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Eco dei Barnabiti 1/2017 36 1831). Ma, intanto, ecco il testo in questione. FILIPPESI 2, 5-11: LA TRADUZIONE DELLA CEI DEL 2008 Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre. LETTURE ESEGETICHE DELL’INNO Camille Focant, profes- sore emerito di Esegesi nel Nuovo Testamento all’Università cattolica di Lovanio, avverte che il compito dell’esegeta è quello di interpretare il testo in oggetto a partire dalle categorie di Paolo e in base allo scopo che perseguiva. È certo che Paolo non avesse in men- te, mentre scriveva ai suoi amici di Filippi, la precisazione dello statuto ontologico della persona di Cristo (p. 8). Oggi al posto della tradizionale dicitura di inno cristolo- gico gli esegeti preferisco- no parlare di un encomio con finalità etica (ib.). La forma letteraria gre- ca pare essere quella di una sorta di prosa ritmata. Non sappiamo con cer- tezza se l’inno fosse già usato nella liturgia delle comunità cristiane, da cui Paolo lo avrebbe mutuato; o se sia una sua creazione. Certamente il contesto depone a fa- vore di una lettura etica dell’inno: la vicenda di Gesù il Messia è per i cri- stiani di Filippi un modello, un para- digma, perché vivano unanimi e con- cordi, e cerchino l’unità in uno spiri- to di umiltà e di sollecitudine per l’altro (Fil. 2, 1-4). Da un punto di vista esegetico so- no state proposte letture diverse su sfondi diversi. Il professor Focant le esemplifica in quattro figure: Adamo; il Servo sofferente ed esaltato di Isaia; il giusto dal destino paradossale; il sovrano arrogante che usurpa la di- gnità divina (p. 10). Secondo Di Pede e Wénin, in un articolo pubblicato sulla Revue théo- logique de Louvain (2012), Gesù in quanto forma – immagine – di Dio è il vero Adamo; egli non cade nel tra- nello della rivalità con Dio, ma entra in un’imitazione di Dio svuotando se stesso e adottando la forma di un ser- vo, di uno schiavo. Gesù, poi, entra- to nella storia umana, prosegue nella totale obbedienza a Dio fino alla morte e alla morte di croce. È a que- sto punto che Dio lo eleva e gli dà in Osservatorio paolino L’INNO A CRISTO FILIPPESI 2, 5-11 INTRODUZIONE Avevamo già parlato di questo inno liturgico, inserito da Paolo nella sua lettera ai Filippesi (Fil. 2, 5-11), pre- sentando il libro del Prof. Larry W. Hurtado, Come Gesù divenne Dio (Paideia, 2010) in Eco dei Barnabiti, 4/2012, pp. 16-18. Se ne ripresenta ora l’occasione all’uscita di questo agile volumetto: L’inno a Cristo – Filippesi 2, 5-11, Temi Biblici 9 (EDB Bologna, 2016). Si tratta della tradu- zione in italiano del Supplemento 164 ai Cahiers Évangile delle Éditions du Cerf, Juin 2013. Come avverte Hugues Cousin nella Prefazione, rispetto alla portata dog- matica del testo, privilegiata dai Padri greci del IV secolo e abbracciata dal- la ricerca esegetica e teologica del XIX e XX secolo, oggi si sottolinea la lettura etica, che era prevalente nei Padri latini e nel Medioevo. Ma a me sembra interessante, dopo aver presentato sommariamente la pluralità delle letture esegetiche, sof- fermare l’attenzione sugli ultimi due capitoli. Il filosofo e maestro talmudico Em- manuel Lévinas (1906-1995), analiz- zando il concetto paolino di kénosis (Fil. 2, 7: svuotò se stesso: abbassa- mento, annientamento), ricordava che mentre l’idea di incarnazione divina non trova posto nell’Antico Testa- mento e nella tradizione ebraica, l’idea della kénosi, dell’abbassamen- to, non è estranea alla presentazione di Dio in questi scritti (p. 6). Come pure di un certo interesse mi sembra passare in rassegna la trattazione del- la kénosi (svuotamento) di Cristo in alcuni teologi del XX secolo, tributari – chi più chi meno – della tradizione dell’idealismo tedesco (sec. XIX) e, segnatamente, di G.F.G. Hegel (1770-

09 Oss Paolino 36-40 Eco1-2017 28/03/17 12:17 Pagina 36 ... · una sorta di prosa ritmata. Non sappiamo con cer-tezza se l’inno fosse già usato nella liturgia delle comunità cristiane,

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Eco dei Barnabiti 1/201736

OSSERVATORIO PAOLINO

1831). Ma, intanto, ecco il testo inquestione.

