanto sono

apprensivi, magari facciamo un’altra volta, grazie.Vera accompagnò Giulio alla porta d’ingresso, pensando che sua madre se

ne era andata per l’ennesima volta senza lasciare nemmeno un biglietto, e di certo non le sarebbe importato niente se avesse cenato fuori casa senza darle un preavviso. Anzi, forse non se ne sarebbe nemmeno accorta. Ma cercò di non pensarci e rispose a Giulio:- D’accordo, come vuoi…allora, ciao! E dì ai tuoi di venire a trovarci

presto!Il ragazzo sorrise e disse:- Lo dirò sicuramente! Salutami Marta quando torna! - si girò per

andarsene, poi all’improvviso si voltò di nuovo verso Vera e domandò:- Sai una cosa?- Cosa?- Stavo pensando che è molto meglio avere un solo amico vero, piuttosto

che essere circondato da persone che non leggerebbero mai un tuo libro.Lei sorrise e lo guardò scendere le scale e sparire nel buio.

Il taxi si fermò davanti al cancello di ferro battuto di una villa antica, forse di fine ottocento. La portiera posteriore si aprì, uscì un uomo alto con un cappotto lungo e scuro, e subito dopo scese una donna che gli porse una valigia. I due si abbracciarono e si salutarono, poi l’uomo s’incamminò verso la lussuosa abitazione avvolta dall’ oscurità e la donna rientrò in fretta nell’auto, che ripartì poco dopo.

La donna si sistemò un ciuffo ribelle che le solleticava la fronte e cominciò a rosicchiarsi nervosamente le unghie guardando fuori dal finestrino. Aveva mille preoccupazioni in testa, ora che stava per tornare a casa. Viaggiare era sempre stata la sua passione, quando era una bambina si chiudeva nella sua stanza e stava per ore a guardare le illustrazioni dell’atlante geografico e sognava posti esotici, palme e pappagalli colorati, ma anche capitali europee come Parigi.

Fuori, le luci della città danzavano nel buio, e a Marta cominciò a battere forte il cuore, perché si stava avvicinando a casa. Erano sensazioni di disagio ed emozione, quelle tipiche di chi torna da un week-end a sorpresa in Costa Azzurra e prima ancora di rendersene conto, si ritrova davanti alle vetrine della propria città, davanti alla vita di sempre. Ma l’agitazione che le metteva sotto sopra lo stomaco era dovuta ad un altro motivo: era partita senza avvisare la figlia! Non che Vera non fosse abituata alle sue fughe improvvise, ma dall’estate precedente, quando avevano animatamente discusso perché era andata alle Seychelles con il suo insegnante di aerobica per due settimane senza avvisare, Vera si era fatta promettere da Marta che da quel

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momento avrebbe dovuto almeno informarla dei suoi programmi. E anche questa volta lei non aveva mantenuto la promessa. Si sentì una madre snaturata, e, presa all’improvviso dai sensi di colpa, estrasse dalla tasca della giacca il telefono cellulare e compose nervosamente il numero di casa, almeno per dire che stava per arrivare. Trovò la linea occupata, e pensò che forse era meglio così, visto che si sarebbero incontrate entro pochi minuti.

- Pronto?- Sorpresa!- Papà…Come stai? E’ molto tempo che non ci sentiamo!- Lo so, ho avuto un impegno di lavoro, e ho dovuto lavorare giorno e

notte, non me ne parlare! Ma ora ho trovato un po’ di spazio anche per me stesso, e infatti ti ho chiamata per chiederti se ti andrebbe di vederci, magari sabato prossimo!

Vera fece una smorfia di dolore, e visitò velocemente tutto il repertorio di giustificazioni plausibili per trovarne una che non avesse ancora usato.- Accidenti! Proprio sabato ho l’appuntamento con l’estetista! Questa

davvero non ci voleva! Mi dispiace, non si potrebbe fare un’altra volta?- D’accordo- rispose Vittorio con aria rassegnata – è giusto che ti fai bella

per tutti i giovanotti che ti ronzano attorno! Mi ricordi tua madre quando aveva la tua età! A proposito, Marta è in casa?- No…veramente è al lavoro…- Strano…avrei giurato che anche lei avesse preso qualche giorno di ferie

per festeggiare il nuovo anno!La ragazza esitò un attimo poi rispose prontamente:- Sai, a quanto pare non sei l’unico ad avere gli straordinari!

Vittorio scoppiò a ridere:- Hai anche il suo stesso carattere! Va bene, mi arrendo, ora ti devo

lasciare. Mi raccomando, quando hai voglia di vedermi sai dove trovarmi! Ciao e buon anno nuovo!- Grazie! Auguri anche a te! A presto!Vera appoggiò il ricevitore e una grande tristezza la pervase. Perché aveva

detto quella bugia a suo padre? Erano quasi due mesi che non si vedevano, a parte un breve saluto il giorno di Natale, eppure, non aveva accettato l’invito. Lui aveva sempre cercato di starle vicino, e nonostante lei sapesse cosa volesse dire sentirsi trascurati, non lo degnava di uno sguardo. Quello che però, le faceva ancora più rabbia, era il fatto di avere nascosto a tutti la partenza della madre. Aveva sempre trovato una giustificazione alle assenze di Marta e non riusciva a capire il motivo di questo suo comportamento: forse si vergognava di avere una madre così menefreghista, o forse, proprio questo tentativo di difenderla sempre e comunque, era in realtà il tentativo di negare a se stessa quelle fughe improvvise. Non ci voleva pensare; Vera non era come Giulio, lei non si fermava mai a pensare a ciò che la faceva soffrire.

Quando bussarono alla porta, Vera stava sonnecchiando sulla poltrona del salotto, davanti alla televisione accesa. Si addormentava sempre dopo cena. A quel rumore balzò in piedi spaventata, ma si tranquillizzò sentendo una voce femminile provenire dall’ingresso :- Tesoro! …che sbadata…ho perso le chiavi!

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Marta era tornata. La ragazza ebbe un moto di felicità che le sconvolse lo stomaco, ma ripensando al comportamento della madre, trattenne l’emozione e andò ad aprire con una espressione di disapprovazione dipinta in volto.- Bentornata mamma!- fece con sarcasmo, ma per un attimo non riuscì a

mascherare il suo stupore davanti alla sua bellezza.La donna, per nascondere le preoccupazioni che l’avevano perseguitata

per tutto il percorso in taxi, travolse la figlia con le parole.- Lo so, lo so, lo so, Tesoro, non dire niente, ti prego! E’ stata tutta colpa

mia, hai ragione, ma è successo tutto così in fretta…chi avrebbe potuto aspettarselo da James! Quando l’ho saputo, era già sotto casa, tu stavi dormendo…non ho avuto il tempo per…e, poi, Tesoro, non era assolutamente da rifiutare una proposta così… Capodanno in Costa Azzurra…ah, che splendore!

Mentre pronunciava queste parole, andava avanti e indietro con la valigia in mano, poi decise che era meglio fermarsi, andò a gettarla sul letto, tornò in cucina sempre parlando e scuotendo la testa, ed esausta si buttò sulla poltrona.- Allora mi perdoni?- concluse trafelata.Vera apprezzò lo sforzo con il quale Marta aveva cercato invano di

discolparsi e pensò anche che sarebbe stato completamente inutile arrabbiarsi con lei. Alla fine le sorrise dicendo:- Non cambierai mai! Comunque non ti preoccupare. Sono contenta che

tu sia qui ora. Ma, chi sarebbe questo James? Credevo che questa volta tu fossi partita con Carlos!- Chi? Intendi l’insegnante di latino-americano? Tesoro, ti devi

aggiornare! No, non è proprio il tipo che fa per me! Con lui ho chiuso da un pezzo. E avevo anche pensato di non lasciarmi coinvolgere da altre storie sentimentali, ma con James non ci sono riuscita. E’ il nuovo Direttore di banca, sua madre è di Los Angeles e il padre era un conte, dovresti vedere che villa che gli ha lasciato in eredità! In realtà non l’ho ancora vista all’interno, ma dal cortile si direbbe fantastica! Comunque non è lontano, é proprio qui, in periferia, un giorno, magari andiamo a vederla meglio!- poi, vedendo la faccia perplessa della figlia cambiò argomento- E tu cosa mi racconti? Hai fatto qualcosa di interessante in questi giorni? Dimmi, come stanno Anna, Maurizio e Giulio? - Bene! Giulio è stato qui proprio questo pomeriggio, ma non è potuto

rimanere per cena. L’ultimo dell’anno siamo andati ad una festa privata, c’era anche Federico, ci siamo divertiti, anche se alla fine eravamo tutti un po’ allegri!- Come? Anna e Maurizio hanno permesso a Giulio di andare ad una

festa? - Sì, però il cenone lo hanno fatto tutti insieme a casa. Hanno invitato

anche me, ho detto che tu eri uscita con delle colleghe di lavoro, e, pensa, ho rivisto Camilla dopo un sacco di tempo, anche se, come sai, l’atmosfera non è stata delle migliori… Siamo arrivati a quella festa che era già l’una, ma siamo tornati abbastanza presto.

Marta si sollevò e guardò Vera con tenerezza. Anche questa volta aveva perdonato la sua superficialità.- Buon anno, Tesoro!- Buon anno, mamma!

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- E’ tardi, domani ricomincia un’altra settimana di duro lavoro. Però non mi va di andare subito a dormire, perché non rimani a guardare la televisione qui con me? Magari ti racconto qualcosa della Costa Azzurra!

Vera annuì e corse in camera a prendere il piumone: le veniva sempre freddo quando stava sul divano, la sera.

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Il lunedì è sempre stato il giorno della settimana più sofferto per Vera che amava dormire fino a tardi. I suoi studi liceali non le avevano portato una grande carriera, si era accontentata di un impiego part-time come commessa in una profumeria in centro. Effettivamente non era proprio malaccio, fin da quando era bambina amava truccarsi e truccare le amiche e sapeva dare buoni consigli su qualsiasi cosa riguardasse il maquillage e la cura del corpo. Evidentemente, quando si era presentata per chiedere informazioni, Angela, la responsabile del negozio, doveva aver fiutato subito la sua passione e l’aveva assunta nonostante la sua esperienza praticamente inesistente. Erano diventate presto buone amiche, e anche con Andrea, l’altra commessa, c’era un ottimo rapporto. Spesso si fermavano tutte e tre a chiacchierare davanti al portone d’ingresso dopo l’orario di chiusura e ognuna raccontava le proprie peripezie quotidiane facendosi delle grandi risate. Sembrava di tornare tra i banchi di scuola, quando, durante l’intervallo o all’uscita ci si incontrava con le compagne per rilassarsi un po’. A volte Vera si stupiva di quella leggera malinconia che la prendeva pensando ai suoi compagni, ai professori e alle scritte colorate che appendevano alle pareti. Era passato soltanto poco più di un anno dal ritiro del suo diploma e lei aveva rinunciato al mondo della scuola, perché era sempre stata una ragazza pigra, e quando aveva chiesto un consiglio a sua madre per la facoltà da intraprendere, lei stava facendo le valigie per Malta ed era già là con la mente.

Alla fine, si consolava pensando che dopotutto non era una scelta definitiva, non era mai troppo tardi per iscriversi all’università, e poi, non amava piangersi addosso.

Quindi, dopo qualche ricordo, ritornava ad essere la ragazza sorridente di tutti i giorni e continuava a scherzare con le amiche. Quel lunedì, però, non capitò niente del genere.

Al mattino presto, appena era entrata nel negozio, la fragranza dei profumi e dei cosmetici si era trasformata all’improvviso in un tanfo insostenibile che le aveva invaso la gola e lo stomaco provocandole una nausea fastidiosa per tutta la giornata. In più si era aggiunto un forte giramento di testa e dovette più volte uscire a prendere una boccata d’aria per riprendersi un po’. Non aveva fatto altro che attendere l’orario di chiusura del negozio e quando, all’uscita, Angela e Andrea le chiesero se voleva rimanere un po’ con loro come al solito, lei rifiutò. - Vera, forse è meglio che tu domani stia a casa, sembri uno straccio. Non

ti preoccupare per noi, l’importante è che tu prenda un giorno di riposo.- le disse Angela con tono materno, vedendo il pallore sul volto della ragazza. - Grazie, ma non ce n’è bisogno, domani starò certamente meglio. Ora

vado, così dormo un po’ e domani mattina sarò di nuovo in forma.Detto questo, Vera salutò le due amiche, prese la sua bicicletta sul retro e

si avviò verso casa.Mentre stava lentamente pedalando per le viuzze un po’ meno inquinate

del centro, si ricordò dell’appuntamento ai giardini con Federico, che a quell’ora usciva dall’impresa edile in cui lavorava. Non era per niente dell’umore adatto per vederlo, e sicuramente lui sarebbe andato su tutte le furie nel vederla arrivare con mezz’ora di ritardo. Ma, pensandoci bene,

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concluse che sarebbe stato meglio presentarsi in ritardo piuttosto che non presentarsi affatto. - Dove sei stata in tutto questo tempo? Perché arrivi cos’ tardi? – la

aggredì Federico prima ancora che la ragazza si fermasse davanti a lui.Vera respirò profondamente, perché sapeva perfettamente come sarebbe

andata a finire. Federico aveva un gran brutto carattere, soprattutto appena uscito dall’ufficio. Appoggiò la bicicletta a un albero, con calma per prendere tempo, per riuscire a rubare ancora un filo d’aria e pensare ad una risposta capace di contenere quella discussione animata che già si respirava e che di certo le avrebbe fatto aumentare il giramento di testa. Ma era troppo stanca e decise di rispondere con sincerità.- Scusami, oggi non mi sento molto bene. Ho come un senso di vertigine

che mi opprime da stamattina e per un attimo mi ero dimenticata del nostro appuntamento. Però ora sono qui, scusami ancora per il ritardo.

Vera si accorse subito di avere scelto le parole sbagliate: se c’erano due parole che non bisognava pronunciare davanti a Federico erano proprio “ritardo” e “dimenticanza”. Ma ormai non si poteva più rimediare.- Lo immaginavo! – sbuffò lui- Ti sei dimenticata che ci dovevamo vedere!

Come è possibile una cosa del genere? Scommetto che ti sei fermata a chiacchierare con qualcuno e adesso mi racconti la storiella del mal di testa che raccontavo io quando andavo a scuola! E credi anche che io la beva! E’ veramente ridicolo! Sei proprio una bambina!- Non ho affatto voglia di litigare! Ti ho detto che sto male e non vedo

perché dovrebbe essere una bugia! Perché deve essere sempre così?- Potrei farti la stessa domanda.- Non riesci mai a credermi…Pensa come vuoi, io ti ho detto la verità. Ora

sta a te valutare. Se devo rimanere qui a discutere, allora me ne torno a casa. Se hai dei problemi al lavoro perché devi sempre sfogarti su di me?- Ora fai la vittima? Mi manchi di rispetto e ti comporti come se fosse

colpa mia?Vera non aggiunse altro. Decise di tornare a casa perché lo sguardo così

amareggiato e le frasi dure del ragazzo le avevano procurato una fitta allo stomaco e sembrava che il senso di nausea a poco a poco avesse cominciato a scalciare nuovamente dentro di lei. Prese la bicicletta e ripartì, salutando Federico mestamente. Lui intanto, con finta indifferenza si voltò e si avviò verso la parte opposta.

Le persone camminavano indaffarate per la via, ognuna con i propri pensieri che svolazzavano leggeri e s’impigliavano alle borse della spesa, agli ombrelli chiusi e ai lunghi cappotti degli altri passanti. Anche Vera pensava, pensava a tante cose, sfiorando la gente con la bicicletta e pedalando meccanicamente. Era confusa e voleva soltanto entrare nella sua camera e dormire, senza preoccuparsi di niente e di nessuno. Come aveva potuto credere che Federico non si sarebbe arrabbiato? Era stata una povera illusa, e ora non faceva altro che ripensare alle parole dure che si erano brevemente scambiati. Non avrebbe voluto litigare, era stata davvero una sciocchezza, non c’era nessun motivo di prendersela così tanto. Avrebbe potuto insistere ancora un po’ invece di fuggire via dopo pochi minuti, sapeva che Federico alla fine l’avrebbe scusata, le avrebbe raccontato la sua giornata e, forse, anche offerto una cena in centro a lume di candela. Invece non era successo niente di tutto questo, e lei se ne tornava a casa confusa e con un nodo soffocante alla gola.

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Giulio si era addormentato quasi subito dopo la partenza del treno. Si era seduto al solito posto, in fondo, dal lato del finestrino, per poter appoggiare la testa e sonnecchiare un po’. Era sempre stanco quando tornava dall’università e il viaggio di ritorno sembrava ancora più lungo. Il viavai dei passeggeri, le risate dei bambini e i fischi acuti del treno non lo disturbavano più di tanto, ci aveva fatto l’abitudine e poi gli facevano compagnia. Fu il controllore a svegliarlo, perché ormai, conosceva la sua fermata. Giulio, stropicciandosi gli occhi, lo ringraziò, prese lo zaino e corse verso l’uscita.

Era stata una buona giornata, la ricerca bibliografica procedeva per il meglio, anche se si dispiaceva un po’ di non essere riuscito a dire nemmeno una parola alla ragazza che aveva incontrato in biblioteca, nel settore dei libri storici, i suoi preferiti; era davvero molto carina e non l’aveva mai notata prima di allora. Ma Giulio era sempre stato un ragazzo svampito e distratto, e per questo, ma anche per la sua sensibilitá, i compagni di scuola lo avevano sempre deriso e umiliato. Soltanto Vera le stava vicino, nonostante il suo carattere un po’ ambiguo, i suoi sbalzi d’umore, la sua ingenuità nell’affrontare i piccoli problemi quotidiani. Questo pensiero lo sollevò e un attimo dopo si era già dimenticato della nuova compagna di banco. Raggiunta la via di casa, decise di fare un salto da Vera prima di cenare. Quando suonò il campanello le rispose Marta.- Ciao, Giulio! Come stai?- Bene, grazie. Vera è in casa?- Sì…ma non si sente molto bene…secondo me, problemi di cuore…-

rispose lei facendo l’occhiolino.- Sali. Sicuramente le farà piacere vederti.Quando il ragazzo entrò nella camera di Vera, la trovò distesa sul letto con

i capelli che le nascondevano completamente il viso.- Disturbo?- No…entra… Cosa ci fai qui?- Niente. Passavo. Marta mi ha detto che c’è qualcosa che non va.- Come? Se ne è accorta? Non l’avrei mai detto! In ogni caso, niente di

grave.- Scommetto che Federico ne sa qualcosa…- azzardò Giulio.Vera sospirò.- Indovinato. Sono arrivata in ritardo ad un appuntamento…sai come è

fatto.- Capisco. L’hai chiamato?- Per quale motivo? Non ho niente da dirgli e poi non sono affatto

preoccupata. Quando si sarà sbollito sarà lui a telefonarmi.Giulio rimase un po’ in silenzio con l’aria di chi la sa lunga e infine

domandò:- Se dici di essere così serena, perché non stai cenando con tua madre?La ragazza scattò in piedi spazientita:- Non è per questa faccenda! In realtà non mi sento bene fisicamente, il

solo odore di cibo mi fa letteralmente impazzire! Federico ha soltanto peggiorato il mio umore, tutto qui!- OK, ho capito, scusami se ho insistito. Ora vado a casa, ci risentiamo

quando ti sentirai meglio. Magari passa tu da me quando hai voglia.

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In quel momento suonò nuovamente il campanello e Marta corse ad aprire. La sua voce allegra si confuse con un’altra maschile, decisamente più bassa. Subito dopo la porta si richiuse, e la donna urlò dall’ingresso:- Vera! C’è qualcosa per te!La ragazza si precipitò fuori dalla stanza seguita da Giulio. Marta la

aspettava con un enorme mazzo di rose gialle in mano.- Tesoro, come ti invidio! Speravo che fossero per me…da parte di James!

Ma tu sei stata più fortunata! Dài, leggi il biglietto! – la incitò entusiasta, senza però nascondere un pizzico di invidia. Anche Giulio era ansioso e si mordicchiava le unghie. Vera cercò di camuffare alla meglio l’emozione e lesse a voce alta il biglietto.- “ Perdonami. Sono stato uno stupido a trattarti così. Con l’amore di

sempre. Federico.” Contenti adesso?- disse infine commossa.- Oh, Tesoro! Non so cosa sia successo tra voi, ma mi sembra che

Federico abbia saputo farsi perdonare!- esclamò la madre in un largo sorriso.Giulio deglutì sorridendo, e la ragazza pensò che fosse per l’emozione.Infine, lo accompagnò alla porta augurandogli una buona serata e se ne

tornò in camera sua con il cuore leggero. Prese le rose, le osservò e contemplò la loro vellutata bellezza, poi avvicinò il viso per cogliere il loro fresco profumo, ma quando le sue narici inspirarono, l’odore divenne all’improvviso un lezzo soffocante e fece giusto in tempo a raggiungere il bagno prima di combinare un vero pasticcio.

L’ aula magna era colma di studenti e il professore parlava al microfono con una voce calda, ferma, tranquilla, piena di consapevolezza. Era il professore preferito di Giulio che se ne stava seduto in prima fila per non perdersi nemmeno una parola e riportava ogni frase sul suo quaderno degli appunti, velocemente e nervosamente. L’uomo stava spiegando il periodo del secondo dopoguerra, i problemi della ricostruzione politica ed economica dei principali paesi europei, le tensioni sociali fino al formarsi dei due blocchi tra occidente ed oriente, la cosiddetta “Guerra fredda”. Nell’ aula c’era un leggero brusio, un tenue rumore di penne stilografiche al lavoro e di pagine sfogliate. Ancora pochi minuti e la lezione sarebbe terminata.

- Psst….psst…ehi, Mori…- sussurrò una voce dietro all’ orecchio di Giulio. Il ragazzo

finì di scrivere una frase, poi si girò incuriosito. Era Matteo, che con fare speranzoso chiese al compagno:- Dopo mi passi i tuoi appunti? Te li riporto subito, faccio soltanto un paio di fotocopie, d’ accordo?Giulio sorrise e rispose:- Certo, come sempre! – L’ amico gli diede una pacca sulla spalla e tornò a sfogliare il settimanale di automobili che guardava attentamente sotto il banco.

- Bene ragazzi, per oggi ci fermiamo qui. Arrivederci e grazie per l’ attenzione.- Il

professore spense il microfono e cominciò a riporre i suoi libri nella cartellina nera appoggiata alla sedia accanto a lui. Tutti gli studenti si affrettarono a mettere le loro cose negli zaini e nelle borse e si accalcarono verso le uscite. Giulio si preparò con calma, non aveva nessuna fretta di tornarsene a casa.

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Matteo lo aspettava impaziente nel cortile interno dell’università. Giulio lo raggiunse con i fogli in mano e insieme andarono nella sala delle fotocopiatrici.

- Mori? Giulio si girò di scatto e si ritrovò davanti il suo professore di inglese.

- Salve Professor Harrison, cerca proprio me?- Sì, Le vorrei parlare un momento, se ha un po’ di tempo potremmo andare nel mio studio.Il ragazzo si girò verso Matteo che annuì col capo e gli restituì il quaderno ringraziandolo.

I due salirono insieme le scale e raggiunsero l’ ufficio del professore al secondo piano a destra. L’ uomo lo fece accomodare ed arrivò subito al punto. - Non la trattengo più di tanto. Volevo soltanto chiederle se ha saputo dei nuovi bandi per le borse di studio per l’ Inghilterra. - Veramente no…di cosa si tratta? - Sono due posti all’ università di Cambridge per l’ anno prossimo. Io sono il coordinatore. So che sono pochi posti ed è molto difficile vincerli, ma credo che lei abbia tutte le carte in regola per fare un tentativo…lei è uno degli studenti migliori che abbiamo, e questa sarebbe davvero un’ esperienza unica… Giulio si sentì emozionato e lusingato da quella proposta. Il suo pensiero andò subito a Camilla che aveva deciso due anni prima di trasferirsi in Inghilterra per studiare e i loro genitori avevano preso questa scelta come un abbandono e non l’ avevano ancora perdonata.

- Sarebbe davvero interessante…ma, non so se sia il caso, la mia famiglia non lo

accetterebbe mai…- Ci sono problemi seri per cui stare a casa?- No…- rispose il ragazzo scuotendo la testa- Il fatto è che i miei genitori sono molto

possessivi e vorrebbero che io e mia sorella rimanessimo in casa con loro tutta la vita…

- Ma lei ha più di venti anni! E poi studiare in una università prestigiosa come questa

dovrebbe renderli davvero orgogliosi di lei…- Non è così semplice…

Il professore abbassò lo sguardo sulla penna con cui stava giocherellando, pensò qualche istante poi disse:- D’accordo, non voglio entrare nella sua sfera privata, ma vorrei soltanto ricordarle che è ormai adulto, è capace di prendere decisioni in autonomia, soprattutto se si tratta del suo futuro. Si ricordi che a volte è meglio fare scelte che possono dare dispiacere a qualcun altro piuttosto che rinunciarvi e portare con sé il rimorso per sempre… bene, ci pensi, non voglio trattenerla oltre, le do una copia del modulo di iscrizione, ha ancora un po’ di tempo per consegnarla. Mi raccomando, ci rifletta bene. Giulio prese il modulo con mano tremante.

- La ringrazio davvero tanto, professore. - Di niente. Arrivederci.I due si strinsero la mano, poi il ragazzo uscì, scese la scale e si ritrovò

di nuovo nel cortile interno. Guardò l’ orologio e si accorse di essere in

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tremendo ritardo per la partenza del treno. Corse verso la stazione, evitando i passanti davanti alle vetrine, ragazzi in bicicletta e anziani in passeggiata prima di rientrare per cena. Attraversò la piazza della stazione, passò attraverso le file davanti alle biglietterie, s’infilò nel sottopassaggio e si ritrovò al binario quattro dove il tabellone annunciò che il treno per Reggio Emilia era appena partito.

-Maledizione!- esclamò il ragazzo buttando lo zaino per terra. Tirò fuori dalla tasca il cellulare per avvisare i suoi genitori che sarebbe arrivato in ritardo, ma una voce femminile registrata rispose che purtroppo il credito residuo non era sufficiente per la chiamata desiderata.

- Maledetti aggeggi del duemila!- Fece il giovane ancora più innervosito premendo tasti a casaccio. Poi cercò di calmarsi, tanto ormai non c’ era altra scelta che aspettare il treno che sarebbe passato cinquanta minuti dopo. Si guardò intorno e vide una panchina a poche decine di metri. Si sedette accanto ad una donna cinese che stava fumando una sigaretta. Alla sua sinistra due signori magrebini chiacchieravano in arabo a voce molto alta. Giulio aprì lo zaino e tirò di nuovo fuori il modulo. Voleva soltanto guardarlo meglio da vicino. Lesse il titolo del bando “ Bando per la borsa di studio per la Cambridge University, Anno Accademico 2003/2004”. Lesse il nome “Cambridge University” mille volte, lentamente, come per assaporare meglio il suo significato, come per cercare dietro ad ogni lettera scritta in grassetto un’ immagine di quel posto, di cui aveva tanto sognato dai primi anni del liceo. Lesse anche le tre pagine di domande allegate e sentì subito il desiderio di prendere la penna e compilarle, così, per curiosità, per vedere che effetto facevano piene di inchiostro nero. Analizzò parola per parola per tutto il percorso in treno e a piedi fino al cortile di casa sua, dove nascose il modulo dentro al quaderno di Storia dell’Europa. Come si aspettava, Anna e Maurizio erano già a tavola, con le facce imbronciate.

- Come mai arrivi a quest’ora? Come al solito fai quello che ti pare…- lo rimproverò

la madre.- Ho perso il treno e non avevo più soldi nel cellulare per chiamarvi.- Non esistono più le cabine telefoniche?- lo attaccò sarcastico il padre.- Potevate tranquillamente cenare senza di me.- continuò Giulio togliendosi la giacca.- Ah sì? E poi tu cosa mangiavi? La pastasciutta riscaldata fa schifo…- Avrei preparato qualcos’ altro da solo!- Tu? Ma non dire fesserie! – rise Anna- se non sai nemmeno farti due uova…- Certo, perché ci sei tu che mi soffochi, sei onnipresente, mi precedi in tutto quello

che faccio…- Maurizio, senti cosa dice tuo figlio! - Ora basta!- tagliò corto il padre- a tavola si mangia tutti insieme.

Giulio non rispose e andò in camera sua a cambiarsi.

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Erano già passate le otto di sera quando Marta rientrò in casa. Vera la stava aspettando davanti alla tv, sgranocchiando una carota, come spesso faceva dopo avere preparato la cena e creduto invano che la madre sarebbe tornata puntuale. Aveva preparato gli gnocchi di patate, i preferiti di Marta e per secondo cosce di pollo con insalata di pomodori. - Che profumino Tesoro!- Esclamò la donna entrando in cucina piena di

borse tra le mani. - Avevo preparato il tuo piatto preferito, ma credo che nell’ attesa si sia un

po’ appassito…-disse sconsolata la figlia.

Marta guardò l’orologio, poi rammaricata, rispose:- Mi dispiace tanto, avrei dovuto avvisarti che

facevo tardi…per tirarti su il morale ti faccio vedere cosa ho acquistato: guarda questa gonna…non è meravigliosa?- chiese, tirando fuori da una borsa una gonna blu scura, abbastanza corta ed elegante.- Davvero bella, deve starti molto bene addosso…- disse Vera rassegnata.- Ma non è tutto…guarda questa borsetta…è semplicemente strepitosa!

Pensa che costava ben cento euro, ma in saldo l’ho pagata la metà! Che affare! Ed infine…preparati, Tesoro, questa è la parte migliore…le scarpette coordinate!- estrasse dall’ ennesima scatola un paio di scarpe con il tacco a spillo, nere, con un disegno sul lato, una rosa intagliata nella pelle, la stessa disegnata in basso a sinistra sulla borsetta.- Decisamente chic, mamma, vuoi fare strage di uomini?- Chiese Vera

ridendo. Marta rispose con aria sognante:- No, ora ho James, tutti gli altri sbiadiscono accanto a lui…- Se lo dici tu…

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- Ma basta con le ciance…ho una fame tremenda, forza, andiamo a mangiare!

Si abbuffarono e pulirono anche le ultime briciole di quello che Vera aveva preparato e, sazia, si sentì molto soddisfatta del risultato.- Tesoro…-disse Marta con la bocca piena:- Tu sì che sai cosa vuole dire

cucinare, non come me che tra i fornelli combino soltanto guai! - Non essere così tragica, le torte in fondo ti vengono abbastanza bene…-

rise Vera.Marta ringraziò ridendo per il conforto, poi chiese: - Che fai stasera, esci?- Perché? E’ lunedì, non c’è niente di interessante in giro. Credo che

rimarrò qui a guardare un film con Federico e poi me ne andrò a dormire, sono distrutta. - Che film?- Un film d’ amore. Marta fece una smorfia, alzandosi in piedi e raccogliendo tutti i suoi acquisti:- Io invece

purtroppo, devo scappare, devo andare da una mia collega di lavoro per un nuovo progetto, sono già in super ritardo…- andò a passo spedito verso il bagno dove rimase per una decina di minuti poi riuscì e prendendo la giacca e la valigetta al volo salutò Vera di gran fretta e si volatilizzò. La ragazza rimase un po’ dispiaciuta in piedi in mezzo alla stanza a guardarsi intorno, poi iniziò a sparecchiare la tavola e ficcò tutto in lavastoviglie. Si sentiva un po’ sola e la nausea stava tornando, ma si consolò sapendo che Federico sarebbe arrivato entro pochi minuti.

Il citofono suonò poco dopo, e la voce di Federico tranquillizzò la ragazza. Aprì la porta e scese le scale del cortile. Poteva vedere la sua sagoma in attesa davanti al cancello, illuminata dal chiaro di luna e dal riflesso della neve che copriva il giardino. Lui stava fermo, alto e imponente ad aspettare un suo abbraccio come facevano di solito per salutarsi. Lei arrivò e gli buttò le braccia al collo senza dire una sola parola. Lui rispose all’ abbraccio stringendola ancora più forte, mentre i loro respiri diventavano sottili nuvolette bianche che si diffondevano nel gelido della notte. Poi tremando dal freddo lo prese per la mano e lo portò in casa. Il calore del salotto li avvolse dolcemente e Vera gli sfilò il cappotto e lo portò sull’ appendiabiti nel corridoio. Quando tornò Federico si era già tolto le scarpe, disteso comodamente sul divano e stava guardando la televisione con il telecomando in mano. Lei lo raggiunse e gli si arrotolò contro la pancia come un gattino in cerca di un posto sicuro. Il film era appena cominciato, una donna con un abito lungo color rosa antico aspettava su una panchina di pietra l’ arrivo del suo promesso sposo. Il vento le scompigliava i capelli, ma l’ aria era caldissima, il sole cocente e si riparava dalla luce con un ombrellino chiaro circondato di pizzo. - Non mi hai ancora detto come stai…- Bene. E tu, stai bene?- Sì. Sei stanco?- Sì. Ho anche mal di testa. Tu?- Anche io, un po’.

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L’uomo arrivò subito dopo, curioso di conoscere la donna che la sua famiglia aveva deciso di dargli in moglie. Indossava un completo grigio chiaro, e un cappello dello stesso colore. Si avvicinò lentamente alla ragazza che si nascondeva il volto con il parasole, tolse una mano dalla tasca e la porse alla donna in segno di saluto. Lei a sua volta mosse la sua mano verso di lui e spostò l’ ombrellino mostrando il suo sorriso e i suoi meravigliosi occhi verdi. L’uomo rimase sorpreso dal suo fascino.- Oggi com’è andata al lavoro? - Non ne parliamo, sempre la solita storia.- Il capo era nervoso?- Sì, oggi più del solito.- E’ successo qualcosa?- No, ma cambiamo argomento non ha senso parlarne.- Perché no?- Perché tu di queste cose non ne sai niente, sei troppo giovane e

inesperta per capire come gira il mondo… - Potresti spiegarmelo tu come gira il mondo, così dopo possiamo

parlarne…- Un’ altra volta, magari…non pensiamoci adesso, voglio stare soltanto

tranquillo qui vicino a te e sentire il calore del tuo corpo…I due passeggiavano nel roseto del giardino della villa di lui, poi le mostrò i vigneti della sua

famiglia e la foresta dove amava andare a caccia col padre e i cugini. Lei era silenziosa, ma la sua bellezza valeva più di mille parole. Vera accarezzava il braccio di Federico che le cingeva la vita. La sua testa stava appoggiata alla pancia di Federico e poteva sentire il suo respiro e il battito del suo cuore. Pensava a tante cose e le parole dei personaggi del film e la melodia di sottofondo diventavano quasi impercettibili. - Sai una cosa? –disse all’improvviso trasportata dalle sue riflessioni- Sono proprio stanca del mio rapporto con mia madre! Voglio dire… tra di noi le cose vanno benissimo, siamo sempre allegre, parliamo volentieri insieme quando ci vediamo…il fatto è…che non ci vediamo mai! O di sfuggita, tra un suo impegno e l’ altro, tra un suo nuovo uomo e un altro, tra un nuovo acquisto ed un altro…a volte mi piacerebbe prenderla, bloccarla, legarla ad una sedia e dirle tutto quello che penso, tutto quello che ho fatto, detto e pensato in questi venti anni e che non ho avuto il tempo di dirle. E poi, alla fine del mio monologo, vorrei anche ricordarle che io, Vera Damiani, sono sua figlia, ripeto, sua figlia, non un’ amica con cui andare dalla parrucchiera per commentare gli ultimi pettegolezzi! Ti sembra normale il nostro rapporto? No, te lo dico io, non è normale…quale madre in questo mondo si comporta come lei? Prendi tua madre per esempio: anche se ora abiti da solo, ti telefona quasi tutte le sere, ti chiede se hai bisogno di qualcosa, ti invita a pranzo alla domenica, ti fa dei regali per Natale e compleanno…voglio dire, è normale, no?…anche la madre di Giulio, si preoccupa continuamente per lui: d’ accordo, forse eccessivamente, ma almeno si ricorda di avere dei figli! Marta va e torna quando vuole, naturalmente senza avvisare, si dimentica addirittura le chiavi di casa, figuriamoci i compleanni! Quando è in casa per più di due ore c’è sicuramente qualcuno con lei…e non posso di certo stare tra loro a fare il terzo incomodo! Ti rendi conto? Sono io che dovrei farle da madre e non il

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contrario! Ma ho deciso: questa situazione deve cambiare al più presto, non so ancora come, ma una soluzione drastica la troverò! Secondo te faccio bene? Nessuno rispose. Soltanto i personaggi sul teleschermo litigavano tra di loro. L’uomo aveva preso la ragazza per le braccia e le stava chiedendo di dargli un’altra possibilità. Lei strinse i pugni e cercò di divincolarsi dalla stretta urlando di lasciarla in pace. Poi arrivò un uomo distinto, anziano, vestito molto elegante, forse il padre di uno di loro, e i due si zittirono improvvisamente.- Federico? Vera sollevò la testa dalla pancia del ragazzo e cercò il suo volto: illuminato dalla luce tremula e

azzurrognola della televisione, Federico dormiva indisturbato.

Mancavano pochi minuti alla chiusura della segreteria e la lunga fila di studenti partiva dallo sportello accanto alla porta d’ ingresso dell’ufficio e finiva là fuori, percorreva il cortile interno e si esauriva al di là del portone principale della facoltà. Quasi mezzogiorno. Dieci minuti e tutto sarà fatto. Dieci minuscoli minuti per prendere la decisione definitiva, per cominciare a fare il conto alla rovescia. Giulio stava in fila impettito come un soldatino inesperto per cercare di camuffare le sue incertezze. Teneva il modulo dell’ iscrizione composto da quattro fogli tra le mani, tra i pollici e gli indici di quelle mani sudaticce e insicure che ora lasciavano un alone appiccicoso su quella carta preziosa. Cercò di non stropicciarla e intanto soffiava sui palmi per asciugarli. La ragazza con la coda di cavallo scura e folta davanti allo sportello consegnò una cartellina e se ne andò lasciando un buco vuoto nella fila che venne subito occupato dal ragazzo con gli occhiali cerchiati d’ oro che la precedeva. Un passo avanti per tutti. Giulio sentì piccole e leggere goccioline inumidirgli la fronte, prese dalla tasca il fazzoletto che Anna gli aveva ricamato quando era piccolo e si asciugò. I suoi pensieri viaggiavano al di là di quello sportelli, oltre il via vai delle segretarie, oltre le giovani teste che formavano la fila come una scia di diligenti formichine al lavoro, oltre il mare, con le ali della fantasia e della speranza. Un altro posto vuoto nella fila. Un passo avanti. Camminava in un parco inglese, in autunno, il vento freddo della sera gli agitava i capelli ricci e i lembi del cappotto scuro. Le sfumature arancio, castane e gialle delle chiome degli alberi e dell’erba secca e debole del prato erano esaltate dalla luce rosata ed immensa del tramonto. Il vento portava con sé una pioggerella di foglie secche, arrotolate e piegate su loro stesse, come se non volessero accettare il loro imminente, triste destino; cadevano lente, un po’ storte, disegnando nell’aria riccioli d’oro e al contatto con il terriccio del sentiero facevano un quasi impercettibile fruscio. I passi di Giulio erano silenziosi e lasciavano alle sue spalle solchi allungati nella terra fine. Nell’aria viaggiava una melodia soffusa. Note malinconiche di Brahms. Cercò di capire da dove provenisse quella musica e si guardò intorno. Solo i colori dell’autunno lo circondavano. Cominciò a correre seguendo il sentiero, c’ era un bagliore laggiù in fondo, tra le fronde degli alberi. Continuò a correre, non sentiva nessuna fatica, le sue membra si muovevano leggere, sciolte, distese, il suo cuore era tranquillo, l’ animo felice. Gli alberi si aprirono offrendo un immenso prato smeraldo, ondulato, l’ erba cortissima si disperdeva verde e scintillante; tutto intorno c’ era l’ abbraccio delle chiome autunnali, come un’oasi in mezzo al deserto. E là, in fondo, come un miraggio,

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un pianoforte a coda nero e lucido emergeva dal paesaggio. Un giovane vestito di nero, dalla pelle bianchissima, e dai capelli biondi, quasi bianchi suonava lo strumento appoggiando delicatamente le sue dite sui tasti e ad ogni nota che si vibrava nell’aria anche lui oscillava in avanti e indietro trasportato da quella musica.- Avanti il prossimo!Giulio ebbe un sussulto e si risvegliò di colpo da quel sogno ad occhi aperti. - Buongiorno, vorrei consegnare la mia iscrizione per la borsa di studio.- Per quale destinazione?- Chiese la donna meccanicamente, rovistando

tra i cassetti.- Cambridge. - Mi passi il modulo da sotto il vetro.Giulio fece scivolare i fogli sotto il vetro che lo divideva dalla segretaria e attese. Lei lo prese e

lo infilò in una cartella di carta azzurra. Tornò davanti allo sportello e guardò il ragazzo con aria stralunata. Poi scocciata disse:- Se ne può andare. Avanti il prossimo!

