13
Rota Imagna, 2-4 settembre 2016 - Campo adulti Il DENARO e I CRISTIANI Un po’ strano questo titolo, perché nei Vangeli solo una volta si mette letteralmente Gesù in relazione con il denaro ed è quando gli esattori delle tasse chiedono a Pietro se Gesù paga la tassa al tempio. Si vede che Gesù non ce l’aveva, perché dice a Pietro di andare a gettare l’amo nel mare e di aprire la bocca al primo pesce che prenderà: lì vi troverà uno “statere”, cioè una moneta d’argento, che servirà a pagare la tassa per lui e per Pietro. È chiaro che Gesù non aveva denaro in tasca (vedi Mt 17,24-27). L’episodio comunque dice assai poco sulla relazione Gesù-denaro; dice solo che Gesù non voleva apparire come uno che non ubbidiva alle leggi del suo popolo. A prima vista sembra proprio che manchino i dati per il nostro argomento. Essi però si fanno abbondanti se partiamo da due fatti: 1° che Gesù vive quanto insegna1; 2° che il denaro è un “bene materiale” e quindi che c’entra se parliamo di Gesù in relazione ai beni materiali o alle ricchezze. Ebbene, fondandoci su questi due dati, chiediamoci: Come si rivela Gesù in relazione alla ricchezza? Innanzitutto dobbiamo dire che Gesù non era un asceta: non si cibava di locuste e miele selvatico, come Giovanni Battista; e neppure portava come lui un vestito fatto con “peli di cammello” (Mt 3,4): sul Calvario vediamo che gli tolgono una “tunica inconsutile”. Ciò significa che si vestiva abbastanza bene e non come un poveraccio. Negli articoli precedenti, poi, abbiamo annotato varie volte che i “poveri” contavano nella sua missione e che egli li voleva liberare dalla loro situazione, perché la povertà anche per lui era un “male”. Se poi a un ricco che cerca il bene dice di “vendere tutto e di darlo ai poveri” (Lc 18,22), questo imperativo non vale per tutti: a Zaccheo infatti non dice di fare altrettanto, anche se Zaccheo per sentirsi in sintonia con Gesù, capisce che deve prendere le distanze dalle ricchezze e che deve darne almeno la metà ai poveri (Lc 19,1-10). La ricchezza perciò anche per Gesù è un “bene”, e lo è per un semplice motivo: serve a fare il bene, ad aiutare altri. E se Gesù insegna a vivere distaccati dalle ricchezze, non significa che egli rifiuti la ricchezza. Stando ai vangeli gli insegnamenti di Gesù riguardano solo l’uso delle ricchezze: egli esige di non farne un bene assoluto, di non considerare la ricchezza un “idolo”.Ciò appare chiaramente da quanto si racconta in Lc 12,13-15: “Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità»” (v. 13). Qui siamo di fronte a un caso di lite familiare, di divisione dei beni; Gesù gli dice che non è affare suo (v. 14), però non lascia i due fratelli senza risposta, perché aggiunge: “State attenti e guardatevi da ogni cupidigia; non perché qualcuno è nell’abbondanza, la sua vita dipende dai suoi beni” (v. 15). È chiaro che per Gesù i beni materiali non hanno un valore assoluto: la vita non dipende da essi. C’è quindi un valore assai più alto della vita e questo valore è l’essere ed è la libertà.“La vita non dipende dai propri beni”. Gesù vive a fondo questo principio. Egli ha scelto di essere “servo” e di “evangelizzare”. Questo suo compito esige da lui un distacco totale dai beni materiali. Nelle tentazioni ha risposto al

azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

  • Upload
    hanga

  • View
    219

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

Rota Imagna, 2-4 settembre 2016 - Campo adulti

Il DENARO e I CRISTIANI

Un po’ strano questo titolo, perché nei Vangeli solo una volta si mette letteralmente Gesù in relazione con il denaro ed è quando gli esattori delle tasse chiedono a Pietro se Gesù paga la tassa al tempio. Si vede che Gesù non ce l’aveva, perché dice a Pietro di andare a gettare l’amo nel mare e di aprire la bocca al primo pesce che prenderà: lì vi troverà uno “statere”, cioè una moneta d’argento, che servirà a pagare la tassa per lui e per Pietro. È chiaro che Gesù non aveva denaro in tasca (vedi Mt 17,24-27). L’episodio comunque dice assai poco sulla relazione Gesù-denaro; dice solo che Gesù non voleva apparire come uno che non ubbidiva alle leggi del suo popolo.A prima vista sembra proprio che manchino i dati per il nostro argomento. Essi però si fanno abbondanti se partiamo da due fatti: 1° che Gesù vive quanto insegna1; 2° che il denaro è un “bene materiale” e quindi che c’entra se parliamo di Gesù in relazione ai beni materiali o alle ricchezze. Ebbene, fondandoci su questi due dati, chiediamoci:

