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Progetto TechnéDonne - Donne nelle tecnologie e tecnologie delle donne Iniziativa Comunitaria EQUAL (2° fase) Tema H Misura 4.2 cod. PS IT-G2-EMI-0040 rif. PA Azione1 2004-0330/Rer – rif. PA Azione 2 2004-0356/Rer DONNE, TECNOLOGIE E VITA QUOTIDIANA Macrofase I, azione 5 – indagine di contesto A cura di Lenove srl –studi e ricerche (A. Bozzoli e M. Merelli) 1

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Progetto TechnéDonne - Donne nelle tecnologie e tecnologie delle donne

Iniziativa Comunitaria EQUAL (2° fase) Tema H Misura 4.2

cod. PS IT-G2-EMI-0040 rif. PA Azione1 2004-0330/Rer – rif. PA Azione 2 2004-

0356/Rer

DONNE, TECNOLOGIE E VITA QUOTIDIANA

Macrofase I, azione 5 – indagine di contesto

A cura di Lenove srl –studi e ricerche(A. Bozzoli e M. Merelli)

Aprile 2007

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INDICE

I Introduzione

1. Il contesto: femminilizzazione del lavoro e Gender Digital Divide2. Da Equal Portico a Technè Donne: le nuove domande 3. I soggetti intervistati: generazioni, ambienti e condizioni di vita

II Come cambia il lavoro

1. ICT nelle vecchie e nuove professioni: benefici e…limiti2. Il funzionamento delle ICT ha bisogno di…3. Il telelavoro: opportunità e limiti del lavoro a distanza 4. ICT e discriminazioni

III Apprendere linguaggi e saperi

1. Capacità alla prova tra pregiudizi e realtà2. Imparare a sessanta anni 3. Una “ pensionata” speciale4. Per una cittadinanza informatica: tecnologie “amiche” o….?

IV Generi e generazioni a confronto

1. Disposizioni, capacità, competenze: differenza o gap di genere? 2. Gli uomini: consiglieri, assistenti, tecnici 3 Figlie e figli, madri e padri4. Non ci sono differenze, ma…stereotipi e generazioni

V Soggettività e paradigmi “femminili” e “maschili” nell’uso della Rete

1. Computer e Internet nel quotidiano personale2. Il gioco, l’utile e la relazione

Considerazioni conclusive

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La ricerca è stata condotta da un gruppo di lavoro di cui hanno fatto parte Alessandra Bozzoli e Maria Merelli della società Lenove con funzioni di direzione organizzativa e scientifica, Alessandra Allegrini, già ricercatrice nell’Equal Portico e Paola Pagliarini.

Le interviste della ricerca sul campo sono state effettuate da A. Bozzoli, M. Merelli, A. Allegrini e P. Pagliarini.

La redazione del rapporto finale è stata curata da M Merelli con la collaborazione di A. Bozzoli.

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I Introduzione

1. Il contesto: femminilizzazione del lavoro e Gender Digital Divide

La relazione tra donne e tecnologie IC(T) costituisce il centro tematico esplorato in questa indagine di contesto che fa parte della macrofase uno di Equal Technè Donne.Definire che cosa sia il contesto al quale ci si riferisce, quali ne siano i contenuti principali e quali gli orizzonti (anche in termini spaziali) non è semplice: è la cornice entro cui collochiamo i fatti materiali e i processi culturali e simbolici, sia nella loro valenza macro e sociale che micro e individuale, che interagicono con la questione dell’accesso e dell’uso delle tecnologie digitali della informazione e comunicazione (ICT). Dove i primi incidono sui secondi e ne sono a loro volta condizionati dando vita alla molteplicità di fattori – sia come risorse che vincoli - con i quali si misurano i soggetti nella quotidianità della loro esistenza. Nel contesto sociale, economico e culturale che caratterizza il nostro ambiente di vita, due processi interessano particolarmente la questione qui analizzata: la femminilizzazione del mercato del lavoro o, in un’accezione più ampia, del “mondo del lavoro”1 e la diffusione delle tecnologie informatiche. Processi che, resisi sempre più palesi e pervasivi nello scorso decennio, hanno modificato le organizzazioni produttive e le professioni, le relazioni di lavoro degli individui nel mercato (in particolare delle individue), i confini temporali e spaziali fra ambiti e modalità della produzione e della riproduzione, fra sfera del lavoro per il mercato e sfera del lavoro familiare e di cura.Temi questi analizzati in un primo approccio nel Progetto Equal “Portico” (2003-2004), dove le ricerche svolte2 hanno infatti esplorato il nesso tra “postfordismo”, con le sue dimensioni informazionali, comunicative e tecnologiche, e “femminilizzazione del lavoro”; quest’ultimo processo sia in accezione quantitativa come presenza delle donne nel mercato del lavoro, che in accezione qualitativa, come “divenire femminile” del lavoro, è emerso in modo centrale e con tutto il suo spessore di problematicità. Parlando di ”femminilizzazione del lavoro”, come notano diverse studiose e studiosi3, non si intende infatti solamente l’inserimento fortemente quantitativo delle donne nel mercato del lavoro (benché ciò sia avvenuto in modo diseguale e con forti squilibri anche nel nostro paese)4, quanto i fenomeni connessi di flessibilizzazione della prestazione lavorativa e di precarizzazione della relazione di lavoro che hanno investito soprattutto le nuove generazioni (inoltre donne e uomini migranti più degli altri). Con la stessa espressione si intende anche, su un piano di significati qualitativi, il fatto che le

1 A. Nannicini, Sguardi e movimenti di donne sul lavoro che cambia, in T. Bertilotti et al (a cura di), Altri femminismi, Corpi Culture Lavoro, Roma, manifestolibri, 2006.2 Le ricerche sono state raccolte nel volume: AA. VV., Le ricerche del progetto PORTICO, Iniziativa comunitaria Equal, Bologna, Edizione Pitagora, 2004.3 Si veda in proposito: C. Borderias, L. Cigarini, A. Nannicini, S. Bologna, C. Marazzi, Tre donne e due uomini parlano del lavoro che cambia, Quaderni di Via Dogana, Milano, Liberia delle Donne, 2006.4 Si vedano i dati contenuti in L. Battistoni (a cura di ), I numeri delle donne. Partecipazione femminile al mercato del lavoro: caratteri, dinamiche e scenari, Quaderni Spinn n. 4, Roma, 2003 e I numeri delle donne 2005, Quaderni Spinn n. 17, Roma, 2005.

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capacità, le modalità di comportamento improntate in particolare alla relazionalità, alla flessibilità cognitiva e alla pluralità organizzativa (multitasking) propri della componente femminile siano divenute essenziali per il funzionamento stesso del lavoro in vecchi e nuovi settori; anche se tali aspetti – che in termini organizzativi vengono indicati come Gender Diversity5 – non sono affatto riconosciuti e valorizzati o lo sono in modo inadeguato. Perpetuando situazioni asimmetriche se non discriminatorie (più spesso si tratta di discriminazione nascoste) nei confronti delle donne che lavorano. Un complesso di condizioni che sfociano nella discriminazione, oggi finalmente riconosciuta da più parti, dei differenziali salariali.6

Donne che lavorano in vecchie e nuove professioni, in ambiti tradizionali o nati con la “rivoluzione informatica”, in settori produttivi o nel vasto campo dei servizi: situazioni lavorative le più differenti che sono state attraversate e modificate dalla introduzione delle tecnologie digitali, di cui le donne hanno dovuto apprendere funzionamenti e usi.E tuttavia conoscenza e usi non sono simmetricamente distribuiti e acquisiti. Il Gender Digital Divide continua a caratterizzare anche contesti economicamente e socialmente “avanzati”, certamente l’Italia fra questi7. Infatti il problema dell’accesso e dell’utilizzo e delle strategie per ridurre il divario motiva le azioni dell’Equal di cui si parla.Sembra dunque che anche un altro elemento venga a pesare sulla condizione di lavoro e vita delle donne aggiungendosi a quelli più tradizionali, o semplicemente più conosciuti quali quelli connessi con la generatività, la cura e l’uso del tempo lungo il corso di vita, di una disparità non risolta fra i generi; di una differenza non riconosciuta fra i due generi. Tralasciando gli studi che analizzano il Divario digitale nelle sue dimensioni globali e che pongono l’accento in particolare sul divario fra paesi ricchi e poveri, e parimenti gli studi sui processi promossi dalle Nazioni Unite quali il Summit Mondiale sulla Società dell’Informazione e le sue agende politiche (riferite in particolare alla “inclusività centrata sulle persone”)8 qui se ne richiamano solamente alcuni per contestualizzare nella “nostra” cultura e nelle dinamiche di cambiamento della “nostra” società, la ricerca empirica. Sembrano oramai acquisiti e stabili i parametri che, in linea generale, definiscono le escluse (e gli esclusi ) dalla Rete, da Internet. La lettura statistica fatta in proposito da Paola Corti su dati di indagini Istat e Censis porta alla conclusione (medesima nello studio successivo di Laura Sartori9) che le donne con difficoltà ad accedere all’uso del computer sono soprattutto le casalinghe che non hanno avuto esperienze di lavoro, dai sessanta anni in avanti, che vivono in aree non urbanizzate, con un grado di scolarità basso10. Ma si aggiunge anche che, considerando la dinamica dell’età, il Gender Divide “ tende ad assottigliarsi”, poichè le donne più giovani usano internet/la Rete quanto se 5 Si vedano gli studi condotti, in Italia, da C. Piccardo, La valorizzazione del potenziale femminile, in “Sviluppo &Organizzazione” n 176, novembre/dicembre 1999 e MC. Bombelli del Laboratorio Armonia presso la SDA-Bocconi, Milano. Si veda inoltre sul tema: S. Gherardi, Il genere e le organizzazioni. Il simbolismo del femminile e del maschile nella vita organizzativa, Milano, R. Cortina, 1998; L. Battistoni, M. Merelli, P. Nava, MG. Ruggerini, Doppi legami. Creatività e variabile di genere nelle organizzazione, Roma, Ediesse, 1993.6 Sulla questione hanno effettuato una prima indagine esplorativa A. Bozzoli, MG. Catemario, M. Merelli, MG. Ruggerini, Sistemi organizzativi e differenze retributive fra donne e uomini, in corso di stampa per un Quaderno Spinn 2007 contenente diversi contributi di analisi sui differenziali retributivi, a cura di Isfol.7 Human Development Index, (Hdi), elaborato dalle Nazioni Unite; l’Italia occupa il 21° posto per Hdi e il 19° per diffusione di internet, in Sartori, p56.8 Cfr. O. Drossou, H. Jensen, C. Padovani, Saperi del futuro. Analisi di donne sulla società della comunicazione, Bologna, EMI, 2006.9 Cfr. L. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali, Bologna, Il Mulino, 2006.10 Cfr. P. Corti, Internet in numeri. Una lettura sulle statistiche sul Digital Divide in Italia, in G. Merlo et al, Dentro o fuori. Il divario sociale in Internet, Milano, Guerini e Associati, 2005, pagg. 49-128.

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non più degli uomini. Benché il sistema scolastico presenti al riguardo ancora molte disomogeneità al suo interno, le aule consentono socializzazione e scambio di conoscenze, sia collegate alla didattica (in misura minore, dipende dagli/dalle insegnanti e dalle risorse informatiche della scuola) che alle relazioni fra compagne e compagne, soprattutto. Relazioni che popolano gli spazi e i tempi extrascolastici creando una cultura digitale e telematica diffusa. Anche se l’influenza della disponibilità economica e culturale delle famiglie d’origine non viene per questo annullata.L’esperienza del lavoro per il mercato risulta importante per favorire l’allargamento dell’accesso e usi qualificati; anche l’ altrettanto recente studio sugli/sulle occupati/e ne rileva la dinamica incrementale nel quinquennio 2001-2005 a favore della componente femminile, sottolineando anzi come “le donne rivelano competenze tecnologiche superiori a quelle degli uomini…e le donne che intraprendono un’attività lavorativa tendono a dare maggiore rilievo alla propria formazione tecnologica”, più spiccata in relazione alla giovane età11. Sulla questione si è espressa positivamente anche Paola Manacorda da sempre attenta alle questioni di genere e a una lettura critica del rapporto società-genere-rete/i telematiche12, che ha ultimamente affermato che “il divario di genere non preoccupa perchè i dati ormai evidenziano una pari propensione all'uso digitale da parte di maschi e femmine, con l'esclusione della categoria delle casalinghe. Il che dimostra che quando le donne hanno l'opportunità di transitare per esperienze di studio o di lavoro, hanno gli stessi interessi e le stesse capacità digitali dei loro colleghi maschi. Fonte di maggiore preoccupazione sono, invece, il divario generazionale, destinato comunque ad essere superato nel tempo e, soprattutto, quello sociale.”13 Un parere sufficientemente (forse troppo?) ottimista il suo, che tuttavia fa intravedere che la questione del Divario digitale interagisce con le disuguaglianze sociali; ma queste pesano fortemente su una consistente fascia di popolazione femminile, e occorre intervenire in modi specifici per contrastarle. Oggi infatti, più che la teoria della “normalizzazione” è la teoria della ”stratificazione”14

ad offrire il frame concettuale ad analisi utili a leggere correttamente la realtà e a mettere in campo strategie e strumenti per ridurre il divario in chi ne soffre. Secondo la prima, le disuguaglianze nell’accesso all’uso della rete sono temporanee e in un tempo più o meno lungo si attenueranno e si annulleranno. Secondo la seconda teoria, invece, i divari digitali si inseriscono su preesistenti disuguaglianze accentuandole con il risultato che “chi si trova in posizione di relativo vantaggio conserva ed eventualmente incrementa tali privilegi”, rafforzando i differenziali di conoscenza15. Le donne, i loro percorsi di accesso e le loro preferenze circa gli usi delle Nuove Tecnologie e della Rete, sono fra i soggetti più direttamente interessati a confrontarsi con tali ipotesi.È così delineato nelle sue linee macro e specifiche il contesto dei problemi in cui si colloca la ricerca sui comportamenti d’uso e sulle percezioni nei confronti delle tecnologie informatiche da parte delle donne. Allo stesso tempo, e con un interesse più ampio, anche la ricerca in oggetto rappresenta un’ulteriore occasione per il re-interrogarsi delle donne sul loro rapporto con la scienza 11 Cfr. Federcomin/BIT, Occupazione e professioni nell’ICT, Rapporto 2006.12 P. Manacorda, esperta di reti telematiche, ha ricoperto diversi incarichi pubblici per la diffusione delle tecnologie informatiche; è stata autrice, fra l’altro, di uno dei primi studi sull’uso delle tecnologie informatiche da parte delle donne in: Terminale Donna. Il movimento delle donne di fronte al lavoro informatico, Roma ed Lavoro, 1985. 13 P. Manacorda, intervistata quale Presidente del Comitato tecnico per la banda larga, nel sito Web ALTRA P. A. NET, n. 92, 22 marzo 2007.14 cfr. L. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali, Bologna, Il Mulino, 2006. Il volume fornisce una ricca documentazione di dati internazionali e nazionali (questi ultimi su basi Istat) e un’ ampia bibliografia di studi internazionali.15 L. Sartori, Il divario, cit., pag. 32.

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e la tecnica in particolare. L’obiettivo di rompere i confini dell’ambito domestico/familiare per allargare lo sguardo alle condizioni di lavoro e alle pratiche politiche nell’orizzonte della molteplicità degli ambiti di vita, sia che si sia assunto a riferimento il pensiero della differenza di genere sia che ci si sia collocate all’interno di altri percorsi di liberazione ed emancipazione, ha imposto da tempo un confronto individuale e collettivo con la dimensione tecnico/scientifica. Le nuove tecnologie digitali della “rivoluzione informatica” ci fanno riprendere vecchi temi ripensando in modo nuovo i nodi problematici che nella seconda modernità16 il Gender Digital Divide fa emergere nella ri-definizione dei modelli culturali di genere.

2. Da Equal Portico a Equal Technè Donne: nuove domande

I diversi punti di vista adottati e le differenti metodologie di ricerca sviluppate nelle singole indagini dell’Equal Portico hanno cercato di rispondere a una comune domanda di partenza: a trent'anni dal femminismo storico, e a fronte della crescente presenza delle donne in un mercato del lavoro in mutamento, che configurazione assume oggi la cosiddetta divisione del lavoro tra uomini e donne, la distinzione, cioè, tra lavoro produttivo-“maschile” e lavoro riproduttivo- “femminile”? Il passaggio al postfordismo, di cui sia la pervasività delle tecnologie IC che il processo di femminilizzazione del lavoro sono elementi significativi, implica anche un superamento di questa distinzione? La risposta a questa domanda è stata cercata ponendo altre domande, come per esempio: che collocazione hanno le donne nel contesto socio-economico postfordista? E' proprio vero che i nuovi scenari descritti dal mercato del lavoro postfordista sono a favore delle donne? E quali rappresentazioni abbiamo di questi cambiamenti? Temi e aspetti connessi a queste domande di fondo sono stati al centro delle diverse ricerche17. Più precisamente, la finalità principale dell’ indagine “Donne, lavoro e tecnologie IC. Prospettive femministe/di genere sul lavoro nella società in rete del capitalismo postfordista” è stata quella di delineare una riflessione di contesto storico-concettuale sul cambiamento del lavoro delle donne in rapporto alla rapida diffusione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, alla luce della loro pervasività a molteplici livelli sia della realtà economica, sociale e lavorativa, che dell'immaginario simbolico e culturale in cui viviamo.

16 A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Bologna, Il Mulino, 1995.17 In particolare, Cristina Demaria, Barbara Fenati e Nora Rizza, del Dipartimento di Discipline della Comunicazione dell'Università di Bologna, hanno approfondito le attuali rappresentazioni di genere nei media televisivi e radiofonici. Cristina Demaria ha preso in considerazione la televisione generalista, mentre le radio sono state al centro del lavoro di Barbara Fenati e Nora Rizza. Alessandra Giovagnoli e Valeria Ardito del Dipartimento di Scienze Statistiche dell'Università di Bologna hanno analizzato la presenza delle donne nelle aziende del settore ICT, focalizzandosi su uno studio di caso specifico, le aziende del settore ICT della provincia di Bologna. Alessandra Allegrini (Associazione “Orlando”) in particolare, che della ricerca è autrice, ha affrontato alcuni temi e nodi critici che connotano il processo del cambiamento del lavoro in epoca “postfordista” e “informazionale” da un punto di vista femminista/di genere, attraverso una serie di interviste in profondità a donne, da un lato, che teorizzano sul lavoro da un punto di vista di genere/femminista e, dall'altro, che lavorano nel contesto delle nuove professioni nate dal salto tecnologico, soffermandosi sul rapporto tra i soggetti, le loro esperienze e le loro rappresentazioni, e i più generali contesti storici e sociali.

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Questa riflessione di contesto è stata sviluppata da tre punti di vista che hanno articolato tre parti del lavoro di ricerca. Il primo punto di vista è stato uno sguardo teorico-concettuale ai termini di un dibattito di vasta portata internazionale che descrive e caratterizza il cambiamento in senso postfordista del lavoro in rapporto alle tecnologie IC, soffermandosi su alcune parole chiave ricorrenti: società dell'informazione e della comunicazione, società postfordista, flessibilizzazione del mercato del lavoro, precarizzazione e atipicità delle forme del lavoro, femminilizzazione del mercato del lavoro. Un dato emerso da questa ricognizione generale è stato la scarsità di letture femministe/di genere di questo tema. Nella maggioranza dei casi, infatti, le ricerche disponibili fino a quel momento erano, e in gran parte sono tuttora, a due anni di distanza, “gender blind”. Inoltre la ricognizione ha mostrato una certa scarsità di considerazioni specifiche, da un'ottica di genere/femminista, rispetto al cambiamento del lavoro nelle sue connotazioni tecnologiche.La seconda parte della ricerca ha articolato una riflessione dando spazio a diverse voci di donne intellettuali che in Italia hanno scritto, teorizzato, o solo riflettuto, sul cambiamento del lavoro nella società postfordista dell'informazione e della comunicazione da un punto di vista di genere e/o femminista. Di particolare rilievo sono state alcune questioni discusse nelle interviste: la flessibilità e il modo ambiguo in cui questa si pone per le donne oggi, tra precarietà e libertà; il confronto generazionale rispetto alla “doppia presenza” che le donne hanno storicamente dovuto praticare; il rapporto tra femminismo storico, il lavoro e le condizioni materiali delle donne che in alcuni casi è stato caratterizzato in termini di omissione, perdita di autonomia e vuoto di pratiche/riflessioni; le connotazioni problematiche del postfordismo italiano nel contesto europeo, da una parte, e nel contesto di welfare italiano, dall'altra, e le sue implicazioni sul lavoro delle donne oggi; il rapporto tra società dell'informazione/ comunicazione e società dei servizi e, in esso, la collocazione, le opportunità, le professionalità delle donne. Nella terza parte della ricerca si è guardato direttamente alle esperienze vissute da alcune donne al lavoro in professioni qualificate nei diversi ambiti connessi alle tecnologie IC. Alcuni nodi tematici sono risultati ricorrenti e comuni in tutti i percorsi di vita professionale quali la centralità delle tecnologie IC nella professione svolta, la passione per il proprio lavoro secondo il desiderio di valorizzare elementi di soggettività e affettività nel lavoro; la percezione di libertà e precarietà connessa al proprio lavoro, il rapporto tra tempi di vita e tempi di lavoro, anche in relazione alle diverse condizioni contrattuali.

Partendo dunque dai risultati e dalle aree critiche segnalate, l’indagine di contesto della macrofase 1 dell’Equal Technè Donne si è focalizzata sui complessi rapporti fra tecnologie digitali e vita delle donne considerata nei suoi diversi risvolti – a cominciare dalla sfera del lavoro professionale per ampliarsi alla sfera domestica e personale - per interrogarsi sulla pluralità dei cambiamenti nella percezione, nell’utilizzo, nella rappresentazione delle donne che, lavoratrici o pensionate, ne fanno uso18. Proprio il progressivo diffondersi dell’accesso e uso delle ICT - che oramai, e in particolare nella regione Emilia-Romagna esula dalle “addette ai lavori” e dalle “appassionate pioniere” come poteva essere fino ad alcuni anni fa per coinvolgere donne che hanno motivazioni e condizioni di vita e di età assai differenti - pone nuovi

18 Una analisi di diversi profili e condizioni femminili di fronte all’uso delle ICT è stata condotta da S. Dinelli, ICT e alterità femminile: una risorsa e una spinta per rinnovare l’innovazione?, in CNEL-FTI (a cura di), L’ICT trasforma la società. X Rapporto sulla tecnologia dell’informazione e Primo Rapporto sulla società dell’informazione in Italia, Milano, F. Angeli, 2005.

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interrogativi, spinge ad esplorare nuovi territori. Sul percorso d’accesso e di apprendimento della funzionalità delle tecnologie. Sugli usi e sulla usabilità e per quali scopi prevalentemente. Sulle implicazioni che l’utilizzo ha con l’organizzazione del lavoro professionale: di quelli nuovi direttamente legati allo sviluppo delle tecnologie e di quelli tradizionali che, investiti dal cambiamento organizzativo, si sono modificati. Su quali vantaggi e opportunità o quali limiti e difficoltà – anche per le aspettative e gli investimenti di autorealizzazione che le donne fanno sul lavoro - li caratterizzano; e su quanto il telelavoro possa essere una risposta alle difficoltà di conciliazione. Sulle capacità e le competenze “specifiche” che le utilizzatrici delle tecnologie informatiche esprimono e su quanto esse siano riconosciute e valorizzate nella organizzazione del lavoro; sulla percezione ( o meno) di una differenza nel confronto con quelle agite dai maschi. Passando dal lavoro alla “cittadinanza digitale”, le nuove domande esplorano le opportunità che offre la Rete per espletare compiti pubblici-privati come cittadine nel rapporto con le istituzioni civiche; o in altre sfere dell’informazione e dell’intrattenimento personale. Sulla creatività possibile, e quindi sull’immaginario che le tecnologie informatiche possono aprire, fornendo nuovi linguaggi di comunicazione e dialogo negli spazi aperti della Rete. La sollecitazione riferita a se - e come - la consapevolezza dell’appartenenza al genere femminile attraversi l’esperienza delle tecnologie e quali riflessioni (oltre a quali comportamenti) essa produca è stata quindi posta al centro della indagine per arrivare a cogliere se e quali siano le criticità e le contraddizioni che lo sguardo femminile – o meglio - la pluralità degli sguardi femminili fa emergere.Vita quotidiana e ICT potrebbe dunque chiamarsi questa ricerca, dato che il suo obiettivo è quello di esaminare come, attraverso le pratiche d’uso di ogni giorno, professionali e non, le donne elaborano l’esperienza, l’immagine di sé nel rapporto con le tecnologie e le costellazioni di significati che attribuiscono al mondo delle tecnologie nel cambiamento delle loro condizioni di vita. Le risposte anche parziali possono aiutare a definire i limiti che ancora pesano sull’approccio delle donne alle tecnologie digitali e comprendere meglio le vie per poterli superare; e accompagnare con rappresentazioni culturali, analisi e suggerimenti gli strumenti e i prodotti ai quali il Progetto Technè-Donne ha creato, dando seguito al Progetto Portico- Donne, lavoro e Nuove tecnologie che ha dato vita al Centro di Risorse Multimediali19.

3. I soggetti intervistati: generazioni, condizioni di lavoro e di vita

La necessità di rivolgerci a donne che, toccate dalle tecnologie digitali e dai loro linguaggi come lavoratrici e non, giovani e meno giovani, riflettessero, anche se non esaustivamente, diversi profili di un’utenza oramai profondamente eterogenea, ha orientato la scelta e la formazione del collettivo da intervistare: chi è direttamente coinvolta dalle tecnologie digitali operando in aziende multimediali e in comparti della comunicazione di enti e associazioni; chi, nel suo lavoro collocato in settori non ITC, ha comunque dovuto e deve misurarsi con il cambiamento nella organizzazione del

19 Il Centro Risorse Multimediali è uno spazio nel quale hanno sede il laboratorio tecnologico ed il portale multimediale di genere www.porticodonne.it; lo sportello informativo sul lavoro; la formazione di donne nelle ICT.

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lavoro indotta dagli strumenti informatici; chi, utilizzando l’opportunità del lavoro a distanza, ha esperienza del telelavoro potendone misurare vantaggi e limiti rispetto ai problemi di conciliazione posti dalla “doppia presenza”; chi, solo in una terza fase della vita, si è accostata per la prima volta al computer rompendo “una barriera” psicologica e culturale.Tutti soggetti che hanno a che fare, sia pure con diversa intensità e abilità, con le tecnologie digitali: “Donne dentro”, non “Donne fuori”20, quelle che ancor oggi ne sono lontane facendo parte della fascia del Gender Digital Divide. Ma la costellazione degli atteggiamenti e la varietà delle esperienze riferite non solo al presente ma al percorso temporale di diversi anni, sono in grado di illuminare le difficoltà e le resistenze “di genere” anche di chi continua, oggi, a rimanere estranea alle tecnologie IC. E in un contesto economicamente avanzato – soprattutto se si prende come indicatore il tasso di occupazione femminile - come quello dell’Emilia-Romagna21.

Oltre alla differente collocazione lavorativa, l’ età (come appare dagli studi in proposito) è stata considerata una variabile importante per orientare motivazioni, valutazioni e vissuti nella alfabetizzazione prima e negli usi quotidiani poi, degli strumenti informatici. Infatti la coppia concettuale genere/generazione fa i conti con la velocità di penetrazione e di cambiamento, in continua accelerazione del resto, della società ICT: uno di quei caratteri che evidenzia la peculiarità, anche in termini paradigmatici, della rivoluzione tecnologica. È forse banale ricordarlo. Ma raccogliere l’esperienza di una donna di oltre sessanta anni ci riconduce ad un tempo della sua infanzia e giovinezza in cui non c’era ancora la televisione e il telefono rappresentava quasi sempre uno strumento di comunicazione a distanza spesso ad uso collettivo, collocato come era - per i più - nei bar o in postazioni telefoniche pubbliche. Le limitatezze del dopoguerra e dei primi anni cinquanta probabilmente vissute da quella ipotetica ragazza di allora hanno sicuramente segnato la formazione dei suoi modelli culturali che solo dopo, nella seconda giovinezza e durante il “boom economico”, ha accostato le nuove conquiste della tecnica. La generazione delle cinquantenni è invece nata con la televisione praticamente già in casa, così come il telefono e l’automobile, nuovi mezzi di comunicazione e mobilità che stavano diventando di massa insieme agli elettrodomestici che facevano degli strumenti tecnologici “oggetti quotidiani” sempre più sofisticati. L’avvento del PC, di internet e dei cellulari, ha rappresentato anche per questa generazione così come per quelle immediatamente successive (35/45enni) una novità con la quale familiarizzarsi o da cui prendere le distanze fra gli anni ottanta e novanta. E ci si è abituate a dinamiche di cambiamento sempre più veloci degli artefatti tecnologici insieme alle prime applicazioni nelle realtà produttive e di servizio.Per le donne più giovani di un’età compresa tra i 18 e i 30 anni, comincia ad avvertirsi un primo salto di qualità nel rapporto con le nuove tecnologie ma, soprattutto, l’humus culturale nel quale crescono queste ultime generazioni è segnato da una società che già si definisce delle ICT, immateriale e globale. E sono le stesse trentenni a riconoscere

20 Si fa riferimento al titolo del volume di G. Merlo, C. La Capria, P. Corti, Dentro o fuori. Il divario sociale in Internet, Milano, Guerini studio, 2005. Il libro riporta i risultati dell’indagine relativa al Digital Divide in Lombardia; nella seconda parte a cura di P. Corti viene fatta un’analisi delle statistiche sul Digital Divide in Italia e si definiscono le mappe degli esclusi, anche per genere; la terza parte di C. La Capria analizza l’uso di internet nel quotidiano da parte delle donne.21 La regione Emilia-Romagna ha già raggiunto, nel campo della occupazione femminile, gli obiettivi che l’Unione Europea, con il Trattato di Lisbona, ha posto per 2010, cioè un tasso di occupazione femminile del 60% (cfr. Osservatorio del mercato del lavoro in www.regione.emilia-romagna.it )

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l’esistenza di uno scarto con le generazioni ancora più giovani: quelle che incontrano le nuove tecnologie fin dalle scuole elementari (se non prima) e che, non ancora adolescenti, incorporano nel loro quotidiano, secondo l’omologazione ai modelli di comportamento dell’età e del gruppo amicale, IPod, cellulare e videogame. Le giovanissime che frequentano l’ultimo anno della scuola superiore sono testimoni dell’ipotesi – o piuttosto della generale convinzione - che il Digital Divide non sia più (o non lo sarà tra breve) un problema determinato dal genere quanto, piuttosto, dalle differenze generazionali e sociali. La dimensione temporale del corso di vita22 ha determinato diverse costruzioni identitarie – molte facce, molte teste, secondo la fortunata espressione di diversi anni fa, ma ancora oggi esplicativa23 – anche in rapporto ai modelli sociali femminili del femminismo e del postfemminismo che si intersecano con le immagini della scienza e della tecnologia nella dimensione globale dell’oggi. Modelli sociali e identitari costituiscono il sostrato di mentalità che orienta all’approccio alle ICT e ai suoi significati e ne guida gli usi nello spazio sociale, pubblico, del lavoro e nello spazio privato e personale: una dicotomia temporale e spaziale che proprio l’esperienza femminile mette in crisi (i tempi privati per la cura hanno spesso finalità pubbliche) e che le tecnologie informatiche erodono ulteriormente. La ricerca si è posta quindi in un’ottica esplorativa delle trasformazioni che le soggettività femminili stanno elaborando nel rapporto quotidiano con le tecnologie digitalizzate.

In relazione all’approccio diacronico brevemente descritto, le donne coinvolte nella ricerca appartengono a quattro fasce di età: - donne giovani e giovanissime fino ai 30 anni (n. 9 e n. 12 nei focus)- donne nella prima età adulta: dai 35 ai 45 anni (n. 16 e n. 2 nei focus)- donne nella seconda età adulta: dai 49 ai 56 anni (n.9 )- donne nella terza età: 60 anni e oltre (n. 5)Alle interviste individuali si aggiungono due focus group che hanno coinvolto quindici soggetti giovani e giovanissimi, femmine e maschi24: collocati in diverse posizioni lavorative quelli del primo focus, per cogliere le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e la diversità di significati e di esperienze attribuiti alle tecnologie. Ragazze e ragazzi frequentanti l’ultima classe delle scuole superiori il secondo gruppo, per cogliere direttamente dai protagonisti conferme o meno delle rappresentazioni e dei giudizi che le intervistate adulte e mature avevano dato delle generazioni più giovani. Il confronto diretto con esperienze ed ottiche maschili è stato affidato a due interviste individuali (lavoratori impegnati nelle due aree lavorative delle attività professionali ICT e che le utilizzano) e ad alcuni soggetti partecipanti ai due focus.I materiali qualitativi si completano con le interviste a otto testimoni privilegiate (sette donne e un uomo): studiose che operano in ambienti scientifici 8ricercatrice Enea, docente di fisica della materia, promotrice di Donne e Scienza), professioniste (curatrice di Radio Tre Scienza, responsabile del Consorzio digitale), dirigente sindacale settore comunicazione, un’assessore comunale, un’attrice-regista di teatro contemporaneo che utilizza i media digitali, uno studioso di teoria della comunicazione e dell’immaginario

22 Si fa riferimento all’ampio campo di studi sociologici che in Italia sono stati condotti in particolare da C. Saraceno e da molte altre sociologhe che hanno analizzato le diverse traiettorie di vita per gruppi di donne diversi per età; di C. Saraceno si ricorda il testo da lei curato, Età e corso della vita, Bologna, Il Mulino, 1986.23 “Più facce, molte teste” è il titolo d “Inchiesta” n. 56, 1982, a cura di L. Balbo e L. Zanuso dedicata alla condizione delle donne adulte. 24 Il primo focus si è tenuto il 6 giugno 2006 nella sede di Technè-Donna a Bologna; il secondo il 7 febbraio 2007 presso il liceo scientifico Wiligelmo di Modena.

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scientifico. Essi pertanto hanno arricchito con riflessioni “esperte” le questioni oggetto di questo studio25.

Relativamente agli strumenti metodologici, è stata ritenuta appropriata la scelta di procedere con metodologia qualitativa sottoponendo una griglia di domande aperte a donne (abitanti a Modena e Reggio Emilia) che si volevano sollecitare al racconto della loro esperienza26. L’intervista a carattere narrativo è infatti adatta a fare emergere la dimensione soggettiva e attiva dei soggetti: oltre ai comportamenti, le dimensioni valutative e gli orientamenti culturali che accompagnano – come in questo caso – le diverse modalità d’uso delle tecnologie digitali. Rendendo trasparente attraverso le formule linguistiche e le espressioni usate l’intensità o la distanza cognitiva ed emotiva di un rapporto riferito a se stesse innanzitutto, ma anche agli uomini e al maschile in un confronto a volte esplicito, a volte implicito; infine facendo emergere la dimensione valoriale con la quale si guarda – in un orizzonte più ampio - alla “rivoluzione informatica” e ai suoi molteplici effetti nella vita quotidiana.Le persone intervistate sono collocate nei diversi ambiti lavorativi e non rispetto alle tecnologie digitali come da progetto (settore informatico e web, lavoratrici in settori non ICT, telelavoratrici, casalinghe utenti nel privato)27; si è introdotta l’ulteriore variabile dell’età e di strutture lavorative differenti per avvicinare molteplici percorsi individuali/ storici e per evitare che l’omogeneità delle appartenenze potesse appiattire esperienze e vissuti. Pertanto la scelta è caduta su persone che fossero in grado di condurre una riflessione sufficientemente articolata sulle questioni proposte, da un punto di osservazione di “normalità” delle loro condizioni di vita. Non di situazioni “pilota”, per qualche verso particolari, che avrebbero orientato l’immagine del contesto nel quale ci si muove.

I protocolli delle interviste (della durata di un’ora e più), integralmente deregistrate, sono il materiale di un’analisi tematica e trasversale alle diverse narrazioni28 che ha consentito di mettere a confronto vissuto e opinioni mostrandone ricorrenze, differenze e similitudini. Nel testo i brani di intervista, quelli ritenuti più significativi fra gli altri, sono numerosi, per la necessità di rendere evidente la trama sulla quale le ricercatrici hanno costruito le loro analisi e per dare conto, allo stesso tempo, delle modalità linguistiche attraverso le quali i soggetti intervistati esprimono fatti, concetti, immagini, giudizi, richiamando l’attenzione di chi legge sulle parole e le espressioni chiave. I capitoli che seguono restituiscono, in un percorso di senso, le diverse questioni poste nei colloqui:

- l’esperienza delle ICT nella vita lavorativa: trasformazioni, vantaggi, problemi; le possibili discriminazioni (percepite) indotte o comunque collegate all’introduzione dei mezzi digitali nella organizzazione del lavoro;

25 In sintesi sono state effettuate n. 41 interviste individuali e n. 2 focus groups rivolti a 15 soggetti.26 Le griglie di domande aperte utilizzate sono state due, una per le interviste alle donne, una per le testimoni.27 La ripartizione per area vede 13 interviste nell’area professionale ICT (di cui un uomo); 11 nell’area delle professioni non ICT (di cui un uomo); 4 nell’area del lavoro a distanza; 5 casalinghe/ pensionate. Nel primo focus erano presenti due professioni ICT, due stagiste di corsi di informatica, due studentesse universitarie Dams.28 Le interviste sono citate, per conservarne l’anonimato, con le iniziali e l’età. Nel caso di maschi, dopo l’età segue una “m”. Le testimoni privilegiate sono citate con le iniziali seguite da TP.

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- la dimensione del telelavoro in relazione all’obiettivo della conciliazione fra tempi di lavoro e vita personale-familiare;- i percorsi di apprendimento: resistenze, entusiasmi, difficoltà nel rapporto con tecnica e tecnologie digitali; possibili vantaggi da sistemi più friendly;- confronto fra generi e generazioni: le competenze e gli stereotipi; quali differenze nelle pratiche d’uso siano percepite fra i generi;- relazioni fra figlie/figli e madri e padri nella prima giovinezza;- la diffusione di internet e della Rete nella vita privata, cogliendone aperture e resistenze.- una riflessione su paradigmi “di genere”quali “gioco” e “utile”.Alcune considerazioni conclusive tirano le fila dei ragionamenti presentati nel corso delle analisi dei materiali di intervista, mettendo in luce le più significative evidenze.

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II Come cambia il lavoro

1. Le ICT nelle vecchie e nuove professioni: benefici e…limiti

E’ sul lavoro che una parte delle donne interrogate si è trovata a fare esperienza delle tecnologie informatiche: una necessità imposta dal doversi adeguare ai nuovi strumenti che via via erano introdotti nell’organizzazione; modificandone procedure, modalità di relazione sia all’interno fra colleghe/i che all’esterno con i clienti, tempi di lavoro. Donne quindi che, pur non avendo anticipatamente alcuna predisposizione o preparazione specifica verso le tecnologie dell’informazione, si sono trovate a farci i conti. Da venti, dieci anni, ormai. E ancora oggi. Una “rivoluzione” non solo accettata e che non si mette più in discussione se mai c’e’ stata qualche difficoltà (soggettiva) iniziale, che anzi viene valutata pienamente per i vantaggi e le opportunità che consente nello svolgimento del lavoro quotidiano. Le donne intervistate, stando al disegno progettuale, appartengono a un ventaglio abbastanza diversificato di “vecchie” professioni operanti nei servizi sia pubblici che privati: dai servizi culturali delle biblioteche ai servizi di cura degli anziani, dai servizi informativi agli uffici organizzativi e gestionali delle imprese, ai servizi della pubblica amministrazione che rilasciano certificati e autorizzazioni. Ambiti di lavoro che sono a diretto contatto con l’utente esterno (cittadini e cittadine) o che si rivolgono alle strutture interne per operare forme di controllo di gestione; inoltre uffici di enti della pubblica amministrazione che operano a livello interistituzionale dialogando con altri enti per potere rispondere alle necessità di utenti collettivi (imprese, ad esempio) e singoli. Uno spicchio della variegata e complessa società dei servizi con i quali donne e uomini ogni giorno interagiscono29.Ovunque, è stato detto, si usano gli strumenti e gli applicativi standard, il pacchetto Office, i collegamenti internet e intranet, altri programmi sostare specificatamente predisposti e controllati sia da figure interne che da imprese di servizio e assistenza esterne.Non se ne potrebbe fare più a meno, è un fatto dato per scontato. E di pari passo sono cresciute conoscenze e competenze delle donne, spesso frutto di un grande apprendimento da autodidatta, sul campo, che se all’occorrenza viene supportato dall’assistenza dei tecnici, necessita comunque di aggiornamenti, come quando si rinnovano gli elettrodomestici. Ecco, l’affermazione del computer come “strumento” ritorna in molte narrazioni per significare qualcosa di assolutamente normale, finalizzato al lavoro di ogni giorno, macchina da scrivere o frigorifero. Se ne apprezzano i vantaggi vedendone anche i limiti. Con disincanto e capacità critica. E sono queste percezioni e valutazioni quelle sulle quali ci si sofferma, per mostrare che la fase delle pioniere è finita da un pezzo…

29 Si tratta delle seguenti strutture: biblioteca pubblica, Ufficio delle Entrate, Centro Stranieri, due cooperative di distribuzione, cooperativa di assistenza anziani, Cassa Edili, cooperativa appaltatrice servizi informativi di Comune, associazione Arci. A queste si aggiungono le strutture da cui dipendono le telelavoratrici (vedi paragrafo relativo).

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Considerando i vantaggi, le applicazioni informatiche hanno consentito di innovare i processi organizzativi portandoli a un livello di complessità e di rapidità una volta impensabili. Tutte ne sono convinte.Non ne potrebbe più prescindere chi rilascia certificati di regolarità alle imprese per i lavori edili e controlla per questo motivo diverse decine di cantieri in relazione costante con Inps e Inail, ora che le denunce è obbligatorio farle in via telematica perché una volta che si è innescato un processo… fin dall’inizio l’accettazione è stata piena, senza discussione, come si accettano i frigoriferi, gli strumenti domestici.

Non c’e’ mai stato rifiuto, li ho sempre considerati come se avessi un elettrodomestico che sta lì; siccome non mi pongo dei problemi davanti a un frigorifero…insomma mi dico che è un elettrodomestico, in fin dei conti! AB 62

Ugualmente non ne potrebbe più fare a meno chi, operando procedure di controllo di gestione in una grande azienda di distribuzione, si occupa della parte commerciale delle vendite, delle rimanenze, degli acquisti; per questo ha un contatto continuo con i magazzini e con tutte le piattaforme che conservano merci; e usa internet per collegarsi all’esterno con i fornitori, intranet per la rete interna. Fin dall’inizio si e’ arrangiata, le hanno detto ‘questo e’ il manuale, vedi di capirci qualcosa, quindi è stata proprio una formazione da zero. CB44E con grande soddisfazione ha percorso altri passi, dovendosi misurare con sempre nuove, più sofisticate macchine per le quali oggi opera anche i collegamenti con il sistema centrale dell’azienda

Né potrebbe tornare indietro alle operazioni manuali su biglietti cartacei la responsabile di una cooperativa che svolge servizi di assistenza per anziani malati e ha iniziato a usare il computer per migliorare l’organizzazione del lavoro degli operatori (le alzate, i bagni, le attività di animazione degli assistiti…), senza avere alcuna preparazione in tal senso, con un primo aiuto dal coordinatore su come fare con i turni di lavoro sul foglio excell. Una volontà di padroneggiare gli strumenti che l’ha portata a investire, anche da casa, denaro e tempo per aggiornarsi.