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Le luci psichedeliche del locale rendevano l’atmosfera elettrizzante, le pareti sembravano muoversi pericolosamente in una danza sfrenata che le faceva oscillare avanti e indietro, avvicinandosi e allontanandosi al ritmo della musica assordante, ma eccitante allo stesso tempo, soprattutto dopo avere bevuto un po’. Vera si dondolava in mezzo alla pista con una bottiglia di birra in mano, con gli occhi chiusi e un sorriso generoso dipinto sulle labbra che sembrava volere esprimere un sentimento strano, una sorta di amore e affetto fraterno rivolto all’umanità intera, quel sentimento che si prova proprio nelle circostanze in cui si ha voglia di evadere dalla realtà e si è convinti che una serata da sballo sia la soluzione giusta. Prima è la rabbia che prende il sopravvento, una disperazione isterica che lascia giusto il tempo di decidere di fare una follia, di prendere qualcosa di spaventosamente lontano dal mondo quotidiano, e proprio per questo così affascinante.

Quel sabato pomeriggio, Vera aveva incontrato suo padre, come tutti i fine settimana. Non era successo niente di strano, non si erano parlati un granché, erano andati a fare una passeggiata e avevano guardato e commentato i prodotti esposti nelle vetrine. Un pomeriggio normale, un po’ noioso, uno di quelli che se fosse un colore sarebbe giallo pallido o se fosse un sapore sarebbe quello di un’insalata poco condita. Uno di quei pomeriggi che quando torni a casa dopo avere salutato tutti, ti senti solo e ti formicola lo stomaco, hai nostalgia di qualcosa, ma non sai che cosa e provi una sensazione di vuoto incolmabile dentro. Vera aveva pensato di potere trovare sua madre in casa, e di potersi sfogare con lei. Che sciocca che era stata ad illudersi così! Oh, sì, Marta era in casa, ma non era sola. C’era un tizio con lei, e Vera non aveva voluto nemmeno sbirciare dalla porta per vedere chi era, le erano bastate le risate sommesse e le frasi sdolcinate che provenivano dalla camera da letto per capire cosa stava succedendo, e amareggiata e imbarazzata nello stesso tempo era scappata via. Era corsa da Giulio, e lo aveva trovato assorto nelle sue solite e incomprensibili letture; gli raccontò soltanto dell’incontro con Vittorio, anche se lui probabilmente aveva percepito ugualmente che qualcosa non andava. Alla sera ci sarebbe stato il compleanno di Daniela, una sua compagna di classe, ma le era passata la voglia di andarci, soprattutto dopo aver saputo che Giulio sarebbe rimasto a casa. Inutile cercare di fare cambiare idea ad Anna e Maurizio, avrebbero soltanto complicato la situazione, e Giulio, nonostante i suoi diciotto anni non era ancora abbastanza forte per ribellarsi: accettava passivamente, reprimendo in lui l’amarezza. Vera aveva deciso di rimanere da lui a fargli compagnia, ma lui la pregò di andare alla festa, perché sapeva che ci teneva molto. Era tornata a casa per prepararsi, aveva trovato Marta finalmente sola che chiacchierava allegramente al telefono con un’amica e questo le tornò utile per evitare di rivolgerle la parola.

Mentre si asciugava i capelli in bagno, aveva provato un senso di gelosia e invidia, di abbandono e solitudine. Aveva ripensato alla sua vita e l’aveva trovata insignificante e noiosa, priva di momenti di vera gioia. Per questo tutta quella passività si era improvvisamente trasformata in rabbia e aveva quindi deciso di fare qualcosa di nuovo, qualcosa che le procurasse

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un’emozione capace, almeno per una sola serata, di allontanarla da quella monotonia, e che forse l’avrebbe fatta sentire amata e libera da ogni preoccupazione, da tutto e da tutti. In parte aveva funzionato.

Le luci psichedeliche che all’inizio della serata davano un po’ fastidio agli occhi erano diventate amichevoli e dolci, e anche la musica sembrava essersi attenuata; Vera sentiva le voci come se provenissero da lontano, ma poteva cogliere nell’aria che respirava quel sentimento di spensieratezza e libertà che lei stessa emanava attraverso il sudore, e che trasmettevano anche i compagni che ballavano accanto a lei in pista. Era un legame fittizio, un’illusione creata dagli intrugli che avevano bevuto durante la serata, e tutti, in una parte remota delle loro menti, ne erano consapevoli. Fluttuavano e si libravano nel vuoto insieme, ma allo stesso tempo da soli, ognuno seguendo il proprio viaggio e sorridendo della strana situazione. Una voce indefinita, proveniente da un volto altrettanto indefinito, offrì a Vera del fumo, e lei sentì la sua voce rifiutare gentilmente l’offerta. Poi, la testa cominciò a girare in un modo diverso, la pressione le stava scendendo vorticosamente e le sembrò di stare per svenire da un momento all’altro. Avrebbe voluto avvisare Daniela o Silvia che stavano ballando proprio vicino a lei, ma non riusciva ad emettere nemmeno un debole suono, le parole le si smorzavano in gola contro la sua volontà, e le sue gambe cominciarono improvvisamente a tremare. Il suo cuore accelerò notevolmente il battito, la vista le si appannò, e le persone, il bancone, le pareti si punteggiarono di macchie gialle fosforescenti che si allargarono sempre di più fino ad occupare tutto il campo visivo di Vera che, a quel punto, cadde a terra.- Non ti preoccupare, Vera, sei all’ingresso della discoteca, e qui ci sono i

tuoi amici.- le disse una voce calda e rassicurante. La ragazza si sforzò di mettere a fuoco l’immagine e si trovò faccia a faccia con un giovane alto e robusto. Qualcuno le aveva appoggiato le gambe al muro e il ragazzo stava dall’altra parte e le teneva la testa tra le mani. - Come stai? – chiese Daniela ansiosa- ci hai fatto prendere un bello

spavento!- Cos’è successo?- mormorò la ragazza con occhi smarriti.- Sei svenuta in pista, hai bevuto decisamente un po’ troppo…comunque

niente di grave, ora cerca di rilassarti…a proposito, io lavoro qui. Mi chiamo Federico.

Era stata proprio una serata pazzesca, completamente fuori da ogni aspettativa, perché non avrebbe mai pensato di potersi ubriacare in quello squallido modo, e ancora meno di incontrare proprio in quell’occasione una persona che sarebbe diventata una delle più importanti della sua vita. Dopo quell’episodio, Vera aveva deciso di tornare in quel locale per ringraziare Federico, ma non lo aveva trovato, e il suo collega le aveva dato il suo recapito telefonico. Il suo cuore le batteva ai mille mentre componeva i numeri sulla tastiera del telefono, ma la voce entusiasta di lui, la mise subito a suo agio, e si sentì impazzire di gioia quando le chiese di uscire con lui e parlare un po’.

Da quel momento avevano cominciato a frequentarsi, prima come amici poi come fidanzati. Si erano trovati subito bene, amavano fare le stesse cose, erano d’accordo su molti argomenti e nessuno dei due sembrava infastidito dai dieci anni di differenza che c’erano tra loro. Perché, si sa, quando si ama tutto sembra risolvibile, anche quando non lo è, ma succede che i problemi della vita quotidiana, che spesso non hanno niente a che fare con i

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sentimenti, ma li possono mettere a dura prova, arrivino inaspettatamente come i temporali estivi, che passano in fretta, ma rinfrescano per lungo tempo. L’anno seguente, Vera faceva ancora l’ultimo anno del liceo, Federico era stato coinvolto in una pesante rissa in discoteca e aveva perso il lavoro, l’unica fonte di guadagno in grado di mantenere lui e la sua famiglia. Da quel momento non era stato più lo stesso, era diventato intrattabile soprattutto con Vera, perché la considerava troppo piccola per capire i suoi problemi e incapace di aiutarlo. Ma lei non si era mai lasciata abbattere dal comportamento così duro di Federico, sapeva che non lo faceva con cattiveria, ma che era soltanto molto preoccupato per il suo futuro, e in più, lei si era abituata ad avere finalmente una presenza stabile e rassicurante nella sua vita e non poteva proprio farne a meno.

Nei mesi seguenti, il giovane si era barcamenato facendo lavori saltuari qua e là, fino a quando, Vera, dopo aver rispolverato il diploma per geometri di Federico, pregò Vittorio di aiutarlo a trovare un lavoretto stabile per lui. Il padre, allora, alle insistenze della ragazza, lo aveva presentato ad un suo amico, che era il titolare di una impresa edile, per concedergli almeno un periodo di prova in ufficio. Federico era stato molto fortunato, eppure anche adesso che la situazione si stava di nuovo sistemando, non riusciva a darsi pace, perché aveva paura di non essere all’altezza, data la poca esperienza, e di non riuscire a mantenere il posto di lavoro.

Non era di certo una storia facile, pensò Vera, e non era nemmeno il momento adatto per ricevere un certo tipo di notizie. Chissà come avrebbe reagito ad una cosa del genere, si chiese, uscendo dall’ambulatorio medico e incamminandosi verso la fermata del tram. Non sapeva davvero cosa fare, era estremamente confusa e piena di dubbi. Il primo pensiero fu per Giulio, lui aveva sempre una soluzione a tutto.

Anna sbatteva con rabbia i cassetti dei mobili mentre preparava il pranzo per Maurizio e per Giulio che doveva tornare a casa da un momento all’ altro. Il marito, cercava di leggere il giornale, ma non riusciva a concentrarsi. La lettera stava sul tavolo e nessuno dei due aveva il coraggio di riguardarla. Era bastato leggerla una sola volta per farli innervosire. Sopra c’ era scritto “Per Giulio Mori” con la calligrafia di Camilla. Sul mobile accanto al televisore, c’ era l’ altra lettera, quella che la ragazza aveva indirizzato solo ai genitori, con una mezza pagina di informazioni generiche sulla sua permanenza in Inghilterra, le solite cose, niente di particolare. L’ aveva scritta per educazione, per non offendere i genitori, ma senza entusiasmo e loro ne erano ben consapevoli. Ma non era quella pagina ad averli turbati in quel modo. Giulio entrò in casa e andò ad appoggiare il suo zaino in camera. Poi tornò in cucina e trovò i genitori che lo fissavano con un’ aria minacciosa. Si guardò intorno e accanto al suo piatto trovò la busta.- E questa cos’è? – Chiese prendendola tra le mani.- Dovresti saperlo…è una lettera che ti ha scritto tua sorella, davvero

molto interessante, dovresti leggerla…- rispose sarcastico il padre.

Giulio s’innervosì:- Se è indirizzata a me perché l’ avete aperta? Come sempre non avete nessun

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rispetto nei miei confronti…- Sei tu che non hai rispettato noi!- Lo attaccò Anna con rancore- Cos’è

questa storia della borsa di studio? Lo so che non vedi l’ ora di andartene anche tu! Cosa abbiamo fatto di male? Giulio si sedette rassegnato sulla sedia e cercò di spiegare:- Non iniziare con il tuo solito vittimismo! Non vi ho nascosto niente…ho soltanto fatto la domanda d’ iscrizione, gli esiti usciranno verso la metà di marzo, è inutile che vi agitiate tanto già da ora…in ogni caso cosa ci sarebbe di male? Studio lingue e l’unico modo per impararle davvero è andare all’estero. Ed è anche una nuova esperienza in una città e in una cultura diversa dalla nostra. Ma prima ho voluto chiedere un’ opinione a Camilla visto che la sta vivendo direttamente…e poi lo sapete che andare in Inghilterra è sempre stato un mio grande desiderio…- Te le ha messe in testa lei certe idee! – Lo attaccò la madre piena di

rancore.- Ma perché ve la prendete così tanto?- contrattaccò Giulio.Questa volta si intromise il padre:- E’ soltanto una perdita di tempo, soldi e mesi buttati al vento

in divertimenti e chissà quali sconcezze…Giulio cercò di riportare la situazione sotto controllo:- Ma che vai dicendo? Ora basta, ho chiesto

soltanto informazioni, tutto qui…cambiamo argomento, non ha senso metterci a discutere per una sciocchezza…

Iniziarono a mangiare, ma l’ atmosfera era tesa, come al solito erano riusciti a litigare e ritrovarsi

a tavola ognuno con la faccia china sul proprio piatto, i musi lunghi e l’ unico rumore delle posate in movimento. Appena finito di mangiare Giulio si alzò dalla sedia mentre i due genitori lo scrutavano con attenzione.- E adesso dove vai?- Nella mia stanza- rispose brevemente Giulio e prendendo la lettera in

mano aggiunse:- e la prossima volta che mettete le mani su qualcosa di mio, ve lo giuro su me stesso, me ne vado davvero. I due restarono a bocca aperta indignati dalla risposta arrogante del figlio, mentre lui usciva dalla cucina. S’ incamminò lungo il corridoio, poi, sentendo i genitori fare commenti a voce bassa, tornò indietro in punta di piedi e cercò di percepire il discorso da dietro la porta. - Non dovevamo permettergli di studiare lingue, Maurizio…avresti dovuto insistere di più … - Già…-rispose lui sorseggiando un mezzo bicchiere di whisky- dovevamo insistere di più… Giulio strinse i pugni, disgustato dalla mentalità dei suoi genitori. Non riusciva più a tollerare il loro modo di interferire in tutto nella sua vita, ora si erano messi anche a controllare le sue cose, come se fosse un criminale in libertà vigilata. Si chiuse nel suo studio e scrisse tutte le sue sensazioni e le sue opinioni sul quaderno piccolo a quadretti che usava come diario segreto. Quando scese al piano di sotto, sentì i suoi genitori che stavano ancora parlando di lui. Le loro voci erano sommesse, ma Giulio poteva percepire una punta di amarezza ed ostilità nelle loro parole.

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- …In fondo è nostro figlio, deve rispettare le nostre decisioni! - Hai ragione…non dobbiamo ripetere lo stesso errore che abbiamo fatto

con Camilla, dobbiamo riprenderci la nostra autorità… Giulio non riuscì a trattenere la sua rabbia, entrò in cucina e sbraitò:- Ah sì? E cosa vorreste fare per riprendervi la vostra autorità? Non vi rimane che riempirmi di botte, ormai tutto quello che potevate impedirmi di fare lo avete già fatto… Maurizio si alzò di scatto dalla sedia e si avvicinò al ragazzo:- Come ti permetti di parlarci in questo modo? Cosa hai fatto tu per la tua famiglia? Non ci hai mai accontentato una volta, in nessun nostro desiderio…ci sarebbe piaciuto che tu entrassi nella squadra di calcio, ma tu non hai mai voluto prendere in mano un pallone, ci hai sempre fatto fare delle figuracce, stai sempre rintanato là dentro a leggere quei maledetti romanzetti d’ amore…non sei un uomo! Hai ventuno anni e …quando mai hai ci hai presentato una ragazza? Mai! Non sei normale… - Stai vaneggiando… – balbettò Giulio con il groppo in gola. - …e ora, con l’ università…- il mento di Maurizio cominciò a tremare improvvisamente per cercare di trattenere le lacrime, ma non poté controllarsi e scoppiò in un pianto convulso che prese Giulio alla sprovvista. - Perché non ti sei iscritto a medicina?-si sfogò- Era tutto quello che desideravo dalla vita, un figlio medico, un figlio importante, di cui tutti portassero rispetto…un uomo!…e tu? Stai tutto il giorno col naso ficcato tra pagine di filosofia, romanzi, poesie sdolcinate di tizi emarginati e fuori di testa…è roba da femminucce o da omosessuali! A quell’ultima parola anche Anna scoppiò a piangere e si nascose il volto tra le mani. Giulio non sapeva se ridere o piangere di quella scena tragicomica, ma sentiva soltanto rabbia dentro di sé, e umiliazione per il modo con cui il padre offendeva il suo amore per la letteratura. Sentì di non potere resistere un secondo di più e tutto d’ un fiato gli sputò in faccia tutta la verità che aveva sempre taciuto fino a quel momento:- Io almeno ho fatto una scelta! Ho scelto di studiare lingue, di leggere romanzi e di dedicarmi alla scrittura. E la cosa più importante è che io, come vedi, riesco benissimo a continuare la strada che ho intrapreso. Non come te: ti sei iscritto a medicina, ma non sei riuscito a superare nemmeno un esame, hai fallito miseramente nella tua impresa! E la cosa peggiore è che avete fatto figli illudendovi di potere imporre loro di diventare quello che voi non siete potuti diventare! - Chiudi il becco!- sbraitò Anna fuori di sé. - Perché? La verità fa male, vero? Avete sbagliato a fare dei figli: dovevate prendere due burattini se volevate comandarci a vostro piacimento. E ora questa faccenda della borsa di studio all’ estero è e sarà soltanto una decisione mia! Ficcatevelo bene nelle vostre teste arrugginite! Maurizio lo guardò paonazzo in volto, poi si avvicinò e gli diede un ceffone che risuonò secco nella stanza. Tutti e tre rimasero ammutoliti, Giulio frastornato si portò una mano sulla guancia bollente, mentre il timpano dell’orecchio fischiava dentro di lui. Le lacrime cominciarono a traboccare dalle sue palpebre gonfie ed arrossate, e scesero sempre più veloci sulle sue guance brucianti. Senza dire una parola corse a prendere la giacca e uscì sbattendo la porta dietro di sé.

Mentre correva per la strada, un nodo insopportabile alla gola gli impediva di respirare. Avrebbe voluto sfogarsi, urlare ancora più forte di prima, ma

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riusciva soltanto a correre, e non sapeva nemmeno dove il suo corpo lo stesse portando. Si ritrovò al parco, su una panchina a piangere come un bambino che si perde tra una marea di gente e non riesce a percepire la voce materna in tutta quella confusione. Si sentiva completamente perso, tutto era diventato perfettamente inutile. Non sapeva più nemmeno perché piangeva, se voleva partire per Cambridge, rincasare la sera, o rimanere su quella panchina per ore a contemplare la flora del parco ed essere scambiato magari per un pazzo ed evitato dalle famigliole felici.

Rimase lì, in quella posizione per qualche tempo, forse qualche ora, ma il freddo invernale gli giovò molto, e quando decise di allontanarsi, stava un po’ meglio. Passeggiando per le viuzze stranamente deserte, si ricordò che non incontrava Vera da più di una settimana, dalla sera in cui Federico le aveva mandato il mazzo di fiori per scusarsi. Da quel momento si erano sentiti al telefono qualche volta, ma lei gli era sempre sembrata un po’ distaccata e, per questo motivo, Giulio aveva preferito lasciarla in pace e rimandare i loro appuntamenti. Ma in questa situazione così assurda e nuova, sentiva un disperato bisogno di confidarsi con qualcuno, e questo qualcuno non poteva essere altro che Vera, sia perché era l’unica persona di cui potesse fidarsi (a parte Camilla), sia perché era molto legato a lei e desiderava metterla al corrente di tutto ciò che gli capitava. Forse sarebbe riuscita ad eliminare ogni dubbio implorandogli di rimanere lì per lei (e sicuramente lo avrebbe fatto) o, forse, Marta gli avrebbe raccontato le sue affascinanti esperienze all’estero e l’avrebbe convinto a partire…sì, doveva proprio parlare con loro. Affrettò il passo e sperò di trovarle in casa.

Nel momento stesso in cui suonò il campanello, Vera aprì la porta e si trovò davanti la faccia svampita di Giulio. Gli si buttò tra le braccia, sollevata e felice di vederlo.- Ciao, Vera, come stai? E’ un po’ che non ci si vede! Ho bisogno di dirti

una cosa molto importante! Marta è in casa? - Ma dov’eri finito?- esclamò lei, senza avere ascoltato nemmeno una

parola .- è tutto il pomeriggio che ti cerco! Anche io devo dirti una cosa molto importante!

Giulio, vedendo il volto pallido dell’amica si dimenticò per un attimo del motivo della sua visita.- Cos’è successo? Raccontami tutto!- No, mi hai cercato tu. Comincia tu.- No, davvero, non importa, comincia tu.Vera sbuffò in una risata nervosa, prese coraggio e chiese:- Sei pronto?- Prontissimo.- Aspetto un marmocchio.

- Giulio? Giulio, rispondi! Mi senti?- sussurrò Vera all’orecchio dell’amico disteso sul divano del salotto.- Cos’è successo? Dove sono?- farfugliò il giovane grattandosi il capo.- Tranquillizzati, sei soltanto stramazzato al suolo dopo averti annunciato

che sono incinta.

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- Oh no! Allora non è stato un sogno! Accidenti, Vera, e adesso? Hai già avvisato tua madre? E Federico? Chissà come la prenderà…ma come è successo? Cioè, voglio dire… insomma, tu cosa ne pensi?- Ehi, non è mica una catastrofe! – disse lei serena- Sono appena andata

ad una visita medica… non l’ho detto ancora a nessuno, devo pensarci un po’ su, forse aspetterò qualche tempo prima di avvisare mia madre, e soprattutto Federico…è troppo preso dal lavoro ultimamente, non voglio aggiungere altre preoccupazioni…- Preoccupazioni? Vera, ma che dici?- esclamò Giulio mettendosi a sedere.

– Non puoi tenere nascosta tutta la faccenda! Hai il dovere di avvisarli! Stiamo parlando di un bambino! Ti cambierà la vita, questo lo sai?

Vera sbuffò:- Sì, finalmente troverò qualcuno che mi ami veramente! In ogni caso non voglio tenerli all’oscuro di tutto, semplicemente vorrei fare passare un po’di tempo, per riflettere un po’…cerca di capirmi…- Forse hai bisogno di sentire anche altre opinioni, non credi?- rispose

l’amico in tono molto serio e sfregandosi il mento con la mano destra.- Potrebbe bastarmi la tua!- sorrise lei, guardandolo con complicità. Giulio ci pensò qualche secondo, il suo sguardo esprimeva una

preoccupazione che Vera non aveva mai letto nei suoi occhi, nemmeno dopo le solite discussioni con i suoi.- Ora è presto per renderti conto, ma avere un bambino è una esperienza

stupenda che però comporta anche moltissimi sacrifici, specialmente alla tua età. I primi mesi sono i più impegnativi, sai… montagne di pannolini, omogeneizzati, vestitini che sembrano rimpicciolire ogni giorno, la cameretta nuova, le visite mediche, il tempo totalmente dedicato al bimbo, le notti in bianco, i pianti improvvisi ed interminabili, addio alle feste e al cinema per un bel po’ di tempo… - Hai ragione…mi sta passando l’entusiasmo…- E queste sono soltanto le principali cose dei primi mesi, ma anche in

futuro le cose non saranno semplici! Hai visto il rapporto tra i miei genitori e me e Camilla? Purtroppo, soprattutto ora è molto conflittuale, ma ti posso assicurare che non è stato facile per loro crescerci ed educarci! Hanno fatto e continuano a fare del loro meglio per cercare di non farci mancare nulla! Hanno risparmiato i soldi per l’Università fin dalla nostra infanzia. Sono stati molto rigidi per proteggerci dalle avversità e dai pericoli della vita. Forse in alcuni momenti hanno esagerato, in altri magari avrebbero dovuto esagerare davvero, ma ogni attimo della loro vita lo hanno dedicato a noi, facendo tantissimi sforzi, che forse nemmeno noi immaginiamo! Non cambio idea sulla loro mentalità così chiusa e antiquata, anzi, oggi ero venuto qui proprio per raccontarti la nostra ultima e furibonda discussione, però non posso nascondere che il ruolo del genitore sia difficile tanto quanto quello del figlio, perché genitori e figli non ci si nasce, e nemmeno ci si diventa frequentando dei corsi serali, ma vivendo l’esperienza attimo per attimo, con spontaneità, ma consapevoli anche di tutto ciò che questa comporta.- Mia madre deve essersene dimenticata!- esclamò Vera con sarcasmo.- Marta non è da meno! Anche lei ha avuto una vita impegnativa! Vittorio

è presente, ma non come un padre, come un amico, e c’è una grandissima differenza! Le nostre famiglie si conoscono da tanti anni, sono sicuro che anche lei abbia fatto del suo meglio. Il suo comportamento potrebbe sembrare superficiale, ma credo che lo faccia per scaricare tutta la tensione

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e le preoccupazioni che prova per te, proprio perché è da sola… e poi, ad essere sincero, secondo me tua madre si sente ancora una ragazzina! Sembrate sorelle! Io credo che con lei potresti parlare di qualsiasi cosa, so che in realtà non le racconti molto di te, però questo potrebbe essere il momento giusto per riavvicinarvi e conoscervi davvero a fondo! Questo è quello che penso adesso, a vent’anni. Forse non sono ancora abbastanza maturo per darti dei consigli, è una situazione delicata, però è comunque un’opinione che potrebbe tornare utile alle tue prossime riflessioni…- Grazie! Sei davvero un amico! Senza di te ora mi sentirei davvero sola!

Penserò alle tue parole e prenderò una decisione, però tu promettimi che non ne parlerai con nessuno! Voglio aspettare il momento giusto.- D’accordo. Terrò la bocca chiusa! Ma, mi raccomando: avvisami quando

prenderai la tua decisione!- Certamente!Si abbracciarono con il sorriso sulle labbra. L’atmosfera era strana, quella

notizia aveva cambiato la vita di Vera, ma anche quella di Giulio; le pareti del salotto, i quadri appesi, il camino sembravano appartenere ad un ambiente sconosciuto, mai visto prima, misterioso, ma allo stesso tempo caldo ed accogliente.

Improvvisamente lo squillo del telefono spezzò quell’atmosfera incantata. Vera si alzò e andò a rispondere. Era Anna, la madre di Giulio che chiedeva se il figlio si trovasse lì, dal momento che lei e Maurizio lo avevano cercato invano per tutto il pomeriggio. Dalla voce tremante della donna, la ragazza si accorse che Giulio era venuto per dirle qualcosa di importante, ma in seguito al suo annuncio, tutto era passato in secondo piano. In quel momento Vera si pentì di essere stata così frettolosa e di non avere ascoltato l’amico.- Era tua madre. Mi sembrava molto tesa. Sei sicuro che sia stata solo una

semplice discussione? Anche tu mi sei sembrato molto scosso quando sei arrivato. - Niente di grave. Ora c’è qualcos’altro a cui pensare ed è il tuo futuro.

Vera si avvicinò all’amico: - Non voglio che adesso prendi troppo a cuore questa storia. Devi pensare anche a te. Sai che mi puoi parlare di tutto.

Giulio si alzò dal divano sorridendo:- Bene! Allora facciamo così: te lo dirò un giorno…diciamo, quando sarà il

momento!- No! Così non vale! Te ne vai lasciandomi la pulce nell’orecchio?Giulio non rispose, ma aprì la porta dell’ingresso e le diede un bacio sulla

guancia prima di allontanarsi.Vera rimase in piedi in salotto senza sapere cosa pensare di quel

comportamento e cominciò a mordicchiarsi le unghie come era solita fare quando era nervosa.

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Le mani di Andrea lavoravano velocemente sul piccolo pacchetto che stava confezionando per un cliente. L’uomo, ormai sulla sessantina, si lamentava scherzosamente sull’aumento dei prezzi degli alberghi in montagna, dove era solito trascorrere con la moglie le prime settimane di gennaio. Andrea rideva e annuiva con la testa, e Vera poteva sentire le loro voci dal piccolo magazzino che si trovava al piano di sotto, anche se non poteva distinguere con chiarezza ogni parola. Tornò barcollando con uno scatolone di trucchi di ogni tipo, lo appoggiò in un angolo del tavolo e cominciò a sistemarne il contenuto negli appositi settori.- Bene, ecco fatto! – Esclamò Andrea consegnando il pacchetto rosso.- Grazie, spero proprio che a mia moglie piaccia! Rispose il signore

prendendo il regalo.- Ne sono sicura! Può venire a cambiarlo quando vuole, ma sará senza

dubbio felicissima! Arrivederci!- Arrivederci! - Rispose l’uomo alzando il cappello in segno di saluto e

uscendo dal negozio di gran fretta.La ragazza sospirò:- Ah, che bello vedere un uomo ancora così innamorato dopo tanti anni di

matrimonio!- Hai ragione, in effetti, non se ne vedono molti in giro…- rispose Vera

raccogliendo un rossetto che le era scivolato dalle mani.- Di un po’, e a te come va? Vedo che hai affrontato benissimo il problema

degli odori.- Sì, le prime due settimane era un tormento, ora però non ho più alcun

effetto…speriamo che continui così!In quel momento la porta si aprì ed entrò Angela trafelata, con la sciarpa

svolazzante in una mano, la borsetta nell’altra e il giaccone aperto.- Scusate per il ritardo…ieri sera ho dimenticato di caricare la sveglia…

che corsa!Le due ragazze scoppiarono a ridere.- Non ti preoccupare, Angela, è bello quando anche il capo ha dei

contrattempi…- Che facce toste!- riprese la donna portando la giacca e la borsa nella

stanza accanto- vedo che anche voi non avete sentito molto la mia mancanza…Di cosa stavate chiacchierando?- Del bambino, naturalmente! – esclamò Andrea.- Già! A proposito, Vera, come procede?- Molto bene, grazie! Devo ancora capire con precisione cosa sta

succedendo, ma dal punto di vista fisico, va tutto per il meglio.Angela chiese con il suo solito affetto materno:- Cosa vorresti, un maschietto o una femminuccia?E i nomi? Li avete già decisi?- aggiunse Andrea curiosa.- Calma, ragazze! Devo prima risolvere altri “piccoli” problemi di “ordine

generale”…- Tipo? – incalzó Andrea.- Beh… per esempio dire a Federico e ai miei che sono incinta…

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I volti delle due amiche si trasformarono in un’unica espressione di stupore, e Angela esclamò:- Non li hai ancora avvisati? Come hai fatto? Perché? E’ incredibile…

ormai sono settimane che lo sai…quando hai intenzione di dirlo, quando sarà impossibile nascondere il pancione?

La ragazza sospirò, consapevole di avere detto una delle sue solite frasi sbagliate.- Non c’è da preoccuparsi! E’ tutto sotto controllo, ve lo assicuro. Questo

sabato informerò Federico…volevo fargli una sorpresa…è il nostro anniversario. Per quanto riguarda la mia famiglia…non ho ancora trovato il momento adatto, ma presto lo farò! E’ questione di giorni. Davvero, non allarmatevi…

Le due donne si scambiarono uno sguardo di complicità, poi Angela concluse:- Ti capiamo…e’ giusto che tu trovi il momento adatto per raccontare

tutto, in fondo è una faccenda delicata, e noi dobbiamo farci gli affari nostri…ora basta! Si torna a lavorare! Vera tornò in magazzino, guardò gli scatoloni sugli scaffali e le sembrarono molti di piú di quello che si ricordava. Cominciò a leggere le indicazioni che riportavano su un lato, scritte con un grosso pennarello nero: rossetti, ombretti, ciprie, smalti, trousses complete, profumi di ogni tipo, creme idratanti, dopo bagno, antirughe, struccanti, oli per il corpo, prodotti per mani e piedi, salviette e ogni sorta di cosmetico, c’era davvero l’imbarazzo della scelta e Vera non sapeva proprio da dove cominciare. Mentre pensava a come organizzare la mattinata, nel negozio suonò il campanello della porta d’ingresso.- Ciao ragazze!Andrea ebbe un attimo di incertezza, e anche Angela tirò fuori la testa

dallo scatolone riconoscendo quella voce così solare.- Ciao Marta!- risposero in coro – Tutto bene?- Ah, sì! Potete dirlo forte! Sto proprio passando un bel periodo, sono

molto soddisfatta.Andrea si voltò verso Angela con uno sguardo che la diceva lunga e lei le

rispose lanciandole un’occhiataccia. Poi aggiunse:- Dimmi pure, ti servo io.- Cercavo un profumo di piccole dimensioni…un’essenza fresca…per una

ragazza…possibilmente una firma italiana…- Certamente…ho proprio qui qualcosa che potrebbe fare al caso tuo…

ecco...- e prese dallo scaffale un boccetto trasparente, leggermente arrotondato con il tappo rosso.- Carino…- Oppure… questo modello - e le porse un flaconcino tutto azzurro. Marta

lo osservò con attenzione sfregandosi il mento.- Però mi è arrivato proprio in questi giorni un profumo appena uscito che

è molto delicato…dovrebbe essere…ah, sì! Eccolo! Davvero molto carino!- le porse un oggetto dal vetro opaco a forma di fiore.- Davvero deliziosi…mmmh, che profumi!- disse Marta annusandosi i polsi

con le provette in mano. – Sì, direi che prendo questo qui a forma di fiore, mi sembra il migliore di tutti. Purtroppo non ho spiccioli al momento. Pago con la carta di credito. Me lo puoi incartare, per favore?

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- Certo. Nell’attesa, Marta cominciò a guardarsi intorno.- Vera è uscita?- No, è in magazzino. Vuoi che la vada a chiamare?- No, non voglio disturbarla. Mandatele un saluto da parte mia!- Fatto! Il pacchetto è pronto!- Grazie mille! Ora scappo! Ciao e buon lavoro a tutte!- A presto!Quando la porta si richiuse, Andrea corse da Angela e sussurrò:- Secondo te, è per Vera il regalo?- Non saprei…il suo compleanno non è in questo periodo…e poi ce lo

avrebbe detto…Vera che dal magazzino aveva assistito indirettamente alla scena, pur non

avendo compreso ogni minimo dettaglio della conversazione, non riuscì a trattenersi dalla curiosità e tornò dalle due amiche per farsi spiegare meglio l’accaduto.- Era mia madre?Le due donne si voltarono e trovarono Vera con una strana espressione in

volto.- Perché ce lo chiedi?- prese tempo Andrea. Angela le diede una gomitata

significativa.Vera sospirò:- E’ inutile che cercate di nascondermelo…riconoscerei la sua voce

squillante tra mille…se non ho sentito male ha comprato un profumo da regalare…era da uomo o da donna?- Da donna, ma non possiamo dirti altro…magari è per te, non vogliamo

rovinarti la sorpresa…Vera le guardò stupita:- Sarebbe davvero incredibile da parte sua…dopo tanto tempo…comunque

non voglio farmi illusioni…presto saprò a chi è destinato quel regalo. Basta aspettare. Non ho fretta.- Così dicendo tornò in magazzino con fare disinteressato, ma Andrea e Angela si accorsero che teneva le dita incrociate.

Giulio si sistemò il collo del cappotto e vi infilò all’interno i lembi della sciarpa di lana che Anna le aveva regalato per Natale. Faceva davvero molto freddo quella sera, e ad ogni respiro uscivano dal naso e dalle labbra dei passanti sottili scie di fumo bianche che si dissolvevano nella semioscurità del viale. Aveva passato un altro dei suoi soliti pomeriggi a scribacchiare i suoi appunti in biblioteca, dove si sentiva totalmente rilassato, e ora, tornando a casa, ripensava a ciò che aveva scritto, si soffermava sui particolari e si interrogava mentalmente sulle eventuali modifiche e correzioni che avrebbe potuto fare. Era molto puntiglioso e preciso, soprattutto quando metteva nero su bianco le sue emozioni, le sue riflessioni e quei racconti romantici creati dalla sua fantasia. Amava rifugiarsi nell’irreale, nei mondi incantati e nei sogni, perché nel mondo reale non si sentiva a suo agio, c’era qualcosa di diverso in lui, che lo distingueva dagli altri giovani, e che forse solo Vera e Camilla potevano in parte capire.

Mentre passeggiava assorto nei suoi pensieri, la sua attenzione venne per un attimo catturata dalla vetrina di un negozio di piccoli animali. In basso,

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due cuccioli di Cocker stavano giocherellando tra di loro, rotolando uno sull’altro nel poco spazio consentito dalla gabbia ed emettendo piccoli versi di gioia. Sopra, stavano invece quattro coniglietti nani, immobili e silenziosi, con i musetti in continuo movimento e gli occhi grandi, dalle espressioni malinconiche. Erano tutti neri con macchie bianche, tranne uno completamente bianco, dal pelo molto lungo e dagli occhi rossi. Per Giulio era il più carino di tutti.

Nelle altre gabbie saltellavano scoiattoli, dormivano criceti, uccellini, cincillà, strisciavano piccoli serpenti e in piccoli acquari sguazzavano pesci di ogni tipo, ma visti tutti insieme, animali così diversi, vivere in quel modo, costretti a trascorrere le loro vite in pochi centimetri, davano al ragazzo un grande senso di tristezza e infelicità. Gli stessi saltelli e giravolte che a primo impatto potevano trasmettere allegria, in poco tempo si trasformavano in sintomo di prigionia, di totale assenza di libertà, di voglia di evadere e correre con spensieratezza nel proprio ambiente naturale.