Come si rivela Gesù in relazione alla ricchezza?Innanzitutto dobbiamo dire che Gesù non era un asceta: non si cibava di locuste e miele selvatico, come Giovanni Battista; e neppure portava come lui un vestito fatto con “peli di cammello” (Mt 3,4): sul Calvario vediamo che gli tolgono una “tunica inconsutile”. Ciò significa che si vestiva abbastanza bene e non come un poveraccio. Negli articoli precedenti, poi, abbiamo annotato varie volte che i “poveri” contavano nella sua missione e che egli li voleva liberare dalla loro situazione, perché la povertà anche per lui era un “male”. Se poi a un ricco che cerca il bene dice di “vendere tutto e di darlo ai poveri” (Lc 18,22), questo imperativo non vale per tutti: a Zaccheo infatti non dice di fare altrettanto, anche se Zaccheo per sentirsi in sintonia con Gesù, capisce che deve prendere le distanze dalle ricchezze e che deve darne almeno la metà ai poveri (Lc 19,1-10). La ricchezza perciò anche per Gesù è un “bene”, e lo è per un semplice motivo: serve a fare il bene, ad aiutare altri. E se Gesù insegna a vivere distaccati dalle ricchezze, non significa che egli rifiuti la ricchezza. Stando ai vangeli gli insegnamenti di Gesù riguardano solo l’uso delle ricchezze: egli esige di non farne un bene assoluto, di non considerare la ricchezza un “idolo”.Ciò appare chiaramente da quanto si racconta in Lc 12,13-15: “Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità»” (v. 13). Qui siamo di fronte a un caso di lite familiare, di divisione dei beni; Gesù gli dice che non è affare suo (v. 14), però non lascia i due fratelli senza risposta, perché aggiunge: “State attenti e guardatevi da ogni cupidigia; non perché qualcuno è nell’abbondanza, la sua vita dipende dai suoi beni” (v. 15). È chiaro che per Gesù i beni materiali non hanno un valore assoluto: la vita non dipende da essi. C’è quindi un valore assai più alto della vita e questo valore è l’essere ed è la libertà.“La vita non dipende dai propri beni”. Gesù vive a fondo questo principio. Egli ha scelto di essere “servo” e di “evangelizzare”. Questo suo compito esige da lui un distacco totale dai beni materiali. Nelle tentazioni ha risposto al diavolo: “Non di solo pane vive l’uomo”. Non nega la necessità del pane (guai se manca!) ma insegna che c’è un valore assai più grande del pane: “vivere di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Quando poi il demonio gli fa vedere tutti i regni di questo mondo con la loro potenza e magnificenza e gli dice “sono stati dati a me” (cioè sono io che li possiedo e posso darli a chi voglio), comprendiamo che in questa cultura satanica (ed è quella ancora oggi corrente) il valore dell’essere è messo in rapporto a quanto si possiede: è l’avere, è il potere sulla natura e sull’uomo che ci permette di realizzarci.Ebbene, Gesù è l’antitesi di Satana: alla bramosia dei beni materiali e del potere sulla natura e sull’uomo, Gesù sceglie come valore supremo “l’essere”. Gesù compie questa scelta nel deserto, dove non ci sono comodità né ricchezze, ma solo le cose strettamente necessarie alla sopravvivenza.Di qui la sua scelta a una vita povera, itinerante e senza sicurezze, tanto da definirsi come “uno che non ha dove posare il capo” (Lc 9,58).Egli vive per primo e in pienezza quanto insegnerà: “... che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?” (Lc 9,25). Il suo distacco dalle ricchezze è totale, radicale. Egli “cerca innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia” e “liberamente” sceglie una vita che gli permette di appartenere totalmente alla sua missione e di testimoniare tutta la sua fiducia nel Padre. Egli guarda gli uccelli del cielo e i gigli del campo: sa di valere più di loro, per questo “cerca prima il regno e la sua giustizia”, sicuro che il Padre non gli lascerà mancare il necessario; si affiderà in continuità al Padre; egli non porta con sé né borsa né bisaccia e si accontenta di quello che gli danno (vedi Lc 10,3.8). Accanto a lui, uniti alla sua missione, ci sono sempre persone (discepoli e discepole) che lo seguono e che lo assistono con i loro beni (8,3). E quando spezza il pane rende grazie, riconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino.

