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Sommario

3ACCOGLIENZA CHE CRESCERivista trimestrale delle Suore Ospedaliere della MisericordiaCon approvazione ecclesiasticaReg. Trib. di Roma n° 425, 3 ottobre 2003

4 REDAZIONALEFare memoria per continuaredi Vito Cutro

6 SPECIALE TERESA ORSINILa Principessa Teresa OrsiniDoria Pamphili (XI) di Angela Ruzzi

8 LA CHIESALa Missione (V)di Andrea Gemma

10 SALUTE E SANITÀPrevenire è meglio che curare (XII)di Fabiola Bevilacqua

11 RESIDENZA MARIA MARCELLAUn cappuccino... dolce di Giovanni Manganella

13 TESTIMONIANZESuor Carmine Burria cura di Annabelle Mamon

30 STORIE DI ACCOGLIENZADalla strada alla speranzadi Concita De Simone

26 MEDICO IN MISSIONELe donne della Misericordiadi Leonardo Lucarini

12 TESTIMONIANZEVisti da vicino. Suor Vivian Alamisdi Marinella Amato

21 TESTIMONIANZELa bellezza del Matrimoniodi Mina Murgese

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5 UNO SGUARDO AI PADRILa resurrezione dei corpia cura di Vito Cutro

Aprile/Giugno 2018

“Entrata dell’Università Sofia di Loppiano

EDITORIALEOspitalità e vittime di violenzadi Paola Iacovone

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15 LA COMETA NEWS

18 BUON COMPLEANNOACCOGLIENZA

MAGISTEROa cura di Vito Cutro

LA COMUNICAZIONEMisericordia e adozionedi Giacomo Giuliani

GENERAZIONIA CONFRONTOLa solitudinedi Cristina Allodi

28 LA FAMIGLIA OGGIDisabilità come opportunità di vita piena di Concita De Simone

SAPORI DIVINIdi Concita De Simone

BIBLIOTECABisogno di paternità a cura della Redazione

NOTIZIE

RELAXa cura di Concita De Simone

DALLA MISERICORDIA ALLE OPERETracce di nuova evangelizzazione in Amoris laetitiadi Rino Fisichella

DirettriceMadre Paola Iacovone

ResponsabileVito Cutro

RedazioneCristina AllodiConcita De SimoneAndrea FidanzioAnnabelle MamonCoordinamento editorialeFederica MartufiSegretaria redazioneAnnabelle Mamon

Anno XV - n. 2Aprile-Giugno 2018

Abbonamento annuo 710,00Sostenitore 50,00

Versamento su c.c.p. n. 47490008intestato a: Suore Ospedaliere della Misericordia

PAYPAL sul sito www.consom.it

Finito di stampare nel mese di Maggio 2018dalla Tip. L. LucianiVia Galazia, 3 - 00183 RomaTel. 06 77209065

Spedizione abbonamentopostale - D.L. 353/2003 (conv. in L 27/2/04 n. 46) art. 1 comma 2 - DCB - Roma.

Abbonamenti, indirizzie diffusioneRedazione Accoglienza che cresceVia Latina, 30 - 00179 RomaTel. 06 70496688Fax 06 70452142

[email protected]

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Page 4: 1 Copertina.qxd 24-05-2018 10:49 Pagina 2 · 15 LA COMETA NEWS 18 BUON COMPLEANNO ACCOGLIENZA MAGISTERO a cura di Vito Cutro LA COMUNICAZIONE ... stante la grande varietà ... conosciuta

QUASI AL TRAMONTOTi ho cercato inutilmente da una vitaNell’aria, nel ventoNella mano tesa di un povero,Nel disperato sguardo di un malatoNel bene, nel maleO nel silenzio della misericordia.Ora quasi al tramontoal limite dei miei giorni…Ti sento, infinita misericordia, ma viva.Luce di un’alba diversa che illuminiun cielo già terso.Sei vita, sei amore, sei fede,Certezza sei unico: Dio!

Morelli Giuseppe

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3Editorialedi Paola Iacovone

In virtù del quarto voto che noi SOM professiamo e che,certamente, tutti voi ormai ben conoscete, al giorno d’og-gi ci sentiamo particolarmente chiamate in causa dalle

nuove emergenze e da situazioni che ormai sono esplose nella loropeggiore forma espressiva, da un lato di estrema violenza ed inusi-tata brutalità, dall’altro di profonda sofferenza e di riduzione anuove forma di schiavitù.

Tra i tanti problemi che, come cristiani in primo luogo e comeconsacrate in secondo, richiedono la nostra presenza ed il nostroimpegno di accoglienza ed ospitalità, possiamo certamente consi-derare quelli della violenza sui bambini e sulle donne.

Mons. Nunzio Galantino, segretario Generale dellaConferenza Episcopale Italiana, in occasione della XXII giornataper i Bambini Vittime della violenza – il 6 maggio scorso - ha, tral’altro, affermato: “Non esiste un abuso laico e/o religioso: c’èsolo la violenza e la negazione della vita dell’innocenza. Con feri-te profonde che condizionano per sempre la vita”. (…) “la vio-lenza contro i bambini è invisibile, ma la vede chi ha occhi persaper guardare, andare al fondo della questione, denunciandoquesta immane vergogna globale che impone a tutti una respon-sabilità per operare concretamente, senza giustificazioni, divisio-ni e steccati contro questi aberranti fenomeni”.

Nessuna violenza può essere tollerata, ma quella sui bimbi ècertamente la più aberrante, soprattutto in considerazione del fattoche tale sopruso rimarrà impresso nella loro mente a lungo, se nonper tutta la vita, con conseguenze il più delle volte, devastanti.

Il nostro spirito di solidarietà e di ospitalità può facilmentespaziare, in tale contesto, contro la violenza sulle donne, che hamolti volti: dai reati come la violenza fisica a quella sessuale, allostupro, alla tratta di povere fanciulle indifese, senza dimenticare laviolenza psicologica. E pensare che la Giornata mondiale contro la

violenza sulle donne, per la prima volta, fu istituita il 17 dicembre1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e si svolge il 25novembre di ogni anno. Da allora, rappresenta il momento piùimportante dell’anno per parlare, informare e sensibilizzare su que-sto grave problema. Che riguarda tutti indistintamente i paesi delmondo. Abbiamo bisogno di essere sollecitati e stimolati ma,soprattutto, di essere informati. Molte situazioni non vengono dif-fuse dai mass-media non si sa per quale logica perversa.

Degna di nota, a mio avviso, tra le altre, la Via Crucis dei gio-vani che si è svolta, il 23 marzo di quest’anno, nella basilica di S.Giovanni a Roma, nell’ambito della riunione pre-sinodale dei gio-vani. Si è trattato di una ‘galleria’ di 14 “situazioni di male” chehanno costellato, una per ogni stazione, la Via Crucis: “Come ilPadre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita achi egli vuole” (Gv 5,21), il motto dell’appuntamento quaresima-le. Presso ogni stazione, dove era collocata una tomba con unacroce, veniva denunciata una particolare situazione di male, pro-clamato un brano evangelico e proposta la testimonianza (o rac-contata una vicenda) da parte di chi ha sperimentato su di sé leconseguenze del male. Seguiva una preghiera di invocazione e diresurrezione. Nella prima stazione la condanna a morte di Gesù èstata abbinata alla persecuzione per motivi religiosi. Ad accompa-gnare la seconda stazione, la denuncia della schiavitù nella storia diJoseph, venduto a sette anni come schiavo in Sud Sudan e soprav-vissuto a torture indicibili. Nella terza la dipendenza nella testimo-nianza di Veronica, 21 anni, caduta a 13 anni nel tunnel delladroga. E così via.

Abbiamo bisogno di queste testimonianze, di questi momentidi aggregazione e di sensibilizzazione: soprattutto per essere sem-pre pronti e reattivi a queste, come a tante altre piaghe che infesta-no il mondo.

Ospitalità e vittime di violenza

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Redazionale4

P rovare a ripercor-rere 25 anni di‘vita’ non è cosa

facile, né sentiero su cuifacilmente avventurarsistante la grande varietàdi eventi accaduti, ma,soprattutto, perché pre-gno di tanti piccoli egrandi fatti da eviden-ziare al punto da ren-derne difficile l’individuazione.Nel voler riandare indietro e ripercorreresommariamente la nostra storia, congiun-tamente alle vicende e alle varie realtà sus-seguitesi in questi 25 anni di vita dellanostra rivista “Accoglienza che cresce”,non si può che affermare che è un’espe-rienza che è valsa la pena di vivere e chevale la pena, confidando nel sostegno deibenefattori e del Consiglio Generale delleSOM, di continuare a vivere. E ciò persvariati motivi, non ultimo quello di esse-re consapevoli che è un impegno che puòcontribuire a fare del bene, anche a se stes-si.Non si può, innanzitutto, in questo per-corso a ritroso, non considerare le personeche si sono avvicendate nella Redazione(un ricordo particolare a coloro che cihanno lasciato) o che, a vario titolo hannocollaborato o continuano a fornire, gratui-tamente, il loro cortese contributo conarticoli e foto. Sia consentito rivolgere un

r i n g r a z i a -mento parti-colare a S.E.mons. AndreaGemma, che ciha dato la suacollaborazionesin dal primonumero dellaRivista. Moltidei suoi articolisono poi divenu-te pubblicazionia parte.In questo cammi-no come nonricordare coloroche sono state le

due ‘pioniere’ della Rivista: Madre ElviraIacovone e Madre Elisabetta Longhi lequali hanno dettato, agli inizi, le direttiveed i criteri cui uniformarsi, per poi segui-re con attenzione e cura le fasi di elabora-zione di ogni numero, (l’attuale MadreGenerale non è oggi certamente dameno). Oltre che seguire affettuosamentei vari passi di questa creatura che andavasempre più e sempre meglio crescendo,esse posero tra l’altro, dei ‘paletti’ (alcunerubriche, il non inserimento di alcunapubblicità commerciale, etc.) alla pubbli-cazione che, ancora oggi, vengono tenutiin debita considerazione.Molte rubriche sono mutate considerandole nuove problematiche emergenti, masempre uniformandosi ai criteri di infor-mazione e formazione che sono i capisal-di della Rivista e che si cerca di teneresempre presenti ad ogni numero che vieneportato in tipografia.

Come non riandare alle tante riunioni diRedazione che, con lo scopo ultimo dipianificare il o i vari numeri, molte volte,si sono trasformate e si trasformano inincontri di riflessione e di studio su pro-blematiche o tematiche attinenti la Chiesae la fede. Nei primi anni, certamente, si trattava dimomenti che a volte si protraevano per al-cune ore ma, pian piano, con l’utilizzoanche dei mezzi informatici, hanno vistoassottigliarsi il tempo di incontro e discambi personali.Come non tornare con la mente al 1996,con i suoi tre momenti forti: il 28 febbra-io data in cui ci ha lasciati MadreElisabetta Longhi, allora SuperioraGenerale; il 12 maggio è stata beatificata,da Giovanni Paolo II, suor Maria RaffaellaCimatti e nell’agosto viene eletta MadreAurelia Damiani alla guida dellaCongregazione delle SOM.Anno memorabile in cui l’alternanza deglieventi ha fatto intravvedere come la Prov-videnza divina operi e consenta alla realtàdi svolgersi al di sopra ed al di fuori di o-gni umano progetto. Fu un anno di graziada cui, certamente, anche “Accoglienzache cresce” ha tratto i suoi benefici influs-si per avere una maggiore determinazionee procedere con maggiore entusiasmo nelcammino intrapreso. Ne troviamo unaesplicitazione nell’Editoriale, che trovia-mo in altra Rubrica di questo numero,scritto da Madre Aurelia Damiani subitodopo la sua elezione a Superiora Generalesubentrante la già citata Madre ElisabettaLonghi.

(continua)

di Vito Cutro

Fare memoria per continuare

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Uno sguardo ai padria cura di Vito Cutro

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TERTULLIANO (160-220). Dopo il ritorno inAfrica ebbe inizio la sua attività letteraria a favoredella Chiesa, con la quale ruppe, presumibilmente,verso l’anno 207. Il suo temperamento lo spinse verso lasetta dei montanisti, di una fazione della quale prestodivenne capo. Uno dei più originali scrittori latiniecclesiastici prima di Agostino, possedeva un ingegnopenetrante ed una eloquenza affascinante. Era talmen-te padrone della lingua latina che riusciva a creare sem-pre termini nuovi. H. Hoppe, nel 1932, affermò cheTertulliano aveva coniato 509 sostantivi, 284 aggetti-vi, 28 avverbi e 161 verbi: in tutto 982 parole nuove.

Il brano che trascriviamo è tratto ancora dall’operaconosciuta ormai diffusamente con il titolo di “Apologiadel Cristianesimo”.

(segue)

La resurrezione dei corpi

«(…) Se qualche filosofo afferma che un mulo può diventare unuomo, una donna una vipera, e se, con l’abilità della sua elo-quenza, brandisce tutti gli argomenti in favore di tale opinione,non si cattiverà il vostro consenso e rafforzerà la vostra fede, cosìda persuadervi che si debba astenersi dalle carni animali, perchénon capiti di acquistare al mercato qualche proprio coavo?Perché allora se un Cristiano promette che un uomo ritorneràuomo e che lo stesso Caio ritornerà Caio, subito si cerca unavescica e con le pietre piuttosto che con clamori lo si scaccia dallacomunità? (Una particolare punizione prevedeva di colpire sullatesta con una vescica ripiena di aria).Bisognerebbe rifarci a molte citazioni di molti autori, se volessi-mo motteggiare su questo argomento, per sapere in quale bestiauno debba trasformarsi. Ma occupiamoci, piuttosto della difesadella nostra tesi: noi sosteniamo che è molto più ragionevolecredere che un uomo ridiverrà un uomo, uno qualsiasi diverràuno qualsiasi, purché uomo, in modo che un’anima della stes-sa natura si trasformi in un’altra, riprendendo la stessa condi-zione umana, anche se non la stessa figura. Ma poiché il moti-vo della risurrezione è la fissazione del giudizio finale, è necessa-rio che colui che esistette si possa riconoscere, per ricevere la sen-tenza di Dio circa le proprie benemerenze od il proprio demeri-to. Saranno perciò fatti comparire dinanzi anche i corpi, anzitut-to perché l’anima sola, senza una materia stabile, cioè la carne,non può sentir nulla, ed in secondo luogo perché tutto ciò chenel giudizio di Dio le anime debbono patire, lo meritano unita-mente ai corpi, entro i quali esse sempre agirono. Ma in qualmodo, direte, la materia una volta dissolta può essere riprodot-ta? Considera te stesso, o uomo, e troverai le ragioni di credere.