- Che dolce! Non ho mai visto un coniglietto con un pelo così lungo! – disse una voce proveniente proprio dalla sua destra. Giulio si girò e vide una ragazza guardare incuriosita gli animaletti esposti. Il viso era in parte nascosto dal cappello di lana bordeaux, il corpo era avvolto in un cappotto grigio che le arrivava ai piedi, da dove spuntavano scarpe marroni col tacco alto. Osservando meglio, il ragazzo notò che dal berretto uscivano delle ciocche di capelli rossi.- Sì, è davvero grazioso! Peccato che le gabbie siano così piccole!La ragazza gli si avvicinò ulteriormente e rispose mostrandogli i suoi

grandi occhi blu:- Hai proprio ragione! Stavo appunto notando che nel mio Paese sono in

genere molto più grandi.Giulio non seppe trattenersi dal chiedere:- Non sei italiana?- In un certo senso…- rise lei- …mio padre è italiano, ma io e la mia

famiglia viviamo a Los Angeles da prima che io nascessi; là frequento un college italiano, quindi parlo quasi perfettamente entrambe le lingue. Sono arrivata all’aeroporto di Milano tre ore fa, poi ho preso il treno per arrivare fin qui…e ora sto aspettando mio padre che spero sia puntuale, sono distrutta! Questa valigia è tropo pesante! Giulio ascoltò quelle parole soavi e guardò le deliziose lentiggini sulle guance bianche della ragazza con sguardo incantato. - Se vuoi posso rimanere qui a farti compagnia fino all’arrivo di tuo padre,

mi farebbe piacere. Ah! Dimenticavo…mi chiamo Giulio.- Io mi chiamo Tiffany, e mi farebbe molto piacere che tu rimanessi qui

con me.A queste parole il ragazzo si sentì sciogliere il cuore e cominciò a chiedersi

quanto fosse pesante quella valigia: avrebbe voluto portarla fino alla macchina per aiutare la nuova amica, ma aveva paura di fare una figuraccia, non era mai stato un tipo molto atletico. Per non dare troppo nell’occhio, Giulio cercò qualcosa di interessante per continuare la conversazione e ravvivare l’attesa.- Sei qui per una breve vacanza o pensi di rimanere per molto tempo?- Questa è una domanda a cui non so nemmeno io dare una risposta ! -

rise Tiffany – dipende da come si evolveranno le cose. Sai, hanno offerto un

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ottimo lavoro a mio padre in questa città, ma io non so se voglio trasferirmi definitivamente. A Los Angeles ho gli amici, la scuola, la squadra di pallacanestro, il corso di teatro, mia madre…sono separati…- Scusa, non volevo…- Non fa niente! Dicevo…intanto sto un po’ con mio padre, poi si vedrà! - Credo che ti troverai molto bene qui! La gente è simpatica e cordiale, e

poi tutti i corsi che fai in America li puoi trovare anche qui…un po’ più in piccolo, forse…- Ci penserò! Oh, sembra la macchina di mio padre…sì è lui! Sul viale si avvicinò una grossa BMW colore blu metallizzato, che

parcheggiò proprio davanti ai due giovani. Scese un uomo alto e robusto, con un impermeabile scuro e un cappello nero. L’uomo corse incontro alla ragazza.- Tiffany! Finalmente! Scusa per il ritardo, c’era un traffico…come è

andato il viaggio? Sei stanca?Lei gli buttò le braccia al collo.- Stanchissima! Il viaggio è andato bene, ma credo che se tu fossi arrivato

un minuto più tardi sarei crollata! Ti presento un mio nuovo amico, Giulio. Pensa, si è offerto di aspettare con me il tuo arrivo, che gentile!

I due si strinsero la mano, poi Giulio corse a prendere la valigia mentre l’uomo apriva il baule della macchina. Tiffany si avvicinò al ragazzo, poi sussurrò:- E’ già ora di salutarci…peccato! Mi ha fatto molto piacere conoscerti.

Magari un giorno ci incontriamo per caso.- Sì, è molto probabile, Reggio non è una città molto grande! Allora a

presto! - Arrivederci!- fece il padre.L’auto partì con una sgommata e in pochi secondi scomparve dalla vista di

Giulio. Stranamente non sentiva più freddo. Quell’incontro gli aveva scombussolato le sue riflessioni poetiche, gli aveva movimentato la serata che si prospettava grigia e monotona come al solito. Quelle lentiggini e quei ciuffi ribelli gli avevano trasformato completamente l’umore e si ritrovava a fischiettare e sgambettare allegramente per la via di casa. Che belle queste cose che ti capitano così all’improvviso quando meno te le aspetti, come un fulmine a ciel sereno! Svoltando l’angolo sentì una voce chiamare un nome. Fece finta di niente, pensò che forse non cercavano lui. Poi il nome si sentì più forte e questa volta poté constatare che si trattava proprio del suo. Tornò indietro, girò nuovamente l’angolo, e osservando attentamente riconobbe la sagoma di Vera a qualche decina di metri di distanza. Sorrise, si sentì ancora più felice di prima e s’incamminò raggiante verso di lei.- Oggi è proprio la mia giornata fortunata!- esclamò raggiungendola – che

ci fai qui tutta sola soletta?- Che fatica! Torno da una visita, credevo che il mio turno non arrivasse

mai! - Com’è andata?- Come al solito. Tutto alla perfezione. Perché oggi sarebbe la tua

giornata fortunata? – chiese incuriosita.- Ho appena incontrato una donzella niente male e abbiamo fatto due

chiacchiere. Sembra molto simpatica.- Bravo – disse Vera ironica – vedo che ti dai da fare!

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- Figurati! Non la rivedrò più! E poi ho altre cose a cui pensare…- A proposito, come procede il racconto?- Oh, bene, è molto avvincente! Mi sta appassionando sempre di più. Ma

torniamo a cose piú importanti: l’hai detto o no del bambino?- Quasi! Lo dirò questa sera stessa! Sono stanca di tenere tutto dentro,

devo avvisarla. Andrea e Angela continuano ad assillarmi e sono sicura che lo faranno fino a quando non le avrò parlato. Sono molto curiosa di vedere che faccia farà. Sai, ho scoperto che ieri mattina è passata in negozio e ha comprato un profumo mentre io ero in magazzino, l’ha fatto anche incartare…forse ha davvero deciso di starmi piú vicina…- Ne sono felicissimo! Mi raccomando, appena puoi raccontami per filo e

per segno ogni minimo dettaglio!- Contaci!- E Federico?Qui il sorriso di Vera si affievolì notevolmente.- Sabato è il nostro terzo anniversario. Mi ha invitata a casa sua per una

cenetta a lume di candela da lui stesso preparata! Una meraviglia! Credi che sia l’occasione adatta? - Beh, potrebbe essere più malleabile. Magari fallo bere un po’ prima di

dargli la notizia!- Che burlone! Hai poco da fare lo spiritoso, tu! Se ben ricordi quando te

l’ho detto sei svenuto!Esplosero in una fragorosa risata ripensando alla situazione. Senza

nemmeno rendersene conto i due arrivarono davanti alla casa di Giulio. Si salutarono e prima che lui richiudesse il cancello aggiunse:- Auguri per stasera! E ricordati che se tua madre ti caccia di casa, la mia

porta per te è sempre aperta!- La tua solidarietà è commovente! Ci sentiamo!Vera si sentì emozionata nel percorrere le poche centinaia di metri che la

separavano dalla sua abitazione. Finalmente era arrivato il momento tanto atteso. Non sapeva proprio cosa aspettarsi, non riusciva ad immaginare nessun tipo di reazione da parte di Marta. Forse avrebbe urlato di gioia, forse pianto di commozione, o forse le avrebbe fatto una ramanzina lunga un’intera nottata…ma no, un simile comportamento non era tipico di Marta! Attese per qualche minuto prima di entrare in casa. Fece dei respiri profondi e cominciò a preparare mentalmente le frasi giuste da pronunciare. A dire il vero erano settimane che le aveva imparate a memoria, ma in questo stato di agitazione che mai nella sua vita aveva provato, si era scordata tutto e non sapeva da dove cominciare. Si fece forza ed entrò.

All’interno tutto era buio, la luce non era accesa nemmeno in cucina, dove di solito stava Marta dopo il lavoro, intenta a fare i nuovi esperimenti ai fornelli che quasi sempre si rivelavano dei veri fallimenti, ma erano comunque originali e con la figlia si facevano grandi risate per sdrammatizzare. Vera accese la luce in salotto per vedere se per caso la madre le avesse lasciato un bigliettino. Ma la donna non era uscita. Era in cucina, seduta su una sedia, con la testa chinata e le mani appoggiate alla fronte. Vera la trovò così, immobile nell’oscurità della stanza. Accese la luce e si avvicinò lentamente a lei. Non sapendo cosa dire, l’abbracciò e le accarezzò i capelli. Marta sollevò lo sguardo e fissò la figlia con un’espressione sconsolata.

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- Mamma! Cos’è successo?- Mi sono licenziata.- disse infine.Vera pensò che quel silenzio lugubre che fino a pochi secondi prima

avvolgeva la stanza non era niente in confronto a quella frase. Mai nella sua vita aveva visto Marta così affranta e demoralizzata e difficilmente l’aveva trovata in casa per più di tre ore. Era sempre stata energica e attiva, piena di iniziative e di impegni che la portavano avanti e indietro per la città e per il mondo. L’agenzia pubblicitaria in cui lavorava da più di diciassette anni le dava molte soddisfazioni e proprio non poteva nemmeno lontanamente immaginare che avesse perso quel posto. Si era sempre preoccupata per Federico, così insicuro e pieno di continue preoccupazioni, ma mai per lei, così intraprendente e sicura di sé.

- Tu adori quel lavoro! Com’è possibile? - chiese dolcemente senza però nascondere il suo stupore. Marta sospirò, abbozzando un sorriso pieno di amarezza.

- E’ una storia troppo complicata, Vera, non so se puoi capire…- Invece capisco eccome! Raccontami tutto, non sono più una bambina! Ho

il diritto di sapere! - No…- insistette Marta asciugandosi una lacrima con l´indice smaltato di

rossonon mi piace che tu…insomma, non è una situazione facile…Vera sbottò spazientita:- Insisterò fino al tuo esaurimento!La donna, imbarazzata, ma allo stesso tempo desiderosa di sfogarsi con

qualcuno, si schiarì la voce e cercò le parole adatte per spiegare l’accaduto, proprio come aveva fatto Vera durante il tragitto verso casa.

- Ecco… il rapporto con il capo è degenerato e nelle ultime settimane mi ha reso la vita impossibile…fino ad oggi pomeriggio…mi ha costretto a chiedere il licenziamento.

- Cosa? –urlò Vera incredula - Non può farlo! Che vigliacco…ma ci sarà pur qualcosa che ha rovinato tutto… avete litigato? Hai combinato qualche guaio al lavoro?

Marta arrossì, poi chiese:- Vuoi proprio saperlo?- Certo!- Beh…tra me e Franco, il capo, c’è stata una brevissima relazione

sentimentale, prima di partire con James, che ovviamente è ignaro di tutto. Una storia inutile, una sciocchezza…però Franco non se n’è mai fatto una ragione e ha continuato a cercarmi fino a circa due settimane fa, quando gli ho detto di lasciarmi in pace per sempre. Da allora al lavoro è stato un incubo. Che ingenua sono stata…

- In effetti…comunque ormai è inutile piangersi addosso. Non puoi dargliela vinta così, devi reagire! Se Franco si è illuso è soltanto un problema suo che non ha niente a che fare con il lavoro. La tua presenza in agenzia è fondamentale, e lui ti ha cacciata solo per una stupida vendetta. Lo devi denunciare, così riavrai quel posto!

- Ci ho pensato, ma non posso proprio farlo! Rischierei di mandare all’aria la mia storia con James e io non voglio perderlo! Preferisco trovarmi un altro impiego e non sentire mai più parlare di Franco. Voglio dimenticare questo spiacevole episodio per sempre. Sai, ora sono proprio innamorata, penso che James sia davvero la persona che cercavo da anni e se scoprisse tutto…no, non potrei mai perdonarmelo!

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Vera si sorprese nel sentire Marta parlare di un uomo in questo modo e pensò che questa volta doveva trattarsi proprio di una persona particolare.

Rimase in silenzio per un po’ poi domandó preoccupata:- Allora, cosa intendi fare? - Domani comincerò a sfogliare il giornale.- rispose la donna in un fil di

voce. Vera sospirò tristemente: - Mi dispiace, mamma.- Mai quanto dispiace a me, Tesoro. Si abbracciarono e rimasero in silenzio, così, per molto tempo.

- A tavola!- Sbraitò Anna dalla cucina. Maurizio guardò l’orologio, poi si alzò dal suo studio e scese al piano di sotto. Giulio uscì dal bagno con i capelli ancora bagnati, indossò velocemente il pigiama e raggiunse la cucina.

- Ma Giulio! Prenderai sicuramente un bel raffreddore con quei capelli fradici!

- Non preoccuparti, mamma, li asciugherò dopo!- la tranquillizzò prendendo il cesto del pane.

- Dove sei stato tutto il pomeriggio?- chiese il padre con aria investigativa.- Sono stato in biblioteca, come al solito.L’uomo fece un sorriso amaro:- Immaginavo…sei sempre rinchiuso là dentro! Chissà poi a fare cosa...lo

so, lo so, cosa fai! Passi il tempo a scrivere quelle stupidaggini su draghi e gnomi, invece di studiare cose serie!

Giulio scattò sulla sedia ed esclamò arrossendo all’improvviso:- Che dici! Di cosa stai parlando? Lo sai che sono continuamente sui libri!

E poi cos’è questa storia dei draghi e degli gnomi? Chi ti ha detto queste sciocchezze?

- Sciocchezze?- urlò Maurizio- Non sono affatto sciocchezze! E’ la pura verità! Ho trovato delle scartoffie nella tua stanza che fanno morire dal ridere! Anna, non lo sapevi che abbiamo un artista in casa? Un apprendista scrittore! Scrittore o stregone?- scoppiò in una grassa risata.

A Giulio si riempirono gli occhi di lacrime. - Sono metafore, papà, metafore! E’ poesia!- cercò di difendersi.- Ci voleva anche questa…un piccolo Leopardi…- bofonchiò il padre.Anna sbuffò spazientita:- Oh, insomma! Cosa sono queste discussioni da

bambini! Maurizio, smettila di punzecchiarlo! Lo sai anche tu che si impegna molto nello studio! Se ogni tanto ha voglia di scrivere qualcosa, lascialo fare! Cosa c’è di male?

L’uomo alzò le mani in segno di resa e cominciò a mangiare. Dopo qualche boccone, riprese:

- Dobbiamo continuare quel discorso lasciato in sospeso…- Quale discorso?- rispose Giulio con la bocca piena.- La borsa di studio.Il ragazzo sospirò, e sentì il battito del suo cuore accelerare

improvvisamente.- Non ho ancora deciso…ho delle faccende da risolvere qui…- Che genere di faccende?

- Non te lo posso dire…faccende particolari…Maurizio lo squadrò con attenzione:- Per caso, sono questioni amorose? E’

così? Ti sei messo nei guai?33

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- No! Vi prego di non insistere! Ho detto che devo ancora prendere la mia decisione. Lasciatemi respirare.

Anna intervenne: - Lo sai cosa ne pensiamo noi. Vedi di non deluderci anche tu.

La cena non fu una delle migliori per Giulio; i suoi sentimenti erano divisi tra la preoccupazione per la possibile partenza e l’amarezza per non avere nascosto adeguatamente i suoi manoscritti, era ovvio che suo padre, così razionale e matematico, non avrebbe capito. Finita la cena tornò nella sua stanza e rimuginò sull’accaduto per ore, indeciso sul da farsi. Non poteva assolutamente abbandonare Vera in una situazione simile. Andarsene sarebbe stato come lasciarla sola in balìa dei suoi problemi. In realtà, anche se Marta avesse accolto la lieta notizia con urla di gioia e Federico le avesse chiesto di sposarlo e di vivere insieme per sempre felici e contenti, non sarebbe stato capace comunque di allontanarsi da lei. Interruppe le sue riflessioni lo squillo del telefono. Corse a rispondere prima che lo facessero i suoi.

- Pronto?- Giulio?- Vera! Allora, com’è andata?- E’ successo un imprevisto.- Cioè?- La mamma ha perso il lavoro.

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L’immagine di Vera riflessa allo specchio del bagno era resa opaca dal vapore provocato dall’acqua calda della doccia, e per renderla nitida la ragazza passò una mano sulla sua superficie. Sembrava uno sceicco con quell’asciugamano avvolto intorno alla testa come un turbante, e quell’idea la fece sorridere. Tolse l’accappatoio e cominciò a spalmarsi la crema per il corpo. Si fermò ad osservare la pancia candida, che non era ancora cresciuta e si compiacque della sua linea quasi perfetta…se non fosse per i fianchi un po’ larghi…Si asciugò i capelli lunghi e scuri, di cui andava molto orgogliosa, poi preparò il vestito più bello che aveva, quello nero senza maniche che aveva comprato in autunno. Con i tacchi a spillo, un profumo sensuale e un trucco perfetto Federico non avrebbe potuto resisterle. Dopo un’ora di preparativi uscì finalmente dal bagno, prese la borsetta e barcollando raggiunse la cucina dove Marta stava meticolosamente cerchiando con un pennarello rosso le offerte di lavoro più interessanti su un quotidiano locale.

- Trovato niente?Marta brontolò:- No! Non c’è niente che sia adatto a me, cercano donne

dai venti ai trentacinque anni, mi sento così vecchia e inutile…Vera le diede un pizzicotto sulla spalla e la consolò:- Non dire fesserie! Sei

la donna più invidiata del quartiere! Vedrai che troverai un altro posto degno delle tue capacità!

- Sarà…- sospirò lei.Il campanello suonò e Vera ebbe un sobbalzo pensando che era arrivata la

serata tanto attesa. Rispose al citofono e fece salire Federico. - Ehi, ma non ti sei accorta che fuori piove a dirotto? Sono fradicio! - Scusami! Proprio non ci ho fatto caso! Se me ne fossi accorta ti avrei

lasciato l’ombrello vicino all’entrata.- Lascia perdere, tanto ormai è tardi - Rispose Federico seccamente. Poi la

osservò meglio: - Ma…come ti sei conciata? - Perché, non ti piaccio?- chiese Vera imbarazzata.- Mmh, caruccia…scherzo, quel vestito ti dona molto!Presero l’ombrello, ma il vento che sferzava dalla parte opposta lo

spiegazzò tutto prima di raggiungere l’auto. - Che tempesta!- esclamò la ragazza chiudendo velocemente la portiera.-

Per fortuna casa tua non è lontana! L’appartamento di Federico era vuoto e silenzioso quando entrarono.

Appena richiusero la porta lui la trattenne:- Aspetta, dove vai? Fatti abbracciare! Sono tre anni che stiamo insieme, ti rendi conto? Abbiamo superato tanti problemi e momenti difficili e i nostri sentimenti non sono mai cambiati!

Vera rimase commossa da quelle parole così profonde, gli saltò al collo e lo riempì di baci.

- Lo so che dietro ad una corazza così dura e insensibile si nasconde un uomo dolce e capace di dare tanto affetto!

Federico fece una smorfia disgustata e scappò via dicendo: - Basta! Che sdolcinatezze! Non esageriamo altrimenti ritiro tutto quello che ho detto!

Risero e si misero ai fornelli. La tavola era già apparecchiata. C’era una meravigliosa tovaglia azzurra e blu, i piatti erano decorati finemente, i bicchieri di cristallo luccicavano alla luce delle candele rosse in centrotavola.

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La stanza era avvolta da un’atmosfera decisamente romantica e Vera non si sarebbe mai aspettata tanta attenzione da parte di Federico. Quell’atmosfera rimase per tutta la durata della cena, dall’antipasto fino al dessert, e anche dopo, quando Federico, sparecchiando insieme a Vera, le cinse la vita e cominciò a baciarla teneramente. La portò nella stanza accanto, nella sua camera da letto, per festeggiare il lungo tempo trascorso insieme. Vera si accorse che quelli erano attimi speciali che difficilmente sarebbero tornati con la stessa intensità, e sentì dentro di lei che quello era il momento ideale per rendere la serata ancora più magica.

Fermando le dita di Federico che si accingevano a sfilarle il vestito, sussurrò: - Tu cosa faresti se io fossi incinta?

Il ragazzo rispose continuando a baciarla:- Ti sembra il momento di fare certe domande?

Vera si divincolò con delicatezza: - No, dico sul serio. Cosa faresti?Lui sbuffò:- Non lo so, non ci ho mai pensato…che domanda…ti farei

abortire, forse…La ragazza si sentì avvampare improvvisamente come se qualcosa le fosse

andato di traverso e non riuscisse a respirare liberamente. L’incanto della serata si era in un attimo dissolto come una bolla di sapone e quelle parole l’avevano ferita profondamente. Ora la situazione si faceva più complicata perché non sapeva più come andare avanti, ma ormai non poteva più tornare indietro. Avrebbe voluto fermare il tempo, così, con un battito di mani, poi scivolare via da quel letto e capovolgere la clessidra soltanto dopo essere scappata lontano, in un posto irraggiungibile, su un’isola deserta. Le parole del ragazzo l’avevano ferita ma allo stesso tempo irritata, perché non si sarebbe mai aspettata una risposta simile da uno come lui.

- Spiegati meglio: tu saresti capace di un’azione simile? – Si scostò leggermente da lui.

Federico la guardò con aria interrogativa:- Non ti capisco. Ma che ti prende? Perché ti metti a fare certi discorsi? Cavolo, non lo so cosa farei! Sinceramente l’idea di avere un figlio non mi entusiasma- cominciava ad innervosirsi e a nutrire dei sospetti – Non hai mai affrontato un argomento simile e adesso all’improvviso costruisci certi castelli in aria…c’è qualcosa sotto. Ora voglio sapere la verità. Cosa mi nascondi?

- Cosa intendi dire? - chiese Vera turbata. - Lo sai.

- Non capisco... - Smettila di recitare!- questa volta il volto di Federico si fece molto serio e i suoi occhi la guardavano smarriti. Poi chiese in un fil di voce: - Sei incinta? Vera si nascose il viso tra le mani per qualche istante, poi non sapendo cos’altro dire, rispose: - Sì. Federico rimase impietrito davanti a quella dichiarazione inaspettata. Si sentì completamente perso e vuoto, non riusciva a pensare a niente, se non alla sua vita segnata definitivamente da questo evento. Vera si sentiva in una totale confusione, si diceva dentro di sé che era stata una stupida a raccontare tutto a Federico, a sperare che lui ne sarebbe stato felice e orgoglioso e che il loro rapporto sarebbe diventato ancora più stretto. Invece la sua risposta l’aveva colpita dritto al cuore spezzando ogni aspettativa.

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- Se avessi saputo che la prendevi così male non ti avrei nemmeno avvertito. E pensare che credevo…

- Cosa credevi? – urlò Federico alzandosi dal letto e portandosi le mani ai capelli - E’ un figlio, Vera, lo capisci? Come è potuto accadere? E’ pazzesco…

Vera rispose seccamente: - Siamo responsabili tutti e due del bambino. Forse se qualcuno mi avesse chiesto qualche mese fa se desideravo un figlio avrei risposto di no, ma ora sono felice, l’ho accettato volentieri e lo amerò con tutta me stessa. Non voglio abortire e mi stupisce che tu abbia pensato che fosse la soluzione giusta.

- Io non mi sento pronto per affrontare una situazione simile, è troppo complicata, no, non puoi chiedermi questo…

Vera si alzò furibonda dal letto e gridò:- Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Hai trent’anni e non ti senti pronto per avere un figlio! Se sono incinta è perché siamo stati imprudenti entrambi, ma ora non possiamo fare finta di niente! Ti sei già scordato quello che mi hai detto prima? Hai detto che abbiamo superato tanti momenti difficili in questi tre anni e che i nostri sentimenti sono forti come il primo giorno! E adesso? Rinneghi tutto ciò che hai detto? Sei proprio un vigliacco! Mi hai sempre accusata di essere sciocca e infantile, ma ora mi accorgo che l’irresponsabile sei tu!

- Belle parole…tu mi vuoi fregare…lo sapevo che non potevo fidarmi di te…ora cosa vuoi? Che ci sposiamo? Che andiamo a vivere insieme in una bella capanna nel bosco?

Vera rimase in silenzio, allibita da quei discorsi che non avrebbe mai immaginato di dover sentire un giorno. Non sapeva più cosa fare, le veniva da piangere, ma era talmente sconvolta che le lacrime non scendevano e rimanevano sulle ciglia ad appannarle la vista. Federico camminava avanti e indietro per la stanza, anche lui in silenzio, preoccupato per il suo futuro. Dopo alcuni minuti si decise a dire:- Ti riaccompagno a casa. Vai a prendere la giacca.

Anche in macchina non si scambiarono una parola, non si guardarono nemmeno in faccia e il leggero rumore delle gocce di pioggia sui vetri sembrava assordante. Prima di scendere dall’auto Federico fermò Vera con la mano e disse quasi sottovoce:- Senti…forse è meglio che per un po’ di tempo non ci vediamo…ho bisogno di stare da solo, devo riflettere…scusami…Lei lo guardò incredula.- Vorresti dire che non dobbiamo più frequentarci? Vorresti dire che…è finita?Il ragazzo non ebbe il coraggio di rispondere, Vera lo guardò negli occhi e lesse nel suo sguardo la risposta. Rassegnata, annuì con la testa, scese sbattendo la portiera dietro di sé e corse in casa.

Le lenzuola del letto erano gelide e non davano alcun senso di protezione a Vera, che si era rintanata là sotto per sfuggire alle intemperie della vita che sembravano ricadere su di lei tutte in una volta. Si chiese che cosa aveva fatto di male in tutti quegli anni per meritarsi un periodo così brutto, ma non riusciva a trovare una risposta. Il suo cuore batteva forte e tremava come una foglia, sconvolta dall’accaduto. Non riusciva a smettere di pensare a Federico, alla loro storia finita così, da un momento all’altro, con poche parole distaccate. Non aveva mai dubitato dei sentimenti che provavano l’uno per l’altra, nemmeno durante i litigi più accesi, perché conosceva il carattere

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difficile di Federico e lo aveva accettato volentieri, con il tempo, con i sacrifici, con l’amore. Il suo ringraziamento era stato quello di abbandonarla nel momento meno opportuno, con un bambino, il loro bambino. Come si può avere paura di una creatura indifesa e ancora inconsapevole? Vera proprio non riusciva a farsene una ragione. Appena appresa la notizia era rimasta esterrefatta, sorpresa e spaventata da un evento così inaspettato, ma si trattava pur sempre di una nuova vita, una piccola vita che avrebbe colorato la sua e quella delle persone più care. Certo, non l’aveva presa con leggerezza, ma ormai tutto era accaduto, perché allora, cancellare ogni traccia e continuare come se non fosse successo niente? Perché non dare una possibilità a chi non ha nessuna colpa? Il discorso di Giulio sulle responsabilità e i sacrifici aveva aiutato Vera ad essere ancora più consapevole di ciò che stava facendo, e, nonostante tutto, si sentiva pronta per affrontare questa nuova esperienza. A dire il vero, sentiva anche il bisogno di un amore più profondo, non quello di una relazione amorosa, ma quello speciale che unisce un genitore e un figlio, e che lei non aveva mai avuto. Anzi, lo aveva avuto, sì, ma né lei, né Marta e Vittorio erano stati in grado di dimostrarlo davvero, e forse, questa occasione aveva fatto nascere in Vera uno strano desiderio di ricominciare, di dare e ricevere un affetto particolare e speciale che riempisse le sue giornate. L’errore più grande era stato quello di non avere avvertito subito Marta, ma non era preparata per farlo, perché in tutti quegli anni non c’era mai stata una vera confidenza: si parlava di tutto e di niente, di futilità, di viaggi, di nuove passioni, di moda, di sport e a volte di lavoro, ma mai di se stessi. Allora aveva preferito aspettare, rimandare, per potere dormire la notte e non tormentarsi nel trovare parole mai dette prima e dal sapore lontano e sconosciuto; poi era successo che quell’ipocrita aveva cacciato Marta dall’agenzia destando in lei nuove angosce che l’avevano portata ancora più lontano da Vera e dal bambino, proprio quando lei aveva trovato il coraggio di dire la verità. Come una maledizione. E lei, rigirandosi tra quelle lenzuola continuava a chiedersi cosa aveva fatto di male in tutti quegli anni per meritarsi un periodo così brutto, ma non riusciva a trovare una risposta.

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Il problema sembrava non risolversi mai. Vera andava a dormire ogni sera con lo stomaco in subbuglio e il cuore agitato, e si svegliava ogni mattina con la stessa sensazione, un formicolio alla pancia e il primo pensiero per Federico. Per tutta la giornata aveva in testa la sua voce, le frasi più dolci e più belle che improvvisamente venivano spezzate dalle parole dure di quella sera, le ultime parole che Vera aveva sentito pronunciare da Federico. Quando non pensava a lui, l’attenzione era rivolta al bambino, o a Marta, o a Giulio che mai come in questo momento le era vicino, l’amico più caro che aveva. Passavano la settimana aspettando il sabato e la domenica per potersi vedere, lui all’università, lei al negozio, e il week-end trascorreva a casa di uno o dell’altra, qualche sera in pizzeria, o in qualche locale carino a sorseggiare una cioccolata bollente. Perché poi, a Giulio stava così a cuore la sua situazione? Come se di problemi , lui, non ne avesse già abbastanza…ma lei aveva bisogno del suo conforto, e per questo non si attentò mai a chiederglielo. Ora la preoccupazione più grande era per il futuro del “marmocchio”, perché Marta ancora non ne sapeva niente, e dopo la perdita del lavoro, aveva altre cose a cui pensare. Senza un suo aiuto economico e senza l’appoggio di Federico la possibilità di ingrandire la famiglia diventava complicata, nonostante le generose proposte di Giulio che Vera non poteva né voleva assolutamente accettare.- Perché non ti lasci aiutare? Io sarei felicissimo di fare da baby-sitter al

tuo bambino! Gratis, naturalmente! Abitiamo anche a pochi metri di distanza, meglio di così…! – Esclamava speranzoso l’amico, guardandola con quegli occhi grandi e neri, sempre persi in chissà quali riflessioni esistenziali. – E poi- continuava esaltandosi sempre di più- la stanza di Camilla è grande, per cui, in caso di bisogno puoi tranquillamente usarla. Lei sarebbe sicuramente d’accordo.- Non era così semplice. Aveva bisogno di sfogarsi con una persona adulta, che avesse esperienze in questo campo, ma ben presto scartò ogni possibile candidato. Fino a quando, un giorno, s’imbatté per caso in Vittorio, dopo tanto tempo e rivederlo in modo così inatteso le fece molto piacere.- Papà! - Vera! Quanto tempo!- Oh, che bello rivederti!…cosa ci fai qui?- Sto andando ad un appuntamento di lavoro in quel palazzo laggiù…

vedi?- indicò col dito. Poi guardando l’orologio disse:- Ma sono in anticipo, perché non mi accompagni, così parliamo un po’? Vera si sentì sollevata dalla sua presenza e questo la stupì, perché

ultimamente aveva cercato in tutti i modi di evitarlo e di allontanarsi. Annuì entusiasta e si avviarono verso l’edificio.- Certo che oggi è proprio una bella giornata! Si vede che la primavera è

alle porte…- Già…finalmente! Sono stanca di tutto questo freddo…- Come stai? Come ve la passate tu e la mamma?- …benone…sì, bene, direi…cioè, abbastanza bene…e tu?- Oh, sì, anche io non mi lamento…un po’ il lavoro, ma…bene, sì, sì…

bene…Silenzio un po’ imbarazzato.

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- Sono contenta…- Anch’io… ci sono novità a casa?

Vera pensò a cosa dire. Perché non confidarsi con Vittorio? Ma perché farlo? - Di che genere? - Così, in generale…hai la faccia di chi si è cacciato in un qualche guaio!Vera arrossì, e dopo una boccata d’aria, si liberò: - Hai ragione, papà. Ho un enorme problema che non so come risolvere, e più passano i giorni più mi sento in trappola…non saprei nemmeno da dove cominciare…è davvero complicato…Vittorio si sentì molto stupito dall’atteggiamento della figlia. Tutti i problemi di cui gli aveva parlato si erano rivelati delle vere e proprie sciocchezze da adolescente, ma da allora era passato molto tempo e Vera ormai era cresciuta, aveva un lavoro, un fidanzato, la consapevolezza e le responsabilità di una ragazza di vent’anni. La ciccia in eccesso, i brufoli enormi, i peli omogeneamente distribuiti sul corpo erano fissazioni che ormai già da qualche anno aveva eliminato e ora Vittorio non sapeva cosa aspettarsi, ma qualcosa nelle parole di lei lo turbò.

Non c’era molta gente in strada. Solo qualche banchiere in giacca e cravatta pronto a tornare al lavoro, un cane randagio e qualche anziano alla ricerca di un po’ di compagnia davanti al bar. Un uomo sui trentacinque anni, di colore, con una camicia a quadretti bianca e rosa scuro e dei pantaloni a costine marroni avanzava rapidamente verso padre e figlia. I due erano di spalle e quando l’uomo appoggiò la mano sulla spalla di Vittorio, questi fece un sobbalzo e si voltò di scatto.

- Signor Damiani…Vittorio impiegò un attimo per riconoscere chi aveva di fronte, poi

scoppiò in una risata.- Oh, Signor Latif! Non mi aspettavo di incontrarla così presto! E’ in

anticipo! Mi stavo proprio recando a casa sua! Le presento mia figlia, Vera….le dispiace se porto anche lei al nostro appuntamento?

L’uomo con un accento straniero rispose con un larghissimo sorriso:- Non mi dispiace affatto! A mia moglie farà molto piacere parlare

un po’ con qualcuno! Forza, venite, vi accompagno!A poche centinaia di metri si ergeva l’enorme condominio in cui abitava

la famiglia di Latif, grigio, malinconico, con piccole finestre e balconi pieni di biancheria appesa. Il loro appartamento era al quinto piano, ma dovettero utilizzare le scale perché l’ascensore non funzionava. Appena l’uomo aprì la porta, li accolse un forte e caldo profumo di spezie e verdure. Le stanze erano avvolte nella semioscurità e si sentivano la voce di una donna e i versi gioiosi di bambini. La ragazza arrivò dopo qualche secondo camminando goffamente a causa del pancione. Il Signor Latif presentò l’avvocato e la figlia alla moglie Khalida.

- Molto piacere di conoscervi. Questi sono i nostri bambini, Mahdi e Lina.

L’uomo guardò la ragazza con uno sguardo austero e le disse:- Ora andate a parlare di là, io e l’avvocato dobbiamo discutere di

affari importanti. Forza, andate a parlare di cose da donne. Mi fido di Vera…Vera un po’ sorpresa da questo discorso, annuì e seguì Khalida in

salotto.

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L’arredamento era molto semplice, ordinato, solo qualche gioco era sparso qua e là per la stanza. I bambini stavano attaccati alla gonna della madre, probabilmente perché non erano abituati a vedere estranei in casa.

- Coraggio, andate a giocare! Dài…non dovete avere paura! Siete proprio dei mascalzoni!- esclamò ridendo- quando siamo soli mi fate dannare e basta la presenza di questa simpatica ragazza a spaventarvi?

Vera sorrise e disse qualcosa ai due pargoli che scapparono via.- Scusa…sanno essere più educati…- No, non ti preoccupare…sono molto divertenti! Anche Khalida sorrise, poi scese un silenzio imbarazzante.- Bèh, allora quando nasce il prossimo?- azzardò Vera.- Tra tre mesi. Ma non ho paura. Ormai so cosa devo fare. Il

bambino non mi preoccupa. Ho altri problemi a cui pensare. Dobbiamo pagare l’avvocato…dobbiamo tirarci fuori dai guai…

Solo in quell’attimo Vera pensò che se suo padre era lì, doveva essere accaduto qualcosa di grave. La casa, i due coniugi, i bambini le ricordavano una visita informale, come se Vittorio l’avesse portata a casa di amici. Invece era un incontro di lavoro. Khalida si lasciò andare agli eventi, raccontò l’accaduto come ad una amica d’infanzia, forse perché era troppo tempo che teneva dentro le sue riflessioni. Erano algerini. Erano arrivati in Italia cinque anni prima per sbaglio, quando lei aveva solo diciassette anni e Mahdi già due. Per sbaglio, perché in realtà dovevano raggiungere la famiglia del fratello di Latif, che abitava a Marsiglia, ma proprio quando erano in Italia e stavano per raggiungere la Francia, il fratello venne ucciso a coltellate da uno sconosciuto e decisero di rimanere a Reggio. Trovarono un miniappartamento che dovettero condividere per due anni con un’altra famiglia di marocchini. In quei due anni il marito lavorava in nero, poi, dopo varie vicissitudini e la nascita di Lina riuscirono a farsi regolarizzare i documenti e a trovare quel modesto appartamento. Ora Latif faceva il magazziniere, mentre lei stava tutto il giorno in casa con i bambini. Fino a qualche mese prima sembrava che le cose andassero finalmente per il verso giusto, ma una sera, appena uscito dal lavoro, Latif fu bloccato da un amico, Josef, che voleva a tutti i costi appartarsi in un posto buio per discutere di una certa cosa e Latif si era subito allarmato perché in questi anni avevano imparato che non bisognava fidarsi di nessuno, nemmeno degli amici. Viste le insistenze accettò, ma appena giunsero dietro la fabbrica ormai deserta, l’amico lo aggredì dicendo che era un bastardo, perché si era sistemato, aveva un appartamento tutto per lui, una bella moglie, dei figli, non aveva debiti con nessuno, come invece capitava a molti immigrati, lui compreso, non aveva bisogno di spacciare, di rubare o di entrare in brutti giri per sopravvivere e per questi motivi era proprio un vigliacco, perché aveva lasciato tutti i suoi amici nella merda, non aveva fatto niente per aiutare lui e la sua famiglia, era invidioso del suo successo (se così lo si può definire) e della sua vita onesta. Latif capiva la disperazione dell’amico, cercava di spiegarsi, di calmarlo, ma invano. L’uomo si accaniva contro di lui, con tutte le sue forze, con tutta la sua rabbia. Gli scendevano anche le lacrime mentre picchiava e calciava. Latif pensò ai suoi bambini e a Khalida, che erano tutta la sua vita. In un attimo davanti a lui passarono tutti i suoi sacrifici, le sue battaglie, le sue gioie e i suoi dolori. Quando l’amico tirò fuori un coltello dalla tasca, ripensò al fratello massacrato senza una ragione, alla sua famiglia distrutta e senza nemmeno capire cosa stava facendo, reagì con tutta la forza che gli era rimasta, riuscì a disarmarlo, si avventò come una

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bestia su quello che ora era diventato una vittima, lottarono a terra come due cani da combattimento, feroci e indivisibili, fino a quando il suono delle sirene della polizia fece scattare in piedi Latif, mentre Josef giaceva a terra inerme. Non provò nemmeno a scappare, sconcertato dalle condizioni pietose dell’uomo accasciato ai suoi piedi. Fortunatamente non era morto e dopo un mese di ospedale poté tornare a frequentare le sue losche compagnie alla stazione. Per Latif invece, quella sera aveva segnato l’inizio di un incubo: accusato di tentato omicidio con premeditazione, faceva avanti e indietro dalla questura, scortato dai poliziotti. Nessuno naturalmente credeva alla sua versione dei fatti. Nel palazzo in cui abitava ormai nessuno salutava più né lui né Khalida, le donne richiamavano i loro figli quando Mahdi o Lina li invitavano a giocare in giardino, l’amministratore si era preso del tempo per decidere se sfrattarli o no, mentre il suo datore di lavoro lo aveva licenziato immediatamente. Il problema più inquietante era che gli amici di Latif cominciavano a sospettare che Josef stesse tramando qualcosa di pericoloso alle loro spalle, e che la sua banda fosse pronta a difenderlo o a collaborare con lui. Per questo motivo Khalida usciva solo per fare la spesa o per portare a casa Mahdi da scuola. Se Vittorio fosse riuscito a dimostrare che Latif era stato la vittima di un agguato e non l’assalitore, almeno avrebbero potuto avere un po’ di giustizia e riavere quella piccola parte nella società che avevano prima. Le parole di Khalida erano però speranzose e riempirono Vera di grande energia positiva.

- Accidenti! Come fai ad essere così serena e ad affrontare questa situazione così difficile con questa forza?

Khalida sorrise e allargando le braccia rispose:- Ho fede. Prego ogni giorno e amo mio marito e i miei figli con tutta

me stessa. Fede e amore sono la risposta ad ogni difficoltà. Me lo ha insegnato la mia famiglia e ne sono pienamente convinta. Inoltre ho un altro bambino in grembo e la sensazione di una nuova vita che cresce dentro di me mi dà una forza incredibile e la certezza che il futuro possa regalarci ancora tanta gioia dopo tutta questa sofferenza. Ma questa è una sensazione che anche tu presto proverai.

Vera rimase un attimo stupita.- Cosa intendi dire?Khalida si illuminò in un dolcissimo e consapevole sorriso:- Quando nascerà il tuo bambino?Vera si sentì turbata ed emozionata da quelle parole così esplicite e così

sincere. Non riusciva a capacitarsi di ciò che le sue orecchie avevano appena udito, si sentiva smascherata e presa alla sprovvista.