Page 2: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

Gesù sa, che solo nel vivere distaccato da ogni bene materiale, può godere di quella libertà che gli permette di vivere in pienezza la sua missione: “annunciare il regno di Dio” (Lc 4,43); essere con gli altri e per gli altri, cioè “servo”.Gesù-discepoliNell’immagine di Gesù che abbiamo appena delineato, acquista grande valore il suo insegnamento sull’uso delle ricchezze, un tema che soprattutto in Lc 12,16-34 viene notevolmente sviluppato. Gesù scende nella concretezza della nostra vita quotidiana e ci presenta, con una parabola (vv. 16-21) quanto c’è di negativo nel mettere la propria fiducia nelle ricchezze e poi che cosa si deve fare per farne un uso corretto in modo che la nostra vita non perda senso e si realizzi in tutta la sua pienezza (vv. 22-34).L’ultima frase della parabola: “Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita e quello che hai preparato di chi sarà?». Così è la fine di chi accumula tesori per sé e non davanti a Dio”, fa capire come quell’uomo ha rovinato se stesso e si è perso, invece di realizzarsi. E il “come” lo comprendiamo ancor meglio se osserviamo attentamente la piccola parabola. È impressionante sentire come nel racconto predomina unicamente l’“IO”: “che farò io?..., io non ho..., i miei raccolti..., io farò...; io demolirò..., io raccoglierò..., il mio grano, i miei beni..., io dirò: anima mia”. Com’è triste l’immagine di quest’uomo: è tutto ripiegato su se stesso, parla solo di sé, pensa solo a sé, non si preoccupa più di accumulare altri beni, ce n’ha fin troppi, pensa solo a conservarli per sé e a darsi alla dolce vita. L’ultima espressione riassume assai bene i tre verbi: “mangia, bevi, datti alla gioia”. Nella Bibbia il trinomio ha una connotazione di piacere e di gioia, una ricerca di lusso che sfiora l’eccesso, cioè la dissolutezza; evoca gioie lussuose, come quelle con cui si sazia ogni giorno il ricco epulone (Lc 16,19): è un approfittare sino in fondo e tranquillamente dei piaceri che può offrire una vita di abbondanza.“Io..., io... io” e solo “io”. Ma l’io non si esprime forse nel rapporto con l’altro, con gli altri? Non ci realizziamo forse come persone nella misura in cui assumiamo le nostre responsabilità di fronte alla vita e agli altri? Gesù non ha mai pensato a sé; egli ha realizzato la sua vita umana in relazione agli altri, donandosi a tutti, amici e nemici, fino all’effusione del sangue e per questo ha salvato la propria vita e, come uomo, si è perfettamente realizzato. Ed è così che egli vuole i suoi discepoli. Parlando loro del retto uso delle ricchezze dice: “Non affannatevi per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo di come vi vestirete. 

La vita vale più del cibo, il corpo più del vestito. Guardate gli uccelli del cielo..., i gigli del campo. Voi valete assai più di loro”. Volete mettere al sicuro la vostra vita? “Cercate prima il regno di Dio” (Lc 11,-22-31). Mt 6,33 aggiunge: “... e la sua giustizia”.“Non affannatevi”: ci urtano queste parole. Come fa la maggioranza della gente

Page 3: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

del mondo, priva del necessario a non affannarsi? Gesù sa che un affamato non può non essere nell’affanno, nell’angoscia e non guardare con spavento il domani. A Gesù non piace un mondo così, lo vuole cambiare; egli ci insegna a cambiare il mondo, ad andare contro corrente, a non ripiegarci su noi stessi, sul nostro egoismo, e ci insegna come fare; ci dice di non fare come il ricco stolto della parabola: a nulla gli è valso mettere la sua fiducia nelle ricchezze. E poi ci insegna ad “arricchirci davanti a Dio” (Lc 12, 21), e questo lo si ottiene se cerchiamo innanzitutto il regno di Dio. Gesù ha messo al primo posto l’annuncio del Regno di Dio (Lc 4,43) e vuole che i suoi discepoli facciano lo stesso (Lc 9,60).Ma che cos’è il “regno di Dio”? Non è Dio in se stesso, ma Dio in relazione con l’uomo; la “sua giustizia” indica il comportamento di Dio verso ogni uomo. Chi entra in sintonia con Dio e, come Dio, si relaziona con gli altri, crea lo spazio per il buon vivere dell’uomo e per il retto uso dei beni; salva lo spazio della vita di ogni uomo, della vita mondana in tutte le sue relazioni e le sue potenzialità, compreso il godimento delle stesse cose. Il testo dice: “cercate il regno”. Traduciamo meglio l’imperativo presente: “Continuate a cercare...”. È un impegno che si esprime in un continuo desiderio, slancio, passione, tensione, iniziativa, progettazione, e che deve durare tutta la vita. Il regno lo si costruisce a poco a poco. E nel regno non c’è solo l’io, ma c’è soprattutto il noi e la comunità. Il regno è comunione tra Dio e noi. Di qui l’impegno nell’uso dei beni che si fa condivisione e sicurezza di vita, un insegnamento che Gesù esprime con un linguaggio immaginoso: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignuola non consuma” (12,33). Ecco come si diventa ricchi davanti a Dio, ecco come si accumulano tesori in cielo. Vivendo l’uso dei beni tenendo conto degli altri nella propria vita.“Tenere conto degli altri”: chi legge il vangelo di Luca è in continuità messo di fronte agli altri. Se gli altri non contano nella mia vita, non sono un vero discepolo.“Date in elemosina”: come si è svilita nel suo uso questa frase; e peggio ancora nell’arte, che a volte rappresenta un ricco che lascia cadere alcune monetine nella mano di un povero. È umiliante una simile immagine e contraria alla Parola di Dio. Nella lingua di Gesù non si diceva “date in elemosina”, ma si usava l’espressione (traduco letteralmente): “fate giustizia”. Il senso è assai profondo, e me lo ha spiegato un ragazzo ebreo. Mi disse: “Se io do qualcosa a uno che ha meno di me, c’è più giustizia nel mondo”. E Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica dice: “È l’ora di una nuova «fantasia nella carità», che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi, prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito «non come obolo umiliante», ma «come fraterna condivisione»”.L’interesse di Gesù per i poveri non è mai un gesto isolato e clamoroso che per lo più è accettato da tutti perché non intacca il sistema né il comune modo di pensare. La scelta di Gesù non è una scelta sociologica o politica: è una scelta teologica, una scelta di uguaglianza. Dio non ha creato uomini superiori o inferiori, con più o meno diritti. Gesù vede nella sua scelta non una discriminazione ma una via di comunione. Dice il Papa: “Dobbiamo fare in modo che i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, «a casa loro». Questo stile è la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno”.2