Ripensa a ciò che tu eri prima che esistessi: proprio nulla; te nericorderesti, infatti, se tu fossi stato qualcosa. Se tu dunquenon sei stato nulla prima di esistere, e parimenti nulla saraidopo morto, perché non potresti di nuovo esistere dal nulla peril volere di quello stesso autore che volle che tu esistessi dalnulla? Niente di straordinario per te: non esistevi e sei stato crea-to; e di nuovo, quando non sarai più, risarai di nuovo.Dunque, dite voi, si dovrà morire e sempre risorgere? Se così aves-se stabilito il padrone di ogni cosa, anche contro il tuo voleredovrai subire la condizione della legge cui sei sottoposto. Ma eglinon ha stabilito diversamente da quanto ha predetto. La stessamente che formò l’universalità delle cose con la diversità degli ele-menti, in modo che tutte le cose fossero formate da sostanze con-trarie ridotte ad unità, dal vuoto al pieno, dall’animato e dall’ina-nimato, dal percettibile e dall’impercettibile, dalla luce e dalletenebre, dalla vita stessa e dalla morte, quella stessa morte haugualmente riunito in una sola èra due distinte età: la prima parte,questa che noi viviamo dall’inizio del mondo, che defluisce versola sua fine con una durata determinata; la successiva poi, che noiaspettiamo e che si prolungherà nell’infinita eternità.(...) Allora non più morte, non più di nuovo resurrezione, masaremo quelli che siamo ora, e non più degli altri, e coloro cheadorano Dio saranno sempre presso Dio, rivestiti della sostan-za propria dell’immortalità; ma gli empi, o quelli non del tuttopuri davanti a Dio, subiranno la pena di un fuoco ugualmenteeterno, perché ha ricevuto dalla stessa propria natura, che è divi-na, il potere della incorruttibilità (…)».

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Speciale Teresa Orsinidi Angela Ruzzi

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L o spirito dell’Associazione(“Teresa Orsini” di Gravina diPuglia), volto a preservare la

memoria della principessa e a svilupparsisecondo il modello di vita irreprensibileda lei seguito, ha portato l’estensore delloStatuto ad inserire il seguente divieto:«Non sarà validamente accolta chi si èallontanata dall’integrità della fede e deicostumi, chi ha infranto la disciplinaecclesiastica, chi è stata coinvolta inattività criminose e chi è stata espulsada altre Associazioni ecclesiali». (art. 6)

Al Titolo III sono disciplinati i diritti e idoveri delle socie, le quali, ancora guidatedal modello di Teresa Orsini si impegnano a:a) approfondire e sviluppare il valore

sociale del volontariato e della solida-rietà;

b)realizzare programmi educativi e cultu-rali;

c) prestare il proprio servizio di volontaria-to negli ospedali, nelle case di cura e diriposo, nei centri caritativi e a domicilioprivato di anziani, malati e bisognosi,soprattutto di persone con problemipsichici o mentali (art. 9).

Tale elenco di attività testimonia inmaniera significativa come il modello diassociazionismo pensato dalla principes-sa Orsini, di carattere laicale ma ispiratoall’esempio religioso, rappresenti ancoraoggi una valida guida per chi intendadedicarsi alla cura e al sostegno dei biso-gnosi, soprattutto se ammalati o soli. Le socie, nel condurre queste attività, nonsono abbandonate a se stesse o alla propriainiziativa, perché, come recita l’art. 10,«affinché tale servizio venga reso inmaniera adeguata e competente» esse

devono essere preparate e accompagnatemediante percorsi formativi tenuti daesperti in materia. L’organizzazione e il coordinamentodell’Associazione sono disciplinati dalTitolo IV dello Statuto. All’art. 12 si afferma: «L’Associazione pre-vede i seguenti organi di coordinamento:1. l’Assemblea; 2. due Coordinatrici; 3.l’Assistente Spirituale». Dell’Assemblea fanno parte tutte le iscrit-te; questa ha il compito di: a) approvare ed attuare il programma delle

attività dell’Associazione; b)approvare le domande di ammissione

delle nuove Socie all’Associazione;c) eleggere le due Coordinatrici e ratificarne

l’eventuale destituzione o sostituzione; d)deliberare l’eventuale esclusione delle

Socie dall’Associazione (art. 13).In base all’art. 17, sono eleggibili alla cari-ca di Coordinatrice tutte le socie che ade-riscono all’Associazione da almeno dueanni; in quanto all’Assistente Spirituale –come afferma l’art. 18 –, può essere o ilParroco della Parrocchia presso la quale hasede l’Associazione oppure un altro sacer-dote, qualora questa abbia la propria sedepresso un’altra Istituzione ecclesiale.

Al Titolo V sono regolati i compiti delleCoordinatrici e dell’Assistente Spirituale. Secondo l’art. 19, spetta alle Coordi-natrici:a) convocare l’Assemblea per l’elezione o il

rinnovo degli organi di coordinamento;b)convocare e presiedere le Assemblee

ordinarie;c) elaborare, in collaborazione con

l’Assistente Spirituale, il programmadell’Associazione, da sottoporre all’ap-

provazione dell’Assemblea, e coordinar-ne le attività;

d)mantenere i rapporti con l’Ordinariodiocesano;

e) cooptare, all’interno dell’Associazione,persone particolarmente esperte in spe-cifici campi di azione, alle quali affidareil compito della formazione.

Una delle Coordinatrici, inoltre, ricopre ilruolo di Segretaria e ha l’incarico di:a) redigere su appositi registri i verbali

delle riunioni dell’Assemblea;b)tenere aggiornato l’elenco delle Socie;c) provvedere a comunicare alle Socie il

giorno delle riunioni, con il relativoordine del giorno;

d)curare la corrispondenza dell’Asso-ciazione (art. 20).

L’Assistente Spirituale, i cui compiti sonoelencati agli articoli 21 e 22, si incarica disostenere il cammino dell’Associazione nel-l’attuazione del programma, si occupa dellaformazione spirituale delle socie e mantie-ne i rapporti tra l’Associazione e la Diocesi.Inoltre, egli, poiché rappresenta l’Autoritàecclesiastica, ha il diritto-dovere di:a) intervenire, a qualsiasi livello, nella vita

dell’Associazione, nel rispetto delle spe-cifiche competenze;

b)partecipare alle Assemblee con diritto diveto, esaminando in precedenza l’ordi-ne del giorno da trattarsi e sottoscriven-done i verbali;

c) esprimere il proprio parere circa l’accet-tazione delle nuove Socie (art. 22).

Infine, come attesta l’art. 24, l’Asso-ciazione mantiene buone relazioni con laCongregazione delle Suore Ospedalieredella Misericordia. Così testimonia anche il volume volto a

Proseguiamo nella pubblicazione del pregevole lavoro svolto dalla sig.ra Angela Ruzzi, docente di religione. Nel ringraziarel’autrice speriamo che anche questa sua ricerca possa contribuire alla nobile causa di vedere la Principessa, fondatrice delle SOM,posta agli onori degli altari.

La Principessa Teresa Orsini Doria Pamphilj (XI)

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Speciale Teresa Orsini

illustrare le attività dell’Associazione,intitolato Cento cuori di mamme! Unfiore ai piedi di una Mamma, santa eFondatrice e curato da Mons. Caputo,fondatore della medesima, che nell’in-troduzione afferma:«Il numero è “simbolico” …anche se lar-gamente superato, come sociedell’Associazione “Teresa Orsini”, di cuiquesto libretto vuole essere testimonianzastorica. Con grande umiltà scrivo questecose perché la mia associazione “TeresaOrsini” vuol essere solamente un piccolofiore deposto ai piedi di questa serva diDio, fondatrice e mamma esemplare,Venerabile Teresa Orsini, Principessa diGravina e nobildonna di carità. Alcunianni fa – lo riconosco – per me fu una sco-perta ed una sorpresa aver sentito parlareper la prima volta di questa nobile figuranata nella nostra città. A Roma avevoincontrato una suora ospedaliera che miparlò della loro santa fondatrice, TeresaOrsini. Confesso di non aver dato alloramolta importanza alla notizia sino algiorno in cui si diede inizio alla Causa diBeatificazione di questa nobildonnaromana, nata a Gravina. E quando nellamia Comunità parrocchiale di sanDomenico diedi inizio ad una iniziativapastorale che interessasse centinaia difamiglie, come punto di riferimento perqueste famiglie proposi la figura dellaserva di Dio, Teresa Orsini, mamma diquattro figli che seppe educare bene nellafede cristiana».

III.3 Le LauretanePrima di concludere questo lavoro, èopportuno soffermarsi su un’altra operadi carità compiuta dalla principessaTeresa Orsini, al fine di conoscere anco-ra più a fondo le sue numerose attivitàe lo spirito che, quotidianamente,animò le sue azioni.Abbiamo già sottolineato come Teresa sidedicasse con abnegazione agli ammala-ti, frequentando gli ospedali romani eassistendo personalmente gli infermi, eabbiamo inoltre già detto quanto taleimpegno si manifestasse come volontàdi mettere in pratica gli insegnamenticristiani. A tal proposito, così Paparelli:

La divina Provvidenza la portò sulla viadegli ospedali romani, dove non le fu dif-ficile constatare le disagiate condizioni e lesofferenze morali a cui erano sottoposte lepovere ricoverate. Tutto ciò ebbe una riso-nanza profonda nel suo animo nobile esensibile, per cui decise di fare qualchecosa di positivo onde lenire le sofferenze edare a ciascuna delle ricoverate il segnodell’amore evangelico.Nel XIX secolo il fenomeno della pro-stituzione era dilagante a Roma; nel1825, allorquando s’impegnò nell’or-ganizzazione del Giubileo, Teresa sirese conto di quanto tale fenomenofosse in contrasto con la missione cheDio affida alla donna sulla terra.Decise allora di confrontarsi con le suecollaboratrici, dame di carità dellanobiltà romana, alla ricerca di una pos-sibile soluzione, di una via nuova peraffrontare questa piaga sociale.La principessa entrò in contatto con leprostitute soprattutto presso l’ospedaledi S. Gallicano, detto degli Incurabili,dove venivano ricoverati gli ammalatidi sifilide (come abbiamo detto nelprimo capitolo).All’interno degli ospedali romani,Teresa viene a contatto diretto conmolte pazienti che hanno contrattomalattie veneree perché prostitute:sono malate soprattutto di sifilide, ilmorbo gallico che si è diffuso a mac-chia d’olio con la Rivoluzione francesee le sue devastazioni territoriali, socia-li, etiche. La prostituzione, infatti, èdilagante e con essa gli ospiti nellestrutture ospedaliere crescono di gior-no in giorno. La maggior parte di que-sti malati viene ricoverata nell’ospeda-le degli Incurabili, dove si trovavanotutti coloro che erano affetti, anche imaschi, da gravi patologie dermatolo-giche e i malati di lebbra.Qui Teresa si rese conto dei reali biso-gni delle prostitute, che necessitavanonon solo di cure mediche ma anche diamore e di conforto, perché potesserorecuperare la dignità e sentirsi nuova-mente accettate dalla società.

(continua)

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La Chiesadi @ Andrea Gemma Vescovo Emerito

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LA MISSIONE (V)

AMaynooth, in Irlanda, SanGiovanni Paolo II, dopo averricordato alle religiose il dovere

apostolico proprio della loro vocazione edopo aver confermato l ‘importanza delleopere tradizionali a cui le religiose sonoaddette, continuava: “ (…) Ma ricordate sempre che il primocampo del vostro apostolato è la vostravita personale. È qui che il messaggiodel Vangelo deve essere prima di tuttopredicato e vissuto. Il vostro primo dove-re apostolico è la vostra propria santifica-zione” (1-X-l979).Vorrei riferire a questo punto il ritrattoche il p. Chautard fa, nel libro menziona-to, dell’apostolo che non ha capito questaverità:«Per le persone, purtroppo assai numerose,le quali sono imbevute di queste teorie, lacomunione non ha più il vero significatoche in essa trovavano i primi cristiani; essecredono all’Eucaristia, ma non vedono inessa un elemento di vita così necessario,tanto per loro che per le loro opere. Non faperciò meraviglia che, non esistendo quasipiù per loro l’intimità con Gesù, la vita inte-riore venga considerata come un ricordo delMedioevo.Davvero che al sentire questi uomini di azio-ne a parlare delle loro imprese, sembrerebbeche il Creatore, il quale creò i mondi scher-

zando e per il quale l’universo è polvere enulla, non possa fare a meno del loro concor-so! Molti fedeli, e persino sacerdoti e reli-giosi, arrivano insensibilmente, con il cultodell’azione, a farsene una specie di dogmache ispira la loro condotta, le loro azioni eli spinge ad abbandonarsi sfrenatamentealla vita esteriore. La Chiesa, la diocesi, laparrocchia, la congregazione, l’azione cattoli-ca hanno bisogno di me; volentieri si vorreb-be poter dire.. io sono molto utile a Dio! .. Ese non si osa dire una simile sciocchezza,stanno però nascoste in fondo al cuore la pre-sunzione, che ne è la base, e la diminuzionedi fede, che l’ha prodotta.Spesso si prescrive al nevrastenico di astener-si, talvolta anche per molto tempo, da qua-lunque lavoro; ma è questo un rimedio perlui insopportabile, perchè appunto la suamalattia lo mette in una agitazione febbrileche diventa come una seconda natura e lospinge a cercare continuamente nuovi sper-peri di forze e nuove emozioni che aggrava-no il suo male.