FILIPPESI 2, 5-11: LA TRADUZIONEDELLA CEI DEL 2008

Abbiate in voi gli stessi sentimentidi Cristo Gesù:egli, pur essendo nella condizione diDio,non ritenne un privilegiol’essere come Dio,ma svuotò se stessoassumendo una condizione di servo,diventando simile agli uomini.Dall’aspetto riconosciuto come uomo,umiliò se stessofacendosi obbediente fino alla mortee a una morte di croce.Per questo Dio lo esaltòe gli donò il nomeche è al di sopra di ogni nome,perché nel nome di Gesùogni ginocchio si pieghinei cieli, sulla terra e sotto terra,e ogni lingua proclami:“Gesù Cristo è Signore!”,a gloria di Dio Padre.

LETTURE ESEGETICHEDELL’INNO

Camille Focant, profes-sore emerito di Esegesinel Nuovo Testamentoall’Università cattolica diLovanio, avverte che ilcompito dell’esegeta èquello di interpretare iltesto in oggetto a partiredalle categorie di Paoloe in base allo scopo cheperseguiva. È certo chePaolo non avesse in men-te, mentre scriveva aisuoi amici di Filippi, laprecisazione dello statutoontologico della personadi Cristo (p. 8). Oggi alposto della tradizionaledicitura di inno cristolo-gico gli esegeti preferisco-no parlare di un encomiocon finalità etica (ib.).

La forma letteraria gre-ca pare essere quella diuna sorta di prosa ritmata.Non sappiamo con cer-tezza se l’inno fosse già

usato nella liturgia delle comunitàcristiane, da cui Paolo lo avrebbemutuato; o se sia una sua creazione.Certamente il contesto depone a fa-vore di una lettura etica dell’inno: lavicenda di Gesù il Messia è per i cri-stiani di Filippi un modello, un para-digma, perché vivano unanimi e con-cordi, e cerchino l’unità in uno spiri-to di umiltà e di sollecitudine perl’altro (Fil. 2, 1-4).

Da un punto di vista esegetico so-no state proposte letture diverse susfondi diversi. Il professor Focant leesemplifica in quattro figure: Adamo;il Servo sofferente ed esaltato di Isaia;il giusto dal destino paradossale; il sovrano arrogante che usurpa la di-gnità divina (p. 10).

Secondo Di Pede e Wénin, in unarticolo pubblicato sulla Revue théo-logique de Louvain (2012), Gesù inquanto forma – immagine – di Dio èil vero Adamo; egli non cade nel tra-nello della rivalità con Dio, ma entrain un’imitazione di Dio svuotando sestesso e adottando la forma di un ser-vo, di uno schiavo. Gesù, poi, entra-to nella storia umana, prosegue nellatotale obbedienza a Dio fino allamorte e alla morte di croce. È a que-sto punto che Dio lo eleva e gli dà in

Osservatorio paolino

L’INNO A CRISTOFILIPPESI 2, 5-11

INTRODUZIONE

Avevamo già parlato di questo innoliturgico, inserito da Paolo nella sualettera ai Filippesi (Fil. 2, 5-11), pre-sentando il libro del Prof. Larry W.Hurtado, Come Gesù divenne Dio(Paideia, 2010) in Eco dei Barnabiti,4/2012, pp. 16-18. Se ne ripresentaora l’occasione all’uscita di questoagile volumetto: L’inno a Cristo –Filippesi 2, 5-11, Temi Biblici 9 (EDBBologna, 2016). Si tratta della tradu-zione in italiano del Supplemento164 ai Cahiers Évangile delle Éditionsdu Cerf, Juin 2013.