Pregando il testoSignore Gesù, è da duemila anni che ci hai insegnato il distacco dalle ricchezze per essere veri testimoni tuoi e veri evangelizzatori. Come siamo lontani, o Gesù, dal tuo Vangelo! Certo c’è sempre stato qualcuno che lo ha vissuto radicalmente, ma la comunità cristiana in se stessa non l’ha fatto, se non con gesti isolati. In questo mondo in cui tra ricchi e poveri c’è un immenso baratro, dona ai tuoi discepoli di avere il coraggio di andare contro corrente, e di costruire un’economia fondata sulla solidarietà e non sul profitto. Fa’ che i tuoi discepoli nelle singole comunità cristiane siano un cuore solo e un’anima sola e ognuno usi le ricchezze tenendo conto degli altri, dei poveri, in modo che questi si sentano di casa nella tua Chiesa, allo stesso livello degli altri e mai emarginati. Donaci il coraggio di sentirci tutti fratelli e sorelle. Amen!                                                                        Mario Galizzi

PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE

Page 4: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

COMPENDIODELLA DOTTRINA SOCIALE

DELLA CHIESAA GIOVANNI PAOLO II

MAESTRO DI DOTTRINA SOCIALETESTIMONE EVANGELICO

DI GIUSTIZIA E DI PACE 

d) Risparmio e consumo

358 I consumatori, che in molti casi dispongono di ampi margini di potere d'acquisto, ben al di là della soglia di sussistenza, possono notevolmente influenzare la realtà economica con le loro libere scelte tra consumo e risparmio. La possibilità di influire sulle scelte del sistema economico, infatti, è nelle mani di chi deve decidere sulla destinazione delle proprie risorse finanziarie. Oggi più che in passato è possibile valutare le alternative disponibili non solo sulla base del previsto rendimento o del loro grado di rischio, ma anche esprimendo un giudizio di valore sui progetti di investimento che le risorse andranno a finanziare, nella consapevolezza che « la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale ».744

359 L'utilizzo del proprio potere d'acquisto va esercitato nel contesto delle esigenze morali della giustizia e della solidarietà e di precise responsabilità sociali: non bisogna dimenticare « il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio “superfluo” e, talvolta, anche col proprio “necessario” per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero ».745 Tale responsabilità conferisce ai consumatori la possibilità di indirizzare, grazie alla maggiore circolazione delle informazioni, il comportamento dei produttori, mediante la decisione — individuale o collettiva — di preferire i prodotti di alcune imprese anziché di altre, tenendo conto non solo dei prezzi e della qualità dei prodotti, ma anche dell'esistenza di corrette condizioni di lavoro nelle imprese, nonché del grado di tutela assicurato per l'ambiente naturale che lo circonda.