Lo stesso avviene spesso all’uomo di azio-ne, riguardo alla vita interiore; egli la sde-gna, anzi sente di essa tanto maggioreripugnanza appunto perchè nella sua pra-tica soltanto si trova il rimedio al suo statomorboso; peggio ancora, cercando di stor-dirsi sempre più in un cumulo di lavorinuovi e non bene diretti, perde ogni possi-bilità di guarire.La nave corre a tutto vapore, ma mentrechi la guida ne ammira la velocità, Diogiudica che, per mancanza di un saggiopilota, quel bastimento va alla ventura ecorre pericolo di perdersi. Dio vuole primadi tutto adoratori in ispirito e verità:l’americanismo invece pensa di dare gran-de gloria a Dio, mirando principalmenteai risultati esteriori.Questo modo di pensare ci spiega come ainostri giorni, se si fa un gran conto delle scuo-le, dei dispensari per i poveri, delle missioni,degli ospedali, sia invece sempre meno com-presa l’abnegazione nella sua forma intima,cioè nella penitenza e nella preghiera».

Come già da qualche numero,le pagine riservate alla collabo-razione di Mons. Gemma ver-tono su un discorso fondamen-tale per la Chiesa: la Missione.Per la ovvia ristrettezza di spa-zio, estrapoliamo dal testo ori-ginario le considerazioni piùsalienti, rimandando ad even-tuali futuri approfondimenti.

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La Chiesa 9

2 – Alle fonti della salvezza.Contro i pericoli fin qui esaminati, con-tro il pericolo sempre incombente del-l’orizzontalismo vuoto e dell’attivismoinconcludente, contro la minaccia di unapostolato che rinnega se stesso in quan-to si stacca dalle sorgenti della grazia edella salvezza, dobbiamo rivedere, peraccenni almeno, alcuni principi fonda-mentali intorno al nostro tema. Lo faccia-mo sotto forma di affermazioni teologiche- o tesi - su cui ciascuno è chiamato a con-frontarsi e quanto alle convinzioni e,soprattutto, quanto alla prassi conseguen-te.-La salvezza cristiana - scopo dell’aposto-lato – consiste specificamente, comeabbiamo sopra asserito, nell’eliminazionedel peccato e nella comunione con Dio, inCristo mediante il dono dello Spirito.Ebbene tutto questo è “grazia” in sensoetimologico e in senso tecnico: è cioèdono di Dio, non frutto di mezzi umani.-L’apostolo, pertanto, non è all’originedella salvezza, ma ne è semplice tramite,semplice strumento, tanto più idoneo,tanto più perfetto e capace, quanto piùvicino alla stessa sorgente, quanto piùaperto a ricevere lui stesso la salvezza chedeve comunicare. È quanto l’apostoloPaolo ricordava senza mezzi termini aisuoi fedeli: “Io ho piantato, Apollo ha irri-gato, ma è Dio che ha fatto crescere. (…)Siamo i collaboratori di Dio, e voi siete ilcampo di Dio, l’edificio di Dio”. (1 Cor3,7.).-Se la salvezza è grazia, devono venire inprimo luogo, nell’apostolo e in tutti,quelli che sono chiamati appunto “imezzi della grazia”: i sacramenti, la con-versione del cuore, l’unione fervida conDio, la supplica incessante mediante lapreghiera. Questi sono i primi mezzi chedevono essere messi in atto dall’apostolo,il che è quanto dire che il primo apostola-to si fa con la propria santificazione.-Autore della salvezza, dopo la sciaguradel peccato, è Gesù Cristo redentore, chemediante il suo sangue ci ha sottratti alpotere delle tenebre e ci ha trasferiti nelsuo regno. Il prezzo di tale riscatto è il suosangue. Questo sangue viene continua-mente effuso per la salvezza dell’umanità

nel sacrificio eucaristico, il quale quindirimane il centro e la sorgente inesauribiledella salvezza e perciò di ogni autenticoapostolato. Ne risulta che mai il sacerdoteo il religioso o il cristiano è tanto aposto-lo come quando celebra o partecipaall’Eucaristia. Una intensa vita eucaristica,pertanto, è condizione indispensabile perun vero apostolato. E nessun’altra cosapuò sostituire una degna e fervorosa epiena partecipazione all’Eucaristia e unaintensa vita eucaristica anche fuori dellacelebrazione del sacrificio eucaristico. - La salvezza è dono della vita divina: nes-suno può presumere di donarsela o didonarla con le proprie forze umane. Ilprimo passo verso la salvezza è dunqueaprirsi al divino, invocandone incessante-mente il dono giorno e notte. Quindi ilprimo apostolato è la preghiera, per sé, perriempirsi di Dio, e per gli altri, perchésiano riempiti di Dio.- San Paolo ha detto di voler unire le suesofferenze a quelle di Cristo per comple-tarle, a beneficio della Chiesa (cfr. Coll,24). Gesù aveva già detto prima che ilchicco di frumento solo se cade in terra emarcisce porta il frutto - come è avvenutodi lui, il Crocifisso! - (cfr. Gv 12,24). Eaveva aggiunto che solo una volta salitosulla croce avrebbe attirati tutti a sé (cfr.Gv 12,32). La sofferenza dunque, unitaalla passione di Cristo, è un potentissimomezzo di conquista delle anime e quindidi apostolato autentico.- Per comprendere questa possibilità sal-

vifica e della preghiera e della sofferenzabisogna ricordare quella profonda e indi-struttibile comunione che lega i membridel corpo mistico di Cristo e, diciamopure, potenzialmente tutti gli uomini,per cui un membro, dal di dentro, attra-verso questo misterioso legame che lotiene avvinto a tutti, può immettere, permezzo della sua santità, della sua preghie-ra, della sua sofferenza, germi fecondissi-mi di salvezza.- Ne risulta che l’apostolato non puòessere misurato da quello che si faall’esterno e da quello che si ottiene dimisurabile e di verificabile all’esterno esuperficialmente. Solo in paradiso sapre-mo chi avrà lavorato di più nella vigna del

buon Dio! E quante amare sorprese ciriserverà quel momento, quando vedre-mo anime oscure, sepolte in un conventodi clausura, coronate della più fulgidagloria apostolica e, magari, tanti ciarlata-ni dell’apostolato, gente sempre effusaall’esterno, pronta a correre qua e là,pronta a sbracciarsi in ogni dove senzatrovare un momento da dedicare a sestesso, alla preghiera, alla mortificazione,al silenzio relegati agli infimi gradi…

Questa considerazione deve farci ridimen-sionare tanti giudizi, deve impedirci certeclassificazioni che troppo superficialmentecontinuiamo a fare tra quelli che … lavo-rano e quelli che sono di peso … Adesempio, se nelle nostre famiglie religiosenoi trattiamo anziani e malati come litratta la nostra società efficientistica, nonabbiamo capito niente di vita cristiana edi apostolato. Ma io sono convinto che lavita eterna renderà giustizia a tutti, soprat-tutto a questi nostri fratelli silenziosi edumili e nascosti e fervorosi! Perché - dicoio - non dovremmo tributare ad essi unriconoscimento anche mentre sono invita? Tanto più che tutti arriveremo almomento dell’inefficienza esteriore. Manon per questo saremo meno apostoli!Anzi …

C’è obbligo per tutti, quindi, di valorizza-re pienamente queste inesauribili sorgentidi apostolato di cui sono ricche, anzi ric-chissime, le nostre famiglie religiose.

Ciò significa da un lato assicurare a tutti ireligiosi l’essenziale per quanto riguarda lavita di preghiera, di contemplazione, diricarica spirituale, di arricchimento quoti-diano della vita interiore, e significa d’al-tro canto far sapere ai fratelli che nonpossono più intervenire nell’apostolatodiretto con l’azione, con le opere di cari-tà e di assistenza che hanno ancora unimportante, anzi il più importante con-tributo da dare all’apostolato della fami-glia religiosa, con la loro sofferenza, conla loro preghiera, con l’accettazione gene-rosa della obbedienza e della volontà diDio.

(continua)

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Salute e Sanitàdi Fabiola Bevilacqua

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Prevenire è meglio che curare (XII)Teorie sull’invecchiamentoLa restrizione calorica

Un capitolo importante nei proces-si che portano all’invecchiamen-to è rappresentato dalla restrizio-

ne calorica, la sola causa non genetica cheha mostrato di rallentare la velocità intrin-seca di invecchiamento nei mammiferi.Questa restrizione è stata definita come lariduzione nell’apporto di calorie, mante-nendo però costanti i nutrienti necessari.Tradizionalmente, i modelli animali speri-mentali di restrizione calorica riducono dicirca il 40% l’apporto di calorie. Una taleriduzione è in grado di aumentare di circail 30-40% la durata di vita massima. È probabile che la restrizione caloricapossa ottenere effetti benefici agendo avari livelli e determinando una serie dicambiamenti molecolari, cellulari e siste-mici. In particolare, è stato osservato cheun ridotto apporto calorico determina unmiglioramento delle risposte metaboliche(per es., aumenta la sensibilità dei tessutiall’insulina), neuroendocrine e immunita-rie (per es., aumentano le difese contro gli

stress, le infezioni, le neoplasie) e del colla-gene. È verosimile che tali cambiamentipossano essere legati a cambiamenti nelprofilo di espressione dei geni. Anche se glieffetti a breve termine sugli esseri umanisono promettenti, studi a lungo terminesono comprensibilmente difficili da con-durre. Infatti, la scarsità di dati ottenuti congli esseri umani è principalmente dovutaalle notevoli difficoltà di aderire a interven-ti rigorosi di restrizione calorica e alla lun-ghezza della vita umana, che impone unperiodo di osservazione molto prolungato. Il risultato più famoso in merito agli effettidella restrizione calorica sulla salute umanaè stato ottenuto dagli esperimenti Biosphere2, uno spazio ecologico chiuso, localizzatonel deserto dell’Arizona. Nel 1991, otto per-sone entrarono in una biosfera per un perio-do di due anni allo scopo di studiare glieffetti del vivere in un sistema chiuso. Acausa di problemi tecnici inaspettati, l’ac-cesso al cibo fu limitato per l’intera duratadello studio, così che il reale apporto calori-co dei partecipanti era approssimativamente

del 30% più basso di quello previsto. Lemodificazioni fisiologiche sperimentate daipartecipanti di Biosphere 2 sono state simi-li a quelle riscontrate nella restrizione calori-ca nei modelli animali: abbassamento dellavelocità del metabolismo, della temperaturacorporea e della pressione arteriosa sistolicae diastolica, abbassamento della glicemia,dell’insulina oltre che del livello di ormonitiroidei. Un altro esempio rilevante è quello dellapopolazione dell’isola giapponese diOkinawa. È stato dimostrato che tale popo-lazione è caratterizzata da ridotta morbilitàe mortalità, nonché dalla più grande per-centuale di anziani rispetto alla popolazio-ne mondiale. È stato ipotizzato che la lungaaspettativa di vita libera da disabilità diquesta popolazione sia dovuta alla dietabasata su vegetali, grano, soia, frutta, pescee alghe marine, e caratterizzata da un bassoapporto calorico (circa il 20% in menorispetto al resto del Giappone e circa il 40%in meno rispetto agli Stati Uniti).

(continua)

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D a tempo ero un po’ in crisi pervia delle guerre, dei genocidi inatto in gran parte del mondo.

Fame, torture, fuga di interi popoli perse-guitati, fabbricanti e mercanti di armifinanziati anche da banche apparentemen-te rispettabili. “Ma Dio come permettetutto questo senza intervenire come fece altempo di Sodoma e Gomorra?”. Non midavo pace. Dopo una settimana, per caso, trovo allalibreria Feltrinelli un film del 2007 cheavevo visto appunto dieci anni or sono,titolo “100 chiodi” di Ermanno Olmi: unregista che ho sempre ammirato e che hoavuto la gioia di intervistare due volte epoi di incontrare insieme ad un amicocomune, il giornalista Gino Lubich.Questo film descrive la crisi di un profes-sore che si rende conto dolorosamente delfallimento di tutta la scienza di fronte allapotenza del messaggio evangelico del-l’amore reciproco. Le religioni, affermaOlmi con le parole del professore, nonportano la pace nel mondo e tutta la teo-logia non vale quanto un gesto di amiciziasemplice, ma sincero, come quello di bereun bicchiere di vino con un amico. Per affermare questa sua scoperta, il prota-gonista del film (che potremmo definire un

Cristo solo umano, ma capace di suscitarela pace) inchioda sul pavimento cento libridi teologia, con chiodi simili a quelli chetrafissero le mani e i piedi di Gesù. Rifiutala sua vocazione di studioso, il successo e ildenaro per ritrovare la gioia di una vitapovera insieme con una piccola comunitàdi gente semplice, ignorante, ma capace didonarsi per ritrovare la gioia dell’amicizia.Con pochi tocchi, delicatamente, a questopunto, Ermanno Olmi conferisce alla nar-razione piccoli, ma significativi riferimentievangelici: la piccola comunità che accoglieil professore, assume la dimensione deiseguaci che identifica il nuovo ospite con lafigura di un Gesù tornato fra gli uomini perconferire loro nuovo coraggio e dignitànonché una nuova comprensione delleparabole. Il rudere scelto dal protagonistacome abitazione, riporta alla umile stalla diBetlemme, ed anche la postina adombra lafigura della Maddalena. Quando il protagonista del film paga lasua generosità con la prigionia, i suoiamici sperano che torni presto fra loro,come noi attendiamo che il Cristo ritorni,come promesso, per aprirci la porta delSuo regno. Confortato nello scoprire che un artistadal cuore grande condividesse la mia stes-

sa momentanea crisi spirituale che vedevail fallimento di una società umana dilania-ta dal cinismo e dalla crudeltà, mi sonoconfidato con un sacerdote venuto perqualche giorno a celebrare la Messa nellacappella della casa di riposo che mi ospitada alcuni anni. “Perché Dio permettetanta ingiustizia senza punire i colpevoli?”.Ha sorriso con la semplicità di un bambi-no rispondendo:” Non li punisce perchéama anche loro; sono suoi figli”. Così haplacato la mia indignazione finché, rima-sto solo, mi sono detto che i figli vannoeducati, quando occorre, con rigore, fin-ché mi sono reso conto che esistono figliche pretendono di essere rispettati anchequando sbagliano, e di usare con loro lastessa pazienza di Dio. Mi sono ricordatodi quei dodici anni durante i quali, daateo, mi sono anch’io comportato assaimale. E Dio non mi ha incenerito, ma haaspettato che, maturando, scoprissi cheamava anche me, immensamente.Penso che anche il mio amico Ermannosia arrivato a questa pacificazione, perché èassolutamente buono ed onesto.Comunque sarà una buona decisionequella di scrivergli rinnovando la nostraamicizia.P.S. Sento necessario precisare che quelsacerdote che mi ha aiutato a risolvere lemie angosce esistenziali, era un frate cap-puccino, molto dolce.