Perchè al lavoro avevo paura di sbagliare mi comprai un PC e lavoravo a casa, non conoscevo nulla di quello che era l’informatica e lo strumento. Pian piano anche il mio interesse a migliorare, scrivere una organizzazione a computer, i messaggi agli operatori…un conto e’ scriverli a matita e penna, un conto in modo che sia anche piu’ chiaro. E’ il desiderio di avere più sicurezza, di non essere intimidita davanti al mezzo informatico che la spinge ora a frequentare un corso privatamente per capire che cosa utilizzo, che cosa posso fare per migliorare; un po’ mi spaventa sempre, quando non lo conosci mi spaventa...dopo sono abbastanza tranquilla. PC50

Il miglioramento organizzativo per rispondere a bisogni essenziali di cura nel caso precedente; modalità organizzative che rispondono a bisogni nuovi, certo non primari ma oggi assai diffusi, legati a un consumo ecologico, nel caso che segue. In un nuovo servizio che organizza tutto per posta elettronica, c’è chi tiene le fila delle prenotazioni di consumatori di prodotti biologici ed equosolidali a prezzi accessibili, inviando loro il listino dei prodotti freschi tutte le settimane. Da quando ha cominciato a prestare la sua opera di volontariato, nota, c’e’ un incremento nell’uso di internet, e non ci si ricorda più come era quando si era senza, poiché è divenuto

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ora uno strumento quotidiano, uno non ci pensa neanche. LH53

Andando ai servizi culturali organizzati dalle biblioteche, oramai da quasi una ventina d’anni tutto il lavoro è attraversato in modo fondamentale dalle tecnologie sia internamente nella preparazione delle attività tenendo i collegamenti con editori, ospiti (nelle iniziative di lettura, ad esempio), che in relazione ai lettori ai quali si danno servizi di consultazione molto più complessi e differenziati. Ciò che importa, lo dice lei stessa, è la capacità di utilizzare in continuazione computer, email, internet, anche se non si sente molto esperta; prima i tempi erano lunghissimi nei rapporti con i soggetti esterni, mentre ora con una mail raggiunge simultaneamente, velocemente, tante persone, è straordinariamente utile.

Le applicazioni quotidiane che io utilizzo sono ovviamente i programmi di scrittura, sino a che mi sono occupata di statistiche delle biblioteche usavo un semplice programma excel, quindi di elaborazione dei dati, e poi tutta l’area internet, posta elettronica, web per raccogliere informazioni; questo ha cambiato significativamente il mio lavoro su due versanti: le comunicazioni con gli ospiti che chiamiamo, i collaboratori e anche la ricerca di informazioni sulle cose da proporre. E’ stato veramente importantissimo ed è stata precoce come svolta direi la prima rassegna, anche pubblica, che abbiamo fatto su internet è stata del 96, era già un fenomeno vistoso…adesso per noi, io parlo per me nel mio spicchio, è un utilizzo molto legato alla raccolta di informazioni e alla comunicazione professionale. CP 49

Anche una professione “antica” come quella di traduttrice si è completamente rinnovata attraverso computer e internet; ora si fa tutto online, e se imparare non è stato semplice, molti i vantaggi: riceve dai clienti tutte le richieste e spedisce i suoi lavori tradotti via internet, di cui si serve anche per reperire materiali di informazione e consultazione come i dizionari; e oggi ricorda. ho imparato in modo quasi selvaggio…era un mistero!... A me internet serve moltissimo per le traduzioni perché quando io faccio le traduzioni …io vado su Internet per verificare espressioni di quel paese, siccome sono argentina possono essere argentine…in Spagna non si usano. Allora mi serve molto per lo stile, a parte l’informazione; perché tutti i clienti a me arrivano via internet, via email tutti i lavori, io li devo tradurre e molte volte sono anche lavori di siti, traduzioni di siti o di pagine per aziende, presentazioni di aziende per cui anche guardare su internet altri esempi per vedere quello che su quel campo specifico si usa di più, per cui io uso moltissimo Google a parte tutti i dizionari, i materiali di informazione… EB 52

Da parte di chi è stata testimone e protagonista del grande cambiamento nella organizzazione delle loro professioni, diversi sono dunque gli elementi positivi messi in luce, a vantaggio sia di chi lavora sia di chi (i cittadini) ne riceve i risultati. Velocità nell’espletare compiti che prima richiedevano molti passaggi e molto tempo, possibilità di portare a termine lavori in modo più efficiente, ad esempio correggendo i testi più volte per un buon lavoro di editing, stabilire collegamenti continui e costanti con colleghi per scambiarsi informazioni e per la ricerca di soluzioni a problemi che si presentano; soprattutto possibilità di collegamenti in rete tra enti coinvolti nelle diverse fasi di una stessa procedura; ancora, rapporti più facili con gli utenti esterni quando il tipo di lavoro lo preveda, come nel caso di servizi di cura e assistenza: modalità di

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espletare il front office e procedimenti di back office ne sono stati profondamente modificati; e lo sono di continuo.

Lavora nella “pancia” di un grande supermercato e su otto ore sei ne passa davanti al video la giovane coordinatrice della segreteria di oltre una decina di persone in un’azienda; pochi sono i lavori manuali rimasti, condivide gli investimenti tecnologici per cui anche la sua mansione relativa alla gestione degli inventari si basa su diversi programmi specifici contabili e commerciali, coinvolta anche nell’operazione di testarne uno nuovo. Se non ci fossero le nuove tecnologie digitali, nota, sarebbe il vecchio contabile aziendale e non è certo cosa né desiderabile né vantaggiosa (SP 30).

La formazione di un archivio di dati che sostituisce il percorso cartaceo di una pratica che dovrebbe fare diversi passaggi e il dialogo in Rete fra istituzioni e’ una realtà messa in opera dalle tecnologie informatiche che rende più veloce, rapido ed efficiente il lavoro; anche la giovane impiegata del Centro stranieri non può più prescinderne, sottolineando fra le altre cose il vantaggio di comunicare via mail con i superiori per avere le autorizzazioni necessarie, piuttosto che far fare alla pratica tutto il percorso cartaceo. Un risparmio di tempo dovuto anche alla archiviazione e al riutilizzo dei materiali come capita di continuo negli uffici burocratici.

Il PC e’ fondamentale per tutta la comunicazione con l’esterno, quindi email per relazioni ai servizi, alle assistenti sociali…le relazioni sui percorsi e le lettere che servono nei vari contesti, quindi posta elettronica, programmi di videoscrittura, internet per quanto riguarda l’aggiornamento delle nuove leggi, le normative, le notizie; quando doveva uscire la modulistica si andava in internet piu’ volte al giorno, quindi internet e’fondamentale. In più serve per la documentazione, si ha una cartella sul computer per i vari casi, c’e’ la tracciabilità delle relazioni e vai a vedere quello che hai già scritto, lo rielabori…quindi nel lavoro per la comunicazione, l’archiviazione e l’informazione Pc e internet sono indispensabili. EC 27

E ancora: nuovi servizi, più completi e complessi da offrire ai cittadini, sono divenuti possibili. Le diverse branche delle Pubbliche amministrazioni, in particolare, hanno dato vita a tutto il settore della informazione e della comunicazione pubblica che costituisce un’interfaccia decisiva per instaurare un dialogo diretto con i cittadini e migliorare anche in questo modo la loro/nostra qualità della vita.

“Piazza Grande” è da concepire come la fabbrica del Comune di Modena dell’informazione, della comunicazione rivolta ai cittadini. Per cui quotidianamente ci occupiamo della parte relativa a garantire le informazioni sull’ente, quindi ai diversi target, che siano giovani, che siano anziani o imprenditori…e questa informazione che viene garantita attraverso l’attività di apertura quotidiana dei Servizi e poi anche l’informazione e la comunicazione attraverso gli strumenti che sono la rete civica, le banche dati dell’Ente. Siamo quindi una struttura trasversale nell’ente che ha una comunicazione esterna principale, ma che ha anche una comunicazione interna.

La “rete” civica ha già stabilito nuovi rapporti più diretti, più veloci, più immediati con i cittadini poichè l’Amministrazione rende disponibili diverse attività cui si può accedere non solo dalle case private e dagli uffici, ma anche da altri punti pubblici variamente dislocati nella città. Non solo risparmio di tempo - e su questo le donne, che da anni hanno avviato riflessioni originali e politiche volte a un diverso uso, attento ai bisogni di

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genere, dei tempi della città sono particolarmente sensibili - ma velocità e trasparenza; efficienza:

Dalle iscrizioni del bambino all’asilo, al pagare delle rette, alla possibilità di scrivere e chiedere informazioni precise prima di rivolgersi direttamente ad un ufficio. E’ cambiata la modalità di contatto, di rapporto, per cui la tecnologia da questo punto di vista garantisce da una parte più trasparenza, ma anche più velocità…e quindi anche i tempi devono essere diversi. FP 42

I limiti. Non che sia tutto lineare e piano. Spunti critici e perplessità nelle esperienze individuali sono emersi. Come logico che sia, quando parlano persone che hanno affrontato radicali cambiamenti quando già avevano, in gran parte, impostato un certo metodo di lavoro. Sono annotazioni soprattutto rivolte a se stesse quando ci si rende conto che non si e’ ancora capaci di sfruttare tutte le potenzialità del mezzo informatico non conosciuto a sufficienza. E quindi rimane al fondo quella resistenza dovuta a una conoscenza tecnica essenziale, di un pezzettino soltanto, come dice di sè una funzionaria di un ufficio pubblico che vede ancora nell’archivio un sistema piuttosto cartaceo che informatico. Teme la potenza e alo stesso la fragilità dello strumento,nel senso che quando ci sono scadenze e la linea non funziona, “casca tutto!” Il limite dello strumento è la sua insostituibilità, una tragedia. E sono un limite soprattutto i percorsi preordinati del programma, un condizionamento che le limita la creatività, le soluzioni originali per un resoconto, per una relazione:

Come se uno fosse costretto a camminare con le stampelle anche se e’ capace di camminare da solo con le gambe…rischi di non conservare libertà, di non conservare ecletticità.

E comunque lei stessa riconosce che i suoi limiti sono frutto di una conoscenza “da dilettante” che non le dà sufficiente libertà, o meglio “scioltezza di testa”. Proprio la professionalità e l’esperienza le fanno capire che una soglia di usabilità friendly, ancora, non l’ha raggiunta. Ma non perché siano ostici i programmi, fuori della sua portata: è lei, con la sua testa e la sua disponibilità mentale ed emotiva, ad essere messa in discussione. Senza dubbio qui viene toccata una questione centrale, quella del grado di conoscenza e della familiarità, su cui si ritornerà ancora. Ma è importante notare il punto di vista, registrare la sua consapevolezza che non rinvia ad altri, o ad altro, la sua attuale condizione.

Faccio fatica perché non possiedo pienamente la conoscenza nell’uso di questi strumenti, forse il modo di raccogliere i documenti, appunti, avviene ancora in modo tradizionale. Tutto quello che raccogli diventa un documento in word, lo puoi sfogliare, questo diventa un vantaggio notevole nel senso che possedere un atto già fatto consente di velocizzare se puoi andare a riprenderlo, il famoso taglia e incolla…questo è un buon modo per archiviare le cose dal punto di vista del lavoro. D’altra parte non sono ancora capace di usare lo strumento come archivio, se ho bisogno di leggi, le leggi sono lì, le puoi leggere. Io non ho ancora questa scioltezza di testa, per cui le devo stampare e la leggo e se è stampata me la ricordo. Sicuramente appartiene a questa fase che considero sia ancora da dilettante dello strumento. IG 56

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Le abitudini infatti sono difficili da scalfire e richiedono una sollecitazione e un controllo costante, dice la dirigente di un altro ufficio, per contrastare l’inerzia che poggia sulla sicurezza di ciò che si può avere fra le mani, la cosa “ materiale” che si tocca di contro all’immateriale digitalizzato che si teme possa svanire:

L’abitudine, l’ho visto qui dentro, e’ molto difficile da scalfire. Siccome sino ad adesso ho fatto cosi’ continuare a fare cosi’…vedo che ci sono cose che sono una reiterazione di cose che potrebbero essere cambiate. Vi e’ una tendenza a ripetere delle cose che si facevano prima che ci fosse il computer. Te ne accorgi sul lavoro degli altri, la resistenza, ad esempio, a dovere trasferire li’ dentro tutte le informazioni che hai…si vede che non e’ ancora stata sconfitta la tendenza a prendere l’informazione, metterla dentro, e tenere il pezzo di carta. Il pezzo di carta ti rende la cosa piu’ certa, la puoi fare vedere. AB 62

Tempo di apprendimento e abitudini sedimentate sono richiamati, con una diversa angolatura, da altre intervistate: non semplicemente per ridimensionare il rapporto di confidenza con le tecnologie, quanto per mostrare le caratteristiche – o le contraddizioni - di un’esperienza che necessita di una notevole partecipazione mentale. La velocità dei cambiamenti tecnologici che diventa necessità di aggiornare macchine e programmi per mantenerne l’efficacia, può essere pesante da tollerare, richiedendo un investimento e un apprendimento continuo. Si deve essere pronte, e più di una volta secondo alcune anche per gli anni a venire, ad accettare ulteriori trasformazioni date dalla velocità di diffusione delle tecnologie e dalla loro rapidissima obsolescenza, per cui tu non fai in tempo ad adattarti ad una dimensione tecnologica, apprendi il linguaggio ma subito dopo devi rincorrere altro…e’ la fatica mentale di un cambiamento impegnativo ma, in fin dei conti, arricchente, qualcosa di vitale. Opportunità e vincolo allo stesso tempo, come conclude una addetta alla biblioteca:

La vera opportunità e vincolo e’ essere obbligata a inseguire i mutamenti…lo vivo come una fatica ma anche come una opportunità. Seguire le tecnologie e’ faticoso, però e’ anche stimolante, il mutamento e’ faticoso, nel quotidiano mi lamento di questa fatica, però…fino a quindici anni fa era possibile iniziare a fare questo lavoro e svolgerlo nello stesso modo fino alla pensione, c’e’ chi lo ha fatto. Forse però è meglio così. LG 44

Nel campo delle “nuove professioni” che intervengono direttamente nella produzione di prodotti informatici, alcune dipendono da aziende che producono software su richiesta di clienti, una coordina la segreteria commerciale e gestisce i documenti di una azienda di distribuzione e consumo, altre costruiscono e aggiornano siti sul web. Oppure, senza essere tecniche informatiche ma con una formazione umanistica, lavorano in team con chi svolge la parte propriamente tecnica, misurandosi in un continuo lavoro di interazione dei contenuti e delle soluzioni con la struttura e la logica

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dei codici informatici30. In un lavoro di necessità interdisciplinare, che mescola competenze umanistiche e competenze tecniche (quelle di altri o altre).Nelle loro esperienze ricorrono atteggiamenti e valutazioni non molto diversi da quelli presentati dalle altre esperienze femminili: ritorna la questione centrale delle relazioni sia nel rapporto con i clienti che con i colleghi di lavoro; viene sottolineato il doppio regime temporale che le ICT alimentano, velocità da un lato, ma dall’altro più lunghi tempi di preparazione individuale per essere in grado di rispondere… . Chi opera nel servizio informativo di un’azienda sanitaria pubblica dopo avere in passato eseguito i controlli di routine sui calcolatori IBM S 400, adesso usa i PC e un altro tipo di rete informatica; e mentre sono stati assunti ingegneri specializzati, lei (operatore tecnico specializzato) che fece corsi di programmazione per l’uso dei Pc ora gestisce la distribuzione e l'ordine delle attrezzature informatiche, poi la distribuzione dei telefonini; ma la sua attività è soprattutto rivolta alla manutenzione e al supporto degli utenti che chiedono aiuto quando qualcosa non va nella rete.

Facciamo molto help desk perchè serve tantissimo l'aiuto telefonico, perchè l'utente finale comunque fa sempre un po' fatica, non si addentra più di tanto, quindi al minimo inghippo telefonano e noi siamo lì a cercare di sbrogliarli le situazioni…la più semplice è che uno non riesce più a usare il suo profilo personale perchè si è scollegato, perchè non si ricorda la password o perchè anche lui cambia un po' di mansioni e serve un altro tipo di abilitazioni, perchè non c'è la rete che va dal singolo PC (perchè c'è la spina staccata) a quello più generale (un problema di rete a livello Telecom ) e quindi c'è da chiamare Telecom… se c'è qualcosa che non va, lì se ne occupa sempre più chi è a monte.. Però nel funzionamento preciso, quindi per esempio nel compilare una mascherina perchè l'utente deve fare una stampa, una ricerca.. lì ci addentriamo e gli diamo una mano perchè.. a volte ho le nozioni per capire da dove viene il problema e posso risolverlo. SL 41

Se il vantaggio in termini di velocità di risposta finale per l’utente è assolutamente positivo, invece si complica il lavoro di chi opera in questo tipo di servizi; la preparazione per dare risposte esaurienti richiede infatti tempi sempre più lunghi: una intensificazione del lavoro preparatorio su cui l’intervistata richiama l’attenzione: perché offrire più servizi e risposte più personalizzate e complesse agli utenti comporta analisi e preparazioni precedenti più lunghe; i tempi organizzativi cambiano fra front e back office.

I tempi di risposta sono calati, nel senso che riesci a fare molte cose in un tempo molto minore di una volta. Però i tempi di lavoro dietro bene o male.. cioè la preparazione che c'è dietro non si è velocizzata così tanto. Perchè la preparazione, adesso io lo vedo di riflesso, è lunga e più particolareggiata, perchè più aumenta la tecnologia più hai a disposizione cose sempre più particolari, hai sempre più da fare …I tempi sono lunghi anche perchè il tipo di lavoro è anche sempre più particolareggiato.

Maggiore velocità e maggiore produttività sono sottolineate anche dalle due operatrici che lavorano insieme al sito di un ente pubblico, l’una sui contenuti della

30 Le intervistate fanno parte delle seguenti strutture lavorative: società di consulenza-produzione informatica, settore della comunicazione di enti pubblici (Comune, ASL) e di associazioni, settore comunicazione e marketing di azienda privata, call center. Un piccolo ventaglio di professioni la cui ampiezza, in termini di profili e di opportunità, è documentata nella guida redatta da A. Pesce, Le pagine gialle delle nuove professioni per le ragazze (e anche per i ragazzi), Progetto GROW Women in Technology (cod.0571/RER/00), EnAIP Emilia Romagna, 2002.

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comunicazione e l’altra con competenze tecniche. L’esempio più immediato dei vantaggi (per loro dipendenti) riguarda la gestione automatica della pubblicazione di una notizia in home page: si prepara tutto in anticipo… Uno al sabato non c'è, e vuole che quella notizia sia pubblicata la domenica, oppure che nel momento esatto in cui è finita venga tolta piuttosto che rimanga. In questa elasticità negli usi e nei tempi della preparazione è molto evidente la positività – ne sono convinte - delle nuove tecnologie insieme alla possibilità di informare e comunicare; ma non bisogna mai smettere di aggiornarsi, di studiare.

I tempi tendono a velocizzarsi sicuramente. Quello che io sento molto è l'evoluzione rapidissima della tecnologia e quindi il dover continuamente aggiornarsi e studiare, da soli. PA1 45

Il lavoro poi non è che diventa più flessibile con le tecnologie. Diventa invece più veloce, perchè se penso a tutte le cose che dovrei fare a mano…più veloce sicuramente, più flessibile no. La produttività si alza moltissimo. PA 43

La loro esperienza è calata in un contesto nel quale la collaborazione stretta ha sviluppato, col tempo, uno scambio efficace sulle soluzioni e sugli strumenti interni da adottare con risultati decisamente soddisfacenti per la loro chiarezza e completezza; perché competenza comunicativa e tecnica si integrano nella ricerca delle soluzioni più convenienti e chiare per chi al sito dovrà accedere.

Io dico: “guarda, ci sarebbe bisogno di fare questo.. come possiamo farlo? Lo possiamo fare così?”. Lei dice “No guarda, è meglio farlo così perchè altrimenti ci dà dei problemi..”. Ci comprendiamo assolutamente.. C'è il problema, il problema c'è [dell’integrare due linguaggi diversi]. Perchè anche stamattina è capitato, per esempio, nel discorso dell'introduzione.. abbiamo discusso su come fare una certa cosa perchè da un punto di vista di comunicazione veniva vista in un modo, e da un punto di vista tecnico creava dei problemi. Però il fatto che ci sia il problema, siamo ormai capaci di risolverlo tranquillamente. Il problema c'è, ma non abbiamo problemi nel risolverlo. PA 45, PA1 43

All’ attività di progettista, di programmatrice si approda per gli studi fatti, non di rado casualmente. Più di una le donne giovani che entrando nel mondo del lavoro non avevano chiaro quale strada avrebbero seguito; ma hanno colto un’occasione senza timore di sperimentarsi in un campo nuovo, con gusto e soddisfazione. A differenza delle altre, queste manifestano una naturalezza maggiore. Una maggiore sicurezza e fiducia nei propri mezzi. Come e’ logico che sia da parte di chi spesso ha avuto una preparazione specifica ed è in genere anche più giovane. O talvolta per passione. È la condizione, ad esempio, di chi è stata incaricata di gestire il sito di una associazione femminile dall’ interno piuttosto che affidare il compito all’esterno, perchè i progetti e i contenuti variano assai di frequente, molte le informazioni con le quali implementare il sito in continuazione per diversi imput e suggerimenti; cosa che le richiede tempi lunghi, dilatati.

Il mio rapporto con la tecnologia nasce un po' di tempo fa..., con la tesi di laurea esattamente. E' stata la prima volta che ho messo mano sulla tastiera e subito mi ha appassionato. Infatti, dopo la tesi di laurea ho fatto anche altre cose per piacere, non per lavoro…Poi ho preso la patente europea del computer perchè mi sembrava una

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cosa che mi poteva aprire... Allora io, vista la mia passione per l'informatica, che non ho mai sviluppato poi, ho deciso di propormi come “web master”, administrator sì, del nostro sito, del nostro piccolo sito come lo chiamo io.. AC 30

E c’è chi fa due lavori: il primo è ancora oggi quello che le dà da mangiare, responsabile della qualità in un’azienda, un lavoro per il quale non aveva alcuna preparazione e quindi ha dovuto affrontare notevoli difficoltà anche perchè “l’affiancamento è una mera illusione, vieni messo a fare un lavoro che non è il tuo”. Il secondo è più importante e lo svolge per una associazione di volontariato dove gli stipendi sono molto bassi, ma può sviluppare altre cose, altri interessi, a cominciare dalla creazione del sito di questa associazione, avendo accostato all’università in un corso di informatica le conoscenze di base. La curiosità di apprendere una nuova lingua è la sua molla principale, l’entusiasmo l’aiuta nei momenti critici perchè è affascinata dalle immense potenzialità di questi mezzi:

Uso il pacchetto office al completo …. non solo le funzioni base e poi access con il quale ho realizzato anche alcuni programmini, per quanto piccoli e per quanto non utilizzando il codice, ma semplicemente l’applicativo per come è già configurato, internet non in maniera eccessivamente approfondita, se non ora che sto iniziando a creare qualche sito…in un ufficio tutti hanno la necessità di lavorare con un computer, chiunque svolga un lavoro di ufficio almeno il pacchetto office… il programma di controllo qualità che gestisco io lo ho ideato, strutturato io, poi nel momento in cui è arrivata lei (tecnica) mi ha mostrato come alcune cose si potevano fare meglio…ne colgo le potenzialità immense, mi piace moltissimo lavorarci…LP 28

Consapevolezza dei propri limiti e ansia di fronte al nuovo sorrette da curiosità si intrecciano anche nel sentire di questa giovane curatrice di pagine web per la rete civica del Comune; che lavora in gruppo con altre competenze e se anche non ha una preparazione informatica, ma umanistica, ha fatto corsi e seminari per imparare; il lavorare in gruppo le consente uno scambio continuo per risolvere dubbi e problemi, trovare le giuste soluzioni.

Lo strumento principale che utilizzo è il pacchetto Office, in particolare Word, poi ho acquisito competenze di base del linguaggio HTLM, mi trovo a lavorare con immagini e quindi Photoshop…Tutte le volte che mi trovo a dovere affrontare qualcosa di nuovo ho un po’ di ansia, chiaramente in questo lavoro non hai mai finito di imparare, le cose che sai non sono mai sufficienti...è sempre una rincorsa ad essere aggiornati. Ma il tutto è supportato anche da una buona dose di curiosità altrimenti FB 32

Più lineare il percorso di Paola che fin dagli studi al tecnico industriale ha scelto una specializzazione informatica cui sono seguiti altri specifici corsi e relativi stage. E ciò nonostante il grado di autoformazione e la disponibilità ad apprendere deve rimanere alto, sia perchè lavora in un gruppo con il quale produce soprattutto siti internet e lo scambio e’ continuo, sia perché si presenta sempre la necessità di nuove soluzioni: “il cervello deve funzionare come una spugna”, essere ricettivo. Critica però allo stesso tempo; perchè non può non constare come la frenetica velocità del cambiamento possa divenire violenta soprattutto per chi con le tecnologie non ci lavora; accettato gioco forza da chi “è dentro” ma con la sensazione che ci sia qualcosa di eccessivo, forse gratuito, un segnale di dispersione, di consumismo tecnologico. Sono osservazioni che

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l’intervistata non spinge oltre, ma che potrebbero essere viste come una delle ragioni del distacco che si scava tra chi e’ comunque “dentro” e chi rimane o finisce “fuori”:

In generale tutta la tecnologia ha dei tempi che sono decisamente troppo rapidi, indipendentemente da tutto, tutto cambia troppo velocemente. E’ anche difficile tenersi aggiornati, cosa che risultava più facile prima. Il famoso aggiornamento continuo adesso è frenetico. Da un anno all’altro cambiano i programmi, e lo fanno in modo radicale. Il tuo aggiornamento non è minimo, ma è consistente; non sempre hai la capacità di stare dietro a tutto; sta diventando tutto troppo veloce. Per molti è una violenza, per te che sei nel settore oramai hai preso su il ritmo e ti rendi conto dell’impatto negativo che questa velocità ha…ma ci sei dentro. Per chi ne è fuori è tutto più violento secondo me…mi sembra tutto un usa e getta , buono oggi e non più buono domani. PV 28

Una buona parte delle giovani “tecnologiche” vede nella velocità e nelle modalità di funzionamento delle ICT oltre che un vantaggio per le opportunità che consente, anche una intensificazione “eccessiva” dei tempi di lavoro alla quale è difficile sottrarsi: la frenesia, appunto, non è solo per aggiornarsi, è frenesia nel fare, nell’arrivare a risultati…si recupera tempo con tanti strumenti, dalla mail alla videoconferenza, ma poi si fa altro lavoro, diventa quasi una malattia; e lo può fare perché single…

I tempi di lavoro sono peggiorati nel senso che è divenuto una malattia. Non c’è la pausa, la mail la leggo sempre anche al cellulare con il quale navigo anche, quindi è peggiorato, riduce un po’ i rapporti, forse perché siamo ancora nella prima fase…è strano, perché dovrebbe migliorare la qualità della vita, anziché una riunione c’è scambio mail o videoconferenza, questo agevola. Il problema è che il tempo recuperato non lo impiego per me, ma per fare altro lavoro, i miei tempi di vita sono peggiorati. EM 44

Intensità e velocità, possibilità di trasferire lavoro anche fra le parti domestiche (anche se poi non sempre lo si fa) rompendo la divisione e la distanza spaziale, fanno sì che ci sia una difficoltà a delimitare i tempi di lavoro che tentano di debordare e riempire tutta la quotidianità. Poiché le tecnologie rendono effettiva e facile la possibilità di prolungare a casa il lavoro nelle stesse modalità, per molte(i) con cui si fa in ufficio, chi lavora con più intensità (o passione) soffre della intrusione di questi tempi lavorativi e si cerca di arginarli con un’azione estrema, rimanendo senza connessione internet da casa. Sono soprattutto donne giovani più direttamente coinvolte nello sviluppo di applicazioni informatiche a sottolineare questo aspetto: le altre, quelle con più anni, con altri percorsi lavorativi e soprattutto con famigliari cui dedicare lavoro e tempo, sono più difese dalla invadenza, sono costrette a mettere delle separazioni. Lo ammette con sincerità la stessa giovane responsabile del sito di una associazione femminile prima citata.

Senz'altro se aumentano i tempi di lavoro, diminuiscono i tempi di vita privata. Io sono in una fase in cui.. sono ripiombata nella vita da single e ho molto tempo a disposizione. Una scelta di questo tipo, di buttarmi sull'htlm, in questa nuova esperienza, non avrei potuto farla se avessi avuto figli a carico o altri tipi di impegni di cura verso... Non avrei avuto tempo. Invece in questo caso, siccome devo solo conciliare le mie esigenze con gli orari della palestra che frequento, non ho problemi. A parte gli scherzi non ho problemi, confesso che quando vado a casa accendo il mio PC, non il collegamento a Internet, ma cerco di fare qualcosa in locale sempre per

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migliorare le mie competenze. Perchè diciamocelo, ci prendo gusto alla fine... Mi piace tantissimo. AC 30

Dunque, alla fine, forme di organizzazione del lavoro più efficaci, veloci e trasparenti, molto più complesse (e complete) per la possibilità di connessione telematica dentro e fra enti.Sono i benefici più vistosi e immediati che si manifestano nelle organizzazioni lavorative, le cui innovazioni investono l’intera catena produttiva e comunicativa. Con la consapevolezza che la dilatazione dei tempi necessari a mettere a punto le procedure, ad aggiornare i programmi, a risolvere i problemi di funzionamento che capitano, ecc., può erodere quelli della vita personale, che la linea di separazione fra quelli di lavoro dagli altri è divenuta più sottile e incerta e occorrono forme di difesa. Le più giovani, specie quando non si hanno responsabilità familiari che “naturalmente” impegnano gli altri tempi, sono le più esposte a questo affievolirsi dei vincoli temporali e spaziali.

2. Il funzionamento delle ICT ha bisogno di…

Ma non possono tutto le tecnologie informatiche. Queste sono, appunto, uno strumento che deve essere messo in funzione e che per funzionare, oltre agli aspetti squisitamente tecnici, ha bisogno di un elemento che si può dire “tradizionale”; che non si annulla nè si riduce nella dimensione tecnologica. E sono le capacità di relazione: servono capacità di ascolto e di comprensione dei problemi che i diversi tipi di clienti e di utenti pongono; questi vanno compresi correttamente prima di elaborare le risposte se si vogliono adeguate, efficaci. E’ un processo messo in moto e governato dall’attenzione e dalla disponibilità di chi sta dietro al monitor del computer. Massimamente necessario per chi fa da interfaccia con cittadini nei servizi pubblici – e in questo caso il linguaggio deve essere alla portata di comprensione - ma non meno da parte di chi ha a che fare con gli altri operatori e/o colleghi di lavoro con i quali si devono impostare e condividere procedure, individuare passaggi e aggiustamenti per arrivare al prodotto finale del lavoro.

C’e’ innanzitutto un grande lavoro su l’ascolto, la capacità di ascolto, di saper mettere in rete e quindi la capacità di trovare anche soluzioni per tutta quella parte che viene definita problem solving la’dove le situazioni non sono sempre strutturate oppure le agenzie esterne cambiano, cambiano le richieste dei cittadini, cambiano i problemi… da questo punto di vista c’è probabilmente una predisposizione delle donne, nel loro modo di essere ad avere questa capacità di saper coniugare tante cose, quindi sensibilità, flessibilità e quindi questa capacità della tenacia, dell’ascolto io la considero proprio femminile…FP 42

Perche’ siano efficaci i tempi di intervento occorre individuare bene il problema e riuscire anche ad avere un linguaggio che sia comprensibile; bisogna porsi tra il tecnico e l’utente finale ed anche il problema va enunciato in modo efficace, bisogna essere il più precisi possibile, usare un linguaggio che sia il più pertinente alle caratteristiche del programma. LG 44

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Se mai qualcuno ha pensato che la tecnologia sostituisse il contenuto relazionale con la migliore organizzazione e l’accelerazione dei tempi che pure le tecnologie consentono, questo non può essere quando in ballo ci sono altri tempi da costruire e condividere, quelli del rapporto fra persone. Io lavoro molto in front office e mi occupo anche di councelling e lì c'è la relazione costruita e il computer non ha niente a che fare. Il computer diventa una fonte di informazioni se una persona ne ha bisogno, ma la relazione con la persona te la costruisci tu, con i tempi da condividere con l'altra persona e questi non sono i tempi dell'informatica. LH 53

Ed e’ dello stesso parere anche la responsabile di un servizio di assistenza per anziani: le relazioni con le persone sofferenti richiedono una sensibilità che non e’ il computer a dartela. Ed e’ vero che “nell’ambito del lavoro, ti rendi conto, se non avessi questo strumento…mi mancherebbe. Avrei più lavoro”, ma l’aspetto che le tecnologie non toccano e non modificano sono “le relazioni. Sembra così semplice e invece…”(PC 50 )Questi aspetti della comunicazione sembrano essere indipendenti dall’informatizzazione e dal suo grado di complessità; ma nello stesso tempo sono indispensabili perchè i servizi siano davvero capaci di funzionare recando utilità agli utenti. La si è chiamata dimensione “tradizionale” per ricordare che, certamente non nuova, su di essa oggi, forse più di ieri, è posta l’attenzione da parte di quante (e quanti) mostrano su che cosa si fonda la cosiddetta femminilizzazione del lavoro postfordista e di che quali abilità necessiti.E’ una questione su cui si esprime con molta determinazione anche una giovane operatrice di call center che nel suo lavoro quotidiano sta in una postazione dotata di un computer, di un telefono e di una cuffia. Quella delle capacità comunicative è una qualità che viene particolarmente cercata e sfruttata da parte aziendale per tenere in piedi un sistema che in questo caso, a differenza del parere della responsabile della cooperativa di servizi di assistenza prima citata, pare più snaturare le relazioni con gli altri piuttosto che porsi al loro servizio. Le sue parole fanno notare che più che le tecnologie in sé, sono le modalità organizzative di quel lavoro e di quella struttura aziendale, cioè la politica aziendale ad essere determinanti; il requisito delle capacità relazionali che le dipendenti debbono possedere ne rivela l’importanza assai più che le abilità tecniche.

Credo che sia questa la motivazione per cui cercano le donne, cercano delle persone magari con titoli di studio alti, con buone capacità relazionali…parli direttamente con il cliente, che poi deve avere alcuni parametri – perché ti trovi a confrontarti con qualunque persona, clienti di tutte le appartenenze sociali, dalla persona gentile a quella diffidente per cui devi saperti relazionare con tutti utilizzando un linguaggio il più semplice possibile ma anche un linguaggio tranquillizzante in alcune situazioni o un linguaggio deciso. E non avendo la comunicazione non verbale a disposizione c’è una quota di complessità maggiore rispetto a questo. A 28

In molte altre professioni nelle quali le competenze informatiche si sviluppano e si integrano con quelle di analisi dei problemi, sono requisiti necessari le capacità di comunicare e collaborare. A contatto con l’esterno, la comprensione di ciò che l’utente chiede risulta essere una parte importante, ad esempio, anche di chi lavora allo sviluppo di software direttamente o in equipe con altri. Le conoscenze informatiche sono ovviamente indispensabili – occorre tradurre le questioni poste in soluzioni tecniche –

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ma non sufficienti. Ci vuole prima attenzione e attitudine all’ascolto – e qui ritorna una osservazione già incontrata in precedenza – e anche, dice una programmatrice, “umiltà”, cioè disponibilità a farsi carico dei problemi senza travisare per la fretta, ma soprattutto per la presunzione di “saperne di più”, le parole altrui. Cosa che facilmente avviene se ci si affida in modo esclusivo alle conoscenze tecniche, e gli ingegneri a detta di tutte appaiono generalmente sordi, poco disponibili; troppo concentrati sulle soluzioni tecnologiche.Chi sviluppa software gestionale per la contabilità di un’azienda, movimenti di magazzino, ordini di fornitori, fatturazioni, ecc., dice ad esempio che non è raro credere di avere capito ciò che il cliente vuole, ma poi si fanno errori di analisi che compromettono il prodotto; e la soddisfazione del cliente ripaga di una fatica che l’informatica fa fare, “così piena di buchi e anche un po’ cupa che non la vedi neanche”.

Io avverto spesso che il cliente sa perfettamente ciò che vuole, ma ci sono dei passaggi intermedi…si possono perdere delle realtà, a volte bisogna andare nel profondo e dire “io non ho capito ciò che mi stai chiedendo”, bisogna avere un po’ di umiltà, altrimenti fraintendersi è facile…il contatto con il cliente ti stressa tanto ma ti dà il senso della cosa, la soddisfazione dell’utilizzo e concretezza delle cose…FG 42

E non diversamente annota una capo progetto che coordina i piani di lavoro di una equipe di una ditta che produce anch’essa software, quanto sia importante la capacità di capire e analizzare cosa il cliente voglia: una competenza che pare essere più frequente nelle donne. Non e’ la sola a pensarlo.

L’analisi vera e propria del problema non la fa l’informatico. Un cliente può porre un quesito in modo vago, non preciso, va interpretata l’analisi del bisogno. Normalmente l’analisi dell’informatico è precisa “il programma fa così”, poi ci si mette a ragionare insieme, io e lui, si trova una soluzione. EM 44

Che si manifesti anche in questo la storica capacità femminile di ascoltare, comprendere l’altro e i suoi bisogni, prendersi cura - il lavoro di manutenzione delle relazioni - è, crediamo, più che una constatazione; è l’ipotesi che ci sia una capacità di genere, una disposizione all’altro rintracciabile non solo nei lavori più direttamente connessi con la cura, ma che si intreccia con e supporta anche quelli legati alle tecnologie informatiche. E sono riflessioni che attraversano in più punti questo rapporto, quindi assai sedimentate nei vissuti e nelle valutazioni delle intervistate. Che il mercato sia in grado di riconoscerlo - ma di usare sì! - è molto più di un dubbio. È una certezza, almeno per ora.

3. Il telelavoro: opportunità e limiti del lavoro a distanza

Fra le nuove modalità di organizzazione del lavoro che le ICT hanno prodotto, il telelavoro è, nei giudizi correnti, un’opportunità importante a disposizione delle donne e degli uomini, ma ancor più delle lavoratrici alle quali è consentito continuare il rapporto di lavoro in situazioni familiari che richiedono la loro presenza a casa. Di telelavoro molto si discute, soprattutto perché (in Italia) è difficile trovare aziende disposte ad accettarlo in quanto si teme una diminuzione della produttività e della capacità di

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controllo del personale; non sempre disposte a sobbarcarsi i costi di installazione e funzionamento che comporta. Quindi sono ancora relativamente ridotte le esperienze di telelavoro vero e proprio nonostante sia questa una delle misure incentivate finanziariamente da qualche anno anche dalla legislazione sulla conciliazione fra tempi di lavoro e tempi famigliari (L. 53/2000) per favorire accordi e sperimentazioni soprattutto nel settore privato. Benché il lavoro a distanza, che pure si avvale delle stesse tecnologie telematiche e che confina/sconfina con il telelavoro, sia una pratica oggi particolarmente diffusa in molte professioni autonome, autoorganizzate, del nuovo mercato del lavoro flessibile o precario.In questa indagine interessava cogliere i vantaggi - veri o illusori – di questa esperienza e si sono interrogati i vissuti delle telelavoratrici. Le quali non hanno dubbi nel dire che i benefici, per chi lo pratica, indubbiamente ci sono: la flessibilità dei tempi che a casa si dedicano al lavoro professionale a seconda delle esigenze di “fare altro”, cioè di prendersi cura di figli piccoli, il risparmio dei tempi di percorrenza (in particolare se si abita molto lontano dall’azienda) e quindi il minore inquinamento ambientale, la possibilità di maggiore concentrazione per compiti impegnativi che richiedono la quiete di “la porta dell’ufficio chiusa”. Per tutti questi motivi – è voce comune – il telelavoro è un’esperienza positiva, da incentivare.

Lo incentiverei, lo consiglierei e cercherei di fare capire all'azienda che ci possono essere dei benefici non solo di motivazione della persona, non solo mamma, a cui viene riconosciuta una flessibilità maggiore, ma ci possono essere dei benefici organizzativamente. A livello collettivo pensiamo anche al risparmio di carburante, inquinamento, di traffico: quindi qualità della vita dei singoli e qualità della vita collettiva. Visto che oggi si parla della responsabilità sociale d'impresa piuttosto che di temi di questo tipo, anche il decongestionamento dovrebbe essere preso in considerazione per il futuro. Poi io ritengo che laddove ci siano delle attività che presuppongono parte di coordinamento e parte di inserimento, studio, approfondimento, scrittura e sono tantissime, una divisione delle attività di questo tipo è più efficace. […] SM 38

Infatti per questa dipendente di un centro di formazione professionale che fa attualmente un telelavoro verticale dopo la nascita della seconda figlia (due giorni e mezzo di telelavoro, gli altri di presenza in ufficio), la soluzione e’ positiva non solo per i suoi tempi di vita familiari, ma anche per le modalità organizzative che i suoi compiti richiedono; tanto che il suo responsabile che temeva di averla meno a disposizione - “ e questa e’ una cosa tipica dei responsabili e degli uomini in particolare, perchè alla fine [il suo] è un habitus mentale: quando ho bisogno la chiamo ed è qua - , dopo qualche mese riconobbe che lei era più produttiva in telelavoro: specie per lo studio e lo sviluppo di progetti, nessuno infatti la interrompe e non e’ più obbligata a lavorare oltre l’orario di ufficio, la notte e le domeniche.

Avevo trovato un giovamento facendo telelavoro organizzativamente perchè il mio lavoro è sempre stato parte di coordinamento (e dunque di raccordo necessario con altre persone) e parte di sviluppo, per esempio ho sempre scritto progetti. Scrivere progetti vuol dire “essere lasciati in pace”. Allora mi succedeva, prima di fare telelavoro, di chiudere la porta dell'ufficio e deviare il telelefono su un'altra linea. Però comunque le persone entravano, c'erano le telefonate a cui non si poteva dire di no e quindi mi succedeva di iniziare a scrivere un progetto alle 18,30 quando cominciava a suonare meno il telefono e gli altri cominciavano ad andare a casa. Il che non è molto comodo perchè poi magari uno va avanti fino all'una o alle due di notte per finire. Ho

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sempre fatto, purtroppo ho sempre fatto sabato, domeniche e serate, addirittura nottate intere. Invece con il telelavoro riuscivo, mi organizzavo in maniera tale che nelle giornate di telelavoro facevo le attività per cui ci voleva un po' di quiete e quindi riuscivo molto meglio! SM 38

La possibilità di conciliare tempi tra loro conflittuali ed esigenti come quelli del lavoro e della cura dei figli piccoli, quando gli aiuti a disposizione sono ridotti o nulli, e’ la ragione che ha portato alla scelta del telelavoro. E il telelavoro ha corrisposto alle aspettative. La flessibilità temporale è senz’altro positiva (quante donne, all’opposto, sono costrette a rinunciare al lavoro per accudire i figli?) ma cela anche qui – pur nel miglioramento - il pericolo dell’invadenza dei tempi, di confini annullati: stress, ansia…una novità? No, situazioni più che note quando si parla dei conflitti della “doppia presenza” per i quali cercare una soluzione conciliativa: anche il telelavoro non sempre li elimina fino in fondo, magari li rende vivibili (o compatibili). Soprattutto è acuta la difficoltà di tenere separati i due compiti senza che quelli familiari fagocitino quelli lavorativi, di trovare il momento giusto per mettersi al computer: “è un dono del cielo” dice una lavoratrice, ma… Se le tecnologie sono una ricchezza per le scelte individuali su come combinare i propri tempi rispetto ai vincoli che si hanno, la differenza è data dalle condizioni materiali nelle quali lo si pratica. Ed essere critiche vedendone le difficoltà non significa sottostimarne, comunque, i vantaggi. Così infatti si esprime un’altra dipendente del Centro di formazione che nel suo secondo telelavoro ha potuto porre limiti.

L'esperienza del telelavoro per me è stata una manna perchè volevo stare con mia figlia, non avevo nessuno che me la tenesse e allo stesso tempo avevo bisogno di lavorare. Quindi è stato veramente un regalo caduto dal cielo. Subito l'ho letto così e in effetti lo è stato; cioè effettivamente un favore che mi veniva fatto. Di fatto credo di essere stata utile anche all'azienda perchè da casa ho fatto tante cose che qui non avrei fatto perchè qui suona il telefono e vengono persone, mentre da casa riuscivo a concentrarmi molto meglio. Ho incontrato anche parecchie difficoltà. Le difficoltà sono state quelle di lavare di notte o di sera tardi perchè mia figlia di giorno non dormiva e con una bambina non si riesce a lavorare. Il fatto di avere questo tempo a disposizione la portava a privilegiare le esigenze della figlia lavorando anche di notte. Una bambina piccola non è che si può parcheggiare lì e lavorare. Soprattutto quando avevo delle scadenze era uno stato di ansia perenne. Avevo la scadenza, dovevo fare una cosa, lei non dormiva e quindi questa angoscia crescente. Per cui ho sempre lavorato di sera, di notte, oppure mettevo la sveglia al mattino presto per poter fare queste ore e arrivare a un dunque. Tutt'ora sono in telelavoro però per molte meno ore. Garantisco circa otto ore al mese per poter avere i cedolini paga elaborati. Prima invece erano diciassette ore e mezza settimanali. E' stata dura… DD 34

L’interferenza dei tempi fa addirittura dire a quest’altra lavoratrice che bambini in casa, per svolgere efficacemente il lavoro, non dovrebbero essercene, per avere la mente sgombra e potendolo, fare un orario da ufficio.

Ah beh, la cosa chiara è che per telelavorare efficacemente non devi avere i bambini in casa. Perchè diciamocela, non ce la fai. Perchè non riesci a spiegare a un bambino piccolo che stai lavorando. Per cui io mi comportavo come se andassi in ufficio in realtà. Prima delle nove del mattino accompagnavo mia figlia piccola da mia madre,

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poi rientravo a casa, e andavo nella mia stanza, quella adibita a ufficio e ci rimanevo. Il vantaggio rispetto agli orari era quello di risparmiare il viaggio. E poi non facevo la pausa pranzo, o mangiavo davanti al computer, e poi andavo a prendere mia figlia alle 17,00.

La flessibilità consente di risparmiare tempo e migliorare la conciliazione; eliminando ad esempio quei tempi “morti” delle chiacchiere e delle relazioni con i colleghi (anche se sono un aspetto umano del lavoro!), le riunioni che durano, ecc., e allora la conclusione e’ unanime.

Sicuramente da questo punto di vista è uno strumento di conciliazione perchè è molto più flessibile. Però, da lì a dire che con il bambino in casa tu riesci a lavorare io ho dei dubbi. Quindi ok il telelavoro, ma comunque avendo uno spazio separato. SM 38

Però sono ancora positiva in questo senso: non direi mai “non fare il telelavoro”. Direi “occhio, che non è oro tutto quel che luccica”. Va benissimo farlo, tornassi indietro farei uguale perchè per me è stato .... perchè effettivamente avevo esigenza di lavorare e ho potuto lavorare e sono stata a casa con mia figlia. Però è duro, è molto duro. Il telelavoro credo che vada bene così, però purtroppo ci sono dei momenti da dedicare al lavoro e altri momenti da dedicare alla famiglia o altre cose. L'unione delle due non sta proprio in piedi. DD 34

Insomma, anche il telelavoro richiede capacità organizzativa, abitudine a risposte flessibili, determinazione per superare l’inevitabile ansia…e le formule pratiche per trovare il mix conveniente sono più di una.

Dal punto di vista dell’organizzazione, la presenza di un numero definito di giorni in telelavoro e di altri in sede e’ la modalità preferita, perchè questa situazione mista consente di sfruttare appieno i vantaggi senza incorrere nelle disfunzioni della lontananza prolungata: o il pomeriggio in telelavoro e la mattina in sede; o telelavoro verticale; o tre giorni di telelavoro a scelta (anche meno dei tre giorni stabiliti, a volte) secondo gli impegni in sede. Quanto all’impiego del tempo a casa, diverse le modalità a seconda delle situazioni familiari che comunque mutano (ad esempio dal primo al secondo figlio) e delle propria “organizzazione mentale”. Quindi per un periodo si lavora anche di sera o di notte (se il figlio e’ piccolissimo) poi successivamente si riesce a farlo con più agio e per meno giornate, o si stabiliscono orari “da ufficio” per avere un contatto online con i propri colleghi: in sostanza una situazione mutevole che si può ricontrattare sia a casa che in ufficio per trovare di volta in volta il mix più soddisfacente.

Io facevo un telelavoro misto. Mattino qui e tre ore e mezzo a casa, cioè il pomeriggio che avrei dovuto coprire qui lo facevo a casa, senza limiti di tempo come deve essere il telelavoro e quindi lo facevo di sera. SM 38

Un telelavoro misto è anche quello della dipendente di un ente pubblico che occupandosi di formazione professionale è stata autorizzata per tre giorni che non sempre tuttavia utilizza; una decisione nata anche in questo caso per l’impegno di seguire il figlio adolescente e che le consente di organizzare il suo lavoro con orari di ufficio (è necessitata anche dai colloqui telefonici con le colleghe in sede e per questo ha due ore di reperibilità), soprattutto per tenere ben separati i suoi tempi. Che è sempre l’elemento che più crea conflitti e difficoltà.

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Tanto che la sua opinione in proposito è più che positiva, se ben risolti i problemi contrattuali e tecnologici. Anche lei lo ritiene un’opportunità che va al di là delle possibilità di conciliazione come abitualmente viene presentato. Ma le difficoltà a sviluppare il lavoro a distanza stanno sia nelle difficoltà delle aziende, del management soprattutto ad accordare la fiducia, sia dei colleghi che fingono di non sapere il motivo della sua “assenza”, che fanno battute di spirito chiedendole se sta facendo la doccia o la torta…Si dovrebbe perciò incentivare – è la sua proposta – una comunicazione maggiore fra chi lavora a casa e chi in ufficio, per diminuire l’isolamento di una posizione vista come una stranezza; o forse con un po’ di invidia.Perchè, come già ha rilevato la prima telelavoratrice, i vantaggi per la qualità del lavoro sono indubbi: dunque dovrebbe essere più diffuso.

Non viene utilizzato come possibilità. Come potenzialità non viene compreso come tale, credo che anche i superiori più aperti lo vedano come ostacolo…invece questo potrebbe diventare un interessante ambito di approfondimento per capire come ripensare la propria organizzazione anche in funzione di strumenti nuovi; questo fondamentalmente lo è, uno strumento nuovo…ci sono anche uomini che lavorano su programmi grafici…PV 44

Le pare che il telelavoro sia accettato più facilmente in settori di lavoro privati dove già ci sono forme di consulenza di tipo autonomo, mentre negli enti pubblici la diffusione è più lenta e complicata anche per il fatto che manca la capacità (dei dirigenti) “ di valutare la performance per obiettivi e per progetto, non c’è la capacità, non ci sono gli strumenti.” E quindi è più facile esercitare un controllo “a vista” che sui prodotti del lavoro. Infatti Che ci sia la necessità di modificare modelli organizzativi delle imprese è l’opinione anche della responsabile del controllo di gestione di una grande impresa cooperativa, la quale nota che per le aziende, molto tradizionali, “è importante sedere su quel posto”, che i dirigenti possano vederti anche se poi il lavoro effettivo lei lo svolge al 90% da sola, in una stanza, con un computer e una scrivania. Potrebbe farlo benissimo da casa e, per vicende familiari luttuose, ne avrebbe avuto necessità. Ma la sua conclusione è che.

il telelavoro è impensabile se non c’è una dirigenza di un certo tipo, se l’azienda non è moderna, con delle persone capaci di governarla. CB 44

E opinioni positive sul lavoro a distanza – non solamente un’opportunità per la conciliazione, dunque, ma un’opportunità di innovazione organizzativa – sono in parecchie ad averle espresse, pur mantenendo una riserva, o un avvertimento, sul pericolo che i tempi si confondano e il lavoro entri ossessivamente nella vita personale: da qui la necessità di imparare a tenere separate, se possibile, le due sfere. L’avvertimento non è secondario, visto che il lavoro a distanza è diffuso in molte professioni autonome. È quanto riesce a fare la traduttrice, (una volta dipendente statale in Argentina, oggi lavoratrice autonoma) a “staccare mentalmente, quando entro nel lavoro per un’azienda, mi si apre quel cassetto lì, il resto è chiuso.” Ma ammette anche di trovarsi in una situazione privilegiata, la figlia già grande, non ha impegni familiari.

La vita cambia completamente, anche per me è stata la prima volta che lavoro in modo autonomo. … E’ da poco tempo che lavoro da casa mia. Poco tempo se comparato ai 15 anni [di ufficio]. Sono 5 o 6 che lo faccio da casa mia. Io trovo molti vantaggi, ma forse perché sono da sola in pratica, non ho figli piccoli, non ho compagno che viva

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con me. In questo senso, nel mio caso specifico trovo molti vantaggi. Mi ha permesso di fare altre cose, di organizzarmi da sola. EB 52

Le testimonianze non consegnano un’unica esperienza e un’unica valutazione di telelavoro. Né tutta positiva, nè tutta negativa. Come sempre accade, la realtà delle cose è assai più sfaccettata e complessa. Ma l’obiettivo primario della conciliazione, se pure non privo di limiti e di conflitti non tutti risolti, viene sostanzialmente raggiunto. Soprattutto se si pensa questa esperienza come temporanea; se successivamente le condizioni organizzative familiari consentono di porre alcuni punti di difesa dalla sovrapposizione e dalla mescolanza dei tempi dedicati alla cura degli altri e allo svolgimento del lavoro professionale, che qualcuna “ha dovuto” praticare. Queste due sfere rimangono in conflitto. Il telelavoro consente una compatibilità alla qual dare la migliore, meno costosa soluzione.Alla flessibilità della gestione del lavoro a casa deve corrispondere la flessibilità nella ridefinizione, mutati i bisogni familiari, degli orari di reperibilità, dei giorni di presenza in azienda, delle modalità; un telelavoro rigido (negli obblighi aziendali) pare una contraddizione.La direzione deve essere nel senso di aumentare l’autodirezione dei tempi, di ridurre quelli costretti anche nella situazione domestica.In più, al di là dei problemi di conciliazione che riguardano i soggetti ma anche le imprese che si vogliono far carico del benessere delle/dei loro dipendenti, il lavoro a distanza viene valutato come uno strumento utile per modificare aspetti obsoleti delle organizzazioni, ancora per la gran parte legate a culture del lavoro basate sulla presenza piuttosto che sulla verifica degli obiettivi e dei risultati. Tanto che in telelavoro si può essere, con convenienza reciproca per la qualità dei risultati, anche quando i problemi di conciliazione sono divenuti meno pressanti.

4. ICT e discriminazioni

Considerando il problema nei fattori generali che producono forme di discriminazione e segregazione, come ostacoli “a monte” che si pongono nell’accesso e nell’uso delle tecnologie, c’è chi sostiene che i rischi di emarginazione sono molto più ampi che nel passato quando si sono prodotti “salti tecnologici”, perché la velocità dei cambiamenti e le modalità proprie della società della conoscenza tendono a escludere chi non è in grado, per motivi culturali, sociali ed economici, anagrafici, di accedere alla Rete. E dunque causano il Digital Divide. Tanto più che si stima che oltre i due terzi dei lavori saranno di fatto disponibili solo a chi di fatto conosce le tecnologie della comunicazione, le sa usare. Quindi è un livello di discriminazione molto ampio anche per i suoi risvolti di accesso alla vita democratica e alle informazioni e chi ne è escluso rischia di rimanere fuori dai sistemi di diffusione del sapere e della conoscenza.Un secondo livello di analisi cerca di individuare con quali meccanismi le ICT agiscano nei luoghi e nelle pratiche di lavoro, contribuendo a privare la componente femminile della valorizzazione e dei riconoscimenti adeguati anche in termini di posizioni ricoperte, di responsabilità gestionali, di percorsi di carriera. Una questione che, intrecciandosi con le più diffuse “discriminazioni nascoste”, molto ha a che fare con i pregiudizi e gli stereotipi “misogini” interiorizzati e riferiti alle scarse abilità tecnologiche possedute dalle donne. Che le confinano in ruoli definiti, “femminili”.

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Se si dovesse azzardare una sintesi, sembra che in maggioranza le intervistate credano soprattutto alla importanza di ragioni generali – strutturali in un certo senso - che pesano sulla vita lavorativa delle donne ancor prima che a discriminazioni dovute a specifici limiti nella conoscenza e nell’uso delle tecnologie informatiche che possono avere, o che vengono loro imputati. Perché chi a suo tempo non le conosceva ha dovuto imparare e chi si affaccia oggi sul mercato ne ha già sviluppato una pratica più che appropriata. Se infatti è diffusa l’idea che “Oggi non c’è un posto di lavoro che non abbia un personal e quindi le donne le usano come qualunque altro”, questo però non basta. Non è l’expertise “oggettiva” che fa problema, quanto i modelli di pensiero, i modelli di genere che informano i comportamenti di chi opera nel mercato del lavoro e di chi decide nelle organizzazioni: nel senso che contrappongono ancora e spesso universo maschile e universo femminile secondo stereotipi e immagini discriminanti.Disparità e discriminazioni vengono infatti ancor prima dei cambiamenti portati dalla informatizzazione nella organizzazione produttiva e nell’andamento del mercato del lavoro. Fattori “apriori” si stratificano con altri successivi. Lo esprime chiaramente la sessantenne responsabile di un ufficio con una forte militanza nel movimento femminista, la quale constata che non ci sono stati poi grandi miglioramenti nel mondo del lavoro e la disparità continua a caratterizzarne strutture e rapporti privilegiando ruoli e posizioni degli uomini; però le piacerebbe credere che ci siano ambienti che valorizzano le competenze, anche quelle femminili.

Io qui non l’ho visto [motivo di discriminazione]. Perché se vai in altri luoghi si stratificano altre cose che magari sono un a priori rispetto a quello di cui stiamo parlando. Sappiamo che i maschi sono quelli che vengono pagati di più. Ma queste non sono cose dovute…io temo che nulla sia migliorato. Può darsi che in qualche luogo di lavoro la tipa bravissima sia riuscita a scalzare l’imbecille...ma di fondo vi è questo zoccolo duro di disparità ed è chiaro che questa si riflette indipendentemente dall’oggetto che tu ti ritrovi. E poi ci sono ambienti ed ambienti di lavoro, dove magari viene davvero privilegiata la competenza. Secondo me ce ne sono ben pochi. AB 62

A riprova vale l’esperienza dell’ingegnere informatico che nella sua azienda nota una divisione che le conoscenze tecniche rafforzano: le donne assenti nel reparto tecnico, mentre nel customer care e nella amministrazione ci sono sei persone di cui il solo uomo è responsabile, le altre tutte donne: una struttura molto maschile, nella quale, come aggiunge più avanti, non manca la competizione “buona”, legata alle soluzioni da adottare.

Questo vale soprattutto nell’ambito tecnico, non c’è mai stato nella storia della società una figura femminile che avesse la responsabilità dal punto di vista tecnico, vi è stata per altri settori…Mai completamente si riesce ad uscire dalla competizione anche se uno si pone in un modo flessibile, aperto e non mette pregiudizi a alla vastità dei sistemi utilizzabili, ma si hanno sempre delle preferenze e quindi tende sempre a piegare la soluzione verso quelle che sono le sue preferenze o le sue competenze, rispetto a quella che potrebbe essere la soluzione più “tendente al migliore”. Dubito che si riesca ad uscire da una logica di competizione in questo senso. IM 30 m

Modalità di lavoro che scoraggiano, in genere, le donne; più orientate alla collaborazione.Se si passa infatti a un ordine del discorso più culturale e simbolico che poggia sull’immagine tradizionale e quindi sulla affidabilità di una donna che lavora, adatta

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solo per certi ruoli e mansioni, la percezione delle discriminazioni acquista contorni più precisi. Sembra poco affidabile e credibile una donna se vuole essere considerata in un ruolo, quello di esperta informatica o anche semplicemente che la usa con disinvoltura, che molti attribuiscono (ancora) agli uomini. Sono ancora poco diffusi modelli di riferimento che abbiano una valenza simbolica e culturale. E si creano ostilità che possono respingere e “fare mollare” chi non sa o non vuole lottare per imporsi. In molti luoghi di lavoro e in molti responsabili del personale ancora domina la convinzione che alle donne si addica soprattutto il lavoro di amministrazione (cioè la figura delle segretaria in tutte le diverse varianti). E’ l’esperienza di PB che sta frequentando un corso di informatica e non è il primo, ma nel suo curriculum le aziende vedono soprattutto le competenze legate all’ ambito amministrativo e fatica a fare accettare la sua formazione informatica:

Sono stata chiamata, per esempio, da una ditta anche poco tempo fa, mi hanno lasciato un messaggio in segreteria dicendo "Il suo curriculum è esattamente quello che stiamo cercando ". Io ero estremamente contenta perchè pensavo si riferissero al fatto dell'informatica e, quindi, stessero proponendomi una figura di quel tipo. Invece quando poi sono andata a fare il colloquio, il curriculum era perfetto per quello che loro dicevano era il lato amministrativo. PB 37 Focus

Stereotipi e ostilità gratuite, frasi ironiche e scettiche, mancanza di considerazione: tutti atteggiamenti che richiedono un di più di energia e di fiducia in sè per superarle. E spesso occorre dimostrare di sapere fare anche più degli altri, sperando che una certificazione ufficiale come quella guadagnata in un corso di informatica possa aiutare a respingere diffidenze.

Esperienze che ho vissuto sulla mia pelle non ne ho, nel senso fare un colloquio e sentirmi dire no sei donna o cose del genere fortunatamente non mi sono capitate, però ne abbiamo sentite, per esempio in questo corso: c'è una ragazza che ha fatto un liceo tecnico ad indirizzo informatico e alla fine del liceo hanno fatto tutti i compagni, uomini e donne, delle richieste di lavoro alle stesse aziende e hanno preso solo maschi...E' la stessa azienda dove ci sono i suoi compagni maschi che stanno lavorando, della stessa scuola, con la stessa formazione. A lei hanno detto: “No sei una donna e non puoi fare questo lavoro”. Lei ha fatto questo corso perchè voleva dimostrare di sapere delle cose che i maschi che erano in classe con lei già dimostravano...lei, che era una donna, ha dovuto fare anche questo corso perchè le dava degli argomenti in piu’...M R 29 Focus

Nel nostro corso c'era una ragazza che era una “smanettatrice autodidatta”, molto competente, però aveva fatto studi classici e anche lei non veniva per niente presa in considerazione, anche lei ha fatto questo corso perchè ha visto che non riusciva ad entrare in questo settore, mancava anche lei...un timbro. PB 37 Focus

In realtà è piu’ difficile perchè la donna... La visione che avevano un pò tutti era quella che io fossi la segretaria di qualcuno e tutti volevano parlare con qualcun altro che fosse al di sopra di me. Io vado a parlare magari con un gestore di un centro sportivo di Bologna, mi ascolta e non mi ascolta. Invece vado con un mio collega uomo, parla lui e vedo che lo ascolta in modo diverso. Il livello di attenzione che gli pone è differente e magari la ragazza molla prima. Cede prima perchè riceve piu’ porte in faccia ... a prescindere da quello che è il rapporto con le tecnologie che possono essere imparate da tutti; poi è vero va a interesse, di solito il ragazzo ha già sperimentato prima, ha già provato delle cose, quindi è un po’piu’ avanti... GS 23

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Focus

Discriminazioni che pesano.Questi modelli di pensiero vengono denunciati come determinanti, ad esempio, nell’organizzazione del Call Center, ambito di lavoro paradigmatico delle tecnologie informative e comunicative da un lato, della femminilizzazione dall’altro: una svalorizzazione punto e basta per la prima ragazza, quella che già ha detto di come i suoi interlocutori la pensino solo come segretaria di qualcuno; o, tutt’al più, una “valorizzazione” pericolosa, ci dice la seconda. Ma in entrambi i casi l’equazione “donna uguale capacità di comunicare con i clienti e non altro” è automatica. E la prima è riuscita (si tratta di una esperienza di inserimento lavorativo post laurea con tutor) a imporre un’altra immagine di sé e a salire, fisicamente e simbolicamente, al piano superiore, mentre le altre colleghe sono rimaste giù, “nel bunker”! La seconda continua il suo lavoro, oramai esausta (“dopo un certo tempo non ce la fai più a tenere la cuffietta in testa, subentra una specie di alienazione che ti devasta”) e duramente critica, nel Call Center. Situazione emblematica del mercato del lavoro postfordista, essa lo è anche per l’ alto tasso di discriminazione, e getta uno squarcio su una realtà di lavoro precaria che tante giovani soprattutto (ma non solo) subiscono; emblematica perché la tecnologia digitale permea l’intero sistema di organizzazione del lavoro, ma senza produrre i miglioramenti che ci si aspetterebbe (“il modello organizzativo prevede la capacità dell’operatore di gestire il cliente dall’inizio alla fine, ma di fatto non è così; rispondi alla chiamata, all’interno del computer inserisci la chiamata, la risposta la trovi nello schermo, gliela riproponi e dopo un po’ questo diventa assolutamente alienante”); paradigmatica perché mostra quanto anche una giovane – e non parliamo delle donne con figli - faccia fatica, in determinate situazioni, a conciliare la sua vita di lavoro con quella personale (“i turni escono ogni tre settimane con fasce orarie di mattina, pomeriggio e sera…le difficoltà di conciliazione sono davvero difficili e nel tempo si sono aggravate”); paradigmatica, infine, perché dice di un’organizzazione del lavoro che penalizza le competenze (di donne, ma anche di uomini) solo sfruttando alcune capacità, quelle del sapere comunicare in particolare, secondo il modello che caratterizza la femminilizzazione del lavoro in una accezione fortemente riduttiva …

Ci ho messo un pò ad imparare anche solo ad usare excell e comunque mi sento spesso dire “sei una donna", devi ripetere le cose più volte…Comunque, la scelta di prendere una ragazza è stata un pò forzata perchè mi sono imposta io, se no c'è la preferenza ad assumere solo ed esclusivamente ragazzi. Mi sono un pò imposta, hanno visto che alla fine realizzavo e mi hanno detto ok, va bene. Però molte altre ragazze che hanno provato dopo di me sono state tagliate fuori. Io avevo certe idee che volevo realizzare e che invece non si possono fare, mi dicevano. Io le ho fatte, sono riuscita a farle e quindi mi hanno detto ok, brava. Diciamo che mi avrebbero più assunta per una funzione di call center. Avevano più questa idea all'inizio, infatti io lì sono entrata semplicemente facendo telefonate; poi da lì ho voluto un ruolo più importante e mi sono imposta. Se no, come tutte le altre ragazze che ci sono, che fanno solo il call center, sarei rimasta li a fare quello. Voglio una scrivania più su, ho detto! GS 23 Focus

Purtroppo la determinazione e la sicurezza di sé non premiano sempre; in altro senso va la testimonianza della ragazza del Call center che ne analizza con lucidità il sistema ritenendolo “l’emblema del cambiamento della società moderna”. L’avvento delle nuove tecnologie ha proprio modificato il sistema di lavoro che prima si poteva definire

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fordista e lo ha inserito all’interno senza modificarne la struttura di potere. “Cioè è sempre un sistema fordista, inserito nella nuova dimensione tecnologica”. Pensando alle differenze tra il primo sistema e questo, individua una grande differenza nella parvenza di autonomia e nel sottoutilizzo delle competenze, anche se elevate, della situazione attuale.

Solo la parvenza di autonomia che questo sistema ti dà della competenza e della professionalità; ma in realtà rispetto alla ricerca di manodopera fordista precedente vengono cercate professionalità molto più alte; io vedo che in vodafone non solo sono tutti diplomati ma molti miei colleghi sono anche laureati e anche con percorsi post laurea, quindi con professionalità elevate che in realtà non vengono assolutamente utilizzate. Vengono sfruttate capacità comunicative, le persone non sono libere di svolgere il loro lavoro, di dare un apporto ma devono soltanto raggiungere un obiettivo imposto dall’azienda. A 28

Puntuali e severe le sue critiche alla organizzazione del lavoro nel Call center; esse sfociano nella critica alle politiche del personale che privilegiano quello femminile perché più adattabile, più ricattabile quando è condizionato dai problemi della doppia presenza. Infatti molte donne con figli ne sono attratte per l’orario a part time, ma poi non è che si lavori solo la mattina quando i figli sono a scuola, quindi anche la possibilità di conciliare le due sfere di impegno è irrisolta, si producono situazioni complicate e a volte drammatiche.

Intanto siamo soprattutto donne. E questo è un brutto e grande ricatto della figura femminile che il call center fa. Perché è un dato di fatto che vengono scelte le donne perché considerate più pazienti ma anche più ricattabili lavorativamente, perché purtroppo la donna, ad un certo punto della sua vita fa una scelta, avere figli, ecc., e quindi smette di essere un elemento utile all’interno della catena di montaggio. Quindi per le donne il call center è un’opportunità perché rientra nel mercato del lavoro, perché c’è il part time.

Donne, donne con figli fortemente sfruttate perchè sono più pazienti, più capaci di comunicare con la clientela esterna; ma questo, come dirà nel corso dell’intervista, più che un vantaggio è in fin dei conti una trappola. I rapporti sociali e produttivi di potere si appropriano ma svalorizzano quelle disposizioni – il gender diversity - che le donne mutuano dal loro orientamento e pratica alla cura senza cogliere la carica innovativa del loro modo di lavorare.

È molto negativo e discriminante, le donne si lasciano sfruttare ulteriormente per le loro capacità in più, si continua a costruire una società maschilista…Della donna viene sfruttata la parte più esterna, la sua gentilezza, la sua capacità di essere mamma, di accudire, ma certamente non viene riconosciuta la nostra capacità di organizzazione per l’innovazione. Si sfrutta soltanto l’apparenza…

C’è infatti la “doppia presenza”, quella materiale, della vita di ogni giorno che pesa davvero tanto, indipendentemente dalle tecnologie digitali e dalla abilità informatica; le condizioni di vita e gli impegni familiari delle lavoratrici, più della “discriminazione informatica” secondo alcune, creano condizionamenti e vincoli che influiscono sulle carriere lavorative: lo afferma una giovane che, sul resto, si sente competente e non discriminata.

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In realtà non credo, non penso che ci sia questa discriminazione; non l’ho notata e penso che la discriminazione se si può parlare di discriminazione sia legata ad altri aspetti, per esempio alla difficoltà di capire anche altri aspetti che sono legati alle necessità di una donna e non all’abilità con cui qualcuno mette in pratica le proprie competenze… la possibilità di conciliare vita privata e lavoro. FB 32

Ed è la stessa opinione di chi, single, nota con rabbia che la disparità si consuma in famiglia più che sul lavoro.

In termini generali, non in relazione all’ultilizzo delle ICT, non ci sono discriminazioni dove lavoro ora (prima sì, c’era maggiore propensione per i maschietti), ma spesso per le donne c’è il problema di sposarsi e avere bambini e può essere abbastanza pesante … i mariti delle donne con i bambini, se hanno l’influenza, non prendono neanche un permesso. Ed è terrificante! FG 42

Ed è anche l’opinione di chi, lavorando in un ente pubblico, ricorda che già all’inizio il numero delle donne era assai inferiore a quello degli uomini (per cui oggi si ritrovano più uomini nelle posizioni alte) e che gli ostacoli nascono soprattutto da una minore disponibilità di tempo che le donne hanno; benché oggi la distribuzione degli incarichi a ragazzi e ragazze le appaia davvero uguale.

Non ci sono discriminazioni in termini generali. Rispetto alle tecnologie, c'è chi è partito da più in alto come basi superiori e ha delle capacità superiori.No. Discriminazione no … Di donne all'inizio quando sono arrivata, ce n'erano tre nel nostro servizio e una era quella che adesso è la responsabile e faceva più un lavoro di analista, quindi era più in ufficio e le altre giravano. Quindi discriminazioni da questo punto di vista no. Dopo…nasce dal fatto che le donne, per forza o per amore, figli e cose del genere... e quindi uno magari si ferma un po' lì. E' un fattore che un po' ostacola, perchè una persona è meno disponibile e quindi le danno qualcosa di meno da fare.. però vedo poi dopo che quando ha di nuovo il tempo pieno, il tempo disponibile, non viene escluso, gli ridanno.. anzi finchè ne vuoi. E anche da quel lato lì adesso ci sono sia ragazzi che ragazze, anche programmatori arrivati magari da poco, più o meno a livello degli ingegneri, vengono usati, mi sembra, allo stesso modo. SL 41

Ma è indicativo che la reperibilità fuori dall’orario di ufficio sabato e domenica sera – un cellulare con un’apparecchiatura collegata al Pc con il quale da casa ci si connette alla rete - sono solo uomini ad averla accettata, benché ci fossero anche giovani donne capaci: fa gola, si ha un’integrazione allo stipendio, e gli uomini oltre l’orario di lavoro standard hanno probabilmente più tempo disponibile, la “doppia presenza” per loro non vale; e così si arriva poi alla differenze salariali che tutte, per principio, negano:

Perchè c'è l'incentivazione, magari che c'è un piccolo guadagno in più, sperando di poterne usufruire senza dover lavorare. La reperibilità fa gola perchè uno dice “io sono reperibile ma se non mi chiamano mai..”. Hai un minimo di guadagno... anche se l'impegno prevede che devi stare lì, non puoi andare lontano, devi essere rintracciabile, però insomma…E' nata adesso, con la nascita del nuovo ospedale. Io non ho accettato, anche perchè non sarei stata adatta, è sempre a livello un po' più alto che servono le competenze per fare queste cose… però è stata estesa a chi aveva le capacità. C'erano anche delle ragazze, ma gli unici che hanno accettato sono stati uomini. Secondo me per un fatto di... forse perchè l'uomo a casa pensa di avere un po' più di tempo. SL 41

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Per finire, una questione “controversa”: il punto di vista di chi, a proposito di discriminazione, mette l’accento non sui vincoli della “doppia presenza” in un certo senso dati per scontati come sulle resistenze culturali dell’ambiente a considerare le donne in posizione almeno paritaria rispetto agli uomini, quanto sulle caratteristiche della formazione e delle competenze tecnico- scientifiche maturate dalle donne. Non ancora sufficienti e diffuse per scalzare i tradizionali modelli di pensiero che assegnano una superiorità al maschio in questo campo. La questione è una vecchia questione che ha generato un lungo e complesso dibattito anche nel movimento femminista rispetto alle strategie da proporre: bisogna spingere le ragazze ad una formazione tecnica e scientifica più di quanto non avvenga? le ragazze vanno incoraggiate o vanno trattenute dagli indirizzi di studio umanistici che seguono più numerose e con maggiore naturalezza? E’ bene cercare di modificare i fattori culturali che determinano questi orientamenti di genere (a cominciare delle famiglie) oppure va rovesciato il punto di vista per valorizzare le competenze molto sottostimate, di tipo umanistico, più legate all’orientamento alla cura? La preparazione tecnica potrà anche essere faticosa da acquisire, ma bisogna appropriarsene vedendone la necessità e l’utilità, dicono alcune intervistate, tutte impegnate direttamente nel settore informatico; pur di diversa età ed esperienza, affermano la stessa cosa: che è comunque una necessità entrare nel linguaggio tecnico anche partendo da una preparazione non specifica ma amatoriale, applicandosi allo studio, non ritraendosi e delegandolo agli uomini.

Qui non ce ne sono, perchè credo che non ci siano qui dentro discriminazioni. Però ti posso dire come la penso. In questo caso io penso che comunque si debba far qualcosa per non essere discriminate. Perchè prendi un manuale, te lo studi un attimo e se pensi di essere discriminato perchè non sei in grado di utilizzare word, riesci a colmare una lacuna. AC 30

Il discorso di “andare avanti” è legato al fatto che io personalmente sono molto attenta, ho cominciato ad approfondire, a superare i livelli di competenza e di conoscenza quasi amatoriale. Ciò significa appunto approfondire il discorso prettamente tecnico, lavorando e studiando... GM 50

C’è un’unica giovane donna (dipendente di azienda cooperativa di distribuzione che sta 6/8 ore davanti al terminale) che stabilisce un legame fa abilità nelle tecnologie, crescita lavorativa, opportunità di carriera o meno; anche se considera comunque importante la capacità di lavorare in gruppo. Non è il suo caso, lei che si sente riconosciuta e valutata positivamente, ma potrebbe capitare.

Il fatto di essere più o meno adatti o, comunque abili nell’uso delle tecnologie può essere un elemento determinante per quanto riguarda la crescita lavorativa; altre forme di discriminazione non ne vedo. Può essere una forma di discriminazione più soggettiva di approccio al lavoro…come ad esempio essere discriminati per la propria incapacità di far parte di un gruppo di lavoro…non abbiamo differenziali salariali per sesso poiché abbiamo un contratto collettivo nazionale a cui viene applicato un contratto integrativo aziendale…non esistono certo contratti personalizzati… Vivo comunque il mio futuro positivamente all’interno del luogo dove lavoro perché sento che sono riconosciuti i miei meriti. SP 30

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Dunque, sono la cultura e la struttura del mercato del lavoro da un lato e il sistema dei rapporti sociali di genere dentro e fuori la famiglia dall’altro che mantengono in essere, anche nelle trasformazioni indotte dalla diffusione delle ICT, forme e situazioni discriminatorie a carico delle donne. Benchè di fronte a questi problemi strutturali non sono sufficienti le abilità delle singole, tuttavia alcune avvertono comunque la necessità di un empowerment femminile nelle tecnologie, affrontando la rottura della barriera tecnologica. Per farne crescere l’autonomia. Che in questo debba esserci una sensibilità “femminile” per come abitualmente essa si esprime, è del tutto ovvio. Ovvio che una maggiore conoscenza dei linguaggi tecnici non debba avvenire a scapito degli altri linguaggi e abilità propri del modo di essere delle donne nel lavoro.Tanto che pare adeguata la conclusione di una testimone che opera appunto per l’alfabetizzazione digitale degli/delle adulte con particolare attenzione a cittadine e cittadini a rischio di emarginazione. La quale sottolinea che se le competenze in ingresso delle giovani donne sono anche migliori di quelle dei coetanei maschi, poi esse incontrano altri ostacoli presenti nel mondo socioproduttivo che rallentano e discriminano nel percorso di carriera, perché la segregazione è più o meno storica.

La mia esperienza è che comunque sia il divario, diciamo la segregazione, se così possiamo parlare, è legata a fenomeni più complessi che prescindono dal fatto che le donne sappiano o non sappiano usare il computer. …Oggi la conoscenza è tutta attraverso internet. Però poi quando queste giovani donne arrivano ad inserirsi nel mondo professionale trovano degli ostacoli che sono presenti nel contesto socio-produttivo in cui vengono inserite. Allora, diventano difficilmente manager, nelle banca non ricoprono mai posizioni… in politica ancora peggio, insomma la segregazione è più o meno storica. MMTP

E dunque occorre mettere in piedi azioni positive, desegreganti. Come quelle dell’Equal in oggetto, o come quelle promosse dalla stessa testimone che, quasi contraddicendo all’affermazione precedente, vogliono essere occasioni di empowerment digitale. “Noi siamo convinti, ed è per questo che abbiamo promosso il progetto ‘donne e nuove tecnologie’, che comunque l’uso del computer e di internet può favorire quelle aggregazioni femminili che aiutano a superare questi meccanismi, cioè la Rete anche come strumento di aggregazione.” MM TP

Se si dovesse rispondere allora alla questione del se e quanto i nuovi scenari descritti dal mercato del lavoro postfordista, a partire dalla cosiddetta “femminilizzazione del lavoro”, sono a favore delle donne riducendo le cause e le situazioni di discriminazione, la voce delle donne incontrate lascia molti dubbi aperti, indica contraddizioni non risolte. Indica potenzialità ma anche forti elementi conflittuali che le donne vivono nel lavoro. E che le tecnologie digitali e telematiche non risolvono.

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III Apprendere linguaggi e saperi

1. Capacità alla prova tra pregiudizi e realtà

È uno di quei temi, quello che si è definito come “apprendere linguaggi e saperi”, non facile da delimitare; sconfina continuamente con altre questioni – intese come risorse nella formazione della costruzione di sé - che vanno dagli studi fatti all’appartenenza generazionale, dalle opportunità lavorative alla curiosità, al desiderio personale di impadronirsi di conoscenze che realizzano una pratica di autonomia, a volte di diversità rispetto ai modelli femminili più diffusi. Donne che non rifiutano apriori saperi tecnici, che non si lasciano bloccare – impaurire sì, all’inizio - da un oggetto misterioso… Ma che possono dirsi alla fine, con soddisfazione, che ce l’hanno fatta. Superando le difficoltà con diverse strategie. Quello che conta è avere disponibilità e interesse (almeno un po’) a mettersi in gioco, determinazione e tenacia, passione, talvolta.

Un apprendimento sul campoUna costante nelle esperienze raccontate sembra essere una modalità di apprendimento “pratico”, imparare per prove ed errori successivi, sul campo; che è anche il modo di imparare da autodidatta quando sorge la necessità. Meno frequente, è di poche (dati questi soggetti intervistati) l’apprendimento strutturato di un percorso di studi ad hoc, di una conoscenza teorica e tecnico-scientifica. E spesso si è formato un mix di saperi umanistici integrati appunto dalle conoscenze pratiche e informali acquisiti in itinere sul funzionamento dei programmi, di internet.È il caso della catalogatrice che, pur avendo fatto studi tecnici, poi ha completato all’università la formazione umanistica che ora le è utile per un approccio multidisciplinare sui documenti. Sicchè ora competenze informatiche e umanistiche si intrecciano.

I miei studi tecnici sono così remoti che mi vien da dire che non utilizzo alcunché, sono settori in cui l’obsolescenza è rapidissima…quel poco, pochissimo di informatica che so l’ho appreso sul campo, non posso farlo risalire ai miei studi invece della mia formazione umanistica sì perché alla fine anche se in modo più ridotto rispetto all’inizio io tratto dei documenti, devo riconoscerli, individuarne il contenuto, descriverlo…una capacità che ha a che fare con il linguaggio…è un approccio interdisciplinare di tipo umanistico. Il resto l’ho acquisito strada facendo. adesso posso dire bene o male le padroneggio, ma può uscire una innovazione per cui “vado di corsa”. LG 44

E del metodo del provare e riprovare si dice convinta, per sé, anche la giovane grafica, ora con un incarico politico in Comune riferito alle politiche verso i giovani (per i quali si impegna fra l’altro nella diffusione di Linux).

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Per come sono fatta io, ho un approccio pragmatico con l’apprendimento…devo provare a fare. Non posso mettermi a leggere un manuale per imparare a fare fotoshop, meglio affiancarmi a una mia amica, guardare lavorare, seguirla…ho sempre imparato così, guardo e poi copio…anche a sciare! E anche il programma di grafica di Linux, facendo…ER TP

Formazione sul campo anche della dipendente della cooperativa di distribuzione che oramai sono più di venti anni che lavora con strumenti informatici avendo cominciato con “i mitici Mac 512”. E la cosa che ricorda con piacere è che, mostrandole quelle macchine le dissero “questo è il manuale. Vedi di capirci qualcosa”. Non solo ci ha capito, via via ha seguito l’evoluzione dei programmi e delle macchine con “una formazione da zero.” Oggi, dopo tanti anni, riconosce a se stessa la caparbietà di chi, a differenza di quante e quanti hanno avuto resistenze “mostruose”, dice a se stessa.

questa è la bicicletta, io devo pedalare e si pedala così.

Ma degli strumenti informatici pensa che alla fine i computer sono stupidi, più facili a capirsi dei sentimenti umani; e conta molto la capacità di sapere parlare, quella formazione umanistica che le proviene dagli studi al Dams e che le consente di parlare e farsi capire da tutti; responsabile del controllo di gestione, il suo lavoro trasversale dialoga con tutti i settori dell’azienda (virtualmente e face to face) ai quali deve trasmettere precisi elementi per predisporre “i numeri del bilancio”.

Io penso di avere una testa abbastanza quadrata, comunque i computer sono molto stupidi e molto quadrati. Io faccio più fatica a capire i sentimenti umani, è più difficile capire i sentimenti umani, come si muovono le persone e cosa possa loro succedere un giorno rispetto ad un altro…i PC sono gnoccoloni, sono quadrati,… CB 44

Un po’ più vecchia di età ma più giovane di anzianità lavorativa, anche per la coordinatrice di servizi per anziani l’approccio ai linguaggi informatici – non conosceva nulla, era un’esigenza di lavoro – è stato facilitato dalla curiosità; che nemmeno ora l’abbandona per migliorare conoscenze e padronanza. Soddisfatta nel misurare il percorso fatto, ricorda che tutti gli altri operatori avevano proprio paura, mentre lei si era comperata un Pc e a casa si esercitava per non sbagliare.

Il cambiamento forte è stato quando ho iniziato a lavorare, all’età di 40 e passa anni…Questa è stata la mia grossa soddisfazione in tutto questo. Quando si comincia a 42 anni il dubbio di essere in grado è molto forte e pensi a tante cose. Poi vedi che pian piano riesci…lavori in excell, fai calcoli, inizi ad elaborare… La mia voglia di conoscere bene i programmi del PC è perché io voglio utilizzarlo, ma lo voglio utilizzare al meglio. Se una curiosità si ferma davanti ad una incapacità è brutto perché dopo ti fermi e ti passa anche la voglia. Mi hanno regalato un PC portatile proprio perché lo amo e lo voglio conoscere. E’ stato un regalo meraviglioso, lo voglio usare in tutti i modi possibili, per fare più cose di quelle che so fare ora, la mia curiosità è tanta. PC 50

L’età è certamente un fattore che pesa nella disponibilità mentale e allora, come la responsabile di un servizio Arci (ma non è la sola), si accetta di imparare solo ciò che serve lasciando perdere il di più; nel corso del tempo si è rassicurata perché è cercando

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di risolvere da sola e sbagliando che ha fatto molti progressi, superando il “terrore” dell’inizio:

Sicuramente delle difficoltà quando ci sono programmi nuovi. Forse è anche un problema di età. Nel senso che io non ho usato il computer da giovane. Quando avevo 20 anni io, il computer non si usava. E quindi tutto quello che ho imparato l'ho imparato da grande. E quindi ci sono dei meccanismi che non sono... me li possono spiegare ma.. A me del computer interessa imparare quello che mi serve. Tutto il resto, è come ci fosse un filtro e non riesco a... Mi dico alla fine: 'mah ascolta inutile perdere tempo, tanto non mi interessa, non mi interessa capirla.' Se una cosa in quel momento non mi serve, io non voglio ingombrare la mia testa con questa roba qua. Nel senso: non mi interessa. Ho imparato, forse sbagliando col tempo, a lasciare perdere quello di cui posso fare a meno. Non è un mio obiettivo. LH 53

È evidente che, date le caratteristiche delle persone intervistate, tutte, pur con diverso grado di approfondimento, hanno messo alla prova le loro capacità di apprendere in un percorso mai finito, sollecitato continuamente dalle richieste del lavoro ad aggiornarsi imparando nuovi funzionamenti, nuove applicazioni.Ciò che segna una differenza significativa nella autorappresentazione comunicata è l’atteggiamento di fondo, l’atto performativo iniziale si potrebbe dire, con il quale le intervistate si sono accostate agli strumenti e ai linguaggi informatici. Si intravede una differenza molto legata all’età e alla professione praticata. Le donne giovani esprimono con più facilità un rapporto emotivo di piacere e passione che, più che nascere dalla formazione è in relazione alla sicurezza di sé, all’immagine di donna che vogliono essere e trasmettere. Diversa (anche loro hanno lo stereotipo della donna tecnologicamente incapace?), una che si pone in modo antagonista e ama la tecnologia, che vuole esplorare ed esplorarsi. È un’immagine legata a un orientamento identitario che si pone “contro” altre immagini di donne reali diffuse nell’ambiente in un confronto con il resto del mondo e dunque anche del mondo maschile (di uomini reali, di immagini del maschile).La giovane trentenne che sta cimentandosi con la costruzione di un sito web pur non avendo alle spalle una formazione specifica, è sorretta nelle inevitabili difficoltà dal piacere di misurare le sue capacità e dalla volontà di non arrendersi, soprattutto di non arrendersi allo stereotipo corrente “della donna che non ama la tecnologia e non osa”, superando così anche l’ansia. È questo un approccio maschile si chiede, lei che è contornata da altre donne? Non ne fa un problema, le piace così.

[E qual è la donna che rientra negli stereotipi?]Intanto la donna che non ama la tecnologia. La donna che non osa, non tanto che non ama. Invece bisogna osare secondo me.. il computer, non dico che non abbia limiti ma è... come dire...un gioco. Io non ho paura di niente, nemmeno del famoso “Canc”, secondo me c'è una soluzione a tutto. Non mi spaventa il Pc, non mi spaventa la schermata nera, la modalità provvisoria e tutte queste altre cose, anche perchè altrimenti non avrei assunto io la responsabilità del back up. E l'ho presa anche un po' sotto gamba a dir la verità... perchè se mi agitassi per queste cose non vivrei più. Una filosofia della “me la lascio un po' scivolare addosso questa paura della tecnologia”. Forse questo è l'approccio maschile. E sono anche un po' incosciente, e mi piace. AC 30

Il confronto con altre donne, anche nel suo stesso luogo di lavoro, le fa dire che non osano probabilmente per scarso interesse (È sua la frase: Valutano la tecnologia come il

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ballo latino americano. Vado a ballare se mi interessa, se no sto a casa!). E lei, pur non sentendosi veramente competente è però tranquilla, perché “ Comunque sia, oso, provo e sono arrivata a un buon livello.” Semmai vede i suoi limiti nella scarsa attitudine alla teoria e come altre va avanti per prove ed errori, colmando le sue lacune a poco a poco con l’aiuto degli strumenti che trova on line:

Torno al manuale. Soprattutto ai manuali on line che sono molto comodi e ai forum on line. Vado nei forum a cercare le risposte ai quesiti, ai problemi che riscontro.