360 Il fenomeno del consumismo mantiene un persistente orientamento verso l'« avere » anziché verso l'« essere ». Esso impedisce di « distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità ».746 Per contrastare questo fenomeno è necessario adoperarsi per costruire « stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti ».747 È innegabile che le influenze del contesto sociale sugli stili di vita sono notevoli: per questo la sfida culturale, che oggi il consumismo pone, deve essere affrontata con maggiore incisività, soprattutto se si considerano le generazioni future, le quali rischiano di dover vivere in un ambiente naturale saccheggiato a causa di un consumo eccessivo e disordinato.748

CRISTIANI FRA DIO E MAMMONAIl biblista don Matteo Mioni interviene su “Vangelo e denaro”

  

Page 5: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

don Matteo Mioni  

Seconda puntata del forum aperto dal nostro settimanale sui temi sollevati dal Vescovo monsignor Caprioli nell'omelia di San Prospero 2008 ("Vangelo e denaro") e già dibattuti nell'incontro pubblico su "Crisi finanziaria, libero mercato ed etica" svoltosi al Centro Giovanni XXIII di Reggio il 13 dicembre scorso.In questo numero riportiamo l’intervento integrale che don Matteo Mioni, docente di Sacra Scrittura all'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Reggio Emilia, tenne proprio in quel "Forum di Santa Lucia" alla presenza del Vescovo diocesano.Il testo, trascritto dalla registrazione, è stato rivisto dall’autore.

Tempo della crisi, ma non crisi del tempo. Quale spazio per il Vangelo?

Rispetto alle analisi degli esperti di economia e finanza, cerchiamo ora di cambiare registro e di far nascere un po’ di ottimismo, anzi di “speranza”, come meglio si dice in termini cristiani. Ho scelto, come titolo di questa mia conversazione: Tempo della crisi ma non crisi del tempo. Quale spazio per il Vangelo?Cerco di precisare questa espressione alla luce della concezione greca del tempo, che troviamo anche nella Scrittura. Nella Bibbia il tempo è identificato come chrònos, come scorrimento di giorni, mesi e anni. In questo senso noi effettivamente stiamo vivendo il tempo della crisi. E tuttavia, non stiamo vivendo la crisi del tempo, se intendiamo il tempo anche come kairós. Il termine kairós esprime infatti la qualità di grazia del tempo: in questo senso, questo tempo della crisi non è tempo di crisi del kairós, dal momento che non c’è situazione umana che sia vincente sul Vangelo e sull’affermarsi del regno di Dio. Allora quello che Gesù ha detto e ha fatto rimane sale, luce, risurrezione. In questo senso, a questa situazione di crisi, che certamente ci sta gettando nella fatica, nella paura, nel disorientamento, possiamo guardare con speranza cristiana.Al di là di tutto, questo tempo della crisi può dunque essere sempre kairós, opportunità, crescita: non c’è una situazione capace di toglierci questa possibilità di vedere il crescere dell’umanità anche attraverso queste vicende (e non nonostante esse).Provo a fondare questo discorso su tre brevi passaggi.

1. Le scelte di Gesùriguardo al denaro1.1. La prima scelta riguarda il rapporto con la tradizione passata. Nel rileggere il messaggio dell’Antico Testamento, sul piano dei contenuti Gesù sposa il filone sapienziale. In questo senso, egli guarda al denaro, alla ricchezza, ai beni personali… come a qualcosa che è giudicato come ingannevole, iniquo. E questo, non come insegnava la tradizione profetica, cioè perché ingiustamente acquisito, ma perché capace di disorientare sul senso della vita. Il grosso pericolo delle ricchezze per la tradizione sapienziale è appunto questo: esse ingombrano il cuore e accecano sul vero senso della vita.