- Come…come lo sai? Chi te l’ha detto? Non l’ho confidato quasi a nessuno…

- Ehi, non è un peccato, anzi, un dono prezioso del cielo di cui devi andare orgogliosa! Non me lo ha detto nessuno, infatti, ma sento nel tuo modo di fare e di esprimerti una tensione particolare, un insieme di entusiasmo e rassegnazione di chi non sa se tenere o no il bambino… Mi sbaglio?

- No, non ti sbagli- rispose Vera, abbassando lo sguardo- I miei problemi non sono gravi quanto i vostri, se te li racconto sembrerebbero proprio delle sciocchezze e mi daresti della superficiale…

- Assolutamente no! Come fai a pensare una cosa simile? Ognuno ha i suoi problemi e per ognuno sembrano irrisolvibili…così va la vita.

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Mettiamola così: considerami più esperta di te per quanto riguarda i bambini e lasciati andare. Vedrai che se ti sfoghi con qualcuno ti sentirai certamente meglio, e forse riuscirai a prendere più facilmente una decisone.

Vera si sentì sollevata.- Grazie, sei molto gentile. Ciò che mi rende così indecisa è che

Federico, il ragazzo con cui sono stata per tre anni, mi ha abbandonata proprio quando gli ho detto che aspettavo un figlio. Ancora adesso non riesco a farmene una ragione.

- E ai tuoi genitori non hai detto niente?- Ho pensato di parlarne con mia madre, ma, pur amandoci molto,

non abbiamo mai avuto modo di essere veramente vicine e sentirci davvero unite e quando ho trovato il coraggio per dirglielo, lei mi ha preceduta dicendo di essere appena stata licenziata. Oggi venendo qui, mi era venuta voglia di aprirmi un po' con mio padre, ma non l'ho fatto. L’unica persona che mi capisce veramente è il mio migliore amico, Giulio, che però ha solo un anno in più di me e non so quanto mi possa aiutare…non so davvero cosa fare. Dovrei crescere un figlio da sola, con i pochi soldi del mio stipendio oppure farmi aiutare dai miei, ma non mi sembra molto corretto...forse sarebbe meglio abortire…almeno elimino tutti i problemi…

Khalida scosse la testa:- Non è affatto facile la tua situazione. Non posso convincerti a

tenere il bambino, anche se è quello che spero vivamente, però non fare cose affrettate di cui poi, potresti pentirti per tutta la vita. Se non ci fossero tutti questi ostacoli, lo vorresti tenere? Lo desidereresti?

Vera ci pensò un attimo, poi il suo sguardo si illuminò:- Sì. Lo amerei tantissimo, perché già ora sento di non poter fare a

meno di lui. Ma se perderlo significasse non dare altri problemi alle persone più care…

- Non farti ingannare da questa idea. Non penso proprio che daresti un dispiacere ai tuoi genitori. Sicuramente aumenteranno le difficoltà economiche e sarà necessario fare delle rinunce, ma come si fa a non volere bene ad un bambino? Bisogna proprio essere delle bestie…e poi l’ Avvocato Vittorio lo vedo bene nei panni del nonno!

Le due giovani scoppiarono a ridere e Vittorio, che era appena uscito dalla cucina con l signor Latif, si sentì chiamato in causa:

- Ho sentito il mio nome! Vera, non avrai mica parlato male di me a Khalida, spero…!

- No!- disse Vera ridacchiando- stavamo parlando di faccende private…

Vittorio sorrise, poi, strinse la mano a Latif e a Khalida, salutò i bambini e fece un cenno alla figlia.

- La nostra riunione è conclusa, abbiamo sistemato un paio di cose su cui lavorerò anche nei prossimi giorni. Appena ho notizie positive mi faccio sentire. Ora possiamo andare.

Vera si avvicinò a Khalida:- Grazie di cuore per avermi ascoltato. Ti farò sapere cosa ho

deciso, ma ripenserò attentamente a quello che mi hai detto. - Buona fortuna anche a voi! Grazie anche a te per la compagnia.

Torna a trovarmi quando hai tempo! Vera salutò gli altri membri della famiglia e se ne andò col padre.

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Arrivati sul luogo in cui si erano incontrati casualmente nel pomeriggio, Vittorio chiese alla figlia se voleva un passaggio in macchina fino a casa. Era un modo per stare ancora qualche minuto con lei e magari per vedere Marta di sfuggita. Si sentiva strano. Quelle poche ore assieme a Vera gli avevano procurato una grande nostalgia dei bei tempi, tantissimi anni prima, della vita con Marta, delle serate tranquille trascorse a casa di Anna e Maurizio, dove Giulio e Vera scorrazzavano ancora carponi per le stanze e mettevano in bocca ogni piccolo oggetto che trovavano. Marta era splendida e selvaggia, quasi irraggiungibile, e, la notte, dopo avere fatto l’amore, lui la guardava per ore dormire, finalmente quieta, le accarezzava i capelli e il viso e sussurrava “ora sei tutta mia”. Poi arrivava l’alba e lei tornava ad essere selvaggia ed irraggiungibile. Anche dopo la separazione c’erano stati momenti piacevoli, erano rimasti buoni amici e ogni tanto si incontravano a prendere un caffè, ma sapere che molti uomini la corteggiavano lo faceva letteralmente impazzire e per questo ad ogni appuntamento se ne andava prima, per non cedere alla tentazione di farle domande troppo personali, per non scoprire cose che lo avrebbero fatto soffrire. Anche lui aveva avuto qualche altra storia: dopo aver aspettato Marta per alcuni anni, c’era stata quella breve relazione con Clarissa, la barista che lavorava sotto al suo studio, e alcuni anni dopo aveva incontrato Silvia, la nuova segretaria, che aveva frequentato per un anno e mezzo. Ma il carattere e il fascino di Marta erano difficili da dimenticare. Ora Vittorio stava bene da solo, il suo lavoro gli dava molte soddisfazioni e cercava di non distrarsi con altre futilità. Quella sera, però, accanto alla figlia aveva provato il desiderio di fare qualcosa di particolare tutti insieme dopo tanto tempo. Si chiese se ciò che gli passava per la testa fosse in realtà una vera e propria sciocchezza, ma prima di trovare una risposta sentì la sua voce pronunciare:

- Perché non andiamo fuori a cena questa sera…io, te e la mamma?Vera rimase molto sorpresa da queste parole. Stava ancora pensando a

Khalida, al suo triste racconto, ai suoi consigli, e la proposta del padre la colse impreparata. Ma ripensandoci, anche lei si sentiva strana e desiderosa di una serata rilassante, dopo quel pomeriggio così intenso, quindi pensò che poteva essere una buona idea.

- Certo! Perché no? Penso che anche alla mamma farebbe piacere…l’aiuterebbe a distrarsi un po’…

- Perché , c’è qualche problema?- chiese Vittorio allarmato.- No, no…va tutto bene…- si corresse subito lei. Non voleva dire al

padre che Marta aveva perso il lavoro. Lui, così apprensivo, non avrebbe fatto altro che parlare di questo problema per tutta la sera, e non era proprio il caso, visto lo stato d’animo già provato della madre.

La macchina raggiunse in pochi minuti la casa di Vera, ma ciò che trovarono non piacque per niente a Vittorio. Parcheggiata davanti al giardino stava una bellissima automobile di lusso, lucida e nuova. L’uomo sbuffò e fece inversione di marcia.

- Chi potrà mai essere? Non ho mai visto quell’auto.- disse Vera stupita- pazienza! Vorrà dire che l’ospite se ne dovrà andare prima!- scherzò.

- No…- la interruppe lui, grattandosi la fronte, visibilmente infastidito dall’imprevisto- è chiaro che la persona fuori luogo sono io…è stata un’idea stupida…non ti preoccupare, sarà per un’altra volta…

- Ma dai, non dire così!44

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- Ti ripeto, sono nel posto sbagliato…- La fermò Vittorio con fare nervoso- è meglio che me ne vada a casa. Sicuramente l’ospite è un “caro amico” di Marta…non voglio proprio fare il guastafeste…ci vediamo! Mi ha fatto molto piacere incontrarti oggi. Speriamo che accada più spesso! Ciao!- e così dicendo si avvicinò per dare due baci sulla guancia alla figlia, che con un sospiro di disapprovazione lo salutò. Scese dalla macchina e salì le scale.

Quando aprì la porta Marta le corse incontro visibilmente emozionata. - Tesoro! Perché non hai suonato il campanello? Entri così di

soppiatto? Volevi rovinare tutto, eh? Forza, entra! C’è una sorpresa!La ragazza si sentì confusa e insospettita allo stesso tempo. Conosceva

certe improvvisate della madre e non le piacevano affatto. Marta la prese per il braccio e la condusse a forza in salotto dove due loschi personaggi, un uomo e una ragazza, la scrutavano incuriositi.

- Tesoro, ti presento James! L’uomo le sorrise alzando le sopracciglia e agitando la mano destra in

segno di saluto. Dalle dita, sfavillavano due giganteschi anelli d’oro massiccio, al medio e all’anulare.

- Piacere! Sono James. Marta mi ha parlato molto di te… ti piace l’auto parcheggiata qua fuori? E’ mia, sai…l’ho comprata qualche settimana fa…costa un sacco di soldi…

- Oh, sì, è splendida…- rispose lei per farlo contento, sfoderando il più largo sorriso di circostanza che sapesse fare.

- Ma non è finita! - esclamò Marta indicando la nobile fanciulla seduta accanto all’uomo- udite, udite, direttamente dall’America…Tiffany, la figlia di James!

La ragazza si alzò in piedi e sorridendo maliziosa si avvicinò a Vera con la mano tesa. Era alta, sottile, delicata come una foglia d’autunno; avanzava leggera come una ballerina dell’opera. Indossava una camicia bianca, una gonna corta di jeans e scarpe nere con il tacco alto. Ma era il suo viso a colpire maggiormente Vera: i capelli rossi le ricadevano mossi e ribelli sulle magre spalle, il viso bianco, punteggiato di lentiggini scure metteva in risalto due grandi occhi celesti, vispi, sfacciati, ma allo stesso tempo dolci ed intensi, circondati da ciglia lunghe e folte; il naso era piccolo e appuntito, le labbra non troppo carnose, ma di un colore rosso vivo, naturale. Le sorrise tendendole a sua volta la mano: - Piacere di conoscerti, sono Vera. Parli Italiano?

Tiffany sbuffò: - Anche tu! Sono qui da pochi giorni, ma tutte le persone che incontro mi fanno sempre le stesse domande ingenue. Certo che parlo Italiano! Con me hai l’imbarazzo della scelta: so American English, Italiano, Espanol, Français, Portugues…sai, gli States sono un crogiolo di popoli, se non sai le lingue sei out. Comunque sei perdonata. Piacere, Tiffany!

Si strinsero finalmente la mano. Vera rise imbarazzata. Guardò Marta chiedendosi cosa mai poteva trovare di interessante in due persone simili. Poi si pentì di avere sparato giudizi cattivi basandosi soltanto su un breve scambio di battute. Tiffany tornò a sedere sul divano svolazzando come una farfalla. Anche Vera si andò a sedere accanto a lei, non voleva essere sgarbata con i nuovi ospiti. Fu in quel momento che notò un oggetto insolito sul tavolino basso di ebano, souvenir del viaggio di nozze dall’Africa dei suoi genitori. Era un profumo di piccole dimensioni, ma molto grazioso, rosa, a forma di fiore. Stava sopra ad un foglio di carta da regalo, tutto stropicciato. Tiffany, notando che Vera osservava il profumo con curiosità, esclamò: - Oh, che maleducata!

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Ho già ringraziato Marta, ma mi sono dimenticata di farlo anche con te! Grazie di cuore, questo profumo è stato davvero un pensiero gentile da parte vostra!

Vera esitò un attimo, un dubbio improvviso le balenò nella mente, poi si girò di scatto verso la madre come per chiedere spiegazioni con lo sguardo. Marta, arrossendo, la implorò con lo sguardo di reggere il gioco. Allibita da quella scena abbastanza infelice, non si sforzò nemmeno di rispondere. Si sentì soltanto le gote surriscaldarsi e diventare paonazze. Almeno ora era tutto chiaro: il regalo non era per lei, ma per Tiffany! Si era illusa e aveva sperato in un avvicinamento da parte di Marta totalmente impossibile. Anzi, lei si preoccupava della figlia di altri piuttosto che della propria. Per di più non aveva nemmeno avuto la correttezza di avvisarla prima, facendole fare anche una magra figura davanti a tutti. Imperdonabile, davvero troppo. Vera, più che arrabbiata, si sentiva offesa, presa in giro, trascurata. Era evidente che la madre sapeva da tempo dell’arrivo di Tiffany, ma non ne aveva mai parlato con lei. Cercò di mandare giù il groppone e di andare avanti, ma continuava ad essere sconcentrata, non riusciva ad entrare nelle conversazioni, e le loro parole sembravano lontane e confuse. Si chiese, a questo punto, quando Marta si sarebbe accorta che sua figlia era incinta. Pensò che, dopo tutto, era stata una madre fortunata, perché, snaturata com’era, Vera sarebbe potuta benissimo diventare una tossicodipendente, una alcolizzata, una sbandata senza che lei se ne accorgesse. Allo stesso modo, anche la ragazza poteva ritenersi fortunata, poiché molti suoi amici e compagni di scuola le avevano sempre invidiato quella madre così intraprendente, aperta, libera, assente dalla sua vita privata. Ma non era così. Non poteva gioire di questa situazione, non sapeva trovarne i vantaggi. Poteva soltanto sentirsi sola, tremendamente sola. Sola a vent’anni, con un bimbo in grembo di cui pochi conoscevano l’esistenza. Sola con accanto una madre che si comportava come una semplice amica, e nemmeno molto rispettosa, con un padre lontano che pensava quasi esclusivamente alla carriera, con l’amore per un uomo che l’aveva rifiutata, con un solo vero amico.

Ad interrompere i pensieri che scorrevano come fiumi impetuosi dentro di lei, e le parole e le risate allegre che continuavano tra i presenti nel salotto, venne lo squillo del campanello. Marta corse a rispondere al citofono.

- Finalmente è arrivato il Pizza Express! – Esclamò uscendo. Tornò con quattro cartoni di pizza in mano.

Andarono tutti in cucina, dove Vera scoprì che la tavola era già apparecchiata.

- Non sapevo che rimanessero anche per cena… - azzardò, ormai rassegnata.

Marta sfoggiò un largo sorriso di soddisfazione: - Non solo! Purtroppo è successo un grave disguido: nel primo pomeriggio sono scoppiate le tubature nella villa di James, ma quando è accaduta questa disgrazia la casa era vuota, non c’era nemmeno la donna delle pulizie perché oggi è il suo giorno libero, quindi tutte le stanze si sono allagate, compresa la cucina e le camere da letto…per questo ho pensato che non potevamo lasciare James e Tiffany in quell’umidità e in quel caos, e mi sono offerta di ospitarli qui per qualche giorno, giusto il tempo di sistemare l’impianto idraulico. Non sei d’accordo? Lui dormirà nella mia stanza, mentre Tiffany potrà comodamente sistemarsi nella camera degli ospiti.

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Vera rabbrividì, ma davanti a quelle tre facce speranzose non poté fare altro che constatare a bassa voce:- Meraviglioso. Semplicemente meraviglioso.

La spiaggia era affollata e il sole splendeva nel cielo limpido e chiaro. I bambini giocavano tra le onde ed emettevano piccole grida di gioia. L’acqua era azzurra e trasparente, leggermente mossa. Tutto sembrava tranquillo. I passanti chiacchieravano e passeggiavano sereni, con il sorriso sulle labbra. Vera si godeva la scena e l’atmosfera di pace. Era appena scesa dall’albergo da sola, perché Federico aveva preferito rimanere nella sua stanza ancora per un po’. Salutò una signora accompagnata dal suo piccolo Chihuahua che alloggiava nello stesso hotel, poi si avvicinò al bagnasciuga per respirare un po’ di profumo di mare. Un uomo di fianco a lei stava ammirando il cielo tenendo una mano sulla fronte per proteggersi dalla luce abbagliante del sole. All’improvviso, la sensazione di una oscura presenza pervase Vera, che cominciò a guardarsi intorno senza però percepire nulla di insolito. Dopo qualche istante si accorse che un’ombra stava lentamente spandendosi sulla sabbia, oscurando la spiaggia e il mare. Contemporaneamente tutti i bagnanti si accorsero dello strano fenomeno e si girarono tutti a sinistra per guardare il cielo. Un enorme aereo che trasportava un lungo ed imponente missile dalla punta ovale stava puntando verso la loro direzione e sembrava deciso a cadere proprio sulle loro teste. Cadeva lento, ma preciso, come su di un bersaglio di guerra. La gente guardava immobile la scena, senza avere nemmeno la forza di fuggire. Gli sguardi seguivano stupiti e scioccati la traiettoria del missile, speranzosi di un ultimo, miracoloso cambio di direzione. Il missile passò su di loro, gigantesco e silenzioso, ma allungò il suo tragitto di qualche centinaio di metri, forse di qualche chilometro, ed andò a schiantarsi al di là dei numerosi palazzi che si potevano scorgere a destra, seguendo il lungomare. L’esplosione fu potentissima, immensa, assordante ed accecante. Una enorme nuvola di fumo a forma di fungo spaccò il cielo, raggiungendo delle dimensioni sorprendenti. Dopo pochi attimi di sgomento e di immobilità, il panico si impadronì dei presenti, si elevarono grida di terrore e paura, tutti cominciarono a scappare senza meta, colti da un’improvvisa pazzia, da un senso di impotenza di fronte a quell’evento catastrofico. Vera, terrorizzata, corse verso l’albergo. Era in preda all’agitazione, non capiva niente, non sapeva nemmeno cosa stava facendo, sentiva soltanto le sue membra muoversi il più rapidamente possibile. Fece diverse rampe di scale correndo, fino a quando non trovò la sua stanza dove Federico riposava ignaro di tutto.

- Non hai sentito l’esplosione?- Disse Vera scuotendo il ragazzo.- No. Che succede?- E’ scoppiata una bomba! Una bomba atomica! Dobbiamo fuggire,

fuggire! Muoviti! Fai le valigie!- e così dicendo, prese il borsone e cominciò a ficcarci dentro tutto ciò che le capitava in mano. In pochi minuti tutto era pronto e scesero di nuovo giù con le valigie, che però lasciarono nell’atrio. Ora Vera si trovava di nuovo da sola in mezzo a quella folla impazzita. Si guardò intorno. Vide accanto ai suoi piedi il piccolo cane della signora che aveva salutato poco prima, solo e spaventato. Lo prese in grembo e si accorse che tremava come una foglia. Intanto la battaglia era cominciata e bombe esplodevano anche nel mare, nelle stesse limpide acque dove qualche minuto prima i bambini giocavano spensierati. Le onde cominciarono a farsi sempre più alte e minacciose, gli scogli venivano letteralmente inghiottiti dall’acqua sconvolta dalle esplosioni. Vera sentì la rabbia e la disperazione crescere

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dentro di lei, mentre accanto a lei alcuni uomini discutevano sulla guerra inevitabile e necessaria. Sconcertata dall’udire queste parole proprio mentre missili si precipitavano sulle loro teste, cominciò a urlare ed imprecare contro quegli stupidi discorsi, ma loro sembravano non sentirla.

Poi corse di nuovo in albergo, disperata e sconvolta. Trovò tutti i clienti nell’atrio, compreso Federico e i suoi genitori. Stavano tutti seduti sulle poltroncine che circondavano la sala. I loro volti erano indifferenti, privi di emozioni, come ipnotizzati. Sedevano immobili, con lo sguardo perso nel vuoto. Vera li osservava vagando distrutta per la stanza. Poi si affacciò alla vetrata che dava sulla spiaggia. Una vista orribile si presentò ai suoi occhi. Le onde sbattevano violente sulla riva, l’acqua era sempre di un azzurro molto intenso e pulito, ma si avventava spaventosamente sul bagnasciuga con una forza feroce, e quando si ritirava, lasciava intravedere alcuni corpi senza vita di bambini ormai già mezzi seppelliti nella sabbia. Ad ogni movimento ondulatorio dell’acqua, anche i piccoli corpi si spostavano leggermente avanti e indietro, e le loro braccia ciondolavano trasportate dai movimenti del mare. A quella scena Vera si sentì impazzire, cominciò ad urlare con tutto il fiato che aveva, gridava come un’ossessa indicando ai presenti il mare. Le lacrime scendevano veloci sul suo viso, le mani le tremavano dall’orrore e dall’impotenza, ma nessuno sembrava udire i suoi lamenti. Sedevano immobili, con lo sguardo perso nel vuoto.

Vera si alzò di scatto dal letto. Sudava, si sentiva formicolare dappertutto, le mani erano gelide. Cercò a tastoni l’interruttore e accese la luce. Tutto intorno a lei era normale: la sua camera, i suoi pupazzi, i suoi libri, i quadri, le fotografie erano esattamente al loro posto. Rimase qualche minuto ad accarezzarsi la pancia e a sussurrare qualcosa al bambino, come se fosse stato lui a fare un brutto sogno. Si sentì un po’ meglio, ma non spense la luce. Per cercare di riaddormentarsi provò a concentrarsi su ciò che era successo la sera prima, ma servì soltanto ad innervosirsi. Certo che quell’incubo le aveva fatto dimenticare le ultime spericolate iniziative di Marta! Si alzò e in punta di piedi raggiunse la camera degli ospiti. La porta era socchiusa e da lì si poteva vedere Tiffany dormire beatamente. Vera controllò con attenzione come per accertarsi che fosse davvero lei. Sì, Tiffany, la figlia di James, dormiva nella stanza degli ospiti. Era tutto vero. Vera fece un profondo respiro di rammarico e se ne tornò a letto. Non si riaddormentò.

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Uno straccio. Vera arrivò in negozio con un’aria distrutta, le sopracciglia aggrottate e le occhiaie

profonde di chi ha passato una notte in bianco. Non salutò nemmeno e quando Andrea si azzardò a chiederle cos’era quella faccia da allocco inviperito, lei ringhiò e si andò a nascondere in magazzino. Uscì soltanto all’ora di pranzo. Angela e Andrea non osarono chiederle niente, ma per tutta la mattinata si scambiarono occhiate interrogative e incuriosite. Non appena un cliente usciva cominciavano a parlottare sottovoce tra loro, valutando ogni possibilità. Erano subito arrivate alla conclusione che non poteva c’entrare il bambino, perché in quel caso Vera avrebbe avuto un’espressione preoccupata o triste, ma non certo arrabbiata. Sicuramente era colpa di Federico, quel farabutto non si era fatto più sentire…o forse era proprio questo il punto! Si era fatto sentire per dirle che si era già fidanzato con un’altra persona! Mascalzone! Ma no! Probabilmente Marta se ne era andata via di nuovo senza avvisare la figlia… nonostante i loro sforzi, la verità non saltò fuori né quella mattina, né al pomeriggio: Vera era irremovibile. Rimase a sistemare il magazzino tutto il giorno e arrivò a mettere a posto prodotti già messi a posto per la seconda volta. Angela, dalla pazienza infinita, pregò dentro di sé che quella situazione si sistemasse al più presto, perché aveva bisogno che Vera stesse al banco e non in magazzino, ma con quella faccia corrucciata non avrebbe certo fatto una buona impressione ai clienti…

Alla sera, rientrando in casa, Vera sentì che non ce l’avrebbe mai fatta a superare anche questo affronto. Sentì delle voci nella camera degli ospiti, ma all’inizio pensò di sgattaiolare nella sua stanza senza salutare Tiffany; in un secondo momento, però, si accorse che quei rumori provenivano da una televisione, cosa bizzarra, visto che non c’era mai stata una televisione nella camera degli ospiti. La ragazza si avvicinò alla porta semiaperta : e invece sì. Tiffany stava comodamente sdraiata sul letto, con le gambe incrociate e il telecomando in mano. Indispettita, Vera entrò:

- Vedo che te la passi bene!Tiffany si girò verso di lei con aria sicura e un sorriso malizioso:- Non si usa bussare in Italia?Ancora più indispettita, Vera rispose cercando di mantenere la calma:

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- In America invece non si usa chiedere il permesso prima di impossessarsi di qualcosa che non ci appartiene?

- Se ti riferisci al televisore, è stata Marta a portarlo qui. Poi, a dirti la verità, i programmi italiani sono delle vere idiozie. Per fortuna ho trovato questo bellissimo canale di musica. E’ americano. Comunque…cosa hai fatto di bello oggi? Io sono andata in centro a fare un po’ di shopping, se vuoi ti mostro le cose che ho acquistato.

- No, ti ringrazio, devono essere sicuramente stupende. Io oggi sono andata a lavorare. Una giornataccia.

Ironica, Tiffany esclamò: - Poverina…! Ma non lo sai che negli States i ragazzi della nostra età studiano e lavorano nello stesso tempo, e soprattutto, vivono da soli? Spesso anche a centinaia di chilometri dai genitori, a volte non tornano nemmeno per le vacanze…qui è proprio un altro mondo…

Vera cominciò ad averne abbastanza, e tagliò corto: - Mi fa piacere. Ora vado a farmi una doccia. A dopo.

- D’accordo. Cosa prepari da mangiare stasera?Vera si fermò sulla porta scandalizzata.- In che senso, scusa?- Beh, visto che Marta e mio padre vanno a cena fuori…la cucina è

tutta tua! Ma non preoccuparti, non sono molto esigente. Mi basta un hamburger.

La ragazza guardò Tiffany con gli occhi sgranati, ma le uscì soltanto un:- ne parliamo dopo.- prima di scappare fuori da quella stanza.

I modi di quella smorfiosa proprio non le andavano a genio. Con il suo fare delicato e grazioso sferrava dei colpi micidiali, ma il suo sguardo azzurro ed innocente faceva pentire di ogni più piccolo pensierino cattivo. Insidiosa . La doccia, fortunatamente, la rigenerò, e quando uscì, Vera si sentì decisamente meglio, e soprattutto, abbastanza forte per sopportare un’intera serata con Smorfy. Pensò se fosse il caso di chiamare Giulio per allentare un po’ quella atmosfera un po’ tesa, ma poi, decise di approfittare di quella opportunità per conoscersi meglio. Magari era molto più simpatica e socievole dopo avere preso un po’ più di confidenza. Per ciò, Vera si promise di chiamare l’amico il giorno successivo. Dopo essersi data un’ultima sistemata, Vera passò da Tiffany, ancora piantata davanti alla TV.

- Se vuoi cenare, vieni in cucina con me. Mi aiuterai a preparare i due Hamburger più farciti, bisunti, pesanti e golosi che si siano mai visti nella storia culinaria. Nemmeno in America!

Sporcarono la cucina da cima a fondo, riempirono la tavola di ogni schifezza gastronomica, mentre dalla sala la musica a tutto volume di Eminem scaldava l’atmosfera. Maionese, senape, ketchup, salsiccia, insalata, salsa rosa e di ogni colore e tipo, pomodori, funghetti, cipolline, qualsiasi cosa si trovasse in quella stanza andava assolutamente ficcata in quei panini. Si divertirono a schizzarsi addosso i tubetti delle varie salse e passarono una bella serata. Sì, Tiffany in fondo non era poi così malvagia…anche se qualcosa non convinceva comunque Vera. Forse la piccola e naturale gelosia che si prova quando un estraneo ti piomba in casa così all’improvviso, e non sai quando se ne andrà. O più probabilmente il fatto che con tutti i suoi problemi, avrebbe preferito tornare a casa dal lavoro la sera, e trovarsi come al solito la casa vuota, silenziosa, tranquilla, tutta per lei e le sue riflessioni. Da quando era subentrato il piccolo, Vera era molto cambiata. Prima non si fermava mai a

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pensare, faceva le cose esattamente perché bisognava farle, per fare piacere agli altri, per andare avanti. Ora tutto era cambiato. Si accorgeva di giorno in giorno di questi piccoli passi avanti, e da un lato le piacevano, dall’altro la spaventavano un po’: era un punto di non ritorno e intanto lei non aveva ancora parlato con Marta, avvertito Vittorio e dimenticato Federico. Si sentiva una sciocca, un’ingenua. Era maggiorenne e vaccinata, poteva fare quello che voleva, cambiare casa, trovarsi tre fidanzati, fare dieci figli, alzarsi un mattino e decidere di fare la cantante, tingersi i capelli di rosa o qualsiasi altra cosa le passasse per la testa. Invece passava ore la sera, prima di addormentarsi a torturarsi con mille incertezze, mille preoccupazioni e all’alba, quando una strana agitazione allo stomaco la sorprendeva, si ritrovava al punto di partenza. Comunque fu contenta di passare quella serata con Tiffany; andò a letto abbastanza serena e il giorno dopo, con grande soddisfazione di Angela, il buonumore era tornato. Cosa ancora più sorprendente, le rimase anche nei giorni successivi e la settimana sembrò passare più in fretta. Vera era molto socievole con i clienti, passava il tempo libero facendo un po’ di gossip con Andrea, sfogliando giornali di pettegolezzi e commentando i vari personaggi dello spettacolo, uomini sportivi con attrici in erba perfette e senza cellulite. I giorni passarono così rapidamente che si dimenticò di Giulio. Era già venerdì quando si ricordò che doveva telefonargli. Appena arrivò a casa lo chiamò, e si sentì terribilmente in colpa quando lo trovò totalmente affranto e sconsolato.

- Cosa è successo? Accidenti, Giulio, perché non mi hai chiamata? Sei sempre disponibile per me, ma quando si tratta dei tuoi problemi, ti rinchiudi in casa e non ti fai sentire…

- Non è successo niente…tu, piuttosto, come stai?- Bene, talmente bene che questa settimana non ti ho cercato…che

stupida! Ora però , mi devi dire perché hai quella voce triste. Problemi all’università?

- No… ho dato un esame proprio due giorni fa…- Com’è andata?- Trenta.- Sei il solito secchione! Chissà come sono soddisfatti i tuoi

genitori…Giulio non rispose. Solo sentire nominare i suoi genitori lo fece

rabbrividire. Questo silenzio valse per Vera come mille parole. Lo conosceva troppo bene. Aveva già intuito che il problema fosse per l’ennesima volta il rapporto con i genitori, ma per un attimo sperò che si trattasse di qualcos’altro. Pur essendo molto legata ad Anna e Maurizio, sapeva bene che con le altre persone si comportavano in un modo, mentre in casa erano totalmente diversi, autoritari e chiusi. Anche per lei la situazione non era semplice: da un lato doveva dare appoggio e totale comprensione a Giulio, ammettendo gli sbagli dei suoi genitori, dall’altro doveva fare buon viso a cattivo gioco in loro presenza. Aveva sempre detestato l’ipocrisia, ma se era una vera amica di Giulio, non poteva certo lasciarlo solo.

- Perché questo silenzio? Che altro avete combinato? Un nuovo litigio?

Questa volta lui si confidò, anche se non svelò il vero motivo della sua preoccupazione.

- Sì. Ormai sta diventando ridicola questa faccenda. Non li sopporto più. Ho paura di fare qualche avventatezza.

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- Ma che dici? Sei impazzito?- Sì, sto impazzendo. Scusa se ti dico queste cose, ma non ce la

faccio più. Devo davvero reagire in un qualche modo, ma non so quale sia la soluzione migliore.

- Calmati. Spiegami precisamente di cosa avete parlato.- Mi dispiace, ma non posso dirtelo. E’ ancora troppo difficile per

me. Non ho ancora le idee chiare, ma quando saprò cosa fare…- Mi stai facendo preoccupare…- No. Non voglio che tu stia in pensiero per me. Hai cose più

importanti a cui dedicarti. Ti posso solo dire che ho seri dubbi su mio padre.- Cosa vuoi dire?- Si comporta in modo strano, mi guarda come se fossi un alieno, mi

dice frasi ambigue e allo stesso tempo meschine…mi osserva come se volesse scrutarmi dentro, come se volesse leggermi nel pensiero…e con un’intensità…credo che mi odi…sì. Mi odia perché non sono come Camilla, perché non sono come lui mi vorrebbe, più virile, più forte, più medico forse…

Vera sbottò:- Ancora con questa fissazione? Come fa a non capire che non si può

fare un mestiere che si detesta! Tu alla vista del sangue ti senti male! Dentro di te c’è l’anima di un artista, diventerai scrittore, poeta, sceneggiatore, insegnante, qualsiasi cosa, ma non sarai mai un dottore! E penso che sia la cosa più giusta di questo mondo, perché per te i libri sono come il pane quotidiano e nient’altro ti potrà dare soddisfazione, soprattutto se ti viene imposto.

- Lo so, ma credi che non glielo abbia detto? Gliel’ho spiegato, rispiegato, urlato, ma per lui non ci sono ragioni. Io sono solo uno smidollato che vaneggia e che finita l’università sarà scartato da questa società che pensa solo a fare soldi.

- Mi dispiace tanto…non so davvero come consolarti…perché non provi a cercarti un appartamento qui in città e vai a vivere da solo?

Giulio scoppiò in una forzata risata nervosa.- Bella idea! Con che soldi mi mantengo? I miei non accetterebbero

mai una decisione del genere. Non mi darebbero neanche un centesimo e se trovassi un lavoro non potrei dedicarmi pienamente allo studio come ora. Sarebbe davvero una soluzione impossibile.

- Ehi! Mi è venuta una grande idea! – Scattò Vera illuminata- Perché non vieni a casa mia stasera? Mi ero dimenticata di dirti che per qualche giorno ospito James, il nuovo fidanzato di Marta e sua figlia, una tipa tosta, un po’ con la puzza sotto al naso, ma non è troppo antipatica…potrei presentartela e poi possiamo uscire tutti e tre insieme! Dài! Stasera dobbiamo proprio lasciarci alle spalle le amarezze! Non puoi dirmi di no!

- Beh, in questo caso, accetto volentieri!- Bene! Allora a casa mia alle nove!

Durante i preparativi per la serata Vera si sentì un po’ emozionata, ma non sapeva spiegarsi il perché. In fondo era una vita che usciva con Giulio e non aveva mai provato quella sensazione. Anzi, si era sempre sentita molto rilassata e a suo agio, anche quando Federico, pieno di orgoglio e gelosia, le impediva di farlo. A volte uscivano con altri amici, a volte invece si trovavano

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da soli, si confidavano i loro problemi ed erano come una cosa sola. Quella sera, però, era diverso, perché tra loro entrava una persona nuova, non un amico comune, ma una ragazza appena conosciuta e dal carattere non ancora ben definito, ma del quale Vera inspiegabilmente non riusciva a fidarsi totalmente. Così, sempre inspiegabilmente, si ritrovò a frugare negli angoli più remoti del suo armadio alla ricerca di un abito carino ed elegante da indossare e a truccarsi con maggior cura del solito davanti allo specchio. Anche Tiffany, appresa la notizia di una prossima presenza maschile diversa da quella di James, si affaccendò in una minuziosa preparazione. Indossò un vestito intero, molto corto, marrone scuro, i tacchi alti e si raccolse i capelli in un chignon. Era ancora al piano superiore ad incipriarsi il naso, quando il campanello suonò. Corse Vera ad aprire.

- Wow, che splendore!- esclamò Giulio osservando l’amica. Vera arrossì lusingata.

- Grazie! Entra! La mia amica è quasi pronta.Proprio in quel momento Tiffany scese le scale, guardò i due ragazzi e

non poté credere ai suoi occhi. Allo stesso tempo Giulio sobbalzò e il suo volto si surriscaldò notevolmente. Spalancò la bocca in un’esclamazione di gioia che fece rimanere di stucco Vera.

- Tiffany!- Oh! Giulio! - Tiffany! E’ incredibile!- Giulio! Oh, my God!Come in una scena romantica al rallentatore i due si corsero incontro

con sguardo estasiato, si incontrarono in un abbraccio indissolubile, davanti all’espressione schifata di Vera che si sentì mancare all’improvviso.

Non avrebbe di certo immaginato che Tiffany fosse la ragazza di cui Giulio le aveva parlato qualche settimana prima. Ma in quell’istante si ricordò anche dell’aria innamorata con la quale lui le aveva raccontato dell’incontro. Questa proprio non ci voleva. Una persona che si mettesse in mezzo alla loro amicizia era davvero una cosa inaccettabile. Vera si fece forza, continuando a ripetere a se stessa che era assurdo essere gelosa di un amico come Giulio, anzi, che doveva essere felice per loro, per quella coincidenza davvero sorprendente. Si mostrò compiaciuta di quel caso del destino, fece accomodare i due in salotto e andò a preparare loro un succo di frutta in cucina. Mentre sistemava i bicchieri sul vassoio e apriva la confezione del succo all’albicocca, si accorse che ogni parte del suo corpo era tesa verso la stanza dove i due giovani parlavano animatamente, ridendo di gusto e lanciandosi sorrisi maliziosi. Le orecchie cercavano di captare ogni minima parola, gli occhi sbirciavano ad ogni occasioni e le mani lavoravano il più rapidamente possibile per potere di nuovo intrufolarsi al più presto tra i due amici. Cercò di convincersi che era soltanto una sua impressione, ma le sembrò che Tiffany ammiccasse notevolmente con i suoi occhioni azzurri mentre parlava, e che ridesse emettendo lunghi squittii da scoiattolo in amore davvero insopportabili. D’altro canto non aveva mai visto Giulio così indaffarato nel mettersi in mostra, parlare di sé e mantenere viva la conversazione con tipici argomenti femminili quali cinema, teatro, danza, moda.

In un baleno fu subito tra loro e porse con un largo sorriso le bevande. - Ecco a voi! – esclamò con un finto entusiasmo.

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I due continuarono a parlare come se Vera non fosse ancora arrivata, Giulio, eccitato da qualsiasi stupidaggine uscisse dalle labbra di Tiffany, prese i due bicchieri dal vassoio che Vera teneva tra le mani e ne porse uno all’amica ritrovata senza dire nemmeno grazie o voltarsi per un sorriso. Vera ci rimase male, ma fece finta di niente. Si sedette sconsolata accanto a Tiffany. Si vedeva lontano un miglio che i due sprizzavano allegria e soddisfazione da tutti i pori, erano davvero molto affiatati. Fortunatamente Vera riuscì ad inserirsi di tanto in tanto nelle loro conversazioni, anche grazie a Giulio, che a volte le poneva qualche domanda, ma nel complesso, si sentì emarginata e fuori luogo per tutta la sera. Poi, arrivò l’idea geniale.

- Oh, ma sono già le undici! – esclamò Tiffany.- Già…- ne approfittò Vera – è proprio ora di andare a dormire…sono

a pezzi…La ragazza scoppiò a ridere: - Che bella battuta! Stavi scherzando,

vero? Sono le undici di venerdì sera e tu pensi ad andare a dormire? Ma darling, la notte è appena cominciata!

Vera cercò uno sguardo complice da Giulio, ma lui, imbarazzato, seppe solo rispondere:

- In effetti, potremmo andare in birreria…- Ma no!- urlò Smorfy – dobbiamo assolutamente andare in

discoteca! Ho anche trovato delle riduzioni, è davvero un’occasione da non perdere! Avanti, rammolliti! Andiamo!- e detto questo, tirò per un braccio Giulio verso l’uscita.

Vera si sentì imbarazzata. Erano ormai secoli che non andava più a ballare, ma il problema maggiore era il bambino, non le sembrava il caso di passare una notte in mezzo a fumo, caos e musica assordante, ciononostante non sapeva come giustificarsi, non voleva di certo dire a quella pettegola che era incinta… Giulio, tornato improvvisamente in sé, sembrò leggere nello sguardo di Vera le sue perplessità.