L’intreccio di curiosità e sicurezza traspare anche in altre donne giovani che più dei timori inevitabili soprattutto all’inizio, mettono in primo piano il rapporto emotivo di familiarità che facilita l’apprendere e affina le capacità: si parla al Pc in una forma personalizzata che ne fa un altro piuttosto che un oggetto.

Sicuramente [il rapporto] è cambiato da quando ero a scuola e poi al lavoro; a scuola non ne vedevo l’effettiva utilità o praticità, non mi interessava. Al lavoro vivo con curiosità tutta la parte di approccio iniziale, poi quando mi metto ad usarlo l’ansia di iniziare a parlarci “oddio perché non mi risponde?” Però so che comunque il modo c’è, mi irrita quando vedo che non riesco a saltarci fuori, e mi chiedo dove è quel comando che avevo visto sei mesi prima…però lo vivo in modo produttivo e sicuramente, quando ne colgo le potenzialità immense, mi piace moltissimo lavorarci. È l’entrare nell’intimità di quel linguaggio (di quell’oggetto/ corpo) che fa superare difficoltà ed errori.È come se studiassi una nuova lingua, è ovvio che non hai tutte le basi subito, ti destreggi un attimo, fai tantissimi errori, ma poi pian piano ci prendi la mano. L’entusiasmo vi è sicuramente. LP 28

Sicchè, quando trova qualche intoppo, lei che sta iniziando a creare qualche sito dopo avere realizzato anche “alcuni programmini, per quanto piccoli e per quanto non utilizzando il codice, ma semplicemente l’applicativo per come è già configurato” sa come cavarsela, benché sia scarsa la sua fiducia negli strumenti di supporto in linea. Anche lei, come la giovane precedente, ha sviluppato una relazione intersoggettiva con lo strumento tecnologico, lo investe della sua rabbia comincia a tirare accidenti, accendere e spegnere il Pc, a considerarlo un affronto personale. E alla fine ricorre o al padre o ai manuali, si arrangia.

Il piacere di fare lavorare il suo cervello in un apprendimento continuo è quanto fa notare un’altra giovane che, gestendo contemporaneamente i tempi del lavoro e quelli dell’autoformazione, spesso sente un vuoto, un’assenza; abbastanza sicura dei suoi mezzi, ha bisogno della sensazione che il suo “cervello funzioni come una spugna”, sia sempre attivo.

Adesso sicuramente sì, dopo sette anni di lavoro la formazione te la fai, la sicurezza ce l’hai nel senso che…devi mettere in conto una formazione continua della quale senti la mancanza se viene meno. Proprio una cosa di cui hai bisogno. Ti manca quella sensazione del cervello che funziona da spugna e raccoglie tutto quello che hai intorno. PV 28

Esigenze che altre hanno espresso, consapevoli che “la tecnologia va avanti in fretta” e se non ci si tiene al passo si comincia a fare fatica rischiando di rimanere indietro (SL

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41 lamenta una certa inerzia da parte della sua azienda USL che non la sollecita a conoscere nuovi prodotti che potrebbero migliorare la comunicazione con i cittadini e non le offre occasioni i formazione) o addirittura di regredire se ci si laccia un po’ andare anche per la presenza di chi in casa ne sa di più, il marito (“Sto diventando molto più ‘babbiona’ adesso rispetto alle ultime evoluzioni tecnologiche, sono meno ricettiva di un tempo” PV 44).

Se c’è dunque uno stereotipo che non regge nelle esperienze incontrate è quello della scarsa capacità delle donne di misurarsi con i mezzi e i linguaggi informatici; la loro ridotta voglia di imparare e di accontentarsi dei primi gradini. E anche la incapacità di destreggiarsi quando capita qualcosa di imprevisto: prima di ricorrere all’esperto (il tecnico informatico, abitualmente), lo si è già colto in altre testimonianze, si mettono in campo tutti i tentativi. Per essere (più) autonome.

Personalmente nei confronti degli strumenti che utilizzo mi capita spesso di avere delle difficoltà, ma anche di malfunzionamento…se va giù la rete non riesco ad accedere alla posta…prima di ricorrere all’esperto, al tuttologo, il mio atteggiamento, come del resto quello delle mie colleghe è quello di provare a vedere se troviamo una piccola soluzione o se abbiamo correttamente eseguito tutte le procedure che ti permettono di usare in modo adeguato lo strumento. Questa è una cosa fondamentale, è una modalità di approccio che noi abbiamo quasi mentalmente, un tentativo di essere un po’ autonome. Dopo di che, se questa cosa non funziona, e dipende anche dal tipo di problema, si consulta l’esperto facendosi dare delle indicazioni…Diciamo che questa è la metodologia che io attualmente utilizzo. FP 42

E’ un atteggiamento attivo che occorre avere anche nell’acquisizione di nuovi prodotti; l’approccio non è prevenuto, bisogna darsi una ragione – di obiettivi pratici - per imparare il nuovo e orientarsi dentro un ventaglio di offerte che ogni giorno aumenta.

La prima domanda è: “a che cosa mi servono e per che cosa”, “ mi fanno lavorare di più o di meno, meglio o peggio?” La fatica che devo fare, perché metto in conto che è una fatica, quando arrivano nuovi prodotti, nuovi sistemi …quindi ho una mentalità molto legata al fatto a che cosa mi può servire, molto funzionale….da questo punto di vista. E devo trovare una logica, una motivazione a fare questo. Superato questo primo esame, che è un esame diciamo di un livello minimo di metabolizzazione che può durare anche pochissimo tempo, poi mi ci metto in modo attivo.

Ed essere attive di fronte a nuovi software vuole dire, sostiene sempre la stessa responsabile di una cooperativa di servizi, “essere rigorose, puntigliose, caratteristiche che lego al nostro modo di lavorare di donne, che ci permette di tirare fuori il meglio; le nostre osservazioni critiche spesso sono accolte.” Insomma alcune sono divenute anche utilizzatrici esperte che si guadagnano la fiducia dei tecnici con le loro osservazioni. “Mettersi in modo attivo” significa anche “entrare dentro” al programma, più in generale aderire (o adattarsi) alle caratteristiche proprie del linguaggio dell’informatica, cosa che potrebbe anche apparire limitante della creatività personale “costretta” in una struttura percepita come vincolante: un’attitudine ostica per chi deve le sue conoscenze a un approccio informale e pratico; “naturale” invece a chi, con studi appropriati, ha appreso la logica di un sapere astratto. Questo dice infatti la giovane dipendente di una cooperativa di distribuzione che ha avuto una preparazione scolastica e universitaria impostata sull’informatica e per questo, oppure oltre a questo, non ha mai avuto ansia nel rapportarsi con il Pc, “sempre

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curiosa del lavoro che mi poteva togliere e anche delle cose nuove che avrei potuto imparare.” E non si sente limitata, il suo rapporto è così disinvolto da potere giocare con la tecnologia scegliendo lei i percorsi da seguire.

Per quanto riguarda la creatività penso vi siano diversi approcci. Il mio approccio è quello di sfruttare al massimo un sistema per ottenere un risultato, quindi lo vedo non come una cosa così rigida, io posso giocare con l’informatica, con la tecnologia. Per esempio ho bisogno di recuperare la data di consegna di un articolo o il valore di un articolo…posso giocarmela non certo il valore in senso stretto, ma ad esempio posso scegliere il percorso attraverso cui giungere al risultato. Se mi trovo ad analizzare una problematica, una anomalia che mi esce sulla marginalità di un articolo, sono io che decido con il mio cervello di andare a vedere dove è il problema. SP 30

Ha fatto tanto sua la struttura logica dell’informatica, che un’altra giovane si scopre persino a ragionare in quel sistema dello “zero/uno” nella vita quotidiana, con una naturalezza sconosciuta a chi non è del mestiere. Disinteressata a cogliere un eventuale approccio femminile alle tecnologie, vede che la differenza sta nel modo di ragionare.

Noto che per il tipo di studi che ho fatto, il mio modo di ragionare è variato, mi sono accorta molte volte che nella vita quotidiana ragiono, oppure mi aspetto delle risposte dall’ambiente o da me stessa che vanno nella dimensione dell’informatica. L’informatica è zero, uno. Molto tecnico. Quando inizi a studiare molto presto ed entri in questo ambito ragioni in quel modo, vai proprio a scelte e te ne rendi conto…Noto invece che chi è grafico e parte da uno studio, una formazione diversa, i programmi risultano ostici. Per me non lo è, ma perché impari a ragionare in quel modo, tutto lo cerchi in quel modo. La struttura dei programmi, dove andare a cercare le informazioni che ti servono. Per me è immediato, chi invece non ha avuto la stessa formazione non sa come muoversi, non trova le cose, non capisce…gli manca proprio quello scatto di ragionamento che un tecnico acquisisce nel tempo. PV 28

Stando alle testimonianze raccolte, l’apprendimento informale “per prove ed errori”, pratico e sul campo tipico delle generazioni non più giovani e in larga misura autodidatte, è apparso più diffuso di una disposizione cognitiva logica e astratta che richiede un’acquisizione dei codici propri dei saperi informatici. La questione, rilevata anche in altri studi empirici, mette in luce una differenza generazionale31: quella appunto di una cultura ambientale e personale che porta il gap di genere ad assottigliarsi se non a scomparire del tutto nelle nuove generazioni.

La “barriera” della tecnologiaInfine, c’è un punto di vista che accomuna più di una intervistata, giovani e meno giovani in questo caso, che in tema di apprendimento dei linguaggi delle tecnologie digitali fanno un altro ragionamento di cui occorre dare conto. Per completezza nel riportare il ventaglio di opinioni, ma soprattutto per la pertinenza della questione sollevata. Pur non smentendo la capacità delle donne di impadronirsi in generale degli usi pratici (se non dei linguaggi) delle tecnologie digitali, alcune mettono in guardia da un pericolo o forse meglio da un limite non di poco conto. Quello della “barriera tecnologica” che vedono molto, troppo diffusa fra le donne. E che continua ad

31 Cfr. G. Merlo et al, Dentro o Fuori, cit., pagg. 144-148.

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alimentare un divario soprattutto culturale e sociale, mentre le opportunità, proprio per le competenze portate nel lavoro, sarebbero elevate.

Credo che ci sia un atteggiamento nostro di dovere infrangere la barriera della tecnologia. Ora si trovano prospettive di carriera, se fossi informatica pura avrei molte più prospettive. Credo che le donne, unendo le competenze e il saper essere, sarebbero avvantaggiate. EM 44

E la giovane dipendente del Call Center altre volte richiamata, incerta a quale fattore attribuire le predisposizioni femminili ma constatando dalla sua postazione di lavoro che la differenza non gioca a favore delle donne, ne fa un portato della cultura italiana scarsamente orientata alla formazione tecnica in quanto prevalgono “cervelli umanistici”.

Purtroppo potrebbe anche essere vero. Lo vedo anche a lavoro vedo che i colleghi che svolgono l’assistenza tecnica sono soprattutto uomini. E anche questo non so se dipende da noi che non siamo portate ad occuparci di questo o se sia un problema più generale che sulle donne ricade in modo più drammatico. Nel senso che noi in Italia da un po’ di tempo a questa parte, sforniamo tutti cervelli umanistici e ci stiamo allontanando dalla tecnologia e quindi le donne a maggior ragione ….A 28

Si tratterebbe, per lei, più che di un “diverso sistema cognitivo, di un sistema culturale che viene assimilato dal modo di vivere dalla nascita in poi”: cioè di modelli sociali e delle pratiche discorsive che ascrivono ai generi differenti ruoli, perpetuando in tal modo – con la nostra complicità, sostiene - stereotipi e pregiudizi, il gap di genere.

Siamo noi le prime a costruirli. Basta pensare alle automobili. Altrimenti non si spiega perché facciamo funzionare i frullatori così bene! Anche quando parli al telefono con i clienti trovi sempre più spesso la cliente che dice che non ci capisce niente. Gli uomini non lo ammettono anche quando non ci capiscono niente ma soprattutto si impegnano ad impararlo. Noi ci adagiamo in questa posizione sulla parte maschile. Siamo più propense a rivolgerci a loro. Lo vedo con me stessa: io abito da sola, ho una coinquilina donna e quando si rompe qualcosa non ci viene proprio in mente di cimentarci … ci terrorizziamo! A 28

Una ammissione che va al cuore del rapporto Donne/ tecnologie / divario di genere, nei meccanismi sociali e culturali che vi sono sottesi: non specifici, sembra, verso le tecnologie informatiche in particolare, quanto piuttosto verso le /la tecnologia (e i codici scientifici) in generale. Che il rapporto con la tecnologia e con le macchine tecnologiche sia da approfondire nei suoi molteplici risvolti è l’opinione anche di chi è arrivata ad occuparsi di informatica partendo dalla macchina fotografica e dalla telecamera. Per utilizzarle, le macchine, occorre conoscerle dal di dentro e se si vuole andare oltre il livello amatoriale bisogna appropriarsi del linguaggio tecnico, qualunque esso sia: una esortazione, la sua, a “studiare, acquisire competenze lo ritengo indispensabile; è una cosa che si deve fare se si vuole lavorare.”

Il discorso di “andare avanti” è legato al fatto che io personalmente sono molto attenta, ho cominciato ad approfondire, a superare i livelli di competenza e di conoscenza quasi amatoriale. Ciò significa appunto approfondire il discorso prettamente tecnico, lavorando e studiando la macchina fotografica… Tu devi partire, secondo me, da una base tecnica poi su quello giochi con la fantasia, con la creatività,

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magari reinventando anche la parte tecnica e cambiando le regole…ma prima le devi conoscere, perché sennò vai a caso. GM 50

La questione che è stata introdotta non si esaurisce qui; si ripropone anche di fronte alla possibilità – o alla richiesta – che tecnologie e linguaggi possano diventare più facili da usare e in questo modo essere più accessibili. A proposito della possibilità di tecnologie “amiche”, la giovane dipendente di laboratorio informatico prima citata ritorna sulla sua constatazione di fondo lamentando che occorre piuttosto “cambiare la testa della gente e non considerare un alieno quel linguaggio o non sarà mai umanizzato” (PV 28). Sembrerebbe un po’ arrogante la sua affermazione che “manca tantissimo la voglia di imparare. Noi lo apriamo (il Pc), proviamo a smanettare un po’ e se non ci viene, lo chiudiamo, perché…la cosa deve esser comoda e facile”. Arrogante e anche un po’miope, le stesse storie di questa ricerca lo testimoniano. Ma prendiamone lo spirito che nasce dall’ interesse per quello che fa, quando ricorda – certamente anche a se stessa - che così funziona sempre nella vita: se una cosa la si vuol fare bene, sei tu (noi) che devi (dobbiamo) assumercene l’impegno. E l’impegno, a sessanta e più anni, non è di poco conto.

2. Imparare a sessanta anni…”non siamo tonte”

Quelle che seguono sono esperienze di alfabetizzazione informatica nella terza età, la fascia nella quale è alto il divario digitale di persone (donne e uomini) che sono state distanti dalle tecnologie pur avendo avuto un lavoro. I processi di apprendimento in età avanzata non sono facili, tanto più se l’ambiente è indifferente se non ostile, le motivazioni contraddittorie ed esitanti, le rappresentazioni delle tecnologie più negative che positive.Le tre esperienze sono dunque significative, a grandi linee, di almeno due possibili atteggiamenti indicativi del rapporto fra uso delle tecnologie informatiche e donne sessantenni: le primi due di apertura, di motivazioni, di gratificazione; la terza di chiusura, di diffidenza sostanziale vero le tecnologie di cui vede più i pericoli che i vantaggi32.Quando, ritiratesi dal lavoro, molte trovano finalmente la voglia – e il tempo – di avvicinarsi al computer, c’è in genere l’entusiasmo di una scoperta dalla quale si erano sempre tenute lontane: per diffidenza, per disinteresse, per mancanza di tempo, per dissuasione dei figli (maschi). Per modelli di ruolo femminile. Grande è lo stupore – e la soddisfazione - di esserci riuscite pur nella troppo breve durata del corso a cui hanno partecipato:io mi sono resa conto che non sono cose impossibili da imparare, anche alla mia età (XX 60).Donne non affatto digiune dai processi di apprendimento: al contrario, insegnanti in pensione e non solo di materie umanistiche (come ci si aspetterebbe). In pensione anticipata per motivi familiari (ammalati in casa da accudire), guardano con rammarico

32 Un’analisi di genere del rapporto con le tecnologie informatiche che presenta diversi punti di contatto con quanto esposto in questo paragrafo è stata fatta da A. Monti, Tecnologia, genere e terza età: uno studio sulla costruzione discorsiva, in F. De Ruggeri e A. R. Pugliese (a cura di), Futura. Genere e tecnologia, Roma, Meltemi, 2006.

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al pensionamento di cui ricordano il senso di vuoto e di angoscia, private di un’attività e, fanno capire, di una identità; col rischio di essere private, anche da pensionate, di un tempo per sè.

Siamo insegnanti a riposo, ma io sono stanca di riposarmi! (RM59)E poi, quando una va in pensione tutti dicono “ma tu hai tempo. Vieni, stai qui! Fai là, ho bisogno di questo e dell’altro…XX 60

E oltre a questo, anche i figli più che un aiuto sono stati un ostacolo, fonte di altra frustrazione - ma lascia perdere alla tua età! – e impazienti al di là di generiche parole di incitamento. Loro invece hanno risposto alle difficoltà con il puntiglio, con la sfida personale di chi non vuole essere messa da parte da un mondo che le esclude.

Sì, perchè ci si sente anche esclusi. Perchè adesso l'unica cosa di cui parlano è il computer e il computer, hai visto Internet, hai chattato, chattato vvhshhh... chattato, io cos'ho... chattato?! RM 59

Difficoltà ne hanno avute? Certo, ma superabili; anche l’inglese si può imparare, quindi grandi soddisfazioni emotive ed intellettive per avere constatato che si può superare la paura, che si è cominciato a entrare in un sistema, che si è aperto un mondo nuovo attraverso internet. Al punto che si sogna di “diventare un genio del computer”.

Anche se sono state quattro o cinque lezioni.. e volere fare tutto in questo poco tempo si rischia di avere un'infarinatura. Però questo mi è servito per sapere come funzionano i computer, perchè prima per me era proprio una cosa... una cosa da cui ero completamente esclusa, come sistema, come funzione. Io tutto sommato, anche se poi non uso il computer, sono rimasta contenta perchè so che cos'è e come funziona. E poi insomma è stato anche molto interessante, un mondo nuovo! XX60

Sì... non è così fragile come noi temevamo. E' stato solo un affrontare il problema, e questa paura.. e abbiamo detto “o la va o la spacca”, e abbiamo visto che il computer non è che si spacca, se mai si sbaglia e cancelli. Non è così fragile... Interessantissimo, bellissimo.. Io vorrei essere un genio del computer.. Io quando vedo e sento per televisione quello che fanno. A me piaceva Internet, mi piaceva girare, guardare.. i programmi, le città, le opere d'arte.. ti ricordi? RM 59

Per me [la cosa più importante] la posta elettronica. Perchè a me è già capitato che i figli sono andati via lontano e anziché mandare un sms, un messaggio così.., avrebbero preferito... XX 60

Nel rapporto che queste due amiche hanno con le ICT è dunque forte la componente personale di emancipazione e autonomia che si lega a una rappresentazione del mondo del lavoro segnato da una sostanziale parità di donne e uomini nell’uso delle tecnologie: quello che anche loro avrebbero potuto avere se la vita familiare non avesse portato ad altre scelte… C'è da dire che nel mondo del lavoro uomo o donna si arrangia a usare il computer. Anche mio marito sa usare il computer. Mio marito ha 62 anni e lavora in farmacia e ha imparato lì, non ha imparato all'università. Quindi stando sul posto di lavoro impari, quindi non c'è problema tra uomo e donna, perchè adesso lavorano tutti. Se noi fossimo nel mondo del lavoro avremmo imparato anche noi, perchè o vai o stai. Se devi

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lavorare devi imparare. [non c'è differenza tra donne e uomini..] è solo una questione di opportunità. E di esercizio. Perchè tonte non siamo. RM 59

Alla fine dunque, benchè dispiaciute per la brevità del corso che piacerebbe loro rifare, sono contente per avere imparato cose pratiche come la consultazione dell’orario dei treni, del sito del Comune, consapevoli che il corso, rivolto alle sole donne, è un bell’aiuto che si dà alle casalinghe, la cui immagine anche per loro è negativa; di fronte alle quali si afferma la consapevolezza di un’emancipazione che sentono propria.

Secondo me per dare informazione alle donne perchè la donna casalinga è segregata. Quando una donna è pensionata, cosa fa? La casalinga.. se non ha hobbies particolari, in linea di massima. E quindi ci hanno voluto togliere dalla segregazione. Però io non penso alla discriminazione tra uomo e donna. Sappiamo difenderci, ormai sotto questo aspetto sappiamo difenderci.

Alla fine, dunque, occorrerebbe avere un computer personale – certamente non quello dei figli – per continuare ad usarlo, perché bisogna fare come con la patente, “è solo questione di esercizio”.Fa da contraltare a questi incontri di successo, fortemente emotivi, l’esperienze di un’altra ex insegnante di ragioneria e contabilità nel professionale, dove già c’erano aule di laboratorio informatico; ma allora la compresenza dell’insegnante di laboratorio la sollevava dagli insegnamenti pratici e il confronto con le ragazze le poneva qualche imbarazzo: le nostre ragazze erano bravissime, ne sapevano più di te e diventava un problema! Così che non esclude, ripensandoci, di essere andata in pensione proprio per quello. Che è esattamente la riflessione della pensionata precedente a proposito delle condizioni per rimanere sul mercato del lavoro o andarsene: questa ha preferito andarsene. E di sé dice di essere “refrattaria” – forse un modo per ribellarsi alla ragioneria, lei che avrebbe desiderato studiare psicologia e psicanalisi?- di essersi sforzata di superare il suo “analfabetismo”, ma il suo rapporto rimane negativo, guarda il computer ma non si sente nemmeno di accenderlo; e non ha continuato dopo il corso.

E' un rapporto di amore ed odio… perché io mi rendo benissimo conto…Intanto in casa c'è un computer perché il mio compagno l'ha preso. Però io non ci metto mano. Mi rendo conto che... in certi momenti insomma che.. non sono stupida del tutto! PP 59

Qualche riserva al corso frequentato ha da farla - troppo breve, troppo veloce, impossibile capire meglio, un po’ disturbanti anche i termini inglesi - ma il suo atteggiamento negativo è a monte, dovuto alla mancanza di interesse per la tecnologia in generale, per i computer e i cellulari. Non che non ne colga i benefici nella vita quotidiana, l’utilità di prenotare un viaggio, di cercare informazioni e averle in tempo reale – un po’ sconvolgente, è impressionante! – ma pensa che le tecnologie del mondo contemporaneo siano disumanizzanti e influenzino troppo la vita delle persone che ne divengono dipendenti se non succubi; pericolose soprattutto per i bambini.

Io penso che rischiano di influenzare molto, di essere un grande peso, infatti le persone sono sempre più nevrotiche.. Quello cui assisti è questo: i genitori non guardano più ai bambini oppure se ne accorgono solo quando ci sono poi dopo delle cose sconvolgenti. Invece i bambini vanno seguiti e adesso anche questi bambini li vedi spesso lì davanti al computer, o davanti a giochi similari da prestissimo. Secondo me è disumanizzante. Lo penso e l'ho sempre pensato. La tecnologia va usata con criterio e discrezione. Deve

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essere al tuo servizio, non che tu diventi schiavo della tecnologia. Finché è un tuo strumento va bene, ma poi ci sono dei limiti insomma. E' la tecnica che ha sopravvento su di te. Stiamo attenti un pochino insomma.. PP59

L’invasività delle tecnologie - quando vai al telefono e c’è la pubblicità di qualcosa e ti accorgi che è una registrazione, io non ascolto più, metto giù perché mi dà fastidio, c’è il rigetto da parte mia….siamo persone, non siamo ancora macchine -, la necessità di controllare la Rete -… troppa libertà, uno va su internet e riesce a spacciare quello che vuole…in tutto il mondo! - il timore che diminuendo le risorse di energia si possano perdere i vantaggi della modernità preoccupano anche le altre sessantenni (e non sono le sole). Alla fine la differenza fra loro è, neanche tanto paradossalmente, più che nei risultati effettivi di abilità raggiunta nell’uso, nella disponibilità mentale, nell’atteggiamento curioso che si ha verso tutto ciò che rende più ampio il rapporto con il mondo.

3. Una “pensionata” speciale

E’ un caso a sé, veramente singolare, quello di una pensionata che, dopo essere stata allieva di più di un corso per l’uso del personal è divenuta essa stessa insegnante. Singolare la sua storia, singolare la sua determinazione nel passato, singolare la sua tenacia negli anni appena trascorsi. E ora è un buona lente per capire meglio le difficoltà culturali e ambientali che le donne incontrano, e non solo a una certa età; e per capire come dovrebbe essere impostato l’insegnamento per essere utile. Essere attive rispetto alle tecnologie era un desiderio penalizzato ieri, quando si era all’inizio delle applicazioni informatiche al lavoro. Nel passato, infatti, ha lottato per non essere trattata da incapace – lei che ha sempre avuto la passione per la tecnologia, non per l’uncinetto - ed essere discriminata, ma nella sua azienda era ammessa per lei impiegata solo una mansione esecutiva: “una prigione dorata”, la chiamava.

Noi facevamo solo mansioni che attengono al ceto femminile, non aveva importanza se tu sapevi o no, l’unica cosa che mi ha molto disturbato è che c’era molta discriminazione, dicevano “tu donna fai questo…”…Quando è nato il settore informatico, noi utilizzavamo solo il terminale, il resto era top secret…io la chiamavo la prigione dorata, non ci mancava niente, ma c’era molta chiusura! Avevamo il terminal, ma ci dicevano ‘schiaccia questi tasti e basta.’. Io ho sempre avuto la passione per la tecnologia, non sono per l’uncinetto…mi sono arrabbiata perché non mi davano alcuna possibilità. Lavoravo coi terminali, cercavo di informarmi, ma mi davano solo informazioni relative a quello che stavamo facendo, la schermata, ma se c’erano cose che non andavano mi dicevano ‘devi schiacciare questo o quello, sei a posto.’ A me piace capire perché, andare dietro allo schermo, capire, ma non riuscivo ad avere risposte. PC 68

Solo dopo essere andata in pensione anticipatamente per accudire alla suocera – una scelta dolorosa alla quale ha acconsentito perché assolve a un compito tradizionale del corso della vita femminile -, quando ha potuto si è iscritta all’Università della Terza età frequentando prima corsi per video scrittura per arrivare poi a cose più importanti;

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soprattutto le urgeva dentro il desiderio di vedere, finalmente, di cosa era capace e infatti:

…ho comperato un computer e da allora non ho più smesso…voglio mettermi alla prova, se era veramente come dicevano loro che non capivo niente e dovevo solo schiacciare quei tasti o viceversa…ho scoperto che sono capace!

Tanto capace che ben presto diventa impaziente, chi le insegna è troppo lento, quindi comincia ad arrangiarsi come autodidatta, scoprendo l’utilità di internet per non dipendere da altri.

Al prof ho portato il dizionario di informatica con i termini tecnici per capire i termini man mano che me li dicevano, capire perché. Negli intervalli parlavo con le altre persone, con chi non aveva capito…Ma dopo due anni ancora niente internet, il prof è molto lento, centellina le cose, dopo sono andata alla biblioteca Delfini che faceva corsi serali di internet e lì ho cominciato a capire, anche lì c’erano cose che non capivo, ma facevo la mia ricerca per essere autonoma. Con internet ho più possibilità di avere risposte a quello che voglio…

Ed è così che, non essendoci alcun insegnante disponibile per un corso di base, è a lei che si rivolgono; e lei accetta con entusiasmo (oltre che un certo timore poi scomparso) e può finalmente mettere in pratica gli appunti, le note, i ragionamenti che aveva fino a quel momento sviluppato; anche verso gli altri la molla che vuole trasmettere è la stessa che l’ha sostenuta: la conoscenza come autonomia, come sviluppo delle proprie capacità, come espansione di sè. Di tutti, ma soprattutto delle donne…un impegno che potrebbe dirsi ‘politico’ che la porta a giudicare con severità chi invece usa le sue conoscenze come strumento di potere.

Io sono dell’idea che occorre un approccio semplice alla macchina, lui dà molte cose tecniche ma lui le/li scoraggia…io subito cerco di legare quello che insegno all’uso…lui è un maschilista, non vuole che io e gli altri sviluppiamo una nostra capacità…forse è di quelli che vogliono che la moglie dica sempre di sì…

Il suo punto di vista su come interessare adulti digiuni di informatica poggia su precise indicazioni. Si deve collegare l’insegnamento alla praticità degli scopi per tenere alte le motivazioni fragili di donne che quasi subito si scoraggiano (se c’è qualche difficoltà demordono subito, tendono ad abbandonare…la molla su cui insisto è quella che quando vanno in un ufficio pubblico occorre sapere come fare, ad es. pagare il ticket usl, anagrafe, ecc.,, sapere cosa succede per non sentirsi impacciate, la molla deve essere questa, soprattutto per le donne…); si deve aver attenzione, nelle classi miste, a fare tacere chi fa mostra di sé credendo di sapere (uomini, generalmente); l’eccesso di spiegazioni teoriche blocca, si deve procedere a piccoli passi. Inoltre, sarebbe utile avere strumenti che siano più semplici di quelli in uso; come farlo, dovrebbero essere le persone più competenti di lei a saperlo, ma il problema è il mercato, sostiene, che non si impegna valutandone gli scarsi profitti che deriverebbero da questo target di utenti che fra l’altro ha anche problemi rilevanti di risorse economiche.

Io cerco di porre i problemi in modo che siano accolti nel linguaggio informatico, adatto le mie domande al linguaggio informatico. I linguaggi informatici dovrebbero essere più semplificati, ad esempio le guide in linea sono per espertissimi, le informazioni non sono complete. PC 68

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Una possibile riflessione che scaturisce dalle diverse esperienze raccolte (e occorre ricordare che si tratta di donne scolarizzate con un passato lavorativo) ci rimanda ancora una volta alla importanza del contesto ambientale, ma prima ancora alla significatività delle immagini e delle valutazioni “a monte” relative alle tecnologie per come si sono costruite nel loro universo mentale. Che indirizza e condiziona percezioni e motivazioni alla prova con il desiderio e la fatica di imparare.

4. Per una cittadinanza informatica: tecnologie “amiche” o….?

Programmi diversamente strutturati e meno complessi aiuterebbero a ridurre le difficoltà cognitive o semplicemente paure e diffidenze iniziali? La ricerca di forme d’uso più facili e amichevoli è possibile oltre che auspicabile?Sono domande – un domandone, nota un’intervistata per sottolinearne la problematicità – più che pertinenti parlando dei problemi di accesso e uso delle tecnologie, di Digital Divide e di Gender Gap. Come si è già anticipato, non univoche sono le voci incontrate che, in relazione ai punti di vista espressi, si sono raggruppate in tre grandi aree: chi ritiene che l’usabilità, la facilità siano sufficienti e non sia questo il problema ( principale); chi focalizza l’attenzione sulla carenza della preparazione informatica di base e sulla difficoltà delle donne di apprendere linguaggi tecnici; chi infine vede come l’ambiente e le relazioni siano il fattore decisivo per rendere facile l’approccio alle ICT.Tutte comunque accomunate dall’idea che si può oramai parlare, rispetto agli inizi, di una facilità d’uso assai maggiore, indotta certamente dalla pressione del mercato che ha reso questi strumenti sempre più maneggevoli per diffonderne l’accessibilità. E non secondaria in questo processo è stata anche la pubblicità che presenta tutte le tecnologie come elementi alla portata di tutti – dunque facili beni di consumo - indispensabili nella vita quotidiana.

Il messaggio che passa anche nella pubblicità è proprio quello che le nuove tecnologie diventino parte della quotidianità e quindi” umane”, il livello di usabilità è tale per cui non vi sono ostacoli. EC 27

Chi ha iniziato tanti anni fa con il Dos, infatti, valuta tutti i cambiamenti in positivo che ciò ha comportato per gli utenti in genere e per le donne in specifico, come sostiene questa insegnante di informatica e libera professionista.

Ormai l’interfaccia delle applicazioni è in generale molto friendly, carina, aggraziata,, curata graficamente, non mi sembra ostica per le donne…GB 43

Addirittura troppo comode sono le interfaccia, che se si incontra qualche difficoltà in più, ecco che occorre sforzarsi di imparare il nuovo, quindi il problema va piuttosto ribaltato nella necessità di dare più strumenti formativi per imparare il linguaggio informatico; questo è il vero limite che denuncia la giovane realizzatrice di un sito web.

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Credo che il linguaggio informatico sia amico, credo che siamo noi che non siamo abituati a …noi siamo abituati a cose comode, ci hanno abituato con questi programmi ad avere interfaccia molto, molto comode, quindi quando ne troviamo una minimamente più complessa abbiamo dei problemi. Ogni interfaccia nuova devi imparare, devi guardare, devi capire e adesso ne stanno buttando fuori davvero tante. Ma la cosa in sé non sarebbe complessa. Io vedo che quando prendo un programma, prendo il manuale di fianco, mi leggo il manuale, arrivo lì, ho qualche problemino qui e là, ma alla fine ci riesco. E’ una questione di tempo….Se poi penso ai limiti mi viene in mente il livello di apprendimento…sino a quando non ci insegneranno bene come si utilizza un linguaggio, ci rimarranno sempre delle difficoltà. La formazione non è adeguata all’applicazione. LP 28

Ed è la stessa opinione della sviluppatrice di software: manca una conoscenza di base, tutto diventa più difficile.

Dal lato di un utente, di un ragazzino che deve imparare, le tecnologie sono iperfriendly! Quando ho iniziato con il Dos non c’era Windows…e poi capita che quando telefonano…magari hai cancellato tutto un direttorio, può capitare, cerchi di spiegarglielo ma loro non capiscono, perché dal lato dell’utilizzatore l’informatica non viene imparta nelle basi. Cos’è una cartella, cosa vuol dire file… cos’è una memoria virtuale. Dovrebbero insegnare più informatica di base. Una cosa che può rendere più friendly è spiegare meglio l’informatica, le cose essenziali che possono accadere. FG 42

Insegnando le strutture fondamentali dell’informatica si arricchiscono le capacità di comprensione mettendo le persone in grado di non avere paura del mezzo che si ha di fronte e gli usi che se ne possono fare. Il grado di abilità e confidenza, insomma, stimola l’uso. Sempre che, naturalmente, si sappia per quali scopi.

Rendere le tecnologie più domestiche e facili può avvenire attraverso l’uso accompagnato dalla conoscenza delle possibilità dello strumento in questione; forse bisogna avere anche degli obiettivi: dove vuoi andare, cosa vuoi fare e credo che questo lo faccia diventare più domestico. Se uno non sa che farsene dello strumento…IG 56

Se non si sa per cosa usare il PC, internet, sarà inutile conoscerlo dice anche questa giovane a proposito di sue colleghe di ufficio.

Valutano la tecnologia del PC come il ballo latino americano. Vado a ballare se mi interessa, se no sto a casa! AC 30

Si ritorna dunque alle motivazioni di fondo, agli schemi mentali e ai modelli di genere interiorizzati che interagiscono con la vita pratica nella quotidianità: sembrano essere questi, per un gruppo di intervistate di diverse età e di professioni ICT e non, i fattori che spingendo all’uso costante le rendono poi userfriendly. D’altro canto non manca chi, (se ne è già fatto cenno nel precedente paragrafo a proposito dell’insegnante nei corsi della terza età), ponendosi nell’ottica di andare incontro a utenti difficili da catturare perché distanti soprattutto per età, non consideri che una minore complessità dei programmi potrebbe giovare per un apprendimento graduale e più efficace. E si dovrebbe anche avere computer di primo livello, per un uso solo domestico, con funzioni ridotte, dice l’anziana insegnante nei corsi per la terza età.

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Bisognerebbe rendere le apparecchiature più semplici e graduali per avere prima risultati più elementari, poi c’è la crescita [di abilità]. In commercio non ci sono apparecchi più semplici. Anche i software dovrebbero essere differenziati per un uso domestico, se questo non avviene è solo un problema di mercato.

Del resto anche le guide on line sembrano rispondere più a persone esperte che a principianti, quindi in molti dovrebbero fare uno sforzo: produrre “software più semplici” da parte dei produttori; da parte degli insegnanti e soprattutto dei tecnici usare linguaggi facili anche per fare comprendere l’inglese che più di una lamenta essere fastidioso, respingente.

I linguaggi informatici dovrebbero essere più semplificati, ad esempio le guide in linea sono per espertissimi, le informazioni non sono complete. Le guide in linea le adatto e le espongo in modo comprensibile, tolgo e aggiungo cose perchè sia più comprensibile, anche se certi termini debbono rimanere. L’esempio più semplice è quello di spiegare la parola “default”. CP 68

Se questo non avviene ne sono responsabili le esigenze di mercato che puntano al continuo cambiamento, all’eccesso di sofisticazione, all’ eccesso di funzioni che rendono più complesso l’utilizzo. Soprattutto perché, anche da parte di chi principiante non è, le potenzialità del programma non vengono sfruttate che in minima parte; anche per l’addetta alle biblioteche si dovrebbero usare mezzi meno sofisticati, con minori funzioni, meno indotti a consumare tecnologia, a cambiare in continuazione quando non c’è esigenza reale.

[Ci vorrebbero] prodotti meno sofisticati, numero di funzioni più ridotto e circoscritto perché i prodotti, anche i più semplici tipo word hanno una miriade di funzioni …esiste un fattore di complicazione, si piantano, hanno bisogno di macchine sempre più potenti per essere sopportati (e supportati), una parte è fisiologica, una parte è forse un po’ indotta …chi lo dice che un programma debba fare così tante cose quando l’89 per cento delle persone ne userà cinque di queste funzioni? LG 44

La questione della semplificazione non riguarda solo i prodotti digitali; c’è chi ha sottolineato che si tratta di problema generale di accessibilità democratica, e la cittadinanza informatica si sposa alla cittadinanza burocratica. Il linguaggio deve perdere i suoi connotati di incomprensibilità dovuta a tecnicismi inutili e le donne dovrebbero curare questo aspetto in modo particolare.

Questo del linguaggio è una cosa che le donne hanno sempre provato a cambiare e non ci sono riuscite sempre …ma la ritengo una cosa estremamente ostica e per addetti ai lavori, non molto chiara, addirittura di mondi chiusi…non conoscere determinati tecnicismi rischia di tagliarti fuori…è un mondo che pur avendo questi aspetti tecnici, ha bisogno di essere semplificato, di essere più accessibile con tutto quello che può comportare. Per cui, ad esempio, una delle cose che non mi piace come stile, come mentalità è questo mondo fatto di acronimi per cui si danno sempre per scontate delle cose. Bisognerebbe scrivere per esteso, per esempio, in modo da non dare nulla per scontato. Già vi sarebbe tanto lavoro da fare e poi il linguaggio di genere, non so se può arrivare anche questo, probabilmente dovrà arrivare…rendere anche più comprensibile, ma questa è una attenzione che fa parte di tutto quel discorso della semplificazione del linguaggio amministrativo, di renderlo…poi il linguaggio di genere

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aggiunge qualcosa in più, arricchisce…eleva la cultura, però diciamo che è una attenzione che non sempre si ha presente. FP 42

Infine un terzo fattore di cui forse si ha, in genere, minore consapevolezza parlando di usabilità friendly, non è riferito agli strumenti ma all’ambiente in cui si apprende, si opera: quanto l’ambiente accogliente “facilita” l’apprendimento delle tecnologie, mettendo le persone, le donne, a loro agio? Accettando i loro tempi di apprendimento, ma soprattutto non facendole sentire delle oche incompetenti che fanno domande inutili? È mettendo in campo relazioni di collaborazione e accoglienza che si rende amichevole l’approccio alle tecnologie. Sono d’accordo – un caso raro ? – un uomo e una donna che sviluppano la stessa convinzione.

Ora noi facciamo l'inaugurazione del laboratorio e ho iniziato a diffondere i nostri volantini e la reazione che ho notato nelle persone che lavorano con il computer è stata “vuoi vedere che cè un posto dove se io vado e non so usare quel coso mi trattano male?” Sono state molte , piu’ di quel che io mi aspettavo, conoscenti e amiche che mi dicevano c'è questa resistenza..., poi quando va a chiedere assistenza se non nel negozio in cui l'ha comprato che forse non ha tutto questo interesse nel fare una vera assistenza, forse l' interesse vero è portarla ad acquistare qualcos'altro, ti dicono di comprare un programma più recente... mi riportavano queste esperienze di persone che le trattavano male, con molta sufficienza per il fatto che non sono esperte, che magari non si erano accorte che il DVD non andava...però con molta sufficienza gli è stato risposto che erano deficienti...Cioè l'estraneità delle donne con le tecnologie si può superare, lo verifichiamo in sala con internet nel momento in cui le persone sentono innanzi tutto che ci può essere una mediazione umana che non è oppositiva, ma una mediazione che in qualche modo è collaborativa. Un modello di riferimento che si riconosce perchè c'è una donna che, come te, ha imparato ad usare uno strumento quindi probabilmente anche tu riuscirai; è evidente che il modello funziona, ce l'ha fatta lei, ce la faccio anche io. Quindi la relazione io credo che possa modificare un approccio, ...l’uso...FF 39 Focus

Che è precisamente il progetto del Laboratorio Technè Donne, spazio fisico e virtuale dove la mediazione delle relazioni è altrettanto importante che l’apprendimento di conoscenze e abilità. Ma che è anche l’esperienza della pensionata-insegnante che si sforza di usare un linguaggio comprensibile (meno tecnico) per evitare che subito alcune si spaventino e abbandonino…tenere conto della diversità delle conoscenze di base e degli interessi, rimuovere le resistenze a poco a poco, fare sentire le persone (le donne) capaci di capire, smontare gli stereotipi interiorizzati che frenano.Easy, alla fine, non debbono essere tanto le applicazioni informatiche perchè comunque lo sono abbastanza e ci pensa il mercato con i suoi obiettivi di diffusione a farlo. Easy e friendly, facili e amichevoli devono essere l’ambiente e le pratiche nelle relazioni capaci di legittimare e non demotivare le donne nei loro percorsi di apprendimento oggi, di approfondimento domani, anche se avranno acquisito maggiore dimestichezza e fiducia in sé.

E ora le parole di lui. Pur facendo “un lavoro altamente tecnologico” che incrocia molte banche dati, come la precedente testimone ha alla base una “formazione del tutto umanistica”; forse è questa che gli dà una visione meno tecnologizzata, più relazionale e interattiva, del problema.

Non è il linguaggio che è amico o no, dipende dall’atteggiamento che hanno le

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persone che devono dialogare attraverso questo linguaggio…alla fine i software, i sistemi, le macchine si animano di quello che hanno nell’animo le persone che le creano e le gestiscono. DR 40

Non c’è nulla da aggiungere..

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IV Generi e generazioni a confronto

1. Disposizioni, capacità, competenze: differenze o gap di genere?

Benché tutta l’analisi dell’esperienza delle donne coinvolte nella ricerca sia attraversata implicitamente dalla chiave di lettura dell’appartenenza di genere, come costruzione culturale e sociale dei modelli femminili e maschili ascrivibili ai due sessi anche in fatto di linguaggi e strumenti tecnologici, qui si mette al centro dell’osservazione il diretto confronto tra gli uni e gli altri. Come lo hanno espresso, con quali ragionamenti e parole. Con quali affermazioni sicure, magari seguite, poco dopo, da un ma…Campo di analisi empirica difficoltoso, perché scivoloso il terreno sul quale ci si muove, dove l’osservazione (delle persone interrogate) è, forse più che altrove, intrisa di elementi culturali e dai significati interiorizzati che si attribuiscono alle relazioni donne e uomini, alla “genderizzazione” della società. Consapevoli (noi) che la realtà dei comportamenti e degli orientamenti è più multiforme di quanto non appaia da questa lettura che tende inevitabilmente a contrapporre, per grandi linee e rappresentazioni, i due generi. Per non rischiare a nostra volta di ingabbiarli in confini rigidi, poco permeabili agli scambi, alle interferenze, alla coesistenza di diversi piani contraddittori come accade quando sono in corso profondi e diffusi processi di cambiamento.

Si ripresentano interrogativi sul rapporto donne-lavoro quando lo si contestualizza nel nuovo mercato del lavoro post-fordista e delle professioni ICT e non. Dal momento che le competenze ritenute proprie delle donne - incardinate in identità storicamente costruite attraverso la generatività e la cura - sono considerate essenziali al funzionamento del “lavoro flessibile” e “della società liquida”. Differenze da riconoscere e da valorizzare per la maggior parte delle intervistate; per alcune invece da vedere criticamente, soprattutto se utilizzate per perpetuare una situazione di disparità e discriminazione delle donne sul lavoro. Molti studi sul funzionamento delle organizzazioni hanno sottolineato le differenze di cui i due sessi sono/sarebbero portatori in situazioni di lavoro prevalentemente femminili o miste. Dove il lavoro fianco a fianco e/o insieme a colleghi uomini consente il quotidiano confronto su obiettivi dell’azione, abilità, modalità di produrre risultati. Un confronto che si propone quasi sempre anche nel privato delle relazioni di coppia e familiari con fidanzati, mariti, compagni, qualche volta con figli…

Qui di seguito si sono raccolte quelle capacità che, anche nell’uso delle tecnologie informatiche, paiono caratterizzare in modo differente - nell’osservazione e nella consapevolezza delle intervistate - i comportamenti, le preferenze di donne e uomini quando si lavora con le ICT.

le differenze: analizzare i problemi, trovare soluzioni non standardChi fa una professione ITC volta in particolare alla programmazione di software, sottolinea la duttilità sia nell’analisi che nella ricerca di soluzioni ai problemi da risolvere – significativamente maggiore di quella degli uomini dei quali all’opposto si

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nota una certa rigidità – sua e delle colleghe. Si cerca di usare il linguaggio informatico non in modo standard, secondo regole note, ma in modo più flessibile, ricercando elementi di specificità, di personalizzazione, che introducono aspetti meno controllabili. Tale ricerca naturalmente richiede più tempo di lavorazione, ma con risultati più soddisfacenti perché più rispondenti alla domanda finale di chi poi tali strumenti userà. Anche se viene sacrificata la velocità della risposta e magari la sicurezza del prodotto, ma questo non è il primo pensiero.

C’è una rigidità estrema nell’informatico puro, non guarda mai due aspetti insieme, non colgono le sfumature…’questo è il problema e così si risolve e questo è il risultato!’ le donne hanno più capacità di cogliere l’alternativa…una caratteristica che accomuna la maggior parte degli informatici uomini con cui ho a che fare è che la prima risposta è ‘ E’impossibile!’ Io dico ‘ho bisogno di rispondere a questo problema’ risposta ‘il programma non lo fa’, allora bisogna mettersi lì e discutere e ragionare sulle alternative possibili… EM 44

Ma inizialmente ... il problema principale era che noi volevamo un sito che potesse avere in rilievo determinate parti, che potesse essere operativo e mi scontravo sempre con il fatto che bisognava stare attenti alla sicurezza, una cosa di fronte alla quale io mi inchino, però era impossibile prevedere qualsiasi modifica... Ogni personalizzazione diventava rischiosa perchè appena esce una versione nuova bisogna essere allineati subito, avremmo dovuto riportare le personalizzazioni che avevamo richiesto, quindi un rallentamento del suo lavoro, un pericolo costante. Lì ho visto che la differenza principale e’ che forse abbiamo meno competenze in questo campo, ma c'era l'esigenza di pensare a un sito che potesse andare incontro a quelle che noi pensiamo essere le esigenze dell'utenza, mentre invece da parte di lui era il pensiero della sicurezza, poi addirittura voleva che almeno la parte amministrativa fosse tutta in inglese, perchè almeno si faceva prima ad aggiornare...Quindi le personalizzazioni rallentavano...FF 39 Focus

Che è anche il parere della seguente che attribuisce alla capacità di comunicare delle colleghe la ricerca delle soluzioni alternative…

Perchè chi usa di più, non a livello di lavoro però.., queste tecnologie sono le donne. Perchè il fatto di scambiarsi i messaggi, di usare di più la posta anche solo per scambiarsi messaggi, anche il modo di parlare “c'è questa soluzione, vediamo come si può fare” è più femminile. Gli uomini li vedo molto più rigidi. Loro hanno questa idea, si va avanti, è più difficile fargli cambiare idea. SL 41

le interfacce: forma e coloreIl gusto per una maggiore espressività estetica delle forme, la ricerca più accurata di immagini e di colore, ma allo stesso tempo la chiarezza e l’articolazione della comunicazione paiono esprimersi in modo costante nelle interfacce create dalle donne. Ma non è, in verità, problema che ha trovato l’attenzione che ci si aspettava nelle intervistate, che non paiono in grado di individuare o forse solo di descrivere, in genere, uno stile estetico (spazi, colori, organizzazione, icone, ecc.) più efficace o piacevole, più consono ai loro gusti. E forse questo riflette il fatto che da poco si è cominciato a porre il problema di interfacce “genderizzate” e la produzione non ne rileva il segno33.

33 Il ritardo è stato rilevato nel paper di presentazione della quarta azione di dialogo del Progetto Equal organizzata da Links., Interfacce, femminile plurale, Bologna, 12 aprile 2007.

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Tuttavia qualche osservazione è stata fatta su una maggiore articolazione e più gradevole ambiente e segno grafico nei siti progettati da donne in opposizione a una certa essenzialità che pare segnare il parallelo lavoro maschile.

Ho sempre notato una differenza sostanziale che è quella della forma. Cioè l'uomo valorizza molto meno la forma del sito web. Quindi molto essenziale, immagini molto scarne, prive di doppi sensi, cosa che io ho sempre trovato importante. L'elemento maschile è l'essenzialità, la mancanza di colore... E' importante dar forma ai contenuti…Loro sono più essenziali, meno articolati. Noi donne secondo me siamo più articolate, ma è un'arma a doppio taglio. Perchè da una parte la chiarezza è fondamentale, se vuoi essere articolato devi anche essere molto chiara e esplicita. L'uomo è molto essenziale perchè non riesce ad essere articolato... pasticciano! Non ce la fanno ad essere articolati e chiari allo stesso modo. AC 30

E' proprio a livello grafico. I lavori degli uomini sono molto piu’ schematici, meno colorati, hanno sempre un solo colore di base…Anche a livello grafico tendono molto a schematizzare. Io, magari, vorrei anche fare un disegno manuale e poi riportarlo sul biglietto; loro, invece devono fare assolutamente tutto in digitale molto schematico, non riportare nomi, volti di persone niente. G S 23 Focus

Questione sfuggente, e non tutte pensano che la sensibilità estetica, in fondo, sia appannaggio delle informatiche donne… si sconfina nei linguaggi visivi e artistici, nella videoarte:

Io me lo sono chiesto perchè a proposito della partecipazione al premio “donna web”, chiaramente abbiamo visto tutti i portali e le cose prodotte dalle donne ma non c'è una grande differenza. Lì c'è la bella e la brutta grafica, poi che ci sia dietro una donna o un uomo non si vede. A meno che non abbia la sensibilità… Per esempio abbiamo fatto fare a un grafico il sito per le donne, ed era una donna, ma non è che avesse fatto una grafica prettamente femminile. L'abbiamo fatta quasi diventare noi femminile…In che senso? Nel senso che era più raffinata, i colori più soft…PA 45

ascolto, linguaggio, pazienza…Come si è già mostrato nel paragrafo “Ciò di cui le tecnologie hanno bisogno” (II, 2) le capacità comunicative non sono solo necessarie per il corretto funzionamento delle tecnologie digitali, ma sono anche un campo nel quale le donne esprimono una disposizione marcata. Una disposizione di genere. Capire ciò che i clienti chiedono, avere la disponibilità ad ascoltare le loro parole non sempre precise saltando in fretta alle conclusioni (magari errate), spiegare anche più di una volta sforzandosi di farlo nel linguaggio più semplice: sono attitudini relazionali che rivelano un fondamentale rispetto per chi non sa di tecnica o ne sa meno. Il termine più volte usato – pazienza - è quindi considerazione dei problemi dei clienti / utenti, è umiltà anziché arroganza e impazienza, è volontà di ascolto. Del resto è il contatto con chi userà il prodotto che dà concretezza al lavoro che si fa e che richiede determinati comportamenti da parte di chi lo fa. E, in un certo senso, lo umanizza. La lunga citazione che segue racconta con ricchezza di particolari quanto sia utile la mediazione che le donne operano in un ambiente che mette in contatto interno/esterno.

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Io stessa nel linguaggio tecnico non è che mi addentro più di tanto, però insomma le nuove parole uno deve anche imparare a usarle perchè poi ci lavora.. però devi sempre tornare a un linguaggio molto semplice. Non lo so se questo tra uomini e donne sia molto diverso… C'è forse una differenza di pazienza. Nel senso che quando tu…all'inizio si fidavano molto di più degli uomini, anche perchè sono molto più tecnici, loro sono proprio “prova prova prova e alla fine ci salti fuori”, anche per un fatto di passione, magari che molti hanno con i computer e queste cose qua. E quindi cercavano [intende l’utente al telefono] ‘ma c'è il tale? C'è quell'altro?’. ‘No non c'è. Prova a spiegarmi e vediamo..’ . Man mano che vedevano che magari glielo risolvi lo stesso, allora dopo ti cercano e sono contenti, e vedo che insomma c'è più semplicità nel modo di parlare. L'uomo è più portato a dire “va beh adesso vengo lì e ci penso io”, e magari cerca di fare direttamente, spiega meno, l'importante è che ‘te l'ho risolto e poi la prossima volta richiamerai…’Quindi insomma ci vuol pazienza, perchè delle volte, anche se sembra facile – perchè dici “ce l'ho davanti, ti sto dicendo..”, invece non è così. Quando uno è dall'altra parte.. e lo vedo anch'io, quando ho avuto dei problemi con Internet a casa è tutta un'altra cosa, al telefono con quelli della Tim ci vuole un attimo ... e quindi ci vuol pazienza perchè tu credi di essere stato chiaro, loro invece non sono riusciti, quindi ricominci da capo, cerchi di ricominciare a spiegare.. senza a volte far sentire o perdere la pazienza, perchè poi di là è peggio, perchè uno si innervosisce e ed è peggio. E vedo che questa cosa tra le ragazze e le donne è più facile. Gli uomini perdono più in fretta la pazienza. SL 41

Secondo me le difficoltà maggiori sono le relazioni e i tempi di lavoro. queste sono le cose più difficili…nelle relazioni, perché noi abbiamo rapporti con gli utenti, cioè con chi utilixzza il software che produco io, che produciamo noi. Lui parla nei suoi termini e io nel mio. E questo può essere stressante e difficile…Io avverto che il cliente sa quello che vuole, ma ci sono passaggi intermedi che fanno perdere delle realtà [da capire], perché bisogna avere un po’ di umiltà, fraintendersi è facile. […] Il contatto con il cliente ti stressa tanto, ma ti dà il senso della cosa, la soddisfazione, dell’utilizzo e concretezza delle cose. E più avanti aggiunge, sempre a proposito dei rapporti con i clienti, questa dipendente di ditta che sviluppa software gestionale. Vale molto la pratica. Secondo me però non c’è…mah, direi che le donne sono più brave. Le trovo meno saccenti. Gli uomini tendono ad essere saccenti e a sapere di tutto e di più, a volte è positivo, a volte sono troppo arroganti…le donne sono molto concrete. FG 42

concretezza, chiarezza, capacità organizzativaOltre che uno stile di lavoro, le donne – tutte concordano - mostrano una fondamentale attitudine alla concretezza nell’approccio e nell’uso dei mezzi informatici. Se minore è l’interesse per il funzionamento degli strumenti – anche questa una affermazione generale – in compenso è grande l’attenzione per la loro utilità, per sé, per gli utenti, che ne guida l’uso. Cioè per il senso che si dà all’azione. E anche nell’operare con le tecnologie digitali le donne dimostrano duttilità nell’organizzare il lavoro, nell’organizzare le informazioni, nel pensare e connettere simultaneamente più fattori: una multidimensionalità preziosa nei luoghi di lavoro.Anche chi afferma inizialmente che più che di differenze di genere si debba parlare di risorse individuali, poi precisa che, per esperienza, vede nelle colleghe maggiore capacità di lavorare in gruppo, di comunicare con chiarezza (la funzionaria addetta alla formazione professionale). E anche la capacità di pensare contemporaneamente a più cose (la dirigente di ufficio ). Di fare analisi e sintesi dei problemi da trattare senza

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disperdersi (la libera professionista e progettista). Una visione più aderente alle cose (la programmatrice di software). Utilità e concretezza delle funzioni, cioè finalità di senso.

Le tecnologie le vedo sempre come strumento, e come tali credo siano a servizio delle risorse individuali. Quindi per me non ci sono differenze di genere e credo che attraverso questo strumento le donne possano esprimere quelle caratteristiche che sono tipiche di genere, come attraverso altri strumenti. [Cioè, quali?] Le donne possono essere più organizzate e quindi... Ecco sì, diciamo questo: siccome l'utilizzo della posta elettronica e dell'Intranet per lavorare in gruppo presuppone una capacità organizzativa del lavorare in gruppo e una chiarezza rispetto alle istruzioni che si danno, mi pare di avere riscontrato che le donne sono più brave in questo. Magari l'uomo ti manda un messaggio che lascia implicito tutta una serie di passaggi per cui risulta non così chiaro. SM 38

Abilità femminili? forse il fatto che le donne in genere pensano tre o quattro cose alla volta. I maschi ne pensano una alla volta e se li tiri fuori da lì….se hai lavorato in un posto dove vi siano gli uni e le altre ti rendi conto che se parli con una donna dici sette cose ed in termini brevi le ha capite tutte quante. Se tu parli con un uomo gli devi ripetere – una cosa che ormai io verifico non solo nei posti di lavoro – hai fatto caso che hai finito di dirlo e quello ti dice: “eh?” e tu devi ritornare a dire. E’ come se la gente si fosse abituata forse a guardare la Tv per cui ha un livello di attenzione completamente…anche fuori dai luoghi di lavoro i maschi pensano una cosa alla volta, le donne ne pensano tre o quattro. In un ambito come questo delle tecnologie in cui il computer è in grado di fornirti tre o quattro cose alla volta se tu le vuoi, una [donna] può essere avvantaggiata. AB 62

Per lavorare con le tecnologie la concretezza mi sembra fondamentale, la connettività nel senso di fondere insieme saperi per cavarci i piedi oppure relazionarti anche, per le nuove tecnologie sono importanti le due capacità di analisi e sintesi delle realtà che ci circondano; nel mio specifico proprio per fare lavori di progettazione e programmazione aggiungerei la capacità di fare analisi ed essere in grado di descriverla in modo sintetico. GB 43

Si ci sono. Perchè le donne hanno una visione più concreta, gli uomini girano più attorno. Poi io penso sempre molto agli ingegneri e ho di loro un'immagine sempre negativa. La capacità relazionale può essere utilizzata nei lavori di gruppo. A volte non è vero neanche questo perchè ci sono delle donne brave ma scorbutiche.. però insomma…. FG 42

Anche nell’utilizzo dei mezzi informatici, infine, si manifesta la capacità di organizzare i tempi di lavoro come quella di organizzare razionalmente le informazioni: terreni nei quali le donne hanno sedimentato la loro storica esperienza di organizzatrici familiari.

Forse la capacità organizzativa (femminile). E dicevo prima la capacità di riassumere, organizzare le informazioni e archiviarle in un modo comprensibile a tutti la vedo una caratteristica femminile, forse perchè di archivisti uomini.. il 3% sarà archivista. Forse questo. E anche la valutazione del tempo, forse perchè la donna ha sempre tradizionalmente dovuto impiegare il suo tempo per cose ben precise e determinate, quindi tempo libero ne ha sempre avuto molto poco nella storia, riesce a capire quanto tempo è giusto dedicare a quel tipo di ricerca, quanto a quell'altro tipo di ricerca,

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quanto a una cosa o l'altra. Quindi la rapidità nella ricerca delle informazioni, l'archiviazione delle informazioni, l’organizzazione dei tempi delle cose. AC 30

… L’ approccio delle donne è sempre legato a voler avere degli strumenti che siano effettivamente utili e logici, che possano fare funzioni anche complicate però che siano fruibili. Nella mia esperienza di lavoro c’è questo approccio, questa attenzione. Se devi costruire una banca dati o una maschera di una banca dati è un lavoro…il mondo della comunicazione diretta con il cittadino, se andiamo a vedere molto nelle relazioni , vede molte donne. FP 42

Io penso che la donna …ho un bisogno e lo utilizzo attraverso questo strumento, allora io trovo che sia molto ma molto più spinta rispetto a una speculazione non tanto concreta. Perchè la donna tende a essere molto più concreta, mentre l'uomo può usare Internet anche per ricerche di speculazione pura, ha un tipo di uso della mente più astratta, sono più bravi ad essere più astratti in genere .. mentre la nostra concretezza ci porta a utilizzare lo strumento sempre meglio quanto più ci dà dei risultati concreti . PA 45

I molti brani di intervista precedenti confermano dunque, anche a contatto con gli strumenti informatici, capacità e disposizioni che connotano generalmente l’esperienza del lavoro femminile – il Gender Diversity che affonda le sue radici nel lavoro di cura - che dalle organizzazioni34 sono usate (se non sfruttate) quasi sempre senza un riconoscimento adeguato. Non è inutile infatti terminare con l’interrogativo tutto politico della giovane lavoratrice di un Call Center che avverte l’esistenza di una difficoltà, forse di una trappola, nella richiesta da più parti è avanzata, dalle stesse politiche di genere, di volere tali capacità riconosciute e valorizzate. Come argomenta nelle parole successive, le caratteristiche positive delle donne – flessibilità, gentilezza, capacità di organizzarsi, pazienza – finiscono per essere usate in modo da continuare a discriminarle

Della donna viene sfruttata la parte più “esterna”, la sua gentilezza, della sua capacità di essere mamma – di accudire. Ma certamente non ci viene riconosciuta sempre la nostra capacità di organizzazione per l’innovazione. Si sfrutta soltanto l’apparenza. E oltre precisa ancora: Vedo una tendenza di questo tipo di società a sfruttare una serie di caratteristiche maggiormente positive delle donne: la flessibilità, la capacità di organizzarsi, la loro pazienza, l’essere gentili … Io non credo che questo dovrebbe essere funzionale alla società ITC. Credo sia molto molto negativo per le donne; sia discriminante sia nei ruoli, sia per come viene costruita la società. Perché se agiamo in questo modo non riconoscendo il nostro diritto ad essere considerate in modo uguale, ma lasciandoci sfruttare ulteriormente sulle nostre possibilità in più, continueremo a costruire una società maschile. Dovrebbe esserci una assunzione di responsabilità da parte delle donne. A 28

E’ vero: la tendenza della società a sfruttare senza riconoscere le caratteristiche positive delle donne o del femminile è un fatto reale; ma è segno di una cultura monogenere e della asimmetria di potere che la/ci caratterizza. È un nodo politico che intreccia politiche della differenza e politiche di parità (“diritto ad essere considerate in modo

34 La questione è trattata anche nel recente Quaderno di Via Dogana, Tre donne e due uomini parlano del lavoro che cambia, Università delle Donne, Milano, 2006.

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uguale”) col quale non può non confrontarsi anche l’approccio e l’uso delle tecnologie della informazione e della comunicazione.

2. Gli uomini: consiglieri, assistenti, tecnici

Per contro, agli uomini è riconosciuta - in fondo senza grande rammarico a parte qualche caso – l’assoluta dominanza quali consiglieri, assistenti, tecnici amici e tecnici professionali. Si ricorre loro per le emergenze, per le installazioni che si inceppano, per la posta che non funziona, per i collegamenti che cadono. Sia al lavoro (una sola tecnica è stata menzionata) che a casa. Con naturalezza, senza conflitto è ammesso da parte di molte che se lo spiegano come il risultato di una conoscenza tecnologica che gli uomini si sono fatti nel tempo (e storicamente) smontando e rimontando i computer con la stessa abilità con cui da ragazzi si smonta e si rimontano i pezzi del motorino; abilità che alle donne in genere manca e che in genere neanche interessa avere. Comunque chi mira ad avere una autonomia ricorre loro quando proprio non ne può fare a meno; del resto non ci sono donne (o forse poche) cui ricorrere.

Dal punto di vista tecnico so riconoscere i problemi, riconosco se è banalmente un programma interno, magari installi un programma nuovo che va in conflitto con altri programmi…li riconosco, riesco ad agire sino ad un certo punto, però quando no mi rivolgo ad amici che ne sanno più di me, fidanzati di amiche che ne sanno più di me… perché ho sempre conosciuto uomini che lo sapessero fare, non donne. EC 27

Già prima aveva argomentato che non solo c’è una differenza di atteggiamento da ricondurre all’età (la madre si rifiuta ad esempio di utilizzare la messaggeria col cellulare), ma anche fra maschi e femmine perché i primi si sono formati sui videogiochi, le ragazze della sua generazione – 27 anni!- no. Chissà le bambine di oggi, invece, che a detta di una “pistolano” (maneggiano) in continuazione con il computer…. E si potrebbe proseguire con molte altre opinioni a proposito di questa netta divisione di sesso nelle competenze: le tecniche, le hard, sono un terreno di esperienza, cioè di capacità e competenze, maschile. Una passione per la tecnologia e un’abitudine a smontare e rimontare i computer per la quarantenne dipendente dell’USL. Uno specifico modo di ragionare per la giovane ventottenne informatica arrivata per caso a fare studi tecnici.

Quello che noto io è che i ragazzi in questo settore, il tecnico informatico intendo, sono decisamente più portati; non capisco perché, ma è così. Loro sono decisamente più bravi, le donne fanno più fatica, forse perché è un settore più ostico, forse perché è un modo di ragionare diverso. Per quanto riguarda il tecnico gli uomini vi sono più legati . PV 28

A livello di obiettivi non lo so.. io vedo che magari gli uomini sono più dentro al problema a livello proprio tecnico, a livello di passione .. hanno cominciato smontando i PC e facendo queste cose qui con l'informatica. Le donne non le vedo a questo livello, hanno cominciato con altre strade, più a livello di logistica, di ragionamento: a loro interessa meno il funzionamento proprio del PC. SL 41

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C’è la responsabile di progetti che da quasi venti anni, dalla scrittura della tesi, utilizza l’informatica e specialmente ora sul lavoro, che ammette la differenza fra lei e il marito, il suo tecnico personale. Ma non si sente di generalizzare.

Sì perchè essendo io una utilizzatrice non ho mai approfondito aspetti hard e quindi se si inceppa qualcosa non so da che parte iniziare. Fortunatamente c'è mio marito che …In questo, se dovessi estrapolare in generale dai comportamenti miei e di mio marito, dovrei dire che le donne sono negate e gli uomini no. Ma siccome invece si tratta di un caso specifico e ci sono delle differenze dal mio caso, non mi sento di dire .... Mio marito è il mio tecnico personale. SM 38

Mariti, fidanzati, amici e fidanzati della figlia. Ma anche padri (da piccole) e fratelli. E poi i tecnici delle ditte che fanno assistenza sul lavoro. In un caso solo – rara avis - ed è uno degli uomini coinvolti nell’indagine si parla di una donna assistente tecnica ( Tutte le figure che hanno operato all’interno dell’ente direttamente o nella ditta che gestiva i sistemi informativi dell’ente sono uomini; però ho visto all’opera anche parecchie operatrici donne, tecnici informatici di ditte che forniscono il gestionale specifico, il tecnico che viene a fare assistenza all’ufficio Ici, ad esempio, è una donna. DR 40). Il campo delle tecnologie informatiche è, nella rappresentazione che se ne ha, ancora maschile. Benché nei fatti non sia poi così, l’asimmetria è ancora troppo forte. Sicchè la più decisa nel negare differenze e stereotipi finisce per concludere, con speranza:

Non credo che l’attitudine dipenda dal sesso. Certo che ora ci troviamo ad avere cento ingegneri informatici uomini e solo dieci donne…non ci giurerei fra venti anni! SP 30

Ma rimane il problema se quelle donne ingegnere guarderanno alle loro competenze tecniche anche con uno sguardo di genere; e lo metteranno “al servizio” dell’ empowerment delle donne. A questo lavorano le azioni di questo progetto Equal Technè Donne.

3. Figlie e figli, madri e padri35

“E’ come vivere un incantesimo continuo, nel passare da prodotto a prodotto senza avere il tempo di pensare ad altro. Oh, la beanza di chi rigira tra le mani l’ultimo modello di cellulare!”36

Nove tra ragazze e ragazzi tra i diciassette e i diciannove anni i cui interventi hanno disegnato un quadro relativamente omogeneo riguardante anche tutti/e i loro compagni/e pur tenendo presenti le variabili rappresentate dal tipo di scuola che, inevitabilmente ed ancora oggi, traccia i confini di classe sociale, condizione economica, cultura delle famiglie di appartenenza ma, come già storicamente noto, non

35 Questo paragrafo scaturisce da uno dei due focus group realizzati nel corso dell’indagine sul campo svolta per il progetto Technédonne, con l’obiettivo di approfondire uno dei temi emersi con più forza nell’ambito della attività quale quello del rapporto tra generi e generazioni nell’incontro con le nuove tecnologie. L’incontro, svoltosi presso il liceo scientifico Wiligelmo di Modena il 7 febbraio 2007, ha registrato la partecipazione di ragazzi delle classi IV e V, nel numero di 4 maschi e 5 femmine. I ragazzi sono intervenuti in modo volontario, su semplice richiesta di un’insegnante. 36 P.Pompei, “Verità ed evento”, Bologna, Edizioni Pendragon, 2004.

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di preparazione specifica ed approfondita per quanto riguarda le competenze tecnologiche degli studenti. Con l’aiuto dei diretti interessati si è potuto, così, confrontare, da un lato, i temi, i giudizi, le rappresentazioni che, delle generazioni più giovani, venivano da molte interviste ad “adulte”, dall’altro l’incontro è stato utile per cercare di mettere ordine nelle tante sollecitazioni, nei tanti interrogativi sommati intervistando le donne per quanto attiene all’ambito privato. Come si declina nelle case l’impatto determinato da trasformazioni così veloci e repentine? Nei luoghi dove si vivono relazioni primarie, vi è già assuefazione al cambiamento ininterrotto determinato dalle nuove tecnologie? E constatano che fra di loro, madri e padri, figlie e figli, se ne faccia un uso differente? E come? Nelle dichiarazioni di praticamente tutti ragazzi appare evidente che il personal computer sia entrato nelle case, nella maggioranza della case, in tempi estremamente ravvicinati e in modo evidente e prepotente e che, con le sue potenzialità di rete e comunicazione, si sia saldato alle relazioni della famiglia e stia sicuramente cambiando tra di loro alcuni stili, tempi, forme di comunicazione. L’argomento è delicato e nello stesso tempo non banale; più immediato, forse, cercare di capire se, pur con le grandi differenze date dalla collocazione sociale, dalle professioni degli adulti, dalle personali attitudini e desideri, le nuove tecnologie abbiano riportato nelle famiglie qualcuna delle dinamiche riscontrabili nei luoghi di lavoro, se e quali cambiamenti avvengano nelle modalità di utilizzo, se si vivano (se vivessero) situazioni di spaesamento.Come in molte aziende, in famiglia vi è il membro che maggiormente è di riferimento per gli altri, come pure colui o colei che è negato/a? Una volta “sfondato” il muro delle pareti domestiche il PC ha fatto sì che si studi di più insieme, si giochi di più insieme? Ci si comunicano competenze? Sono più di sostegno i genitori ai figli o viceversa? Quali comportamenti caratterizzano, tra le pareti domestiche, le differenze tra le generazioni, in questo sedersi a turni, spesso di durata conflittuale, nella stessa postazione, davanti al medesimo monitor, giocandosi nel rapporto con lo strumento interessi, hobbies, obblighi e doveri? E quale è il diverso modo di genitori e figli di far fronte a cambiamenti così veloci da dare l’impressione di non lasciar spazio ad approfondimenti? E, per finire, chi fa resistenza o opposizione e con quali giustificazioni ed eventuali paure? Domande alle quali non si possono certo dare risposte esaustive in un confronto così limitato, che può servire quindi a sostenere solo qualche suggestione.Chi ha figli, infatti, non ha voluto (ed in ogni caso non avrebbe potuto) porre una barriera all’entrata dello strumento PC nella casa, né ha potuto rifiutare la connessione di rete. Del resto per le madri è stata una scelta non di rado collegata alla professione; come per più di una donna intervistata l’uso del computer nel privato è stato motivato dal desiderio di risparmio di tempo per determinati servizi e da un diverso investimento del tempo per sé e nelle relazioni. Ciò che non può essere confutato è che per i ragazzi internet fa la differenza: le potenzialità della rete, l’essere collegati e la velocità di questo collegamento, la possibilità di “messaggiare” in alcuni momenti della giornata in modo quasi continuo, l’ADSL che ha reso possibile scaricare musica, sostituire viaggi e visite virtuali a quelle reali, facilitato il sostegno scolastico ad ogni tipo di ricerca consentendo i risultati “immediati” che a loro interessano.Un dato generalizzato è che nessuno è segnato da quella ansia o stress che, a volte, caratterizza chi è stata costretta, anche di buon grado, ad acquisire competenze nell’utilizzo di un PC nei luoghi di lavoro. Ed è del tutto normale che sia così. Ma nella relazione affettiva con lo strumento, comunque, – considerata la loro giovane età - hanno già registrato momenti di amore, passione ed entusiasmo, a cui sono seguite fasi

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di relativa stasi; ma queste sono pure le oscillazioni emotive dell’adolescenza che coinvolgono anche le relazioni con gli oggetti, i cantanti,e le macchine… Ma su tutti questi quesiti e osservazioni lasciamo la voce alle dichiarazioni spesso divertite, alle descrizioni a volte ironiche dei ragazzi stessi cercando, quando esiste, quel dato di differenza tra maschie e femmine con il quale, in forme e modalità diverse, si scontreranno nel mondo del lavoro o quando i diversi investimenti, i diversi impegni, ancora così evidenti in famiglia, li costringeranno ad un utilizzo meno libero del proprio tempo.

Così giovani e con una esperienza già così lunga….Questa la prima e più profonda impressione proposta dall’incontro con questi giovani studenti. E infatti per tutti e tutte la conoscenza del PC risale ai primi anni delle scuole medie, per alcuni già alle elementari; un membro della famiglia (alternativamente madre o padre, a seconda della necessità o delle competenze legate alle specifiche professioni) ne ha deciso l’acquisto, spesso ne ha fatto oggetto di un desiderato, atteso regalo. Il computer, questo importa, è un oggetto familiare, da sempre (o quasi) in casa. E la connessione ad internet ne ha reso quotidiano l’uso. Per tutti i maschi, come si vedrà più avanti ma soprattutto in un paragrafo – non casualmente dedicato a questo dato - l’approccio attraverso il gioco ha costituito la base delle attuali capacità e abilità…

Luca: passavo pomeriggi interi a giocare con amici e parenti della mia età; ora lo uso per lo studio, navigo in internet, scarico musica e altro. Mio padre lo utilizza per lavoro, ma senza particolari entusiasmi. Abbiamo diversi PC in famiglia, ma mia madre - che lo conosce nel luogo di lavoro - non lo utilizza a casa, la mia sorellina lo usa per la scuola…

Natascia: Il Pc è stato comprato quasi esclusivamente per me perchè gli altri non lo sanno usare, a parte mia madre, ma su programmi del suo lavoro …non mi è mai piaciuto molto ed anche ora che mi serve per le ricerche, non mi sento molto capace di sfruttarne le possibilità, ma la cosa mi interessa poco…

Vincenzo: Il Pc in casa l’ ho sempre visto, sino dalle elementari, perché mio padre voleva essere all’avanguardia con le tecnologie, usandolo per il suo lavoro di insegnante. Con l’andare del tempo appena lui se ne staccava io raggiungevo la postazione. In I superiore ho avuto il mio computer, da tre anni sono connesso a internet e uso quindi dizionari interattivi, mi serve molto per la scuola oltre a messaggiare e comunicare con gli amici…

Melania: il PC di casa lo abbiamo cominciato ad usare davvero solo con internet. Ora serve per le mail o le ricerche; mio fratello, che frequenta la terza superiore,lo usa per scaricare musica, mia madre maestra vi fa la programmazione, mia sorella di 10 anni lo usa per giochi.

Manuele: … sono sempre in chat, l’ADSL ha costituito la differenza. Il PC è un mio compagno ed è sempre acceso… lo uso quasi solo io, anche perché mio padre per lavoro usa un Mac …

Giorgio: abbiamo un PC fisso che usiamo tutti in famiglia, mio padre lo utilizza anche per il lavoro…. e anche se la incoraggiamo non vi sono stati risultati, non è interessata. Siamo a rotazione davanti allo schermo e per fortuna la nostra presenza in casa a turni favoriscono le non sovrapposizioni e le ingerenze nei documenti l’uno dell’altro…

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Roberta: mia madre, che è insegnante, lo ha comprato. Ora io lo uso, oltre per le cose descritte dagli altri, anche per programmi di grafica. Visto che litigavamo in famiglia per usarlo (lei, la madre il fratello) abbiamo acquistato un portatile. Se la mamma lo usa bene , mio padre vorrebbe, ma ci mette un sacco di tempo, allora io lo sostituisco perché mi spazientisco…

Vecchi programmi, vecchie strutture: ragazzi e ragazze e nuove tecnologie Il luogo dell’apprendimento per antonomasia è la scuola, ma le difficoltà della scuola oggi finiscono col divenire più evidenti, forti, talvolta stridenti a fronte della convivenza di vecchie materie, vecchi programmi, vecchie strutture con le nuove tecnologie. Ci si accorge, così, che sono proprio i ragazzi e le ragazze all’avanguardia, e che questo avviene attraverso un approccio individuale, non mutuato dalla scuola, piuttosto nella famiglia, come si è visto. E infatti, davanti al tema su quali opportunità offra la scuola e quali materie registrino l’uso di nuove tecnologie, in modo corale ragazzi e ragazze lamentano che da tanti anni non sia cambiato molto e che l’uso del laboratorio, per tutti, sia limitato alle prime classi, registrando non pochi problemi di programmazione. Naturalmente sarebbe scorretto generalizzare una situazione da qui inferendo un giudizio su tutta la scuola italiana; ma sembra abbastanza vicino alla realtà affermare che manca il sostegno da parte dell’istituzione scuola come fatto acquisito dei processi didattici e gli insegnanti (pochi nel liceo coinvolto) che utilizzano le opportunità date dagli strumenti informatici lo fanno per propri personali interessi e competenze, non ultime quelle di insegnare una materia specifica come l’informatica. Torna qui il nodo della velocità delle trasformazioni a cui la scuola non riesce (o lo fa in modo disomogeneo) ad opporre alcuna iniziativa e che fa sì che spesso gli studenti trainino gli stessi insegnanti. La discontinuità didattica enunciata dagli studenti, poi, non crea rapporto con i docenti e l’uso ed il sostegno di un PC non è parte di alcun programma in sè, bensì parte degli interessi, delle competenze, degli entusiasmi e determinazione di alcuni di loro. Ciò non di meno, l’utilizzo, più privato che scolastico, non li fa sentire mosche bianche perchè il vasto uso dello tecnologie hanno cancellato i timori che caratterizzavano l’approccio delle generazioni precedenti e questo accade in modo indifferenziato per i maschi e le femmine. E mentre la scuola fatica a tenere il passo veloce del cambiamento in corso, ragazze e ragazzi fanno i conti con i limiti e la ricchezza dell’autoapprendimento. Da questo punto di vista decisamente divertente è stato ascoltare in quale modo avvengano i processi di conoscenza e quali sentimenti ed atteggiamenti si sviluppino in questo ormai continuo processo di autoapprendimento che non è però autoreferenziale, potendo contare anche sugli scambi con i compagni, gli amici, in modo quasi quotidiano; mentre è più raro che ciò avvenga con il padre e con la madre. Di questi ultimi vengono descritte le difficoltà, i ritardi, le incompetenze più che le competenze, le necessità di essere sostenuti più che il sostegno dato ai figli. Per le mamme (come per le altre donne), si conferma un uso strumentale per i vantaggi collegati al lavoro, la tendenza a non lasciare debordare la tecnologia, che già ha cambiato le loro professioni, all’interno della casa. I genitori, quindi, a seconda delle loro personali capacità, interessi e professioni, scambiano i loro interessi ed i loro “guai” informatici con i figli, accettandone spesso la “diversa” competenza. I padri sono in genere più attenti, più curiosi rispetto alle novità, alle trasformazioni, ma entrambi i genitori sembrano guidare, decidere, gli investimenti in tecnologia della famiglia, dal numero dei Pc alla connessione adsl.

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L’idea diffusa (in altra parte di questa indagine diversamente approfondita) che le donne, le madri, hanno la tendenza a viverlo più come elettrodomestico che fa prestazioni veloci ed efficaci, che come strumento di svago e divertimento, ne risulta confermata: non si gioca insieme al computer, semmai si correggono i lavori e le ricerche da portare a scuola l’indomani.

Disponibilità al cambiamento e all’apprendiementoProprio per l’approccio precoce con la tecnologia attraverso il gioco, la curiosità e la scoperta del mondo intorno a loro, tutti (e) sono, come si è detto, a loro agio, a differenza delle generazioni precedenti; non sono affatto disposti a perdere la sicurezza che la conoscenza tecnica è capace di trasmettere, nè a rinunciare ad alcuno dei suoi vantaggi. Anzi. Essi amano il cambiamento, trovano divertente l’idea che ci sia sempre qualcosa di nuovo da imparare, e si va dal più comune stile “più e più tentativi per trovare la via di uscita” al desiderio, più ridotto, di approfondimento delle conoscenze della tecnologia informatica con un pensiero alla facoltà di ingegneria.

Natascia : Se il mio cellulare non va io lo sbatto sul tavolo sino a quando non funziona, per mio padre questo è inconcepibile...nella tecnologia non è tutto razionale come riteneva prima lui, in una macchina fai danni se non sai dove mettere le mani; nelle tecnologie più moderne invece è la fortuna, non sai cosa hai fatto però il problema lo hai risolto. Non è più una cosa così umana, materiale.

Vincenzo : Io uso un po’ Photoshop che però è difficilissimo al punto che fanno corsi professionali…figurarsi un autodidatta...impari a fare la cosina, la scrittine colorata. Per fortuna in internet ci sono dei tutorial che qualcosina ti insegnano a fare. Ci metto tre giorni in cui non apro un libro per fare quella cosina. E’ il limite dell’autoapprendimento, questo andare per tentativi che poi diventa farlo tutte le volte. Tra me e mio padre l’approccio è diverso: lui tenta di capire, ci mette di più ed alla fine riesce a fare meno cose, magari quando ha un problema ci mette un pomeriggio perché ci vuole andare in fondo. Io magari vado lì, non funziona e dopo un po’, per tentativi, ci riesco. Per mio padre, non so se dipende dalla generazione, è inconcepibile andare per tentativi. E’ anche giusto, non ci si mette molta intelligenza (…) quelli che costruiscono i circuiti sono poi quelli che ci capiscono qualcosa, e sono i soli. Ora che ci penso posso dire che ho superato il problema di capire cosa succedeva, non occupandomene. Tutte le volte che ci provavo c’era sempre qualcosa in più da sapere, allora meglio i tentativi. Anche il tecnico in fondo si comporta così, non è che identifichi il problema, semplicemente fa più tentativi, tutto lì.

Martina: Per me il PC è odio e amore e lo uso molto. Non sono stata molto fortunata con i computer che ho avuto, per difetti di fabbricazione…errori con l’hard disk che lo facevano saltare quando voleva lui. La connessione tuttora si perde ed è un classico perdere il lavoro che si deve consegnare il giorno dopo, questo determina l’odio. Parlo anche di amore perché sento che dipendo da lui su alcuni siti, informazioni …mi aiuta a sognare…apro le mappe per organizzare itinerari, immaginare viaggi, siamo in IV e tutti pensiamo a quello del dopo maturità.

Giorgio: Io con il PC cerco sempre qualcosa di nuovo anche se conosco i rischi. Conosco i programmi per ripristinare le funzioni e con il tempo sono riuscito ad evitare alcuni problemi.. i troppi software che ho inserito (soprattutto per la costruzione di siti internet) lo hanno reso molto lento; la navigazione risulta un po’ problematica e perdo interi giorni a riorganizzare. Anche mio padre ha programmi per il suo lavoro molto

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pesanti. Devo conciliare buone prestazioni e lo spazio che necessito, ma mi sento abbastanza capace, nel senso che se lo rompo riesco a ripararlo, mi intendo di programmi, ma mi piacerebbe capire di più in termini di componenti e di come ottenere di più senza affrontare ulteriori acquisti a prezzi che non sono sempre abbordabili…portafoglio e computer non vanno molto d’accordo… mi piacerebbe approfondire le mie conoscenze al punto che penso di fare ingegneria informatica, ma dipende anche da come esco alla maturità…

Natascia : Saper usare il computer non è tanto saper fare quello che si vuole, quanto conoscere la strada più corta. Essere autodidatti in questo senso non è producente perché riesco a fare quello che voglio, ma se qualcuno me lo insegnasse la farei in mezz’ora…

Ma nelle difficoltà inevitabili, i comportamenti delle ragazze…sono pressoché identici a quelli delle loro mamme, o comunque a quelli della gran parte delle donne intervistate. Ci si rivolge a un lui, parente o amico:

Greta: io se lo rompo chiamo un amico di famiglia che è tecnico, ma credo che potrei vivere anche senza il computer che è uno strumento che uso, ma che non mi fa dire che vivo per lui…. magari lo accendo per ascoltare la musica, ma non posso dire di non sentirmi a mio agio.

Roberta: Io ho un cugino che chiamo in emergenza e che mi guida telefonicamente; per sua fortuna abita lontano.

Melania: se si apre qualche finestra strana chiamo mio fratello, non rischiamo tanto perché non ci sono molti lavori importanti…

Comunicazione e relazioni con internetLe domande suscitate dalle suggestioni di queste/i ragazze e ragazzi, come scritto all’inizio sono davvero tante: nascono nuove relazioni, passioni, amicizie attraverso il PC? Come, quando e quanto si comunica? Si rafforzano, attraverso il desiderio, le competenze? A guardare dalla parte delle risposte, invece, in modo superiore alle nostre aspettative, queste mostrano di essere decisamente omogenee. Se c’è chi ancora preferisce la penna per scrivere, non mancano gli interventi di chi dichiara di inseguire i propri hobbies anche attraverso questo mezzo, ma le relazioni rimangono relazione reali, incontri di persone, sguardi ed emozioni che si verificano di lì a poco, anche se l’arrivo dell’ADSL, la velocità e le potenzialità sviluppatesi hanno trasformato radicalmente, in pochi anni, gli stili di comunicazione in modi che i ragazzi stessi riescono a riconoscere, delineare se non identificare. I programmi di messaggi vengono utilizzati indistintamente e frequentissimamente e tutte le potenzialità connesse sono sviscerate. Si va dalla trasmissione della versione di Tacito a quella di brani musicali, agli scambi di fotografie e così via. Si ha la sensazione di una comunicazione permanente che determina anche forme di studio collettivo. Gli adulti sono del tutto distanti dal fenomeno: è un ambito di relazione tra ragazzi. Decisamente poco gettonate le chat, alle quali si preferisce la cura, l’attenzione alle relazioni già esistenti: una conversazione in rete raccoglie l’interesse se lo scambio avviene con persone che già si conoscono, che già ti interessano, con le quali già

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condividi motivazioni. Si vuole comunicare piuttosto che nascondersi a questa età, le chat dei nicknames sembrano fare più riferimento ad altre generazioni, a chi comunque ha già un vissuto alle spalle; le due dimensioni del farsi vedere e nascondersi contestualmente non interessa questi giovanissimi interlocutori. Si visitano i blogs di altri, si scaricano brani musicali, ma i giochi legati alle false identità non sembrano proprio interessare; si comunica proprio per farsi conoscere per quello che si è, per “riconoscersi”.Madri e padri non sembrano assolutamente interferire, nè partecipare, ma neppure scaricare sull’uso delle tecnologie preoccupazioni legate alle forme di apprendimento e di “crescita” dei propri figli.

Luca : Io uso messenger che è una chat un pò particolare. Non ti inserisci in una cerchia ampia, sono più SMS tra persone già conosciute, una conversazione in rete. Quando non so cosa fare vi entro, ma sempre con i miei amici ed è bello che lo si possa usare con più persone insieme, anche direttamente con la voce, ma per me sono strumenti che sostengono rapporti che già ci sono. Natascia: penso che se non si hanno amici legati al solo contatto tramite computer, non ci siano rapporti che si possono curare solo in quel modo, l’uso sia limitato…ho però un’ amica che ha riallacciato rapporti con persone che aveva perso perché abitavano in Polonia…

Vincenzo: per messenger sono un anno o due che è così popolare, prima scambiavi il numero di telefono, ora aggiungi il contatto di messanger …sul blog ci vado senza scrivere niente; è gradevole anche interessarti alla gente che dibatte, ma tu puoi (come me) non essere attivo, anche passivamente avere notizie su film, cartoni, sport…ed è una cosa molto comoda…

Ma come le nuove tecnologie sostengono la famiglia nelle esigenze della quotidianità? Verrebbe da dire “così giovani e già così attenti…”. Sta di fatto che tutti i membri della famiglia, in questo sostenendosi, cercano di sfruttare al meglio le opportunità date dall’ avere lo strumento PC all’interno della casa. Si prenotano e acquistano biglietti aerei dopo attente valutazioni, si pagano bollette e si utilizzano tutti i servizi “salvatempo”, i padri operano in borsa ed effettuano le operazioni bancarie dalla postazione domestica…una volta quindi diventate “friendly” le modalità di intervento, non vi sono resistenze ad attivarsi. L’idea è che il tutto sia comodo ed economico, ma anche non privo di insidie se è pur vero che si preferiscono le carte di credito ricaricabili ed i siti più sicuri per quanto attiene agli acquisti. Il fenomeno sembra però del tutto limitato e contenuto, coinvolgendo nel gioco di acquistare gadgets e piccoli oggetti. Come per altre nostre intervistate non si tratta solo di verificare la qualità, ma di attivarsi in una relazione di fiducia e di immediatezza nei confronti di chi ci può fornire il bene che interessa. Una citazione per tutte.

Giorgio: Se ci sono servizi su cui risparmiare tempo, come le bollette, piuttosto che andare in posta mio padre lo usa, è più immediato. Io per evitare fregature uso la carta ricaricabile per i miei acquisti in internet, è molto più sicuro perchè pagando in anticipo… ho ordinato una cosa tre settimane fa da mettere in camera e non è ancora arrivata, può esserci il rischio che ciò che compri non arrivi …era un poster, una roba del genere e non ricordo il sito. Se avessi utilizzato E bay, arriverebbe di sicuro.

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Ragazzi e ragazze: passione, gioco, utilitàCome accennato sopra, proprio in relazione all’importanza con cui emerge il tema dell’approccio di uomini e donne alle nuove tecnologie in numerose interviste, è interessante andare a vedere quali osservazioni fanno in proposito le/gli adolescenti di oggi.E’ quindi proprio vero (ancora e sempre) che già da piccoli vi è un approccio che si differenzia tra maschi e femmine? Che per i primi il gioco è un accesso per formarsi a vere e proprie future competenze e costituisce maggior passione, oltre che raccogliere maggiori tempi di svago? Lo confermano, queste modalità differenziate per sesso appaiono radicate in orientamenti profondi. Da parte delle ragazze, comunque, risulta evidente che non vivano sensi di esclusione, perché partono dalla tranquillità di riuscire ad ottenere da loro stesse tutte quelle prestazioni di comodità, oltre che di creatività, che desiderano esplorare.

Melania: Noi il computer lo abbiamo avuto da sempre, abbiamo avuto lo stesso approccio dei maschi, ma i ragazzi si appassionano di più, per noi è più strumentale, io lo uso per scrivere, parlare con la gente, non mi interessa come funziona, semplicemente mi serve, un mezzo per raggiungere uno scopo, non uno scopo in sé.

Luca: I ragazzi iniziano per gioco, per le ragazze è più strumentale, i ragazzi giocano di più e aumentando al complessità, con il tempo inizia un processo di apprendimento…. se una cosa ti interessa, poi continuerà ad interessarti: i ragazzi sono più interessati ai software in genere e continueranno a trovarci un elemento di divertimento…

Natascia : secondo me interessa più i maschi, che sono più appassionati.

Roberta: Io lo uso perché ne ho bisogno, loro sono più interessati a conoscere i programmi…

Madri e padri E, ancora, qualche commento, per tracciare con più evidenza la demarcazione sul nodo “cambiamento” che ha segnato la vita degli adulti mentre per i/le giovani è parte della vita quotidiana. E così vediamo padri e madri che si ritraggono o che “inseguono” (con più o meno nonchalance) il cambiamento e magari “imparano” o si lasciano aiutare dai figli. Rispecchiano i diversi approcci di distanza o di vicinanza degli adulti, ma senza una rigida demarcazione di genere. E anche questo allude a cambiamenti in corso fra i sessi nel loro rapporto con le tecnologie digitali

Roberta: Mio padre invece dice che prima o poi lo butterà perché non ci capisce niente e delle volte si trova a non sapere come fare, imbambolato. Invece mia madre no, lei insegna matematica e questo conta. Ha un rapporto di odio profondo perché quando lui si avvicina inevitabilmente quello non parte, non stampa e così via.. Arrivo io e tutto funziona e lui da di matto. Lo usa meno di noi tutti, anche se insegna non gli serve molto.

Giorgio: Mio padre non vede di buon occhio le innovazioni perché davanti a qualcosa di nuovo si perde completamente, quindi io devo andare dove lavora ed aggiornarlo su quello che è cambiato. Per me è più interessante scoprire qualcosa di nuovo e cosa è cambiato, i vantaggi che possono portare i cambiamenti. Lui è terrorizzato dal

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cambiamento, perché deve aggiornarsi anche se bene o male riesce a saltarci fuori. Non riesce a muoversi come vorrebbe nei programmi, ha bisogno di tenersi aggiornato sempre.

Vincenzo: A mia madre succede qualcosa di simile: facendo il medico è un po’ cambiato il modo in cui lo faceva all’inizio…L’impiego del computer a loro non è stato insegnato da nessuno. Non è giusto secondo me, deve fare cose in un “ambiente” che non è il suo e la vedo un po’ tesa ad affrontare cose stancanti. Mio padre continua ad essere affascinato anche all’idea di aggiornarsi, per mia madre tutto si ferma alla mail che manda.

Luca : Per mio padre internet è un miracolo e l’informatica in generale pure; è un appassionato. Dice: “da piccolo non avevo neppure il telefono in casa ed ora posso guardare tutto il mondo da qua!”

Dimestichezza e competenze con lo strumento informatico acquisite precocemente, ma anche un diverso rapporto col mondo, nella sua dimensione “globale”, attraverso la rete.Come abbiamo visto, e non solo per quanto riguarda i giovanissimi, spesso ci si rassegna e ci si affida alla fortuna nel rapporto con questi strumenti che si lasciano usare, ma non capire se non da chi, conquistato dalle nuove tecnologie, impara a conoscerle nei meccanismi di funzionamento più interni per utilizzarne tutte le potenzialità. Ma quando si indaga sulla fiducia che si attribuisce alla rete il rimando è che la cultura si forma - ed è anche altro- da quella che la tecnologia sembra fagocitare, grazie all’infinito numero di sollecitazioni, informazioni, confronti che consente. Se, però, nelle interviste alle donne (ed ai pochi uomini) delle generazioni più adulte non era assolutamente necessario spiegare che cosa si intendesse quando si chiedeva se la rete consentiva approfondimenti, non così immediata è questa comprensione nel dialogo con i più giovani. Si mostra di essere attenti alle insidie, alle superficialità, alle grossolanità che, anche attraverso il mito della libertà e gratuità, passa attraverso internet, ma alcuni dubbi, le molte paure che attanagliano gli adulti, non sembrano attraversare le generazioni più giovani. Non è tanto la qualità delle informazioni quanto la velocità della loro fruizione che fa la differenza, la difficoltà di andare “dentro” ai contenuti, di soffermarcisi, appunto di approfondirli, attraverso tempi di maturazione ed elaborazione che sono del tutto individuali. Le difficoltà tecniche sono, in fondo, ben piccola parte della singolarità con cui ciascuno costruisce le basi di conoscenza, sapere, crescita personale. In questo scambio, in queste nuove possibilità ed opportunità queste famiglie sembrano entrare molto poco, se non attraverso le preoccupazioni che le postazioni di gioco, comunque un monitor, fagocitino un eccessivo tempo di vita. Allora sono le madri che “vietano” che si stia alla play station, al computer troppo a lungo, riprendendosi così in pieno il loro ruolo di cura nell’educazione dei figli ma, sembra, senza riuscire ad intervenire negli aspetti per i quali il virtuale, invece di integrare il reale, vi si sostituisce.

Melania: Farsi un idea su internet su un fatto di attualità è davvero complicato, devi avere un’idea prima e vedere come i giornali o un forum lo hanno trattato. Farsi una cultura su internet è davvero difficile. Nella realtà o finzione di quello che leggi sui giornali o su quello che dicono alla televisione, devi considerare un minimo di fortuna ed un minimo di capacità critica.

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Giorgio: …il successo delle tue ricerche nella rete dipendono dalla abilità di saper cercare le fonti. Io quando cerco un informazione cerco sempre di confrontarne più di una; per internet vale la regola che ognuno scrive quello che vuole e quindi tu devi farti la tua opinione ritenendo più o meno tendenziose le notizie che trovi…con Internet hai un accesso più immediato a molte informazioni, risparmiando tempo, ma devo essere in grado di scegliere, perché ciò che trovi dipende dall’uso che le persone fanno delle notizie che mettono in circolo, perché comunicano….

Natascia : Anche nei giornali si assume un dato di realtà, ma è il taglio che varia…. L’approccio che posso avere ad un determinato strumento è diverso a prescindere dalla capacità di uso…”con che intenzione io vado su internet e che cosa cerco?” Per essere in grado di selezionare devo partire dall’intento e saper verificare il metodo che uso.

Luca: Se su una enciclopedia è tutto vero e corretto, in teoria, per internet vale l’esperienza della navigazione, che ti dà l’affidabilità di alcuni siti. Ci sono alcuni siti grossolani, altri più dettagliati ed affidabili, ma è necessaria una selezione ed una cultura “da fuori”.

Anche qui, non si intendono trarre conclusioni. Ci sembra piuttosto più importante proporre qualche elemento di comparazione riferendoci in particolare all’immagine che questi giovani ci rimandano dei loro genitori e soprattutto delle loro madri.In linea di massima gli adulti non sembrano differenziarsi molto da quelli da noi intervistati (decisamente più donne che uomini e quindi più madri che padri). Intanto anche qui ci troviamo di fronte a donne di ceto medio, spesso con professioni intellettuali. L’incontro con le nuove tecnologie si conferma praticamente lo stesso: percorsi di apprendimento da autodidatte, una maggiore dimestichezza là dove conoscenza e curiosità di base erano maggiormente presenti (il caso della madre insegnante di matematica, per esempio), talvolta la dichiarazione di un senso di estraneità prevalente espressa attraverso le colorite espressioni dei ragazzi e delle ragazze (“mia madre è ignorante in materia di computer, non riesce neppure a scrivere con word”, “Mio padre ha il suo metodo gamma: spegne e riaccende”, “per mia madre tutto si ferma alla mail che manda”). Generalizzato anche l’uso strumentale sia del Pc che della rete da parte delle ragazze.Sicuramente però la consapevolezza dell’importanza che le nuove tecnologie avranno nella vita dei figli fa sì che si superino diffidenze (relativamente alle insidie della Rete) ed eventuali proprie difficoltà d’uso delle tecnologie stesse. In questo senso la necessità di offrire strumenti essenziali alla vita adulta – soprattutto lavorativa – dei loro ragazzi e ragazze, diventa un ulteriore motivo per avvicinarvisi anche al di fuori del proprio ufficio (ripensando alle nostre intervistate, sono davvero numerose le madri che ci hanno detto di fare uso della rete per scaricare giochi per i loro bambini, o materiali utili alla loro crescita).Tornando invece col pensiero a quanto ci è stato detto dalle intervistate più giovani (tutte però con un’età compresa tra i 27 e i 30 anni), si trova la conferma della crescente familiarità d’uso via via che si scende nell’età. Interessante il dato della presenza di una distanza “più radicale” come quella espressa da una delle adolescenti presenti al focus che richiama (quasi ricalca con le stesse parole) alcuni accenti critici di intervistate più adulte (ma credo che potrei vivere anche senza il computer che è uno strumento che uso…).In generale però, si può affermare che tra i più giovani vi sia un orientamento abbastanza stabile fra maschi e femmine. Entrambi lo usano con indubbia maggiore

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dimestichezza costruendovi insieme diverse e più articolate modalità di relazione fra coetanei. Nello stesso tempo alcune differenziazioni nel rapporto con le nuove tecnologie instaurato da uomini e donne, si confermano. Del rapporto più strumentale si è già detto, ma questo sembra esprimere una messa in gioco di una emotività diversa da parte dei maschi e delle femmine. E questo è un dato di grande interesse se si considera quanto sia importante il corpo nella nostra relazione con le macchine in generale e con queste in particolare. Qui vi risiede quindi una differenza ancora largamente da indagare nella sua dimensione più profonda (anche inconscia) e che ci chiama verso percorsi di maggiore consapevolezza.Per chiudere questa parte, altre due brevi considerazioni sempre di carattere più generale: il rapporto con la scuola e quello (in questo caso, futuro) col mercato del lavoro.Le parole di questi/e giovani fanno presupporre una grande disomogeneità fra le scuole per quanto attiene all’insegnamento e all’uso delle tecnologie informatiche. Un rapporto talvolta lasciato alla buona volontà degli insegnanti piuttosto che alla capacità di questa istituzione di tener dietro all’imponenza del cambiamento di cui stiamo scrivendo. Non è un caso se una nostra testimone privilegiata, docente universitaria, sottolinei una preparazione non soddisfacente dei ragazzi e delle ragazze che pure seguono facoltà ad alto contenuto scientifico. Anche da qui l’importanza che assume l’autoapprendimento a casa, con gli amici, nella stessa scuola insieme agli insegnanti. Prematuro, ancora una volta, esprimere un giudizio compiuto soprattutto in considerazione delle stesse grandi trasformazioni che comunque investono la scuola.Nel focus si è guardato all’oggi, più teso, come era nelle intenzioni, a cogliere le differenze tra generazioni nell’approccio e nell’uso delle tecnologie. Rimane invece aperto tutto il grande tema del prossimo incontro di questi giovani con il mondo del lavoro. Vi arriveranno già abituati al cambiamento e senza aver conosciuto il mondo privo delle nuove tecnologie. Farà la differenza, ma quanto e come anche i generi la segneranno dipenderà dalla consapevolezza che maschi e femmine avranno di sé e della loro diversità (di genere).

4. Non ci sono differenze, ma…stereotipi e generazioni

Sollecitate dalle domande a riflettere, a dare voce a sensazioni, idee, annotazioni che si erano sedimentate forse senza una forma compiuta, la questione se ci sia una differenza (di genere) e come si manifesti, ha avuto una grande ricchezza di risposte. Non sempre univoche anche da parte dello stesso soggetto – differenze sì, però…- in relazione a due livelli del problema che si intersecano e si confondono l’uno nell’altro: le modalità d’uso, gli stili di comportamento da un lato; le capacità – intese come abilità (cognitive) verso la tecnologia – dall’altro. Nel primo caso sì, delle differenze sono percepite ( e se ne è già esaminato un ventaglio nel paragrafo 1). Nel secondo caso no, uomini e donne sono “uguali” di fronte alle tecnologie informatiche. Il codice di lettura della realtà è di parità. L’età, col peso della diversa socializzazione alle tecnologie, viene riconosciuta come una ragione, se non la ragione principale, di queste differenze.E quindi l’andamento discorsivo più frequente, rivelatore di una complessa costellazione di significati coesistenti all’interno di ciascuna, è stato: “no, le donne non

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sono estranee, ma…”, “no, non vedo differenze, però…”, “le donne sono ‘dentro’ come gli uomini, l’unica differenza è…”, “no, non c’è differenza, però le donne pensano di non essere capaci”.

Diffusa, di tutte (universale?) la convinzione che non ci sia estraneità, ma diversità di interessi: il funzionamento meccanico per gli uomini, modalità e senso dell’utilizzo per le donne. Questo è davvero il senso comune (che certo ammette delle eccezioni), il pensiero che anima la cultura del contesto. Poiché diverse sono le angolature, per molte è difficile dare un giudizio senza sfumature, l’osservazione ambientale porta a vedere esempi che vanno in un senso e nell’altro: anche uomini e donne che hanno rifiutato mentalmente, che non vogliono nemmeno accendere il computer e si tratta di uomini istruiti, avvocati, “uomini imbranati” che si incontrano tutti i giorni.

No. secondo me [le donne] ci sono “dentro” come gli uomini, non le vedo “fuori”. L'unica differenza che noto molto è che gli uomini sono sempre molto più addentrati nell'informatica ma come tecnologia interna, come funzionamento del computer, mentre magari le donne sono meno interessate a smontare, vedere.. i ragazzi sono quasi sempre partiti così: compro un hard disk più grosso, ci cambio questo e quello: un po' come facevano con il motorino, lo fanno con il computer. Montano e smontano, con due o tre PC ne fanno uno.. Le ragazze no. Alle donne interessa di più come utilizzo, come programmazione, ma meno come funzionamento meccanico del computer. SL41

Per fare un paragone che è molto più accessibile il rapporto che una donna ha, aveva, o forse ancora ha, con il motore dell’automobile rispetto ad un uomo. L’uomo sa perfettamente quello che accade. Le donne in generale usano probabilmente meglio e pilotano meglio il veicolo, ma non vogliono proprio sapere: non è funzionale dal punto di vista sistemico, esistenziale al loro interesse sapere…è mia esperienza personale ma anche vista nelle poche studentesse che ricordo. E poi è proprio una questione di fondo; sapevano perfettamente le funzioni tecniche che venivano loro richieste, ma non era un bisogno impellente di relazionarsi su tale programma….LB 68

Collegata a quella concretezza così spiccata nelle donne insieme alla considerazione dell’ utilità – è stato detto – si manifesta un senso del limite se non un disincanto che porta la maggior parte delle intervistate a non lasciarsi fagocitare dal computer (e usi conseguenti) riempendosene la vita. Mentre pare più frequente negli uomini – è caratteristica maschile, si dice – la tendenza a non porre limiti di tempo, a lasciarsene dominare in tutti i momenti lavorativi e non, un’ossessione, una droga a cui non si può più rinunciare. La dipendenza “eccessiva” che molte vedono anche nei propri compagni nasce talvolta da un diffidenza generale negli strumenti tecnologici anche se li si conosce, ma, di più, dal desiderio di separare la sfera del lavoro a cui è associato il computer, e la sfera personale; anche se si riconosce che internet è magica.Le due testimonianze che seguono contrappongono entrambe il femminile – più funzionale agli scopi - a un maschile “ossessionato” dalla tecnologia sia al lavoro che dopo, sia per gli hobbies che in sé, un argomento di conversazione (magari anche di competizione) col gruppo di amici.

Credo poi che il maschile si ponga nei confronti della tecnologia in base alle proprie ossessioni, direi di chiamarle così. Può essere legato all’hobby, alla attenzione che uno dedica al di fuori dell’attività lavorativa che può essere lo sport, la musica, le macchine

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ed ho parlato di ossessione perché secondo me è uno strumento che coltiva, anzi che fagocita l’ossessione, questo nel maschile. Nel femminile io questo non lo vedo. Secondo me nel femminile non c’è…lo strumento non fagocita l’ossessione …. IG 56

Differenze? Lo usiamo in maniera più intelligente. Lo dico con una punta di orgoglio non so se sia proprio così però, proprio perché siamo molto organizzative e molto funzionali, lo usiamo in modo più intelligente. Io vedo che quando si riuniscono i … con il mio compagno, loro si riuniscono sul computer, devono continuare a guardare a vedere. Io lo uso quando mi serve ma non mi viene in mente il pomeriggio se non ho niente da fare, di accenderlo per vedere un programma o … altro o vedere i megabyte o la Ram. A 28

Anche un intervistato attribuisce a sé una passione che rischia di divenire droga, dipendenza compulsiva; forse il fatto che sia ingegnere delle telecomunicazioni può essere una spiegazione? Certo per lui il computer “non è uno strumento” ma interesse e piacere della esplorazione, della conoscenza…

Poi, diciamo anche per motivi di educazione, i miei sono...Mio padre è un ingegnere, mia madre ha studiato matematica, di conseguenza sono stato orientato verso un' informazione scientifica e di conseguenza la passione verso le tecnologie queste cose qui, mi sono sempre divertito anche quando i computers erano degli scatolini che uno usava in casa attaccati ai televisori poi ho fatto il pc e mano a mano ho scoperto internet e ho cercato di tenermi ragionevolmente al passo, ecco. L'uso di internet che faccio adesso è praticamente, lo sarebbe anche senza il lavoro ma il lavoro collabora, è praticamente compulsivo, quasi una droga…VV 35 m

E la curiosità di conoscere sfocia nel bisogno di essere/sentirsi aggiornati all’ultimo software, all’ultimo modello di Pc, ecc…diventare consumatori di tecnologie. Mentre lei, che pure è una tecnica informatica, ne rifugge e al consumismo oppone una pratica che più che di risparmio di risorse, parrebbe di sostenibilità, di moderazione. Le donne non sono estranee alle tecnologie informatiche, io credo di no. I pregiudizi sono quelli classici che le donne non se la cavano... ma poco dopo nota sto pensando al mio compagno che è un consumatore di nuove tecnologie, compra sempre tutte le cose…io sarei molto più parca. Forse io userei di più quello che ho. Mi fa pensare che lui sia più curioso, io cerco di più di approfondire. GB 43

Curiosità ed esplorazione delle potenzialità dello strumento, un gioco, lui. Più utilità lei: un confronto nella quotidianità che è indecisa se vederla come differenza di genere, di generazione…

Sono un po’ convinta che ci sia un differente approccio che non so se sia di genere; nel mio caso, ad esempio, io non sono una giocherellona [come mio marito]…secondo me nello stare dietro alle trasformazioni della tecnologia ci vuole una dose di voglia di giocare che ti rende più appetibile lo strumento, ti viene voglia di esplorarlo in tutte le sue sfaccettature…nel mio lavoro non trovo differenze di genere, mi sembra che siamo abbastanza omogenei…come aspetti generazionali invece un po’ di più, ma poco. PV 44

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In una logica fondamentalmente paritaria fra i sessi, è l’età, per la maggior parte, il motore delle differenze; età significa maggiore elasticità mentale delle persone giovani insieme a maggiori competenze tecniche, insieme a maggiore disinvoltura e familiarità. Si rafforza il ragionamento con l’esempio della diffusione del cellulare.

Ma no.. non c'è differenza…No, c'è uno stereotipo che non ha fondamento... non perché sia meno intelligente o meno... E' uno stereotipo che non ha senso. Io vedo molte persone che se per lavoro devono imparare ad usare il computer, in quel momento lo imparano ad usare. Punto. E' più una questione di età e di elasticità mentale, nel senso che più impari ad usarlo da giovane, meno fai fatica. Non è una questione di donne e uomini. Lo vedo anche con il telefonino. LH 53

[ il gender gap] secondo me è generazionale, nelle ragazze è diminuito. Sta già calando con la mia generazione. Per i ragazzini si mantiene un uso diverso, come un po’ dicevamo prima, della tecnica dei cellulari sanno tutto. GB 43

Faccio l’esempio di mio fratello, di mia nipote e di mia figlia. Tre persone dalle quali il computer viene usato molto…Loro che lo usano e conoscono di più perché lo sanno usare di più, li vedo in effetti, da come erano e come sono molto più sicuri di sè, molto più tranquilli nel gestire determinate situazioni. Davanti ad una insicurezza, il loro modo di reagire è: “andiamo a vedere” e non pensano al pezzo di carta, pensano al PC. Vanno a colpo sicuro. Sono due donne ed un uomo, ma non ho visto differenze. Le differenze non è tra uomini e donne, ma di competenze. Aggiungo che si tratta di giovani donne. PC 50

A una certa età, poi, si dice che le donne osano meno (infatti fa eccezione il caso della pensionata speciale); già a cinquanta anni, pensano delle quarantenni, puntualmente smentite dall’osservazione contraria: che le quarantenni dimostrano più accanimento nell’imparare che le ragazze. Non sarà ancora una volta questione del perché, del senso che si dà all’azione a spiegare molte delle differenze fra le diverse generazioni? È più o meno il pensiero della intervistata prima citata quando nota che c’è un investimento delle donne per una crescita personale anche nella tecnologia, soprattutto nel lavoro, “per una certa indipendenza”.Tra i due fattori, età o sesso, anche gli uomini propendono per dare un peso decisivo al primo; perché lo constatano nei colleghi maschi. Convinti entrambi, comunque, che “più si andrà avanti più le persone saranno attratte, o spinte a forza, verso una loro propria tecnologizzazione”.

Sì la vedo in termini generazionali. Non la vedo in termini di genere. In termini generazionali molto. Vi è molta fatica da parte di persone non molto più vecchie di me. Io ne ho 40 di anni, chi ha 7, 8, 10 anni più di me si trova molto male, fa molta fatica. DR 40m

Il salto generazionale è evidente, continuo a non vederlo in termini di uomini e donne. Il salto generazionale è evidente anche per pigrizia mentale. A volte è un mondo talmente vasto che una persona di una certa età non se la sente di affrontarlo. Dice basta, ne ho a sufficienza. IM 30m

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Contro i pregiudizi e contro le differenze si schierano, con diverso animo, due giovani donne; la prima nega la possibilità di qualsiasi differenza fra i sessi: siamo nella cornice della parità realizzata, un modo fiducioso di percepire il cambiamento, nessuna problematicità.

Secondo me sarebbe anche interessante sapere quali sono le caratteristiche femminili, cioè io non credo vi sia una differenza sostanziale tra uomini e donne. …Il pregiudizio lo trovo vecchio, sorpassato e comunque la realtà non corrisponde…per quanto riguarda la mia esperienza e quella delle persone che conosco non funziona così… SP 30

La seconda ne fa una questione o di gusti personali (quindi non legate al genere) o di mancanza di tempo per la molteplicità di compiti cui le donne debbono rispondere: alle innovazioni le donne opporrebbero un rifiuto prima, ritardo e lentezza poi. “Le hanno anche altri interessi…” Che proprio questa nota che va alle condizioni materiali della “doppia presenza” femminile venga da chi non ha ancora trenta anni, la rende un caso abbastanza raro, per una giovane, di una sensibilità di genere.

Non è vero [che ci siano differenze]. E’ vero che stanno approdando in modo più lento. Ho studiato in sociologia questo tema dell’approccio alle nuove tecnologie. Quando arriva una nuova tecnologia, la donna in casa ha già tantissime mansioni, percepisce che se se ne interessasse costituirebbe un ulteriore peso; l’uomo la vede più come una valvola di sfogo; c’era e c’è questa disparità, penso che sia una questione di gusti personali, di predisposizione…, e poi ora si studia a scuola… Quali stereotipi, quali pregiudizi? il classico sulle donne e le macchine, bene o male. Che non le sanno usare... LP 28

Quando chiamo un informatico la prima cosa che ti dice è “sei sicura di aver acceso bene il PC?” sei sicura, sei sicura, secondo me ad un uomo non lo direbbero, ad una donna “sei sicura” come per dire prima di …questo è un intercalare, tant’è vero che quando chiamo l’approccio è : “Ho già fatto questo, questo e questo, cosa posso fare ora?” Per cui ci sono tutti i pregiudizi. Io però penso che non sia tanto una questione di sesso, quanto di persone. Conosco tanti uomini imbranati, quotidianamente mi succede di incontrarne…FP 42

Quindi alla fine si può dire che l’opinione sia: no assolutamente gap di genere se lo si intende come diversità /carenza di capacità mentali, cognitive delle donne, verso le tecnologie. Semmai una differenziazione fra modalità d’uso dettate da interessi differenti; può essere più forte nelle generazioni di mezzo che hanno dovuto apprendere a lavorare con le tecnologie digitali dopo la giovinezza. Minore nelle più giovani, più sicure, più disinvolte. Anche più abituate a fare uso quotidiano dei mezzi digitali oltre l’ambito lavorativo.Se c’è sensibilità a cogliere differenze nei comportamenti d’uso delle tecnologie IC, l’orizzonte culturale nel quale esse si iscrivono è tuttavia quello di una concezione paritaria fra i sessi. Anche se i più tradizionali stereotipi della donna negata per la tecnica faticano ad essere scalzati. L’importanza dell’età, invece, è fuori discussione.V Soggettività e paradigmi “femminili” e “maschili”nell’uso della Rete

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1. Computer e Internet nel quotidiano personale

Capire quale spazio mentale e temporale è assegnato al computer e a Internet nell’altra faccia della vita di ogni giorno, quella personale e familiare, offre la misura di quanto si stia veramente diffondendo l’uso delle tecnologie. E capire meglio sia a livello dei comportamenti abituali che degli orientamenti di pensiero sottesi, il grado di familiarità, di “addomesticamento”37 o di “quotidianizzazazione” 38, che se ne ha. È infatti attraverso le routines del quotidiano che si producono spostamenti significativi e profondi nel mondo simbolico; spostamenti di significato che legittimano e autorizzano, in questo caso, la pratica d’uso delle tecnologie come qualsiasi altro oggetto tecnologico al quale si è già abituate da tempo. Perché se è vero che nel mondo del lavoro sono cadute – di necessità - le barriere, questo può non essere avvenuto o solo in parte nella vita personale, domestica. Che risponde, per le donne, ad un’altra logica, ad un’altra organizzazione del tempo, ad un’altra disponibilità di tempo “per sé”. Condizioni che incrociano i compiti legati al corso di vita familiare determinando diversi stili di comportamento.Per motivi materiali, prima di tutto: occorre non soltanto che a casa ci sia un computer, ma soprattutto che si abbia la possibilità di accedervi39; occorre avere un collegamento alla rete e soprattutto un collegamento veloce, che fa la differenza.Mentre un computer esiste in tutte le case delle intervistate, alcune, pure impegnate in professioni legate all’informatica, non hanno, ad esempio, il collegamento internet: per la pigrizia di fare l’installazione perché lo usano comodamente dall’ufficio quando lo desiderano, o perché, pur avendone una piena familiarità non solo strumentale ma “di testa”, vogliono mettere un limite a un uso che sentono invadente di spazi e tempi che difendono preventivamente anche imponendosi di non aprire il computer durante il weekend, per potersi dedicare ad altro. Soprattutto le giovani donne che non hanno impegni familiari come vincolo o difesa.Dominare la tentazione di lasciarsi andare a un uso che non si vuole prenda la mano (e l’attenzione) sono in più di una ad averla espressa; anche quando si pensa che Internet sia “ una magia”. Proprio per non incorrere in quel rapporto compulsivo col computer anche nel tempo libero dal lavoro che uno dei testimoni maschi ha così descritto, rammaricandosi di non riuscire più a praticare il suo hobby per il modellismo che richiede invece tempo e calma, in antitesi con la velocità tecnologica:

Faccio le cose sempre più velocemente, ne ho sempre altre nuove da fare o da recuperare; essendo anche nel tempo libero su internet, questo meccanismo si alimenta…Ma c'era un tempo che avevo degli hobbies che non riesco più a riprendere,

37 Il termine è stato usato da una intervistata (IG 56), ma compare anche in L. Van Zoonen, Gendering the Internet. Claims, Controversies and Cultures, in “European Journal of Communication”, 2002 SAGE, London, vol.17, 5-23. Qui l’autrice esplora il reciproco plasmarsi di Internet e del genere, discutendo criticamente le affermazioni circa il fatto che Internet costituisca un territorio maschile o femminile.38 P. Jedlowski, Un giorno dopo l’altro. La vita quotidiana fra esperienza e routine, Bologna, Il Mulino, 2005, pag 116.39

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uno di questo è il modellismo statico che è l'antitesi delle tecnologie perchè devi adoperare tutta la calma e la pazienza e che fatto tutti i giorni potrebbe essere un buon antidoto, il rimedio alla velocizzazione. Alla fine queste nuove opportunità creano degli spazi di tempo libero solo teorico … VV 35m

Sarà una coincidenza, ma anche l’altro che impersona in certo senso la figura paradigmatica (quasi stereotipica) dell’ingegnere informatico, confessa la sua difficoltà di staccare quando è a casa e si dedica a hobbies totalmente antitecnologici quali il surrealismo e l’aceto balsamico, che hanno bisogno di modelli mentali non analogici e di altri tempi rispetto alla sua “forgiatura mentale”.

Oltre al lavoro, a casa fisicamente il problema è staccare la spina. Ci si prova e non ci si riesce… Io ho qualche hobby che è assolutamente antitecnologico, anche per fuga. Sono un appassionato di arte e preferisco il surrealismo proprio perché non è analogico, non è sistemico. (Internet) non mi aiuta per un altro dei miei hobby che è l’aceto balsamico che di per se è antitecnologico, non esiste una ricetta per produrlo, tutte le ricette sono valide, non vi è un canone, non è logico il processo di produzione di quella cosa…uno fa quello ed è sbagliato, può essere sbagliato in quelle condizioni, ma non in altre, scelgo il barile di un legno piuttosto che un altro e non è detto che sia sbagliato sempre…quindi è antilogico per eccellenza. IM 30m

Non è un caso, allora, che di internet le donne (la maggior parte di loro) facciano uso sì, soprattutto per assolvere a compiti che consentono di risparmiare tempo. Compiti pratici: dall’home banking alla prenotazione dei biglietti ferroviari, dalla informazione su opportunità di vacanze alle prenotazioni degli alberghi, dallo scaricare moduli alle informazioni di scadenze, alla visita di siti tematici per problemi dell’infanzia, di arredamento, luoghi di cura, ospedali; iscrizione agli esami on line; qualcuna riferisce di colleghe che fanno la spesa tramite internet, ecc.. La disponibilità di informazioni è tanto ampia che più di una ha espresso il suo entusiasmo perché intravede un mondo senza confini. È il mondo globale che diventa a portata di mano, nella dimensione micro delle esistenze individuali: Tutto il mondo davanti a te. Internet è l’archivio del mondo.È una forma di libertà, mi trovo sotto al naso quello di cui ho bisogno, senza confini…La Rete è il più grande contenitore di informazioni che sia mai esistito.

I servizi in rete sono un aiuto reale e riconosciuto per migliorare qualità e quantità del tempo di vita. Meno frequentato è l’acquisto di altri prodotti in rete: solo da parte di chi ha scioltezza dello strumento e non ha timori verso la rete, mentre la diffidenza che nasce dalla convinzione che manca la sicurezza, il bisogno di vedere fisicamente l’oggetto soprattutto da una certa età in poi…sono tutti motivi che rendono più lento il diffondersi di questa pratica. Poi occorre essere abbastanza disinvolte (oltre che un buon collegamento internet) e se non si ha una finalità, nemmeno si impara a farlo.

Anche nel campo degli usi personali dunque prevale (almeno fino ad ora, in queste intervistate) l’atteggiamento fortemente pragmatico che le donne hanno in genere nei confronti delle tecnologie informatiche: sono uno strumento che, come le altre tecnologie meccaniche (gli elettrodomestici) migliora la vita attraverso i servizi che offre. È un pensiero diffuso soprattutto fra le donne dell’età di mezzo in avanti mentre

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non sempre si è affascinate (o lo si è solo a parole!) da tutte le possibilità che Internet offre. Le donne giovani invece, pur partecipi della stessa cultura di fondo, sono più disposte – e hanno più tempo, più disponibilità mentale e psicologica, più abitudine a un mondo tecnologizzato – a lasciarsi catturare dai molti usi della Rete, pur mantenendo qualche riserva.

Solo utilità dunque, niente piacere? Sarebbe una contrapposizione falsa. Nessuna infatti nega che per visitare siti per possibili viaggi e vacanze o per informarsi su altre necessità ci sia una componente di piacere, di divertimento. Il fatto stesso di avere il mondo a casa è straordinario, è magico! Si vede l’enorme vantaggio di avere velocemente tutte le informazioni a un “livello enciclopedico”, l’approfondimento – si pensa - non è un fatto automatico, richiede letture e tempi non frenetici. Occorre anche – ne è avvertita chi ne fa un uso più frequente – avere capacità di orientarsi, di scegliere nella massa di informazioni. Avere insomma l’ uso consapevole e adulto che si ha di fronte a un archivio di informazioni da scegliere, capire, interpretare.Il divertimento per sé lo si realizza soprattutto nell’attività fotografica, a cavallo fra l’utile e il dilettevole, dallo scaricare le foto digitali sul computer alla creazione degli album fotografici attraverso le applicazioni di “fotoshop” la cui conoscenza è particolarmente diffusa. Un’attività creativa – come montare le foto, quale musica di accompagnamento per le più esperte – che ha una forte componente relazionale e di senso: non solo per sé ma per i figli, per il fidanzato magari, per amiche e amici… un divertimento che regala a sé e ai figli spiega questa donna, la cui esperienza è comune a tante altre.

Mi sono comprata l’anno scorso la prima macchina digitale, da tanto me la volevo regalare e mi diverto un casino perché faccio le foto, quelle brutte le scarto subito, le altre le scarico su PC e da lì ci fai tutto quello che vuoi: le stampi, le assembli, fai album, anche lì le stampo. Io ho album fisici perché non voglio che i bambini vadano a vedersi le foto virtuali sul computer. Voglio che se le tocchino, le usino, le facciano vedere. E’ già un rapporto diverso. Da quando ho la macchina digitale non faccio più foto con il rullino, ad esempio. Con la musica, anche. E’ molto comodo avere CD musicali che ti vanno sul PC. CB 44

Una creatività indirizzata a coltivare la relazione con altre persone e a condividere esperienze.

Quanto viene usata allora la funzione di comunicazione di internet nelle sue varie modalità virtuali, di comunità deterritorializzate? Email, forum, chat….? Tutto il mondo interattivo e partecipativo della rete. L’”intimità a distanza” di queste comunicazioni e relazioni è un’opportunità orientata reciprocamente dai partecipanti, gli aspetti emotivi possono essere fondamentali40.L’uso della posta elettronica, comunque ridotto da casa, serve per mantenere rapporti che già si hanno, facilita le connessioni fra lontananze.I forum tematici non vedono le intervistate protagoniste attive (queste si contano sulle dita di una mano), con un certo rammarico dicono alcune, perché qui, differentemente che nelle chat, è l’interesse che crea la comunità virtuale e ci sono sistemi di sicurezza rassicuranti: lo si fa sia per motivi legati al lavoro che di svago, come nell’esperienza di chi frequenta news group su cinema, serie televisive di libri e lo fa tutti i giorni proprio

40 Un’interessante analisi di diverse modalità relazionali nella rete è stata condotta da S. Vicari, Tempo, spazio e relazioni digitali , in MC. Belloni, M. Rampazi (a cura di), Luoghi e Reti. Tempo, spazio, lavoro nell’era della comunicazione telematica, Soveria Mannelli, Rubbettino Ed., 1996.

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perché è un piacere e da pensionata ne ha il tempo. Per altre è esperienza ridotta, ricorda anche un esperimento fatto all’università da un suo amico, di un sito collettivo col quale si scambiavano pensieri, appuntamenti, alla fine non partecipava veramente. E non perché non fosse capace.

Per quanto riguarda mailing list, gruppi di discussione io non sono una particolarmente amante.. tendenzialmente sono iscritta a delle mailing list soprattutto a livello lavorativo, quindi su temi che mi servono a livello lavorativo, quindi alcuni siti che mi mandano aggiornamenti ecc., a me appartiene piuttosto la relazione interpersonale, che le nuove tecnologie possono in un qualche modo aiutare, qualche mail ogni tanto per esempio, cosa che però non da lo stesso rimando, lo stesso feed back di una relazione vissuta o comunque instaurata faccia a faccia. E’ poi vero che non mi è mai capitato di costruire relazione ex novo utilizzando le nuove tecnologie, le mie sono tutte relazioni che ho costruito faccia a faccia per cui uso alcuni strumenti nuovi solo per mantenerle. EC 27

Il tempo a disposizione emerge più volte nelle osservazioni come un vincolo: un “tempo piccolo” da dedicare a sé ridotto anche per collegarsi a internet da casa, per scrivere, per navigare, per controllare ebay, di fronte al tempo grande della giornata lavorativa …. Che è sempre intasato da tante incombenze e chi ha figli ne ha poco anche per navigare come vorrebbe, non ho tempo di stare lì a passare le notti! Quindi si tende a non lasciarsi trascinare dalla curiosità di esplorare un sito e poi un altro e un altro… non si rifiuta la navigazione, anzi, ma è spesso incompatibile, inconciliabile con il resto.Ma sulle chat e il chattare le testimonianze sono concordi ed esprimono un sentire diffuso e profondo che va oltre l’età, oltre le abilità d’uso acquisite sul lavoro: quando si va a toccare i rapporti umani, la virtualità è sentita come problema (sicuramente per la quasi totalità delle intervistate). È negativa piuttosto che ricchezza di opportunità, libertà. E lo è, fondamentalmente negativa e pochissimo praticata, perchè elimina la fisicità dei corpi, delle espressioni, delle emozioni e dei sentimenti che si vedono, si interpretano, si percepiscono dai gesti e non sono solo raccontati, “appiattiti” nelle parole. Timore che i rapporti umani si snaturino, si falsifichino quando nascono direttamente sulla rete. Timore che la tecnologia sia usata ”come scorciatoia emotiva”. Si riportano fra tutte le posizioni di due donne giovani e “molto tecnologiche” perché da loro ci si aspetterebbe una accettazione piena delle modalità di comunicazione virtuali. Che le meno giovani siano diffidenti – fra l’altro è immediato per loro madri e nonne correre col pensiero ai pericoli per i figli e i nipoti – è comprensibile. Che lo siano anche le giovani pone l’attenzione su una lettura di genere (ma non del cyborg!) che fa del corpo il luogo materiale della nostra identità ed espressività comunicativa con l’altro.

Sì, i messaggi sono comodi. Ma bisogna sempre stare attenti a cosa trasmetti. Se è un: “ci vediamo stasera alle 8 e mezzo” va benissimo. Nel momento in cui devi fare dei discorsi o devi comunicare qualcosa di più consistente credo che il rapporto tra persone sia meglio, per questo la chat non mi piace. Non mi piacciono le chat, non mi piacciono i forum, ma è una scelta mia. Il contatto con la persona deve essere fisico nel senso che ti vedo; io nel rapporto interpersonale guardo, sto molto attenta all’altro, guardo il viso, i gesti, le espressioni, il tono della voce…lo stato d’animo. Ci sono talmente tante cose che sono presenti in una comunicazione che il messaggio non ti può trasmettere. Anche il tono in cui tu pronunci una parola nel messaggio non esiste. Una parola che significa niente, con il tono sbagliato acquista un valore che tu non gli hai dato…devi essere attento a quello che scrivi che non possa essere frainteso. PV 28

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Una fra le intervistate più abituate all’uso di internet anche a casa, si connette tutti i giorni, cerca immagini dei luoghi visitati e da visitare, le informazioni sugli spettacoli locali, acquista biglietti aerei ma anche oggetti tecnologici partecipando alle aste in Ebay, nei fogli di calcolo conteggia le spese di casa… usa quindi la Rete per tutto o quasi, tranne i sentimenti, ha l’idea che è una invenzione FANTASTICA! Una fonte inesauribile di informazioni, punti di vista, immagini, musica, film, tutto il mondo è in rete alla fine…tranne i sentimenti. I miei non sono in rete! Come sui sentimenti, è categorica anche sulle chat di cui critica la possibilità di nascondere l’ identità reale. Altri possono cercare nella rete relazioni, più facilmente che nel pub o in discoteca, ma il gioco del nascondimento non l’attrae. L’identità non deve essere alterata.

Non mi interessa. Il gioco della chat può essere bello se lo fai una volta, due volte, fai finta di avere gli occhi azzurri, di avere un carattere fantastico. Però alla fine sono negazioni di sé, modi per essere diversi da quelle che si è. Visto che io fondamentalmente sono soddisfatta di ciò che sono e delle mie relazioni, non sento il bisogno di cercarne altre in questo modo. Ciò non vuole dire che io giudichi chi lo fa. Diciamo che è un po’ come volersi nascondere. SP 30

Se la chat è pochissimo praticata (due intervistate) è anche perchè rappresenta la faccia pericolosa del web, il luogo di una libertà eccessiva e incontrollata che può catturare e fagocitare le ingenue, le sprovvedute…così come accade per ragazzi e bambini.Una sola intervistata ne ha fatto esperienza in un momento particolare della sua vita e ne è rimasta traumatizzata tanto da non volerne parlare; ma ora si sente più capace di valutare il bello e il brutto, le potenzialità affascinanti e quelle che, come donna, capisci che devi stare attenta:

Lo strumento, come l’ho usato per la chat, mi ha cambiato molto. Mi ha fatto conoscere un mondo nuovo che non conoscevo, ho capito come viene utilizzato in modo proprio ed in modo improprio uno strumento di questo tipo. Mi ha fatto aprire gli occhi ed ho pensato: “mamma mia, dietro questo strumento ci sta di tutto…”. A volte mi fa anche paura, lo strumento. Mi ha fatto aprire molto gli occhi e questa è una crescita molto forte. Quando ho avuto a che fare con soggetti che non conoscevo che mi hanno detto determinate cose…uno cresce in tutto, anche in una apertura mentale che prima non avevi… quando ho toccato con mano…una persona ingenua, inesperta, piena di credibilità nelle persone…capisci di essere una donna che deve stare attenta, ti fa capire che c’è del bello e del brutto… Avere i piedi per terra, avere la lucidità….io preferisco comunque l’aspetto più fisico. Guardare negli occhi una persona, stringergli la mano. PC 50

Persino l’ingegnere “deviato per l’informatica” non usa chattare, lo ritiene un aspetto rischioso di un mezzo tanto potente; mentre ha esperienza di comunità virtuale – persone sparse per l’Italia amanti di uno sport poco diffuso nel nostro paese – partecipa a diversi news groups, ha molte mailing list: un utente assai attivo che non si nasconde che, oltre al tempo, bisogna avere voglia e pazienza.

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La chiave di volta è che tutto è molto potente, ha una potenzialità enorme a saperla usare, si rischia di sconfinare in un ambito veramente pericoloso; poi ci vuole la voglia, la pazienza…

Potenzialità che, sulla linea delle comunità virtuali di interessi, vale anche per l’approfondimento culturale riducendo la distanza fra le persone con le quali la relazione può essere anche parziale.

(Interne, la Rete) aiuta, avvicina, riduce le distanze fisiche, ma poi sicuramente non è assolutamente detto che copra l’interezza delle conoscenze, delle relazioni. Anche io dico che un libro è più comodo, è un contatto diverso, ma se penso di dover parlare con un centinaio di persone… IM 30m

Usare allora Internet, ma con giudizio. Ricorrere alle pratiche più controllabili. Usare la rete soprattutto per i servizi che dà, le informazioni in primo piano. Questo è quello che pensa e fa la maggior parte delle donne intervistate, madri e non, giovani e meno giovani. Il divertimento e il gioco non finalizzato sono secondari, interessano fino a un certo punto. Molto meglio, per alcune, un libro, dovendo scegliere. Non consumare troppo tempo. E soprattutto avere consapevolezza che se “internet è uno strumento potente, estremamente comodo”, dietro ci sono non pochi pericoli. La doppia faccia del progresso tecnologico, il suo lato oscuro. E’ la faccia globale della società dell’incertezza e della paura nella vita quotidiana41.Ad alcune diventa comprensibile, paradossalmente, perfino l’atteggiamento di chi “si rifiuta a priori, c’è una specie di overdose” accentuata dall’uso spropositato del cellulare, da un’induzione forzata di bisogni tecnologici che paiono assolvere a una velocità di cambiamento fine a se stessa (o dell’organizzazione produttiva di mercato). Se non si può parlare di ambivalenza nei confronti del mondo digitale, si percepisce tuttavia un pensiero che non è di scontro e conflitto, quanto piuttosto di ricerca di una misura necessaria, di un equilibrio per non omologarsi acriticamente.Per un verso parrebbe esprimersi l’identità “storica” delle donne emiliane nelle sue connotazioni di praticità e concretezza anche su questo piano; ma più verosimilmente qui emergono elementi profondi di una cultura femminile che non si identifica completamente con l’innovazione telematica e digitale ma vuole prendere anche “le distanze”, che l’accetta ma non vi si immerge del tutto. Trasformazioni che avvengono a diverse velocità: non solo secondo linee generazionali, ma anche secondo diversi comportamenti che abitano i tempi del quotidiano, quello lavorativo e quello personale privato.

2. Il gioco, l’utile, la relazione

In altra parte del rapporto si è già fatto riferimento ad un tendenziale approccio femminile con le nuove tecnologie più pratico, concreto, volto all’utile piuttosto che fine a se stesso, ludico, di puro divertimento come si riconosce essere largamente

41 Cfr. Z. Bauman, La società dell’incertezza, Bologna, Il Mulino, 1999; “Inchiesta”, Rischi, Incertezze e vita quotidiana, n.149, luglio-settembre 2005.

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presente nell’approccio maschile. Anche in questo caso, nello “scavo” che si va facendo sul tema della “differenza di genere” nell’ambito del rapporto donne e tecnologia e, in senso più lato, donne e società ICT, seppure si va ben oltre quelle che potrebbero essere definite “sfumature” ma ci si trova piuttosto di fronte a tendenze largamente condivise, non può esservi una lettura univoca né, tanto meno, è possibile “strutturare una risposta teorica” come giustamente sottolinea una nostra testimone privilegiata (EMTP). Contraddizioni e ambivalenze segnano l’interpretazione dei risultati dell’approfondimento sul campo svolto per questa indagine.In questo caso però, seppure la dimensione della concretezza e dell’astrazione a cui ci riportano tematizzazioni di concetti quali l’utile e il ludico (rovesciandole), non siano certamente nuovi – anzi – alle analisi e agli studi di genere, queste ci si pongono di fronte in un ambito nel quale il cambiamento anche paradigmatico, anche radicale proposto (imposto) dalla rivoluzione tecnologica, si presenta più manifestatamente esplicito, costringendoci per questo a riformulare domande non nuove ma che forse ci interrogano in modo diverso anche rispetto ad un passato ancora recente e soprattutto tutt’altro che passato, sia in termini di discriminazioni e condizionamenti che in termini di potenzialità di crescita sia individuali che sociali.Il fatto che il gioco rappresenti una dimensione assolutamente determinante per la formazione e l’apprendimento di ogni essere umano – uomo e donna che sia – non è certo un argomento in discussione. Bambole e meccani discriminano e segnano da tempo “l’imprinting” di bambine e bambini. Anche in questo caso, come è evidente dall’insieme di questo lavoro, il diverso rapporto che maschi e femmine hanno con la tecnica (e, in questo caso, con il gioco attraverso la tecnica) da una parte e con la “cura” dall’altra, si può leggere in relazione alle nuove tecnologie, ma come ricade, come incide nel nuovo contesto determinato dalla società ITC? E quale il rapporto con la categoria dell’”utile”?Le interviste realizzate, ci offrono, a questo proposito, molti e differenziati spunti di riflessione.

“(…) io e mio fratello, siamo stati due dei pochi bambini che hanno avuto i primi personal computer. Quindi a casa mia è entrato un Commodore 64 con cui io e mio fratello giocavamo quando ancora vi erano le cassette e dove mi ricordo che per disegnare una riga sullo schermo ci volevano tre pagine di programmazione in basic praticamente (…). Mio fratello lo ha subito colto come uno strumento soprattutto di gioco; quindi mi ricordo i vecchi giochi di ruolo…e lui ci passava delle giornate intere davanti al computer. Io no, non mi ha mai affascinato l’aspetto del gioco al computer, quelli di ruolo oppure i classici giochino tipo tetris. Non mi sono mai piaciuti. Io avevo provato un approccio del tipo: vedo a che serve. Mi ricordo che mi mettevo lì con i manuali vicino provavo a programmare qualche cosa, la linea che si crea, l’areoplanino che gira sullo schermo. Mi ricordo una fatica boia perché appunto programmavi per tre pagine, bastava che sbagliassi una parentesi e non funzionava nulla. E poi sinceramente lo avevo sempre visto come una cosa da ragazzi, l’uso del PC come appunto gioco, perché tutto sommato il Commodore 64 era un grosso strumento di gioco. Più che altro per me era una cosa mentre per mio fratello, maschio che si metteva lì a giocare con questa cosa.. non mi appassionava ..neanche i videogiochi mi hanno mai appassionato. (…)Perché per me è anche un mezzo arido per alcune cose. Per me il PC è in realtà uno strumento, non è una grossa passione, una cosa che mi prende e mi affascina non più di tanto; per me è uno strumento che mi serve per raggiungere degli obiettivi che sono appunto lavorativi…” EC27

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La citazione di cui sopra è, dal punto di vista in esame, la più esplicita e completa tra quelle rilevate con le interviste e appartiene ad una donna di 27 anni che ha incontrato le nuove tecnologia da bambina e successivamente nel corso suoi studi, compresa l’università (Per quanto riguarda la formazione sulle nuove tecnologie, sulla tecnologia in generale, avendo preso una laurea in scienza della comunicazione è stata in buona parte legata a quello. E’ molto focalizzata l’Università di Bologna di scienza delle comunicazioni sul discorso radio televisivo, giornalistico, nuove tecnologie. A parte la classica formazione della scuola dell’obbligo, della scuola superiore dove giochi un po’ col computer, ti insegnano a riconoscere alcuni programmi, ma molto poco). E’, per questo, particolarmente interessante in quanto l’atteggiamento descritto non è attribuibile all’aspetto generazionale che, come si è visto, è considerato l’elemento chiave per riconoscere in se stessi la distanza tra noi e le nuove tecnologie Ciò non di meno vale la pena riportare qualche altra citazione sia quale conferma di una “differenza” su cui le più concordano pur con mille sfumature, sia per evidenziare quanto il rapporto con gli strumenti tecnologici e ITC si colleghi per molte donne al lavoro o comunque a ciò che è utile, e, infine, perché ci aiuta a capire perché le donne sembrano far più fatica nell’apprenderne l’uso.

“Ho visto che gli uomini tendenzialmente sono più predisposti ad utilizzare le tecnologie alle quali magari collegano interessi personali, mentre forse le donne hanno anche altri interessi…le tecnologie sono le ultime delle loro preoccupazioni.(…) Comunque sia, vi è sempre di più la spinta da parte dei ragazzi a fermarsi a giocare ai videogiochi, più delle ragazze che magari fanno altro… Lo vivo in modo produttivo e sicuramente, quando ne colgo le potenzialità immense, mi piace moltissimo lavorarci. (…) LP 28

“per me internet è uno strumento di lavoro, magari di ricerca di qualcosa di utile”. EB52

“alla tecnologia io chiedo delle cose che mi servono, che mi semplifichino la vita, che me la migliorino, che mi consentano di fare le cose che devo fare (…). Non sono affascinata dalle possibilità ulteriori e più un mio limite…”. LG44

“Io non sono una giocherellona di carattere, come personalità. Secondo me nello stare dietro alle trasformazioni della tecnologia ci vuole una dose di voglia di giocare che ti rende più appetibile lo strumento e ti viene voglia di esplorarlo in tutte le sue sfaccettature. Io non sono interessata, non mi sono mai fermata – non lo dico per spocchia o per vanto – non ho mai fatto un gioco a computer, non mi viene, non ci riuscirei, non mi interessa”. PV44

“A me del computer interessa imparare quello che mi serve. Tutto il resto, è come ci fosse un filtro e non riesco a... Mi dico alla fine: 'mah ascolta inutile perdere tempo, tanto non mi interessa, non mi interessa capirla. Se una cosa in quel momento non mi serve, io non voglio ingombrare la mia testa con questa roba qua. Nel senso: non mi interessa. (…) Sarei curiosa anche..” LH53

“io magari ho meno curiosità rispetto alle possibilità di uno qualunque i questi strumenti che usiamo. Io non sono una che sperimenta sino in fondo le tremila funzioni di un programma, dopo un po’ mi assesto e uso le funzioni che mi servono. Non ho

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interesse a sviscerarlo. Come il telefonino. Io lo uso ma non so trappolare per scovare sino all’ultima delle sue funzioni….”LG44

Ha una sua rilevanza tener conto che tutte le donne citate sono donne che nell’ambito del loro lavoro fanno largo uso delle tecnologie. La prima, la più giovane, svolge una attività direttamente tecnologica; le altre non potrebbero svolgere oggi il loro lavoro senza utilizzarle e una di loro ne usufruisce anche per conciliare la sua attività lavorativa con la maternità.

Abbiamo infine altre due donne che ne richiamano l’uso domestico, familiare, talvolta, forse anche giocoso, ma comunque finalizzato alla “cura” e anche agli affetti.

“Sì sì sì, su Internet ci navigo... soprattutto per le bimbe: giochi per le bimbe, scarico immagini, abbiamo fatto il bigliettino di auguri per il compleanno quindi lo scarichiamo da lì, nel sito della Disney... soprattutto per le bimbe. Poi magari capita di dover fare qualche ricerca, di una legge, oppure di un provvedimento, oppure per una domanda per gli asili nido, però sempre legata alle bambine in effetti.. qualcosa faccio. Pagamenti on line a volte lo facciamo con la banca. Acquisti direi di no. Pagamenti sì con la banca.” DD34

“chi è che di più usa internet banking? le donne, per cui le donne tendono ad utilizzarla al meglio per semplificare e accelerare la propria quotidianità. Questo è chiaro. Tendenzialmente perno che le donne tendono… questo è ancora però legato al fatto che comunque è una capacità femminile, trovare sempre l’aspetto positivo e utile, diciamo, della tecnologia. Penso che sia una predisposizione. Poi certo i rischi, per esempio chi è che ha fatto emergere che c’era questo video di questo ragazzo down, una donna, cioè una mamma che si era resa conto che c’era questa cosa prima che se ne accorgesse un papà, forse… per cui anche la sensibilità femminile è chiaramente diversa.” MMTP

Come vedremo più avanti sta forse nel rapporto con la “cura” e nella attenzione alla relazione la dimensione “gratuita” del rapporto tra donna e nuove tecnologie mentre le interviste che qui sono state riportate, ci conducono nella direzione opposta, quella dell’utile, dello scopo. Ed è proprio da qui che si intende partire per interrogarci e ragionare su questa che appare come una contraddizione.

“Quello che mi fa arrabbiare a volte, è non andare un briciolo oltre per migliorare la funzionalità o l’uso quotidiano o non imparare l’uso dello strumento anche per puro diletto, divertimento, migliorare quella che è l’attività quotidiana…. E questo è proprio un problema di approccio allo strumento in cui non c’entra il genere. A me serve per far questo e non mi interessa più di tanto. IM30 m

Ha parlare in quest’ultimo caso è un uomo che come EC 27 è cresciuto con il PC e appartiene alla sua stessa generazione, quasi un alter ego del fratello di cui parla EC (“io ho iniziato ad avere in mano il primo computer a 10 anni, con i videogiochi che si collegavano al televisore; i primi corsi di formazione già alle scuole medie perché avevo un insegnante che ci ha avviato già all’uso dei primi computer, dopo di ché non si è mai più tolto dalla mia scrivania di casa).

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IM ritiene che questo approccio – per lui sbagliato – prescinda dal genere; in fondo la pensa come LG che si dichiara non giocherellona in generale e considera ciò un suo limite.Ma non solo, come vedremo, non è così per tutte né per tutti. E’ evidente infatti che anche le donne giocano e crescono giocando nei modi più diversi. La dimensione che qui interessa approfondire sta infatti più nella “gratuità” del gioco, nel suo essere fine a se stesso, che nella diversa propensione al gioco di bambine e bambini, uomini e donne. E’ questa gratuità, la stessa presente nel dono cui non corrisponde uno scambio, che sembra porsi in contrapposizione a quella dimensione della cura, delle relazioni, delle emozioni e dei sentimenti – generalmente – più riconosciuta al genere femminile.

E’ su questo piano che ci hanno interrogato le numerose e diversificate interpretazioni del proprio rapporto con le nuove tecnologie proposte dalle donne e dagli uomini (pochi) intervistati in questa occasione di approfondimento e analisi.

Prima di tutto, però, andiamo a vedere le donne che amano il PC e le nuove tecnologie più in generale, che ci giocano e ne intessono un rapporto “ossessivo” come quello “maschile” (“sono drogato di tecnologia anche perché sono quasi deviato per l’informatica” IM30; “altri che quando vedo che lo usano vanno più in profondità, come se si perdessero…”EB52, per citare un uomo e una donna che ci indicano con queste espressioni l’intensità “a perdere” del rapporto con la macchina o la rete informatica).

“ …a me piace giocare con la tecnologia ci ho sempre giocato quindi mi diverto, saperli usare a modo mio, trovare tutte…” GZTP

“Mi hanno regalato un PC portatile proprio perché lo amo e lo voglio conoscere. E’ stato un regalo meraviglioso, lo voglio usare in tutti i modi possibili, per fare più cose di quelle che so fare ora, la mia curiosità è tanta.” PC50

“Le mie macchine io le amo, le amo teneramente, fisicamente. La telecamera…. Mi hanno detto che tenevo (tengo) la telecamera come un bambino…perché le voglio bene. …… Ho il sospetto…io non ho molto il senso materno, diciamocelo, mai avuto, ognuno ha il suo. Mi sono sempre chiesta se il mio rapporto con le macchine che è quasi fisico, sia il risultato di una forma di maternage o se io le consideri come amanti. Tra i due preferisco considerarle amanti. E’ una forma di sublimazione del sessuale o una forma di sublimazione della maternità? Ma ancora non l’ho risolta.” GM50

Come si vede, ancora una volta, non è una questione di età: in tutti e tre i casi, compreso quello della testimone privilegiata, siamo di fronte a donne con almeno 50 anni. E’ un approccio, una forma mentis, che sembra essere meno presente tra le donne in rapporto a questa modalità di gioco ma che, quando presente, può essere curioso constatare, si esprime con una terminologia dove il piacere, il divertimento, l’emozione sono rappresentati più attraverso i sentimenti e il proprio corpo piuttosto che attraverso il gioco in senso più stretto.

Addentrarsi in profondità su temi come questi non è compito di questa indagine. Questa sede consente, piuttosto, di fare emergere alcune domande, suggestioni, tendenze, possibilmente capaci di portare un contributo ad un riflessione – aperta a tutto campo – che insiste sulla differenza di genere nel tentativo di rovesciarne le ricadute – là dove queste si esprimono ancora in termini di discriminazioni e ostacoli da superare – e

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incidere attraverso queste nel mondo da noi abitato e vissuto, oggi segnato profondamente dalle nuove tecnologie.

D’altra parte, che un tema come quello oggetto di questa analisi apra a problematiche particolarmente controverse e irrisolte, ce lo dice con chiarezza uno dei nostri testimoni privilegiati. Professoressa ordinaria di fisica all’Università di Modena che, in prima istanza conferma il diverso approccio di genere nella accezione qui sviluppata a partire da sé:

“non ho mai avuto il gusto di ‘sbudellare’ né di guardare dentro se non andava, né di comperare la cosa migliore, sono pessima nella conoscenza del mercato, ricorro a qualche collega maschio che si diverte(...) ma in generale – non e’ solo dell’informatica – ci sono cose che hanno a che fare col gioco, con l’appassionarsi, cose laterali che hanno più gli uomini, si prendono dei lussi di curiosità e originalità che sono interessanti, altre volte è proprio solo un gioco. L’ho notato abbastanza marcatamente anche nel rapporto con il Cineca. E’ abbastanza vero anche per le ragazze che lavorano nel mio gruppo (c’e’ qualche eccezione), sono più attente a dove vogliono andare a parare piuttosto che a perdersi dietro alle cose...”. EMTP

In questo senso quindi, le donne , ancora una volta, appaiono più attente ai risultati, a quella dimensione dell’utile che altrove (nel mercato) non sembrerebbe essere riconosciuta quale una prerogativa femminile, anzi!La considerazione che segue ci dici altre cose di altrettanto interesse:

“E’ giusto che vi sia più attenzione ai risultati, è un rapporto giusto, ma in qualche caso può dare qualche rigidità in più rispetto allo strumento. Però non mi pare che le ragazze siano più spaventate rispetto allo strumento informatico...” EMTP

Ci fa riflettere cioè sul fatto che una prevalente attenzione ai risultati comporta dei prezzi nel rapporto col “mezzo” (qualche rigidità in più da parte femminile) che però non mette in campo lo stereotipo corrente della “paura”. D’altra parte ci troviamo di fronte a ragazze iscritte alla facoltà di fisica (“per noi che lavoriamo nelle scienze dure e con tecnologie altrettanto dure, non è tanto diverso il modo con cui si risponde a una certa domanda o a come si risolve un problema tecnico informatico...non e’ tanto questo, gli esperimenti sono quelli che sono” EMTP).

“Lo stereotipo qui non si applica tanto, queste sono persone che non hanno paura, a questo livello non lo noti, ma ad altri livelli ci può essere. Sospetto, non vorrei farne una ideologia, che sia una modalità propria delle donne non solo rispetto alle tecnologie informatiche, ma le donne hanno più senso di responsabilità rispetto al percorso e agli obiettivi che hanno in mente e anche più necessità, perciò non si possono prendere tante divagazioni...giocare con lo strumento è anche una gran perdita di tempo, a volte apre strade ma si perdono anche giornate(...)...le donne son più curiose di esplorare e non tagliano troppo sbrigativamente i rami per certi versi, ma se poi le cose diventano un gioco troppo gratuito, sono più rigorose con se stesse.” EMTP

E’ qui sta il punto in rapporto al gioco … un lusso che non ci si può permettere e interiorizzato fin dall’infanzia? Ma qui ci si deve fermare come accade, per altro, anche nell’intervista:

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“Mi pare ci sia un metalivello che non è ancora quello dei comportamenti sociali ma è quello di quali tipi di domande si ritiene interessanti, quali piste di lavoro intraprendere, quanto strette e quanto larghe, anche quanto peso dare a certi comportamenti di responsabilità. Insomma cose che hanno livelli di vicinanza o che si allontanano da una singola operazione conoscitiva, ma finiscono per influenzare molto il come funziona il prodotto che viene fuori dal lavoro scientifico. Parlo dei processi quotidiani che uno segue in una singola ricerca. Nel decidere quali microdomande vuole affrontare, quale valore dare allo sviluppo informatico, quanto renderlo generale o specifico...mi pare abbastanza generale che a quel livello, che non è ancora quello delle strategie scientifiche ci sia uno strato di microscelte...metterei lì il luogo in cui la differenza di genere è più significativa. Poi c’e’ anche il luogo delle scelte politiche(…)Non saprei strutturarlo come un discorso generale, ma non vogliono fermarsi subito. Ci sarebbe da riflettere e strutturare un discorso teorico su questo. Nel dibattito Donne e Scienza è più facile dire quante donne ci sono, dove, ecc., che non andare al nodo centrale che sento aperto. La sede in cui ho avuto più piacere di lavorare era un gruppetto eterogeneo a Roma – filosofe, scienziate, biologhe, giornaliste, ecc. – che fa parte dell’associazione Donne & scienza. In quel gruppo si e’ discusso di questi punti, mi ha aiutato ad accorgermi di cose, ma non siamo arrivate molto in là strutturando una risposta teorica; E. Gagliasso aveva più delle altre approfondito questo nodo, di riconoscere questo livello di microscelte...” EMTP

Nel corso di questo lavoro è stato inevitabile incontrare il nodo a monte del rapporto tra donne e nuove tecnologie e quindi relativo al rapporto con la scienza.Ancora una volta i nodi proposti dai nostri interlocutori – nella fattispecie, “un antropologo del cyborg” e una scienziata dell’Enea da noi intervistati quali testimoni privilegiati – si ricollegano alle grandi questioni già citate nell’intervista di cui sopra. Anche in questo caso si tratta inevitabilmente di brevi affondi – da un punto di vista maschile e da uno femminile - che in questa sede vanno considerati sassi lanciati in uno stagno tesi a suggerire direzioni di pensiero.

Da una parte, quindi, una scienziata che ci segnala il limite da lei percepito nella scienza stessa: “la scienza è in grado di vedere una parte del mondo, una interpretazione della realtà non la realtà. Lo sforzo che dobbiamo fare è capire che la realtà si può vedere in tante maniere, certamente l'approccio scientifico è la maniera predominante nel mondo in cui viviamo oggi, noi viviamo in un mondo fatto da scienza interpretata attraverso la scienza, che ci costringe a leggere tutto in termini razionali; ma facendo coincidere la razionalità con la scienza forse perdiamo una grande parte di ciò che ci contraddistingue, (…) probabilmente perderemo qualcosa, perderemo quella capacità che abbiamo noi esseri umani, che purtroppo non può essere riprodotta da nessun mezzo informatico perchè sarebbe per forza di tipo razionale, di integrare le informazioni …”GZTP

Dall’altra una figura di studioso del cyborg, come si è scritto prima, che si occupa di teoria della comunicazione e di immaginario scientifico e tecnologico: “La scienza è maschile, nasce da sogni maschili … e quindi l’informatica anche, visto che è stata partorita da genitori maschili (però è significativo in realtà che una delle prime programmatrici era una donna) (…) Il problema è che le donne quando prendono in mano le cose le femminilizzano, cioè lasciano inalterate certe strutture .. la parte della astrazione (forse alle donne interessano meno o in modo diverso. I processi di astrazione sono connaturati alla specie umana …) .. hanno visto le cose da questo punto di vista che non so come

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chiamare … “astrazione concreta”, cioè portando una pratica più bricoleristica … portandola dentro a queste strutture e rendendole più flessibili. Quindi le donne hanno questa capacità di rendere più flessibili le strutture rispetto ai maschi. Oppure non c’è questa grande differenza e tutti siamo in grado di renderle più flessibili perché noi chiamiamo “pensiero femminile” capacità che tutti gli esseri umani hanno e che nelle donne, magari, si rilevano meglio che in altri esseri” ACTP

Dimensione ludica, senso dell’utile, razionalità/irrazionalità, “astrazione concreta” (“Perchè la donna tende a essere molto più concreta, mentre l'uomo può usare Internet anche per ricerche di speculazione pura, ha un tipo di uso della mente più astratta, sono più bravi ad essere più astratti in genere .. mentre la nostra concretezza ci porta a utilizzare lo strumento sempre meglio quanto più ci dà dei risultati concreti”. PA 45)Termini che – consapevoli di semplificare - vengono attribuiti al maschile o al femminile nel tentativo di aiutarci ad individuare differenze – contraddittorie e complesse – che segnano il nostro rapporto con il mondo tecnologico nel quale viviamo.

Si è già scritto sopra che non rappresentano certo una novità le diverse modalità di gioco di maschi e femmine. Non a caso si è fatto riferimento alle bambole e al meccano. Al piacere disinteressato e fine a se stesso di “manipolare” un bamboccio di stoffa o plastica da una parte, o a quello di manipolare smontando e rimontando, un robot piuttosto che una sveglia. Così come non rappresenta una novità il fatto che, crescendo, la propensione all’accudimento sia prevalentemente (quasi totalmente) femminile mentre la dimestichezza con i mezzi tecnici sia prevalentemente maschile. Le distanze e le vicinanze, come sappiamo, nel rapporto con la “cura” e con la “tecnica” di maschi e femmine in età adulta sono altrettanto note e sviluppate qui in relazione ai modelli cognitivi in altra parte del rapporto di indagine.La novità sembra essere rappresentata dall’esplicitazione del differente rapporto con il fine, con l’utile e quindi con la dimensione del “gratuito” (in quanto tale escluso dal mercato) nell’approccio alle nuove tecnologie che viene riconosciuto in modo così netto e diffuso dai nostri interlocutori, agli uomini e alle donne. Ciò soprattutto per il fatto che poi, alle donne, viene generalmente attribuita con più nettezza una maggiore attenzione e sensibilità propria alla stessa dimensione del “gratuito” – più precisamente definita attraverso il dono – con tutte le “distanze” che ne conseguono (in questo caso rovesciate) rispetto all’utile nell’attuale società di mercato.

Per provare a sviluppare quanto fin qui emerge in termini di vecchi e nuovi interrogativi relativi al rapporto di donne e uomini con la scienza e con la tecnica a partire dalle numerose suggestioni offerte dalle nostre interviste su quanto fin qui è emerso, potrebbe essere interessante riprendere alcuni temi lasciando sullo sfondo alcuni elementi di carattere più generale contenuti nelle ultime due citazioni.Quanto ci dice, per esempio, GZTP sul fatto che la scienza “non è in grado di vedere una parte del mondo” e, nonostante ciò, noi “noi viviamo in un mondo fatto da scienza interpretata attraverso la scienza” dove quindi è la “razionalità” a trionfare lasciando ai margini “l’altra parte del mondo” esclusa dall’osservazione diretta e dall’empirismo, ci riconduce a quella dimensione irrazionale – generalmente più attribuita al femminile – che probabilmente le donne non ritrovano nel gioco che manipola, smonta e rimonta la materia e, in quanto tale è sentito come arido. “Perché per me è anche un mezzo arido per alcune cose. Per me il PC è in realtà uno strumento, non è una grossa passione”, EC27; quasi a dire: “come appassionarsi ad uno strumento, ad un mezzo e non correre dietro un fine che in quanto tale si conclude in se stesso?” Smontare e rimontare, entrare nell’oggetto per il solo gusto di farlo, osservalo e attraverso questo percorso, imparare a

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conoscerlo, non appassiona, non attrae … lascia fuori una parte del mondo. Quella che poi EC27 recupera sia attraverso i suoi studi di Scienza della comunicazione sia nel suo lavoro presso un Centro che si occupa di uomini e donne immigrate?La stessa GZTP che pure da scienziata – chimica per la precisione – ha quotidianamente a che fare con la materia e dimestichezza di rapporto con le tecnologie, si cimenta con la parte hard del PC per affrontare alcuni problemi del figlio giocando con lui e, divertendosi, costruisce in casa “una rete senza fili”

“ …a casa, ho fatto la rete senza fili (…) perchè avevo questo figlio, il più grande, con un po’ di problemi di integrazione che aveva trovato in questo aspetto dell'informatica una sua dimensione, un piacere (…) l'ho lasciato giocare con il pc come se si trattasse del lego e anche io, pur non essendo il mio mestiere, mi sono trovata sulla parte hardwere per andare dietro a lui che era un ragazzino sennò rompeva tutto e creava.. quindi ho imparato con lui a costruire il computer.. abbiamo cominciato a comprare i pezzi nei negozi, quelli che costavano meno, a realizzare queste cose in casa per dargli la possibilità di sentirsi un po’ autonomo anche in un settore emergente e così, rispetto agli altri più capace; questo gli ha dato un po’ di sicurezza.. (e ora) possiamo collegarci in tutte le stanze con tutti i computer a internet. (…), lo vizio perchè mi diverte …”GZTP

D’altra parte se, come EMTP sottolinea la mancanza di piacere delle donne nel giocare con le nuove tecnologie e la conseguente maggiore attenzione ai risultati, determinandone, per questo, un atteggiamento più rigido nei confronti dell’universo informatico (“ma in qualche caso può dare qualche rigidità in più rispetto allo strumento”), la tanto declamata “flessibilità” – altro assioma del femminile - di queste macchine può essere essa stessa messa in discussione sia relativamente ad una dimensione intrinseca al meccanismo di funzionamento informatico (il sistema binario e il codice che ne deriva), sia in relazione alle modalità con cui ci vengono proposti ed offerti i softwere attraverso i quali interagiamo con essi. A questo proposito risulta particolarmente interessante quanto ci è stato detto da alcuni dei nostri interlocutori:

“secondo me un linguaggio informatico non può essere amico. Non può esserlo perché l’informatica rispetto a quelli che sono gli utenti finali – che in realtà sono l’85% della popolazione, purtroppo ha un grosso difetto: non è interpretabile. (…). E’ un sistema molto rigido un linguaggio di programmazione. Non permette sbagli, non permette interpretazioni. Per cui dico che non è amico perché il 95% delle persone che usano il linguaggio di programmazione avranno di che arrabbiarsi, perché non riusciranno a capire istantaneamente quello che devono fare, sino a quando uno non piega la sua mente al linguaggio. Dopo di ché, se uno entra nell’ottica, non è che il sistema diventa non amico, si tratta solo di trovare il modo di entrarci. Ripeto: per il 95% delle persone che possono essere definite endy users, un linguaggio non è come la lingua che permette interpretazioni; un linguaggio informatico non le permette”. IM30

“Sono macchine in senso metaforico, traslato. Sono file di migliaia e migliaia di righe di codice. Sono scrittura. Questa è l’essenza del computer…” ACTP

“Le apparecchiature analitiche che io ho,invece, essendo destinate a un mercato di laboratori che non vogliono sviluppare dei metodi ma applicare dei metodi hanno praticamente scarsissima possibilità di intervento e in più con il fatto che le misure devono essere accreditate, non possono essere manipolate, la calibrazione deve essere

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quella.. è tutto rigido per cui io la maggior parte del tempo,tornando al discorso iniziale,la passo a cercare di agirare , cercando di capire come funziona e cercando l'espediente per spiegare come funziona,in qualche modo il che è una cosa che rappresenta una perdita di tempo,nel senso che a volte avrei fatto prima in condizioni manuali a decidere, quindi non riesco ad utilizzare a pieno la nuova tecnologia ,il softwere, perchè è rigido….(…)…ho alcune cose che non posso modificare o se le modifico poi devo tornare da capo, mentre invece il softwere dovrebbe essere sviluppato a seconda delle necessità dell'operatore; ora è chiaro che io non rappresento un mercato però, perchè chi sviluppa metodologie non le sviluppa a questo scopo. Facciamo l'esempio dell' autocad, quello per il disegno tridimensionale. E’ una cosa estremamente flessibile, ci si può fare davvero tutto. Però è estremamente macchinoso; il discorso è che si va nell'eccesso della flessibilità dove bisogna dire per una linea: vai da questo punto a questo punto, con questo angolo, la distanza deve essere questa e l'approssimazione deve essere questa; quando, in altri programmi tracci, una linea e aspetti il grafico, ma non ti è consentito di applicarlo in qualsiasi campo. E’ necessario secondo me che si sviluppino delle interfacce tra qualcosa di base, di rigoroso e l'applicazione (…) per cui si hanno prodotti estremamente rigidi” GZTP

Questa rigidità del codice – per la parte hard dell’informatica, e dei softwere attraverso i quali “dialoghiamo” con la “macchina” e con il mondo intero, sembrerebbe/potrebbe essere percepita e, per questo mantenuta a distanza attraverso approccio finalizzato (utile) del mezzo?Che queste rivoluzioni tecnologiche introducano dei salti qualitativi, degli scarti con il passato – non a caso si parla di post-modernità – è cosa nota ma ancora largamente da indagare e, per giunta, nella scomoda posizione di chi comunque è tutt’ora in mezza al guado. E chi scrive si guarda bene dall’osare delle risposta. E’ forse bene ripetere, ancora una volta, che ciò che ci si propone in questa sede, per questi nodi, non va oltre la formulazione di qualche domanda – magari nuova rispetto a vecchi temi, o al contrario, vecchia ma posta di fronte a nuove sfide, diversi orizzonti.Non è quindi senza qualche timidezza che si propongono altri passaggi tratti dalle nostre interviste che suscitano ulteriori domande a partire dalla categoria dell’utile, quella categoria che sembra essere privilegiata dalle donne nell’approccio con le nuove tecnologie, ma che pone interrogativi nel momento in cui sembrerebbe contraddire la convinzione diffusa che vede, al contrario, le donne meno attente al “mercato” volto com’è al prodotto, al risultato, appunto all’utile.

“il nostro rapporto simbiotico e quindi poi anche conflittuale con la macchina, con questo tipo di macchine, le macchine informatiche, è un tipo di rapporto in cui il nostro corpo – è sempre una cosa contraddittoria – è meno in gioco di prima perché noi dobbiamo prevalentemente comprendere a vari livelli il funzionamento di questo codice e, dal punto di vista corporeo, quello che si muove sulla macchina sono i nostri polpastrelli i nostri occhi. Da un altro punto di vista però, l’interpenetrazione con il sistema nervoso centrale, come vide benissimo Ballard già nei primi degli anni ’60, è più forte. E quindi il corpo è in gioco ed è in gioco, da questo punto di vista più ancora che con le generazioni di macchine precedenti (meccaniche ed elettromeccaniche).(…)…siccome il sapere delle donne è un sapere che ha sempre avuto una relazione problematica e conflittuale con il livello della astrazione (non perché non sia capace di averlo ma perché più rivolta alle relazioni), probabilmente il rapporto delle donne con queste nuove tecnologie tende a privilegiare il secondo aspetto: cioè l’aspetto “relazionale” con la macchina e l’aspetto relazionale con gli altri essere umani

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mediato dalle macchine. (…) Il rapporto delle donne con queste nuove tecnologie tende ad esaltare l’aspetto relazionale in genere rispetto alla dimensione del codice del pensiero astratto.…da un certo punto di vista si potrebbe pensare che un atteggiamento di questo genere provoca o permette una maggiore autonomia di una donna rispetto ad un uomo nei confronti di queste nuove tecnologie; per altri versi potrebbe essere che “il mancato approfondimento” della dimensione astratta (quella di codice) genera invece una maggiore dipendenza perché una donna, occupandosi meno, essendo meno interessata (perché per esempio ci sono poche donne hacker ..perchè l’hacker è uno che lavora moltissimo a livello di codice) …. Il linguaggio è una cosa molto complessa e molto mescolata e ha anche una dimensione, una componente corporea molto forte che non è il codice. Che non è una cosa astratta. Identificare l’aspetto linguistico della informatica con il codice probabilmente è limitativo anche se ne è un aspetto.Chi lavora bene e di più sul codice è più in grado di controllare le macchine. Chi lavora meno tenderà ad essere meno controllato. Tenderà quindi ad usarle come capita o dal punto di vista funzionale. L’aspetto creativo portato dalle donne avviene, probabilmente , sull’altro versante … quello relazionale, della rete. Io sono portato a pensare che se ci sono donne hacker queste sono mediamente più brave dei maschi perché magari mettono insieme le due cose (pensiamo a quei giapponesi che stanno sempre davanti al computer e non ne sanno niente della vita relazionale).………..Sta di fatto che la funzione della donna è quella che cambia di più perché – ma questo già nell’epoca della rivoluzione industriale c’è una lunga tradizione di distacco della donna dal mondo produttivo – (…) adesso cambia nuovamente e quindi probabilmente la donna si trova da un punto di vista oggettivo sicuramente nella situazione di maggiore sensibilità e di maggiore conflitto. Oggi sicuramente nella figura femminile ci sono più conflitti dal punto di vista sociale che non nel maschile – è quella che deve più subire … che però se questo – se le strade che da questa oggettiva condizione femminile si trasformi in consapevolezza … non lo so…”ACTP

Quanto sopra riportato introduce nuovi temi: la relazione e il controllo (il potere).

Le donne sono meno interessate al codice (un linguaggio non umano, un “non linguaggio”), e quindi al “cuore dei sistemi informatici”. E per questo tenderà ad utilizzarli “più da un punto di vista funzionale”. “Le donne in generale usano, probabilmente meglio e pilotano meglio il veicolo, ma non vogliono proprio sapere: non è funzionale dal punto di vista sistemico, esistenziale al loro interesse sapere…è esperienza personale ma anche vista nelle poche studentesse che ricordo” LB68, come ci dice, infatti, anche questa donna da noi intervistata.

Nello stesso tempo la maggiore sensibilità nei confronti dell’aspetto relazionale, del linguaggio e quindi del corpo, offre ulteriori spunti di riflessione rispetto agli interrogativi iniziali e, insieme recupera gli aspetti “non finalizzati”, “gratuiti” (del dono), che le donne collocano nella “cura”, nella relazioni con l’altro da sé … “gioco con le bambole … corpi finti da manipolare; mi metto in gioco … mi spendo (spreco il mio tempo) nella relazione con gli altri”.

Molte le conferme sull’attenzione all’aspetto relazionale che l’informatica, la rete favorisce e moltiplica, così come, di contro, altrettanto grande la preoccupazione che il rapporto individuale con l’oggetto informatico e le nuove modalità di comunicazione raffreddino, quasi gelino la relazione interpersonale.

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Vediamole considerandone i diversi aspetti che, pur mettendo al centro l’aspetto relazionale, lo affrontano in termini diversi.

“ ..attualmente lavoro per una cooperativa che ha in appalto il Centro stranieri del Comune, dove in realtà ho un contratto part-time e faccio una serie di cose molto diverse: operatrice dell’accoglienza, seguo diversi tavoli di lavoro, faccio il pezzo del rapporto con le Forze dell’Ordine. Per una Associazione onlus, poi, lavoro su un progetto sulle donne migranti che è un progetto di accoglienza per donne straniere in fase di momentanea difficoltà. Chiaramente sono lavori dove si fa di tutto da bassa manovalanza ad alta elaborazione teorica. Il PC è fondamentale, diventa fondamentale per tutta quella che è la comunicazione con l’esterno quindi e mail, varie relazioni ai Servizi, alle varie assistenti sociali; tutto il discorso della relazione…. le varie relazioni sui vari percorsi e le lettere che servono nei vari contesti quindi posta elettronica, programmi di videoscrittura, internet per quanto riguarda l’aggiornamento nel senso che le nuove leggi, le normative le nuove…le notizie anche banalmente”. EC27

“Nella mia esperienza di lavoro c’è questo approccio, questa attenzione. Se devi costruire una banca dati o una maschera di una banca dati è un lavoro…il mondo della comunicazione diretta con il cittadino, se andiamo a vedere molto nelle relazioni , vede molte donne”. FP 42

“Perchè il fatto di scambiarsi i messaggi, di usare di più la posta anche solo per scambiarsi messaggi, anche il modo di parlare “c'è questa soluzione, vediamo come si può fare” è più femminile. Gli uomini li vedo molto più rigidi. Loro hanno questa idea, si va avanti, è più difficile fargli cambiare idea”. SL41

“Comunque la candidatura per la gestione del contenuto informativo è al 90% femminile, tipo 8 ragazze e 1 ragazzo. Al contrario, tutte le volte che cerchiamo informatici, abbiamo scarsissime candidature femminili, tanto che ora abbiamo 6 informatici uomini e noi siamo nati come cooperativa femminile”. EM44

Come si vede, queste prime quattro citazioni mettono al centro la relazione ma proprio in rapporto con le nuove tecnologie. Mettono in evidenza cioè la potenza di questi strumenti per esaltare quel lato dell’essere umano tendenzialmente più definito femminile

“Il rapporto umano con i dipendenti questo non lo potrà cambiare nessuno, le eccezioni che vanno gestite di giorno in giorno. Le eccezioni sono i contratti, il periodo di maternità, le aspettative, gli assegni familiari, esigenze quotidiane che i dipendenti hanno”.DD34

“Voglio il contatto fisico e mi da l’impressione che una lettera scritta a mano… ad esempio, ai miei utenti a Natale scrivo sempre un bigliettino a mano, bigliettino fatto a computer, ma ad ognuno scrivo delle mie cose personali. A volte solo tanti auguri, altre volte qualcosa di specifico. Ho l’aiuto dell’aspetto tecnologico che mi fa creare il bigliettino, per come lo realizzo e l’altro aspetto che diventa il mio rapporto con te. Ti voglio dire che ci metto anche del mio”. PC50

“però da un lato sono un pericolo per le relazioni. Non per me personalmente ma vedo sempre più persone che fanno fatica a relazionarsi con le persone e vanno in chat o altro. Per me questo è preoccupante. Per me, per il mio modo di concepire il mondo

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delle relazioni e delle persone, le relazioni sono proprio a tu per tu. Le relazioni le costruisco con le persone, a tu per tu. Un conto è avere una relazione con una persona e per un momento essere lontani e poter scrivere.. Quando chiamo mio figlio che è in India è un bene che io possa scrivergli e-mail. Però poi basare un rapporto su questo... E' veramente preoccupante. Diciamo che da un punto di vista lavorativo è un mezzo straordinario. Il fatto che io possa mandare la stessa mail a cinquanta persone allo stesso tempo e informare e ricevere informazioni.. è straordinario, e vorrei vedere chi può dire il contrario..” LH53

Il rapporto fisico piuttosto che il rapporto mediato attraverso la macchina senza per questo avere preclusioni nell’uso lavorativo o meno dello strumento informatico, della rete. Il rapporto diretto, faccia a faccia con i dipendenti che, come sappiamo dalla cronaca quotidiana, non mancano di essere licenziati con un semplice sms. Il rapporto personale con gli utenti del servizio che si coordina (attraverso la rete informatica e il cellulare), con l’invio di biglietti augurali scelti e preparati col PC, ma poi scritti ad uno ad uno, pensando ai volti, alle specifiche situazioni di ognuno, alle maggiori o minori simpatie. Per far questo bisogna conoscerli tutti e, probabilmente, ciò non è scritto nel mansionario che accompagna il contratto di lavoro. E infine, non rifiuto della tecnologia che nel lavoro “è un mezzo straordinario”, ma l’esplicita preoccupazione che la relazione interpersonale stia correndo dei rischi cui si aggiunge la netta preferenza per il rapporto diretto, a tu per tu … salvo quando proprio non ne puoi fare a meno tanto, che in quei casi, non ci sono remore ad utilizzare le tecnologie più avanzate.