Page 6: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

Gesù sposa questa tradizione sapienziale, annunciandola col tono e col vigore del profeta.1.2. Un’altra scelta di Gesù riguarda il suo stile di vita. Egli non ha sperimentato un radicalismo nudo e crudo: ha infatti vissuto dei beni di altri, ha goduto dell’accoglienza di tante persone… In realtà, la sua radicalità non è legata alla quantità di cose cui ha rinunciato, ma alla qualità della sua appartenenza al Padre, alla missione da Lui affidatagli. Per questo tutto quello che Gesù sceglie o rifiuta sta in quanto è all’interno alla missione del Padre. La scelta di Gesù riguardo il suo stile di vita non è legata nient’altro che a questo: la sua relazione col Padre.1.3. Ancora riguardo al presente, Gesù dà un’indicazione che per noi rappresenta un criterio di discernimento: Egli afferma che il vero nemico dell’uomo, in quanto nemico di Dio, non è innanzitutto né la sessualità né il potere, ma il denaro. Nel Discorso della Montagna, che è il suo discorso programmatico, Gesù afferma (Mt 6,24) che non si può servire a Dio e al denaro. E nel Vangelo di Luca – nel contesto del viaggio verso Gerusalemme, che rappresenta l’istruzione fondamentale per un autentico discepolato – ripete lo stesso insegnamento (Lc 16,13). Così Gesù ci aiuta a riconoscere quella realtà che – per come nel Vangelo se ne parla, per il suo nome “Mammona”, che identifica la personificazione di una sorta di “anti-Dio” – può schiavizzare e disumanizzare la nostra vita (cf. inoltre 1Tm 6,6-10).La conferma pratica di questa scelta di Gesù sta in tantissimi dati storici, anche drammaticamente attuali. Basti pensare alla situazione di fame in cui versano milioni di uomini del nostro tempo: ogni giorno l’accecamento nell’uso del denaro porta, nel mondo, a una decina di “11 settembre”: 30mila, cioè dieci volte le vittime dell’11 settembre, sono infatti le persone che ogni giorno muoiono di fame, otto al secondo. Questa è la conferma che il denaro ha un gravissimo potere di disumanizzare i comportamenti umani; il denaro è davvero il primo e vero nemico di Dio.1.4. Un’altra scelta di Gesù riguarda il futuro. Gesù aiuta a cogliere qual è il vero modo di accumulare: la vera scelta non è, in sé, il “non accumulare”, ma “che cosa” accumulare. Se condividete i beni della terra, insegna Gesù, voi accumulate tesori in cielo. Allora Gesù evangelizza non solo la nostra esperienza, ma il concetto stesso dell’accumulo e afferma che il nostro bene futuro sta nel fatto di accumulare tesori in cielo. E proprio in questo Egli ci aiuta a trovare l’orientamento: la grossa fatica che stiamo vivendo con questa crisi non consiste soltanto nel disorientamento sul come camminare in questo momento presente, ma soprattutto nel capire verso quale futuro sta andando la nostra vita, verso quale futuro avanzano l’umanità e la storia.Queste quattro scelte di Gesù sono chiarissime: esse sono appunto i primi elementi grazie ai quali possiamo guardare in modo diverso il denaro senza ingenuità e senza demonizzazioni aprioristiche e infondate. In questo senso il cristianesimo è sempre stato una importante riserva escatologica: il che non vuol dire rifugio per tutte le nostre delusioni, ma una riserva di lucidità su come leggere l’oggi della storia, secondo la logica del Regno di Dio, quindi da un punto di osservazione più lungimirante e profondo nello stesso tempo.

2. Quello che Gesùdice del denaro Gesù definisce il denaro “Mammona di iniquità” (Lc 16,9). È, questa, una definizione molto interessante, in quanto ci dice in che senso la ricchezza è iniqua. Vediamo i due termini.Mammona vuol dire ricchezza. Il termine è un aramaismo: esso viene da una radice aramaica che fa riferimento al verbo “amàn”, che in aramaico e in ebraico è il verbo del “credere”, il verbo della “solidità”, della “stabilità”. Allora Mammona è colui che ti dà stabilità, colui che ti permette di vivere, colui in cui devi credere, colui nel quale devi fare una professione di fede, proprio come in Dio. Luca non utilizza spesso termini semitici, ma in questo caso usa questo termine – Mammona – proprio perché esprime questa ambivalenza, in quanto esso non solo dice la “ricchezza”, ma dice anche il pericolo idolatrico: c’è una forma di fede, di fideismo, di affidamento, che viene generato dal rapporto con il denaro; c’è una particolare ritualità, ci sono dei tributi da pagare al denaro. E tutti, in questo senso, possiamo fare riferimento a nostre esperienze personali. Insomma, Mammona richiede la totalità, non chiede qualcosa ma chiede tutto, esige tutto, proprio come Dio.Inoltre, Mammona è una realtà “iniqua”, dice Gesù. È iniqua perché inquina l’uomo, inquina la visione della vita dell’uomo, inquina la stessa visione dell’uomo su di sé. “Non si può servire Dio e il denaro” (Lc 16,13). Qui Gesù usa il verbo doulèuo, che vuol dire “sono schiavo”, sono in schiavitù. Di Dio si può e si deve essere schiavi, del denaro non si può e non si deve. Perché al denaro non basta dare qualche prestazione, non basta dare un tributo di obbedienza, ma il denaro richiede la totalità, proprio come Dio. Per questo esso è iniquo: perché ci chiede tutto, e soprattutto perché ci acceca sul vero senso dell’esistenza, non potendoci dare il vero tutto.Quando qualcuno volge lo sguardo sui soldi, sgrana gli occhi, le sue pupille si dilatano (come Paperon de’ Paperoni dei fumetti di Walt Disney, che vedeva attraverso il filtro del dollaro…). È un po’ come un tossico-dipendente, a cui, quando assume una droga, si dilatano le pupille. Il denaro produce un’analoga dilatazione delle pupille. Ma, paradossalmente, nella stessa persona si produce, subito dopo, un rimpicciolimento della pupilla: la sua vita gli appare sempre più limitata. Analogamente, lo sguardo sul denaro genera questa sorta di squilibrio e di schizofrenia ottica.Questo è un esempio di come il denaro sia inquinante. Il Vangelo lo ha spiegato molto bene: nell’episodio di quel giovane che si presenta a chiedere cosa deve fare per avere la vita eterna, è proprio lo sguardo sul denaro la causa della sua non sequela. Il denaro, quindi, impedisce la sequela di Cristo, fa nascere nell’uomo un falso senso di sicurezza, falso perché