*Ospite della Residenza

Residenza Maria Marcelladi Giovanni Manganella*

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Un cappuccino... dolce

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Visti da vicinoSuor Vivian Alamis, una suora per amica

Testimonianzedi Marinella Amato

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Presenza indispensabile per noivolontari, sicuri di trovare in leila soluzione ai nostri problemi

tecnico-organizzativi, ma anche voltoaccogliente e sereno per gli anzianipreoccupati di essere capiti nelle loroesigenze. Portata a coprire ruoli diver-si all’interno dell‘organico della strut-tura ma anche disposta a mettersi ingioco ballando vestita da hawaiana onei panni di Onlio, accanto all’im-mancabile Zerlina ballerina. Oggi noi vogliamo conoscere da vici-no suor Vivian e le diamo voce (con-fesso che tirarle fuori le parole e farlevincere la sua timidezza è stato arduo,ma ci siamo riusciti!).

Innanzitutto raccontaci da dovevieni. Sono nata nella città di Davao, nelleFilippine, sono crescita in una casavicina al mare anche se non ho maiimparato a nuotare! Siamo tre figli e inostri genitori da giovani si occupava-no di agricoltura e piccolo commer-cio. Mio padre è morto a 76 anni, dueanni fa, mentre mia madre - che ha 77anni - vive con mia sorella Evelyn, chegestisce un piccolo negozio di alimen-tari. Ho anche un fratello adottato daimiei quando aveva quattro anni, e cheoggi ha una figlia di tre anni. Hoanche un‘altra sorella più giovane dime, di nome Melanie, che vive nellaCorea del Sud e ha quattro figli.

So che la tua vocazione è nata quan-do eri poco più che una bimba, rac-contaci. A sedici anni abbiamo fatto un ritiro a

scuola; in quell’occasione ho capitoche la mia vita doveva cambiare inqualche modo. Ho iniziato a frequen-tare le attività parrocchiali, in partico-lare un gruppo di preghiera fino a chedurante un ritiro quaresimale duratotre giorni ho sentito come una spintaad entrare in convento. Avevo nel frat-tempo incontrato una postulante delleSuore Ospedaliere che mi dimostravagrande affetto e decisi quindi di parte-cipare ad un incontro di aspiranti. Misono presentata ad un colloquio (imiei erano praticamente all‘oscuro ditutto questo) durante il quale vennemessa alla prova la mia decisione. Il problema più grande fu trovare laforza di comunicare a mio padre lamia scelta e superare il problema ditrovare i soldi per preparare il miobagaglio. Ma qualcosa o Qualcuno miha aiutata e tutto si è risolto.

E cosa è successo dopo? Ho lasciato la mia famiglia e il 6 aprile1991 siamo partite per Manila (tregiorni di viaggio in nave!) dove si trovala Casa di formazione di Muntinlupadel nostro Ordine; la vita in conventoè stata una scoperta e una continuaprova per la mia vocazione. Nel genna-io 1993 è iniziato il mio noviziato finoa che il 13 dicembre 1994 sono giuntain Italia per continuare la formazioneproprio nella nostra Residenza. Nelfebbraio del ‘95 ho fatto la professionedi voti temporanea e da lì... tutto èpartito. Ho lavorato in tutte le comu-nità di Roma come aiuto in cucina,poi come cuoca, infine, tornata inResidenza, ho cominciato il mio lavo-

ro a tutto campo, occupandomi ditutto quello che mi veniva chiesto.

Quale è stata la tua prima percezionedel nostro paese? Sul momento non capivo una parola,sapevo dire solo sì, grazie e buon gior-no. Ho avuto come insegnante di italia-no anche un ospite della Residenza maho imparato a parlarlo solo frequentan-do le persone. Non sempre le personesono state gentili con me a causa dellamia non conoscenza della lingua; oggiquesta ostilità non la percepisco più esento che sono accettata anche con ilmio italiano approssimativo.

In tutta sincerità, dì un difetto di noiromani che proprio non sopporti! Forse l‘abitudine a dire parole grevi eun certo linguaggio pesante, in con-trasto con il loro carattere piacevole.

Hai nostalgia della tua terra? I primi tempi è stata dura ma ora misento serena. Ho desiderio di vederemia madre ma trovo che sto diventan-do italiana!

Come vorresti proseguire la tua vitanella Congregazione? Voglio rimanere in Congregazionefino alla fine dei miei giorni, portandoavanti la mia missione che consideroun dono di Dio.

Inutile sottolineare quanto sei amatada tutti qui in Residenza, ospitiparenti e volontari. C’è una richiestache vuoi fare a tutti noi? STATE BUONI SE POTETE!!!

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Testimonianze 13da Archivio SOMa cura di Annabelle Mamon

SUOR CARMINE BURRI“Tra competenza e serietà”

1919 - 1982

S uor Carmine, Assunta di batte-simo, nata a Roma il 18 set-tembre 1919, fin dal suo

ingresso in Congregazione fu daisuperiori messa a svolgere man-sioni di contabilità nei variuffici: di dispensa, farmacia eambulatori nell’ospedale diSan Gallicano. Nel 1954, le fu affidata laconduzione della casa di cura«MATER MISERICOR-DIAE». Svolse con amore,abnegazione e competenzal’accentrato compito ammini-strativo-tecnico-assistenziale per28 anni, riscuotendo fiducia e stimada moltissime persone: autorità, per-sonale, pazienti e parenti che hanno,per lavoro e cura, frequentato la Casadi Cura. Nel Capitolo Generale del 1970 fueletta Consigliera ed EconomaGenerale della Congregazione; anchequesto lavoro delicato e silenzioso èstato da lei svolto con perizia, compe-tenza e serietà, da meritarsi dalle con-

sorelle la convinzione che fosse diffici-le la sua sostituzione. La realtà della francescana parola«sorella morte», la colse dopo averricevuto Gesù sotto le specieEucaristiche, nel giorno in cui laChiesa liturgicamente ricorda il

Sangue e il Corpo di Cristo, vicino aduna paziente che aveva bisogno di

una particolare assistenza. Dall’improvviso malore non

riprese conoscenza, e la sualenta agonia durò undici gior-ni, tra speranze e delusioni ditutti. Era il 24 giugno del 1982,aveva solo 63 anni e 43 annidi Professione Religiosa.Suor Carmine ha combattu-

to la buona battaglia, ha ter-minato la corsa, ha conservato

la fede; resta solo per lei la coro-na di giustizia che il Signore, giu-

sto giudice, consegnerà in quel gior-no a tutti coloro che attendono conamore la sua manifestazione. IlSignore, ricevuto la stessa mattina perl’ultima volta sotto le specieEucaristiche, sicuramente le sarà statovicino nel trapasso all’eternità e l’avràsostenuta con forza, perché si compis-se il messaggio: «Egli la libererà daogni male e la salverà per il regno eter-no» 2Tim 4, 18.

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Dalla Misericordia alle opere14di @ Rino Fisichella - Arcivescovo

Tracce di nuova evangelizzazione in Amoris laetitia

Crisi della famiglia, crisi anche di fede

zione”, sostenendo una formazione cheeduca la coscienza a saper discernere,valutare e distinguere tra ciò che meritaessere vissuto come ideale di vita, anche

se impegnativo, e ciò che è inveceeffimero. Il primato dellacoscienza formata dalla fede per-mane come il richiamo alla veralibertà che impegna ogni personaa crescere nella consapevolezzadella propria responsabilità:“Siamo chiamati a formare lecoscienze, non a pretendere disostituirle” (AL 37).In tale situazione di crisi, la fami-glia si sperimenta sempre più sola,abbandonata alle proprie difficoltà,e questo è acuito anche dall’indebo-limento della fede e della partecipa-zione alla vita sacramentale: “Unadelle più grandi povertà della cultu-ra attuale è la solitudine, frutto del-l’assenza di Dio nella vita delle per-sone e della fragilità delle relazioni”(AL 43).Di fronte a tale quadro, PapaFrancesco invita a non cadere nella“trappola di esaurirci in lamenti auto-difensivi”, quanto piuttosto a suscitareuna “creatività missionaria” che deveportare, dinanzi alle difficoltà, non achiudersi ma a “liberare in noi le ener-

gie della speranza traducendole in sogniprofetici, azioni trasformatrici e imma-ginazione della carità” (AL 57).

In questa situazione complessa, PapaFrancesco ammette che spesso, nell’azio-ne pastorale si è privilegiato soffermarsi

sulle questioni dottrinali e morali, sotto-valutando l’azione della grazia. È inveceproprio questa che immette in un “cam-mino dinamico di crescita e di realizza-

L a Parola di Dio quando parla dellafamiglia lo fa sempre ricorrendoalle concrete condizioni di vita.

Alla stessa stregua, anche “Amoris laeti-tia” non ha timore a soffermarsi sull’at-tuale condizione di crisi in cui versa lafamiglia. Papa Francesco, richiamando-si alla Parola di Dio e alla fede dellaChiesa guidata a una “intelligenza piùprofonda dell’inesauribile mistero delmatrimonio e della famiglia” (AL 31).La profonda situazione di cambiamen-to a cui oggi la famiglia è sottoposta,interpella la Chiesa in modo del tuttoparticolare; si impongono, infatti,modelli di vita che si presentanocome alternativi a quanto la fede hasempre proposto nel suo incontrocon la cultura. Basti pensare, adesempio, all’ideologia del gender chenon accetta la differenza di sesso, allacultura del nichilismo, del provviso-rio e dell’antinatalità; al fenomenomigratorio e alle persone con disa-bilità; alle nuove strumentazioni nelvasto campo delle biotecnologie ealla procreazione assistita; all’abusodei minori e all’emarginazionedegli anziani, per non tacere dellaviolenza nei confronti delledonne… Insomma, nelle pagine di“Amoris laetitia” nulla è tralasciato per fartoccare con mano il limite che si presentaalla costruzione della bellezza del matri-monio e della famiglia (cfr. AL 42-57).

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Cari amici, eccomi a voi per ringraziarvi e continuare a sollecitarvi ad essere uno strumento di Dio, come una sua mano tesa in supporto e aiutodi quelle creature sfortunate, spesso predestinate alla miseria solo per essere nate nei luoghi più poveri della terra. È a loro che innan-zitutto ci rivolgiamo, per raccogliere il loro grido di aiuto spesso inascoltato. Negli ultimi anni è sempre più difficile portare aiuto,ma per questo dobbiamo mettere in moto la nostra fantasia, perché si trasformi in sostegno concreto che non solo risolva le emer-genze, ma, soprattutto, diventi occasione di riscatto per un futuro migliore.Molte sono le testimonianze di ragazzi adottati a distanza che sono riusciti a completare gli studi grazie ai nostri benefattori. Chi,come Rosemarie, è arrivata al college; chi, come Kenneth al diploma in ingegneria elettronica; chi, come Sophy, aggiorna puntual-mente sui progressi scolastici la famiglia adottiva.Abbiamo bisogno di raccontarvi altre storie positive! Abbiamo bisogno del vostro aiuto per permettere a tanti bambini disagiati distudiare e sperare in un futuro migliore per loro e per le loro famiglie di origine! Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro chehanno ordinato da noi le bomboniere per la Prima comunione e per la Cresima dei loro figli: un gesto che fa bene a chi riceve e a chidona, perché altamente educativo. Ringrazio anche tutti coloro che parteciperanno alla Cena di Beneficenza Estiva che si terrà il15 Giugno 2018: una nuova occasione per stare insieme e sostenere i nostri vari progetti e iniziative.Grazie di cuore.

Sr. Mary Ann Cameros

a cura di Concita De Simone

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Rwanda, un raggio di luce nel cuore dell’Africa

Sono passati 24 anni dal genoci-dio del Rwanda, compiuto tral’aprile e il luglio del 1994, unodegli episodi più drammaticidella storia dell’umanità. Ancorapochi per aver già elaborato l’im-mane tragedia. Le cifre di unostudio delle Nazioni Unite chedescrivono le barbarie di queigiorni e le sue conseguenze sonoagghiaccianti: su una popolazionecomplessiva di 7.300.000 perso-ne ne furono massacrate1.174.000 in soli 100 giorni, chevuol dire 10.000 morti al giorno, 7 al minuto. I sopravvissuti sono stimati in 300.000; moltedelle donne che si sono salvate hanno subito stupri e di queste il 70% risulta oggi sieroposi-tivo all’AIDS; 400.000 bambini rimasero orfani; tra quelli che erano allora bambini il 31%ha assistito a uno stupro, il 70% è stato testimone di uccisioni e sono migliaia quelli chehanno perso o perderanno i genitori a causa dell’AIDS.Oggi il Paese è in pace, le donne stanno riconquistando la propria dignità, ma ci vorrà anco-

ra tempo per parlare di “normalità”. Grazie alle suore nasce un ambulatorio, un centro nutri-zionale, un centro di taglio e cucito, una casa per postulanti e tante piccole iniziative di solidarietà. Oggi con la collaborazione delleSOM l’opera continua a crescere.