Come avverte Hugues Cousin nellaPrefazione, rispetto alla portata dog-matica del testo, privilegiata dai Padrigreci del IV secolo e abbracciata dal-la ricerca esegetica e teologica delXIX e XX secolo, oggi si sottolinea lalettura etica, che era prevalente neiPadri latini e nel Medioevo.

Ma a me sembra interessante, dopoaver presentato sommariamente lapluralità delle letture esegetiche, sof-fermare l’attenzione sugli ultimi duecapitoli.

Il filosofo e maestro talmudico Em-manuel Lévinas (1906-1995), analiz-zando il concetto paolino di kénosis(Fil. 2, 7: svuotò se stesso: abbassa-mento, annientamento), ricordava chementre l’idea di incarnazione divinanon trova posto nell’Antico Testa-mento e nella tradizione ebraica,l’idea della kénosi, dell’abbassamen-to, non è estranea alla presentazionedi Dio in questi scritti (p. 6). Comepure di un certo interesse mi sembrapassare in rassegna la trattazione del-la kénosi (svuotamento) di Cristo inalcuni teologi del XX secolo, tributari– chi più chi meno – della tradizionedell’idealismo tedesco (sec. XIX) e,segnatamente, di G.F.G. Hegel (1770-

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dono ciò che egli, al contrario del-l’Adamo dell’Eden, non ha voluto af-ferrare come una preda. Così è de-gno dell’omaggio di tutto il creato,perché permette a Dio di rivelarsi co-me Padre, dando il suo nome a coluinel quale riconosce la sua immaginecompiuta (p. 25). La vocazione deiFilippesi è dunque realizzare com-piutamente in sé per gli altri l’imma-gine di Dio.

Molti esegeti (tra gli altri, L. Cer-faux e J.-N. Aletti), analizzando laparentela parziale del vocabolario ela parentela della struttura (relazionedi causa ed effetto tra l’abbassamen-to e l’elevazione) hanno voluto ve-dere nel Gesù del capitolo 2 dellaLettera ai Filippesi la realizzazionedel modello del Servo di Jahvé, comelo descrive il quarto canto del Deu-tero Isaia (Is 52, 13-53, 12). Anchel’omaggio universale (stessa immagi-ne del ginocchio piegato e del rico-noscimento di Dio), anche se riorien-tato verso Gesù Cristo, non trascurala gloria di Dio Padre, in cui tutto sicompie.

Alcuni esegeti (e, tra questi, J. Mur-phy – O’Connor) richiamano invecela figura del giusto dal destino para-dossale, come la leggiamo nel Librodella Sapienza, capitoli 3-5. I giustisembrano soccombere ed essere pu-niti nonostante la loro buona condot-ta. Ma, mentre la speranza dell’em-pio è come pula trascinata dal vento,i giusti riceveranno da Dio la coronaregale della gloria. Cristo che è im-magine perfetta di Dio si è sottomes-so a una condizione che non era lasua fino ad affrontare la prova supre-ma della morte e di una morte infa-mante, quella della croce! PerciòDio gli ha conferito il titolo e l’auto-rità che erano riservati fino ad allora

unicamente a Dio. Gesù Cristo è ilKyrios (il Signore) che ogni lingua de-ve confessare e davanti al quale devepiegarsi ogni ginocchio, a gloria diDio Padre!

Un’altra chiave di interpretazione(S. Vollenweider, J.M.G. Barclay), ladiremmo politica, potrebbe trovarsinelle tradizioni bibliche, giudaicheed ellenistiche, che propongonoun’usurpazione da parte di re o capipolitici dell’uguaglianza con Dio. Itesti di Isaia 14, 12-14; Ezechiele28, 2.5.17; 2 Maccabei 9, 10-12sono estremamente significativi inquesto senso. Essi affermano chel’autoelevazione orgogliosa e arro-gante conduce alla catastrofe, al col-lasso, mentre l’umile abbassamen-to conduce all’elevazione da partedel Signore. Su questo sfondo, Fil. 2,6-11 mette in risalto una signoria di Cristo completamente diversa, innetto contrasto con le figure succita-te (il re di Babilonia in Isaia, il re diTiro in Ezechiele, Antioco Epifane inMaccabei, Pompeo nei Salmi di Sa-lomone o Caligola in Filone di Ales-sandria, che si uguagliavano a Dio),il che è particolarmente pertinenteper una comunità cristiana che sisviluppa in una colonia romana, do-ve si pone con acutezza la questio-ne della relazione fra il potere impe-riale e la signoria di Cristo. Per Bar-clay, per esempio, Paolo sovverte lepretese imperiali romane, perchéne limita la sfera al qui e ora, men-tre il dramma cosmico è sotto la si-gnoria di Cristo morto e risorto. Conle sue parole: Si giunge quindi allaconclusione paradossale che la teo-logia di Paolo è politica precisamen-te per il fatto di rendere l’impero ro-mano teologicamente insignificante(pp. 29-30).

EMMANUEL LÉVINAS:LA NOZIONE DI ABBASSAMENTO

(KENOSI) NEL GIUDAISMO

In un celebre articolo del 1985, Ju-daisme et kénose, Lévinas (vedi box)ricorda che, mentre l’idea dell’incar-nazione divina è estranea alla spiri-tualità ebraica, la nozione di kénosi(abbassamento) non è estranea allapresentazione di Dio nell’Antico Te-stamento e nella tradizione giudaica.I maestri talmudici, meditando sulSalmo 115,15 sostengono che I cielisono dell’Eterno, mentre la terra l’haconcessa ai figli degli uomini. Lévinasriassume l’interpretazione talmudicain questi termini: Mai la presenza diDio è scesa fino al suolo della terra,mai né Mosè né Elia hanno raggiun-to, nella loro ascensione, l’altezza deicieli (p. 165).

Eppure l’idea dell’abbassamentodella divinità (kénosi) non è estraneaalla presentazione di Dio nella tradi-zione ebraica. In molti scritti ebraiciè presente questa dinamica polaredella Maestà e dell’Altezza divinache si china sulla miseria umana oche abita in questa miseria (Salmo147, 3-4; Salmo 113, 4-7). Il trattatotalmudico Megillah 3a lo affermaesplicitamente: Rabbi Yohanan hadetto. “Ovunque voi trovate la po-tenza del Santo, egli sia benedetto,troverete la sua umiltà: questo è scrit-to nella Torah, ripetuto nei Profeti eripreso, per la terza volta, negli Agio-grafi. L’accumulo dei riferimenti, ri-presi dalle tre parti della Bibbiaebraica, rafforza l’argomentazione aattesta l’unità della Scrittura (tecnicadella collana, hariza).

Ma ci sono altri due aspetti cheLévinas illustra per giustificare lapresenza dell’abbassamento di Dio

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OSSERVATORIO PAOLINO

Basilica Vaticana, cappella del Coro, particolare degli stalli lignei del coro con San Paolo a Malta (Giovan BattistaSoria, 1581-1651 e Bartolomeo de’ Rossi, † 1640)

(kénosi) nella tradizione ebraica.Nell’opera del rabbino lituano delXVIII secolo, Rabbi Haim di Volozi-ne, l’interpretazione di Genesi 2, 7(l’uomo che diventa un’anima viven-te per il soffio vivificante di Dio) glifa dire che l’uomo è come se fossecostituito, accanto a Dio, respon -sabile per tutti gli altri mondi e pertutti gli altri esseri umani, sicché è come se l’onnipotenza divina sisubordinasse al consenso etico del-l’uomo.

Il secondo aspetto è quello dellapreghiera. Al riguardo, Lévinas esplo-ra una nota di rabbi Haim di Volozinedove si trova sottolineata, in qualchemodo, questa kénosi di un Dio cheresta, certamente, colui al quale è ri-volta ogni preghiera, ma che è anchecolui per il quale è detta la preghiera(p. 169).

Lévinas esamina poi in questo suoarticolo come la presenza di Dio inmezzo al suo popolo (la Shekinah)è più evidente e concreta propriolà dove il popolo è più umiliato eoffeso, indigente ed esiliato. Dio è solidale col suo popolo nel suoabbassamento e nella sua sofferenza:Dio si è abbassato fino a terra e sa-rà nelle spine finché il suo popolosarà nella servitù (p. 171, la Sheki-nah di Dio nel roveto ardente, Eso-do 3, 1-2).

Forse le parole di Paolo ai Filippe-si hanno il loro senso più vero senon si leggono alla luce della cristo-logia greca sviluppata secoli dopo,ma alla luce dell’abbassamento diDio che si fa prossimo all’uomoproprio quando questo è oltraggiatoe vilipeso.

LA KENOSI DI CRISTO IN ALCUNITEOLOGI DEL XX SECOLO

Molti dei grandi teologi cristianicontemporanei, di ogni tradizionereligiosa – cattolica, protestante o or-todossa –, hanno affrontato il temadella kenosi con occhi nuovi: essicolgono l’idea di Dio non più in fun-zione di un a priori filosofico, manella logica della croce. L’autrice delcapitolo, Béatrice de Boissieu (teolo-ga, docente all’Institut Catholique diParigi) riconosce che si tratta di unatematica ambigua (p. 175) e di pro-posito non prende in considerazionelo sfondo filosofico (ovviamente He-

gel, il quale, nel lungo frammento diGlauben und Wissen – Credere e Sa-pere – 1802, parla in riferimento allacroce della “morte di Dio” e del “Ve-nerdì santo speculativo”. Segnalo aquesto riguardo solo il bel libro diAntonio Sabetta, La cristologia filoso-fica nell’orizzonte della modernità,

ed. Studium, Roma 2015); ma sotto-linea come il tema della kénosi se-gna il passaggio da una teologia diispirazione metafisica a una teologiadi ispirazione biblica; e che la risco-perta della theologia crucis luteranamostra un Dio che si rivela non nellapotenza e nella gloria, ma nella sof-ferenza e nell’ignominia.

Tra i teologi contemporanei chehanno preso a tema il concetto di ké-nosi troviamo Josef Ratzinger (1927-),il quale svolge la riflessione sulla leg-ge dell’incognito: il paradosso, cioè,che laddove si apre il più profondoabisso dell’umiliazione e della mor-te, si può celare la vetta dell’esalta-zione e della consacrazione, sicchéil servo obbediente fino alla morte ealla morte di croce è il sovrano difronte al quale tutte le creature siprostrano. Il Cristo si manifesta comericapitolazione di tutto il cosmo, pro-prio nel momento in cui si è ridotto averme, e non uomo (Salmo 22, 7).L’Agnello sacrificale diventa il cen-tro della liturgia cosmica, verso cuisi volge l’adorazione dell’universo(Apocalisse, 21).

Vladimir Lossky (1903-1958), teolo-go laico ortodosso, riflettendo suldogma di Calcedonia (451) si riferisceal pensiero della kénosi in forza delprincipio secondo il quale la perfezio-ne della persona consiste nell’abban-dono. È nel rinunciare al suo contenu-to proprio, nel donarsi liberamente,nel cessare di esistere per se stessoche la persona si esprime pienamentenella natura una di tutti… (p. 179).

Per Karl Barth (1886-1968) l’ob-bedienza è la chiave della com-prensione del mistero della divinitàdi Gesù. Commentando Filippesi 2,Karl Barth mostra che Dio puòprendere la forma servi (= la condi-zione di schiavo) senza che sia sa-crificata la sua condizione di Dio laforma Dei. In Gesù Cristo, l’abbas-samento divino non è in contraddi-zione con la natura divina; l’umiltànella quale Dio agisce in Gesù Cri-sto non gli è estranea, bensì gli èpropria (p. 182).

Karl Rahner (1904-1984) riflette apartire dal 1954 sul significato del mi-stero dell’incarnazione espresso nellaformula: Il Verbo di Dio si fa uomo. IlLogos è diventato uomo, … la nostrastoria è diventata la sua storia, e lanostra morte la morte del Dio immor-tale. L’Assoluto, l’immutabile, nella

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OSSERVATORIO PAOLINO

grotte Vaticane, navata settentrionale,particolare della pala d’altare con laMadonna in Trono tra i Santi Pietroe Paolo (Isaia da Pisa, 1410ca.-1465ca.)

pura libertà della sua infinita non-re-latività, che Egli sempre conserva, hala possibilità di divenire l’altro, il fini-to, la possibilità che Dio proprio nelfatto e per il fatto di estraniarsi e didonarsi pone l’altro come realtà suapropria. Questa possibilità non è daintendersi come segno della sua indi-genza, bensì come apogeo della suaperfezione, che sarebbe più ristrettase egli, oltre alla sua infinità, non po-tesse diventare meno di quello che(costantemente) è. Questo si può di-re, anzi lo si deve dire, senza perciòessere hegeliani. E non sarebbe benese a noi cristiani una tal cosa la doves-se insegnare un Hegel (p. 186).

Rahner chiede quindi che l’enun-ciato sull’immutabilità di Dio sia con-siderato in modo dialettico, sull’esem-pio di ciò che si fa per l’affermazionedell’unità divina. Questa assunzionein Dio del divenire e dell’annullarsinella morte del Figlio permette a Rah-ner di mettere in risalto la parte di ve-rità della teologia, eretica, della mortedi Dio e di affermare che la morte diGesù fa parte dell’autoespressione diDio (p. 187). Le coordinate storiche(la morte di Dio) e quelle esistenziali,alla Heiddeger (l’uomo per la morte)diventano allora, per Rahner un pren-dere parte al destino di Dio nel mon-do da parte dell’uomo (p. 188).

Jürgen Moltmann (1926-), teologoprotestante, erede della theologiacrucis di Lutero, chiede che l’avveni-mento della croce sia interpretato inmodo trinitario come avvenimento diDio, avvenimento fra Gesù e il suoDio… Moltmann non si chiede solociò che la croce del Figlio significaper l’uomo, ma anche ciò che essasignifica per Dio stesso. Egli trova larisposta a questa domanda nell’ideadi un Dio sofferente (p. 188).

Per Moltmann, la teologia dellacroce deve essere la dottrina dellaTrinità e la dottrina della Trinità lateologia della croce. L’incarnazionedel Figlio rivela l’umanità reale diDio e rappresenta la forma perfettadella kénosi divina, dell’auto-abbas-samento di Dio che comincia con lacreazione del mondo e termina nellapassione e morte di Gesù, Dio fadella finitezza dell’uomo, della suasituazione di peccato, una parte del-la sua vita eterna (p. 190).

Hans Urs von Balthasar (1905-1988) pone l’originalità della suameditazione nel cercare il fonda-

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OSSERVATORIO PAOLINO

EMMANUEL LÉVINAS(Kaunas, Lituania, 1906-1995, Parigi, Francia)

Nato in Lituania da famiglio ebraica religiosa, Lévinas ricevette un’edu-cazione abbastanza liberale perché, accanto alla Bibbia in ebraico, fin dagiovane poté leggere i classici russi: Puškin, Gogol, Tolstoj e Dostoevskij.Durante la Rivoluzione d’Ottobre viveva con la famiglia in Ucraina. A18 anni si trasferì a Strasburgo, che divenne la sua patria d’elezione.Compì studi di filosofia e partecipò a Friburgo ai seminari di Husserl e diHeidegger. Salvatosi dai campi di sterminio nazisti in quanto ufficialedell’esercito francese, dopo la guerra conobbe e studiò con il misteriosotalmudista Soshani, che lo introdusse al metodo della lettura talmudica.Dagli anni ’60 in poi il riconoscimento pubblico delle sue opere filosofi-che lo portò a insegnare prima all’Università di Poitiers, poi a Parigi-Nan-terre e, infine, dal ’73 al ’76, alla Sorbona. Morì a Parigi nel 1995.

Lévinas non ha mai cercato, come tanti altri, la conciliazione tra ilpensiero ebraico e la filosofia; anzi, ne ha sempre sottolineato lo scontroe la rottura. Egli ha scoperto nelle fonti biblico-talmudiche le condizionidi possibilità di un discorso etico capaci di far uscire la soggettività umanadalle spire di una egolatria, a cui la condannava l’ossessione epistemolo-gica moderna. Illuminanti sono queste sue parole: L’etica non è il corollariodella visione di Dio, ma è questa visione stessa. L’etica è un’ottica… Il rap-porto con il divino attraversa le relazioni con gli uomini e coincide con lagiustizia sociale: ecco l’intero spirito della Bibbia ebraica. Mosè e i profetinon si preoccupano dell’immortalità dell’anima ma del povero e dellavedova, dell’orfano e dello straniero.

Lévinas rilegge l’intero corso del pensiero occidentale attraverso lachiave esplicativa dell’antitesi simbolica tra Ulisse e Abramo – rappresen-tante il primo della grecità e il secondo dello spirito biblico. Ulisse partema la sua preoccupazione è di ritornare a Itaca, al punto di partenza;Abramo invece esce dalla sua terra per non tornarvi mai più. Abramorompe col suo passato, la terra di Ur, e Lévinas rompe con l’ontologiadell’essere neutro e opaco e con la soggettività dalle pretese totalizzantidel pensiero occidentale per approdare a una nuova consapevolezza del-l’esistenza e a una presenza più autentica nel mondo. Sotto la spinta del-le riflessioni di Husserl e soprattutto di Heidegger (per Lévinas Essere etempo, 1927 è uno dei libri più significativi del Novecento), Lévinas ab-braccia il concetto di essere come verbo più che come sostantivo: tem-porale, dinamico, estatico, mortale, aperto e sempre teso-a. Ma mentreHeidegger sviluppa quest’idea dell’essere-per guardando all’angoscia ealla morte, Lévinas l’orienterà piuttosto verso l’alterità e l’Altro. Questoesodo dall’essere verso l’alterità dell’altro costituisce il filo rosso che legale opere filosofiche più significative di Lévinas. In questo Lévinas vienesoccorso dalla lettura cabbalistica dell’En Sof (il Senza Fine che, uscitoda sé, si frammenta in infiniti altri): la vera soggettività si rivela nell’in-contro con l’altro. È l’azione in cui etica, metafisica e religione si incon-trano: nel primato, cioè, dell’incontro con l’altro che nella letteraturaprofetica è chiamato il povero, la vedova, l’orfano e lo straniero.

Lévinas ribadisce la centralità del precetto: Ama il prossimo tuo comete stesso (Levitico 19, 18). Che Lévinas interpreta così: “Ama il prossimotuo, egli è te stesso”. L’uomo non è il pastore dell’essere, come volevaHeidegger nella sua Lettera sull’Umanesimo, ma il guardiano di suo fra-tello. E spiega: “Mosè e i profeti non si preoccupano dell’immortalità del-l’anima ma della vedova e dell’orfano, dello straniero e del povero”.

Il tuo prossimo: senza di lui sei perso; senza di lui la tua vita non ha sensocompiuto; senza di lui non puoi praticare la responsabilità e la giustizia – ossia la Torah del Signore – quella teshuvà (ritorno) che non è un rientroa casa ma opera di zedaqà (giustizia). E senza zedaqà non c’è teshuvà.

(da Massimo Giuliani, Il pensiero ebraico contemporaneo, Morcelliana, Brescia, 2003,pp. 360-372, passim).

mento della kénosi economica nel-l’immanenza stessa della vita intra-trinitaria: il dramma del mondo devetrovare in Dio le condizioni dellasua possibilità (p. 191). In questamaniera, von Balthasar si pone siacontro il punto di vista di Mol-tmann, che rischia di trascinare Dioin una teologia evolutiva e com-promissoria col mondo; sia controil punto di vista di Rahner, per ilquale la Trinità è un semplice ritmoformale di automediazione di Dio(p. 193).Per il credente lo scandalo della

croce è sopportabile solo in quantoazione del Dio trinitario (p. 194).

IL PARADIGMA DELLA KENOSINEL CONCILIO VATICANO II

Il luogo privilegiato dove nel No-vecento si concentrò ed emerse il te-ma della kénosi di Cristo fu il Conci-lio Vaticano II (1962-1965). NellaCostituzione dogmatica sulla Chiesa,Lumen Gentium (la luce delle genti),al numero 8 §3, si stabiliva una es-senziale correlazione tra la autospo-liazione di Cristo e la figura storicache doveva assumere la Chiesa.

Ecco il brano della Lumen Gentium:Ma come Cristo ha realizzato la sua

opera di redenzione nella povertà enella persecuzione, anche la chiesa èchiamata a prendere la stessa via, percomunicare agli uomini i frutti dellasalvezza. Gesù Cristo sussistendo nellanatura divina… spogliò se stesso, as-sumendo la condizione di servo (Fil 2,6-7), e per noi si fece povero, da riccoche egli era (2 Cor 8,9); così anche lachiesa, benché per seguire la sua mis-sione abbia bisogno di risorse umane,non è fatta per cercare la gloria sullaterra, ma per espandere l’umiltà e l’ab-negazione anche col suo esempio. Cri-sto è stato inviato dal Padre a portarela buona novella ai poveri, a guarirequelli che hanno il cuore ferito (Lc 4,18) a cercare e salvare ciò che era per-duto (Lc 19, 10); similmente la chiesacirconda di amore quanti sono afflittida infermità umana, anzi nei poveri enei sofferenti riconosce l’immagine delsuo fondatore povero e sofferente, sipremura di sollevarne la miseria, e inloro intende servire Cristo.

Dietro queste parole c’era la manodel teologo don Giuseppe Dossetti edel Cardinale Giacomo Lercaro, ilquale auspicava “una cristologia nonessenzialistica ma esistenziale, che ve-de nella kénosis e nella croce di Cristonon soltanto una modalità accidentale(che “avrebbe potuto anche non esse-re”) del piano dell’incarnazione, ma

l’unico modo reale e concreto dell’at-tuarsi dell’incarnazione stessa, quindiil modulo assoluto e rigorosamentecondizionante, del prolungarsi dell’in-carnazione nel cristiano e nella Chie-sa” (G. Lercaro, Per la forza dello Spiri-to, Bologna 2013, p. 163).

Parole su cui è calato, fino a PapaFrancesco, un pesante silenzio.

CONCLUSIONE

Possiamo dire che la concentrazio-ne del pensiero teologico del Nove-cento sulla teologia della Croce comeparadigma di interpretazione di unmondo alla deriva e errante nel deser-to di Dio (eredità romantica di JeanPaul Richter (1763-1825), Schleier-macher, Hegel, Nietzsche) sia andatapurtroppo incontro a un fallimento.

Il gesuita X. Tillette, grande studiosodi questa problematica, concludesconsolato con queste parole: Ahimè,ci basta aprire gli occhi, all’alba delsecolo XXI, mentre il cristianesimocalpestato respira a fatica; una cul-tura di morte e di assassinio si è inse-diata, potente, tentacolare, sostenutadalla canzonatura e dal sarcasmo deimezzi di comunicazione. È la perver-sione generalizzata, che un umanitari-smo vergognoso si sforza di arginare.Il mondo senza Dio, ne conosciamo ilvolto, l’impronta del Cristo schernito,è attualità quotidiana. Su questo fon-do tenebroso i pochi cristiani persinella massa umana si domandanocon il vangelo se il Figlio dell’uomo,quando tornerà, troverà ancora sullaterra la fede e uomini vigilanti.

Non ci resta che la pazienza di Dio.

Giuseppe Cagnetta

Abbiamo parlato di:

Michel Berder, Béatrice de Boissieu,Hugues Cousin, Gilbert Dahan, JeanLouis Déclais, Henri Delhougne,Marcel Durrer, Camille Focant, Jean-Noël Guinot, Rémi Lescot, AnnieNoblesse-Rocher, Éliane Poirot, Jean-Éric Stroobant de Saint-Éloy (Temi Bi-blici n. 9, EDB Bologna 2016, pp. 204,€ 24,00. Titolo originale: L’hymne auChrist (Philippiens 2, 5-11 CahiersÉvangile Supplément n. 164, Éditionsdu Cerf, Juin 2013).

Eco dei Barnabiti 1/201740

OSSERVATORIO PAOLINO

Paolo. Affresco (sec. XII). Cappella del Castello Orcau. Barcellona, Museod’Arte Catalana