Page 7: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

poggia appunto su dei beni effimeri; il denaro, inteso in questo senso, fa dimenticare il vero destino dell’uomo e falsifica quindi la verità integrale.Il denaro, inoltre, mina alla base i rapporti fraterni. Lo vediamo nella crisi che stiamo attraversando, che sta rovinando anche i rapporti familiari (è facile prevedere che avremo un moltiplicarsi di casi di crisi coniugale presso i nostri consultori; già ora verifichiamo l’aumento di ospiti alla Mensa della Caritas: credo che anche il nostro consultorio, appena aprirà, dovrà accogliere un gran numero di persone, a seguito anche delle preoccupazioni provocate da questa crisi, come accennava don Gianni Bedogni). Dunque, il denaro mina alla base anche i rapporti fraterni.Il denaro rischia di vanificare anche la testimonianza che la comunità cristiana deve dare al mondo. Su questo tema vi invito a leggere il contributo – uno dei più recenti, dopo i tanti che abbiamo avuto su come la comunità cristiana è invitata a vivere il rapporto con il denaro, a partire da quello di Dupont sulle Beatitudini e sugli Atti degli Apostoli – di don Maurizio Marcheselli, edito nella collana “Sussidi Biblici” dell’Editrice San Lorenzo di Reggio Emilia col titolo molto azzeccato Il denaro, l’amore e il cielo (che evoca un bellissimo long playing di De André, Non al denaro, non all'amore né al cielo). Oltre alla qualità esegetica e teologica del contributo di Marcheselli, questo titolo mi piace perché penso che la poesia e l’arte (v. appunto De André) siano un’altra delle vie con cui attraversare questo tempo della crisi: come il Vangelo è “Parola Altra”, così l’arte, la poesia, la musica… possono essere “parole altre” non per fuggire, ma per attraversare con più motivazioni, con più qualità interiore la crisi. Il problema del denaro è questo: che esso toglie qualità interiore alla vita dell’uomo. L’arte e la poesia possono essere delle risorse molto importanti in questo tempo: c’è da sperare che ci siano artisti che consacrano il loro talento anche a questo.

3. Oltre il dare e l’avere.Il valore dello “spreco” La terza parte, quella più construens, quella dell’opportunità, del kairós, che possiamo vivere oggi, inizia dalla considerazione sulla Genesi, là dove Dio invita l’uomo a dare il nome agli esseri viventi (Gn 2,19-20). Noi oggi, in questo tempo della crisi, possiamo “rinominare” certe realtà umane, possiamo dare loro un nome nuovo, come il nome dell’Apocalisse (2,17), oppure il nome antico, originario, che è quello che appartiene al progetto creaturale. Secondo il nome antico, i beni della terra appartengono a Dio: il loro scopo non è il profitto personale, ma il bene universale. Questo è il nome nuovo e antico che la Scrittura ci consegna. È da lì che dobbiamo partire. Ed è lì che dobbiamo tendere.Allora, fra le tante realtà umane che appartengono al mondo economico, credo che possiamo dare un nome nuovo anche allo “spreco” e al “profitto”, due termini che, in una logica “sanamente” economica, appaiono fra loro antitetici. Gesù dà un nome nuovo allo spreco: è possibile, anzi è doveroso, sprecare. Quando Gesù, nel paese dei Geraseni (Mc 5,1-17) guarisce l’indemoniato posseduto da una legione di spiriti immondi e manda quei demoni in duemila maiali, avviene un incredibile spreco di prosciutti, ma quello è un santo spreco, perché è per la salvezza di un uomo. Allora anche uno spreco di beni può essere per l’uomo!Ancora più in radice: quando, a Betania (Mc 14,3-9), una donna spreca un vasetto intero di olio costoso e profumatissimo per Gesù e alcuni si sdegnano (“Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo venderlo a più di 300 denari e darli ai poveri!”), Gesù obietta, perché onorare così chi dà la vita per la salvezza di tutti, non è uno spreco. Allora, anche l’uso retto dei beni deve sottostare a questa logica di spreco, che non è più soltanto quella delle categorie del dare e dell’avere. Occorre che, oltre al dare e all’avere, inventiamo una terza “categoria contabile”, quella che ci dà il Vangelo, che riconosce la positività di quello spreco e dà un significato nuovo al profitto: non quello dell’accumulare per sé, ma dell’accumulare in vista della salvezza, mediante la donazione di sé senza riserve e la condivisione anche di ciò che abbiamo. Tutti i beni condivisi sono perciò il vero profitto dell’uomo: il vero investimento è questo, la destinazione universale, solidaristica, dei beni.