- Beh, potremmo andarci un’altra volta, anche io, ora che ci penso, sono un po’ stanco…

- Non raccontare storie, fino a due secondi fa eri vispo e pieno di energie! Vera, se hai sonno, vai pure a riposarti, io e Giulio ci andiamo da soli…non ti preoccupare per noi…a proposito, dammi le chiavi di casa, così quando torno non vi sveglio.

La ragazza guardò l’amico con aria scandalizzata ma lui allargò le braccia come per dire “ che ci posso fare?”. Vera davvero non lo riconosceva più, si era totalmente inebetito. Non seppe fare altro che andare in cucina a prendere le chiavi per consegnarle all’ospite sfacciata.

- Grazie baby, e ora…let’s go to party! Sogni d’oro…- disse Tiffany uscendo.

- Buonanotte. Mi dispiace che tu non possa venire con noi. Domani ti chiamo, ok?- poi le sussurrò all’orecchio:- Comunque, grazie, hai fatto proprio bene a presentarmela, prima ero affranto, ma ora sono di nuovo sereno. Sei un’amica! Ciao! – e così dicendo, Giulio chiuse la porta.

Vera rimase lì, immobile, impietrita a guardare quella maledetta porta. Nel silenzio poteva sentire il battito infuriato del suo cuore.

- Ingrato! Ebete! Idiota!- gridò.

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Giulio era eccitato. La musica era intorno a lui e dentro di lui, nel sangue, nella mente, nello stomaco. Non si sentiva così da tantissimo tempo. Seguiva il ritmo delle canzoni e seguiva i movimenti di Tiffany, che appena entrata nel locale si era subito precipitata in pista tirandosi dietro l’amico. Giulio non aveva mai ballato in vita sua. Le poche volte che i suoi gli avevano dato il permesso di andare a ballare si sedeva sempre nelle poltroncine ai lati della pista a bere una bevanda analcolica e fare due chiacchiere con qualche amico o con Vera, ai vecchi tempi. Si sentiva in colpa per avere liquidato in quel modo l’amica, ma allo stesso tempo cercava di non pensarci, anzi, il suo pensiero ora lo infastidiva. Tiffany era riuscita a farlo ballare con la forza del suo sguardo e con qualche parola dolce sussurrata nell’orecchio. Nella mischia era tutto più facile. Giulio guardava e seguiva il corpo di Tiffany mentre si agitava sinuosamente, ma anche energicamente. Lei si divertiva a ballare guardandolo dritto negli occhi, allontanandosi, riavvicinandosi di nuovo, appoggiandogli le mani sui fianchi, staccandosi nuovamente. Giulio era estasiato. Stava bene. Stava tremendamente bene. Avrebbe voluto che non finisse mai. Per riprendersi, andarono a sedersi al bancone, lei gli consigliò un Tequila sale e limone e lui accettò il consiglio di buon grado, nonostante fosse la prima volta che beveva qualcosa di cosí forte in vita sua.

- Sei sicura che non mi faccia male? Non voglio vomitare…- Tranquillo! Ti sentirai un po’ più sciolto, tutto qui. Rilassati!- Speriamo! Non reggo l’alcool!Tiffany si avvicino all’amico fino a sfiorargli la punta del naso, poi

fissandolo intensamente gli disse: - Fidati.I piccoli bicchieri di vetro arrivarono subito dopo, il cameriere posó

accanto una ciotola piena di fette di limone e due bustine di sale. Giulio aveva un po´di paura.

La ragazza spiegò tutto il procedimento con aria determinata:- Allora, devi aprire la bustina e appoggiare il sale qui, sul dorso della mano, vedi? Poi prendi il bicchiere sempre con la stessa mano, mentre con l’altra tieni stretto la fetta di limone, così. Ora conterò fino a tre, poi insieme lecchiamo il sale, beviamo la Tequila e ci ficchiamo in bocca il limone. Sei pronto? Uno, due….e tre!

Giulio fece tutto quello che lei gli aveva detto, sentì qualcosa di amaro e bruciante attraversargli l’esofago e arrotolarsi nello stomaco accendendo un fuoco. Ma subito dopo il limone provocò un sollievo immediato e lasciò un piacevole retrogusto.

- Allora, che te ne pare? – Gli occhi di Tiffany luccicavano soddisfatti.

- Wow…- riuscì a dire Giulio ancora frastornato.- Che ti dicevo? Prendiamone un altro! Cameriere? Un altro, per

favore! Gli effetti arrivarono poco dopo. Tornarono in pista a scatenarsi.

Giulio si sentiva al settimo cielo, libero, disinvolto, sicuro di sé. Era una sensazione bellissima che lo avvolgeva tutto. Ora anche lui giocava con Tiffany, abbracciandola, toccandole le mani, i capelli, i fianchi. Vera era lontana. La sua coscienza era pulita, distesa, entusiasta.

- Sto benissimo, Tiffany, sto volando, sono troppo felice! – gridò per farsi sentire.

- Con me tutti sono felici! – rispose lei.

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Rimasero in pista fino alla chiusura della discoteca, poi , dopo essere usciti, si sedettero un attimo sulle scale del locale per smaltire un po’ gli effetti della serata. Il ragazzo era intontito, non per l’ alcol, ma per il volume della musica. Non riusciva a sentire bene i suoni esterni, mentre la sua voce rimbombava violentemente nel cervello. Che bella serata! Davvero fuori da ogni previsione! E non era ancora finita, Tiffany era ancora accanto a lui e i suoi grandi occhi maliziosi gli facevano venire i brividi…

Quando arrivarono a casa di Vera era quasi l’alba. - E’ tardissimo! Se i miei se ne accorgono è finita!- esclamò Giulio

guardando l’orologio.- Perché non rimani qui a dormire? Se dici ai tuoi genitori che hai

dormito da Vera non penso che si arrabbieranno…- Non li conosci…no, è meglio che me ne vada al più presto. Ciao, ci

sentiamo in questi giorni. Mi raccomando, fai piano quando entri, cerca di non svegliare Vera. Penso che non fosse molto contenta quando ci ha visti andare via.

- Se è una piattola non è colpa mia…- disse lei sottovoce.- Hai detto qualcosa?- No, niente, non ti preoccupare. Allora…good night! Ho passato

una bellissima serata con te…- si avvicinò a Giulio e gli appoggiò lentamente le labbra sulla guancia in un tenero bacio.

Il ragazzo diventò tutto rosso e disse: - Anche a me è piaciuto molto, ora devo proprio scappare. Ci vediamo.

Tiffany rise, pensando che quel ragazzo era proprio impacciato ed inesperto. Girò la chiave nella serratura il più lentamente possibile, per non svegliare tutti, ma Vera la sentì, perché nonostante i suoi sforzi, anche quella notte non era riuscita a dormire.

- Tiffany! Stiamo tutti aspettando te!- urlò Marta dalla cucina.La ragazza si rigirò nel letto tre volte prima di realizzare la situazione.

Si sfregò gli occhi e guardò la sveglia: le tredici e trenta. Perfetto, pensò, l’ora ideale per sgranocchiare qualcosa. Passò lentamente e tranquillamente per il bagno, si lavò la faccia, si cambiò e raggiunse la cucina. Tutto era già pronto in tavola e James si stava già servendo. Marta la guardava sorridendo mentre Vera guardava in basso, silenziosa.

- Vera, cosa fai? Conti i fiorellini disegnati sulla tovaglia? La ragazza fece finta di non avere sentito, ma la guardò e le fece un

sorriso beffardo.- Sei arrabbiata per ieri sera? Sai, l’ho fatto per te, mi sembravi così

sciupata…ma stasera usciamo tutti insieme, d’accordo?- Ho già un altro impegno.- Cos’è successo ieri sera? – chiese incuriosita Marta.- Non t’impicciare- rispose secca la figlia.A quel punto James intervenne.- Basta, ragazze! Non mi sembra il modo per cominciare una

giornata! Buon appetito!- Comunque – continuò Vera che non voleva mostrarsi scocciata

davanti a Tiffany – se pensi che ieri mi sia offesa ti sbagli di grosso. Anzi sono

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stata molto contenta per voi e ora mi sento soddisfatta perché questa notte ho dormito meravigliosamente.

Tiffany le sorrise maliziosamente.- Davvero? Ti accontenti di poco! Io e Giulio, invece, ci siamo

scatenati fino a tarda notte, ci siamo divertiti tantissimo, pensa che mi ha confidato di non essersi mai sentito così bene come ieri sera…

Vera incassò il colpo, non rispose e la conversazione finì lì.

Quando il campanello suonò Khalida era in bagno e stava cambiando la piccola Lina con il marito. Si sistemò l’abito e i capelli, poi corse ad aprire.

- Vera! Che gioia rivederti! Hai fatto benissimo a venirmi a trovare!- Ciao! Avevo paura di disturbare…- No, assolutamente! Tra l’altro Latif sta per uscire, quindi penso

che sarà molto felice di sapere che sono in buona compagnia. Entra!L’odore di spezie la accolse una seconda volta e si sentì a suo agio.

Aveva fatto bene ad andare da Khalida. Latif, dopo avere sistemato Lina salutò le due donne e uscì.

I bambini giocavano allegramente sul tappeto e sembravano essere felici della presenza di Vera in casa.

- Sai, si sentono molto soli…qui nel palazzo è sempre la stessa situazione…sempre più emarginati…sei la prima persona italiana che ci viene a trovare. Anche i nostri amici che vengono dall’Algeria o dalla Tunisia si sono un po’ allontanati, perché hanno paura che la banda di Josef possa fare del male anche a loro…

- Josef si è fatto sentire di nuovo?- chiese Vera allarmata.- No, ultimamente Latif è preoccupato, si incontra con gente

strana , ma in casa non dice niente. Secondo me nasconde qualcosa,o forse ha paura…non lo so. Comunque parliamo di altro ti prego.

- Certo. In realtà ero venuta a portarti questi biscotti che ho appena fatto. Spero che vi piacciano.

Mahdi e Lina corsero subito ad assaggiare i biscotti che ebbero in effetti molto successo. Vera promise di portarne ancora la volta successiva.

Parlarono di argomenti piacevoli, Khalida le parlò della cucina algerina e di usanze davvero bizzarre, Vera le raccontò delle peripezie al lavoro con le sue amiche Andrea e Angela e cercò di evitare argomenti tristi come Federico, Tiffany, il futuro del suo bambino…ci riuscì. Entrambe riuscirono ed evitare tutto quello che le faceva soffrire e trascorsero un bel pomeriggio. Riuscirono a distrarsi un po’ e quando si salutarono erano entrambe più serene.

Tornando a casa, Vera decise di fare un giro in centro, che come ogni sabato pomeriggio era affollato. Si fermò a guardare una vetrina di gadget, aveva sempre adorato i pupazzi, e solo in quel momento si accorse che era San Valentino e che quest’anno non aveva potuto trascorrerlo insieme a Federico. Una stretta allo stomaco la pervase, e si allontanò subito da quel posto cercando tra la gente una distrazione. E fu proprio in quella ricerca che Vera si ritrovò faccia a faccia con Federico. Battito cardiaco ai mille. Lui era a braccetto con una ragazza bionda, carina, molto truccata. Lui era stupendo come sempre, di una bellezza spaventosa, pericolosa, inquietante. Appena la vide si fermò di colpo e rimase a guardarla senza riuscire a dire una parola. Anche lei fece lo stesso. I loro sguardi rimasero incollati per un’infinità di

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tempo, fino a quando la ragazza bionda non lo incitò ad andare. Allora lui bisbigliò:

- Ciao…E sparì tra la folla con la sua bella bionda.- Ciao… - si disse da sola Vera.Era la prima volta che lo incontrava dopo quel maledetto giorno. Erano

passate tante settimane, ma la ferita era ancora aperta. Ora, vederlo già accanto ad un’altra donna la faceva impazzire. Forse era solo un’amica, non aveva l’aria molto serena con lei, probabilmente non era niente di importante, visto come era scappato davanti all’idea di avere un figlio…però…però era una sensazione bruttissima! Si arrabbiò con se stessa, perché dopo essere riuscita a distrarsi con Khalida, ora era già assorta da nuove preoccupazioni stupide! Se Federico se ne era andato lasciandola sola, significava che era solo un immaturo e che uno così era meglio perderlo che trovarlo. Inutile stare a soffrire per uno come lui! Non ne valeva la pena! Inoltre aveva già trovato chi poteva consolarlo! La soluzione era dimenticarlo, voltare pagina, guardare avanti, e non soffrire più inutilmente. Ma più pensava così, più le venivano in mente i bei momenti trascorsi insieme, i sentimenti che si provano quando si ama e si è ricambiati, quando si può esprimere liberamente e in mille modi l’amore che si agita dentro, senza dovere reprimere tutto.

Tornò a casa, dove trovò Marta e James che giocavano a carte in salotto. Tiffany era uscita, grazie al cielo. Almeno questa magra consolazione. Giulio non si era fatto sentire e lei non aveva voglia di chiamarlo, visto che già sapeva come era andata la serata precedente. Andò in bagno e si fece una doccia calda, poi si distese sul letto ed esausta per la notte insonne e gli avvenimenti della giornata, si addormentò.

Le giornate successive trascorsero in modo abbastanza tranquillo, non accadde niente di nuovo, la situazione era stazionaria: Vera continuava a pensare a Federico e alle solite faccende irrisolte, il bambino cresceva perfettamente anche se il suo futuro era ancora incerto, Tiffany continuava ad essere di troppo, ma non ci furono scontri diretti, anche perché Giulio era sempre presente e Vera non voleva mostrare il suo disappunto.

Vera si chiedeva come Giulio non riuscisse ad accorgersi dell’ipocrisia di Smorfy, come potesse pendere dalle sue labbra e accettare qualsiasi sua proposta, così, a priori, senza un briciolo di personalità. Il rapporto che univa prima i due amici era cambiato, non riuscivano più a confidarsi, i loro discorsi erano superficiali, banali, come se fossero due semplici conoscenti. Questo perché tra loro c’era sempre Tiffany e quel che era peggio, è che Giulio non sembrava per niente infastidito.

“E’ solo un bell’involucro” si diceva Vera dentro di sé riferendosi alla nuova ospite.

“ Prima o poi Giulio se ne accorgerà, e tornerà ad essere quello di sempre. Poi, anche Tiffany presto se ne andrà di qua, conoscerà nuova gente e non gli starà più incollata addosso.”

Eppure, più cercava di convincersi, più capiva che in quella storia qualcosa non quadrava. L’impianto idraulico non era mai pronto, le valigie di James e della figlia non erano esattamente quelle che si preparano per stare via due o tre giorni, e loro si comportavano come se abitassero lì da sempre e, soprattutto, come se non avessero nessuna intenzione di andarsene. Però era strano che Marta non si fosse accorta di niente, non era la tipa da farsi

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ingannare! Sicuramente era solo una sua impressione, probabilmente perché non riusciva ad essere obiettiva, visto che non aveva mai condiviso le sue cose con qualcuno. Sì, doveva essere per quello, non c’era altra spiegazione. Vera scacciò via tutti i cattivi pensieri e cominciò a pulire e riordinare la sua stanza.

Mentre sistemava la scrivania, si soffermò a guardare una foto appesa: era un’immagine alla quale lei era sempre stata molto affezionata. Ritraeva Anna, Maurizio, Marta e Vittorio al mare, abbracciati, e ai loro piedi c’erano Vera, Giulio e Camilla. Giulio piangeva perché pochi secondi prima Vera gli aveva seppellito la paletta nella sabbia e non riusciva più a trovarla. Erano piccolissimi, eppure Vera si ricordava perfettamente quel giorno, e ricordava l’aria serena che si respirava, le risa dei genitori, il profumo del mare misto a quello della crema protettiva, alla vaniglia.

La foto accanto, invece, ritraeva la sua classe, in quarta superiore, l’anno in cui aveva incontrato Federico, l’anno scolastico più bello. Era tra Daniela e Francesca, le ragazze con cui andava più d’accordo. Francesca, però, quell’anno decise di ritirarsi per aiutare la madre molto malata e non si fece più sentire. Daniela, invece, la incontrava ancora, faceva l’università a Bologna ed era sempre molto indaffarata.

Sopra al suo letto, stava appeso un ingrandimento di lei con Federico. Erano abbracciati, guancia contro guancia e sorridevano felici guardando l’obiettivo. Dietro alla macchina fotografica c’era Sabina, la cugina di Federico che aveva insistito tanto per cogliere quell’attimo. Erano ad una festa privata, in una villa meravigliosa con un ampio giardino. Federico indossava una camicia chiara a righe che gli aveva regalato Vera per il suo compleanno, lei invece, portava una maglietta rossa, decorata e aderente che le aveva portato Marta da Bali per farsi perdonare la partenza improvvisa, come sempre.

I loro sguardi erano innamorati, gli occhi brillavano e trasmettevano felicità. Vera non aveva avuto il coraggio di staccare quella foto, eppure, da quel giorno, non aveva mai osato riguardare quegli sguardi, osservare di nuovo il volto di Federico. Ora, avvicinarsi di nuovo a quella immagine le dava strane emozioni, nostalgia mescolata ad incredulità.

Le sembrava che quella foto ritraesse altre due persone, sconosciute, lontane, che non avevano niente a che fare con lei. Due persone felici, isolate dal resto del mondo, ignare dei pericoli esterni e del dolore. Due persone del passato, un passato ormai dimenticato, ma non completamente, e che ancora, almeno un po’, bruciava.

Vera si sentì colma di malinconia, cercò di resistere e di pensare ad altro, ma dopo pochi minuti cedette, prese giacca e borsetta ed uscì.

Prese il tram, e raggiunse rapidamente la biblioteca. Si recò nella sala centrale dove si trovano in genere gli studenti per studiare, quella con i piccoli abat-jours su ogni banco, che emanano una luce verdognola davvero rilassante. Guardò attentamente tutti i volti cercando quello di Giulio, ma stranamente non lo trovò. Sconsolata, scese le scale per uscire e tornarsene a casa, ma proprio in quel momento scorse Giulio che parlava con Tiffany accanto ai distributori di bevande calde. Tiffany gli stava appiccicato come al solito sorseggiando un the. Giulio si accorse immediatamente di Vera e la raggiunse, lasciando sola Smorfy che rimase molto stizzita.

- Vera! Che ci fai qui? Questa sera ti avrei telefonato!- Ciao! Volevo fare due chiacchiere con te, ma vedo che sei

occupato…

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Giulio sbuffò: - No! Non ti preoccupare! Con la scusa di darmi ripetizioni di inglese, Tiffany mi sta addosso da questa mattina! E’ piacevole, però…detto tra noi…mi sta facendo perdere un sacco di tempo…sai, dovrei studiare…

Vera gongolò dentro di sé. Poi continuò:- Hai ragione, hai bisogno dei tuoi spazi. Ora vado, hai già perso

anche troppo tempo. Sono venuta per farti un saluto, e per sapere se ti andava di parlare un po’ da soli questa sera, ma, fa lo stesso, sarà per un’altra volta…

- No, aspetta! Hai ragione, ora non ho molto tempo, però…ecco, questa sera ti avrei telefonato per chiederti se ti andrebbe di fare una cosa domenica prossima insieme a me.

- Ah sì? E cosa? – chiese Vera incuriosita.- Sai, sto preparando un saggio su Lord Byron, e so che spesso si

recava a Portovenere per trovare ispirazione. Quindi ho pensato che sarebbe un’idea carina e forse anche utile, andare a visitare questo posto…c’è anche una grotta dedicata a lui…che si affaccia direttamente sul mare.

Vera dubbiosa, sbottò:- E perché non ci porti Tiffany?Giulio la guardò perplesso, poi rispose sicuro:- Perché ho voglia di andarci con te. Ti basta?Vera, lusingata, sbirciò la faccia di Tiffany ormai visibilmente offesa, ed

infine accettò.- D’accordo. Mi hai convinta. Allora ci vediamo domenica mattina

presto. Ora scappa, se no Tiffany ti mangia! Ciao!Giulio rise scuotendo la testa e si allontanò.

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Dovettero correre per raggiungere in tempo la stazione e comprare i biglietti prima che il treno per La Spezia partisse. C’era anche una fresca brezza primaverile, leggera e insieme pungente in quella mattina di marzo, ma il sole splendeva nel cielo chiaro e prometteva una giornata calda e radiosa. Fu proprio così, e molto di più. Fu una giornata di serenità, di complicità, di riavvicinamento tra i due amici. Alcune ore da soli, senza le oppressioni di Anna e Maurizio e le intrusioni di Tiffany avevano ricreato l’armonia di sempre, quell’armonia che fino a poche settimane prima era una cosa scontata, un’abitudine, ma che ora era diventata una mancanza quasi insopportabile. Il tragitto in treno fu decisamente tranquillo, soprattutto

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perché Vera si era addormentata quasi subito, con la testa appoggiata alla spalla di Giulio che se ne stava immobile con il cuore in gola dalla paura di svegliarla e nel mentre osservava il piacevole paesaggio. Anche lui dopo un po’ si fece cogliere dal sonno e per poco non persero la fermata giusta. Poi scesero e passeggiando arrivarono in centro a La Spezia, tra le alte e luminose palme e le aiuole fiorite. Camminarono lungo il porto fino alla biglietteria dei traghetti che in pochi minuti portavano a Portovenere. Il mare era di un blu molto intenso con sfumature verdi smeraldo, limpidissimo e invitante. A Vera venne immediatamente voglia di farsi un tuffo nonostante la stagione prematura. Da bambina aveva fatto diversi corsi di nuoto estivi, alla piscina comunale, ma poi aveva smesso e ora si ricordava a malapena come si faceva a stare a galla, però quell’acqua così intensa la affascinava molto, anche perché da quando si era fidanzata con Federico non era più andata al mare. Dovevano risparmiare, diceva lui. Ma la sorpresa più grande fu quando il traghetto superò un’insenatura e la baia di Portovenere le si presentò davanti agli occhi come una piccola città incantata, un tripudio di luci e di colori che si affacciavano su una spiaggetta di ciottoli e ad un porticciolo pieno di barche a vela bianche e scintillanti. Dal traghetto si poteva osservare sulla sinistra anche l’isola Palmaria, abbastanza grande e verdeggiante, che nascondeva un isolotto, Tino, che a sua volta nascondeva un’ altra isola molto più piccola, chiamata Tinetto. Di questo naturalmente la informò Giulio che si era documentato molto bene sul posto.- Da grande comprerò una gigantesca barca a vela, silenziosa e pulita, e

viaggerò per il mondo scrivendo poesie e racconti ispirato dai luoghi in cui capiterò per caso. Se vuoi, puoi venire con me…- Non credi di viaggiare un po’ troppo con la fantasia? Sai quanto costa

una barca di quel genere? E poi con cosa pensi di vivere? Dovrai diventare molto, ma molto ricco…e non so se i tuoi manoscritti basteranno per mantenerti…- Soldi, soldi, sempre soldi!- Si lamentò Giulio- ma cosa sono i soldi? Sono

soltanto dei pezzi di carta! Il denaro rovina gli animi della gente, inaridisce e rinsecchisce i sentimenti. Al bando i soldi! Vera lo guardò perplessa: - Perché devi essere sempre così catastrofico? In ogni caso, se parti vengo anche io…- Grazie! Sapevo che potevo contare su di te. Ma ora andiamo, dobbiamo

vedere un sacco di cose qui.

Scesi dal traghetto affollato di turisti italiani, tedeschi e americani i due si infilarono subito tra le

ripide e strette viuzze caratteristiche del posto, piene di negozietti tipici che vendevano souvenirs, oggetti artigianali e cibi liguri come la focaccia salata. Nella parte più alta c’ era il Castello Doria, molto suggestivo, che dominava tutta la baia, ma la parte più bella era sicuramente quella della Basilica di S. Pietro che si ergeva sull’estremità del promontorio a picco sul mare. Giulio e Vera osservavano il paesaggio da una finestrella della basilica e lo trovarono davvero incantevole. La vegetazione di Palmaria, le barchette al largo e le onde del mare brillavano come se fossero cosparsi di diamanti scesi come pioggia dai raggi del sole che risplendeva nel cielo quasi trasparente. Il mare era immenso e intenso, di una grandezza quasi spaventosa, non finiva mai, si

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estendeva nello spazio fino a raggiungere l’ orizzonte laggiù, in fondo, formando una sottile e appena percettibile linea. Il vento portava con sé il profumo salato del mare e il canto dei gabbiani. Vera respirava a pieni polmoni e si sentiva felice. Anche Giulio assaporava a fondo quei momenti e pensò che emozioni così forti non li aveva provati da una vita. Poi gli venne in mente che aveva pensato la stessa cosa quella sera in discoteca con Tiffany e si sorprese nel constatare quanto quelle sensazioni fossero diverse. Certo, l’euforia e l’eccitazione che aveva provato ballando con Tiffany erano state forti, anche il suo bacio prima di salutarsi lo aveva colpito molto, ma non erano niente in confronto alla dolcezza e alla magia di quel luogo a all’affetto che provava per Vera. Cos’era quel posto incantato senza la presenza di Vera? Forse anche il suo giro del mondo in barca a vela non sarebbe stato poi un’idea così entusiasmante senza di lei. Ma Giulio non disse niente di queste cose, si limitò a guardare il paesaggio dalla finestrella della Basilica di S. Pietro che si erge sull’estremità del promontorio, a picco sul mare.

Dopo questi momenti quasi magici ed irripetibili, Giulio si accorse che si stava facendo tardi e che il tempo stringeva. Propose all’amica di andare a mangiare qualcosa e dopo un’ora di pausa seduti ai tavolini davanti ad un piccolo e grazioso ristorante che si affacciava sul porto, decisero di andare alla Grotta di Byron. La grotta altro non era che una minuscola ma suggestiva arcata di pietra dalla quale si poteva vedere subito il mare, raggiungibile tramite delle scalette ripide e scivolose anch’esse intagliate negli scogli. Sia a sinistra che a destra c’erano scogli e pietre di ogni dimensione sui quali prendevano il sole molti turisti. C’erano persone di ogni età, molte coppie giovani, ma anche qualche coraggioso anziano con la passione del mare. Le onde sbattevano con più forza contro i massi ricoperti di alghe, e formavano una schiuma bianca che si dissolveva al sole. Più avanti, un’insenatura mostrava un’altra grotta, questa molto più profonda e suggestiva, mezza inghiottita dall’acqua. - Attenta a non scivolare – disse Giulio sui gradini lisci prendendo le mani

di Vera.- Non ti preoccupare- rispose la ragazza sorridendo –…andiamo a sederci

anche noi su uno di questi scogli? Ecco, laggiù!- ed indicò una larga pietra piatta e facilmente raggiungibile. I due si distesero sulla roccia accarezzata dal sole e respirarono nuovamente quella brezza davvero rigenerante. - Sai, mi sembra incredibile che soltanto stamattina presto eravamo nella nostra solita e noiosa città…qui sembra davvero un altro mondo! E siamo stati anche molto fortunati, il tempo è splendido!- Commentò Vera guardando il paesaggio. - Hai ragione, ora capisco come mai Lord Byron veniva qui a cogliere ispirazione…in ogni angolo c’è qualcosa di stupefacente e poetico…penso che avrò molto da scrivere nel mio saggio. Grazie… - Per cosa? - Per essere venuta. I due rimasero in silenzio per molto tempo, ognuno riflettendo sugli avvenimenti recenti che avevano cambiato le loro vite all’ improvviso, mentre le risa dei ragazzini, le voci romantiche dei fidanzatini sugli scogli, il

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cinguettare di varie specie di uccelli marini facevano da sottofondo, come una canzone, come una melodia che accompagna le scene più belle ed emozionanti di un film. Ad un tratto Vera disse quasi sottovoce:- Lo sai che tra pochi giorni scade il mio terzo mese di gravidanza?

Giulio la guardò con curiosità:- Perché me lo dici con quell’ aria strana?- Che aria?Il ragazzo si spiegò meglio:- Sai, hai un’espressione che non riesco ad interpretare, sollevata ma allo

stesso tempo preoccupata …sembra un controsenso ma è così…Vera sorrise ed esclamò:- Certo che è proprio impossibile nasconderti qualcosa! Sì, hai ragione, da

un lato sono preoccupata perché è ancora un segreto che mi porto dentro, e in più senza Federico mi sento ancora persa, ma dall’ altro sono un po’ sollevata perché dopo i tre mesi non potrò più abortire…sarà una certezza…

- Cosa? – esclamò Giulio quasi scandalizzato – Avevi pensato di abortire? Vera fece un’ espressione rammaricata- Diciamo che io personalmente non l’avrei mai fatto, ma

la situazione in cui mi sono ritrovata, sì, devo ammetterlo, me lo ha suggerito… poi ho parlato con la mia amica Khalida, anche lei incinta, e le sue parole mi hanno aiutata a scacciare via questa ipotesi, però, sai, ogni tanto il dubbio torna a tormentarmi…mi sento come tra due fuochi, così incerta, così inesperta, e così sola…ho fatto uno sbaglio a fare passare così tanto tempo, avrei dovuto parlarne subito con Marta e Federico, ora ogni giorno che passa mi sento sempre più in difficoltà, e il mio piccolo segreto diventa sempre più grande ed inaffrontabile…ho venti anni eppure mi sento ancora una bambina, immatura…è normale?

Giulio l’abbracciò cercando di tirarle su il morale:- ma certo che è normale! Dài, stai tranquilla,

vedrai che tutto si risolverà, vedrai che presto avrai l’occasione di parlarne con la tua famiglia e si aggiusterà tutto…la maturità si conquista facendo esperienze, giusto? Tu cominci ora a farne di importanti, l’età non c’entra! Ciò che conta ora è un’altra cosa: a parte quello che pensano le persone che ti stanno accanto, tu cosa vuoi? Lo vuoi tenere questo bambino?

Vera rispose all’abbraccio dell’amico e gli disse all’orecchio:- Sì, lo voglio!

Giulio in quell’abbraccio sentiva l’emozione crescere sempre di più e i battiti del suo cuore aumentare ed appesantirsi fino quasi a fargli male. Certe sensazioni sono così difficili da descrivere che a volte è meglio rimanere così, in silenzio, abbracciati senza dire una parola o fare alcun altro movimento che possa rovinare l’atmosfera.

Non soltanto Giulio provava quei sentimenti. Anche Vera si sentiva stranamente emozionata,

pervasa da una strana agitazione che non aveva mai provato insieme a lui. Sentiva dentro di lei di provare per l’amico qualcosa di più del solito, un affetto diverso, più intenso, che le faceva tremare leggermente le mani e arrossire le guance. Aveva sempre considerato Giulio un amico prezioso, addirittura un fratello, ma mai qualcosa di più, eppure dalla sera in cui gli aveva presentato Tiffany, qualcosa era cambiato e solamente in questi momenti a Portovenere poteva davvero rendersene conto. Mentre era assorta

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in quella dolce e al tempo stesso spaventosa scoperta, Giulio lentamente si sciolse dall’abbraccio e si spostò fino a poter raggiungere gli occhi di Vera. I loro sguardi si incontrarono e ognuno poté leggere negli occhi dell’altra le stesse inquietudini. Il ragazzo si avvicinò di più per baciarla e lei sentiva di non volere desiderare nient’altro che un suo bacio, ma inaspettatamente, proprio mentre le loro labbra stavano per sfiorarsi, lei si girò dall’altra parte e disse, guardando il cielo:- Guarda, il sole sta tramontando! E’ tardi, dobbiamo prendere il

traghetto e andare in stazione! Forza, andiamo!

Giulio si risvegliò come da un bellissimo incantesimo e annuendo con la testa, si alzò dallo scoglio

e raggiunse l’ amica che stava già varcando la piccola arcata di pietre. Il ritorno a casa fu proprio come se lo aspettavano: nonostante la stanchezza del viaggio, nessuno

dei due riuscì ad addormentarsi.

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Marta rientrò in casa sbattendo la porta. Il suo viso era visibilmente corrucciato e agli angoli

degli occhi erano visibili piccole rughe che tradivano i suoi quasi quarant’anni, nonostante grazie al suo modo di vestire sempre giovane e al trucco irrinunciabile sembrasse una ragazzina. Quelle rughe erano causate non solo dall’età, ma dalle sopracciglia aggrottate e dallo stato d’animo affranto.

James sdraiato sul divano del salotto con in mano un manuale intitolato “Come diventare felici e

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miliardari”, si girò al rumore secco della porta sbattuta e guardò incuriosito la donna.- Amore mio, che ti succede? Cos’è questo malumore?Marta sospirò:- Scusami…è che… ti ricordi il colloquio di lavoro di cui ti avevo parlato?

James che proprio non aveva idea di cosa la donna stesse parlando, si schiarì la voce, pensò qualche secondo e poi esclamò:- Ma sì, naturalmente…era oggi? Come è andato?- Sì, era questo pomeriggio…è stato un disastro. Quella donnaccia mi

guardava con pietà, come se avesse avuto davanti una stupida. E senza motivo, per giunta! Le ho chiesto di mettermi alla prova, di farmi parlare in inglese o francese, di farmi scrivere al computer, di farmi inventare una pubblicità sul momento, ma lei è stata irremovibile. Ha detto che purtroppo aveva saputo tramite colleghi che ero state licenziata e ha ricevuto cattive referenze sul mio conto dalla mia ex agenzia e per questi motivi non mi poteva accettare…è assurdo!- Oh, cara! Vieni qui! – Disse con una voce sdolcinata James tirandola per

un braccio eportandola accanto a sé sul divano – non sai quanto mi rincresce…vedrai che la prossima volta andrà meglio.. Marta scosse la testa, amareggiata:- Non lo so, ormai sto perdendo le speranze…però senza lavoro è difficile andare avanti….- Ma non mi avevi detto che la tua è sempre stata una famiglia

benestante? – chiese James confare interessato e allarmato allo stesso tempo.- Sì, è vero, però è anche vero che non sono mai stata una grande

risparmiatrice, e i soldi che guadagnavo li utilizzavo in buona parte per shopping, viaggi e futilità…se non trovo un altro impiego al più presto credo che dovrò cominciare a fare molte rinunce…a proposito, l’impianto idraulico della tua villa non doveva essere pronto già da qualche giorno?- Mi stai cacciando?- Scherzò l’ uomo con un finto broncio da bambino.- Certo che no! Non fare così!- rise Marta dandogli un pizzicotto sulla

guancia.. James si grattò il capo e divenne più serio:- In realtà… mi ha contattato l’impresa che se ne occupa e mi ha detto che purtroppo ci sono state complicazioni e che avrà bisogno ancora di qualche tempo, qualche giorno, massimo una settimana…spero che a te non crei dei problemi…

Marta esclamò:- Ma no! Figurati, era solo una domanda! Tu e Tiffany potete rimanere tutto il

tempo che vi serve per sistemarvi nel modo migliore! James la strinse forte a sé e la ringraziò con un largo sorriso.

La stanza era calda e silenziosa, Vera non era ancora tornata dal negozio e Tiffany era andata a fare un giro in centro, forse aveva fatto un salto anche in biblioteca per cercare Giulio.

Il fuoco nel camino scoppiettava di tanto in tanto e continuava energico e armonioso la sua

danza. Il cellulare di James squillò proprio durante quell’ abbraccio e l’ uomo scusandosi con un cenno della mano, prese l’ aggeggio e si allontanò dalla stanza per rispondere.

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Marta, rimasta da sola, si soffermò a osservare il libro che stava leggendo il suo uomo e incuriosita dal titolo si chiese come faceva James a leggere stupidaggini di quel genere. Proprio in quel momento il campanello di casa suonò e lei corse ad aprire. Fu grande lo stupore nel rivedere dopo molti mesi Vittorio. I suoi capelli brizzolati erano grondanti dalla pioggia, e anche il cappotto scuro e l’ombrello rosso che teneva in mano lasciavano cadere tante rapide gocce che andavano a formare una piccola pozzanghera ai suoi piedi. Il suo sorriso imbarazzato e il suo sguardo gentile e speranzoso, la colsero di sorpresa.- Vittorio…- Ciao Marta! Scusa se ti piombo in casa così all’improvviso…disturbo?- Ma certo che no! Entra! Quanto tempo…come stai?- chiese lei

aggiustandosi i capelli, tradendo un pizzico di nervosismo.- Abbastanza bene…Vera, è in casa?- No, però dovrebbe tornare da un momento all’ altro, puoi aspettarla qui,

c’ è un tempaccio fuori! Accomodati! Vittorio chiuse l’ ombrello, lo appoggiò al muro ed entrò in casa. James tornò dalla taverna ed entrò in salotto con il cellulare in mano.

- Ah, Vittorio, ti presento James, il mio attuale compagno…- disse Marta arrossendo per l’imbarazzo.

Vittorio sorrise all’uomo in segno di saluto, mentre dentro di lui si sentì avvampare di gelosia. Ora il nuovo amante di Marta aveva un volto e un nome, non gli era mai capitato di ritrovarselo davanti e faceva male. Tuttavia cercò di essere il più cortese possibile. - Allora James, lavori qui in città?- chiese cercando di sciogliere il

ghiaccio.- Sì, da poco, mi sono appena trasferito dagli States.-rispose l’ uomo con

aria di autocompiacimento.- Interessante! E dove lavori più precisamente?- Sono direttore di banca.- In via Emilia?- No, leggermente in periferia, non credo che tu la conosca… - …è in via 24 Settembre- precisò Marta.

Vittorio esclamò: - ma certo! Ci vado spesso, è a qualche centinaio di metri dal mio studio. Però è strano, non ti ho mai visto… James cominciò a spazientirsi, ma cercò di mantenere la calma:- Come ti ho già detto sono appena arrivato, è da poco che lavoro lì e in più i miei numerosi impegni mi portano a spostarmi spesso. Marta si intromise nel discorso:- Devo aggiungere che per James non è un momento facile, nella sua villa è scoppiato l’impianto idraulico e si è dovuto trasferire qui per qualche tempo. Vittorio fece buon viso a cattivo gioco, ma quella situazione proprio non gli andava a genio e soprattutto James non gli andava a genio. C’era qualcosa nel suo sguardo che non lo convinceva, ma d’altronde qualunque uomo avesse interesse per Marta non lo convinceva.- Oh, ma è tremendo! …Hai una villa in città? L’hai comprata appena

arrivato dall’America?- No, è sempre stata della mia famiglia, io sono nato a Los Angeles, ma i

miei genitori abitavano qui.

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- Come si chiama la villa? A questo punto, James chiese scherzando, ma in modo abbastanza sicuro:- Ehi, ma questo cos’è, un

interrogatorio di terzo grado? Marta gli mise le mani sulle spalle ed esclamò:- Ma su, non essere così scorbutico! – poi rivolto all’ex marito: - Sai, James vuol fare il modesto! La sua villa è una delle più belle della provincia, si chiama Villa Rocca, io ci sono stata, è davvero stupenda, è a venti minuti dal centro, mi pare in via…- Adesso basta, Marta!- interruppe James seccamente- Questi sono affari

che riguardano solo me. Ora se non vi dispiace, vado a prendere un po’ d’aria, qui dentro si soffoca.- Così dicendo l’uomo prese la giacca e uscì lasciando gli altri due a bocca aperta. La donna incredula chiese:- Ma cosa gli è preso? Non mi ha mai trattata in questo modo! E poi, che reazione è questa? Io volevo soltanto essere gentile, non credevo di certo che si sarebbe offeso così tanto! Vittorio sospirò:- Scusami, credo che sia colpa mia, gli ho fatto troppe domande sulla sua vita privata, in fondo ci siamo presentati soltanto questa sera…e io sono sempre il tuo ex marito…- D’accordo, ma questo non giustifica un comportamento del genere!- Ora

Marta era quasi offesa.- Su, Marta, non te la prendere, vedrai che quando tornerà non sarà più

scocciato… Dette queste parole, passi femminili oltrepassarono rapidamente il giardino e risuonarono sul pavimento del cortile. Vera entrò di corsa per proteggersi dalla pioggia che per fortuna si era un po’ rarefatta e non scrosciava più come prima.- Papà! Che sorpresa! – La ragazza corse a baciare il padre.- Ciao! Sono venuto a cercarti per darti una splendida notizia: c’è stato il

processo per Latif ed è stato giudicato innocente! E’ finalmente libero! Vera emise un grido di gioia e abbracciò Vittorio anche lui emozionato.- Sono felicissima! Appena posso andrò a trovare Khalida per

congratularmi con loro! Che bello! Finalmente potranno di nuovo camminare a testa alta e farsi rispettare da tutti!

Marta, nonostante non avesse la più pallida idea di cosa i due stessero parlando, si sentì ugualmente

felice vedendoli così sereni. Che effetto ritrovarsi tutti insieme dopo mille vicissitudini…ognuno aveva la sua vita, il proprio lavoro, le proprie questioni private, eppure, in pochi minuti si era creata una bella atmosfera di tranquillità e serenità. Marta, nonostante ferita dal comportamento di James, si sentì incuriosita dalla storia di Latif e Khalida e provò il desiderio di rendersi partecipe dell’esperienza che aveva fatto ritrovare anche Vittorio e la figlia. Vera si accorse dello sguardo desideroso di sapere della madre, e con piacere esclamò:- Papà, dobbiamo raccontare alla mamma tutta la storia!- Si andarono a sedere davanti al camino dove poco prima James leggeva il suo libro, e raccontarono tutta la vicenda da quando i due si erano incontrati per caso, in quel freddo pomeriggio di febbraio, per le vie del centro.

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Gli invitati camminavano per tutto il salone chiacchierando e assaggiando gli stuzzichini che i

camerieri offrivano passando con i loro enormi vassoi d’argento. Si sentivano un brusio di voci e risate allegre accompagnati da una musica bassa e lenta in sottofondo. Luca aveva organizzato tutto alla perfezione per l’ evento. Avrebbe fatto il suo discorso dopo il buffet, davanti a tutti i suoi amici, ai suoi genitori e a Sara, la sua fidanzata con la quale festeggiava ben cinque anni insieme. Era felicissimo, non riusciva a contenere l’emozione e andava avanti e indietro tra gli ospiti, offrendo calici di vino bianco e dicendo due parole ad ognuno. Tra loro c’ era anche Federico, accompagnato da Tanja, la ragazza ucraina con la quale usciva da qualche tempo. Si erano conosciuti per caso, nel suo condominio, perché lei era appena arrivata in Italia per fare la governante dai vicini di casa di Federico e un giorno lei aveva suonato a casa sua per chiedere se riusciva ad aggiustare la televisione che si era rotta. Lui era andato dai vicini e in un’ ora l’ aveva aggiustata. Lei per ringraziarlo l’ aveva invitato a cena ed era rimasto volentieri a chiacchierare.

Federico era ancora scosso per la faccenda di Vera, sentiva il bisogno di dimenticare, di svagarsi

un po’ e con Tanja ci riusciva, era bella, gentile, sempre allegra, sicura di sé, ma anche dolce e premurosa. Era lei che gli aveva chiesto di poterlo accompagnare alla festa del suo migliore amico. Lui non era molto convinto, però non aveva saputo dire di no al suo sorriso.

Verso mezzanotte Luca radunò ad alta voce tutti gli invitati davanti a lui e a Sara dicendo che

aveva un grande annuncio da fare. Sara indossava un lungo abito rosso e i capelli biondi erano raccolti in un chignon. Sorrideva visibilmente emozionata, si guardava intorno, rossa in volto come per chiedere spiegazioni agli amici. Sapeva che la festa era per festeggiare il loro quinto anniversario di fidanzamento, ma niente di più, e ora quell’annuncio inaspettato le faceva battere il cuore ai mille. Gli ospiti formarono un semicerchio intorno a Luca e quando ci fu abbastanza silenzio, il ragazzo cominciò:- Avrei potuto trascorrere questa serata importante solo con Sara, in

un’isola deserta. Sì, sarebbe stato molto romantico, ma…ho preferito condividere la mia gioia e il mio amore per lei insieme a tutti voi, che siete le persone a cui tengo di più.- Prese per mano la fidanzata e continuò, questa volta guardandola negli occhi:- Sara, questa festa è per noi, per i nostri sentimenti che durano da cinque anni e che da parte mia sono ogni giorno più forti… La ragazza gli sorrise e rispose:- Grazie amore mio…- …ed è per questo che sono convinto, che dureranno per sempre…perché

tu sei la donna della mia vita e io voglio passare il resto dei miei giorni accanto a te…- Luca cercò con la mano qualcosa dalla tasca della sua giacca e tirò fuori una piccola scatola. A questo punto tutti applaudirono e qualcuno emise grida di gioia. Sara, che cominciava a capire, si emozionò prima ancora di ricevere il regalo e grosse lacrime di felicità e di emozione scesero dalle sue guance.

Luca aprì la scatola e tolse l’ anello, semplice, d’ oro bianco con un rubino al centro, e

lo infilò all’ anulare della fidanzata.68

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- Sara…mi vuoi sposare? La ragazza non riuscì a trattenersi e gli saltò tra le braccia gridando che sì, lo voleva, lo voleva

con tutta se stessa. Gli invitati applaudirono di nuovo, questa volta ancora più intensamente, e ai genitori dei due futuri sposi scesero un paio di lacrime di gioia.

Dopo qualche minuto cominciò la festa vera e propria, le luci si abbassarono e la musica

divenne più alta e più movimentata. Molti ragazzi andarono al centro del salone a ballare e anche Tanja invitò Federico a seguirla e a gettarsi nelle danze. Ma Federico non aveva voglia di ballare. Aveva soltanto voglia di stare seduto, sorseggiare un ennesimo bicchiere di vino e pensare alla sua vita, a come erano andate le cose negli ultimi tempi, al suo carattere così diverso da quello del suo amico. Tanja cercò di ingelosirlo e si avvicinò al divanetto su cui sedeva e gli disse:- Se non hai voglia di ballare con me, ballerò con un altro.- E andò in pista con Marco, un altro amico di Federico e Luca.

Per Federico non fu affatto un affronto, anzi, quasi una liberazione. Ora non riusciva a pensare

altro che a quello che aveva detto a Vera, il giorno del loro anniversario di fidanzamento. Lo stupore e il timido rossore di Sara pochi minuti prima, gli ricordavano molto le reazioni spontanee di Vera davanti a piccole cose, ad un regalo per Natale, ad una cena a sorpresa, ad un mazzo di fiori, ad un biglietto inaspettato. Queste cose gli mancavano molto, e lui stesso le aveva gettate al vento davanti alla notizia di un bambino in arrivo, il loro bambino. Al suo posto Luca non avrebbe certo reagito in quel modo! Ma era stato più forte di lui, scappare davanti a questa presenza inaspettata. Ora non poteva certo considerarsi più felice, neanche più soddisfatto o liberato da ogni legame asfissiante. Anche da solo non era contento. Si odiava, per essere stato capace solo di lamentarsi, per il lavoro, per la sua vita, per la sua storia con Vera. Ed era invidioso di Luca, del suo migliore amico che sapeva cosa voleva, che amava con tutto il suo cuore, che non se la dava a gambe davanti ai sentimenti, quelli veri, quelli che ti mettono in gioco, che ti portano a fare delle scelte. Anche lui aveva dovuto scegliere, e aveva perso tutto.

Tanja ballava insieme a Marco pensando a Federico. Stava male nel vederlo così pensieroso e

scostante, soprattutto perché sapeva cosa lo turbava. Si muoveva al ritmo della musica ma i suoi movimenti erano molli, svogliati, privi di energia. Tornò da lui e gli si sedette accanto cercando di capire se i suoi dubbi erano fondati.- Cos’hai? –domandò appoggiandogli una mano sulle ginocchia.- Niente. Lei gli diede una leggera spinta sul braccio come per scuoterlo:- Ti prego, dimmi cosa ti preoccupa.- Te l’ho già detto. Non ho niente, lasciami in pace.- rispose lui scostante

girandosi dall’ altra parte.- Guardami negli occhi.- Lo supplicò lei. Lui si girò di nuovo sfidandola

con lo sguardo.- Perché non sei felice con me?Federico abbassò lentamente lo sguardo, sentendosi di colpo smascherato. Cercò di fingere:- Ma no, cosa ti salta in mente?- Ti prego, se almeno mi vuoi un po’ di bene, non mentirmi. Da quando

abbiamo incontrato 69

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quella in centro tu non sei più lo stesso…o forse con me non lo sei mai stato…- Quella chi?- fece finta di non capire.- Lo sai, la tua ex fidanzata… Federico si nascose il volto tra le mani, incapace di reagire, di mentire, di spiegare cose che

nemmeno lui sapeva. Tanja rimase qualche minuto ad aspettare col cuore in gola, consapevole che ciò di cui aveva paura era realtà, e non soltanto una sua fantasia. Ebbe ancora la forza di fare un’ ultima domanda:- La ami ancora, non è vero?

Ci furono alcuni minuti di silenzio, dove lei sperò in un miracolo e lui decise che quello era un

altro momento in cui bisognava prendere una decisione e questa volta avrebbe preso quella giusta, si sarebbe messo in discussione. - Sì- rispose- Provo ancora qualcosa per lei. Tu sei una persona

meravigliosa, Tanja, e ti ringrazio per essermi sempre così vicina, ma…penso ancora a Vera e credo di non averla dimenticata. Per cui forse la cosa migliore per noi due è non frequentarci più, ma rimanere buoni amici. Tanja si sentì dire finalmente quello che voleva e allo stesso tempo non voleva sentirsi dire. Aveva sperato invano, ma ora era tutto chiaro. Sorrise amaramente e rispose:- D’ accordo, come vuoi tu. Grazie per essere stato sincero. Ora vado a salutare Luca e Sara e poi me ne andrò a casa. Non ti preoccupare, non ho bisogno di un passaggio, vado a piedi, la strada non è troppo lunga e ho voglia di stare un po’ da sola. - Così dicendo scomparì tra la folla. Federico restò lì, seduto sul divano, con lo sguardo fisso al suo bicchiere di vino bianco.

Vera aveva comprato una pianta da appartamento per Khalida e Latif, per congratularsi con loro della giustizia meritata. Quando suonò al campanello, fu l’uomo ad aprire la porta e a farla entrare con un grande sorriso stampato sulle labbra. I bambini corsero ad abbracciarla, contenti di rivederla. Khalida li raggiunse e con piacere accolse l’amica.- Vera! Il Signor Damiani ti ha informata?- Sì, sono molto felice per voi, vi ho portato questa pianta in regalo.- Grazie! Non dovevi disturbarti! Vieni, siediti con noi!

Andarono tutti e cinque nel piccolo salotto come sempre avvolto dal profumo di spezie.- Sai, da quando c’ è stato il processo tutto è cambiato! Latif ha

riottenuto il suo lavoro comemagazziniere, potremo rimanere in questo appartamento e anche gli altri condomini hanno ricominciato a salutarci! E’ ridicolo, solo perché lo ha detto la legge, ora tutti ci credono, ma prima…sarebbero stati tutti pronti a puntarci il dito contro, a sputarci addosso…- Lo so…-rispose Vera comprensiva- la gente è strana, si comporta come

un branco di pecore…tutti corrono senza sapere dove vanno, seguono semplicemente la voce più forte…

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- L’ importante è che sia finito questo incubo- si intromise Latif- è inutile lamentarsi ora, tanto

non saremo di certo noi a cambiare il mondo…io sono già contento così, ho riottenuto la mia libertà e soprattutto la mia dignità e questo mi basta. Le due giovani acconsentirono e Khalida andò in cucina a preparare alcuni bicchieri di succo d’ arancia. Il suo pancione diventava sempre più grosso e a Vera Faceva un po’ impressione. A dire la verità anche la sua pancia si era gonfiata un po’, però con i maglioni larghi poteva ancora nasconderla facilmente. In ogni caso la primavera era alle porte e il tempo a disposizione per parlarne con Marta stava per scadere. Se non l’ avesse fatto lei, sarebbe stata la sua pancia a parlare.- Come sta il bambino?- chiese Vera all’amica.- Bene, ormai ci siamo…sono un po’ emozionata…e tu? Come ti senti? - Anche io sto bene, comincio ad appesantirmi un po’ troppo, ma…

pazienza, ritroverò la linea dopo il parto!- Potremmo iscriverci insieme ad un corso di aerobica!- Le due si misero a

ridere. Era già notte fonda quando Vera decise di rincasare. Khalida la accompagnò fino all’ uscita del condominio e si misero d’ accordo per andare insieme al mercato il venerdì successivo. Poi la ragazza si incamminò per la via illuminata dai lampioni e dopo qualche metro sparì tra gli alberi del viale.

La mano scorreva veloce sul foglio bianco, lasciando dietro di sé nuove parole, nuovi segni e correzioni in inchiostro nero, che andavano a formare frasi, paragrafi e capitoli del romanzo di Giulio. Giulio scriveva nella semioscurità della sua stanza, l’ ex camera di Camilla ora adibita a suo studio, dove si rifugiava nei momenti di solitudine, malinconia o riflessione. La mano si muoveva a volte lentamente, a volte velocemente, nervosa, determinata, seguendo le ispirazioni, i pensieri e le fantasie del ragazzo. A volte si fermava per scegliere le parole più adatte, a volte scriveva di getto pagine intere, che strappava subito dopo, insoddisfatto del risultato ottenuto. Quella sera, Giulio si era rintanato là dentro per non sentire un’ altra volta suo padre urlare, sempre par la solita storia, l’ università, il suo futuro, la partenza imminente eppure così lontana. Mentre scriveva nel silenzio della notte, sentì un tonfo secco provenire dalla finestra. Si fermò un attimo ad ascoltare, ma non sentì più nulla e si rimise al lavoro. Dopo qualche secondo qualcosa di piccolo e duro colpì di nuovo la finestra facendo di nuovo lo stesso rumore di prima. Giulio incuriosito andò ad aprire le persiane e guardò di sotto dove trovò Tiffany sorridente con dei sassolini in mano.- Ehi, Tiffany, stai facendo le prove per una nuova versione di “Romeo e

Giulietta”?- chiese scherzoso Giulio.

Lei con il suo solito sguardo intenso e malizioso rispose:- Sì, Romeo, fammi salire!Quaggiù mi sento

tanto sola…- Ma è notte fonda! Cosa ci fai in giro a quest’ ora?- Sono scappata…a casa di Vera ormai non resisto più, è mio padre che

non si vuole schiodare da

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lì, ma davvero, io quelle due non le sopporto…- Ok, Vieni davanti alla porta, ora vengo ad aprirti, ma fai piano, i miei

sono già a letto. Giulio corse al piano di sotto senza pantofole per non svegliare i suoi genitori che erano da poco andati a dormire. Aprì la porta a Tiffany e insieme andarono in taverna per fare meno rumore possibile. Tiffany chiuse la porta della stanza dietro di sé e si sedette sulla poltrona.

-Perfetto, qui non dovrebbe sentirci nessuno…- sussurrò lei, togliendosi la giacca. Giulio notò con

piacevole stupore che sotto la giacca la ragazza indossava una sottoveste di seta bianca, semplice, senza pizzi, ma molto scollata e decisamente seducente.

- Ti sei scordata qualcosa, mi sembra…- disse il ragazzo indicando il suo abbigliamento.

Tiffany si guardò e chiese con aria stupita:- Perché non ti piaccio?Giulio balbettò:- No, non intendevo dire questo…anzi, ti sta molto bene…però,

insomma…ecco…non senti freddo? Tiffany scoppiò in una risata e cambiò argomento:- Come ti dicevo…mi sento tanto sola…in quella casa nessuno mi capisce, nemmeno mio padre…siediti qui vicino a me…

Giulio le si sedette accanto e rispose:- E’ strano, Marta e Vera sono le persone più gentili che io

conosca…certo, forse Marta è un po’ svampita, però mi sembra anche molto simpatica e disponibile…non credi?

Tiffany mugugnò:-Sarà, ma dovresti vedere come sta appiccicata a James…insopportabile…e

Vera…credo proprio che mi odi…- Odiarti? Vera? E perché mai?- Bè- Disse Tiffany avvicinandosi di più all’ amico- Credo che sia gelosa di

noi…cioè…della nostra amicizia…- Forse è normale, sai, io e Vera siamo cresciuti insieme…- Sì, ma il suo comportamento è davvero esagerato, tu non sai i dispetti

che mi fa…mi sento davvero incompresa, posso fidarmi soltanto di te in questo orribile posto…- e si avvinghiò al braccio di Giulio cercando protezione.

Giulio, imbarazzato si lasciò toccare e rispose:- magari è solo una tua impressione, forse stai un po’

esagerando. Dovresti anche tu essere un po’ più comprensiva con Vera, il suo è un momento critico…- Quale momento critico?- Chiese incuriosita Tiffany.- Sai, Marta non sa ancora del bambino e quindi…- Cosa?- Sobbalzò la ragazza con gli occhi improvvisamente illuminati.

Giulio si portò la mano alla bocca ben consapevole di avere fatto un gigantesco errore e diventò improvvisamente paonazzo. L’ unica cosa che voleva in quel momento era tornare in dietro di dieci secondi e non ridire mai più quella stupida frase. Non aveva mantenuto la sua promessa e soprattutto lo aveva fatto con la persona meno indicata.- Vera è incinta? E Marta non lo sa? Oh, cielo! Questa sì che è una notizia!

Da quando? E chi

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sarebbe il padre? Sei tu?- Oddio, Tiffany, ti prego, ti scongiuro, ti supplico, non dirlo a nessuno!

Non è una situazione facile, non potresti capire, ti prego, cancella quello che ho detto, ok?- Ma perché ti agiti così tanto? In America sai quante ragazze rimangono

incinte a quindici o sedici anni? Pensa che ci sono addirittura delle scuole apposite…- Qui non siamo in America, in ogni caso non sono affatto agitato, voglio

soltanto che dimentichiamo questa faccenda tutti e due, ora, intesi?

Tiffany sospirò;- Ragazzo mio, ormai quello che è fatto è fatto, comunque se ti fa piacere terrò la

bocca chiusa…dimmi almeno chi è il padre…- Non sono io, se è quello che vuoi sapere…Lei sorrise e disse allungandogli un braccio sul collo sfiorandogli i capelli con le punta delle dita:-

Esatto, era proprio quello che volevo sentirmi dire… ora rilassati baby…- La ragazza si alzò e fece sdraiare Giulio sulla poltrona. Poi lentamente gli si sedette sulla schiena, stringendo con le sue gambe nude i fianchi di lui. Giulio iniziò ad insospettirsi, ma non si mosse da lì perché una parte di lui trovava la situazione tremendamente piacevole e non riusciva a reagire. Anzi, aspettava con impazienza la prossima mossa di lei. Tiffany lasciò andare le sue mani sulla sua schiena, dapprima sopra al maglione, poi sotto, cercando la sua pelle liscia da bambino, accarezzandola e andando sempre più su, dai fianchi verso le spalle, in movimenti rotatori, morbidi, ma allo stesso tempo, decisi ed intensi. Giulio stava andando in estasi, chiuse gli occhi e cominciò a sognare ad occhi aperti. Lei continuava i suoi massaggi con sempre più ardore ed intensità, ed infine tirò su il maglione per fare capire a Giulio che quell’ indumento era decisamente diventato di troppo. Lui l’ aiutò a toglierlo e rimasto a torso nudo si girò, questa volta di schiena per vedere in faccia Tiffany. Lei stava seduta sopra di lui, bellissima, e lo guardava con i suoi occhi grandi, magnetici e furbi. La camicia lasciava intravedere le sue forme, le sue rotondità, i suoi seni liberi e sfacciati come lei, le gambe spuntavano dalla seta lunghe e magre, quasi bianche. Si sentiva completamente nelle sue mani. Lei si distese sulla sua pancia e guardandolo sempre negli occhi cercò le sue labbra, la sua lingua e lo baciò, appassionatamente, a lungo. Lui si lasciò baciare e la strinse forte a sé accarezzandole la schiena e poi andando più giù sulle cosce e sulle gambe, e tornando di nuovo alle cosce, questa volta sotto la seta, trovando la sua carne fresca, giovane e piena di desiderio. Non aveva mai raggiunto questo livello di intimità con una ragazza, anche se da quando aveva circa quindici anni, lo desiderava ogni tanto con Vera. Il suo pensiero improvvisamente lo turbò, e si ricordò di quello che era successo, o meglio, quello che non era successo a Portovenere. A fatica cercò di divincolarsi da Tiffany, mentre lei lo baciava sul collo.- Ehi, aspetta un momento…che stiamo facendo?....Che vuoi fare?- Voglio fare l’ amore con te, mi sembrava chiaro, no?Giulio si alzò dalla poltrona spostando la ragazza. – Ci conosciamo a malapena, non ti sembra una

cosa un po’ affrettata? Tiffany scoppiò in una risata:- Ti giuro, sei il primo ragazzo che mi dice una sciocchezza del

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genere! Non lo penserai sul serio? Cos’è, sei gay?- No, non sono gay, credo soltanto che tu non sia la ragazza giusta per

fare un passo così importante…

Tiffany lo guardò come se fosse un alieno:- Un passo così importante? Ma stai farneticando, bello,

tu vivi in un film! E, sentiamo, chi sarebbe la persona giusta? Vera?- Lo sfidò con un’ aggressività che gli fece quasi paura.- Perché, anche se fosse, cosa ci sarebbe di strano?La ragazza rise nuovamente, questa volta in modo sforzato.- Cosa? Quell’addormentata che si fa mettere incinta dal primo che

passa?- Non ti permetto di parlare così di lei!- E che per giunta non si attenta nemmeno a dirlo!- Smettila!- Certo! – continuò lei con aria di sfida- Lei sì che sarebbe una buona

scelta! Peccato che non ti abbia nemmeno in nota! Tu non sei niente per lei! Se avesse un minimo di interesse per te, te lo avrebbe già fatto capire, non avrebbe certo aspettato vent’anni! Tu vivi di sogni, vecchio mio, e getti al vento la realtà! Una realtà che è certamente migliore!- Vattene!- gridò Giulio, fregandosene dei suoi genitori al piano di sopra.

Poi prese Tiffany per un braccio, sbattendole la giacca in faccia e la portò fino alla porta di ingresso, la fece uscire e proprio mentre stava per richiuderla lei gli urlò:- Sei proprio uno stronzo!- Giulio chiuse a chiave e andò di sopra, dove sua madre, allarmata dal chiasso, lo fermò chiedendo spiegazioni.- Niente, mamma, sono andato a cacciare dei gatti che si azzuffavano in

cortile. Ora tornatene a dormire.

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L’ auto viaggiava lentamente a causa del traffico e Giovanni, che era alla guida, stava davvero per spazientirsi. -Ma guarda quella come guida! Chi ti ha dato la patente, eh? Si vede che sei una donna! Vittorio si trattenne dal ridere e cercò di calmare il collega: - Che ti prende oggi? Non importunare quella poveretta, non poteva fare altro, guarda quante auto ci sono davanti a lei! - Hai ragione, meno male che stiamo uscendo dall’ ingorgo! La nuova casa è fuori da questo caos, a qualche minuto da qui. Viaggiarono ancora per un po’, ed entrarono in una zona isolata, circondata da tanti vasti campi coltivati e qualche casa qua e là. S’ inoltrarono in una via non asfaltata, con sottile ghiaia chiara. Giovanni parcheggiò davanti ad una casa in stile rustico, che aveva appena acquistato per la sua famiglia. - Che meraviglia!- Esclamò Vittorio entusiasta dell’ abitazione. - E pensa quando le ristrutturazioni saranno finite! Diventerà una favola! La casa che sogno da una vita! Entriamo, ti mostro le stanze. Le stanze erano ampie e accoglienti, alcune erano già finite, altre avevano bisogno ancora di una ripulita. In alcune c’era anche un camino bellissimo,

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che ricordava le stanze delle regge dei re. C’era spazio almeno per dieci persone e anche all’ esterno il cortile era enorme. Rimasero a perlustrare la villa per almeno un’ ora e alla fine si fermarono in giardino a chiacchierare e ad osservare il panorama. - Pensa che quell’anfora che vedi laggiù, la usava mio zio in Sardegna per metterci l’olio, è autentica! Naturalmente la lascerò là per bellezza…ah, sai, sto anche recuperando vecchie ruote di legno da mettere qui in giardino, accanto ai fiori… - Che bello! Potresti anche metterci le statuette dei sette nani visto che ci sei!- Scherzò Vittorio e i due scoppiarono in una grossa risata.Poi Giovanni continuò:- Guarda com’è tranquillo qui! Posso lasciare i miei bambini scorrazzare per i campi senza paura delle macchine, dell’ inquinamento o di gente inaffidabile…sì, qui è davvero perfetto…l’abitazione più vicina è quella villa laggiù, a circa trecento metri, là a destra, tra gli alberi, la vedi? - Sì, è bella. Chi ci abita? -Nessuno, quella è Villa Rocca, è disabitata da una decina d’anni ormai. Anzi, credo proprio che ora appartenga alla Provincia, non è più di privati. Vittorio rimase a pensare un paio di minuti, cercando di capire dove aveva già sentito quel nome, poi all’improvviso si ricordò delle parole di James e non riuscì a trattenere un’esclamazione di stupore.- Ehi, che ti prende?- Come…come hai detto che si chiama?- chiese sbiancando in volto.- Villa Rocca, perché?-chiese incuriosito l’ amico.- Sei sicuro che sia disabitata?- Sì, al cento per cento. Una volta l’ho anche visitata con mia moglie.

Fuori è ancora in buone condizioni, ma ti assicuro che all’interno è tutta da rifare!- Capisco…e quante ville con lo stesso nome ci sono in questa città?- Credo che ci sia soltanto questa con questo nome…ma, cosa è successo?- Ho un dubbio enorme. Mi puoi accompagnare un attimo in un posto?- Certo! Però promettimi che in auto mi racconti tutto!

Nel viaggio verso la banca, Vittorio raccontò della visita a Marta e della conoscenza di James, ma soprattutto del suo comportamento ambiguo. Arrivati davanti alla banca Vittorio chiese all’amico di aspettarlo fuori, entrò e chiese di parlare con il direttore. La signora allo sportello gli rispose di aspettare una decina di minuti perché il direttore stava concludendo un affare importante. Quei dieci minuti sembrarono ore per Vittorio che cominciava ad essere un po’ preoccupato per Marta. La sua preoccupazione si trasformò in angoscia quando dalla porta del direttore uscì un uomo alto, robusto, distinto, ma che non era certamente James.- Salve, entri pure nel mio studio.- Buongiorno…è lei il direttore?- Naturalmente…

Vittorio non sapeva davvero cosa dire. Si sentiva confuso e imbarazzato. Si avvicinò ancora di più all’uomo e chiese quasi sottovoce:- Mi scusi per la domanda, ma…lavora qui un certo James Rocca?L’uomo lo guardò con curiosità e rispose, abbastanza divertito:- Che io sappia no. Vittorio disperato replicò:- Ci pensi bene…magari è appena stato assunto…

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- Guardi, le assicuro che qui non lavora nessuno con questo nome, conosco tutti i miei dipendenti e io mi chiamo Paolo Bianchini.

- D’ accordo, allora mi scuso, deve esserci stato un equivoco, arrivederci. – e tornò in macchina di Giovanni con il morale a terra.

- Allora?- Chiese Giovanni con ansia.- Come immaginavo. James è un farabutto che si sta approfittando di

Marta! Senti, ti ringrazio del tuo aiuto, ora vado a cercare mia figlia, forse lei mi aiuterà a decidere cosa fare! A presto.

Con queste parole Vittorio scese dall’ auto e s’ incamminò verso la via Emilia per raggiungere il negozio di Vera. Nel mentre i suoi pensieri correvano veloci e s’intrecciavano tra loro senza una via d’uscita. Non riusciva a credere che quest’uomo che era entrato a casa della donna che più amava al mondo, e di sua figlia potesse essere un fantasma, uno senza identità, senza un vero lavoro e una dimora fissa, magari era un criminale, un pazzo o un parassita che viveva a spese degli altri, fingendo di amarli…come aveva potuto Marta essere così cieca? Come non accorgersi che quel tizio era un bugiardo? E ora che fare? Chissà se lei gli avrebbe creduto o si sarebbe messa a ridere, scambiando magari le sue preoccupazioni per immotivata gelosia? Vittorio sperò con tutto il cuore che Vera potesse avere una soluzione a tutto questo. Entrò nel negozio e si trovò davanti tutte e tre le donne: Andrea stava servendo una cliente e Angela mostrava a Vera alcuni articoli sul listino. -Ciao! Posso parlare con mia figlia, un attimo? -Vittorio! Ma certo! Vera vai pure!- Rispose Angela sorridendo.I due uscirono dal negozio e Vera capì subito dallo sguardo del padre che qualcosa non andava. - Cos’è successo?- Una cosa tremenda! Forse tu e la mamma siete in pericolo!- Di cosa stai parlando? Mi spaventi…- Ho appena scoperto che James e sua figlia non vivono a Villa Rocca! Quella villa è disabitata da anni e non appartiene a privati, ma alla Provincia! Vera si portò le mani alla bocca, sconvolta.- E allora questo dove abita?- Da voi! Ma non lo capisci? Questi due si sono installati a casa vostra e probabilmente troveranno sempre un motivo per non andarsene! Quando ho saputo questa notizia sono corso subito nella banca dove James ha detto che lavorava, e…nessun James Rocca ha mai lavorato lì! - Oddio, ma è terribile! Lascio la nostra casa in mano a due sconosciuti tutti i giorni!- Vera non riusciva davvero a capacitarsi di tutto questo.- Come ha fatto la mamma a non accorgersene prima? - E’ esattamente quello che ho pensato anche io, ma ora è inutile pensarci, cosa facciamo? - Dobbiamo assolutamente correre a casa ed avvisarla! Dobbiamo dirle tutto e cacciarli fuori da casa nostra! - Ma a quest’ora è a lavorare! - No, ormai sono due mesi che la mamma ha perso il lavoro. - Cosa? Vera rientrò nel negozio e chiese un permesso urgente ad Angela, che vedendo le facce dei due amici acconsentì senza problemi. Per raggiungere la casa più velocemente, chiamarono un taxi e entrati di corsa in cucina trovarono Marta impegnata nella preparazione di una torta di frutta.

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- Ciao ragazzi, cos’è questa fretta?Vittorio prese la parola e chiese:- Dov’è James? - Non lo so, stamattina è uscito per andare al lavoro e Tiffany ora è a danza, credo… - Fai male a credere, perché quei due sono degli impostori, James non abita a Villa Rocca e non lavora in banca in via 24 settembre!- sbraitò tutto d’un fiato Vittorio. - Cosa vai farneticando? Ti senti bene? - Ascolta mamma- spiegò Vera- credici, James non è quello che pensi tu, ci ha ingannate per prendere i nostri soldi e vivere a spese nostre. Dobbiamo mandare via tutti e due al più presto, prima che ci rovinino!- - Ma chi vi ha detto queste stupidaggini?Vittorio raccontò tutto quello che era successo in quella giornata e finalmente Marta cominciò a capire:- ecco perché mi ha fatto pagare il viaggio in Costa Azzurra dicendo di avere dimenticato a casa la carta di credito….e perché l’ impianto idraulico non era mai pronto…e perché avevano delle valigie grosse come delle case…e ora cosa facciamo?- Ora dobbiamo difenderci!- rispose sicura Vera, ed insieme cercarono

una soluzione.

C’ era un via vai di studenti per il corridoio del dipartimento di Lettere e Filosofia, ma a Giulio sembrava di camminare attraverso un tunnel bianco, silenzioso, che lo conduceva laggiù, in fondo dove appesa al muro stava la bacheca generale. Non sentiva nessun rumore, né riconosceva i ragazzi che gli passavano accanto, era concentrato soltanto su quella parete che si avvicinava sempre di più ad ogni suo passo. Percepiva soltanto il suo respiro affannato. Non sapeva cosa aspettarsi, temeva di aspettarsi qualcosa. Avanzava semplicemente dritto davanti a sé cercando di non pensare a niente. Il gran giorno era arrivato. Si ritrovò davanti alla bacheca piena di annunci per gli studenti. In alto a sinistra, c’ era la scritta “Risultati delle borse di studio 2003/2004” e sotto, le destinazioni e i rispettivi elenchi di tutti i vincitori. Cercò avidamente il nome “Cambridge” tra le varie città, fino a quando lo trovò, più in basso, sotto agli elenchi delle università francesi. Chiuse gli occhi per non vedere troppo in fretta qualcosa che avrebbe potuto deluderlo, un nome che non era il suo. Respirò profondamente, poi lentamente riaprì gli occhi e focalizzò lo sguardo sulla lista dei nomi. C’ erano soltanto due posti a disposizione. Avvicinò la mano sull’ elenco e coprì i primi posti. Guardò le sue dita tremanti: al di sotto c’ era un cinquanta per cento di possibilità di trovare scritto il suo nome, e un altro cinquanta di leggere un nome sconosciuto, mai sentito prima, o quello di un amico. Sollevò lentamente l’ indice che copriva il secondo posto e cercò di leggere la scritta: Cecilia Visconti. Oh no! E questa da dove saltava fuori? Si sentì surriscaldare e aumentare l’ agitazione dentro di lui. C’ era rimasta una unica possibilità. La mano era ancora sulla lista e sudava più di prima. Stava come incollata al foglio, incapace di alcun movimento. Poi inaspettatamente arrivò una spinta a scuoterlo. - Ehi, Mori! Cosa fai con quella mano sul foglio come un imbecille? Hai vinto! Sei primo! La voce scherzosa di Matteo lo risvegliò da quello stato di trance e lasciò cadere la mano. Il suo nome stava al primo posto della lista. Giulio Mori.

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Semplicemente. Sì, era lui, era proprio lui. Si voltò con sguardo inebetito verso l’ amico che al contrario, aspettava soddisfatto una sua reazione con le mani sui fianchi.- Allora? Non dici niente? Sei primo, Giulio! P-R-I-M-O! Ti rendi conto?

Che fai, accetti?Il ragazzo si appoggiò al muro e si attaccò alla parete con le mani come se fosse sul ciglio di un

baratro e stesse per cadere. Rimase a bocca semiaperta a guardare nel vuoto, il respiro ancora agitato.

James rincasò verso le otto di sera come al solito e questa volta, casualmente rientrò insieme a Tiffany, che in genere tornava prima delle sette. Entrambi rimasero di stucco nel vedere le loro cinque valigie davanti alla porta d’ingresso. Si scambiarono un’occhiata allarmata e non si attentarono a muoversi da lì. -E’ uno scherzo?- Chiese James a voce alta aspettandosi una risposta da qualcuno. Dall’oscurità spuntarono Marta, Vera e Vittorio che accesero finalmente la luce del salotto e li guardarono con aria di sfida. - Merda…-disse tra sé Tiffany cercando con la mano quella di James. - Mi ha telefonato l’ impresa dell’impianto idraulico…è tutto pronto, potete tornare a Villa Rocca… - Ma che bella sorpresa!- finse James facendo un largo sorriso di circostanza. - Peccato però, che tu non abbia mai chiamato quell’agenzia.- continuò Marta avvicinandosi ai due con le braccia incrociate.- E lo sai perché? James cominciava a percepire una brutta aria, ma cercò di reggere il gioco:- No… perché?- - Perché l’impianto idraulico non si è mai rotto, ma soprattutto perché a Villa Rocca non ci abita nessuno! - Ma amore, che stai dicendo? - Stai zitto!- Urlò lei inviperita.Tiffany gli stava appiccicata ai pantaloni come una scimmietta da circo e non osava fiatare. Ma Marta non si fermò qui:- E dimmi, James, dove sei stato oggi? - Ti prego, finiamola con questa farsa…- James ormai era disperato. - Sei andato in banca a lavorare? Strano! Nessun uomo con il tuo nome lavora lì, men che meno il direttore!...Sei disgustoso James! Tiffany guardò l’uomo e urlò:- Scappiamo! I due fecero appena in tempo ad aprire la porta che tre poliziotti in uniforme entrarono e bloccarono i due fuggiaschi. Due poliziotti ammanettarono l’uomo e la ragazza mentre l’altro diceva: - James Rocca, lei è arrestato per truffa, furto d’auto e di gioielli. Il suo vero nome è Adriano Bernardi ed è un ex attore di teatro, ormai senza il becco di un quattrino. Lei, Tiffany Rocca si chiama in realtà Sibilla Trevi, ha studiato recitazione in America e non è affatto la figlia di questo tizio, bensì la sua amante e complice. Entrambi avete la possibilità di parlare tramite i vostri avvocati.

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Marta non riuscì a trattenere le lacrime per la delusione e l’inganno ricevuto. - James, perché mi hai fatto questo? – urlò tra i singhiozzi- Io ti amavo! Sei un bastardo! E tu, sgualdrina, hai proprio avuto un bel coraggio a stare al suo gioco! Mi fai proprio schifo! Tiffany tirò fuori la grinta di sempre e le gridò in faccia:- Ma pensa agli affari tuoi prima di venire a giudicare gli altri! Sei tu che ti dovresti vergognare! Che madre credi di essere? Non ti sei neanche accorta che tua figlia è incinta da quattro mesi!- I poliziotti portarono i due furfanti e le loro valigie in commissariato. Vittorio e Marta rimasero ammutoliti davanti a quelle parole dure, e si girarono contemporaneamente verso la figlia che era rimasta a bocca aperta senza riuscire a reagire. Ecco, pensava, era fatta. Tutti questi mesi a cercare il momento e il modo migliore per dare la lieta notizia e in pochi secondi tutto era andato in fumo. Se c’era un brutto modo per svelare il segreto era proprio quello che Tiffany aveva utilizzato un minuto prima. Una realtà sputata in faccia come se fosse una colpa, un errore, un rancore. Nessuno dei tre riusciva a dire una parola, neanche Vittorio riusciva a sbloccare la situazione, fino a quando Vera, ebbe la forza di fare quello che aveva visto fare da sua madre per tutta la vita: scappò via.

Marta, già provata dall’accaduto, si lasciò cadere su una sedia e scoppiò di nuovo in lacrime. I suoi singhiozzi erano così disperati che Vittorio a stento riusciva a trattenere le sue stesse lacrime. Si commuoveva a vedere le altre persone piangere, in particolar modo se si trattava di Marta. La lasciò sfogarsi, abbracciandola e porgendole di tanto in tanto il fazzoletto. Dopo qualche tempo, riuscì ad aprirsi e a trasformare le lacrime in parole.- Quattro mesi…! Che madre sono stata? Quella strega ha ragione…non

sono mai stata vicina a mia figlia, e anche quando lo ero fisicamente, non lo ero con la testa e con il cuore. In questi quattro mesi l’ho vista ogni sera e ogni mattina, eppure non mi sono mai accorta di niente, come è possibile che una madre non si accorga dei cambiamenti della propria figlia?- Neanche io me ne ero accorto, quindi la colpa è di entrambi…-cercò di

confortarla Vittorio.- Sì, ma lei vive con me! Tu la vedi ogni tanto e per poche ore, è diverso…- Però anche lei non ha mai provato a parlarne…- Ma certo!- esclamò Marta, arrabbiata con se stessa- e lo sai perché?

Perchè io le ho insegnato a non parlarmi! Io non ho mai dialogato con lei, io le ho dato il cattivo esempio! Non ho fatto altro che fuggire, andare, tornare, andare e tornare, lasciandola qui, senza dare mai una spiegazione, senza darle la possibilità di condividere le mie esperienze e io le sue. Quando si è trattato di chiedermi aiuto non ha trovato le parole per farlo! E magari in questi mesi ha pensato ogni minuto, ogni secondo a come dirmi che aspettava un bambino, ma quando mi ritrovava davanti a lei, vedeva soltanto un muro, una persona egoista assorta solo nei suoi problemi! Con la faccenda del licenziamento, non ho fatto altro che pensare al lavoro e mi sono allontanata ancora di più. Mi vergogno di me stessa…ho dovuto sapere una notizia del genere da una sconosciuta…e per di più l’ amante del mio…- e scoppiò di nuovo in un pianto a dirotto.

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- Senti, per quanto riguarda il lavoro…io ti posso aiutare. Cerco una nuova segretaria per il mio

studio. Lo so che non è la tua massima ambizione, ma…almeno fino a quando non trovi qualcosa di meglio, può andare, vero? Marta si sentì leggermente più sollevata e sorrise all’uomo ringraziandolo. - Dici sul serio? Oh, Grazie davvero di cuore, accetto volentieri. Così potrò aiutare anche Vera a mantenere il bambino. Un bambino…è una cosa meravigliosa… probabilmente anche la sua età molto giovane deve averla spaventata, ma ora le voglio stare vicino…speriamo che non sia troppo tardi… Vittorio le sorrise:- no, vedrai che siamo ancora in tempo per recuperare un dialogo con lei, basta volerlo…ora però, la prima cosa da fare è smetterla di stare qui a piangere e andarla a cercare! Corsero prima da Anna e Maurizio, ma trovarono soltanto Anna e Giulio intento a preparare un esame di letteratura, ma ancora scosso dalla nottata con Tiffany. Appresa la vicenda di James e la pseudo figlia, il ragazzo si sentì uno stupido per essere cascato anche per poco tempo nel tranello di quella bugiarda e di avere trascurato Vera ammaliato dal suo aspetto misterioso ed affascinante. Però si sentì anche un po’ sollevato dal fatto che aveva rifiutato le sue avances la sera prima: sarebbe stato davvero un peccato fare questa esperienza per la prima volta con una persona del genere. Ma ora la cosa più importante era trovare Vera e finalmente chiarire la situazione una volta per tutte. Tutti e quattro s’incamminarono nuovamente verso il centro pensando a dove potesse essersi andata a rifugiare la ragazza. Chiesero aiuto anche al negozio e, raccontata alle due donne tutta la vicenda, Angela e Andrea decisero di chiudere il negozio e di andare insieme a tutti gli altri a cercare Vera. Si fermarono qualche minuto per organizzarsi e decisero di dividersi in tre gruppi: Anna sarebbe andata con Angela, Giulio con Andrea e Vittorio e Marta sarebbero andati insieme.- Wow, sembra un film!- Esclamò esaltata Andrea. Angela le diede una

delle sue solite occhiatacce.

Giulio prese la parola:- Bene. Io e Andrea passeremo in biblioteca e proseguiremo verso il palazzo dello sport. - Io e Anna perlustreremo le chiese, e i caffè.- Disse Anna.- Allora io e te, Marta, continueremo per il centro, cercando in negozi e

centri commerciali.I sei si divisero e cominciarono le ricerche.

Di Vera nessuna traccia. In pochi minuti si era volatilizzata senza dire una parola, sconvolta da quello che era successo e soprattutto da come era successo. La più apprensiva era sicuramente la madre, perché si sentiva in colpa, e soltanto ora si sentiva come risvegliata da un lungo sonno, un sonno in cui aveva soltanto sognato ciò che più le piaceva, senza pensare agli altri. Anche con Vittorio si era comportata allo stesso modo. Al primo accenno di abitudine e routine quotidiana aveva semplicemente reagito fuggendo via, chiedendo la separazione, rincorrendo avventure come un’adolescente. Cosa avrebbe detto alla figlia per scusarsi? Come avrebbe reagito? Aveva paura di non trovarla, e allo stesso tempo le batteva forte il cuore al solo pensiero di scorgerla in un qualche angolo della città e di dirle quello che non le aveva mai detto prima.

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La trovarono proprio loro due, ai giardini dove trascorreva interi pomeriggi con Giulio e Andrea

d’estate, seduta su un’altalena, con le mani aggrappate alle corde e lo sguardo verso il basso. Era voltata di spalle, e non si accorse subito del loro arrivo.- Vera, sei qui…- sussurrò Marta per richiamare la sua attenzione.Vera si voltò di scatto e disse:- Ah, siete voi…Marta si avvicinò alla figlia, andando di fronte a lei. Ora potevano guardarsi negli occhi.Vittorio restò in disparte.Rimasero in silenzio per un po’, poi Vera disse a bassa voce :- Mi dispiace…davvero non volevo che succedesse tutto questo…- Non dire niente. – La fermò la madre emozionata e spaventata- ora sono

io che devo parlare.Sono io che devo e voglio chiederti scusa. Sono stata una madre indegna di una figlia come te. Quando hai avuto bisogno di me io non ci sono mai stata. Mi sento un mostro per come mi sono comportata e non so nemmeno se mi merito il tuo perdono. Forse è troppo tardi per te e non posso darti torto. Ti voglio solo dire che per quanto riguarda la tua situazione…ti capisco. Capisco che possa essere angosciante per una ragazza di venti anni diventare mamma senza sapere cosa vuole dire essere figlia. Capisco se non hai avuto il coraggio di dirmelo, perché non abbiamo mai parlato di cose impegnative, nemmeno riguardo lo studio ti ho mai dato consigli e me ne pento amaramente. - Io volevo dirtelo, davvero! Ma quando l’ ho detto a Federico, lui è

scappato via, lasciandomi sola, dicendo che non era pronto per affrontare un passo del genere. Ho sofferto moltissimo e non sapevo a chi chiedere aiuto. Quando ho avuto la forza di aprirmi con te, ti ho trovata in cucina in lacrime per avere perso il lavoro. Ho pensato che in questo modo si sarebbero aggiunti anche problemi economici e allora non ho più saputo come reagire. Non volevo crearti un peso, non mi sembrava giusto. Più passavano i giorni più mi sentivo intrappolata in questa faccenda e non sapevo come saltarne fuori…finché Tiffany vi ha detto tutto in una semplice frase tagliente, in un ridicolo pugno di secondi.- Forse è stato un bene che sia andata così. L’aggressività e la schiettezza

di Tiffany mi hanno aperto gli occhi.- Rispose Marta- Vera, non ti preoccupare più... Un bambino è una cosa stupenda e io ti starò vicina, perché lo voglio con tutto il cuore, perché ti voglio bene e perché anche tu, lo so, hai ancora bisogno di me. - Ma come farai con il lavoro?-chiese Vera ancora diffidente.- Marta è diventata da poche ore la mia nuova segretaria! Il lavoro non è

più un problema! E poi,ti sei scordata che hai anche un padre?- Scherzò Vittorio per sdrammatizzare- Naturalmente ti aiuterò anche io. Lo sappiamo, senza Federico accanto non è la stessa cosa, ma almeno la nostra vicinanza e il nostro affetto non ti mancherà. Vera era commossa. Non credeva che sarebbe stato così semplice risolvere quello che da tre mesi era diventato un tormento. Il silenzio aveva costruito dei muri gelidi che sembravano indistruttibili e sempre più alti e spessi, mentre bastavano soltanto parole dettate dai sentimenti per sbriciolarli. A volte sono le cose che si danno per scontato, le più semplici a risolvere le situazioni più intricate. O forse queste situazioni sono intricate solo in

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apparenza, e sembrano tali perché per spiegarle si cercano le parole più complesse. - Mi dispiace per tutta la confusione che ho creato…grazie, grazie davvero… - Vera…- disse Marta con le lacrime agli occhi e il cuore in gola- Ti va di abbracciarmi?Vera sorrise e lentamente scese dall’ altalena. Poi con passi più veloci camminò verso la madre a braccia aperte e si trovarono insieme in un lungo abbraccio. Una sensazione di felicità, leggerezza e conforto pervase Vera, una sensazione che non provava da moltissimo tempo e che aveva dimenticato. Si sentiva finalmente a casa.- Sì, ti perdono, mamma…e ti voglio bene…Marta la strinse ancora più forte.

Vittorio aspettò la fine dell’interminabile abbraccio e poi le incitò:- Forza, è ora di tornare. Andiamo ad avvisare gli altri che tutto è finalmente risolto per il meglio. Avvicinandosi al padre Vera chiese incuriosita:- Gli altri, chi?

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- E’ una femmina! Giulio, è una femmina, che bello!- Vera si buttò tra le braccia dell’amico entusiasta della notizia appena scoperta.

Giulio quasi commosso chiese di raccontargli tutto nei minimi dettagli.- E’ stato strano…sono andata a fare l’ecografia proprio ora! Mi hanno

accompagnato i miei genitori…mi sembra ancora incredibile che in pochi giorni la situazione sia così cambiata! Mio padre è rimasto ad aspettarmi fuori dall’ambulatorio, mentre Marta è voluta entrare a tutti i costi e si è anche messa a piangere davanti alla dottoressa…che situazione imbarazzante! Comunque è stato bellissimo, una cosa indescrivibile! La dottoressa mi ha fatto sdraiare sul lettino e mi ha spalmato sulla pancia una specie di gelatina trasparente. Poi ci ha passato sopra uno strumento apposta collegato ad un monitor che mostrava il bambino…cioè la bambina! Naturalmente me lo ha detto lei che è una femmina, perché è talmente piccola che sarebbe impossibile dirlo! E’ un affarino minuscolo, dovresti vederlo! Sembrava davvero impossibile che quello che vedevo su quello schermo fosse in realtà qui dentro, nella mia pancia! - Sono davvero felicissimo…hai qualche fotogramma da farmi vedere?

Sono curioso…- Certo! Ne ho alcuni, ma li ho lasciati a mio padre da guardare. Appena

me li riporta te li mostro, vedrai che meraviglia! Vera aveva trovato il buonumore, era serena. Giulio non la ricordava così felice da anni. Da

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quando si era fidanzata con Federico aveva perso la sua solarità e l’allegria che l’accompagnava sempre. Però lo amava e lo avrebbe sempre fatto se lui non l’avesse lasciata. Da quando aveva scoperto di essere incinta era cominciato il periodo più difficile, che non l’aveva fatta dormire la notte, ma ora che si era risolto tutto con un lieto fine che non si sarebbe mai aspettata, era come rinata. Lui invece, Giulio, sì era felice, felicissimo per l’amica, ma ancora intrappolato nei suoi dubbi e nelle sue incertezze sulla partenza. Mancavano pochi giorni alla scadenza del termine di accettazione e ancora non sapeva cosa fare. Da un lato una forza lo spingeva a cercare nuovi orizzonti, a farsi una nuova vita lontano dai suoi genitori che soffocavano in ogni occasioni le sue aspirazioni e i suoi sogni. Si sentiva pronto per un passo del genere, andare all’estero, comunicare con una lingua straniera, vedere una nuova realtà, conoscere nuove persone e arricchirsi e crescere dentro. Sì, da un lato lo voleva proprio. Ma dall’altro…non voleva lasciare Vera. Anche se ora aveva ritrovato un po’ di pace, era ancora sola, la bambina non aveva un padre al suo fianco e anche se il padre non era lui, lo avrebbe fatto volentieri. Aveva solo ventuno anni, ma l’idea non lo spaventava, anzi lo rendeva più tranquillo. Inoltre c’erano i suoi genitori che avrebbero preso la sua partenza come un secondo abbandono dopo quello di Camilla. Non lo avrebbero perdonato, questo era certo. Né gli avrebbero pagato gli studi all’estero, avrebbe dovuto arrangiarsi da solo. Il tempo scorreva veloce, troppo veloce, e stava arrivando il momento di decidere del suo futuro. Non sapeva con chi parlarne, perché a Vera non aveva mai raccontato niente per non aggiungerle preoccupazioni e soprattutto sapeva che non sarebbe stata obiettiva, avrebbe pensato soltanto a lui e sicuramente gli avrebbe detto di partire, perché sapeva che era il suo sogno dagli anni del liceo. Lei non gli avrebbe chiesto di aiutarla, lo avrebbe lasciato andare, perché la generosità era il suo dono più grande. Ma prima o poi lui doveva dirle la sua decisione, nel bene o nel male, e anche questo momento lo turbava abbastanza. Aveva ancora qualche giorno per pensarci, o meglio, qualche ora per non pensarci, per respirare.

I due ragazzi stavano guardando un film in videocassetta sorseggiando un tè caldo quando Vittorio

entrò con l’ affanno e la voce trafelata. - Vera, presto, dobbiamo tornare subito all’ospedale. - Papà! Cos’è successo? - Una cosa terribile! Khalida…Non perdiamo tempo, forza, preparatevi tutti e due!

Vera guardò allarmata Giulio, che scattò in piedi e andò a prendere le giacche. Il volto di Vittorio era visibilmente rattristato e dispiaciuto e sembrava quasi non riuscisse a dire cosa era successo. La ragazza, non aveva il coraggio di richiederlo, sentiva soltanto una stretta allo stomaco e una grande paura, paura di sentire la risposta

. Era successo che Khalida era stata aggredita da uno sconosciuto, un uomo con un passamontagna in testa che probabilmente aveva seguito i suoi movimenti mentre lei era andata a fare la spesa. Al ritorno, mentre portava due grosse borse in mano, il tizio era saltato fuori da un angolo buio e si era accanito su di lei con un coltellino da tasca, colpendo più volte la pancia, come

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se sapesse che era incinta. Khalida era caduta svenuta in un lago di sangue, ma le sue urla precedenti avevano fatto uscire un negoziante che lavorava lì vicino e aveva immediatamente chiamato un’ ambulanza. Mentre raccontava la storia, Latif aveva gli occhi gonfi di lacrime, tristi e disperati. Avevano appena ritrovato la pace e subito era successa questa tragedia.- Il tizio è riuscito a scappare senza che nessuno lo abbia riconosciuto, ma

io sono sicuro che siaJosef o uno della sua banda che si è voluto vendicare del processo….che vita ingrata! Come si fa a restare onesti in un mondo del genere? Ditemelo!

Vittorio, Vera e Giulio lo ascoltavano commossi e dispiaciuti nel corridoio bianco dell’ ospedale,

senza sapere cosa rispondere ad una domanda così vera. Khalida era stata operata d’ urgenza, ma per il bambino non c’ era stato nulla da fare. Non ci sarebbe stato più nessun bambino, quello che portava nel grembo da sette mesi le era stato strappato via con l’ odio e la cattiveria senza pietà. No, non si poteva dare una risposta ad una domanda del genere. Era proprio un mondo ingrato, un mondo perfido, che ti dà pochi momenti di gioia e tanti di sofferenza, che ti illude e poi ti tradisce, che ti fa sperare di nuovo e poi ti riabbatte con forza ancora più grande e feroce. Vera aveva visto la pancia dell’amica crescere di settimana in settimana, e anche se si erano conosciute da poco, le si era affezionata subito perché era riuscita a capire le sue preoccupazioni, perché le aveva dato consigli preziosi e perché era stato spontaneo per entrambe fidarsi l’ una dell’ altra. Due culture così diverse, due vite così diverse eppure così vicine, semplicemente per affetto ed amicizia. Solo un disperato abbandonato da Dio poteva avere avuto il coraggio di fare una cosa simile. Ma ormai era stato fatto e non si poteva più tornare indietro. La pancia di Khalida ora era vuota, non accoglieva più nessun cucciolo di uomo, ed era solcata da una profonda e lunga cicatrice che dalla carne arrivava all’ anima.

Marta arrivò di corsa al reparto, dopo essere stata avvisata da Vittorio per cellulare. Non aveva

mai visto Latif e Khalida eppure si sentiva in dovere di essere presente, anche per stare vicino a Vera. Vittorio presentò la sua ex moglie a Latif.- Grazie a tutti per essermi così vicini in questo momento, siete davvero

molto gentili. Il medico uscì in quell’ istante dalla stanza dove era ricoverata la ragazza e chiamò il marito.- Può visitarla, ma solo per pochi minuti e soltanto lei, per oggi. Gli altri

dovranno attenderefuori.

Latif si voltò a cercare lo sguardo rassicurante dei suoi amici e sentendosi meno solo, si avvicinò alla

camera. Aprì la porta lentamente, cercando di fare meno rumore possibile.

Nel letto bianco Khalida era quasi irriconoscibile. Un tubicino trasparente le usciva dal naso e un

altro dal braccio dal quale riceveva un liquido dalla flebo che stava accanto a lei. Sulla fronte aveva una grossa benda bianca e le lenzuola la coprivano fino al collo.

Si stava da poco risvegliando dall’ anestesia, e vedeva ancora annebbiato. 85

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Latif prese una sedia e le si sedette vicino. Cercò la sua mano e la prese. Lei lentamente si girò a

guardarlo, con gli occhi ridotti a due piccole fessure, lucidi e rossi. La guardò con uno sguardo pieno d’amore, comprensione, tenerezza e sofferenza. Si capirono appena i loro occhi si incontrarono, senza bisogno di una sola parola. Due lacrime solcarono lentamente le tempie della ragazza, che andarono ad inumidire il cuscino. Latif le strinse più forte la mano, si avvicinò al viso dell’amata e le fermò una terza lacrima con le sue labbra.

La luce era abbastanza bassa, giallastra. La stanza era piccola, e accoglieva soltanto Khalida ed un’

altra donna addormentata con accanto un uomo, anche lui non parlava. Tutto era silenzioso, ed era un silenzio triste e freddo, angosciante. Soltanto le gocce del liquido che scendeva dalla flebo facevano uno strano lugubre e quasi impercettibile ticchettio.

Fuori, intanto erano arrivati altri due amici tunisini di Latif e dopo essersi presentati, dissero che sarebbero rimasti lì tutta la notte con Latif, per cui non c’ era motivo che i ragazzi restassero. Marta abbracciava Vittorio stanco ed amareggiato da quella giornata, e Vera e Giulio sedevano su una panchina vicini, ma senza parlare. - Ragazzi, perché non tornate a casa? Io e Marta staremo ancora qui per sentire cosa ci dice Latif, ma voi, è inutile che stiate qui, Khalida non può ricevere altre visite per oggi, è meglio che andiate a riposarvi e che torniate domani. I due si scambiarono un’ occhiata dispiaciuta e decisero a malincuore di tornare il giorno seguente. Vera voleva assolutamente parlare con l’ amica. Vittorio diede le chiavi della sua macchina ai due ragazzi che mestamente se ne tornarono a casa.

Era già notte inoltrata, e nonostante Vera fosse distrutta, non riusciva proprio ad andare a dormire. Nel primo pomeriggio aveva fatto l’ ecografia e scoperto per la prima volta la sua bambina, e quasi nello stesso momento Khalida veniva accoltellata dall’ altra parte della città. Sembrava impossibile, un incubo ad occhi aperti, una cosa irreale.- Giulio, come stai?Il ragazzo si fermò a pensare, poi sospirò:- Come vuoi che stia…non lo so, mi sento strano…strano

e triste…- Anche io…ho paura…mi dispiace molto per Khalida… Il ragazzo si avvicinò a Vera e la strinse a sé cercando di darle un po’ di coraggio.- Non so se riuscirò a dormire stanotte…ti va di rimanere qui con me?-

chiese lei tutto d’ un fiato.

Lui le sorrise capendo il suo stato d’ animo e fece di sì col capo. Andarono al piano di sopra, nella camera di Vera e si prepararono per la notte. Lei andò in bagno

ad infilarsi il pigiama, lui si tolse le scarpe e il maglione.S’ infilarono sotto le coperte e accanto a lui Vera non si sentì più sola, ma rassicurata e tranquilla. Spensero la luce e aspettarono il sonno. Non riuscirono a dormire, ma soltanto a riposare, senza

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parlare ma ascoltando l’ una i respiri dell’ altro.Giulio lentamente si accostò di più al corpo dell’ amica, sentendo il calore delle lenzuola e della sua

vicinanza. Nel buio e nel silenzio della notte, Giulio chiese a voce bassa:- Vera, posso chiederti un favore?- Dimmi!- Stringimi…Vera ridacchiò, poi chiese:- Ma che dici?- Sì, ti prego abbracciami, ho bisogno di un tuo abbraccio…Vera sorrise nel buio e si girò a cercare il corpo dell’ amico. Era lì, a pochi centimetri dal suo e lo strinse con affetto.- No, di più!-esclamò lui- Stringimi di più!- Così?- No! Di più!- Così? - Di più! Più forte che puoi!

Vera intenerita da quella richiesta lo strinse più che poté, poi mollò la presa, esausta:- Basta così, altrimenti diventa pericoloso!- i due risero sommessamente e alla fine lui sussurrò:- grazie! Mi ci voleva proprio! Ora sto molto meglio!- Risero ancora e si sentirono un po’ più sereni. Poi ci fu di nuovo silenzio per molto tempo. Di tanto in tanto si sentiva il rumore di qualche macchina avvicinarsi ed allontanarsi dal viale, o qualche cinguettio lontano e cupo di uccelli di bosco. Vera sentiva Giulio girarsi e rigirarsi inquieto nel letto, turbato da un sonno leggero e nervoso. Dopo un po’ lui le chiese di nuovo:-- Vera, posso farti una domanda?- Dimmi.- Se io non fossi qui adesso, ma fossi lontano, magari in un altro Paese,

all’estero intendo, tu che faresti?

Vera ci pensò qualche minuto, poi rispose:- Mmmh…credo che ti sentirei vicino lo stesso…- Grazie!.- sospirò lui- Era proprio quello che volevo sentirmi dire!- Poi lo sentì avvicinarsi di nuovo a lei e prenderle la mano, accarezzarla e intrecciare le dita tra

sue. Lo lasciò fare e come quel giorno a Portovenere si sentì trasportare da un sentimento strano, avvolgente ed irresistibile nei confronti dell’ amico. Non avevano mai più riparlato di quell’ episodio, ma entrambi sapevano che nessuno dei due l’ aveva dimenticato, nonostante tutte le vicissitudini successive. Ora quella strana e calda emozione era ritornata e di nuovo lei sapeva e percepiva che anche lui la provava. Si girò verso di lui, e nonostante il buio, le parve di riconoscere il luccicare dei suoi occhi e di percepire le distanza grazie alle forme nella semioscurità. Sapeva che Giulio la stava aspettando. Ma non si mosse, aspettò i movimenti di lui come per avere una conferma di ciò che le diceva il cuore. E lui arrivò. Avvicinò le sue labbra a quelle di Vera, dolcemente e la baciò con trepidazione e tenerezza. Le accarezzò il viso con le mani e continuò a darle tanti piccoli baci sulle guance

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e sul collo, poi di nuovo sulle labbra e non c’ era soltanto la passione in quei baci, c’era l’ amore, l’ amore di una vita, la sincerità, la fiducia, l’ attesa, la complicità, l’ affetto. Si baciarono per molto tempo, ma Giulio non cercò niente di più da lei in quella notte, voleva che tutto fosse perfetto, e lo era. Non dissero una parola, non ce n’ era bisogno, dopo una vita trascorsa insieme potevano comunicare con gli occhi, con le carezze, con i sorrisi. Si addormentarono abbracciati, lei rivolta verso il muro e lui con il viso tuffato nei suoi capelli e le braccia appoggiate delicatamente sulla sua pancia. Non si accorsero nemmeno che Marta non era rientrata, era andata a dormire a casa di Vittorio.

All’ alba, il campanello di casa svegliò Vera che si alzò con un sobbalzo, mentre Giulio continuò a dormire beatamente. Guardò l’ amico sorridendo e gli sistemò le lenzuola al meglio intorno al collo per non fargli sentire freddo. Poi lentamente andò scalza ad aprire la porta credendo che fosse Marta che aveva per l’ ennesima volta dimenticato le chiavi. Ma non era Marta. Era Federico.Divenne paonazza in volto e lo guardò senza sapere cosa dire. - Vera…quanto tempo…- Ciao…- rispose lei in un soffio.Ci fu un silenzio imbarazzato e Vera si sentiva confusa, le girava la testa e formicolava lo stomaco

come ai vecchi tempi.Federico si schiarì la voce e disse:- Sono qui perché ho capito molte cose. Ho sbagliato Vera, mi

sono comportato da vero idiota. Mi sei mancata in tutto questo tempo, e mi manchi ancora. - E l’hai scoperto stanotte?- Chiese lei sarcastica.Lui sospirò facendo finta di non avere sentito- Vera, non faccio altro che pensarti…- E… quella ragazza bionda?-chiese Vera diffidente.- Chi, Tanja? Con lei è finita, non ne ero innamorato, è stato un errore

anche quello.Ancora silenzio. - Vera, perdonami, ti prego, io ti amo ancora e voglio tornare con te. Ho

sbagliato, ma ora ho capito, sono cambiato e te lo voglio dimostrare. Dammi un’ altra possibilità.

Vera non riusciva a credere ai propri occhi e alle sue orecchie. Da un momento all’ altro Federico

ricompariva dal nulla pretendendo di reintrodursi nella sua vita dopo mesi di assenza.- Dove sei stato in questi tre mesi? Federico sbuffò guardando in basso:- Lo so, me ne sono andato, non mi sono fatto più sentire,

ma credimi, ti sono sempre stato vicino con il cuore e con i miei pensieri. Io non ti ho mai abbandonata, ho cercato soltanto una pausa per riflettere…e ho capito che ti amo, ti amo e non posso fare a meno di te…- Potevi almeno farmi una telefonata, chiedermi come stavo…

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- Non è stato facile nemmeno per me credimi…- prese Vera per le braccia e la strinse a sé cercando le sue labbra e cercando la sua schiena con le mani e stringendola sempre più forte.

- Lasciami stare…- disse Vera in un fil di voce - non è il caso…- ma lui già la teneva in braccio e

si dirigeva al piano di sopra verso la sua camera. Vera era agitatissima, pensava a Giulio, a come avrebbe reagito Federico nel vederlo, e cosa avrebbe fatto Giulio allo stesso tempo dopo quella notte. - No, non voglio andare di sopra, fammi scendere!- ma Federico non le

dava ascolto e la teneva ferma tra le sue braccia forti. Quando aprì la porta della sua camera, Giulio ancora sotto le lenzuola esclamò: - Ehi, ma che succede?

Federico lasciò andare Vera con sguardo disgustato e inorridito, Vera si sentì morire di vergogna.- Ah, è così! – urlò Federico fuori di sé- Ecco perché non volevi venire qui!

Eri già a letto con un altro! Vergognati! Che schifo! E io che ho pensato di potere costruire di nuovo qualcosa con te! Che illuso…cosa mai potevo pretendere da una come te...- Che stai dicendo? Non è come pensi tu, non è successo niente. E

comunque anche tu ti sei consolato con quella ragazza, o no? - Taci! Facevi tanto l’ innamorata ed ecco che dopo solo tre mesi ti ritrovo

nel letto con un Altro, per di più Giulio…e sei anche incinta…sei rivoltante…ma sì, che me ne frega! Rimani con lui, di una come te non me ne faccio niente! Federico corse giù per le scale e Vera dopo un attimo di indecisione lo seguì correndo per fermarlo. - Federico! Aspetta! Parliamone! Non è come pensi tu! Torna indietro! Ti prego! Ma lui aveva già sbattuto la porta dietro di sé. Rimase impietrita a guardare la porta senza sapere cosa fare. Si girò, disperata, e si ritrovò faccia a faccia con Giulio.- “non è come pensi tu…”, “non è successo niente…”? – disse Giulio ferito,

ripetendo le parole di Vera.

Vera proprio non era in grado di sopportare anche le lagne di Giulio, era confusa, stanca e non ne poteva più di nessuno.- Oddio, non ti ci mettere anche tu adesso! Ti prego, vai via, lasciami sola,

lasciami sola!- urlò scappando al piano di sopra.

Giulio, deluso, con le lacrime agli occhi la guardò allontanarsi, rimase lì, in piedi come un ebete, e dopo qualche minuto se ne tornò a casa.

Giulio entrò di soppiatto in casa, per non svegliare i suoi genitori che sicuramente erano ancora a letto. Era mattino presto e suo padre tra poco si sarebbe alzato per andare al lavoro e lui doveva assolutamente farsi trovare a letto prima che il padre scendesse in cucina per colazione. Girò le chiavi il più delicatamente possibile nella serratura della porta e la aprì lentamente. La

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richiuse allo stesso modo e raggiunse in punta di piedi la sua camera da letto. Appena entrato chiuse anche la porta della stanza e assicuratosi che nessuno l’avesse sentito fece un sospiro di sollievo ed accese la luce. Sua madre era seduta sul letto. Lui sobbalzò e soffocò un grido con le mani.- Cielo, mamma, vuoi farmi prendere un colpo?- Dove sei stato questa notte?- Lo aggredì lei con una voce che non

ammetteva giustificazioni.- Sono stato all’ospedale con Vera, Vittorio e Marta. Una loro amica è

stata aggredita e ha perso il bambino. - E sei rimasto là tutto questo tempo?Giulio già provato dalle vicende recenti, sbuffò:- Ma perché devi farmi l’ interrogatorio proprio ora?

Sono rimasto a dormire da Vera, aveva paura a rimanere da sola in casa e mi ha chiesto di farle compagnia, va bene così? E’ sufficiente? - Non fare lo spiritoso! Io e tuo padre ti abbiamo aspettato tutta la notte.- Avete fatto male. Dovevate dormire tranquilli. So badare a me stesso.

In quel momento arrivò anche Maurizio, ancora più arrabbiato di Anna.- Quante volte ti ho detto che devi avvisare a casa e dire cosa fai? Cosa

credi, che questo sia unalbergo? O sei già in Inghilterra con la testa?-

Giulio si sentiva la testa scoppiare e tentò di evitare la solita discussione alzandosi e dirigendosi nel

suo studio, ma mentre entrava nell’ altra stanza, l’uomo lo incalzò:- E ora dove vai? Vai a rifugiarti nello “sgabuzzino delle scartoffie”? - Sì, perché, ti crea qualche problema? Almeno scrivere mi scarica i nervi,

mentre voi me li fate venire!

Il padre fece un sorriso beffardo:- Sì, vai pure a scrivere le tue baggianate, tanto i tuoi cari

manoscritti non li troverai più!- Che vuoi dire?- Si girò di scatto Giulio rosso in volto.- Vuol dire che stanotte mentre tu eri chissà dove, ho dato una ripulita…Giulio si sentì sbiancare di colpo, e si gettò sui cassetti dove teneva i suoi racconti: spariti. Tutti i

cassetti erano vuoti, non c’era traccia delle sue carte, delle sue poesie, delle sue riflessioni.

Si girò di nuovo verso i genitori con gli occhi pieni di lacrime e il mento tremante dal nervoso e

dalla delusione. - Non pensare che l’ abbia fatto con cattiveria- continuò il padre con aria

tranquilla e sicura- è che… è ora che tu la smetta di vivere di sogni e che cominci a guardare in faccia la realtà…

Anna stava in disparte, in silenzio, consapevole di quello che avevano fatto al figlio.- La realtà?- urlò Giulio fuori di sé - La realtà? Ma quale realtà! L’unica realtà è che vi odio! Io vi odio! Vi odio!Vi odio!- Sbatté loro in faccia la porta e la chiuse a chiave. Poi, cercò ancora nella cassapanca dove non aveva ancora controllato, e fortunatamente sotto a vecchi vestiti e libri impolverati trovò il suo diario segreto ancora intatto. Lo prese e lo strinse a

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sé come fosse un pupazzo, mentre le lacrime gli offuscavano la vista. Singhiozzava nel silenzio della sua stanza, mentre l’ alba si trasformava lentamente in giorno e i primi raggi del sole cominciavano a filtrare attraverso le persiane della finestra. Aprì l’ armadio e in alto, sulla destra, vide avvolta in un sacco di plastica bianca, la valigia verde scuro che aveva comprato l’ anno precedente quando era andato a trovare Camilla. La tirò giù e la scartò. Tolse la polvere meglio che poté e la aprì.

Vera fece capolino dalla porta della camera dove Khalida era ricoverata. Era contenta di vederla, anche se non sapeva bene cosa dire in una situazione simile. La trovò molto diversa: il suo sguardo era molto cambiato, portava i segni della stanchezza e del dolore provocati quella sera. Khalida le sorrise nel vederla, ma era un sorriso triste. Vera si sedette accanto all’ amica e il suo sorriso si bagnò di lacrime di commozione. - No, Khalida, non piangere…sono venuta per farti sorridere, non per rattristarti… - Grazie per essere venuta, ti ho pensato tanto… Khalida la guardava eppure i suoi occhi erano lontani, i suoi pensieri distaccati, altrove. Aveva ancora paura e ogni notte, ogni momento in cui si addormentava, rivedeva davanti a sé quell’ ombra scura avventarsi su di lei. Poi si svegliava immediatamente e Latif le stringeva le mani e l’ abbracciava dicendole che era stato solo un incubo. Ma non era stato un incubo, quella notte era successo tutto realmente ed era impossibile dimenticare. - Perché…? Io vorrei soltanto sapere perché…-sussurrava Khalida con uno sguardo senza speranza, rassegnato. - …non c’è un perché, devi soltanto cercare di guardare avanti senza soffermarti continuamente su quei momenti, altrimenti non finirai mai di soffrire…- Disse Vera cercando di consolarla in un qualche modo, sebbene sapesse che quelle parole erano del tutto vane. - Non puoi capire…io non riuscirò mai a cancellare…ha ucciso il mio bambino… - Hai ragione…è stata una cosa orribile…non posso farti dimenticare quello che è successo, però ti voglio stare vicina, e voglio che tu sappia che puoi contare su di me. - Lo so. Tu e la tua famiglia siete davvero le persone più sincere e gentili che io abbia incontrato qui in Italia, sono commossa… Si abbracciarono e Khalida ritrovò un leggero sorriso. Dopo qualche minuto chiese con voce bassa e indicando la pancia di Vera:- Come sta? Vera rispose:- Bene… A Khalida si rigonfiarono gli occhi di lacrime e Vera le prese le mani e le chiese:- Senti, come avresti voluto chiamarlo? La ragazza tirò su con il naso cercando di controllare il pianto e disse.- Amin. Si sarebbe chiamato Amin… Vera le strinse le mani più forte e le sussurrò:- La mia sarà una femminuccia…ma… se ti fa piacere la chiamerò Amina…ti va? Khalida fece di sì con il capo perché il pianto e l’ emozione le impedivano di parlare. - Grazie, Vera, davvero non so cosa dire…

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- Non dire niente, sono io che devo ringraziare te. Mi hai insegnato tante cose e grazie ad i tuoi consigli ho potuto prendere le decisioni migliori. Ora basta, devi riposare e soprattutto devi ritrovare un po’ di tranquillità e serenità. Promettimi che ti impegnerai a superare questo momento. - Lo prometto. Le due amiche si salutarono ed uscendo Vera pensò che Amina fosse proprio un bel nome.

Faceva freddo, un freddo pungente e l’ uomo si girava e rigirava nel letto tremando come una foglia. Cercava invano di dormire, ma i suoi occhi gli facevano male, sentiva le palpebre rigide come pezzi di legno e la sua mente trasmetteva sempre le stesse immagini, le immagini di quella notte, quando aveva rinunciato alla sua anima per un mucchietto di miseri soldi. Quelle scene lo tormentavano e lo rincorrevano ovunque, ventiquattro ore al giorno e non poteva più guardare sua moglie e la sua bambina di tre anni in faccia senza sentirsi morire di vergogna. Quella notte si sentiva incendiare da un fuoco interiore e attanagliare da coltelli di ghiaccio, niente e nessuno ormai poteva salvarlo da quello che aveva fatto. Cercava di pregare, ma si vergognava addirittura di chiedere perdono a Dio, perché anche se Dio lo avesse perdonato, era lui stesso che non poteva perdonarsi. Accese la luce dell’ Abat-jour, e guardò sua moglie dormire, con le mani giunte sotto la guancia sinistra, come una bambina. La piccola era di là, nella stanza accanto e anche lei dormiva beatamente da ore. L’ uomo cercò di soffocare i singhiozzi e di non fare sentire la sua disperazione, uscì dalla stanza e andò in bagno. Si inginocchiò davanti alla vecchia lavatrice e allungò una mano sotto. Tirò fuori un sacchetto marrone e con le mani tremanti se lo ficcò nella tasca del pigiama. Si fermò a riflettere, non sapeva cosa fare. Era agitato e nervoso, la fronte era bagnata di sudore, il suo respiro affannato, gli occhi gonfi. Si guardò allo specchio e la bocca cominciò a tremargli dal disgusto di se stesso e dalla paura di perdere tutto, la sua famiglia, il suo onore. Aprì l’ armadietto del bagno e guardò dentro alla ricerca disperata di un oggetto della speranza. Trovò le lamette da barba che usava di solito. Ne prese una, tolse la protezione e la avvicinò al polso. La lametta sgusciava dalle sue dita nervose e sudate, la vista era annebbiata e non aveva il controllo della situazione. Il cuore gli batteva forte, aveva una paura tremenda. Le lacrime gli scendevano veloci sui polsi e sul pavimento e si sentì pietoso per non avere nemmeno il coraggio e la dignità di uccidersi. Aspettò ancora qualche minuto, riprovò, ma non ebbe la forza. Ripensò a cosa fare e cercò di ritrovare la calma, ma più tentava di calmarsi più sentiva il panico assalirlo. Prese la giacca e uscì di casa. Corse come un pazzo per le vie deserte e buie della città in piena notte, solo qualche gatto randagio girava intorno ai cassonetti della spazzatura alla ricerca di qualcosa di interessante. Lui correva e basta, al ritmo del battito del suo cuore e del suo respiro affannato. Arrivò al palazzo dove abitavano Latif e la sua famiglia e nonostante fosse notte fonda suonò più volte il campanello. Latif, nel letto con i due bambini, si svegliò di scatto.- Papà, che succede? Ho paura!- Disse Lina avvinghiandosi al padre.- Non è niente, ora vado giù a vedere chi è che ha suonato, d’ accordo?

Ma voi dovete fare i bravi e aspettarmi qui fermi e in silenzio, ci siamo capiti?

- No, voglio venire anche io!- gridò Mahdi.

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- Non se ne parla neanche. Rimani qui vicino ad Lina che è spaventata. Torno tra qualche

minuto. Latif chiuse la porta e scese al piano terra, aprì il portone d’ ingresso e si ritrovò faccia a faccia con Hassan, un amico di Josef. L’ uomo ancora affannato per la corsa disperata chiese:- …Come sta?- Che vuoi? Ti ha mandato Josef? Non è ancora contento? Non gli basta

avermi distrutto la vita? Hassan si asciugò le lacrime e balbettò qualcosa di incomprensibile. Non riusciva a guardare Latif in faccia. Ad un tratto si lasciò cadere per terra affranto e cominciò a singhiozzare come un bambino. Latif lo prese con la forza a lo tirò su, poi guardandolo negli occhi gli ripetè: - Cosa diavolo vuoi? - Mi dispiace tanto…Sono…sono stato io…sono stato io ad aggredire Khalida…Josef mi aveva promesso ottomila euro se l’ avessi fatto… per la prima volta nella mia vita ho bevuto fino ad ubriacarmi prima di uscire di casa quella notte…volevo dare un futuro a mia figlia e una vita onesta alla mia donna…Oddio, sono diventato un mostro! Non riesco più a vivere, non riesco più a dormire, a mangiare a sorridere alla mia bambina…guardo quei soldi e li vedo sporchi di sangue…non riesco a toccarli, né ad usarli, li odio, odio Josef, odio me stesso, mi faccio schifo, voglio morire! Latif mollò la presa come se avesse toccato qualcosa di ripugnante. Hassan tremante e in un bagno di sudore continuò la sua confessione:- Stanotte come sempre dopo quella notte, mi sentivo tormentare dal dolore, ero stanco, stremato, disgustato da me stesso, sono andato in bagno e...ho deciso di farla finita, tanto non potrei più vivere una vita normale…beh…la cosa più pietosa è stata che…non…non ho avuto…non ho avuto il coraggio…dopo tutto quello che ho fatto non ho nemmeno la dignità di uccidermi! Lo capisci? Mi sento una nullità…capace di fare tanto male eppure così insignificante…- Le lacrime e i singhiozzi lo facevano balbettare e il suo sguardo chiedeva davvero compassione. Latif lo guardava in silenzio. Con le mani Hassan cercò nella tasca e tirò fuori il sacchetto marrone. Lo srotolò e tirò fuori dei soldi ed un coltello.- Questi sono i soldi che ho ricevuto da Josef…quel bastardo mi ha anche

mentito e non sono ottomila…ma tanto non importa, non li userò mai…tienili, fanne quello che vuoi, usali, bruciali, io non posso tenerli…e questo…questo è il coltello che ho usato quella notte…non riesco nemmeno a sfiorarlo…ti prego…prendilo…e uccidimi…hai tutto il diritto di farlo, e forse è l’ unico vero modo per fare giustizia…ti prego…abbi pietà di me…- Hassan allungò la mano con il coltello verso quella di Latif. Ora anche lui tremava, anche lui si sentiva commosso, rassegnato, triste, arrabbiato per tutta questa disonesta storia…una parte di lui avrebbe voluto fracassare di pugni la testa di quel bastardo che aveva fatto del male a Khalida, ma un’ altra parte provava un’ immensa pietà e anche paura di sporcare di nuovo la vita della sua famiglia.- Papà, avevi detto che saresti tornato entro pochi minuti!Latif si girò di scatto e vide Mahdi sulla porta.- Che ci fai qui? Ti avevo detto di stare in casa! Corri subito su! Muoviti!

Il bambino spaventato corse su per le scale e Latif chiuse per sicurezza il portone dietro di sé.

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Si rigirò di nuovo verso Hassan, ancora implorante con il coltello in mano teso verso l’ uomo.

Pensò al da farsi sempre in silenzio, guardando con i suoi occhi scuri e penetranti quelli dell’ altro. - Non posso…-disse infine con voce tremante.- Che significa? – Domandò estenuato Hassan.- Non posso farlo…ti giuro che t’ ammazzerei con le mie mani se non

amassi così tanto Khalida e i miei due figli. Li amo più di me stesso e devo pensare a loro. Se ti colpisco con questo coltello ricomincerà un incubo per tutta la mia famiglia e darò ai miei bambini un futuro da criminali o emarginati. Ne abbiamo già passate tante, troppe…in questo momento mia moglie è all’ ospedale e probabilmente sta sognando come sempre il nostro bambino che tu, misero animale, ci hai portato via. No…non mi sporco le mani con uno come te. E’ troppo comodo chiedermi di ucciderti…tu devi vivere tutta la tua vita con il tormento per quello che hai fatto. Io voglio soltanto cercare di andare avanti, e l’ unico modo per farlo è costruire qualcosa di bello con i miei cari, pensando al futuro e non vendicarmi di un passato ingrato e meschino.- Aspetta…aspetta…- lo supplicò l’ uomo in preda al panico- non puoi

lasciarmi così! Io sto davvero male, non lo vedi? Cosa posso fare per rimediare? Non ho via di scampo! Aiutami, ti prego!

- Se sei davvero pentito e vuoi rendere un po’ meno pietosa la tua vita c’è un unico modo, una

sola via d’ uscita.- Quale? – Gli occhi di Hassan erano speranzosi.- Vai alla polizia, confessa tutto, denuncia quel pezzente di Josef e paga

per quello che hai fatto. - Oh no… così mia moglie e mia figlia lo verranno a sapere…mi

lasceranno…- Se sei fortunato Josef ti ammazzerà prima…Vuoi che sia fatta giustizia o

no? Ti senti un verme per quello che hai fatto o non ancora abbastanza? Devi prenderti le responsabilità per le tue azioni…è l’ unico modo, credimi…vai alla polizia, adesso. Hassan abbassò lo sguardo, ormai cosciente che non c’ era altra soluzione. Annuì col capo e senza dire una sola parola lentamente si girò e si allontanò. Latif rimase sulla porta a guardare l’ uomo camminare verso la direzione opposta, con rabbia e rassegnazione. Ad un tratto Hassan si fermò e si girò di nuovo verso Latif: era buio, non poteva riconoscere il suo volto, vedeva soltanto una sagoma alta e scura davanti al portone del palazzo, ma sapeva che lo stava guardando:- Grazie.- Disse mestamente. E ripartì.Latif non gli rispose. Rimase ancora lì in piedi per qualche minuto, poi aprì il portone e tornò in

casa da Lina e Mahdi.

Vera si mordicchiava nervosamente le unghie mentre ripensava a tutto quello che era successo con Federico e Giulio. Le sembrava incredibile che Federico avesse deciso di tornare indietro e di chiedere un’ altra possibilità. Da un lato le faceva piacere ed era tentata di perdonare tutto e di

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ricominciare, ma dall’ altro era difficile accettare di nuovo la sua presenza dopo mesi di silenzio. Si era comportato come un bambino immaturo, poi, appena chiesto perdono, l’ aveva insultata trovando Giulio nel suo letto. Come aveva fatto in fretta a rimangiarsi le belle parole appena dette! Ma questo era tipico di Federico, ed era anche abbastanza comprensibile il suo ribrezzo davanti a quella imbarazzante scoperta…ma lui era scappato alla notizia di un bambino in arrivo e si era nascosto tra le braccia di una bella straniera, bisognava valutare anche questo. Vera considerava tutti i fatti, ma non riusciva a decidersi. Al di là di quello che era successo tra di loro, bisognava valutare i sentimenti che erano rimasti: ed era quello il problema più grosso. Si accorgeva ora che nonostante Federico le fosse mancato enormemente in tutto quel tempo, erano successe tantissime altre cose e si era formato uno spazio, una distanza tra loro che era impossibile colmare. A Federico mancava un pezzo importantissimo della vita di Vera e anche il primo della vita della loro bambina…come si poteva fingere e fare finta di niente? Inoltre anche con Giulio il rapporto si era trasformato e l’ultima notte passata con lui ne era la conferma. Anche di quei momenti non si poteva fare finta di nulla. Anche a Giulio lei non poteva rinunciare. Eppure il suo cuore ancora batteva forte alla vista di Federico e le veniva il magone a pensare di perderlo per sempre. A volte provava un desiderio fortissimo di correre da lui e saltargli addosso, senza spiegazioni, senza rimorsi per il passato o aspettative per il futuro, semplicemente un momento di affetto e tenerezza e basta. Fine a se stesso. Ma se ripensava alle liti, al suo modo di pensare, alla sua gelosia, alla sua impulsività, alla facilità con cui si infuriava a trenta anni, si chiedeva se era davvero questo che voleva dalla vita, e la sua risposta era no.

Al suono del campanello Federico andò ad infilarsi una felpa, si mise le pantofole e andò ad aprire.Si ritrovò davanti Vera e subito il suo sguardo si incupì. Rimase ad aspettare le sue parole. Vera era emozionata e non sapeva cosa dire. Era andata fino a casa del ragazzo semplicemente perché non sapeva trovare una risposta alle sue incertezze e forse rivederlo e riparlargli l’avrebbe aiutata un po’. - Ciao…sei ancora arrabbiato per l’ altra mattina? Federico rispose seccamente:- Un po’. Ma non stiamo più insieme, quindi sei libera di fare ciò che vuoi. Vera non sapeva come continuare. - Perché sei venuta?- chiese lui in modo freddo e distaccato. - Non lo so…- si avvicinò a lui- vorrei dirti tantissime cose e allo stesso tempo non dirti niente…non riesco a spiegarmi perché mi hai chiesto di perdonarti, cosa ti ha spinto a tornare indietro… Federico non rispose subito. Si sedette su un gradino delle scale e rimase a riflettere. Poi raccontò:- …ti ricordi di Luca, il mio amico?- Certo…- Beh…un paio di settimane fa ha organizzato una festa per l’ anniversario

di fidanzamento con Sara e davanti a tutti le ha anche chiesto di sposarla…erano così felici…

- Questo cosa ha a che fare con noi due?- Ho pensato molto a noi, alla mia vita e…insomma, ormai ho una certa

età, mi sento solo, con 95

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te stavo bene e credo che potremmo costruire ancora qualcosa di bello insieme…

Vera rimase a guardare il ragazzo perplessa:- Mi stai dicendo che visto che i tuoi amici si stanno

accasando anche tu ti senti stanco di fare l’ eterno ragazzino?- No, non è così! Ho pensato a noi, mi sei mancata tanto e ho bisogno di

te! Credo di potere ancora rimediare ai miei errori… Vera si sentì le braccia staccarsi lentamente e cadere per terra. Non riusciva a credere alle sue orecchie. Chi aveva davanti? Era quello il ragazzo che aveva amato per tre anni? Aveva sofferto e aspettato per interi mesi una persona che pensava soltanto a se stessa. Come aveva fatto a non accorgersene prima? Ripensò a Marta e allo sbaglio che aveva fatto con James. Pensò che l’ amore a volte gioca davvero brutti scherzi. Improvvisamente sentì come un’ illuminazione, vide obiettivamente come stavano le cose. - Cielo, Federico!- Si lasciò andare. -Cosa? -Sei…sei un egoista di merda! Federico rimase a bocca aperta con sguardo incredulo:- Come, scusa? Vera sorrise amaramente, poi dopo qualche istante dichiarò come se si fosse improvvisamente illuminata:- Non ti amo più. Non ti amo più…finalmente ti vedo per quello che sei veramente…e…no, non vai bene per me! Lui rimase ammutolito ad ascoltarla. - Sai…-continuò:- c’era qualcosa che non mi convinceva nelle tue parole…e ora ho capito cos’è…è anche molto semplice: non te ne frega assolutamente niente del bambino…non mi hai mai chiesto come sta, se cresce sano, se è un maschietto o una femminuccia…sei scappato appena saputo che ero incinta e sei tornato facendo finta che non lo fossi…ignorando la cosa completamente!…e ora mi dici che ormai hai una certa età e che ti senti solo… - No, ma cosa dici? Naturalmente se ti voglio ancora, è scontato che voglio anche il bambino… - No, accidenti! Non è scontato!- Urlò lei- Come fa un figlio ad essere scontato? Che delusione…- disse tra sé abbassando la voce- per un attimo ho avuto la speranza che tutto potesse tornare come prima… - Ma siamo ancora in tempo, Vera!- si alzò e la prese per le braccia- Basta volerlo! Io voglio avere una famiglia con te e il nostro bambino, lo capisci o no? Non voglio perdere una persona come te… Vera scosse la testa:- No, Federico…questo non è un film. Io non farò finta di niente solo per fare vedere di essere una famiglia normale. Un figlio può benissimo crescere anche senza un genitore se questo non merita di esserlo. Federico non rispose, restò in silenzio a guardare la ghiaia del cortile. Anche Vera non disse nulla per qualche minuto. Si sentiva svuotata e ingannata dalle sue stesse speranze. Voleva andarsene da lì al più presto, ma le sue membra non avevano la forza di fare alcun movimento. Poi , alla fine, ebbe il coraggio di dire le sue ultime parole a Federico:- Non volevo venire da te oggi, ma…qualcosa, una sensazione difficile da spiegare a parole, mi ha spinta a cercarti e a parlarti, ed ora credo proprio di avere fatto la scelta più giusta. E’ stato un bene venire qui, le tue parole mi hanno aperto gli occhi. Stavolta è finita davvero.

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Si girò e s’ incamminò verso il cancello, poi prima di scomparire dietro la siepe disse sarcastica- Ah, se ti può interessare…non è un bambino, è una femmina e si

chiamerà Amina.

Quando Vera si ritrovò dall’ altra parte del cancello della casa di Federico, si sentì pervadere da una sensazione mai provata prima, una sorta di liberazione, leggerezza, benessere che non ricordava da un sacco di tempo. Si sarebbe aspettata rabbia, tristezza, amarezza, ma non certamente quella serenità che la faceva sentire un fiore appena sbocciato in un mattino di primavera. Sì, le cose lentamente si stavano aggiustando e poteva finalmente sorridere di nuovo. Aveva riscoperto il rapporto con i suoi genitori, la bambina non era più un segreto da mantenere nascosto, Tiffany e James erano spariti dalla circolazione, e si accorgeva che perdere Federico era stato un bene. L’ unica cosa che la rendeva un po’ triste era la sofferenza di Khalida contro la quale, purtroppo, non poteva fare niente. Soltanto il tempo avrebbe potuto aiutare l’ amica a superare quel brutto momento. Camminando verso casa, respirando la tiepida brezza di quel mattino di aprile, Vera pensò a Giulio e a come lo aveva trattato dopo la visita improvvisa di Federico. C’ era rimasto visibilmente male, se ne era andato offeso e con la testa china, sbattendo la porta e da quel momento non si era più fatto sentire né vedere. Forse, era meglio lasciarlo stare per un po’, e poi magari parlare di loro due, di cosa era successo quella notte e del perché era successo. A ripensare ai suoi baci, a Vera vennero i brividi e si sentì pervadere da un’ emozione forte e intensa. Innamorarsi di Giulio…l’ amico d’infanzia…che pazzia! Eppure se doveva pensare ad un uomo sincero e leale accanto a lei ed Amina poteva immaginare soltanto lui. Sorrise tra sé pensando a quanto fosse ingenua ed inesperta per la sua età. Aveva passato tutta la sua adolescenza praticamente soltanto con Federico, era stato con lui che aveva fatto l’ amore per la prima volta e di esperienze precedenti si ricordava a malapena. Quando aveva quindici o sedici anni era uscita un paio di mesi con un suo compagno del liceo, ma poi lui l’ aveva lasciata per Lisa, Miss Liceo di quello stesso anno, che si presentava a scuola con minigonna e trucco da sabato sera. Aveva anche fatto dei concorsi di bellezza e non si faceva perdere nemmeno un’ occasione per raccontarlo a tutti e mostrare i suoi books fotografici. L’ estate prima di conoscere Federico era stata la più bella, di giorno al fiume con Silvia e Daniela, a volte a fare shopping e al fine settimana nelle discoteche all’ aperto fino alla chiusura, verso le quattro e mezza del mattino. Tanti ragazzi le giravano intorno e le chiedevano di ballare o di uscire di nuovo il pomeriggio successivo; una volta aveva anche baciato un tipo, un certo Fabio, ma poi non si erano più rivisti ed era rimasta una piccola follia estiva. Giulio di solito tornava a casa verso mezzanotte, dopo il solito gelato in centro. Da quei tempi erano passati quattro anni e di questi quattro anni l’ unica cosa che le veniva in mente era la storia con Federico. Non si pentiva di averli trascorsi con lui, però allo stesso tempo non riusciva a non pensare che aveva rinunciato ad alcuni degli anni migliori della sua vita, alla freschezza dei diciassette e diciotto anni per chiudersi in casa con un uomo di dieci anni più grande con complessi esistenziali che avevano coinvolto anche lei; ma ormai era inutile piangere sul latte versato, non si poteva fare niente per recuperare i momenti persi, però si poteva fare qualcosa per quelli futuri. Dentro di sé, Vera si promise che non avrebbe fatto mai più l’ errore commesso con Federico, e che

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da quel momento avrebbe finalmente voltato pagina, per iniziare una vita più serena con Amina e la sua famiglia.

Appena aperta la porta di casa, sentì stappare una bottiglia e un urlo di gioia di Marta. Insospettita, si avvicinò alla cucina dove trovò sua madre e suo padre intenti a brindare con calici di Champagne e pasticcini di vario tipo.- Mamma, cosa hai combinato questa volta?- chiese Vera con un tono

scherzoso, ma anche preoccupato. - Sorpresa!- urlò Marta porgendo anche alla figlia un bicchiere di vino. Vera si sentì rabbrividire. - Mi incuti timore… Marta scoppiò in una grassa risata guardando Vittorio:- No, Tesoro, non ti preoccupare, non scappo di casa né faccio altri colpi di testa, te lo prometto… - Allora cosa c’è di così importante da festeggiare?- Chiese incuriosita la figlia. - Vittorio, diglielo tu…-disse piano Marta arrossendo. Vittorio si schiarì la voce e disse:- Vera...io e tua madre…abbiamo deciso di riprovarci…torniamo insieme… Vera non riuscì a trattenere un grido di stupore e di emozione, corse commossa ad abbracciare i genitori, incredula di quello che aveva appena sentito. Era felicissima, le sembrava un sogno diventato realtà, una cosa pazzesca e surreale. - E’ incredibile…- sospirò guardando gli sguardi innamorati dei suoi genitori. - Sì, - rispose Vittorio- ancora non riesco a credere di essere riuscito a riconquistare tua madre- - Sembra incredibile anche a me, ma…che ci posso fare…è accanto a te che mi sento davvero felice!- esclamò Marta abbracciando l’uomo. Vera era estasiata davanti a quella notizia, ormai era pronta a tutto dopo quegli ultimi mesi in cui di sorprese ce ne erano state davvero a bizzeffe. Cosa mai poteva succedere ancora? Vittorio porse alle due donne un ennesimo bicchiere di Champagne e disse:- In realtà, c’è ancora un’ altra cosa da festeggiare. - Di cosa si tratta?- Domandò Vera. Lo sguardo del padre divenne più serio - L’uomo che ha aggredito Khalida si è costituito…si chiama Hassan ed è un membro della banda di Josef. Era stato lui a spingerlo ad accoltellarla in cambio di soldi. Ma dopo il fatto, non è più riuscito a darsi pace e ha denunciato tutto. Ora sono entrambi in carcere e forse questa volta Khalida e Latif sono davvero liberi. Vera si morse il labbro inferiore commossa:- Questa è una buona notizia, nonostante tutto…anche se non servirà a ridarle il bambino.

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- Latif, abbiamo preso tutto?- Chiese Khalida grattandosi il capo e controllando le valigie nel baule della macchina. - Mi sembra di sì- rispose lui dalla parte anteriore dove stava controllando l’olio. Mahdi e Lina scorrazzavano di qua e di là per il cortile emettendo piccole urla di gioia e ridendo felici. Lo sguardo di Khalida era ancora un po’ segnato dalla brutta esperienza, ma stava meglio e sorrideva più del solito. Quella partenza le dava una speranza in più per il futuro. Accanto alla macchina Marta, Vittorio e Vera aspettavano con il cuore in gola il momento dei saluti. Da qualche finestra, vicini curiosi guardavano lo spettacolo dall’ alto. La ragazza non vedeva l’ ora di lasciare quel palazzo infernale, anche se le dispiaceva dovere dire addio a Vera. - Siete proprio sicuri di partire?- Chiese Vera dispiaciuta. Khalida sospirò:- Sì, ogni angolo di questa città mi ricorda brutti momenti, non mi trovo a mio agio qui e probabilmente finché resterò qui non ci sarà pace per me. - Ma…dove andrete? - A Parigi…abbiamo già contattato una coppia di amici e sono pronti a darci una mano almeno per i primi tempi. Sarà dura, ma ho le energie per farlo, sento che possiamo ancora fare tantissime belle cose. Io e Latif vogliamo risparmiare un po’ di denaro per aprire insieme un negozio di prodotti arabi… Vera sorrise:- Vi auguro tanta fortuna…ti voglio bene… Khalida commossa, si avvicinò alla ragazza e disse:- Non ti dimenticherò mai, grazie di tutto! Ti faccio tantissimi auguri per la tua bambina. Vedrai che andrà tutto bene! Tienimi aggiornata, mi raccomando! Ti manderò una

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cartolina…e delle foto…e forse qualche volta ti telefonerò…mi verrai anche a trovare, non è vero? Vera annuì con il capo, trattenendo a stento le lacrime. Non sopportava gli addii. - Ti verrò a trovare con Amina… Si abbracciarono e fu un abbraccio lungo ed intenso. Poi Vera andò a stringere la mano a Latif e a baciare i bambini che nel frattempo erano saliti in macchina. Anche Vittorio e Marta salutarono la famiglia e si sentiva nell’ aria un senso di malinconica emozione, quella che ti fa sentire lo stomaco pieno di piccole farfalle in volo. - Grazie infinite, signor Damiani, lei e la sua famiglia siete stati gli unici italiani che ci hanno aiutato davvero… - Grazie a voi, che ci avete insegnato tante cose…a presto! Buon viaggio! I due coniugi salirono sull’ auto e Latif mise in moto. I tre rimasero nel cortile a salutare con la mano la macchina rossa piena di valigie, scatoloni e giocattoli, fino a quando lentamente divenne un puntino rosso lontano e scomparve dalla loro vista dietro la curva, laggiù a sinistra, dove all’incrocio i segnali indicavano l’ autostrada.

La musica della radio si diffondeva in tutta la stanza illuminata dal sole mattutino. Vera si era alzata all’ alba e aveva fatto colazione da sola nel silenzio della cucina. Non era riuscita a dormire profondamente, probabilmente ancora dispiaciuta per la partenza di Khalida. Poi era tornata nella sua stanza, si era sfilata la camicia da notte e aveva indossato una tuta da ginnastica nera e bianca. Si era guardata intorno e aveva deciso di fare piazza pulita: aveva cominciato a togliere tutte le foto insieme a Federico, poi era passata agli oggetti e a tutte le piccole cose che le ricordavano la loro storia e che aveva lasciato al loro posto in quegli ultimi mesi di attesa. Infine aveva aperto la porta del balcone e fatto entrare l’ aria fresca di primavera. Dal terrazzo vide la casa di Giulio, con le persiane chiuse. Pensò che era un po’ troppo tempo che non si faceva sentire ed ebbe paura che non le avrebbe perdonato le parole che aveva detto a Federico quella mattina. Decise che era venuto il momento di reagire e discutere faccia a faccia della loro ambigua situazione e dei suoi sentimenti che diventavano ogni giorno più forti, al di là di ogni sua aspettativa. Rientrò in casa e scese le scale per raggiungere il telefono in salotto. Alzò il ricevitore e compose il numero dell’ amico. Attese, ma si sentiva soltanto il monotono squillo della linea non risposta. Dopo qualche minuto posò il ricevitore e decise di provare più tardi. Tornò al piano di sopra a sistemare la sua stanza con la musica della radio che le faceva compagnia.

Verso l’ ora di pranzo Vittorio arrivò con due borse della spesa in mano. Aiutò Marta ad apparecchiare la tavola e a cucinare, e a Vera sembrava ringiovanito di vent’anni. Cucinarono pasta al forno e fette d’ arrosto con patate fritte e per finire Marta portò in tavola una meravigliosa torta al cioccolato, la preferita di Vera. - Cos’è tutto questo ben di Dio? C’è ancora qualcosa da festeggiare?-

Chiese la ragazza con la bocca ancora piena.Vittorio rise e rispose soddisfatto:- Veramente, sì…ho un piccolo regalo per te, anzi, per noi…

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Vera cercò lo sguardo di Marta, ma lei sorrise senza lasciarsi scappare niente.Il padre cercò nella tasca dei pantaloni e tirò fuori una busta bianca e rossa .- No, papà, grazie davvero, ma non ho bisogno di soldi…- Non sono soldi-sorrise lui- è…un piccolo viaggio a Formentera di una

settimana per quattro persone…io, tu, tua madre e…ho pensato che magari ti sarebbe piaciuta anche la compagnia di un’ amica…a te la scelta….

- Wow, è meraviglioso!- esclamò entusiasta la ragazza – Grazie davvero, è il più bel regalo che io

abbia mai ricevuto in tutta la mia vita! Penso che chiederò ad Andrea di venire, ha sempre sognato di andare alle Baleari…ma, per quando è prevista la partenza? - Per la settimana prossima, quella dopo Pasqua.- Perfetto…il negozio chiude in quei giorni e quindi non ci sarebbe

nemmeno il problema per Angela di trovare due sostitute. Sì, credo proprio che Andrea accetterà all’ istante. Vado subito a telefonarle. Le urla di gioia di Andrea si sentirono dal telefono in salotto fino in cucina e Marta e Vittorio si guardarono compiaciuti. Andrea si sentiva super emozionata e non vedeva l’ora di partire. Si misero d’ accordo per trovarsi in centro verso metà pomeriggio per cercare qualcosa all’ ultima moda da sfoggiare per l’occasione. Vera pensò un po’ imbarazzata a che effetto le avrebbe fatto mostrare a tutti il suo pancione in spiaggia, non aveva mai considerato questa eventualità. Quando la telefonata finì, Vera decise di passare da Giulio per informarlo della bella notizia, aveva voglia di vederlo e chiarire tutto una volta per tutte.

Uscì di casa di ottimo umore, stava proprio bene e si sentiva quasi felice. S’ incamminò lentamente verso la casa di Giulio, voleva gustarsi il paesaggio e la giornata di sole. Adorava l’ estate e si sentiva impazzire di gioia all’ idea di passare una settimana sulle spiagge di Formentera. Non vedeva l’ ora di raccontarlo all’ amico, sarebbe sicuramente morto d’ invidia. Suonò il campanello ed aspettò davanti al cancello. Non rispose nessuno. Guardò le finestre e si accorse che come quando si era affacciata al balcone quel mattino stesso, le persiane erano chiuse tranne quella della cucina, semiaperta, ma che lasciava intravedere oscurità all’ interno. Suonò una seconda volta per sicurezza, aspettò un paio di minuti poi rassegnata decise di tornare a casa. Proprio mentre si stava incamminando, sentì il cigolio di una porta e tornò indietro. Dalla portafinestra che dava sul cortile, uscì lentamente Anna, con un lungo vestito azzurro e un grembiule da cucina bianco. I suoi occhi erano ridotti a due fessure, come se si fosse appena svegliata e dovesse abituarsi ancora alla luce del giorno.- Ciao, Anna, stavi dormendo?

La donna non rispose, ma si avvicinò alla ragazza e Vera poté accorgersi che quello sguardo non era dovuto al sonno, ma a qualcosa di ben più serio.- Ma, hai pianto…Anna guardò fisso la ragazza senza riuscire a rispondere. Il suo sguardo trasmetteva tristezza ed

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odio e a Vera fece quasi paura. Ad un tratto la donna chiese con asprezza:- Non te l’ ha detto Giulio? Vera la guardò con aria interrogativa e pensò subito ad un ennesimo litigio con i genitori.- Cosa doveva dirmi?Anna distolse lo sguardo e strinse il grembiule con le mani:- Giulio è partito…ci ha abbandonati

come ha fatto Camilla…- Come sarebbe a dire? …Dove è andato?- chiese smarrita Vera.- Non ti ha raccontato proprio niente? Ha fatto domanda per una borsa di

studio in Inghilterra qualche mese fa…non eravamo d’ accordo, ma lui ha fatto di testa sua, come sempre. Ha vinto una borsa di un anno per l’Università di Cambridge ed è partito, ci ha lasciati soli…-la sua voce era tremante e piena di rancore.

Vera non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito, era felice per lui ma allo stesso

tempo scioccata da quella partenza senza preavviso.- Non riesco a capire…non me ne ha mai parlato, siamo come fratelli…Anna si confidò:- Hai ragione, infatti era sempre stato incerto sul da farsi, credo che la sua

preoccupazione più grande fosse proprio lasciare te qui da sola…ma, tra di noi, come immagino tu sappia, non c’ è mai stato un buon rapporto…ogni scusa era buona per azzuffarci…con Maurizio non ne parliamo…non ha mai accettato la vena artistica di Giulio…la notte in cui è rimasto a casa tua a dormire, Maurizio era fuori di sé dalla rabbia, e ha strappato tutto quello che Giulio ha scritto nel suo studio…- Cosa? Come ha potuto?- Vera non credeva alle sue orecchie.- …Dovevi vedere la faccia disgustata di nostro figlio…ho visto l’ odio nei

suoi occhi…credo che sia stato quello il momento in cui ha davvero deciso di andarsene…- Ha fatto bene!- commentò la ragazza impulsivamente guardando fisso

negli occhi Anna con un tono di rimprovero:- Giulio mi ha sempre raccontato tutto delle vostre discussioni e ne ha sempre sofferto molto.- Anche noi, credimi!- Alzò la voce Anna, risentita dalle parole di Vera.- Io vi voglio bene,-cercò di spiegarsi Vera- ci conosciamo da quando sono

nata, siete come i miei secondi genitori, ma…sinceramente credo che con Giulio voi siate sempre stati troppo severi. Non avete idea di quanto sia sensibile…di che poesie scrive…gli avete tappato le ali, impedito di seguire i suoi sogni, cercato di rinchiuderlo in una palla di vetro!- No, è proprio il contrario!- la interruppe la donna- Noi abbiamo cercato

di fargli vedere come gira il mondo, di fargli conoscere la vera realtà, e la realtà di oggi non è fatta di poesie e racconti d’amore, lo capisci?- Ed è proprio un peccato! Sai perché gira così il mondo? Perché c’ è

troppa gente che non crede più nei sogni, nella poesia, nei libri…e quando qualcuno ancora ci crede, viene soffocato in tutti i modi ed è costretto a scappare, anche contro la sua volontà…

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Anna scosse la testa e fece un sorriso amaro:- Vera, anche io ti voglio bene, ma sei ancora una bambina…non puoi capire…- Credo di capire forse meglio di voi…- reagì in tono deciso la ragazza- se

volete fare conoscere il mondo a vostro figlio, lasciategli fare questa esperienza, lasciatelo andare senza fargliene una colpa…siate contenti di quello che sta facendo e dategli fiducia…non credo che ci sia niente di più bello…

La donna scosse la testa un’ altra volta, non persuasa dalle parole di Vera. La ragazza capì che non

sarebbe stato per niente facile per loro accettare la partenza di Giulio, né per lui affrontare l’ idea di tornare un giorno…- Se continuerete a comportarvi così, lo perderete per sempre, Giulio…- Secondo te come dovremmo comportarci?- Chiese sarcastica la donna.- Fategli sentire che gli siete vicini con il cuore e che accettate le sue

scelte...sarà contento di rivedervi…Anna non disse niente, rimase a guardare Vera con uno sguardo di ghiaccio, ma la ragazza sapeva in

cuor suo che Anna non avrebbe fatto finta di niente, ma magari nell’ oscurità della sua stanza avrebbe riflettuto meglio su quelle parole.- Se è già il secondo figlio che cerca di scappare da voi, forse è il caso che

iniziate davvero a farvi un esame di coscienza…

La donna non rispose, si girò di scatto e tornò in casa senza dire una sola parola, né un cenno di

saluto.Vera si pentì delle sue parole così dure, ma allo stesso tempo non poteva stare con le mani in mano

davanti a quella notizia. Sapeva che studiare in Inghilterra era sempre stato il desiderio più grande di Giulio, e le dispiaceva che quella partenza fosse in realtà stata spinta da sentimenti di rabbia, rancore e delusione nei confronti dei suoi genitori. Avrebbero dovuto festeggiare insieme l’ evento, salutarsi e abbracciarsi a lungo e non spingerlo a fare tutto di nascosto come se fosse un peccato.

Si ricordò di alcuni suoi discorsi ambigui e misteriosi e capì che se in questo tempo le aveva

nascosto tutto era per non darle altre preoccupazioni, altri pensieri, aveva voluto starle il più vicino possibile, soprattutto dopo l’ abbandono di Federico, probabilmente avrebbe anche rinunciato a partire se non fosse stato per Maurizio…o forse per le parole dette a Federico dopo avere trascorso la notte insieme ed essersi baciati…o forse le due cose insieme…La testa di Vera era piena di pensieri e ad ogni passo che faceva per raggiungere la sua casa, si aggiungeva la consapevolezza che Giulio non abitava più accanto a lei, che Giulio era partito davvero, che non lo avrebbe rivisto per molto tempo, che avrebbe dovuto cominciare una nuova vita senza di lui. Non erano mai stati separati per più di un paio di settimane, ed era successo soltanto una volta alle scuole medie, quando lei era andata al campeggio estivo con la parrocchia, mentre Anna e Maurizio non avevano permesso a Giulio di andare con loro, nonostante le insistenze di Marta e Vittorio. Erano state due settimane divertenti per Vera, ma tornata a casa era corsa da Giulio e avevano fatto il patto di sangue, si erano punti con un ago i pollici e avevano unito le dita per mischiare insieme le gocce di sangue e poi si erano promessi di non

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stare mai più così lontani. Vera sorrise a quel ricordo e le venne un po’ di malinconia.

Si sentiva colpevole per non avere cercato Giulio negli ultimi tempi, non gli era stato vicino come

aveva fatto lui con lei, non l’ aveva aiutato a prendere una decisione così difficile, non aveva condiviso le sue incertezze e le sue speranze.

Entrata in casa, si accorse che Marta e Vittorio erano usciti e le avevano lasciato un bigliettino sul

tavolo con la scritta “ Torniamo subito, siamo da Giovanni”. Vera si sentì improvvisamente tremendamente sola e triste, si andò a sdraiare sul letto come faceva quando non voleva pensare a niente e si convinceva che dormire era la soluzione migliore ad ogni male. Ma non aveva per niente sonno. Giulio era partito. Giulio era lontano. Si ripeteva dentro di sé quelle parole e stentava a credere che fossero realtà. Avevano trascorso quasi ogni giorno della loro vita insieme, come amici, come fratelli, poi negli ultimi mesi si era accorta di provare qualcosa di strano nei suoi confronti, e di essere anche gelosa del suo rapporto con lui, si erano addirittura baciati ed era stato bellissimo. Poi silenzio. Era andata così. Lui era partito e la situazione era rimasta sospesa. Vera sentì la gola gonfia e dolente e qualcosa di umido solcare le sue guance. Per la prima volta dopo anni, non riuscì a trattenere le lacrime e pianse. Pianse forte, pianse di emozione, pianse di nostalgia, di stanchezza. Si sfogò per tutto quello che era successo in quei quattro mesi e mezzo, versò tutte le lacrime che aveva trattenuto fino ad allora, per la storia finita con Federico, per Khalida e il suo bambino, per l’ abbandono di Giulio. Pianse in particolar modo per l’ abbandono di Giulio. Si soffiò il naso più volte e si sentì la pelle delle guance bruciare. Non ricordava che le lacrime fossero così calde e salate. Pianse ancora a lungo, fino a quando la stanchezza prese il sopravvento e si addormentò. Verso le cinque del pomeriggio, Andrea suonò il citofono per andare insieme in centro a fare shopping come avevano deciso qualche ore prima e Vera dopo essersi lavata il viso e sistemata alla meglio, raggiunse l’ amica, cercando di soffocare dentro tutte le emozioni che provava, di nuovo, così, come aveva sempre fatto.

Tutto era quasi pronto per la partenza per Formentera e c’ era una grande eccitazione nell’ aria.

Alcune valigie erano già sistemate nel baule della macchina, altre due stavano ancora sulla porta di casa. Marta era la più attrezzata e la più esperta in queste situazioni e dava dritte a tutti. Portava una fascia bianca tra i capelli e un paio di occhiali da sole con montatura bianca stile anni sessanta. Vittorio era in tenuta sportiva e sembrava davvero tornato ragazzino. Angela sprizzava entusiasmo da tutti i pori e aveva già indossato la maglietta comprata in centro con Vera la settimana prima. Anche Vera si era un po’ ripresa dalla notizia della partenza di Giulio e ora voleva proprio godersi quella vacanza in meritato relax e riposo. Prima di andare a prendere la sua ultima borsa, allungò per caso lo sguardo nella buca delle lettere e trovò una busta chiara e sottile. Infilò le dita nella fessura e riuscì con fatica ad estrarre la lettera. Riconobbe la scrittura di Giulio. Sentì un tuffo al cuore.

-Un attimo, arrivo subito, vado a prendere l’ultima borsa…- disse in un fil di voce e corse in casa.

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Chiuse la porta dietro di sé e con un respiro affannato aprì la busta. C’ era un foglio a righe dove i caratteri dolci, arrotondati e pendenti verso destra tipici dell’ ortografia di Giulio, sembravano le note di una melodia. Vera lesse dentro di sé:

Cara Vera,sono partito all’improvviso senza nemmeno salutarti, ti prego di perdonarmi, ma sapevo in cuor mio che se l’avessi fatto, non avrei più avuto la forza di andarmene. Ora sono a Cambridge, mi sono sistemato e sto bene.Quel mattino, quando ho visto Federico tornare da te, ho capito che non poteva esserci posto per me nella tua vita, e che soltanto lui era il padre della bambina, io non avevo nessun ruolo. Mi sono sentito uno stupido per avere pensato che tu potessi amarmi. Per questo mi sono messo da parte. Quando sono tornato a casa, ho scoperto che mio padre aveva strappato tutti i miei manoscritti e mi sono sentito rifiutato per l’ennesima volta in casa mia. I miei genitori non mi hanno mai capito e credo che mai lo faranno. Ma qui, non ho più nessun problema, studio, leggo e scrivo tutto ciò che voglio, a volte sto alzato delle notti intere, ed è bellissimo. Ho anche trovato un lavoro nella biblioteca dell´ università.Il libro di cui ti avevo parlato è andato distrutto, ma ne sto scrivendo un altro, questa volta non di fantasia, ma di realtà, un racconto su di noi, sulle nostre vicende. Sono stanco di rifugiarmi nella finzione, nei miei mondi immaginari, voglio affrontare a viso scoperto la realtà. E’ giunto il momento di crescere per entrambi, e soprattutto per te che stai per diventare madre. E’ finito il tempo delle fate e degli incantesimi.Il racconto inizia, ti ricordi, quando quel pomeriggio d’inverno ti chiesi se fosse possibile essere davvero felice? Tu mi avevi risposto di sì, ma non per molto. E io avevo deciso di scrivere un finale tragico per il mio libro. Ho cambiato idea, Vera! Ho pensato che per il nostro racconto ci vuole un bel finale, un finale che faccia battere forte il cuore e commuovere di emozione! Naturalmente ho già pensato anche a quello, ma voglio che rimanga una sorpresa. Tu sarai ovviamente la prima a leggerlo.Non ti dimentico, Vera, e torno naturalmente anche per conoscere la tua bambina di persona.Ora ti saluto, e mi manchi, e ti aspetto, e spero che tu faccia lo stesso…e ti amo. Giulio.

Vera sentì di nuovo le lacrime fare capolino dalle palpebre inferiori, ma questa volta erano di commozione, di emozione. Le mancava molto Giulio, ma era anche felice che stesse realizzando il suo sogno. - Vera! Muoviti! Stiamo aspettando te!- Gridò Marta dalla macchina di Vittorio. Vera sorrise, strinse la lettera a sé e con voce commossa sussurrò:- Anche tu mi manchi, e ti aspetto…e ti amo. La ragazza si avvicinò all’ingresso, prese l’ ultima borsa rimasta e uscì chiudendo la porta a chiave. Il rumore dei suoi passi diventava sempre più tenue e leggero mentre si dirigeva verso il cancello. La lettera rimase sul tavolo della stanza, accanto al vaso di fiori decorato a mano ricordo di viaggio di Marta dalle Maldive. Le fessure delle persiane

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chiuse della finestra accanto lasciavano entrare sottili raggi di luce che illuminavano la piccola busta bianca, sulla quale risaltavano i caratteri della scrittura delicata, armoniosa e leggermente pendente verso destra di Giulio, che sembravano le note di una dolce e malinconica melodia.

Saarbrücken, 17:18, 10 Marzo 2004

Saarbrücken, 01:35, 21 Luglio 2004

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