Missione di Timor Leste in crescita

Cresce la missione aTimor Leste, dove leSOM sono presenti daldicembre 2013, nel-l’area montana diMaukatar, a 15 kmdalla città di Suai,importante cittadina asud dell’isola, che distadalla capitale Dili nep-pure 150 km, ma perraggiungerla si impiega-no – ancora oggi - tra le10 e le 12 ore di viag-gio. Una zona moltopovera, dove c’è biso-gno di tutto. Le SOMorganizzano periodica-mente corsi di linguainglese e di computer ela partecipazione è tal-mente alta che gli studenti devono dividersi in più turni. Grazie anche aifondi raccolti da La Cometa, si sponsorizza l’assistenza sanitaria nellaMother of Mercy Maternity Clinic, dotata anche di una Mobile Clinic perraggiungere i malati più sperduti.Intanto, è stato inaugurato anche un dormitorio per bambine, che dopo lascuola frequentano la missione, e hanno dato vita a una squadra di calcio.

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Paula - Argentina

Buona Festa di Pentecoste e della Madre della Misercordia! Il mese scorso ho visitato iragazzi della Cometa grazie all’aiuto inviato da voi tramite padre Raúl Zalazar. Ho le let-tere da inviare e la fotografia di Paula che invio proprio adesso con questa mail. Comericorderete, Braian Marinero e Paula Gramajo sono stati i primi della Cometa in SanJuan che hanno finito la scuola media. I due hanno provato a continuare nell’universi-tá. Braian non ha avuto sucesso, proverá quest’anno a continuare nella scuola di polizia.Invece Paula é riuscita, é diventata studentessa universitaria presso l’UniversitáNacional de San Juan. Studia Lettere per fare la professoressa di LinguaSpagnola.Dall´Associazione La Cometa ci congratuliamo con Paula per la suaperseveranza e il suo sforzo costante. Siamo molto contenti per lei.Speriamo finirà, anche se piano piano.Volevo condividere questa gioia con tutti voi.

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Buon compleanno ACCOGLIENZA (II)

Il primo editoriale di Madre Aurelia del settembre 1996

Nel 1996 viene eletta a succedere a Madre Elisabetta Longhi, deceduta il 28 febbraio diquell’anno, come Superiora Generale delle Suore Ospedaliere della Misericordia, MadreAurelia Damiani. Spetterà a lei guidare la Congregazione e curare la Rivista Accoglienzache Cresce, pubblicando, di numero in numero, i suoi editoriali. Seguendo la scia inau-gurata nel numero precedente, pubblichiamo di seguito il suo primo editoriale, contenu-to nel numero di settembre del 1996.

Vito Cutro

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Testimonianze 21di Mina Murgese

O ggi giorno mi accorgo che laparola matrimonio fa paura allanuova generazione, forse perché

danno più valore alla parte materiale chespirituale. Il matrimonio è un sacramentoe se viene vissuto pienamente in tutti isuoi lati positivi e negativi, da coppia con-sapevole inizia questo meraviglioso viag-gio in due e con l’aiuto del buon Dio coni bimbi. La vita ci propone quotidiana-mente ostacoli: per superare ciò bisognaessere comprensivi, umili e sapienti pertrovare la felicità che ci viene data da Dio.La sapienza, insieme alla prudenza, ci

insegna a camminare nella giusta direzio-ne del bene, per dare consigli giusti a chisoffre e ha bisogno di noi. Il mio matri-monio è iniziato 33 anni fa e ogni giornoringrazio il buon Dio di avermi donatoquesto meraviglio viaggio con prove, pro-blemi e difficoltà. Mi chiamo Mina e fre-quento l’associazione Teresa Orsini inGravina di Puglia. Da molti anni, grazie atutte le mamme che incontro ogni merco-ledì, ho la possibilità di confrontarmi emettermi in discussione sui tanti problemiche quotidianamente la mia famiglia deveaffrontare. In questa Associazione fondata

da Don Carlo sull’esempio di vita diTeresa Orsini e con tanti collaboratori sicerca ogni settimana di dare il giusto inse-gnamento a noi mamme. A me personal-mente capita che ogni mercoledì portocon me un problema o una situazione cuinon riesco durante la settimana a dare unarisposta, e non so perché il mercoledì hosempre una risposta giusta. Analizzando lavita di Teresa Orsini mi immedesimomolto nelle sue opere di carità; in questonon ci vuole tanto in questo mondo, masi può iniziare dalla famiglia e allargando-si a parenti e amici. Ho imparato che conla preghiera al primo posto della giornatatutto mi sembra più felice e gioioso. Hodue figlie straordinarie ormai grandi. Unadelle due già sposata (32 anni) con unadeliziosa bimba di 15 mesi e l’altra di 25anni. Sin da piccole io con marito abbia-mo cercato di educare i nostri figli consani principi e questi valori affidandocialla Vergine Maria. Essere mamma emoglie oggi è molto difficile, perché cisono, a volte, delle rinunce e doveri darispettare. Se siamo consapevoli di questo,la vita è molto più facile mettendo daparte l’orgoglio, la presunzione e il saperfare tutto. Al centro della nostra vita c’èsolo una parola che ci può guidare sullagiusta via: amore. Ringrazio sempre ilbuon Dio di tutto quello che mi dà, senzapretendere. Posso quindi testimoniare che la mia vitasi ispira all'esempio concreto di TeresaOrsini.

La bellezza delMatrimonio

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Magisteroa cura di Vito Cutro

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Da questo numero proponiamo una serie di catechesi che Papa Francesco, durante le udiente generali, ha tenuto sullaSperanza Cristiana. Questa prima catechesi, tenuta mercoledì 7 dicembre 2016, non si adatta al periodo liturgico che stia-mo ora vivendo; si è deciso, però, di non interrompere il filo logico di papa Francesco, partendo appunto dalla prima dellecatechesi sull’argomento.

La speranza cristiana (Isaia 40: “Consolate, consolate il miopopolo…”)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Iniziamo oggi una nuova serie di cateche-si, sul tema della speranza cristiana. Èmolto importante, perché la speranzanon delude. L’ottimismo delude, la spe-ranza no! Ne abbiamo tanto bisogno, inquesti tempi che appaiono oscuri, in cui avolte ci sentiamo smarriti davanti al malee alla violenza che ci circondano, davantial dolore di tanti nostri fratelli. Ci vuole lasperanza! Ci sentiamo smarriti e ancheun po’ scoraggiati, perché ci troviamoimpotenti e ci sembra che questo buionon debba mai finire.Ma non bisogna lasciare che la speranza ciabbandoni, perché Dio con il suo amorecammina con noi. “Io spero, perché Dioè accanto a me”: questo possiamo dirlotutti noi. Ognuno di noi può dire: “Iospero, ho speranza, perché Dio camminacon me”. Cammina e mi porta per mano.Dio non ci lascia soli. Il Signore Gesù havinto il male e ci ha aperto la strada dellavita.(...)Lasciamoci insegnare dal Signore cosavuol dire sperare.Ascoltiamo quindi le parole della SacraScrittura, iniziando con il profeta Isaia, ilgrande profeta dell’Avvento, il grandemessaggero della speranza. Nella secondaparte del suo libro, Isaia si rivolge al popo-lo con un annuncio di consolazione:«Consolate, consolate il mio popolo –dice il vostro Dio. Parlate al cuore di

Gerusalemme e gridatele che la sua tribo-lazione è compiuta, la sua colpa è sconta-ta (…)».Una voce grida:«Nel deserto preparate la via al Signore,spianate nella steppa la strada per il nostroDio.Ogni valle sia innalzata,ogni monte e ogni colle siano abbassati;il terreno accidentato si trasformi in pianoe quello scosceso in vallata.Allora si rivelerà la gloria del Signoree tutti gli uomini insieme la vedranno,perché la bocca del Signore ha parlato»(40,1-2.3-5).Dio Padre consola suscitando consolatori,a cui chiede di rincuorare il popolo, i suoifigli, annunciando che è finita la tribola-zione, è finito il dolore, e il peccato è statoperdonato. È questo che guarisce il cuoreafflitto e spaventato. Perciò il profeta chie-de di preparare la via al Signore, aprendo-si ai suoi doni e alla sua salvezza.La consolazione, per il popolo, cominciacon la possibilità di camminare sulla via diDio, una via nuova, raddrizzata e percor-ribile, una via da approntare nel deserto,così da poterlo attraversare e ritornare inpatria. Perché il popolo a cui il profeta sirivolge stava vivendo la tragedia dell’esilioa Babilonia, e adesso invece si sente direche potrà tornare nella sua terra, attraver-so una strada resa comoda e larga, senzavalli e montagne che rendono faticoso ilcammino, una strada spianata nel deserto.Preparare quella strada vuol dire dunquepreparare un cammino di salvezza e diliberazione da ogni ostacolo e inciampo.

L’esilio era stato un momento drammati-co nella storia di Israele, quando il popoloaveva perso tutto. Il popolo aveva perso lapatria, la libertà, la dignità, e anche lafiducia in Dio. Si sentiva abbandonato esenza speranza. Invece, ecco l’appello delprofeta che riapre il cuore alla fede. Ildeserto è un luogo in cui è difficile vivere,ma proprio lì ora si potrà camminare pertornare non solo in patria, ma tornare aDio, e tornare a sperare e sorridere.Quando noi siamo nel buio, nelle diffi-coltà non viene il sorriso, ed è proprio lasperanza che ci insegna a sorridere pertrovare quella strada che conduce a Dio.Una delle prime cose che accadono allepersone che si staccano da Dio è che sonopersone senza sorriso. Forse sono capacidi fare una grande risata, ne fanno unadietro l’altra, una battuta, una risata …ma manca il sorriso! Il sorriso lo dà soltan-to la speranza: è il sorriso della speranza ditrovare Dio.La vita è spesso un deserto, è difficilecamminare dentro la vita, ma se ci affi-diamo a Dio può diventare bella e largacome un’autostrada. Basta non perderemai la speranza, basta continuare a crede-re, sempre, nonostante tutto. Quandonoi ci troviamo davanti ad un bambino,forse possiamo avere tanti problemi etante difficoltà, ma ci viene da dentro ilsorriso, perché ci troviamo davanti allasperanza: un bambino è una speranza! Ecosì dobbiamo saper vedere nella vita ilcammino della speranza che ci porta a tro-vare Dio, Dio che si è fatto Bambino pernoi. E ci farà sorridere, ci darà tutto!

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Proprio queste parole di Isaia vengono poiusate da Giovanni il Battista nella sua pre-dicazione che invitava alla conversione.Diceva così: «Voce di uno che grida neldeserto: preparate la via del Signore» (Mt3,3). È una voce che grida dove sembrache nessuno possa ascoltare - ma chi puòascoltare nel deserto? - che grida nellosmarrimento dovuto alla crisi di fede. Noinon possiamo negare che il mondo dioggi è in crisi di fede. Si dice “Io credo inDio, sono cristiano” – “Io sono di quellareligione…”. Ma la tua vita è ben lonta-na dall’essere cristiano; è ben lontana daDio! La religione, la fede è caduta in unaespressione: “Io credo?” – “Sì!”. Ma quisi tratta di tornare a Dio, convertire ilcuore a Dio e andare per questa stradaper trovarlo. Lui ci aspetta. Questa è la

predicazione di Giovanni Battista: prepa-rare. Preparare l’incontro con questoBambino che ci ridonerà il sorriso. GliIsraeliti, quando il Battista annuncia lavenuta di Gesù, è come se fossero ancorain esilio, perché sono sotto la dominazio-ne romana, che li rende stranieri nella lorostessa patria, governati da occupantipotenti che decidono delle loro vite. Ma lavera storia non è quella fatta dai potenti,bensì quella fatta da Dio insieme con isuoi piccoli. La vera storia – quella cherimarrà nell’eternità – è quella che scriveDio con i suoi piccoli: Dio con Maria, Diocon Gesù, Dio con Giuseppe, Dio con ipiccoli. Quei piccoli e semplici che trovia-mo intorno a Gesù che nasce: Zaccaria edElisabetta, anziani e segnati dalla sterilità,Maria, giovane ragazza vergine promessa

sposa a Giuseppe, i pastori, che eranodisprezzati e non contavano nulla. Sono ipiccoli, resi grandi dalla loro fede, i pic-coli che sanno continuare a sperare. E lasperanza è la virtù dei piccoli.I grandi, i soddisfatti non conoscono lasperanza; non sanno cosa sia. Sono loro ipiccoli con Dio, con Gesù che trasforma-no il deserto dell’esilio, della solitudinedisperata, della sofferenza, in una stradapiana su cui camminare per andareincontro alla gloria del Signore. E arrivia-mo al dunque: lasciamoci insegnare lasperanza. Attendiamo fiduciosi la venutadel Signore, e qualunque sia il desertodelle nostre vite - ognuno sa in qualedeserto cammina - diventerà un giardinofiorito. La speranza non delude!

(continua)

Magistero 23

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La Comunicazionedi Giacomo Giuliani

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MISERICORDIA E ADOZIONE

D i adozione si è sempre parlato. Sene continuerà a parlare soprattuttoalla luce delle tragedie umanitarie

che ancora oggi flagellano le nostre societànel mondo. Le prime vittime innocenti?Purtroppo come sempre i bambini. Tanteparole come sempre cadute nel dimenticato-io che in termini di risultati hanno portato apoco o nulla. La politiche e le istituzioniancora oggi, a seguito di polemiche e ritardiche da sempre contraddistinguono questotortuoso, a dir poco, percorso, sembranoincapaci di rendere più semplice e menocostoso l'ter complessivo che caratterizzal’adozione, nazionale o internazionale chesia. Un percorso che non ha nulla a chevedere con la biologia e la maternità cosidetta tradizionale, ma che ne conserva lamedesima importanza. Piuttosto è un attoche ha molto, secondo la Chiesa, a che farecon la generosità e la misericordia. Ci sono decisioni infatti che cambiano com-pletamente il corso della nostra vita. E que-sta è decisamente una di quelle. L’adozione èuna di quelle decisioni fondamentali cheprovocano un turbine di sentimenti, di illu-sioni, di pensieri e di speranze cambiandoradicalmente il senso della propria vita. Dareil definitivo assenso alla scelta di adottare unbambino agita, proprio come quando si hatra le mani un test di gravidanza positivo.Un momento memorabile, indescrivibile esublime della nostra vita. Un momento incui l’amore trabocca, perché non c’è gioiapiù grande. Un momento in cui non ci sono

parole adatte per descrivere un tale miraco-lo. Dare infatti una mamma e un papà a unbimbo o una bimba che, per una serie diragioni ne è privo è una delle sensazioni piùbelle e forti emotivamente che si possanoaffrontare nel corso della propria vita. Diquesto bisogna essere pienamente consape-voli, al di la delle difficoltà innumerevoli chesi incontrano lungo il percorso.Nella storia di un bambino adottabile non cisono persone cattive ma solo storie tristi carat-terizzate da povertà, droga o impossibilità diprendersi cura del proprio figlio. Perché non ècattiva la donna che non si è potuta prenderecura del proprio bambino, non è cattiva quel-la donna che dopo il quarto o quinto figlio, hadeciso di darlo in adozione, non è cattiva ladonna che non ha avuto risorse per mantener-lo, non è cattiva la donna che è stata violenta-ta, non è, non è cattiva la donna che è stataabbandonata e si trova nell’impossibilità diprendersi cura del proprio figlio.Qui non c’è alcun cattivo, qui ci sono solodonne di coraggio. Ci sono persone chehanno deciso di dare la possibilità a questapiccola creatura di nascere, di essere parte diuna famiglia, di vedere la luce del giorno, disentire il calore del sole e la brezza del vento,di correre, di giocare, di urlare e di riempir-si la faccia di cioccolato. Donne di coraggio,di amore, di gentilezza. Ce un prima e un dopo, nella vita di unadonna o in quella di un uomo e il discrimi-ne è proprio quando si decide di mettere sufamiglia, diventando genitori. Un vero

padre non è colui che ha dato il nome albambino e poi l’ha abbandonato, non èquello che lo va a trovare solo nei giornifestivi o ogni volta che ha tempo.Un vero padre è colui che dedica tutta la suavita al piccolo, anche se geneticamente non loha generato lui. Un padre che riesce a tran-quillizzare il bambino di notte, a salvarlo daisuoi incubi, a mostrargli come allacciare lescarpe, a rimproverarlo con amore, ad asciu-gargli le lacrime e anche a farlo ridere. Un veropadre non lo fa qualche volta, lo fa sempre.L'adozione non è un dono soltanto per ilbambino, che ora può essere parte di unafamiglia ma un dono per ogni membro chevi fa parte. Per i genitori, che realizzano illoro sogno, un qualcosa di incomparabile eindescrivibile. Proprio per questo adottareun bambino è il segno dell’amore e della piùgrande misericordia.Nella sua gratitudine e generosità, secondopapa Francesco, l'adozione è un segno dellachiara comprensione del messaggio di GesùCristo, che riversa il suo amore per i bambi-ni e li accoglie con gioia e bontà. Queste parole dovrebbero farci riflettere.Dovrebbero far riflettere tutti, in specialmodo, chi avrebbe la possibilità di renderequesto sogno e questo atto di misericordiapiù fattibile e meno complesso. Ricordiamoche per quanto riguarda il nostro Paese, ilnumero delle adozioni è in costante calo,oramai da anni.Ma di questo nessuno sembra preoccupar-sene!

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Generazioni a confrontodi Cristina Allodi

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LA SOLITUDINENon si è mai soli se non si perde di vista il proprio sé

C’ è un insidiosissimo compagno diviaggio che prima o poi ognunodi noi incontra nella propria

vita, a prescindere dal bagaglio culturale, dalceto sociale o dall’età anagrafica: è il senso disolitudine. E non c’è sensazione più desta-bilizzante del sentirsi soli in mezzo aglialtri. Difficilmente, infatti, si è soli nel verosenso del termine: che si abiti in una grandecittà oppure in un piccolo centro, le intera-zioni sono all’ordine del giorno; per esigenzelavorative, parentali, o per via delle normaliattività quotidiane, incontriamo e parliamocon diverse persone. Ma molto spesso questeinterazioni rimangono asettiche, assoluta-mente impersonali, oppure possono addirit-tura rimarcare un vuoto difficilmente col-mabile in quanto derivante da un mancatocontatto con sé stessi…“A volte mi sembra di essere trasparente.Cammini per strada, nessuno ti considera,nessuno si accorge se hai una lacrima chescende, o forse non gliene importa niente…se neanche i familiari si accorgono di te, chesi può pretendere dagli estranei? D’altra parte,si sa, una donna della mia età non è più utilea nessuno…” – Dice la signora Aurelia, 65anni, durante un percorso di counselingche ha come obiettivo il superamento delsenso di solitudine“Sì, lo so, con i miei genitori non ho un buonrapporto e spesso abbiamo degli scontri. È chemi chiedono le cose come se volessero indaga-re, non li sento veramente interessati ame… e allora io reagisco male, lo riconosco,ma loro proprio non capiscono che ormainon sono più un ragazzino e che voglio viverela vita che voglio” – Dice Andrea, 18 anni,studente di terza liceo classico, durante una

chiacchierata nell’ambito di un progetto dicounseling ad orientamento universitarioe/o post scolastico.Sia Aurelia che Andrea convivono con ilsuddetto insidiosissimo senso di solitudine.La sensazione di non essere (importante)per nessuno, che pervade la signora Aurelia,è sovrapponibile al non sentirsi veramentecapito di Andrea. L’ultrasessantenne cheormai pensa che alla sua età non sia piùutile a nessuno (!) in realtà vorrebbe tantomostrare al mondo quello che è diventatagrazie alla sua esperienza di vita, quello cheè adesso. Il ragazzo che si sente messo sottoesame, non solo a scuola ma anche in fami-glia, è un giovane uomo che vorrebbe tantoessere riconosciuto per quello che è diven-tato, non più soltanto “figlio” ma semplice-mente e pienamente sé stesso. Noi tuttivogliamo esserci, per quello che veramen-te siamo qui ed ora, e non per come glialtri ci hanno conosciuto in un tempo chenon è più, né unicamente nel ruolo in cuiqualcun altro ci vorrebbe tenere incasellati.Ognuno vorrebbe essere ri-conosciuto.Ecco perché troppo spesso il senso di soli-tudine diventa l’insidioso compagno dellenostre giornate: ci sentiamo guardati, manon visti. Andiamo avanti nella vita con lasensazione che chi ci è a fianco procedacon noi, ma non insieme a noi. E, se è veroche ognuno di noi deve perseguire la pro-pria strada, che è solo sua nella propriaunicità e peculiarità, è anche vero che tuttiabbiamo bisogno di rispecchiarci negli altriper ritrovare in loro il riconoscimento dellanostra stessa esistenza nel mondo. La signora Aurelia, come tanti altri che pro-vano il suo stesso senso di non essere (utile)

per nessuno, deve anzitutto acquisire laconsapevolezza di essere una persona cheha ancora tanto da fare e da offrire adesso,nel qui ed ora; soltanto così riuscirebbe asentire - in primis dentro di sé - che per glialtri lei “c’è”, indipendentemente se allostato attuale qualcuno ha o meno bisognodi lei. E se Andrea, come tutti gli adole-scenti del mondo, mettesse per un attimoin secondo piano la pretesa infantile diessere soltanto capito e cercasse di com-prendere - lui per primo - le difficoltà chepossono avere i genitori nel rapportarsi alui, non più solo come al ragazzo-figlio macome ad un giovane uomo che sta sempli-cemente cercando di trovare la sua stradanella vita, allora riuscirebbe a trovare lamodalità giusta per farsi capire. E quandoci si sa far capire, ci si sente finalmentecompresi.Jean-Paul Sartre, filosofo esistenzialista cherifiutò il premio Nobel per la Letteratura,disse che “Se sei triste quando sei da solo pro-babilmente sei in cattiva compagnia”…Ecco, questa sua considerazione corrispon-de ad una grande verità, sempre attuale euniversale; l’autostima, la fiducia nel pro-prio valore, lungi dall’essere pura autoesal-tazione egoica, è il seme da cui nasce unrapporto con gli altri più autentico e sano,proprio in quanto scevro da utopisticheaspettative di ricevere in cambio ciò chesoltanto noi possiamo e dobbiamo avercura di dare a noi stessi. La consapevolezzadel nostro valore dà un senso al nostro esi-stere nel mondo; perché noi siamo cosìcome siamo in questo momento, mai solima in continua interconnessione gli unicon gli altri.

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S cendono sorridenti dal pulmino.Sono partite alle quattro del mattinoda Antananarivo… si sono riunite

qui dalle diverse sedi del paese che levedono impegnate: le quattordici ore diviaggio non sembrano aver lasciato alcunsegno sui loro volti. Ne riconosco la mag-gior parte e d’un tratto è come se mi tro-vassi a sfogliare un album di fotografie;rivedo così scorrermi davanti agli occhi, inordine casuale, i miei quattordici anni dimissioni in Madagascar. Le abbraccio unaad una: a tratti ho qualche incertezza nelrammentarne il nome, ma spesso l’alter-narsi, secondo l’uso locale, dello scambiodi tre baci sulle guance da il tempo dirimuovere qualche scoria depositatasi suitanti ricordi; quando poi questo gesto nonsi rivela sufficiente l’aggiunta di pochesemplici parole fa tornare alla mente, perognuna di loro, momenti, episodi o aned-doti che ci hanno accomunato. È vera-mente per me un’occasione unica che mi faprendere atto che la mobilità cui questesuore sono sistematicamente sottopostesecondo le esigenze della loro congregazio-ne mi ha consentito di conoscerne moltedi più di quanto i miei soggiorni, limitatialla sede dell’ospedale di Henintsoa e aibrevi transiti nella loro casa generale adAntananarivo, avrebbero concesso.Ne arrivano in tutto quarantasei, in duetornate: tra di loro, oltre alle professe,molte novizie, diverse postulanti e alcuneaspiranti. Le ha portate qui un eventoveramente eccezionale per il piccolo vil-laggio di Vohipeno presso il quale ha sedel’ospedale: il 15 aprile è stata celebrata labeatificazione del martire LucienBotovasoa, un maestro elementare del vil-laggio, catechista e terziario francescano,ucciso perché cristiano nel periodo di per-

secuzioni che accompagnò nel 1947 lelotte per l’indipendenza del Madagascar.

Io ero arrivato a Henintsoa subito dopoPasqua insieme a cinque colleghi tra cuimia moglie: un’équipe decisamente nutritarispetto agli standard abituali, predisposta,in accordo con suor Lea, per metterel’ospedale in condizione di far fronte almeglio, nel limite delle sue possibilità, adogni occorrenza sanitaria in coincidenzacon un evento che ha visto affluire da tuttoil Madagascar circa cinquantamila personein un villaggio di cinquemila abitanti.Per fortuna il nostro lavoro si è limitato inquei giorni solo a pochi piccoli interventidi pronto soccorso. Sia la cerimonia chetutte le tante iniziative collaterali si sono,infatti, svolte in perfetto ordine grazieall’ottima organizzazione predisposta, conla collaborazione di suor Lea, da PadreEmerico, il Lazzarista responsabile del vil-laggio per la riabilitazione degli handicap-pati che sorge a poca distanza dall’ospeda-le. È stato lui, in compenso, l’unico apagare un prezzo all’intenso afflusso dipersone: il pomeriggio prima della cele-brazione, urtato dalla folla di curiosi che siaggiravano tra le strutture allestite, eracaduto procurandosi una dolorosa lussa-zione della spalla sinistra che abbiamodovuto ridurre in narcosi.

Scendono sorridenti dal pulmino. Sono parti-te alle quattro del mattino daAntananarivo… Al vederle e a veder rie-mergere tanti ricordi rimasti sotto la super-ficie di quelli che ho descritto nel mio“Mani buone… per l’Africa” torna il desi-derio di condividerli: la consapevolezzache, per farlo, dovrei porre mano ad unaseconda serie di racconti mette un provvi-

denziale freno a questa tentazione, mi limi-terò pertanto solo a qualche pennellata.Ho già avuto modo di esprimere nel miolibro la mia sentita ammirazione per lecaratteristiche che traspaiono nel vedereall’opera le donne che, nel contesto dellaloro vocazione religiosa, hanno scelto didedicare la loro vita all’accoglienza miseri-cordiosa degli ultimi mettendosi a dispo-sizione con semplicità, dedizione e com-petenza, senza distinzione per il tipo dibisogni che si presentano ai loro occhi,restando aperte a qualunque occasione diapprendimento per rendere sempre piùefficace e appropriata la loro azione.Voglio qui provare a descrivere per imma-gini alcuni dei tanti piccoli gesti o episodidi cui sono stato testimone, che hannogenerato nel tempo questa mia convinzio-ne: sono conscio della apparente povertàdelle argomentazioni, per questo, nel deli-neare i soggetti delle azioni descritte, neltentativo di rafforzarne in qualche modo itratti e renderli più vicini alla percezionecomune, non parlerò di suore, ma di“semplici” donne.Mi è sempre rimasta impressa, tra i ricor-di del primo impatto con Henintsoa, lafigura della donna, che, mettendo a dispo-sizione la sua ottima predisposizione spe-cifica, preparava i pasti per l’intera comu-nità, per i medici ospitati e per gli amma-lati: svolgeva con amore questa onerosaincombenza in affiancamento a quellanon certo più leggera del ruolo diSuperiora della Comunità.Seduta in terra sotto il portico, in prossi-mità del locale dove ci rechiamo per con-sumare i pasti, affiancata da alcuni bambi-ni, una donna vagliava quotidianamente lagrande quantità di riso, alimento base irri-nunciabile dei malgasci, destinata a sfama-

Le donne della Misericordia

di Leonardo Lucarini

Medico in Missione26

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Medico in Missione 27

re i pazienti e le consorelle: un’occupazio-ne umile e monotona che non le impedi-va di prestare prontamente, al bisogno, lasua opera di tecnica di radiologia.La donna che in tante occasioni, in salaoperatoria al mio fianco, in assenza dellamia strumentista di fiducia, si è rivelatauna efficace, empatica ed instancabile col-laboratrice, capace di intuire e talvolta pre-venire le necessità del momento, ha dimo-strato in altre circostanze la sua invidiabi-le capacità di pilota alla guida di vecchitrabiccoli su ineffabili piste stravolte dalleabbondanti precipitazioni stagionali:anche questa una dote da non sottovaluta-re in rapporto alle occorrenze edalle condizioni ambientalilocali.Al termine di un miosoggiorno ho vistocon stupore unpaziente, chealcune settima-ne prima unictus avevareso paraple-gico, raggiun-gere sulle suegambe, purancora incerto,la palestra del-l’ospedale. Era ilfrutto evidente delladedizione e dell’impe-gno di una donna che, inaffiancamento alle abitualimansioni sanitarie di sua specifica com-petenza, si era avvalsa nel tempo degliinsegnamenti dei vari fisioterapisti avvi-cendatisi in missione presso l’ospedale. Iostesso che, in diverse occasioni, uscendocon la schiena a pezzi, dolorante e contor-to, da qualche intervento più impegnati-vo, avevo chiesto, se presente, l’aiuto di unfisioterapista, ho potuto nel corso di quel-la mia missione sperimentare la sua abili-tà. Le indispensabili quattro mani in più didue donne, infermiere inesperte di tavolooperatorio, si misero, pur giustificatamen-te riluttanti, docilmente a disposizione perconsentirmi di portare a termine con suc-cesso una complessa splenectomia d’ur-

genza su di un grave politraumatizzatotoraco-addominale, mentre l’unico altromedico presente in sala si occupava del-l’anestesia e del mantenimento dei para-

metri vitali senza alcuna disponibilità disangue da trasfondere.Quando, non senza una certa emozione,aiutato da una donna, studentessa inmedicina, portai alla luce con il mioprimo cesareo l’Immaculée di uno deimiei racconti, mi fu di inaspettato confor-to scoprire, al momento della divaricazio-

ne dei muscoli retti, che le mani che avevodi fronte avevano già vissuto un’esperienzaanaloga: la carta d’identità di una studen-tessa alacre. La donna che ho frequentato più di tutte lealtre, quella che, sapendomi chirurgo e

non ostetrico, mi accolse la primavolta a Henintsoa dicendomi:

“Benvenuto! Possiamo dire chesi possono fare dei cesarei?”,

l’unica persona che, mossa apreoccupazione per la mianon consapevole stanchez-za, sia riuscita a farmi usci-re dalla sala operatoria nelcorso di un intervento peroffrirmi una tazza di te, èla dimostrazione vivente

che nessuno è perfetto:instancabile, irrefrenabile,

capace di porre attenzionecontemporaneamente a più cose

e di farne almeno altrettante…non sa o non vuole guidare l’auto.

Ho anche avuto momenti di puro,innocente divertimento con tante

di queste donne, quando inqualche occasione, approfit-

tando della pausa domeni-cale, abbiamo raggiuntoassieme, équipe e suore,le spiagge dell’oceanoe, disposti in cerchioin un tratto pianeg-giante, abbiamo gio-cato a lanciarci la pallautilizzando allo scopouna noce di cocco: l’at-

mosfera giocosa si èrivelata una sorprendente

“traduzione” in stiletempo-libero del clima sere-

no e dell’affiatamento con ilquale si lavora a Henintsoa.

Quelli citati sono soltanto esempi deitantissimi momenti che hanno alimentatonel corso degli anni la stima e l’affetto chenutro per tutte queste donne e che mi lega-no intimamente allo spirito che anima laloro azione, quello Spirito che permetteloro, una ad una, di “servire” al megliovivendo la scelta confortante, ma non faci-le, di una vita religiosa comunitaria.

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di Concita De Simone

La famiglia di oggi28

DISABILITÀ COME OPPORTUNITÀ DI VITA PIENA

La testimonianza della famiglia Ruvolo

C ome si vive a tempi di oggi inuna famiglia dove irrompe,all’improvviso, la disabilità?

Ce lo racconta, in modo alquantospiazzante, Alessandro Ruvolo, 52anni, gestore di un centro sportivo

polivalente in provincia di Roma, checondivide insieme alla moglie unagrande fede e insieme collaborano convari sacerdoti di Roma nell’evangeliz-zazione.La nostra famiglia ha una composizio-

ne abbastanza “variegata”: ci siamo noigenitori Claudia e Alessandro, sposatida 20 anni; le figlie naturali Daniela(19 anni), Alessia (17), Sara (14), unafiglia adottata alla nascita di nomeManuela (9 anni) e da quasi 5 anni

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La famiglia di oggi 29

nella nostra casa c’è anche una ragazzadi 16 anni in affidamento, Angelica.Viviamo a Roma in una casa che,come si può capire dai nomi, è a forteprevalenza femminile: di certo non c’èmolto tempo per annoiarsi, e soprat-tutto non mancano spazzole, bambolee scarpe da donna di ogni misura!Purtroppo (ora è il papà che scrive)cominciano ad aumentare a dismisurai vari tipi di trucco….Volentieri vi raccontiamo in questepoche righe la nostra esperienza legataproprio alla più piccola: fu abbando-nata alla nascita per via della suamalattia, la Leucomalacia Periven-tricolare Cistica. Si tratta di una pato-logia conseguente ad emorragia prena-tale che ha causato una paralisi cere-brale infantile con danni alla cortecciain varie parti, in particolare dellasostanza bianca. Questo evento hareso impossibile alla nascita una dia-gnosi precisa sugli esiti successivi inmerito a capacità motorie ed intelletti-ve, proprio per la vasta e disordinatalocalizzazione dei danni: di fatto finoai 2 anni i medici hanno potuto espri-mere soltanto ipotesi sulla salute diManuela.Gli esiti odierni consistono in unatetraparesi da ipertono con difficoltàmotorie, soprattutto agli arti inferioridove il controllo volontario è minimo;quelli superiori vanno un pochinomeglio, mentre il controllo del busto edella posizione seduta sono ancorainsufficienti. Risulta ad oggi assai improbabile chepossa in futuro camminare da sola,forse con l’aiuto di ausilii specificiqualcosa si potrà fare; dal punto divista cognitivo invece il suo ritardo èmolto più contenuto ed i progressisono all’ordine del giorno, “complici”le sorelle e l’entrata nel mondo scola-stico: in particolare Manu sta diven-

tando sempre più brava nello scriverecol PC, tanto che ha iniziato a scrive-re...un libro! Di sue storie fantasiose,ma pur sempre un libro.Cosa ha significato l’entrata diManuela nella nostra vita? Tantecose, tutte sorprendenti: forse proprioperché i medici non potevano sbilan-ciarsi siamo partiti senza aspettarcinulla, prendendo ogni piccolo pro-gresso come un Dono. Certamente lavita di famiglia, già abbastanza com-plicata con 3 figlie, ci è stata stravol-ta: ma in una forma molto più belladi prima! Molto impegnativa, soprat-tutto i primi 2 anni quando pratica-mente ogni mattina c’era una visita inun qualche ospedale del Lazio; eppuremolto più piena di gioia, di “peso spe-cifico”. Quello che più ci commuove da geni-tori è il vedere come davvero Mimmi(questo il soprannome datole dallesorelle) sia fusa completamente nellanostra famiglia, sin dal primo giorno:ogni tanto qualcuno ci ricorda chel’abbiamo adottata, fosse per noil’avremmo già dimenticato per quan-to è naturale e preziosa la sua presen-za, allegra e pur piena di senso dellavita. Ecco, c’insegna tantissimo, ogni gior-no: le nostre figlie stanno imparandoquanto sia ricco il donarsi, che appa-rentemente sembra un DARE ma inrealtà è RICEVERE, noi genitoriveniamo continuamente ridimensio-nati nelle nostre frenesie (e fesserie) diogni giorno; e chiunque viene in con-tatto con lei ci testimonia come già lasola sua presenza sia fonte di pace: ina-spettatamente per via della sua condi-zione, in realtà proprio in forza dellasua disabilità che testimonia quanto lavita sia molto più preziosa di quel chei parametri di “benessere” propostioggi dalla nostra società vorrebbero

indicarci come “vita che vale la penadi essere vissuta oppure no”. E bene-detta sia la donna che, per motivi chesolo Dio conosce, ha comunque resi-stito al “ragionevole” suggerimento(che qualcuno le avrà probabilmentedato) di abortire: ha dato alla bambi-na la cosa più preziosa che poteva, lavita!Molti, ogni giorno, ci chiedono: “Macome vi è venuto in mente di pren-dere in adozione una bimba disabi-le?”, tra ammirazione e sguardo deltipo “QUESTISONOFUORIDITE-STA”. Sveliamo un piccolo segreto:non siamo stati né bravi né buoni;semplicemente …. FURBI! Abbiamoinfatti creduto all’intuizione di quelmomento quando è comparsa nellanostra vita, non cercata, la sua storia:che in questa bimba cioè ci fosseronascoste per noi tutti tante Grazie diDio. A pensarci oggi anzi dobbiamoammettere di aver sbagliato la previ-sione, ma in difetto: infatti molto dipiù di quanto osassimo sognare all’ini-zio ci è stato Donato, ed ogni giornoci è sempre più evidente come questavita terrena acquisti il suo vero sensospendendosi.Ed oggi non possiamo tacere sul fattoche la “disgrazia” (il termine più usatoin questi casi) di una disabilità puòdiventare un’opportunità di VitaPiena, non comprensibile per chi lavive dal di fuori; impossibile a dirsiper noi solo qualche anno fa. Nostra figlia è una disabile, lo sarà pertutta la vita: eppure non abbiamo maiconosciuto una persona più piena diallegria, di pace, di serenità di lei.Nessuna più seducente, perché attraeverso Dio e non verso se stessa: nonconosciamo un uso migliore del pro-prio corpo in questa vita, quantedonne dovrebbero scoprirlo!

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Storie di accoglienza30di Concita De Simone

Dalla strada alla speranzaFamiglia accoglie in casa ex prostituta

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A ngela (nome di fantasia) èuna ragazza nigeriana pocopiù che ventenne, con una

storia molto simile, purtroppo, aquella di tante connazionali che con-tinuano ad arrivare nel nostro Paeseilluse dalla prospettiva di un futuromigliore, che diventa solo la tristerealtà delle vittime della tratta.

Secondo l’Organizzazione mondialeper le migrazioni (Oim) circa l’80%delle migranti – moltissime arrivanodalla Nigeria e tante, tra queste, sonominorenni- arrivate via mare nel2016 (dati più aggiornati non cisono ancora, ma il fenomeno anchenel 2017 è di dimensioni preoccu-panti) è probabile vittima di trattadestinata allo sfruttamento sessualein Italia e in altri paesi dell’UnioneEuropea. Quella di Angela è una storia dram-matica. Scappata dalla povertà dellaNigeria, è arrivata a Lampedusa conun barcone, poi è finita in un centrodi accoglienza a Lucca. Da qui è arri-vata a Roma con l’inganno. Le ave-vano promesso un lavoro come par-rucchiera, si è ritrovata sulla strada.Poi è scappata, ha tentato di ritorna-re nel centro di accoglienza a Luccama invano. Alla fine è arrivata aMilano. In una parrocchia ha cono-sciuto una famiglia che l’ha messa incontatto con l’associazione PapaGiovanni XXIII. L’Associazione Papa Giovanni XXIIIè stata fondata da don Oreste Benzi(1925 – 2007), che fin dai primi anni‘90 ha dato inizio all’esperienza della“condivisione di strada”: gruppi dicontatto che incontrano le donnecostrette a prostituirsi in strada perproporre loro, una volta instauratoun rapporto di fiducia, una viad’uscita, ovvero l’accoglienza in unastruttura comunitaria.Ed è così che la storia di Angela smet-te di essere come le altre. Grazie alla“Papa Giovanni XXIII” infatti, cono-sce Alessandro, un volontario moltocoraggioso che le offre una nuovafamiglia e l’aiuta a superare i traumidel passato.Quando Alessandro inizia a fare il

volontario, rimane scioccato dallecondizioni di schiavitù delle giovaninigeriane e decide di impegnarsi inprima persona, non solo parlandocon le ragazze schiave per strada, mamettendo la propria casa a disposizio-ne di queste vittime di tratta.Una scelta coraggiosa, tanto più cheAlessandro e la moglie Claudiahanno già tre figlie piccole, Virginia,Lavinia, Lucrezia. Con loro, da più diun anno, vive anche Angela, che èriuscita a lasciare la strada ed ora hasicuramente una vita più dignitosa.Vivono a Pelago, nelle campagneintorno a Firenze. RaccontaAlessandro: “È una ragazzina timidae dolce, ancora sofferente per il suopassato. Trascorre in silenzio interegiornate, spesso non vuole usciredalla camera da letto”, quella grandecamera che divide con le sue nuovetre sorelle. Claudia e Alessandrofanno di tutto per farla sentire infamiglia. Vanno al mare, in monta-gna. Cucinano tutti insieme, impara-no a preparare i piatti della cucinanigeriana. Per stare più vicino allafamiglia, Claudia ha addiritturalasciato il suo lavoro come grafica.Alessandro continua a lavorare nellasua autofficina. Angela sta ricostruendo pian piano lasua vita, ha cominciato a fare la par-rucchiera, facendo le treccine agliamici di famiglia. Così guadagnaqualcosa da mandare a casa, dove hadue figli che vorrebbe rivedere. E poiva a scuola, al centro studi GiorgioLa Pira. Prende il treno tre volte allasettimana, da Pelago verso Firenze.Impara l’italiano, impara la nostracultura. Cerca di essere felice e dice:“Ho trovato la mia nuova famiglia,resterò con loro finché non misposo”.

31Storie di accoglienza

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N ella galleria di dolci dedica-ti ai Santi, non potevamancare qualcosa per San

Gennaro, il patrono di Napoli, la cuifesta ricorre il 19 settembre, giorno incui il santo fu martirizzato e in cuiogni anno ormai i napoletani atten-dono il miracolo della liquefazionedel sangue. Negli anni i pasticceri delcapoluogo partenopeo non hannofatto mancare la loro fantasia pernumerose ricette dedicate a SanGennaro, ma quella più anti-ca è attribuita alle suoreFiglie Della Carità. Sitratta di biscotti allimone, conosciuticome “sangennari-ni”. Una manciatadi ingredienti sem-plici, un profumodelizioso, una ricettasemplice- semplice.

Ingredienti: 200 g. di farina, 60 g. dizucchero, 2 uova, 40 g. di tuorli,scorza di limone grattugiata, cannel-la in polvere.

Procedimento: Montate le uova e ituorli con lo zucchero, il limone e lacannella fino a ottenere un compo-sto molto spumoso. Setacciate lafarina e aggiungetela gradualmente,mescolando con delicatezza con unaspatola, dal basso verso l'alto, per

non smontare il composto. Conl'aiuto di un sac à poche, formate, suuna placca ricoperta di carta forno,delle noci di impasto del diametro dicirca 5 cm. Preriscaldate il forno a160° e cuocete i dolcetti per 7-8minuti.

La tradizioneNel giorno di San Gennaro, il 19 set-tembre, le suore dell’ospedale “San

Gennaro ‘e Povere” di Napoli, nelquartiere Sanità, distribuivano ai

malati un dolce che chiamavano “’odolce ‘e San Gennaro”, una sorta dibiscotto all’uovo e al limone moltomorbido, adatto anche per chi nonaveva i denti. Un tempo a Napoli gli ospedalivenivano ospitati in vecchi conventiod antichi monasteri, e gestiti da variordini monastici, fino a che non fuintrodotto il sistema SanitarioNazionale. Tra gli ordini più famosi,c’erano le Figlie Della Carità: suoreche indossavano un abito blu con unampio copricapo bianco, che si dedi-cavano soprattutto all’assistenzadegli ammalati.

‘O Dolce ‘eSan Gennaro

32 Sapori Divini

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È il titolo del volume curato dalnostro Direttore responsabile conl’aiuto di un giovane presbitero

polacco appartenente alla Congregazionedella Piccola Opera della DivinaProvvidenza – Opera don Orione: PadreMichal Tadeusz Szwemin.Il Card. Walter Kasper che, oltre a scrive-re la Prefazione del libro, lo ha anche pre-sentato in una affollata sala presso laParrocchia di Ognissanti in Roma, ha, tral’altro affermato: “Possiamo soltanto ammi-rare il Sig. Vito Cutro e Padre MichalTadeusz Szwemin. Possiamo congratularcicon loro e essere grati per essere riusciti amettere insieme una grande quantità di testiutili e interessanti. Apprezzando e ringra-ziando, esprimo un modesto augurio: chequesto libro trovi, in questo disorientatomondo senza il padre, lettori sia giovaniche anziani, affinché vedano un nuovoscopo verso il quale si dirigeranno confiducia, coraggio, speranza e, grazie a que-sto, diventeranno liberi Figli di Dio”.Il volume è frutto del fatto che il nostroDirettore responsabile, che da anni cura laRubrica “Uno sguardo ai Padri” su questaRivista, si è dedicato da molto ad un loroapprofondimento appassionato.

Partendo dall’assunto che c’è un buonritorno alla lettura dei Padri, soprattuttoda parte di molti giovani laici, ed anchenon più giovani, il volume, attraverso lecinque parti in cui si articola, propone lalettura di circa 160 brani tratti da più ditrenta autori, sia orientali che occidentali:da S. Agostino a Doroteo di Gaza, daGiovanni Climaco a GiovanniCrisostomo, da Giovanni Damasceno aGregorio Nazianzeno a Tertulliano.

Conclude il volume una puntuale bio-grafia degli autori nonché unaricca ed approfondita bibliogra-fia.Vito Cutro ha voluto inserire traquelli accennati e gli altri, anchealcuni brani tratti dagli scrittidel Card. Thomas Spidlik,morto nel 2010, per molti anniDirettore Spirituale del CollegioNepomuceno – in Roma -,docente, teologo, ecumenista,profondo conoscitore della spiri-tualità orientale e suo padre spiri-tuale per più di quaranta anni, avolerne così ringraziare la memo-ria per i benefici che ha tratto daquesta paternità spirituale.

Nella fatica della stesura definitivadel volume è stato affiancato dal gio-vane sacerdote Michal∏TadeuszSzwemin, il quale, con il suo entusia-smo giovanile, ha dimostrato, in que-sta occasione, quanto possa esserevalido, in una epoca come la nostra, ilricorso, da parte dei presbiteri, ad unasana formazione per poter rispondereadeguatamente alle richieste di pater-nità spirituale da parte dei fedeli.

Traiamo uno stralcio dalla premessa cheVito Cutro fa al volume, in cui illustra lemotivazioni che sono alla base della suarealizzazione: “Tutto ciò per significareche la paternità spirituale è un dono cuinon si può e non si deve rinunciare e che,chi ne e all’altezza, ha il sacrosanto dove-re di donare, soprattutto oggi, epoca incui si sono venuti a creare, in mododirompente e urgente, i presupposti a cuisi è fatto cenno in precedenza”, quelli,

cioè, di un relativismo etico e morale, diun mondo senza Padre, di padri che,molte volte, abdicano alla loro funzionecredibile ed autorevole di genitori, mani-festando scarsa credibilità ed autorevolez-za quando non ricorrendo a metodi edu-cativi autoritari. (V. Cutro - M. T. Szwemin, Bisogno dipaternità, Editrice Arti, Varsavia, 2018,

pp. 304, € 15,00)

BibliotecaA cura della redazione

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BISOGNO DIPATERNITÀ

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INDIA

Un tributo… un vescovo … una missioneÈ deceduto il vescovo Kagithapu

Mariadas (81) Arcivescovo emeritodi Visakhapatnam scomparso il26 febbraio 2018 presso ospe-dale S. Giuseppe, Visakha-patnam. È il vescovo che 25anni fa ci ha invitato ad aprireuna missione nella foresta tri-bale di Shantinagar. Ricor-diamo la sua anima al Signore e

auguriamo a questa missione dicontinuare a crescere e far del bene

alla popolazione Savara.

Prima professione e 40°della missioneCon una solenne Celebrazione Eucaristicapartecipata da molti sacerdoti, le nostre 3novizie: Mary June, Anjeline e Divyiahanno emesso la Prima ProfessioneReligiosa nelle mani della SuperioraDelegata Sr. Mariella Thekkemuryil. Lacerimonia si è svolta presso la casa del novi-ziato Orsini sadan – Bangalore. Si è anchericordato il 40° di apertura della missionestessa. Auguri sorelle per una fruttuosa mis-sione che prediliga sempre gli ‘ultimi’.

Voti perpetui A Loreto, il 13 maggio scorso, nella chiesa della SacraFamiglia si è svolta la cerimonia della ProfessionePerpetua di Sr.Gertrude e Sr.Norly presieduta da SuaEcc.za Mons. Fabio Dal Cin. Arcivescovo della cittàLauretana.

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ITALIA

Notizie

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25° di Professione Religiosa Il 16 maggio presso la Chiesa Mater Misericordiae si èsvolta una solenne concelebrazione Eucaristica presiedutadal Vescovo di Città di Castello Mons. DomenicoCancian. In tale occasione abbiamo ricordato con gratitu-dine a Dio il 25° di Professione religiosa di 10 nostre sorel-le e l’Anniversario di fondazione. La Madre Generale nelsuo discorso di benvenuto ha detto tra l’altro: ‘L’occasione

è davvero speciale, perché ricorre oggi anche il 197°anniversario di Fondazione, e desideriamo

inaugurare un TRIENNIO di prepara-zione al II° Centenario. Nel 2011, aprendo il decennio, ci siamo proposti alcuni traguardi, con pre-

ghiera di lode, ringraziamento e impetrazione, ora mi auguro che in questo triennio possiamo cre-scere sempre di più a somiglianza di Colui il cui nome è Misericordia. Il nostro Istituto, fonda-

to dalla Serva di Dio Teresa Orsini Doria, per i primi 150 anni si è dedicato totalmenteall’assistenza dei malati negli ospedali di Roma e d’intorni. Il Concilio Vaticano II, defi-

nendo la Chiesa tutta missionaria, ha portato anche per noi un’apertura alle periferie geo-grafiche ed esistenziali del mondo e oggi siamo presenti in 13 paesi. Camerun, Rwanda,

Timor Leste, Indonesia e Vietnam le nostre ultime realtà di missione di più recenteapertura’.

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È arrivato il giorno tanto atteso dalpopolo Malagasy. Gente da tutte le partidell’isola del Madagscar per testimoniarequesto evento. Gioia inesprimibile.

Ormai tutto pronto per la celebrazione. La pioggia dei giorni precedenti non haimpedito al popolo di proseguire il cammino verso il luogo della Beatificazione

- VOHIPENO. A Vohipeno è situata la nostra comunità e l’ospedale HENIN-TSOA dove tanti volontari sostengono in continuazione la nostra opera per i pove-

ri ed i bisognosi. Durante la Celebrazione le Suore Ospedaliere della Misericordianon si sono mai risparmiate dalla fatica e da tutto il lavoro che si doveva fare. Sr. Lea

era il punto di riferimento di tutti. Grazie alla piena collaborazione di tutte le sorelle,cominciando dalle aspiranti, postulanti, novizie, juniores e tutte le suore, ognuno ha dato il

suo meglio per poter vivere spiritualmente questo evento.

MADAGASCAR

VOHIPENO - ROMAEVENTO INDIMENTICABILE

Notizie

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Relaxa cura di Concita De Simone

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ORIZZONTALI1. Ripetuto, è una mosca che trasmette all’uomo la malattiadel sonno. 3. Donna della Repubblica Cecoslovacca. 6. L’artdi Warhol. 9. Articolo maschile. 10. Cagliari. 11. L’insiemedei fili tesi sul telaio. 13. Veleno usato in Amazzonia per avve-lenare le frecce. 16. Nel Confiteor davanti a culpa. 17.Grande soprano statunitense di origini greche. 21. Formatodi pasta fresca a forma di cilindri. 22. Viaggi all’ultimomomento. 24. Pesce d’acqua dolce. 25. Frazioni di tempo.26.Siena. 27. Possedere. 30. Minerale conosciuto come “Oromatto”. 31. Da quel luogo, in seguito. 33. Non appartenential clero. 34. Piccolo e insignificante garçon. 35. Pronome per-sonale. 36. Cattive reputazioni. 38. Gli anni della vita. 39. Èunico in alcuni spettacoli. 40. Asino selvatico.

VERTICALI1. Precede il tac. 2. Quartiere di case povere e malsane. 3.Dotato di grande ascendente. 4. Poco costoso. 5. Antichi rive-stimenti difensivi delle persone. 6. Attrezzi da falegname. 7.Olbia-Tempio. 8. Occasione, opportunità. 10. Tempe-ramento capriccioso e suscettibile. 12. Gravemente dannose.14. Composizione strumentale libera. 15. Giardino nel deserto. 18. Imposta sulla TV. 19. Simbolo dell’alluminio. 20. Non basso.23. Arezzo. 28. Forma dalla quale una parola si ritiene derivata. 29. Invio al computer. 30. Trama di un romanzo o di un film.32. Lo è anche l’anulare. 34. Dispari nella presa. 35. Via senza inizio. 37. Enna

Tra chi invierà la soluzione del cruciverba entro il 31 agosto2018 verranno sorteggiati graditi premi. Potete inviare le vostre risposte al seguente indirizzo:Concita De Simone, Via Latina, 30 - 00179 Romac/o Rivista Accoglienza che CresceFax: 06 70452142 e-mail: [email protected]

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Soluzione cruciverba numero precedente

Anagrammando le lettere evidenziate, scoprirete il nome della fondatrice delle nostre SOM!

C A R I T A S T E S T

A R E A S T A R T E R

I M A E T E R E K C A

R A A D E L E S O M

O S M E M O P A N K

R E A M I F A L D A

C E T R A F E R M O

A T T O K P A S T A B

R T I K S E R T O V O

N I K S O S I A T A R

E L E I S O N P I N I

T E M A S A G A C I A

Vincitori numero 1/2018: Rosanna Riccardi, TarantoMaria Teresa Tatò, Savona

FOTO “ACCOGLIENZA CHE CRESCE”

Inviateci le vostre foto con una copia della nostrarivista, magari tra quelle che avete collezionato inquesti primi 25 anni. Le pubblicheremo su que-sta pagina!Potete inviarle via email a: [email protected] Oppure per posta a: Redazione “Accoglienza checresce” – via Latina, 30 – 00179 Roma

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