“Ovvero mi sembra che i rapporti umani, non solo quelli virtuali vengano costruiti, vissuti, cestinati con la velocità e nel modo appreso dalla tecnologia informatica. Per cui quello che hai appreso fino ad oggi può essere cancellato domani, anche se si tratta di emotività, con la facilità con cui si cancella un file. Per cui il mio timore è che le giovani generazioni “imparino” la freddezza dei computer. E finiscano per relazionarsi nel modo in cui dialogano tra di loro due software. Il problema è la quotidianità, non le numerose opportunità in cui la tecnologia davvero accorcia le distanze. La quotidianità è quando la tecnologia viene semplicemente usata come una scorciatoia emotiva. E’ più semplice mandare un messaggino, che parlare con una persona in carne ed ossa.” DR40 m

“E’ un mezzo molto potente e per questo è anche rischioso. (…) l’esempio per me più forte sono le chat. La gente crea delle maschere con cui si presenta ad altra gente che ha a sua volta delle maschere…si perde il contatto umano. In ufficio da me, ed è una cosa che non sopporto, c’è chi ti manda una mail e tu sei nell’ufficio di fianco. Alzati no! Una cosa che mi fa imbestialire è uno che mi manda una mail con su scritto: “telefonami”. Cazzo tiralo su te il telefono, sei diventato monco? E’ veramente abuso di tecnologia e credo abbia il brutto effetto di allontanare le persone o, perlomeno, a disabituare la gente ad affrontare le altre persone. Questo secondo me è un grossissimo difetto”. IM30 m

Sono invece di due uomini le due ultime citazioni, due uomini che, pur con competenze molto diverse tra loro, praticano un rapporto molto intenso con le tecnologie. Uno di questi il secondo, c’è cresciuto insieme, ne conosce il codice con una dimestichezza che lo fa sentire al centro del mondo. Ma forse proprio per questo è più consapevole di altri dei rischi presenti … nella parte “oscura della rete”, quella che intrappola, che isola, che

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semplifica, che espropria l’essere umano da se stesso e dai suoi rapporti con gli altri, della parte emozionale, gratuita, irrazionale di noi stessi.

La relazione, la relazione con gli altri mediata attraverso le tecnologie e, più in particolare attraverso la rete. Da questo punto di vista diventa allora importante svolgere una ulteriore riflessione su questo aspetto richiamandoci specificamente a quanto emerge dalle prime quattro citazioni. In tutti e quattro i casi si tratta di persone che lavorano all’interno di servizi alla persona o servizi informativi, o di raccolta e gestione di dati – oggi sempre più complessi – di Enti Locali. In due casi le nostre interlocutrici “governano” intere reti di servizi (quella rivolta a donne e uomini stranieri, immigrati e quella rivolta alle persone anziane), negli altri due ci troviamo di fronte a donne che costruiscono banche dati e gestiscono sistemi informativi pubblici complessi. Non necessariamente le donne intervistate con queste tipologie di professionali (più numerose di quelle citate), hanno dimestichezza con l’oggetto informatico nella loro dimensione hard o di programmazione (quella del codice); ancor più, è possibile che nessuna di loro abbia mai giocato da bambina con questi strumenti (tra quelle citate sopra c’è la nostra giovane ventisettenne che non amava giocare con il PC). Ciò non di meno per la parte relativa alla loro professione – anche alta per le competenze richieste – hanno sicuramente una buona, se non elevata, conoscenza della rete con la quale operano quotidianamente. Sono quindi in grado di “governare” processi complessi sul territorio e attraverso la conoscenza che hanno del sistema possono controllarlo. Cioè hanno un “potere”, possono agire ed incidere (quanto questo poi sia riconosciuto è un altro discorso). Sta di fatto che – tornando alla nostra dimensione ludica attraverso la quale i maschi più delle femmine acquistano conoscenza, dimestichezza, competenza e perciò, come accade da sempre, anche “potere”– una più immediata propensione alla relazione con gli altri, la maggiore attenzione a questi aspetti (spesso, non sempre, legati alla “cura”), oltre naturalmente all’interesse personale di ognuna di loro nei confronti di attività gestite attraverso la rete informatica e delle comunicazioni, fa si che queste donne abbiano la possibilità di incidere, di disporre di quel “potere di fare” che passa attraverso il controllo, la conoscenza del mezzo.Come vedremo subito, un più limitato incontro con le tecnologie attraverso il gioco, la denuncia dell’insofferenza che scaturisce dalla poca conoscenza del mezzo nel suo insieme, ma anche la rigidità del programmi dovuta sostanzialmente a ragioni di mercato (quella che rende i software friendly, ma “rigidi” come ci diceva GZTP), o a forme di organizzazione del lavoro che ti “espropriano”, ti “alienano”, non è sfuggita alle nostre interlocutrici che ne hanno fatto più volte oggetto di risposta alle nostre domande.

Se l’approccio maschile parte dal ludico e da lì ci prende la mano e diventa più esperto, la ragazza ha meno interesse all’aspetto ludico del computer e fa più fatica a prenderci la mano.LP28

Io ho un rapporto proprio viscerale…è un problema di competenza sulle questioni tecniche, una volta che tu hai in mano la tecnica, che conosci quello che stai facendo dopo lo usi come vuoi, come ti pare, anche per dar sfogo alla tua creatività. GM50

…se io potessi utilizzare lo strumento informatico come memoria di un percorso mentale che però gestisco io. Non voglio essere gestita dalla macchina, tutte la cose

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predefinite mi danno fastidio io per esempio, mi ritrovo a gestire delle apparecchiature analitiche tutte servite da pc e softwere anche abbastanza complessi e io passo la maggior parte del tempo a cercare d fregare il softwere, mentre io ho iniziato questo mestiere in cui tutti i comandi erano strumentali e potevo gestire e capire anche quello che stavo facendo. GZTP

Io conosco una donna che veniva a fare lavori da noi, ha lavorato moltissimo a scuola in particolare insegnando informatica, laureata in Economia e commercio. Lei si lamentava di microsoft, per una che programmava, che le interessava, non aveva più accesso, non aveva più la possibilità di fare niente; era già tutto fatto. EB52

Sono stata abituata a vivere in una casa dove la manualità era insegnata e trasmessa. Io faccio le cose a maglia, faccio l’uncinetto e ti sistemo l’impianto stereo. Non è che lo so aggiustare se si rompe, ma lo so montare, far funzionare un videoregistratore – registro cassette per gli amici dei miei figli – e così via. A lavorare da noi ci chiamavano utenti evoluti, mi sembrava di essere una scimmiotta. CB44

Si fa più fatica ad imparare non passando attraverso il gioco, ma non per questo non si impara e taluna, come si vede, lavora a maglia e smonta videoregistratori. Non a caso la consapevolezza di percorrere una strada più impervia nell’approccio alle nuove tecnologie si coniuga con l’insofferenza nei confronti di tutte quelle rigidità – proposte attraverso la macchina ma non sue proprie – che impediscono il “controllo del mezzo”. Da questo punto di vista particolarmente significativa appare la citazione che segue:

…le donne chiedono alla tecnologia di risolvere i loro problemi, di alleggerire... ma anche di semplificare, di snellire, invece i maschi di controllare, di avere un potere. Questo non so se è perché le donne non vogliono entrare in quel terreno di competizione, per quello una donna lo può prendere anche più alla leggera…senza bisogno di approfondire, ma per usarla in quel momento, perché risolve qualcosa. Invece un uomo vuole entrare, prendere un certo controllo sulla cosa, avere un certo dominio sullo strumento. EB52

Nel mettere in fila queste citazioni – estrapolandole dal loro contesto e quindi facendo grande attenzione a lasciare inalterato il senso delle frasi che si collocano tra virgolette – emergono nodi complessi, profondi, già assolutamente presenti quando si pone l’attenzione su categorie quali quelle del gioco e dell’utile, ma ancor più quando questo percorso ci conduce a riflettere su concetti che, passando per il “controllo del mezzo”, ci conducono alla dimensione del “potere”, del “dominio dello strumento”. Le donne attraverso un approccio più “soft” – meno approfondito - allo strumento ma non per questo, in molti casi comunque competente, da una parte colgono tutte le “rigidità” nascoste da interfacce largamente “amichevoli” che impediscono “il controllo del mezzo”, che le fanno sentire delle “scimmiotte” e dall’altra sembrerebbero esprimere un approccio diverso proprio nei confronti di una categoria come il potere che non si traduce in “dominio” sullo strumento quanto in un “poter fare”, risolvere.Va considerato, inoltre, che le rigidità a cui si fa riferimento in alcune interviste – e sviluppate ampiamente in altre parti del rapporto relativamente al tema del lavoro - attengono direttamente alla categoria del potere nell’ambito di sistemi complessi come quelli interni ad organizzazioni del lavoro altamente tecnologiche dove è evidente che la distanza nei confronti dello strumento è fondamentalmente voluta … e non certo dallo “strumento”:

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Quindi c’è molta rigidità nella sostanza?Sì, assolutamente sì. Perché un sistema come quello (si fa riferimento ad un call center) per funzionare deve essere schematico e rigido. Le competenze devono essere molto ristrette e lasciate da parte perché la conoscenza in qualche modo fa paura. La conoscenza e l’informazione tra le persone da’ potere. Non c’è ombra di dubbio e loro non richiedono questo. “l’uomo flessibile” deve essere una persona con poca possibilità di sviluppare le sue competenze”. (…) noi abbiamo un sistema per cui rispondi alle chiamate, all’interno del computer inserisci la domanda che ti ha fatto il cliente, probabilmente la trovi nello schermo, la leggi, gliela riproponi e questo dopo un po’ diventa assolutamente alienante.(…) Noi abbiamo dei programmi nei quali si inserisce il nome del cliente e addirittura rispetto alle cose che ci chiede, tu formuli la domanda e hai di ritorno un Pc che ti dà l’informazione. E’ lui che si aggiorna rispetto alle sue competenze non tu. Perché è lui che attraverso le domande che tu gli fai incrementa le sue informazione …. Mentre noi rimaniamo.. ..

Se si richiede una professionalità a 360 gradi, poi sarebbe necessario offrire degli strumenti. Questa potrebbe essere l’unica possibilità reale di creare una professionalità all’interno di questo sistema”. A28

In effetti i call center, come è noto, rappresentano una dimensione lavorativa paradigmatica rispetto all’incontro tra vecchio e nuovo nell’ambito della organizzazione del lavoro tout cour da una parte, e alla persistenza (e, per certi versi, enfatizzazione) degli stereotipi che ancora pesano significativamente sulla condizione della donna, da un altra. Inevitabile, quindi, farvi riferimento nel momento in cui si mettono insieme temi come la maggiore attenzione del femminile nei confronti della “relazione” (largamente utilizzata in questi ambiti) e il “potere” espresso attraverso queste modalità di organizzazione del lavoro tecnologico e di rete. Ma, come abbiamo già cominciato a evidenziare, esistono altri ambiti lavorativi “figli” dalla Società ITC, che vedono le donne in tutt’altra collocazione e con ben altra dimestichezza nei confronti delle nuove tecnologie. L’ambito del lavoro di rete e in rete che dai servizi alla persona si è esteso alle più diverse attività di governo del territorio che si rivolgono ai cittadini/e nel loro complesso nelle quali le modalità di approccio delle donne alle tecnologie sembrerebbe esprimersi con più agio in competenza.La lunga citazione che segue, ce ne da un esempio particolarmente significativo:

Io per il Consorzio sono responsabile dei Servizi di …….., che vuol dire che all’interno di questo contenitore chiamato …….. che prende il nome dalla piazza principale della città, luogo di aggregazione …(è un progetto che nasce dal 1995, ancora prima vi era un Servizio che era l’Informagiovani); è quindi dal ’95 si è fatto questo progetto integrato di servizi di comunicazione rivolto ai cittadini…l’Informagiovani e poi l’informazione turistica e poi nel corso degli anni si sono aggiunti dei Servizi sempre più delicati. Oggi parliamo di Servizi all’interno dello sportello Informadonna o anche l’Informaanziani. C’è una attività come si diceva delicata, con operatori, operatrici con competenze specifiche per tutte le tematiche legate alla popolazione anziana in termini di attività di attività di promozione, ma anche il raccordo tra quelle che sono le esigenze dei Servizi legati alle famiglie delle persone che vivono una qualche difficoltà. Quindi è da concepire come la fabbrica del Comune (…) dell’informazione, della comunicazione rivolta ai cittadini. Per cui quotidianamente ci occupiamo della parte relativa a garantire le informazioni sull’ente, ai diversi target, che siano giovani, che siano anziani o imprenditori… e questa informazione che viene garantita attraverso

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l’attività di apertura quotidiana dei Servizi e poi anche l’informazione e la comunicazione attraverso gli strumenti che sono la rete civica, le banche dati dell’Ente. Siamo una struttura trasversale nell’ente che ha una comunicazione esterna principale, ma che ha anche una comunicazione interna con tutto quello che comporta, così come prevede la legge, garantire il diritto all’accesso delle informazioni, l’accoglienza e l’ascolto di quelle che sono le segnalazioni o le criticità che ci fanno pervenire e quindi il farsi carico di garantire quotidianamente questa risposta, questa informazione. ……………………….(…) dalle iscrizioni del bambino all’asilo, al pagare delle rette, alla possibilità di scrivere e chiedere informazioni precise prima di rivolgersi direttamente ad un ufficio. E’ cambiata la modalità di contato, di rapporto, per cui la tecnologia da questo punto di vista garantisce da una parte più trasparenza, ma anche più velocità…e quindi anche i tempi devono essere diversi. Io prima, quando lei è arrivata, stavo rispondendo all’indirizzo pubblico di posta dove i cittadini chiedono tutta una serie di informazioni…dai corsi …(…) Proprio perché contemporaneamente in città esistono altri punti di accesso alla rete internet, si chiamano net garage, che organizzano anche dei corsi di informatica e quindi anche corsi di alfabetizzazione per i giovani, le donne, gli anziani , per tutti coloro che oggi devono utilizzare questo strumento. Questo è stato anche all’interno dei progetti della rete di estensione della rete telematica della regione Emilia Romagna. E’ un circuito abbastanza consolidato in città. A luoghi pubblici sono sorti contemporaneamente Internet point privati. Biblioteche e Comune hanno lo stesso sistema di gestione così come pure il palazzo dei Musei in modo da garantire la rete pubblica. Si è evoluto anche garantendo in termini sperimentali, una ulteriore evoluzione di questo, tramite l’accesso con la wireless. Per cui …… come la Biblioteca … sono due aree di Modena che hanno l’accesso wireless. Gli utenti dei servizi, ma anche qualsiasi cittadino con il suo portatile può venire sulla pietra … e navigare gratuitamente. Questo è un progetto ancora sperimentale, me è una opportunità in più. FP42

L’imponente struttura di rete (tecnologica e umana) descritta sopra vede come responsabile una donna e altre, numerose, che vi lavorano. Ciò non di meno da qui a poter leggere questa esperienza così come quelle di diverse città dell’Emilia Romagna e non solo, segnate al e dal femminile ce ne corre. Ce lo dice la responsabile di una struttura simile di una grande città metropolitana intervistata quale testimone privilegiata propria per approfondire questa eventuale caratterizzazione “al femminile” della “rete” che si rivolge ai/alle cittadine/i:

“…il call center di per se, è un numero unico a cui un cliente, l’utente accede a tanti servizi differenziati. Per cui è chiaro che di fatto c’è una rete che va costruita. Per cui lo stile al femminile dell’assessore che è capace di mettere insieme uffici diversi, che è capace di far comunicare a tutti gli uffici le proprie informazioni etc. …certo che c’è uno skill di relazione di rapporti umani, chiaramente al femminile, ma la tecnologia però è soltanto un metro con cui… per la definizione stessa del call center è che c’è questa rete sotto che deve funzionare. Che poi la rete sia supportata da uno strumento tecnologico questo è quello che dà la possibilità di esprimerti in questo modo (…) cioè è lo strumento che permette poi effettivamente di implementare tutti quegli skill di aggregazione, di interazione e di diffonderli velocemente. Come l’idea imprenditoriale, uno ha un’idea imprenditoriale di successo, metto su un’asta on-line, in poco tempo divento uno dei siti che producono più ricchezza… è la stessa cosa che uno… ho tutte le potenzialità per creare una rete di uffici, di semplificazione etc. e adesso ho lo

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strumento per farlo… Se questa è una predisposizione femminile, appunto da imparare anche mettendo insieme da più…? è chiaro che la rete la facilita, però questo, diciamo, non le saprei dire, non mi sento così sicura nel dire… questa è più un’intuizione. Non penso che ci sia… che faciliti situazioni già innate nelle donne”. MMTP

D’altra parte quando si passa dal pensiero della differenza in senso lato alla individuazione delle cosiddette “competenze” di genere, i confini si fanno inevitabilmente più sfumati consapevoli come siamo tutte e tutti delle compresenza nell’uno e nell’altra di caratteri e propensioni sia maschili che femminili.Ciò non di meno è largamente diffusa la convinzione che “ Nel modello ‘a rete’ si favoriscono le caratteristiche, nel lavoro, di condivisione e di socializzazione delle esperienze e delle conoscenze … La logica femminile valorizza, insomma, di più gli elementi della cooperazione. ERTP

Se questo è vero, però, vale la pena interrogarsi sull’esistenza di un eventuale rapporto tra “modalità di lavoro a rete” e utilizzo della rete informatica tali da favorire nuove sinergie segnate dalla differenza di genere proprio a partire da esperienze quali quelle richiamate sopra, che hanno a che fare con il “governo” di un territorio attraverso la costruzione di interi sistemi informatici messi a disposizione delle esigenze di vita e di incontro di chi li abita. Ma, anche qui, non si vuole giungere a conclusioni definitive, ci si vuole limitare a proporre delle suggestioni, degli orizzonti di pensiero aperti dalla dirompente invasione delle tecnologie nella società tutta, tanto da averla definita Società ICT.

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Considerazioni conclusive

Si vorrebbero ora tirare alcuni fili per offrire un ragionamento che raccolga le molte osservazioni che sono state fatte via via, a commento dei diversi aspetti analizzati in relazione agli approcci e agli usi delle tecnologie digitali da parte delle donne che hanno formato il collettivo di indagine. Un ragionamento che riporti agli obiettivi di questo studio: indagare gli elementi significativi del contesto socioculturale entro il quale (e per il quale) sono stati elaborati i prodotti delle azioni condotte dagli altri partner dell’Equal Technè-Donne42. Cogliere la cultura di fondo con la quale interagiscono le donne nel loro rapporto con le ICT, nei loro modelli interiorizzati e in quelli più riflettuti e consapevoli e come questa interazione segni una trasformazione dei modelli sociali del genere femminile in rapporto ai saperi tecnologici e agli stili d’uso delle tecnologie digitali.Man mano che le innovazioni ICT informano sempre più profondamente e capillarmente ogni settore, ogni campo della vita quotidiana, i modelli culturali di genere non possono non esserne contaminati e trasformati. Essendo le donne partner attive e non passive delle interazioni che si producono fra la formazione discorsiva (non ontologica) e negoziale delle identità e l’uso delle tecnologie digitali, in particolare di internet e della Rete che introducono nuovi parametri e relazioni con il tempo e lo spazio43.E perciò l’interesse non era rivolto a soggetti individuati in base a specifiche modalità d’uso o situazioni; quanto a profili di donne “come ce ne sono tante”; in un certo senso espressione, se non fosse azzardato usare il termine, della “normalità” in cui siamo immersi. Non donne pioniere, si è detto, ma donne che potessero aiutare a comprendere, attraverso le loro esperienze e immagini, come sta procedendo il processo di “quotidianizzazione” delle ICT negli aspetti materiali e simbolici; se e come ne vengono trasformati i comportamenti quotidiani negli orizzonti spaziali e temporali, con quale consapevolezza sugli aspetti di libertà e costrizione e sulla (possibile ) differenza di genere nell’approccio e negli usi delle tecnologie.

Le domande, come si sono elencate nella introduzione (vedi I,2) erano molte. E molte risposte hanno restituito le intervistate. Queste da una parte delineano un senso comune, un sentire diffuso che costituisce la cornice di fondo cui si rapportano le molteplici soggettività femminili. Dall’altra indicano una articolazione di differenze che, oltre che motivate da condizioni professionali e percorsi formativi non omogenei, sono molto frutto dell’ appartenenza a generazioni che hanno incrociato le ICT in età e fasi della

42 Si tratta in particolare di azioni desegreganti rivolte a donne imprenditrici (Ecipar), di revisione dei parametri di valutazione della esperienza dello stage universitario (Università di Forlì ed Ecipar), di costruzione di software antispamming e ricercatrice di rete (Orlando, Cineca e laboratorio Marconi), di messa on line del sito www.technedonne.it (Orlando, Cineca e Laboratorio Marconi).43 Cfr. sul tema : L. van Zoonen, Gendering the Internet, “Eiropean Journal of Communication, Sage, London, 2002; questi temi sono ripresi anche da AC. Pugliese, Discorsi indifferenti.nella bolgsfera. Note d psicologia politica del genere digitale, in F. De Ruggeri e AC. Pugliese, Futura. Genere e tecnologia, Roma, Meltemi, 2006. Sulle trasformazioni dei parametri di tempo e spazio nell’analisi sociologica, si vedano i diversi saggi contenuti in MC Belloni e MR. Rampazi, Luoghi e Reti. Tempo, Spazio, lavoro nell’era della comunicazione telematica, Soneria Mannelli, Rubbettino, 1996.

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vita assai diverse. In questo caso almeno quattro grandi fasce che corrispondono ad altrettanti macroperiodi di impegno: la fase del divenire adulta (formazione e prime esperienze di lavoro), la fase centrale della vita adulta con i compiti della crescita e della cura dei figli da fare convivere con quelli professionali, quindi la ricerca assillante di possibilità di conciliazione, la fase del progressivo allentamento dei pesi familiari con maggiore tempo disponibile per ruoli professionali di responsabilità, la fase infine della cessazione delle attività professionali e di maggiore tempo da dedicare a sé (almeno in via teorica).

Questo “senso comune” che attraversa le generazioni lo si vuole descrivere facendo ricorso a diverse coppie concettuali che indicano allo stesso tempo polarità e fluidità dei comportamenti e degli orientamenti di pensiero che si dispongono lungo la linea che va da un polo all’altro. Che bene indicano anche il mescolarsi, il convivere, dentro ogni soggetto, dell’una e dell’altra polarità.La coppia concettuale routine-innovazione44, è senz’altro la prima da segnalare per indicare il sentimento prevalente con il quale si guarda alle ICT, un fatto oramai scontato nelle molte dimensioni della vita quotidiana che toglie o attenua reazioni di paura, di incertezza, di rifiuto. Questi sono atteggiamenti legati al passato di ieri per chi ha appreso da adulta il come fare; sono reazioni contenute oggi, quando si deve affrontare qualche novità, nuovi programmi. Computer e internet sono divenuti oramai routine anche per molte “anziane”: se meno per sé, sono routine comunque come fatto abituale della vita familiare – figli, figlie, e nipoti anche piccoli bravissimi col computer– e sociale, tanto da non volere più esserne escluse. Non che l’idea della innovazione venga meno; ma essa significa l’aggiornamento continuo di un processo acquisito, aperto ad altre possibili nuove tecnologie.Semmai, di questo processo aperto alle innovazioni, tra velocità e lentezza si subisce la velocità dei cambiamenti delle applicazioni, dei programmi – naturalmente soprattutto le adulte da una certa età in poi – per la fatica degli aggiustamenti mentali che occorre fare. E tuttavia la velocità è anche segno della modernità e se le giovani vi sono immerse, le meno giovani non la respingono, se ne sentono parte pur con qualche fatica mentale. C’è dunque un elemento ambivalente che gioca, con diversa intensità, dentro le soggettività: accettazione delle nuove tecnologie perché se ne misurano tutti i benefici, le “cose straordinarie” alla portata di tutte/i che hanno a che fare con l’allargamento dei confini temporali e spaziali, l’essere qui e altrove. Le riserve critiche si riferiscono alle modalità e alle conseguenze di questa velocità di cambiamento: l’idea soprattutto di un eccesso consumistico che porta con sé uno spreco di risorse dettato da interessi economici e alla lunga insostenibile; la constatazione, nel campo lavorativo, della ricerca della novità fine a se stessa piuttosto che funzionale.

Tale ambivalenza è più decisa nelle generazioni di mezzo e oltre, ma non assente nelle giovani. Se nessuna invoca un ritorno alla lentezza, la velocità, la velocizzazione impressa dalle tecnologie nella vita quotidiana produce la sensazione di essere sempre di corsa e che computer e internet facciano anche essi parte di un processo di dispersione dei tempi di vita, di fatica del tenere tutto assieme: un controsenso rispetto alla convinzione che le tecnologie dovrebbero invece ridurre la fatica, migliorare la

44 Si fa riferimento, per il loro valore euristico appropriato a questo contesto di problemi, ad alcune coppie concettuali che sono state utilizzate per analizzare i processi interagenti nella vita quotidiana nel convegno triennale “Incerto Quotidiano” della sezione “Vita quotidiana” della Associazione Italiana di Sociologia, Napoli, 10-11 novembre 2005.

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qualità della vita e liberare tempo da dedicare a sé. La velocizzazione contrasta infatti con lo sforzo “di stare ai miei tempi”. Anche autocontrollo ed eterodirezione dei tempi di vita delineano quindi una polarità di situazioni quotidiane che le donne incontrate vivono; alcune cercano di governare l’invadenza temporale ponendo “paletti”, addirittura la scelta radicale di non volere internet a casa oppure di non volersi connettere alla rete durante il weekend; per altre, più semplicemente, sono i tempi degli impegni familiari a limitare all’essenziale l’uso domestico delle tecnologie.

Velocità, uso e controllo del tempo sono un grumo di problemi che nei vissuti delle intervistate ha diverse sfaccettature. Se si passa a considerare aspetti specifici, la velocità determinata dalle tecnologie acquista una valenza positiva: risparmio di tempo nei luoghi di lavoro per le trasformazioni organizzative consentite dalle connessioni di rete interne ed esterne, risparmio di tempo per gli utenti/cittadini che ricevono risposte più veloci e più complesse, risparmio di tempo per chi utilizzando la Rete accede direttamente a molti servizi. E accede all’infinito archivio di informazioni che è la Rete. Risparmio di tempo, comodità, autonomia.Eppure anche qui si denuncia una doppia scansione temporale che a non poche appare contraddittoria: alla velocizzazione delle risposte corrisponde una dilatazione dei tempi (più che lentezza) nel lavoro di predisposizione delle procedure che cambiando divengono sempre più complesse e sofisticate. Così come notevole investimento di tempo richiede il mantenersi al passo con l’aggiornamento continuo. E anche a questo aspetto si guarda in modo duplice: una necessità che costa fatica mentale, ma anche uno stimolo (spesso non supportato adeguatamente da enti e aziende che sono carenti al riguardo) al long life learning che tiene la mente sveglia e flessibile, che fa partecipi di una società in mutamento. O si finisce “fuori”. E per questo la spinta all’autoformazione e all’apprendimento sul campo delle modalità di funzionamento delle tecnologie informatiche è generalmente alto, nelle fasce più giovani con maggiore disinvoltura, anche perchè molte hanno una preparazione tecnica che le aiuta.

Anche l’esperienza del telelavoro costituisce un crocevia temporale fra auto ed etero direzione: la difficoltà è quella di conservare una possibilità di governare, con modalità diverse, l’interferenza dei tempi della cura con quelli di lavoro: i rigidi condizionamenti dei primi (orari dei pasti, orari dei servizi, tempi di accudimento…) tendono a sovrapporsi alla flessibilità dei tempi di uso tecnologici con la sensazione di una scarsa capacità di governarli. Eppure anche in questo caso se l’obiettivo era/è quello di conciliare due sfere di vita per molti aspetti conflittuali e incompatibili in determinati momenti del ciclo di vita, il telelavoro sembra una risposta da incentivare, pur conoscendone i limiti. Con degli accorgimenti organizzativi, perciò, da mettere in pratica sia nel rapporto con l’azienda che nell’home work. E se lo si vede come un’occasione di innovazione organizzativa e di nuovi parametri valutativi delle prestazioni lavorative (non più legate alla presenza ma i risultati), il telelavoro ( e il lavoro a distanza) può perfino apparire un sistema che, oltre ai soggetti che ne fruiscono, dà grandi vantaggi agli enti, alle aziende.

Ma tornando alle percezioni che segnano il rapporto ambivalente delle donne con le tecnologie informatiche, queste si nutrono anche dei sentimenti di insicurezza di fronte ai rischi della Rete (dalla pedofilia alle truffe); insicurezza alimentata dalla preoccupazione, avvertita da molte, che le modalità d’uso delle tecnologie della comunicazione possano modificare, stiano già modificando, le relazioni fra le persone, spingendole a forme di solitudine esasperata o di indifferenza. Rischi insiti nelle stesse

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potenzialità dei mezzi informatici e dell’ambiente virtuale che elimina il corpo, il faccia a faccia, la realtà fisica delle molte sfaccettature, dei sentimenti e delle emozioni. C’è il timore che le modalità comunicative della Rete ipersemplifichino, quando non falsificano, le identità individuali. Per questo motivo si guarda generalmente con sospetto e diffidenza al mondo delle chat, mentre si visitano forum per interessi lavorativi e non, qualche blog, specie di personaggi noti. Le intervistate fanno quindi un uso selettivo legato soprattutto a scopi concreti delle possibilità offerte dalla Rete e se si è giovani se ne utilizzano grandemente tutti gli aspetti di intrattenimento video e musicali. Sulle ambivalenze di fondo a volte esplicite e a volte sotto traccia tra le polarità prima indicate, un’altra coppia di concetti struttura percezioni, giudizi e riflessioni: quella del Noi-loro, per tracciare una linea di demarcazione negli usi e negli atteggiamenti fra chi parla del “noi, di questa età” e “loro” di altra età ed esperienza. Confini che mutano, ma due grandi linee di demarcazione sembrano alla fine emergere: quella che divide le giovanissime (e i loro coetanei) ancora in formazione che appartengono pienamente – nell’immagine delle generazioni giovani e meno giovani – al mondo digitale e telematico; e quella che corre intorno ai quaranta / quarantacinque anni. Le donne che sono oltre quest’età hanno minore dimestichezza e fanno un uso soprattutto lavorativo delle tecnologie informatiche vedendo nel computer “uno strumento come altri”. In mezzo, atteggiamenti e comportamenti d’uso diversificati anche in relazione, e non è di poco conto per le donne con impegni familiari, alla disponibilità di tempo che si ha. L’intreccio di generazione e genere traccia dunque limiti e opportunità nell’esperienza: ne sono consapevoli le donne adulte e quelle mature oltre i sessanta; ne sono convinte le donne giovani intorno ai trenta che fanno riferimento al loro percorso, spesso iniziato sui banchi di scuola, e a quello che vedono nelle giovanissime.

Nelle generazioni che non sono nate con le Ict ma le hanno dovute apprendere quando già erano al lavoro o addirittura fuori dal lavoro, in pensione – per necessità le prime, per curiosità le seconde – un fattore centrale dei loro percorsi di apprendimento e di confidenza con il mezzo informatico è costituito dall’intreccio fra paure, senso di inferiorità (le rappresentazioni del femminile come estraneità alla tecnica sono state interiorizzate come autorappresentazioni) e autostima/voglia di riuscire. Richiama il fatto che uno dei nodi del rapporto fra le donne e le tecnologie consiste nel fare leva su autorappresentazioni positive come donne consapevoli (anche criticamente) e capaci di prestazioni e risultati anche in campo tecnico; che non si autocensurano come incapaci e non si lasciano smontare dalla frequente sfiducia delle persone più vicine (uomini in gran parte) alle cui mani ancora ci si affida, per lo più, per gli aspetti tecnici di (mal)funzionamento. E quindi l’indagine ci consegna una realtà dell’universo femminile per niente estranea verso le ICT/NT, proposizione ancora troppo di frequente usata per indicare il sentimento diffuso o prevalente delle donne (lo è certamente stato in un passato recentissimo; lo è ancora, ma molto meno e per molte meno). Il termine estraneità è inadeguato anche per indicare le difficoltà che ancora ci sono e sono state manifestate, ma che non rivelano estraneità; e non dà ragione dei molti passi di avvicinamento che si riscontrano nella pluralità delle facce e delle teste dell’universo femminile. Qui, nel nostro contesto sociale.Da una rappresentazione in certo senso “miserabilista” occorre passare a una rappresentazione valorizzatrice della consapevolezza autocritica e critica di soggettività “aperte” e molto spesso sperimentali. Anche l’estraneità finisce per essere allora uno stereotipo che se ha alla base analisi sullo storico difficile rapporto delle donne con la scienza e la tecnica (modelli culturali,

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socializzazione familiare, canalizzazione scolastica, ecc.), sembra alimentare piuttosto una rappresentazione svalutativa da parte di (molti) uomini e autosvalutativa da parte di (non poche) donne.Il rapporto delle donne con le ICT/NT, sintetizzandolo in un’espressione, pare piuttosto di “vicinanza ambivalente”: è significante delle luci e delle ombre, delle adesioni e delle prese di distanza non di rado intrecciate nello stesso soggetto. Frutto di quell’essere contemporaneamente “dentro” e “fuori” come cifra distintiva di una soggettività femminile che non si identifica totalmente, in genere, in un’unica dimensione di vita o con un pensiero unico. In questo caso con il pensiero unico, acritico, più maschile, riferito al mondo delle ICT e della Rete.

Si è chiesto allora se un approccio più easy alle ICT, un utilizzo più semplice dei programmi potrebbe aiutare a ridurre difficoltà, ansie da computer, resistenze. Sì, ma non è poi così fondamentale pensa la maggior parte; servirebbe invece che mutassero le costellazioni di idee e i comportamenti di sfiducia e diffidenza dell’ambiente e delle persone (osservazioni, frasi dirette e indirette, scherzi e ironie di uomini diversamente prossimi…) che spesso, e ancora, agiscono da freno. Benché poi siano anche le donne in qualche misura “complici”: non tanto perché il primo mediatore con gli strumenti informatici è quasi sempre un uomo - fratello, fidanzato, marito…- più esperto, ma perché in molti casi si continua a fare affidamento su di lui anche “dopo”, un po’per pigrizia, un po’ per convenienza, un po’ perché certi aspetti del funzionamento non interessano. Come e quanto, in genere, interessano ai maschi.E allora ambienti accoglienti e figure attente – mediatrici - ad accompagnare l’apprendimento senza colpevolizzazioni sono uno strumento di grande utilità per produrre dimestichezza e crescita delle conoscenze.

Ritornando al Noi-Loro, questa coppia indica anche un’altra polarità oltre a quella generazionale: quella fra universo maschile e universo femminile che intesse dei suoi codici culturali le modalità conoscitive, le pratiche d’uso e l’immaginario nella costruzione sociale dei generi. Non è facile per la maggior parte delle intervistate cogliere nella loro esperienza delle NT digitali una dimensione di genere più profonda, legata a processi e paradigmi di conoscenza. Se la soggettività femminile si esprime nella struttura logica dei linguaggi informatici, nei dispositivi di costruzione dei software – e in che modi si confronta e/o si differenzia da quella maschile – , sono domande che hanno ricevuto qualche spezzone di risposta, ma sono domande del tutto aperte; studi in corso d’opera, del resto. Mentre qualcuna ha sottolineato che la logica dello zero/uno non è né maschile nè femminile, osservazioni suggestive sono venute da due testimoni (privilegiate): una che ha parlato di un “pensiero laterale” capace di creare agganci, punti di contatto e nessi (ER TP); attitudine che richiama il “bricolage”, lo stile morbido di cui S. Turkle ha dato descrizioni suggestive e convincenti45. Si muove in un orizzonte di pensiero analogo l’opinione della scienziata che dalla sua quotidiana pratica di direzione di gruppi di ricerca di laureande/i e laureate/i ha ricavato che la differenza di genere non è immediatamente percepibile e trasparente; va posta a un metalivello di microscelte che orientano la direzione del pensiero: “…non è tanto il modo con cui si risponde a un certa domanda o come si risolve un problema tecnico informatico…è piuttosto un metalivello, uno strato di microscelte, di quali microdomande si vuole affrontare, di quale valore dare allo sviluppo informatico…metterei lì il luogo in cui la differenza di genere è più significativa.” (EM TP). E questo

45 Cfr. S. Turkle, La vita sullo schermo, Milano, Apogeo, 1995, pagg.57-63.

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ha molto a che fare con le domande che hanno guidato la preparazione dei prodotti di questo progetto Equal: la ricercatrice di Rete, il software antispamming.

Ad un altro livello del confronto fra maschile e femminile, più facilmente rilevabile nelle parole delle intervistate, il materiale discorsivo ci dice che nella costruzione sociale del genere femminile si accavallano immagini tradizionali e più innovative o aperte, più o meno contrapposte al maschile anche rispetto alle ICT/NT .L’immaginario che sottosta alle pratiche d’uso, infatti, è significativo da questo punto di vista, se una delle tecniche di controllo di ansie e paure è quella di ricondurre il computer alla familiare tecnologia domestica. È un dato generazionale che rimanda a una identità femminile connotata dalla cura delle cose di casa che si distanzia nettamente da quella maschile, mentre non è più disponibile - in modo così palese, almeno – nell’universo mentale e affettivi delle giovani donne che paiono affidarsi ad immagini e rappresentazioni di sé e del mondo tecnologico meno riferite alla consueta strumentazione domestica (del resto la presenza del computer non è più una novità da metabolizzare) ma connotate da codici di parità. Nelle donne giovani prevale una rappresentazione di libertà, di potere: di poter essere, di poter fare, di poter “dominare” il mezzo e sé stesse. Quindi si colgono minori polarizzazioni, probabilmente maggiore fluidità e scambio fra modelli culturali nella affermazione convinta e generalizzata che “non ci sono differenze fra uomini e donne” intendendo capacità di apprendimento all’uso delle tecnologie, talvolta anche aspetti emotivi quali il piacere, la passione. Il bipolarismo in questo senso se tende a dare visibilità “alla dimensione storicamente e discorsivamente costruita, intrecciata alle forme del dominio tanto quanto alle espressioni di resistenza a questo dominio, e anche alla dimensione rappresentata e costantemente ri-rappresentata sulla scena sociale” come argomenta la sociologa Carmen Leccardi46, finisce per irrigidire in una dimensione statica ciò che invece risulta più mobile, negoziabile. Nelle soggettività femminili e soprattutto nelle generazioni più giovani il rapporto con le tecnologie sembra dunque alludere ad aspetti di trasformazione che si mescolano con quelli storicamente appresi.

Se i codici culturali di fondo sono quelli della parità (anche per le donne ultrasessantenni), non per questo la differenza femminile è oscurata, muta; essa emerge nell’ interesse prevalente per i contenuti della comunicazione, per le applicazioni concrete che rimandano all’orientamento alle relazioni e agli strumenti che migliorano la qualità del vivere (dai servizi informativi e burocratici ai servizi di assistenza agli anziani). Contano utilità e concretezza; assai meno il gusto del gioco che invece le intervistate attribuiscono a una dimensione maschile (o generalmente dei maschi) che trae gusto dal costruire, assemblare, “vedere dal di dentro”gli oggetti meccanici come accade già dalla prima infanzia. Divertimento e gioco che tuttavia non sono del tutto assenti soprattutto nelle donne giovani. Anche questo un segno di cambiamenti, di scambi in atto? Donne giovani che esprimono, in particolare loro, la preoccupazione che le donne rimangano vincolate alla paura “tutta umanistica” per i saperi legati alle tecnologie, rinunciando in tal modo ad avere un (maggiore) controllo sull’oggetto, sulle sue modalità di funzionamento. Da qui la necessità sostenuta anche da intervistate meno giovani di non farsi complici degli stereotipi sulla incapacità delle donne ad accostare i linguaggi della tecnica. Una questione “antica” che ha a che fare con una concezione del potere/controllo sul mondo che passa per la maggior parte per altri sistemi di

46 cfr. C. Leccardi, Tra i generi. Rileggendo le differenze di genere, di generazione, di orientamento sessuale, Milano, Guerini e Associati, 2005.

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costruzione della soggettività; per altri ambiti di identificazione e impegno nelle relazioni fra i sessi come si è storicamente determinata, fra mondo interno e mondo esterno, fra riproduzione e produzione. La scommessa, come appare anche dal materiale di questa ricerca, appare allora quella di interpolare questi due universi offrendo (legittimando) diversi modelli di pensiero e figure femminili alle identità in formazione.

Se dall’orientamento alla cura è fondamentalmente segnato il rapporto delle donne con le tecnologie informatiche, ne vengono esaltate soprattutto le capacità relazionali e strumentali di inclusione nella vita quotidiana; capacità multiformi che derivano dall’essere, le loro identità, come ha argomentato un’intervistata, “un assemblaggio complesso di sistemi emotivi, intellettuali e fisici”. Quello che vale la pena di sottolineare non è tanto la novità di queste affermazioni, quanto il fatto che vi sia una diffusa e trasversale (alle età e alle professioni vecchie e nuove nel nostro contesto di vita) consapevolezza di questo intreccio, un’ottica comune incardinata nelle esperienze e nei vissuti lavorativi che si manifesta quando le si fa parlare “dal vivo”.

La Rete risponde allora nelle pratiche di lavoro, nelle pratiche conoscitive ma anche nell’immaginario a un orientamento interiorizzato all’inclusione, alla connettività e alla relazione, ponendosi così sullo stesso versante di analisi recentissime su come le competenze di cura interagiscono creativamente con i vecchi lavori trasformati e i nuovi lavori immateriali 47. Diviene così del tutto coerente la riflessione per la quale la capacità di “far rete” delle donne è sovrapponibile e interrelata alle energie e sinergie messe in campo dalle reti telematiche: reti fisiche e rete virtuale, scambio di soggetti e percorsi, creazione e manutenzione delle relazioni, estensione e riadattamento dei concreti obiettivi da condividere.48 Con un’avvertenza. La “vicinanza ambivalente” delle più critiche intravede anche un pericolo nel sottolineare gli aspetti di relazione e responsabilità che le donne portano anche nel lavoro telematico: si teme di fare il gioco di chi sfrutta queste capacità senza valorizzarle, finendo anche in questo modo per ingabbiare la soggettività femminile in un modello unico, a sua volta rigido, e lasciando inalterate forme di discriminazione se non di marginalità nel mercato del lavoro. Che per il momento la “trasformazione silenziosa”49 di donne e ICT non ha modificato.E tuttavia la stessa “vicinanza ambivalente” e la propensione al lavoro di rete pare alludere contemporaneamente a una concezione del potere/controllo più partecipata di quella abitualmente praticata (maschile), per cui è lecito domandarsi quali siano le azioni capaci di rovesciare o di condizionare le logiche di riconoscimento nel sociale, nel pubblico, nel politico. Questo è precisamente il nodo politico - teorico e di policy - da affrontare in relazione a una struttura sociale, culturale ed economica che trasforma le differenze dei soggetti in disparità se non in discriminazioni. La risposta dell’ Equal Technè -Donne a questa questione al centro delle politiche di differenza e pari opportunità, è che occorra prioritariamente agire per l’empowerment

47 Cfr., a questo proposito, A. Nannicini (a cura di ), le parole pr farlo. Donne al lavoro nel postfordismo, Roma, Derive e Approdi, 2002. 48 Queste osservazioni erano già scritte quando è uscita l’intervista a Leda Guidi “Donne che fanno rete (con le nuove tecnologie)” fatta da S. Capecchi nel n. 153 di “Inchiesta” dedicato a “Donne e comunicazione”, che sviluppa ampiamente questa questione.49 E’il titolo del rapporto di ricerca bibliografica e webgrafica su fonti italiane del CNEL, La trasformazione silenziosa. Donne, ICT, innovazione, Roma, 2003.

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delle capacità50 e delle potenzialità delle donne, in modo che possano abitare gli spazi virtuali delle tecnologie informatiche e telematiche con piena autonomia.

Le voci delle donne che hanno parlato in questa ricerca lo confermano.

50 Questo approccio incontra il pensiero di M. Nussbaum sullo sviluppo delle capacità in quanto contribuiscono a delineare i gradi di libertà dei soggetti e quindi il funzionamento di un soggetto, cioè l’esercizio effettivo delle sue scelte; M. C Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, Bologna, Il Mulino, 2001.

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