Conclusione Di fronte a questa situazione, qual è il compito della Chiesa, oggi? Senza demonizzare il denaro (come non l’ha demonizzato Gesù), la cosa più importante è favorire questa conversione a uno sguardo diverso sul denaro e a una lucida analisi su quello che esso può rappresentare, favorire una lettura che porti a considerare il denaro come una delle tante realtà che in tanto sono buone in quanto ci orientano alla visione integrale della vita, alla salvezza, al vero bene: i “beni” a servizio del Bene, dell’Eternità. Questo è il primo livello: l’annuncio del Vangelo da sempre ha questo obiettivo, questo fine.Un secondo compito della Chiesa è quello della trasparenza. Oggi più che mai ci è chiesta, come comunità ecclesiale, una grande trasparenza sui bilanci, sull’uso delle strutture, sulla destinazione di ciò che abbiamo. Non possiamo permetterci di fare operazioni avventate (purtroppo sembra che ci siano anche sacerdoti che giocano in borsa o che s’avventurano in altre operazioni di questo tipo: si tratta per me di un grave peccato ecclesiale…). Dobbiamo invece fare scelte chiare di vicinanza alla gente: come nel 2000 la Chiesa propose l’iniziativa profetica di saldare il debito delle due fra le nazioni più povere del mondo – non con un intervento di assistenzialismo, ma promuovendo là, in quelle nazioni, con il denaro che sarebbe servito a risanare il debito, iniziative di autentico sviluppo – così credo che anche oggi ci debba essere una priorità: come c’è una positiva fantasia negli interventi a favore dei paesi più lontani e poveri (vedi le adozioni a distanza…), così

Page 8: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

dobbiamo individuare forme nuove di intervento qui, presso le nostre nuove situazioni di bisogno (quasi delle adozioni a vicinanza), verso le famiglie, i nuovi disoccupati…La convergenza comune di queste iniziative deve essere quella della condivisione dei beni: questo è davvero l’obiettivo, il modo concreto e pratico di vivere una nuova esperienza ecclesiale come kairós. È l’esperienza della donna di Betania: sprecare in questo accumulo, in questa condivisione, perché l’obiettivo della condivisione non è che diventiamo tutti poveri, ma, come insegnano gli Atti degli Apostoli, che non ci sia più un solo povero (At 4,34).

Il denaro non deve governare

16/05/2013  Duro intervento di papa Francesco contro l'attuale sistema economico che crea povertà e cerca solo il profitto: «Occorre una riforma etica della finanza»

Il Papa durante una celebrazione in Piazza San Pietro

«Sarebbe auspicabile realizzare una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti. Il denaro deve servire e non governare!». Sceglie l’incontro con gli ambasciatori di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo e Botswana presso la Santa Sede papa Francesco per il primo intervento del pontificato sulla crisi economica mondiale e le cause, a cominciare dalla speculazione finanziaria, che l’hanno innescata con conseguenze devastanti a livello sociale.

«La maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo», ha detto Francesco, «continuano a vivere in una precarietà quotidiana con conseguenze funeste». E così, ha spiegato, «alcune patologie aumentano, con le loro conseguenze psicologiche, la paura e la disperazione prendono i cuori di numerose persone, anche nei paesi cosiddetti ricchi; la gioia di vivere va diminuendo; l'indecenza e la violenza sono in aumento; la povertà diventa più evidente. Si deve lottare per vivere, e spesso per vivere in modo non dignitoso».

Nel mirino del Papa ci sono gli idoli del nostro tempo: avidità e sfruttamento, la finanza senza regole, un capitalismo consumistico che cerca solo il profitto e distrugge ogni rete di solidarietà sociale, l’uomo ridotto a merce. «Una delle cause di questa situazione, a mio parere, sta nel rapporto che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società», ha detto Bergoglio, «così la crisi finanziaria che stiamo attraversando ci fa dimenticare la sua prima origine, situata in una profonda crisi antropologica. Nella negazione del primato dell’uomo! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es

Page 9: azionecattolicabg.itazionecattolicabg.it/.../2016/09/Denaro-e-Cristiani.docx · Web viewriconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel

32,15-34) ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano. La crisi mondiale che tocca la finanza e l’economia sembra mettere in luce le loro deformità e soprattutto la grave carenza della loro prospettiva antropologica, che riduce l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo. E peggio ancora, oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare».