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1 Prof. Di Bari INTRODUZIONE Geriatra = parola di origine greca (da gheron che vuol dire vecchio o anziano e da IATROS, cioè causato dal medico) che significa medico degli anziani. Gerontologia letteralmente vuol dire ragionamento intorno all’essere vecchio, quindi discorso, ragionamento, studio in generale dell’invecchiamento dei vecchi. La gerontologia è la scienza della vecchiaia dell’invecchiamento, che ha per lo più un’impronta di tipo biologica, sociologico: si occupa dell’invecchiamento in senso molto più ampio non necessariamente clinico. Il gerontologo studia i meccanismi dell’invecchiamento. DEMOGRAFIA Perché secondo voi c’è questa materia nel vostro corso? Perché come popolazione siamo sempre più vecchi, quindi è giusto dare un’occhiata alla demografia che è la scienza che studia la popolazione. Che la popolazione invecchi è sotto gli occhi di tutti, questa fotografia ha fatto il giro del mondo, risale a qualche anno fa, ma è efficace e riesco a farla vedere ancora perché molti non l’hanno ancora vista. Il titolo nella foto vuol dire sei generazioni attraverso le ere. Vuol dire una stessa fotografia cioè tutti i membri viventi di una stessa famiglia. Descrivendo i rapporti di parentela in questa foto si ha: bambino, mamma, nonna, bisnonno, trisavola e la sesta persona non ha termini per descriverla, perché non ci sono termini per descrivere una situazione come questa. Questa foto rappresenta il duro aspetto demografico. Cosa vi trasmette questa foto? Una ripartizione dei sessi (4F:2M) e trasmette che ci sono più vedove che vedovi, le donne vivono di più; l’invecchiamento è fenomeno prevalentemente al femminile anche se le donne vivono di più, ma vivono peggio, cioè vivono in condizioni di salute nettamente peggiori rispetto all’uomo;

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Prof. Di Bari

INTRODUZIONE Geriatra = parola di origine greca (da gheron che vuol dire vecchio o anziano e da IATROS, cioè causato dal medico) che significa medico degli anziani. Gerontologia letteralmente vuol dire ragionamento intorno all’essere vecchio, quindi discorso, ragionamento, studio in generale dell’invecchiamento dei vecchi. La gerontologia è la scienza della vecchiaia dell’invecchiamento, che ha per lo più un’impronta di tipo biologica, sociologico: si occupa dell’invecchiamento in senso molto più ampio non necessariamente clinico. Il gerontologo studia i meccanismi dell’invecchiamento.

DEMOGRAFIA

Perché secondo voi c’è questa materia nel vostro corso? Perché come popolazione siamo sempre più vecchi, quindi è giusto dare un’occhiata alla demografia che è la scienza che studia la popolazione. Che la popolazione invecchi è sotto gli occhi di tutti, questa fotografia ha fatto il giro del mondo, risale a qualche anno fa, ma è efficace e riesco a farla vedere ancora perché molti non l’hanno ancora vista. Il titolo nella foto vuol dire sei generazioni attraverso le ere. Vuol dire una stessa fotografia cioè tutti i membri viventi di una stessa famiglia. Descrivendo i rapporti di parentela in questa foto si ha: bambino, mamma, nonna, bisnonno, trisavola e la sesta persona non ha termini per descriverla, perché non ci sono termini per descrivere una situazione come questa. Questa foto rappresenta il duro aspetto demografico. Cosa vi trasmette questa foto?

• Una ripartizione dei sessi (4F:2M) e trasmette che ci sono più vedove che vedovi, le donne vivono di più;

• l’invecchiamento è fenomeno prevalentemente al femminile anche se le donne vivono di più, ma vivono peggio, cioè vivono in condizioni di salute nettamente peggiori rispetto all’uomo;

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• un idea dell’invecchiamento positiva in buona salute, le persone danno l’aspetto di persone presenti, capaci di interagire, sono seduti in poltrona, non allettati.

Si osserva da questa foto anche che l’invecchiamento ha implicazioni socio-economiche. È una foto del 1999 e risale ad una famiglia americana. Secondo l’ONU l’Italia è il paese più vecchio del mondo con il 25% di ultrasessantenni. Il fenomeno dell’invecchiamento demografico, in alcuni paesi del mondo e in Italia in particolare è un pezzo avanti, e poi a seconda di come si calcoli l’invecchiamento demografico, l’Italia dovrebbe essere il I o II paese più vecchio. In questo grafico le fasce di età prese in considerazione sono: mondo, Europa, Italia, Toscana, Firenze. La ripartizione comprende soggetti molto giovani fino ai 14 anni, soggetti in età giovane-adulta dai 15-64 anni; e le due fasce di interesse geriatrico dai 65anni in su, distinguendo la fascia degli 80enni. Quando si parla di popolazione con invecchiamento demografico si fa riferimento alla soglia degli ultrasessantacinquenni più che 60, quindi una misura di quanto è vecchia una popolazione in modo molto grossolano, c’è lo dice la percentuale degli ultra65. Perché secondo voi questa soglia di ultra65? La cosa per un certo caso ha valore convenzionale e non biologico, medico, sanitario, perché risale al valore Ottono Bismark che ha metà del 1860 fondò il primo sistema previdenziale nel mondo dicendo che a 65 anni bisognava andare per forza in pensione ed è rimasta questa cosa del 65esimo anno di età, come soglia ultima della pensione e con questo si è tradotta la funzione prettamente convenzionale di spartiacque tra l’età adulto giovanile e l’età senile. Ai tempi di Bismark, nell’Europa di Bismark, la proporzione di ultra 65enni non era superiore di quanto sia adesso la percentuale di ultra 65enni, credo addirittura sia minore; in altri termini parliamo si e no un 8% della popolazione dove nel mondo ci sono paesi molto giovani, quindi la situazione è radicalmente cambiata, in Germania come in tutti i paesi occidentali e rimane l’età di 65 anni la sogli di inizio dell’età senile. Accettando questa convenzione dobbiamo tuttavia dire che gli ultra 65enni di oggi non solo non sono quelli dell’età di Bismark, ma non sono nemmeno quelli di 30 anni fa, i sessantacinquenni di allora corrispondono grosso modo ai settantacinquenni di oggi come condizione di salute e detto molto a braccio.

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Per avere così grossolanamente un’idea di quello che è l’effetto dell’invecchiamento della popolazione in termini di salute, dobbiamo tener conto non solo della proporzione degli ultra 65 ma anche degli ultra80 dove si concentrano gran parte dei problemi legati alla vecchiaia, morale della favola i numeri che vi chiedo di ricordare sono: che l’Italia ha una percentuale di ultra65 di circa 19%, Firenze circa 25%, gli utra80 sono intorno al 5% in Italia e 8% a Firenze. La rappresentazione grafica delle piramidi della popolazione mettendo i numeri assoluti della popolazione di sesso maschile e di sesso femminile per fascia di età, vedete che questa è una piramide dalla base verso l’alto la base va restringendo, questa non è più una piramide dal punto di vista grafico, c’è una base molto ristretta che vuol dire poche nascite, un corpo intermedio un po’ ben rappresentato e l’apice che si assottiglia, confrontandolo a 90 anni fa è molto superiore. La trasformazione è tale che si sta raggiungendo quasi la rappresentazione grafica della piramide rovesciata. Ci sono poi degli indici da ricordare che sono diversi, gli indici demografici mettono in evidenza, colgono il fenomeno dell’invecchiamento demografico ed è per questo che ne vengono proposti diversi. Ad es. indice di vecchiaia rappresenta il rapporto tra la popolazione ultra 65 e la popolazione con età tra 0-14anni per 100. Perché questo indice? Perché fa risaltare i due fenomeni contemporanei e indipendenti. Fa risaltare la ridotta natalità e la cresciuta longevità. Un altro indice utile con significato economico è l’indice di dipendenza strutturale degli anziani, contiene al numeratore il numero di ultra 65 al denominatore la popolazione tra 15 e 64 anni che grossomodo rappresenta la popolazione attiva. Questi indici sono vecchi come concezione perché chi di voi ha iniziato a lavorare a 15 anni per aggiornarli bisognerebbe spostare l’età a 18 anni anziché a 15, come minimo per parlare di popolazione attiva.

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Quello che mi interessa è che voi abbiate il concetto di indice di dipendenza strutturale degli anziani che è un indice che rapporta gli anziani al numeratore e la popolazione attiva intesa come quella tra 15 e 64 anni. Quindi ci dice che per ogni vecchio in pensione quante persone ci sono a sostenerlo. Nel mondo è un indice 11 diciamo 10 e vuol dire che per ogni persona anziana ci sono 10 giovani che lo mantengono, a Firenze abbiamo un indice di 38 quindi non c’è ne nemmeno tre per ogni anziano, quindi vuol dire che c’è una bella differenza. Ancora più la differenza se andiamo a vedere l’indice di vecchiaia perché andiamo nel mondo con 23 a Firenze con 240 perché è talmente scarsa la natalità che ci sono 2,4 vecchi per ogni bambino. Altri due indici che vi devo richiamare ancora all’attenzione sono ancora: l’aspettativa di vita alla nascita, aspettativa di vita vuol dire in media quanto un neonato può sperare di vivere nascendo oggi, l’aspettativa di vita vedremo quanto è cresciuta oggi in Italia. Attualmente l’aspettativa di vita è di 83 anni per le donne e 77 per gli uomini e cresce al ritmo di un anno di vita guadagnata ogni cinque anni di calendario. Se noi confrontiamo l’aspettativa di vita del 2005 questa aspettativa era circa un anno superiore quanto non fosse nel 2000, quindi è un ritmo estremamente rapido. Ogni cinque anni di calendario l’aspettativa di vita della popolazione aumenta mediamente di un anno. L’aspettativa di vita la possiamo misurare alla nascita e la possiamo considerare a una certa età; l’aspettativa di vita all’età di 65 anni ci dice qual è ancora la prospettiva che alla popolazione ultra 65 mediamente si pone davanti per quel che riguarda l’ulteriore durata della vita. Questa aspettativa di vita residua da una misura di quanto sia facile invecchiare quando siamo già in età avanzata, quindi da in una certa misura anche l’idea di quanto cresca quel segmento di popolazione molto anziana, che abbiamo convenzionalmente indicato con quella di 80 anni e più che poi sono quelli nei quali si accumulano i problemi legati all’invecchiamento, in termini di cattiva salute.

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Questo grafico ci fa vedere quale è stato l’incremento della aspettativa di vita dall’1881 al 2000 è cresciuta, andiamo da 35 anni al 77, più che raddoppiata in 120 anni e vedete un’altra cosa che la differenza tra i due sessi quando l’aspettativa di vita inizia ad allungare. Quando si moriva a 35 anni non c’era differenza, quando si iniziava a morire intorno a 60 anni la differenza iniziava ad essere evidente. Questo concetto di incremento di un anno ogni 5, qui in un arco più breve dal 61 al 2004. Ricordate bene nel 79 a 75 anni qui abbiamo l’aspettativa di vita a 75 anni (10+75=85; 12+75=87 e qui nel 2001 aspettativa di vita alla nascita è inferiore). L’aspettativa di vita alla nascita è inferiore di quanto non sia l’aspettativa di vita residua a una certa età. Perché questo? Perché chi è arrivato a 75 anni bene o male è riuscito a non morire fino a quella età. Più invecchio e più anni ho da vivere? È una cosa paradossale ma fino ad un certo punto perché se ci ragioniamo ci rendiamo conto che l’aspettativa di vita alla nascita è la media di quello che si aspetta di vivere e quindi tiene conto anche del fatto che qualcuno muore in età infantile, giovanile, per incidente ecc. Per chi è arrivato a una certa età le morti precoci le ha già scansate ed è ovvio che questa aspettativa di vita è una media di quello che succede in una popolazione di ultra 75. Questo indicatore da l’idea di protezione sociale che c’è nei confronti dei vecchi vecchi, perché se l’aspettativa di vita residua a una certa età è molto più lunga questo lo si deve perché c’è già molta attenzione a chi è già vecchio in termini di famiglia, assistenza socio-sanitaria. Bisogna considerare non solo l’aspettativa di vita alla nascita in una certa popolazione, ma anche l’aspettativa di vita in età per esempio in età adulta, o senile. Chi è già arrivato all’età di 75 o quanto meno alla sogli dell’età senile ha già evitato di morire a 74-73-72 anni. Questa misura ci dice in modo globale qual è l’attenzione nei confronti della popolazione anziana perché quanto è più lunga questa aspettativa di vita tanto è maggiore la possibilità di diventare molto molto vecchi quando un po’ vecchietti lo si è già. Si sta parlando ancora di quantità più che di qualità della vecchiaia, si sta facendo discorsi demografici, di durata nella vita. Che cosa determina l’invecchiamento della popolazione? E perché si muore di meno o perché si fa meno figli?

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Sicuramente si fanno meno figli, questo è il primo elemento e nelle regioni che hanno già dimostrato l’invecchiamento demografico il segnale che qualcosa sta cambiando è dato proprio dalla riduzione del tasso di fertilità. L’Italia ha il tasso di fertilità più basso in assoluto nel mondo 1,2 (numero di bambini che una donna fa). Se una donna fa meno di due figli mediamente capite bene che non c’è ricambio generazionale perché capite bene di due se ne fa 1,2. Sicuramente c’è una riduzione della fertilità, un controllo volontario delle nascite, l’invecchiamento demografico è partito li dove hanno iniziato a sviluppare i metodi di controllo volontario della fertilità. Addirittura in passato era implicito che fare figli favoriva lo sviluppo della società, la società contadina era quella che più braccia c’erano a lavoro la terra meglio era. Soltanto da un certo momento in poi, con lo sviluppo delle macchine, delle industrie la necessità di avere più braccia è venuta meno. Allora si nasce di meno, ma si muore di meno, questa è la riduzione del tasso di mortalità in Italia, nell’arco di 20 anni, una riduzione del 30%, tasso standardizzato per età, cioè dati semplici non cambiano anzi c’è un incremento, cioè concetto fondamentale si nasce di meno, si muore di meno, vuol dire si muore sempre più tardi. Questo andamento ha un andamento che è limitato agli ultimi 30 anni è non ha una dimensione temporanea. In Inghilterra, il fenomeno dell’invecchiamento demografico è stato scoperto circa un secolo prima e qui abbiamo due misure di vecchiaia delle popolazione, che sono da una parte la proporzione di ultra sessantenni, dall’altra l’aspettativa di vita. Osservate se tutte e due questi parametri sono rimasti stabili in un arco di tempo che va grosso modo dall’anno 1000 fino al 1800 c’è stato uno schizzo in alto dalla metà del 1900 con previsioni negli anni 2000 di una stabilizzazione a livelli di aspettativa di vita, di popolazione di ultra 60enni, cioè a livelli di vecchiaia della popolazione che sono nettamente maggiori rispetto a quelli dei secoli precedenti. Da una aspettativa di vita di 33 anni arriviamo a quella di circa 73, il fenomeno esplosivo che inizia in Inghilterra che una volta instauratosi non torna indietro se le condizioni sociali di quel paese non precipitano. Per esempio la Russia post-sovietica ha dimostrato che succede pochi anni dopo il crollo del muro di Berlino l’aspettativa di vita è crollata drammaticamente perché è venuto meno quel sistema economico di stabilità sociale-sanitario per circa un decennio che ha portato a una riduzione brusca dell’aspettativa di vita.

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Abbiamo detto che le popolazioni invecchiano, questo dipende in parte dalla riduzione della fertilità in parte da una riduzione della mortalità; questo fenomeno strettamente legato alla situazione socio economica del paese e che si è verificato a cavallo dello sviluppo industriale di quel paese, in Italia questo porta ad avere una popolazione più vecchia del mondo 19% di ultra 65 enni e il 25% in Toscana. Aspettativa di vita 77 anni per gli uomini e 83 per le donne e cresce di un anno ogni 5 anni di calendario. Un altro modo di rappresentazione è la composizione dell’ Italia nei termini di ripartizione demografica all’oggi nel 2001, variazione della composizione demografica in 50 anni, la variazione riguarda non tanto i giovani anche se questi ultimi diminuiscono un po’ riguarda i soggetti tra i 70-79 anni che tendono ad aumentare, la cosa impressionante è che rispetto al loro numero nel 2000 maggiore di tre volte gli ultra 80 anni. L’aspettativa di vita in età avanzata è quella che segnale l’incremento popolazione vecchia vecchia, qui abbiamo lo stesso fenomeno però rivolto agli ultra 80 che continueranno ad aumentare la popolazione totale nei confronti degli ultra 80enni minore e vuol dire molte cose sul piano sociale economico. Si diminuisce la mortalità significa che si verifica sempre più tardi e questo fenomeno può essere rappresentato dalle curve di sopravvivenza, che si sposta più in fondo. La percentuale di soggetti che sopravvive a una certa età nel 1880 c’era discreta mortalità infantile poi un calo relativamente lento fino ai 50-60 anni e diventa più rapido nell’ultima parte della vita. Con il passare degli anni è accaduto che la morte infantile si è diminuita molto fino a che non si vede più, bambini piccoli che muoiono, ricordatevi che i bambini rappresentano lo stato di salute di una popolazione e quindi si è allungato nel senso che si diminuisce mortalità infantile e si è allungato all’età di 70 anni: si muore più tardi e di meno nelle prime fasi di vita. Questo fenomeno si chiama compressione della mortalità perché come se tutte le morti fossero compresse nelle ultime fasi della vita. C’è un limite biologico, tutto quello che si è guadagnato si è fatto perché è cambiata la società (benessere, igiene, e prevenzione) e quindi essere più vecchietti, anche se c’è un limite biologico. I gerontologi lavorano per capire cosa determina l’invecchiamento forzando le chiavi della natura. La gran parte del guadagno è dovuto allo spostamento in la della mortalità per miglioramento condizione vita. La compressione della mortalità è legata al limite biologico? La compressione è dovuta da qualcosa che è cambiato a livello della società che sposta le morti più in là, il fatto che le morti avvengono alla data ora e non oltre è legato al limite biologico. Riassunto indici demografici:

• età media: somma delle età di tutti i membri della popolazione diviso il loro numero • indice di vecchiaia: rapporto fra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione di 0-14

anni, moltiplicato per 100 • indice di dipendenza strutturale: rapporto fra la popolazione in età non attiva (0-14

anni e 65 anni e più) e la popolazione in età attiva (15-64), moltiplicato per 100

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• indice di dipendenza strutturale degli anziani: rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione in età attiva (15-64 anni) moltiplicato per 100

• aspettativa di vita alla nascita (o vita media): numero medio di anni di vita per un neonato

• aspettativa di vita all’età di 65 (o 75) anni: è il parametro che segnala in modo più chiaro il progressivo spostamento verso età più avanzate.

INVECCHIAMENTO E SALUTE Invecchiare ma invecchiare bene, ci sono alcuni elementi chiave, parole chiave che troveremo e che indicano le caratteristiche fondamentali dell’invecchiamento in riferimento al concetto dell’invecchiare bene. Una prima cosa con cui dobbiamo fare i conti è l’estrema eterogeneità :se prendiamo un gruppo di persone di 20 o 30 anni, la differenza che c’è tra gli uni e gli altri, per quanto ampia possa essere, è relativamente piccola rispetto alla differenza, alla eterogeneità che troviamo tra persone di 70-80 anni; le modalità con cui si invecchia sono molteplici e differenti e fanno sì che si allarghi il divario tra chi invecchia bene e chi invecchia male, quindi nell’invecchiamento c’è maggiore eterogeneità . Riferendoci poi al concetto dell’invecchiare in salute sicuramente troveremo modalità di invecchiamento diverso:chi invecchia in buona salute,chi invecchia bene, chi invece invecchia con delle perdite rilevanti. Parleremo spesso di comorbilità o meglio comorbosità che vuol dire la presenza di più patologie contemporanee. Parleremo di fragilità ,termine molto vago con cui globalmente si vuole intendere una maggiore vulnerabilità del soggetto rispetto a situazioni esterne che possono compromettere il suo stato di salute, una persona fragile, una persona che di fronte a un evento che può essere una malattia, un cambiamento nello stato sociale come la perdita del coniuge, cambiamento ambientale come cambiare casa o un cambiamento ambientale nel senso climatico esempio le morti da caldo di 2 estati fa . Una persona che,davanti a un evento brusco, che altre persone tollerano bene,subisce pesanti conseguenze negative; questa è una persona che definiamo fragile Gli anziani,chi più chi meno, hanno un maggior grado di fragilità rispetto a persone più giovani, all’interno poi della categoria degli anziani troviamo chi è più e chi è meno fragile Per essere precisi dovremmo riservare il termine di fragilità a chi ancora mantiene un discreto equilibrio, non sta ancora male, non è ancora compromesso, se pensiamo a una persona anziana, che ha già un certo grado di disabilità, ha già delle malattie; ha superato la fase di fragilità perciò dovremmo riservare il termine a quelli che ancora mantengono un certo grado di equilibrio, di compenso, salvo poi essere esposti a qualche evento brusco e subirne poi le conseguenze negative. Disabilità è l’incapacità di compiere alcune attività,solitamente parlando degli anziani si fa riferimento alle attività di vita quotidiana, l’incapacità di compierle è definita disabilità, ed è un elemento estremamente importante nella vita di una persona anziana perchè una persona può essere ammalata quanto vi pare come numero di malattie, come stato di salute ma ancora in grado di badare a se stessa, quindi ancora non disabile ed ha quindi un suo grado di soddisfazione, di autonomia, che le consente di godere della propria condizione, una persona

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può avere anche poche malattie ma essere funzionalmente compromessa, avere un limite nello svolgimento delle attività di vita quotidiana e allora il suo benessere globale è molto compromesso perchè la sua autonomia compromessa, se si dipende da qualcun altro per le proprie funzioni di base non si è contenti. Affettività , vuol dire che dobbiamo sempre prestare attenzione alle componenti affettive, cioè emozionali che hanno un grosso peso nella vita di tutti e a maggior ragione nella vita delle persone anziane,nella vita dei vecchi una alterazione dello stato emozionale, in senso patologico può essere una vera e propria malattia di tipo psichiatrico per esempio la depressione ma anche una alterazione, non ancora di tipo patologico ,una alterazione di come la persona soggettivamente si sente, oppure non ha necessariamente le caratteristiche della malattia ma questa alterazione può comunque determinare un peggioramento delle condizioni di salute generali della persona. Cognitività, intendiamo ciò che riguarda la sfera intellettiva della persona, cognitiva-intelettiva cioè la capacità di ricordare, di comprendere, di avere relazione con il mondo, tutto ciò viene considerato nella sfera della cognitività e,quindi, anche questa è una parola chiave, nel senso un elemento chiave per capire come si invecchia e qual’è la qualità di vita di una persona anziana. Atipicità, molto spesso le manifestazioni cliniche di una malattia sono diverse in un vecchio che in un giovane ,le modalità di presentazione di malattie comuni nel vecchio e allora ciò che impariamo sui libri di medicina, come caratteristica di una malattia pensando a una persona giovane,in una persona anziana può non essere più vero; questo dal punto di vista di comprensione di ciò che la persona ha ,è molto importante perchè ci può mettere in grossa difficoltà. Quindi sull’invecchiamento e sullo stato di salute gravano:

1. eterogeneità 2. comorbosità 3. fragilità 4. disabilità 5. affettività 6. cognitiità 7. atipicità

Cosa determina quanto e come si invecchia?

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Quando noi pensiamo a quanto si invecchia ma anche a come si invecchia ,dobbiamo cercare di tenere distinti 3 elementi. È una distinzione dal punto di vista concettuale molto chiara e molto facile ,all’atto pratico non è così semplice ma è bene almeno provarci. Ci sono elementi di tipo biologico che influenzano le modalità di invecchiamento, si dice che il sistema migliore per vivere a lungo e bene è scegliersi dei genitori sani e longevi, questo non è possibile, perchè è importante? Perché c’è qualcosa di genetico che determina quanto si invecchia e il come si invecchia. In realtà gli studi più aggiornati si riferiscono a quanto si invecchia e suggeriscono che gli aspetti genetici contino per una porzione piuttosto limitata, che non supera il 25-30% dell’aspettativa di vita , quindi abbiamo tutto un rimanente 65-70% che ce lo giochiamo con le nostre mani sulla base di fattori ambientali o comunque acquisiti. Tra questi possiamo ulteriormente cercare di fare la distinzione, che in una certa misura è facile e in altre no, tra elementi di tipo patologico, cioè vere e proprie malattie, ed elementi che riguardano fattori ambientali o stili di vita che influenzano le modalità di invecchiamento. Si parla, quindi, di questi 3 elementi riconoscendo che la loro distinzione è facile dal punto di vista concettuale, poi dire quanto sia da attribuirsi all’uno, all’altro e all’altro ancora non è facile ma per fare un esempio concreto si diceva una persona anziana che ha affanno a salire le scale, era tradizione tra i medici dire “ha il cuore stanco” perchè ha 80 anni ecc.. Ora invece si sa , nella maggior parte dei casi, che chi ha certe manifestazioni come l’affanno a salire le scale, ha quella che possiamo definire una vera e propria malattia cardiaca per esempio uno scompenso cardiaco, non è detto che dipenda dall’invecchiamento in quanto tale, può dipendere dal fatto che c’è una malattia delle coronarie, (la coronaropatia determina cardiopatia ischemica che può essere l’infarto, l’angina, ) a volte nell’anziano le manifestazioni della cardiopatia ischemica non sono quelle caratteristiche del dolore ma sono appunto quelle atipiche, come abbiamo detto prima, allora la malattia non viene riconosciuta come tale perchè non dà il segno tipico che è il dolore precordiale e questo faceva si che si portasse ad attribuire all’invecchiamento,in quanto tale, cuore stanco, un disturbo che magari poteva essere attribuito al fatto che il paziente aveva le coronarie malate e quindi ha un disturbo nell’irrorazione del cuore che si manifesta quando fa uno sforzo, si manifesta non con dolore ma con affanno. Questa diapositiva ci porta al cuore del tema di oggi: relazione teorica tra compressione della mortalità e aspettativa di vita attiva. Qual’è la relazione tra l’invecchiamento e benessere nella vecchiaia? Nel grafico: in ascissa ci sono l’età, gli anni di vita e in ordinata la sopravvivenza ossia la % di persone che sopravvive, (da 0 a 100% o da 0 a 1 se rimane una

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probabilità) che vive, disegniamo solo i due estremi : la prima e l’ultima curva,la più interna e la più esterna , si vedeva come nel 1890 ci fosse un alto tasso di mortalità infantile che si evidenzia con una caduta iniziale, poi una relativa stabilizzazione, faceva una specie di plateau cioè andava a diminuire più lentamente poi verso i 60 anni accelerava. Questa curva di sopravvivenza come si interpreta: di 100 persone che nascono, per ogni anno di età, ponendo uguale a 100 il numero di persone che nascono per ogni anno di età in un certo anno, quante ne sopravvivono fino alla fine dell’anno: allora si vedeva che nei più giovani, fino ai 10 anni c’era una rapida riduzione della sopravvivenza perchè c’è un elevato tasso di mortalità infantile, poi più o meno si stabilizzava. Continuava ad esserci una mortalità abbastanza rilevante nelle fasce di età intermedia però meno rapida di quella che non fosse all’inizio e anche meno rapida di quella che poi si vedeva verso la fine , perchè verso la fine,grossomodo sui 60 anni, si impennava la curva di sopravvivenza e crollava giù, voleva dire che in una fascia di età superiore ai 60 anni erano poche le persone che sopravvivevano al corso dell’anno. Questo succedeva nel 1890, via via abbiamo visto come si sono evolute le curve di sopravvivenza fino ad una previsione, una proiezione relativa all’anno 2050 che grossomodo è fatta come? Aumenta il plateau, sostanzialmente sparisce o quasi la mortalità infantile, diventa quasi piatta la fase intermedia, il plateau, e rimane una fase di rapido decremento della sopravivenza, cioè sostanzialmente di accumulo delle morti nelle fasi più estreme della vita, che nell’insieme dà a questa curva di sopravvivenza una forma molto diversa rispetto a quella dell’altro estremo, si parla di compressione della mortalità. Al posto di compressione si può usare un altro termine descrittivo legato alla forma di queste curve, si dice : rettangolarizzazione della curva di sopravvivenza, rettangolarizzazione perchè è come se diventasse un rettangolo, come se quest’angolo fosse stirato in alto e a destra . Questa curva di sopravvivenza così fatta si riferisce alla mortalità vera e propria o sopravvivenza senza minimamente tener conto di COME si invecchia. La questione di COME si invecchia è cruciale perchè tutti vorrebbero vivere a lungo ma in buona salute . Una domanda che ci si è posta è se aumentando la sopravvivenza si modifica anche il momento di comparsa delle malattie (cattivo stato di salute) o meglio della comparsa della disabilità Dal grafico vedete che si possono immaginare 2 scenari, intanto distinguiamo una cosa: qui (la slide della curva di sopravviv.) le nostre 2 curve di sopravvivenza, la prima e l’ultima ,le abbiamo utilizzate per dire qual’era la mortalità, la sopravvivenza, nel 1890 e qual’è la previsione per il 2050 ragioniamo ora in termini un po’ diversi utilizzando lo stesso grafico ma dandogli un significato diverso, cioè diciamo: questa curva qui, esterna, continui pure a rappresentare la sopravvivenza, questa curva qui interna non rappresenta più la sopravvivenza in un’epoca passata ma rappresenti il momento in cui compare la malattia;quindi nella vita di una persona ci sarà una durata di vita passata in buona salute e una durata di vita passata in cattiva salute di disabilità. E questo può valere nell’arco della vita di una singola persona, che vive 80 anni in buona salute e gli ultimi 5 in disabilità, e lo stesso può valere se parliamo NON di una persona ma di una popolazione, di un gruppo di persone e quindi ci dice qual’è la sopravvivenza, l’aspettativa di vita attiva. Se noi consideriamo questo tratto della curva, quello che è compreso tra la curva di mortalità e la curva di comparsa della malattia, questo tratto qui ,segnato con le righe, indica la durata

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di vita NON attiva, la durata di vita disabile, mentre questo che riamane bianco è la durata di vita attiva . Si usa il termine “durata di vita attiva” perchè grossomodo , la vita attiva,lo stato di buona salute, la si interpreta come condizione necessaria perchè uno sia attivo per sé e per gli altri quindi vita attiva non intende necessariamente vita attiva in senso lavorativo. Allora uno può chiedersi cosa succede se c’è un ulteriore spostamento della curva di sopravvivenza e c’è una ulteriore compressione della mortalità :possiamo fare 2 ipotesi, possiamo avere 2 scenari:

• aumento della durata della vita e costante momento di comparsa della malattia e quindi l’aumento della sopravvivenza si traduce in un aumento della vita passata in condizione di cattiva salute e disabilità ,scenario molto sfavorevole,

• d’altra parte è possibile anche uno scenario di questo tipo in cui le condizioni di salute migliorano globalmente, più persone arrivano a vivere di più, più persone arrivano ad ammalarsi più tardi, quindi la compressione della mortalità di accompagnerebbe ad una compressione della morbosità e della disabilità.

Capite che questi 2 scenari hanno grossissime implicazioni proprio in come noi vediamo l’invecchiamento, in come noi dobbiamo pensare al nostro futuro sul piano individuale, uno a 25 anni può pensare di trascorrere 5 –10 anni in condizione di disabilità quindi è bene che pensi ad accumulare soldi per la badante ecc.. ,sul piano della società amplificate quello che si è detto per il singolo, applicatelo all’intera società sapere che l’invecchiamento comporta un ampliamento molto grande del numero di persone disabili oppure un ampliamento contenuto che alla fine dei conti si traduce più in un aumento della vita attiva che non in un aumento della vita disabile fa una grande differenza. Vi dicevo, nella precedente lezione, che gli ultra65enni di 25 anni fa sono diversi da quelli di oggi in termini di condizioni di salute,i problemi di salute di quelli di allora oggi si riscontrano negli 85enni. Cosa è cambiato e cosa si può pensare che cambi nell’invecchiamento? È aumenta la durata di vita trascorsa in condizioni di disabilità o c’è la possibilità di un invecchiamento in salute e attivo? Su una cosa bisogna essere assolutamente chiari e certi e cioè la possibilità di invecchiare in modo migliore c’è ed è legata a qualcosa che facciamo noi, ricordate i tre elementi che influenzano il come si invecchia, di questi elementi alcuni sono estremamente ovvi e noti. L’invecchiamento in buona salute è in gran parte da fattori che possiamo controllare e correggere o eliminarli. Questo è dimostrato molto bene con uno studio fatto da un ricercatore fiorentino che sta facendo la sua fortuna negli Stati Uniti, che da un grosso contributi per capire come stanno le cose che fa vedere COME invecchiano le persone anziane in funzione di 2 fattori che sono l’attività

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fisica e il fumo di sigaretta. Lui ha preso dei maschi di 70 anni e più e ha visto QUANTO vivono ma sopratutto COME vivono in condizioni di autonomia funzionale o di disabilità distinguendo coloro che non hanno mai fumato da coloro che fumano o hanno fumato in passato, primo elemento di classificazione, secondo elemento di classificazione in funzione del livello di attività fisica, intensa, moderata o scarsa, con un questionario che dice quante volte questo cammina, o fa esercizio. Quindi abbiamo 6 classi: mai fumato e attività fisica intensa, mai fumato e attività fisica moderata, mai fumato e attività fisica scarsa e lo stesso per fumatori. Andiamo a vedere l’ultima colonna e notiamo che c’è una differenza di più di 7 anni di aspettativa di vita media tra queste 6 categorie, quindi prima conclusione: le abitudini di vita condizionano QUANTO si vive, condizionano la durata di vita, ma non basta, c’è una differenza notevole per quanto riguarda la durata di vita ATTIVA perchè se noi prendiamo in considerazione i quadratini gialli che indicano la durata di vita, gli anni di vita passati in condizioni di disabilità e dipendenza sono più o meno stabili nelle 6 categorie, variano di molto poco, e a fronte di una durata di vita che è nettamente più bassa, la durata totale,è più bassa in quelli che hanno il profilo di rischio peggiore rispetto a quelli che hanno il profilo di rischio maggiore ,questo vuol dire che l’allungamento totale della vita si traduce in un aumento della vita attiva . questo vuol dire che le situazioni di rischio che ci fanno morire prima perchè ci viene il cancro, perchè ci viene l’infarto, perchè ci viene l’ictus, condizionano fortemente la nostra possibilità di vivere bene. Sembra una cosa banale, sembra la scoperta dell’acqua calda eppure nessuno ci aveva pensato prima a dimostrare con uno studio una cosa del genere. Andare a misurare l’effetto dello stile di vita non solo sulla durata della vita ma anche sul momento di comparsa della malattia. Tutti i ragionamenti che si fanno sui drammi legati all’invecchiamento della popolazione non tengono conto del fatto che ci sono prove tangibili che si può cercare di favorire un invecchiamento in salute agendo su fattori di rischio che sono noti ,non si sta parlando di scoperte di geni ma di fare prevenzione agendo su fattori di rischio che sono noti e modificabili: lo stile di vita. Altra gente ha confermato queste cose aggiungendo che altro elemento critico, importante, è l’obesità . Sovrappeso e obesità sono l’altro elemento chiave come precursore iniziale, remoto, di cattivo stato di salute . Chi è in sovrappeso magari nel momento in cui lo vediamo sta proprio bene però sappiamo che il soprappeso comporta aumento del rischio di diabete, di ipertensione e quindi di tutto ciò che a questi fattori di rischio consegue come malattie cardiovascolari ecc.. Messaggio chiave: si può invecchiare bene e lo possiamo fare controllando alcuni fattori di rischio . Prendiamo in considerazione un altro aspetto: modello teorico del declino funzionale età- dipendente. Abbiamo detto che le modalità di invecchiamento si differenziano da persona a persona e anzi quanto più si va avanti con gli anni tanto maggiore è la differenza E allora cosa comporta l’invecchiamento per quanto riguarda la capacità, l’autonomia funzionale di una persona ,in linea di massima l’invecchiamento, anche quello fisiologico, comporta una

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serie di perdite, in termini proprio di fisiologia, di funzione d’organo, ad esempio una delle prime cose che si perde andando avanti con gli anni è la capacità di mettere a fuoco ossia la capacità di “accomodazione ”, quindi una delle prime e più evidenti perdite è la capacità di accomodazione cosicché dopo i 40 anni si comincia ad avere difficoltà a mettere a fuoco da vicino e bisogna portare gli occhiali da presbite, stessa cosa dicasi per la percezione dei toni acuti che da una certa età, oltre i 40 anni, si perde, c’è una “presbiacusia”, che è una variazione che possiamo considerare fisiologica, che alla fine può anche condizionare il benessere psicofisico della persona e quindi andiamo a chiamarla malattia però è una variazione che troviamo in tute le persone che invecchiano, in qualcuno più rapidamente, in qualcuno più lentamente, però dobbiamo considerarlo come un fenomeno regressivo proprio dell’età. Detto questo e ammesso quindi che col passare degli anni tante funzioni si vadano a ridurre, la nostra idea dell’entità, dell’importanza, di queste variazioni puramente età-dipendenti, oggi come oggi però è di un certo tipo: noi pensiamo che l’invecchiamento in quanto tale comporti sì delle perdite, ma queste perdite pure assommate, in linea di massima non siano tali da portare a una compromissione dell’autonomia della persona, lo prova anche il fatto che esistono come vi raccontavo prima,centenari che arrivano alla veneranda età di cento e passa anni in condizioni funzionali molto buone, lucidi, autonomi nella vita quotidiana, e non solo tra le mura domestiche ma anche al di fuori, in grado di prendere un mezzo di trasporto e spostarsi nella città ,quindi evidentemente se questo è possibile, seppure per un numero piccolo di persone,vuol dire che la potenzialità dal punto di vista biologico c’è ,il che vuol dire che le perdite pur assommate non hanno per forza l’effetto di compromettere l’autonomia di una persona. Quindi se noi immaginiamo una variazione rispetto all’età adulta di una qualunque attività, performance fisica, mettiamo ad esempio l’accomodazione, ma possiamo prendere qualcos’altro come misura di performance, ad esempio la forza muscolare, perchè anche questa è un parametro che via via si riduce all’avanzare dell’età, c’è una riduzione ma questa riduzione rimane però al di sopra di una soglia che possiamo definire la soglia della disabilità nelle attività di base della vita quotidiana,la sigla BADL sta ad indicare le attività di base della vita quotidiana, questa retta rimane al di sopra di questa soglia. Vedete un’altra cosa che il grafico vi rappresenta: questo è l’andamento medio, vedete che qui però sono indicati anche dei limiti di normalità . I limiti di normalità tengono conto del fatto che alcune persone invecchiano di più altre invecchiano di meno, nel senso che in alcune persone la perdita funzionale è più rapida, in altre

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più lenta, di quei centenari che vi dicevo alcuni nonostante l’età leggevano il giornale senza occhiali, alla faccia della presbiopia, questo vuol dire che anche nell’ambito delle variazioni che possiamo considerare età-dipendenti, c’è un’ampia gamma di differenza, un ampio margine di variabilità normale cosicché via via che passa il tempo questo margine si divarica, ovviamente conta molto il fatto che si divarichi verso il basso perchè c’è qualcuno che invecchia peggio, però ricordiamoci che c’è anche la potenzialità che questo margine rimanga alto di un margine superiore perchè rispetto alla media c’è qualcuno che va meglio . In linea di massima allora, l’invecchiamento NORMALE in quanto tale non comporta un grado di dipendenza per lo meno nella sfera delle BADL cioè la sfera dell’autonomia funzionale all’interno delle mura domestiche. Può comportare, l’invecchiamento normale, una perdita che raggiunge, in qualche caso supera, la soglia dell’autonomia in una sfera superiore che è quella delle attività cosiddette “strumentali” della vita quotidiana, le attività strumentali sono ad esempio prendere l’autobus, badare da se alle proprie medicine, pagarsi le bollette, quindi attività che richiedono sicuramente un grado di sicurezza e competenza maggiore che non semplicemente vivere dentro casa e vestirsi e lavarsi. Può accadere che da una traiettoria di invecchiamento normale si prenda una strada accelerata, una brusca caduta del livello di performance e, quindi del livello di autonomia funzionale, determinata da un evento critico (linea rossa) ,trigger =grilletto ,cioè un evento scatenante ,la cosa più ovvia a cui pensare è una malattia che può determinare una brusca riduzione della performance fisica cosicché uno precipita verso una condizione di dipendenza . Non sempre però l’evento scatenante è una malattia, può essere un evento sociale come un lutto, un trasferimento, prendiamo un esempio: voi avrete fatto sicuramente qualcosa di malattie respiratorie, sapete cos’è la spirometria, sapete che i parametri spirometrici di funzione respiratoria diminuiscono con l’età , ad esempio qual’è il parametro spirometrico che diminuisce con l’età? La capacità vitale, il fev 1 (one) cioè la velocità di espirazione massima in un secondo, tutte e due questi parametri diminuiscono con l’età . Una persona sana, che non ha mai fumato, ha una certa traiettoria, magari si pone qui, una persona comunque sana ma che ha fumato o che fuma magari si pone qui, una persona con una bronchite cronica fa quest’altra traiettoria, questo se lo riferiamo alla perdita di capacità vitale e/o fev 1 (one) . Questa perdita funzionale si traduce anche in sintomi per cui ad esempio la persona che non fuma pur avendo una perdita di capacità vitale e di fev one, rimane asintomatica per attività anche di un certo impegno fisico quale potrebbe essere ad esempio andare fuori casa e fare la spesa, è una tipica IADL, è una attività strumentale della vita quotidiana . Una persona che non ha malattie ma fuma, non sta tanto bene,si trova più o meno in questa zona qui ,per cui si lava, si veste, non ha nessun problema nella sfera delle BADL ma la spesa non la fa più perchè ha l’affanno a far le scale o a portare le borse della spesa . Una persona che ha la bronchite cronica ha affanno per minime attività e quindi anche semplicemente lavarsi e vestirsi gli costa fatica ,la sua limitazione funzionale,fisiologica legata all’età si assomma a quella che fuma, si assomma a quella della malattia che ha contratto per via della sua abitudine al fumo per cui ha una limitazione funzionale importante anche nelle attività di base della vita quotidiana . Questo è un modello concettuale, teorico, però trova una rispondenza molto chiara in tanti esempi che possiamo prendere dalla vita reale e ci da anche uno schema mentale a cui far

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riferimento quando poi parliamo di malattie dell’anziano, della loro importanza e abitudini di vita che condizionano il benessere in età avanzata. Questo che vi ho fatto vedere è l’unico vero elemento di gerontologia su cui ho portato la vostra attenzione ,abbiamo detto l’altra volta che la geriatria si occupa maggiormente delle malattie, la gerontologia è una scienza più ad impronta biologica che ci dice come e perchè si invecchia, ci sarebbero tanti aspetti di gerontologia che andrebbero considerati, l’unico che veramente mi preme di presentarvi e mi preme che vi rimanga è proprio questo cioè di come noi vediamo oggi come oggi il processo di invecchiamento e la relazione tra fattori biologici, fattori acquisiti, ambientali, e malattie vere e proprie nel determinare il processo di invecchiamento. Giriamo pagina e prendiamo in considerazione alcuni elementi di epidemiologia. L’epidemiologia è una disciplina che studia la diffusione delle malattie in una determinata popolazione, la diffusione si esprime in termini di prevalenza e incidenza e ne studia anche i fattori di rischio e le possibilità di intervenire sui fattori di rischio e sulla malattia. L’epidemiologia è una scienza trasversale, fondante che dà da una parte le cifre di quanto è diffusa una malattia ma racconta anche come vengono le malattie attraverso lo studio dei fattori di rischio ,in più ci dà anche le chiavi per poter capire se agendo sui fattori di rischio riusciamo a modificare la storia naturale della malattia ,quindi confina con la medicina preventiva, ci dà strumenti chiave per capire se le terapie funzionano perchè se un farmaco funziona noi lo capiamo facendo quello che si chiama trial clinico randomizzato (a uno si da il farmaco a un altro lo zucchero)che è un modo per vedere se l’intervento ad esempio in un trattamento farmacologico è in grado di modificare la storia naturale della malattia ,sostanzialmente di curare la malattia . Come e perchè si fa un trial clinico ce lo dice una branca specifica dell’epidemiologia lo studio caso-controllo è diverso, noi non interveniamo per modificare la storia naturale della malattia ma ci limitiamo ad osservarla. Allora l’epidemiologia, quello che adesso facciamo è di prendere in considerazione alcuni aspetti di epidemiologia descrittiva cioè banalmente sapere quali sono le malattie diffuse in una certa popolazione in riferimento all’età . Altra immagine: tasso di mortalità in Italia nel 1998 per 100.000 abitanti, per causa di morte. Credo di dirvi cosa assolutamente nota nel dirvi che oggi come oggi le malattie che sono maggiormente importanti sono malattie di tipo cronico-degenerativo, ci sono malattie croniche di tipo non infettivo e quindi cronico degenerativo che sono sostanzialmente i tumori, e le malattie dell’apparato cardiovascolare nel senso di malattie su base aterosclerotiche che sono le cause più importanti di morte ,infatti le malattie dell’apparato circolatorio e i tumori sono le 2 più importanti cause di morte e determinano come vedete 433, e 273 morti ogni 100.000

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abitanti per anno nel nostro paese, seguono le malattie dell’apparato respiratorio,dell’ app. digerente, traumatismi, malattie dell’app. genito-urinario e le malattie infettive . Se noi ci riportiamo alla condizione demografica del 1881, vi ricordate la slide dell’aspettativa di vita, era completamente ribaltato, si moriva di più e si moriva di malattie infettive . Miglioramento delle condizioni di vita, miglioramento igienico-sanitario, trattamento antinfettivo, antibatterico, hanno ridimensionato l’importanza delle malattie infettive come causa di morte, salvo i paesi del terzo mondo ,terzo mondo intendiamo l’Europa dell’est dal punto dell’epidemiologia delle malattie infettive come causa di morte i paesi dell’Europa dell’est sono già terzo mondo perchè le malattie infettive incidono ancora molto, ovviamente gli aspetti legati all’immigrazione e alla globalizzazione fanno si che noi dei paesi del terzo mondo dobbiamo ampiamente tener conto . Nei paesi in via di sviluppo si assiste da qualche anno, da qualche decennio, ad un fenomeno molto preoccupante che è quello di una combinazione di vecchi fattori di rischio e quindi vecchie malattie, fondamentalmente malattie infettive ivi compresa la recrudescenza della tubercolosi assieme al rapido sviluppo di malattie cronico-degenerative caratteristiche dei paesi più sviluppati perchè hanno preso il peggio di quello che noi potevamo proporre quindi si è diffuso il fumo, il sovrappeso, un’alimentazione molto ricca i grassi e questo ha dato immediatamente fuoco alle polveri delle malattie da “benessere” tipo l’obesità, l’ipertensione, il diabete ecc.. Quelle dei paesi in via di sviluppo sono popolazioni che stanno invecchiando molto rapidamente, in cui c’è una mortalità ancora molto elevata, con una combinazione preoccupante di vecchi fattori di rischio e di nuovi fattori di rischio. Sopratutto sono economie più deboli e decisamente impreparate a sostenere l’impatto di questa “bomba” epidemiologica data dalla combinazione di questi due fattori . Alle nostre latitudini queste malattie, cardiovascolari e tumori, sono le malattie più importanti come causa di morte ,come causa di elevati costi sanitari, come causa di disabilità perchè sono malattie che incidono sul benessere della persona non solo limitando l’aspettativa di vita, portandolo a morte ma anche perchè determinano sofferenza ; questo vale non solo per le malattie cardiovascolari a cui siamo tradizionalmente abituati a pensare quando si parla di cause di disabilità. Se si pensa ad un adulto disabile qual’è la prima cosa che viene in mente? Un ictus, è l’esempio a cui facciamo riferimento quando diciamo malattia cronico degenerativa che al tempo stesso è causa di morte e causa di disabilità, un 30% delle persone colpite da ictus muore, nella fase acuta, del rimanente un buon 30% rimane disabile in modo grave a lungo termine . Anche i tumori, sono oggi croniche un po’ come le malattie cardiovascolari con le quali si combatte una battaglia lunga ,una volta la sopravvivenza per tumore era remota mentre oggi si va avanti 10,15 anni quindi è una situazione molto simile a quella delle malattie cardiovascolari con le quali si combatte appunto per molti anni . La questione è che non tutte le malattie possono essere viste, nella loro importanza, alla luce delle cause di morte perchè ci sono alcune malattie che non sono prettamente mortali, come ad esempio la frattura di femore, ma incidono sul benessere di una popolazione perchè sono causa di disabilità. Andiamo adesso a vedere prevalenza delle principali malattie croniche nell’anziano in Italia. Qui trovate un elenco preso da uno studio epidemiologico,studio ILSA, che ci fa vedere quanto sono diffuse alcune malattie nella popolazione NON come causa di morte ma diffuse in

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persone che sono state intervistate ,quindi troviamo le malattie di cuore, cardiopatie ischemiche nelle due forme dell’angina e dell’infarto ,le aritmie, l’ipertensione arteriosa, oltre il 60-70% delle persone anziane ha la pressione alta, lo scompenso di cuore, il diabete, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’arteriopatia periferica . Gran parte di queste malattie :malattie di cuore, scompenso cardiaco, anche un po’ il diabete e l’ipertensione direttamente o indirettamente le ritroviamo ANCHE come causa di morte ,alcune di queste, se non andiamo a intervistare le persone, ci sfuggono sopratutto alcune malattie che non sono causa di morte. Altra slide: prevalenza di malattie croniche nei 697 soggetti sottoposti a visita medica. Allora, questo è un altro modo di vedere le cose, una specie di graduatoria delle malattie più diffuse nella popolazione ,prendendo in esame una popolazione di un paesino del Mugello che si chiama Dicomano, questa è una cosa che abbiamo fatto noi dell’istituto di geriatria, che ci fa vedere quali sono le condizioni più diffuse nella popolazione anziana e vedete che al primo posto trovate l’ipertensione poi trovate condizioni tipo varici, rachialgie per mal di schiena, sintomi depressivi, avere una depressione non necessariamente provoca malattie psichiatriche tali da richiedere cure però avere sintomatologia depressiva è una cosa molto frequente ,via via giù nella graduatoria fino al parkinsonismo. Porto la vostra attenzione al parkinsonismo che è una specie di “allargamento” della diagnosi anche a quelli che presentano alcuni elementi della malattia di Parkinson magari non tutti e non proprio tipici parliamo di sindromi parkinsoniane che sono presenti in questa nostra esperienza in circa il 4% della popolazione .

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Questo per quel che riguarda la FREQUENZA delle malattie. Nuova immagine: rischio di disabilità BADL associato ad alcune condizioni morbose. Facciamo invece una graduatoria per quel che riguarda le malattie che maggiormente comportano disabilità nella persona anziana. Queste malattie, sempre nello stesso studio, hanno quasi ribaltata la situazione, è quasi ribaltata, infatti quella che era l’ultima, nelle malattie diventa, la prima ,che comporta, tanto per darvi un’idea di come si legge questo grafico, questa scala ci dice qual’è il rischio di disabilità in presenza di questa malattia, quindi se guardiamo il Parkinson abbiamo un rischio di 20 volte, se guardiamo la demenza parliamo di un qualcosa che se non è 20 poco ci manca, sarà 15 volte maggiore il rischio di disabilità, vedete al primo posto troviamo 2 malattie, Parkinson e demenza, che non troverete MAI nelle classifiche delle cause di morte, l’ictus ce lo aspettiamo, è anche una causa di morte, mentre demenza e Parkinson non lo trovate mai e questo in parte perchè c’è proprio una sottostima in quanto è difficile dire che uno è morto di demenza, uno muore di malnutrizione in demenza ad esempio ma non troverete mai demenza come causa di morte, eppure la demenza è, notoriamente, un elemento di grande importanza sul piano del benessere di una persona. Un’altra cosa su cui vorrei portare la vostra attenzione,intanto la depressione ,vi avevo fatto vedere prima come è frequente, ma anche se la guardiamo come malattia, come condizione associata al demente o al malessere di una persona diciamo che è una condizione importante. L’artrosi d’anca ugualmente è nell’ambito della graduatoria eppure non troverete mai l’artrosi d’anca tra le cause di morte, l’incontinenza anche e così via Allora dobbiamo considerare quindi le malattie che sono importanti come causa di morte e alcune sono note a tutti, tumori, malattie cardiovascolari, ictus e infarto, ma dobbiamo considerare l’importanza di alcune malattie, a maggior ragione nell’anziano, come causa di disabilità e tra queste ne troviamo alcune che non sospetteremmo e a cui non penseremmo tipo la demenza, l’artrosi, il parkinson . Stima del numero di anziani disabili in Toscana, per sesso ed età. In totale quanto è diffusa la disabilità ? La disabilità per classi di età cresce in maniera molto chiara, qui vedete una specie di semipiramide della

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popolazione anziana, sono 2 semipiramidi, uomini e donne, che sono separate e coricate, vedete che invece di vederle come siamo abituati le vediamo spezzate in questo modo, sono veramente 2 piramidi della popolazione perchè vedete le donne sono più degli uomini, al crescere dell’età diminuisce in entrambi i sessi il numero dei soggetti ,con questa strana gobba in corrispondenza degli anni 90-95 che rappresenta i sopravvissuti della prima guerra mondiale, ricordatevi che in quel momento ci furono questi 2 momenti traumatici, la guerra e la spagnola, (1918) che fecero una carneficina cosicché queste coorti d’età sono fortemente ridotte come numero in quest’ambito qui, dopo la prima guerra mondiale c’è stata una crescita demografica imponente che ha portato ad un balzo in avanti della popolazione. Quindi questo grafico ci ricorda qualcosa che ci è familiare con in più una differenza rappresentata dal fatto che c’è una distinzione tra soggetti in buona salute, per ogni anno di età, e soggetti disabili. Vedete nel grafico che il rosso (donne)è molto più importante di quanto non sia il blu (maschi), le donne disabili sono tante di più, significa che le donne vivono di più ma sono spesso disabili cosicché la prevalenza di disabilità è molto maggiore nelle donne che non negli uomini. Prevalenza di disabilità in Toscana, per sesso ed età. Anche qui alcuni numeri devono restarvi appiccicati, se vogliamo fare un discorso medio in ordine di grandezza, circa il 10% della popolazione ultra 65enne è disabile, un po’ più nelle donne ,questo in Toscana ma vale un po’ dappertutto, questo è l’ordine di grandezza ,poi distinguiamo 8,7% negli uomini, 11,9% nelle donne e questo vale per la popolazione studiata nel 1995,magari se lo facciamo adesso, 10 anni dopo troviamo una differenza di qualche punto percentuale, ma la cosa importante è che questo 10% rimane,parliamo di disabilità nelle BADL quindi la disabilità più grave. Se andate a prendere le statistiche dell’ISTAT è un casino perchè non si capisce che tipo di disabilità stanno considerando,purtroppo ci sono spesso grosse difficoltà legate ad una non precisa definizione delle condizioni. Nella media il 10% ma, se noi, avete un po’ visto nel grafico di prima, però quello era molto analitico, quello non fa vedere bene un fenomeno che invece è di grande evidenza se si raccolgono i dati in questo modo : se noi guardiamo la prevalenza in fasce di età all’interno della classe geriatrica, sono tutti ultra 75enni, troviamo una differenza molto marcata tra soggetti che hanno dai 65 fino ai 79 anni e quelli che hanno 80 anni e più perchè questo 10%, che mediamente è la percentuale di disabili al di sopra dei 65 anni, in realtà è la media, la sommatoria, di prevalenze che sono diversissime ,qui (fascia dai 65 ai 79)comunque ben al di sotto del 10% ,qui (fascia 80 e più)siamo al 33% , un terzo degli ultra 80enni è disabile nelle BADL, quindi la disabilità è importante sopratutto quando andiamo a parlare degli ultra 80enni, è importante anche prima però sono proprio questi quelli che presentano maggiori problemi, vi ricordate che una delle cose che vi ho mostrato nella volta scorsa era l’incremento

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numerico degli ultra 80enni ,abbiamo detto che nei prossimi 50 anni si stima che triplicherà il loro numero e se triplica il loro numero triplica sostanzialmente anche il numero dei disabili che sono un terzo di questa popolazione quindi avremo un grosso effetto del proseguire dell’invecchiamento in termini di disabilità nella popolazione. Questo ve lo faccio vedere qua: numero di anziani disabili e loro prevalenza nella popolazione generale. Attualmente,2006, in Italia ci sono circa 1.200.000 anziani disabili ,per effetto dell’invecchiamento della popolazione,abbiamo detto triplicheranno gli ultra 80enni nei prossimi 50 anni, si stima che arrivino a più di 3 milioni gli anziani disabili perchè aumenterà giusto quella fascia di età in cui la disabilità incide per un terzo, quindi c’è un aumento molto importante, e se andiamo a vedere la % di disabili sulla popolazione generale,la percentuale di anziani disabili sulla popolazione generale, andiamo da un 2,1 a quasi il 6%, perchè questo? Perchè aumentano gli ultra80enni,si riduce la popolazione generale, quindi aumenta il numeratore diminuisce il denominatore quindi aumenta moltissimo il peso degli anziani disabili sulla popolazione generale. Quindi le prospettive per il futuro,anche se abbiamo la possibilità, sappiamo che è possibile prevenire la disabilità, abbiamo visto prima gli interventi in grado di modificare lo stile di vita di una persona,sono in grado di ridurre l’impatto di disabilità quindi bisognerebbe cercare di farlo, se non facciamo niente la previsione è molto seria e grave, dobbiamo riuscire a fare qualcosa di incisivo come ad esempio ridurre la prevalenza di disabilità del 20% per riuscire ad ottenere un andamento di questo tipo, l’altra strada sarebbe quella di cercare di ridurre la disabilità riducendo i fattori di rischio (prevenzione primaria) però dobbiamo capire che ridurre la prevalenza i disabilità del 20% non è facile ,20% è un intervento piuttosto incisivo. Un ordine di grandezza di questo tipo,20%, che non è facile da ottenere riduce parecchio sì la disabilità, alla fine dei conti ci porta tra 50 anni ad avere un 4,7% di anziani disabili sulla popolazione generale il che rimane un gravame non indifferente, come si fa? Una strada sicuramente è quella della prevenzione primaria che però ha tempi lunghi, di sicuro anche la prevenzione delle malattie perchè alcune malattie come l’ictus, l’infarto ecc sono causa di morte e di disabilità quindi se c’è prevenzione primaria delle malattie verosimilmente incidiamo anche sulla disabilità, anche e bisogna stare attenti perchè potremmo trovarci di fronte anche questo tipo di esito : prevenire le malattie può voler dire sì prevenirne l’insorgenza in senso globale, però può anche poter dire si io riesco a prevenire le forme più gravi ,le forme letali, ma non riesco ad abbattere o a ridurre le forme più lievi che magari non portano a morte, quindi può ridursi sì la mortalità ma in realtà aumentare la disabilità specifica ,specificamente attribuibile a quelle malattie . Un’altra strada che, in tempi più brevi, si può pensare di percorrere è quella di agire su anziani a rischio di disabilità e questo va al di là degli scopi del nostro corso però c’è modo di capire

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quelli che sono gli anziani che sono a rischio di diventare disabili nel giro di breve tempo,nel giro di un anno o due, e cercare di agire su questi sfruttando le misure che si possono adottare nel qui ed ora ,fondamentalmente, favorendo la collaborazione ottimale di tutti gli attori che giocano, medico di base, strutture territoriali, geriatra nelle strutture territoriali e, molto importante, l’infermiere geriatrico,un infermiere che abbia consapevolezza e competenza per fare il suo lavoro sul territorio. Torniamo un attimo indietro e aggiungiamo un paio di cose, abbiamo detto la disabilità, l’abbiamo considerata fino ad ora come una specie di scatola nera,sappiamo cos’è ma non sappiamo dentro cosa c’è o sappiamo solo qualcosa di quello che c’è dentro come per esempio sappiamo che ci sono alcune malattie che la causano con maggiore o minore probabilità,con rischio maggiore o minore, una cosa che bisogna subito chiarire è questa qui. Prevalenza di disabilità (BADL o IADL), per livelli di comorbilità Anche questa tutto sommato abbastanza ovvia ma non è superfluo metterla in evidenza e cioè che se noi prendiamo in considerazione il numero di malattie che una persona ha, indipendentemente dal tipo di malattia, che si tratti dell’artrosi, che si tratti dello scompenso cardiaco, ma semplicemente il numero di malattie che la persona ha è associato alla probabilità di essere disabile, cosa ovvia, certo, però questa cosa ribadisce ancora una volta l’importanza di una attenzione, dal punto di vista medico, molto accurata alla cura per l’appunto delle malattie degli anziani perchè se noi riusciamo a tenere sotto controllo o addirittura a prevenire una malattia abbiamo comunque un effetto favorevole anche se quella malattia in sé e per sé non è detto che sia fortemente disabilitante,abbiamo comunque un effetto molto favorevole per quel che riguarda il cumulo totale delle malattie come percorso che porta alla disabilità, non è l’unico percorso ma certamente un percorso importante. È vero che la somma delle malattie ha un effetto importante sulla disabilità dev’essere però chiaro che alcune malattie sono più importanti per l’anziano sulla disabilità quindi la loro prevenzione e la loro cura efficace conta molto di più perchè è ovvio che prevenire la frattura di femore, l’ictus, conta molto di più che non prevenire ad esempio la calcolosi renale.

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La geriatria è qualcosa di più della medicina interna, non è che si possano ignorare le basi della medicina interna per fare una buona geriatria, ma si cerca di fare qualcosa di più anche noi abbiamo delle differenze che sono dettate un po’ dalle caratteristiche del paziente anziano Questa che è una premessa di carattere concettuale, accademico, si traduce anche in una conseguenza molto pratica per voi che quando venite a sostenere l’esame di geriatria dovete avere un’ottima conoscenza di medicina interna, alcuni argomenti li tratteremo a lezione e comunque vi sarà chiesto di riguardarveli, altri che magari non avrete sentito a lezione o di cui non vi sarà detto di riguardarveli, però comunque devono essere presenti nella vostra mente, argomenti di medicina interna, argomenti di nursing in relazione alla medicina interna . In medicina interna, dell’era pregeriatrica per così dire, cioè prima che veramente si manifestasse con l’imponenza che abbiamo visto, il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, era sostanzialmente basata su alcuni presupposti e cioè che tutto sommato si aveva a che fare sempre e comunque con un problema di salute di una persona. Una malattia era il problema che il paziente veniva a presentare al medico che oltretutto si manifestava con segni e sintomi tipici (la differenza tra segni e sintomi è chiara a tutti vero? E che cos’è una sindrome è chiaro a tutti? Una sindrome è un insieme di segni e sintomi che hanno una loro specificità nello stare assieme: se ho mal di testa e un dolore a un dito del piede probabilmente non c’è qualcosa che li tenga assieme né come caratteristica di malattia che li mette insieme né come semplice frequenza di coopresenza di questi 2 sintomi, se parlo invece di miosi...esoftalmo è la sindrome di Bernard .... A volte non sono così dettagliate e definite le sindromi però il concetto è quello allora segni e sintomi specifici, tipici, di una malattia che il medico non fa altro che interpretare, arriva a fare una diagnosi e la diagnosi fondamentale non è che non prende in considerazione altre diagnosi ma in linea di massima le altre diagnosi servono soltanto per fare un esercizio futile, fondamentale indubbiamente ma alla fine dei conti ha soltanto una valenza

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spaziale, temporanea, che è poi la diagnosi differenziale: uno ha l’affanno devo capire se ha lo scompenso cardiaco, la bronchite cronica, una dispnea neurogena, o un’anemia grave. Se ha una di queste condizioni mi accerto che non abbia le altre con un esercizio di diagnosi differenziale dopodiché queste altre condizioni le butto via, le ignoro, le escludo e mi concentro sulla malattia che ha provocato l’affanno, la dispnea. E allora definito così il quadro morboso che uno ha di fronte, si pone l’obiettivo che nella maggior parte dei casi è di portare a guarigione il paziente, stabilito l’obiettivo trovo la strada per raggiungerlo questo obiettivo e di solito ci sarà una strada maestra che è la terapia principale, che può essere medica, chirurgica, potranno anche esserci terapie alternative quasi competitive una rispetto all’altra, competitive nel senso che magari per quella singola malattia, in quel singolo caso è preferibile il farmaco A rispetto al farmaco B, ma non debbo fare una vera e propria scelta delle priorità delle cose da curare perchè sostanzialmente quella malattia che la medicina ha codificato sicura in quel modo lì con possibili minime alternative. Se ottengo il successo terapeutico il risultato è che guarisce, se il paziente non guarisce va a morte, e quando non ci sono vie di mezzo la medicina interna si deve accontentare di successi parziali che riguardano un miglioramento o il recupero solo di alcune funzioni e non dell’intero stato di salute. Quindi:

• successo → GUARIGIONE • insuccesso → MORTE

Ho cercato di semplificare però riconoscete bene tanti elementi che vi sono stati trasmessi quindi per dire l’idea che l’esercizio della diagnosi va fatto di fronte a una singola malattia e quindi una volta trovata ci si incanala verso la cura di quella malattia in medicina interna le cose sono piuttosto semplici allora se le confrontiamo a quella che è la realtà del paziente anziano che ha più malattie coesistenti, abbiamo detto che una delle parole chiave è la comorbilità o comorbosità, il paziente anziano ha più malattie croniche per il semplice fatto che essendo malattie croniche non guariscono mai, è ovvio che poi cronicità non vuol dire stabilità ma momenti di riacutizzazione, momenti di stabilizzazione, ma anche nelle fasi di stabilizzazione di fondo la malattia rimane sempre, a volte questo può essere del tutto chiaro, tipico esempio di malattie croniche è il diabete perchè il diabete anche quando non ha nessuna manifestazione clinica c’è sempre e se la persona non segue le prescrizioni dietetiche, la terapia, poi ne paga le conseguenze ,il diabete rappresenta proprio l’esempio che meglio si presta a capire bene qual’è il senso di questa malattia cronica di fondo, che può anche essere del tutto inapparente ma che c’è, l’altra condizione è l’ipertensione che si stenta quasi a chiamarla malattia e che potremmo chiamare fattore di rischio che di fondo può non dare nessuna manifestazione eppure rappresenta un presupposto importante per lo sviluppo di gravi condizioni di salute. se un paziente ha il diabete, l’ipertensione, la bronchite cronica, tutte queste sono malattie che una volta comparse non regrediscono mai, uno può avere, e questo è un caso un po’ diverso di malattia cronica, un infarto del miocardio, ha un infarto, magari viene stasata una coronaria, recupera, anche perfettamente, può anche non avere nessun esito da questo infarto ma sostanzialmente si sa che è un coronaropatico e si sa che avrà tendenza a più o meno grave, più o meno marcata ad avere un danno cardiaco conseguente alla malattia delle coronarie, anche se la coronaria l’abbiamo stasata e non ha altre lesioni significative diciamo che è un coronaropatico perchè ha avuto un episodio di coronaropatia manifesta.

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Quindi questo sommarsi delle malattie senza una reale possibilità che un paziente guarisca, è quello che lo porta poi a quella che è la comorbilità o comorbosità . Ci sono molti modi di vedere la comorbosità ,anche di misurarla con delle scale, sostanzialmente per molti usi è sufficiente considerare il numero di malattie che una persona ha, anche se poi sappiamo bene che ci sono malattie più o meno gravi nel determinare la prognosi di una persona però già semplicemente considerare QUANTE malattie ha ci dà un’idea della complessità di un paziente anziano. La comorbosità ha un’importanza fondamentale per quel che riguarda la comparsa della malattia, ora è pur vero che le malattie molto spesso si manifestano nell’anziano come nel giovane con una serie di segni e sintomi che sono quelli cosiddetti tipici della malattia e comunque sia nella maggior parte dei casi anche in un anziano ad esempio l’infarto miocardico si manifesta con dolore toracico, la bronchite cronica con tosse produttiva, però una cosa è certa e cioè che all’avanzare dell’età aumenta il numero di presentazioni di nuovi casi che si presentano in modo atipico,pur rimanendo una minoranza più o meno rilevante rispetto al numero di presentazioni tipiche della stessa malattia ,aumenta senz’altro il numero di quei casi che si presentano in modo atipico, un esempio molto chiaro è quello della cardiopatia ischemica: dolore toracico, retrosternale, irradiato alle spalle, magari sopratutto al braccio sinistro, oppure alla mandibola ecc.. Il dolore toracico nella cardiopatia ischemica dell’anziano non è presente e allora uno può essere fuorviato nel fare la diagnosi, nell’infarto può esordire con sintomi che comunque sia hanno un qualche richiamo cardiaco per esempio un dolorino epigastrico, a volte col vomito, oppure l’affanno che è un altro dei sintomi che comunque sia ha un richiamo cardiaco, altre volte l’esordio non ha apparentemente niente a che vedere col cuore, un infarto in una persona di 60 anni può esordire semplicemente con uno stato di agitazione, con dei disturbi della sfera mentale, cognitiva, quindi la presentazione atipica delle malattie è quasi tipica dell’anziano, ed è tanto più vero questo maggiore è il carico della comorbosità ,il numero delle malattie o la complessità delle malattie ,ad esempio, per capire bene questo cosa vuol dire e da che cosa può dipendere, parlando della cardiopatia ischemica le manifestazioni atipiche, di tipo neurologico o mentali, sono più facili se uno ha già di fondo un qualche disturbo della sfera cognitiva ,se uno ha un’iniziale demenza se a causa della cardiopatia ischemica, nell’infarto in fase acuta si riduce la portata cardiaca, questo facilmente porta ad alterazioni della sfera cognitiva perchè c’è un ipoafflusso su un cervello già colpito, quindi la comorbosità di sicuro gioca un ruolo determinante nella presentazione atipica della malattia . Poi c’è anche una questione: che la presenza di più malattie ci porta non solo a dover esercitare l’arte e la scienza della diagnosi differenziale ma alla fine, e questo è il compito della medicina interna, possiamo trovarci a non sapere perfettamente se alcune manifestazioni cliniche dipendono dalla malattia A,B,C, perchè sono tutte e 3 coopresenti,

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quindi non si tratta più semplicemente di discriminare il grano dall’olio, si tratta di capire che c’è sia il grano che l’olio quindi abbiamo a che fare con più malattie contemporaneamente, il che ci porta anche a un altro punto centrale, noi costantemente di fronte al paziente anziano dobbiamo capire cosa c’è ma anche cosa conviene considerare come priorità, si tratta di fare delle scelte, a cosa dare più importanza, a cosa dare più importanza perchè ci possono essere più malattie concomitanti, il trattamento delle quali può anche essere in contraddizione, se, per capirsi, io ho un paziente che ha uno scompenso cardiaco e un’insufficienza renale grave, è chiaro che certi farmaci come ad esempio gli ACE inibitori che possono peggiorare l’insufficienza renale non glieli posso dare, almeno non così a cuor leggero ,allora si tratta di capire cosa è più importante per il paziente. In questo capire che cosa è più importante per il paziente, rientra anche la considerazione non solo delle diagnosi che sono in gioco ma anche degli obiettivi che vogliamo raggiungere. Non sempre l’obiettivo potrà essere quello della guarigione, e più andiamo avanti con gli anni meno è realistico che questo obiettivo,quello della guarigione e della stabilizzazione clinica completa sia raggiungibile, a volte bisogna accontentarsi di obiettivi intermedi,di successi parziali . Allora è un esercizio molto complicato, a volte, capire tra questi obiettivi parziali che derivano dalla considerazione di diverse malattie coesistenti, a quale dare la priorità . Questa considerazione la possiamo un pochino rendere più concreta se facciamo anche il caso degli obiettivi che un trattamento può avere confrontando i due estremi,quali sono? Sopravvivenza e qualità di vita. Frequentemente c’è proprio una contrapposizione tra questi 2 obiettivi, quello di prolungare la sopravvivenza a scapito di terapie impegnative, rischi di disagi importanti per il paziente e dall’altra parte la qualità della vita cioè il benessere nel breve tempo; un paziente che ha 85 anni, ad esempio, può avere comunque una aspettativa di vita limitata, per via dell’età e delle comorbosità, per cui il nostro obiettivo ad esempio di prolungarne la sopravvivenza quando ha una malattia nuova può essere del tutto irrealistico,del tutto futile sopratutto se poi dobbiamo andare ad incidere con terapie che possono, nell’immediato, compromettere gravemente la sua qualità di vita, questo è un ragionamento che è esemplificato in un modo molto evidente da una condizione che è quella della patologia oncologica, oggi come oggi molte patologie oncologiche sono affrontabili e curabili a costo però di un impegnativo trattamento e impegnativo non solo dal punto di vista di chi lo eroga perchè costoso e perchè bisogna stare attenti con i chemioterapici in quanto è pericoloso anche maneggiarli ecc.. Ma ovviamente impegnativi anche per il paziente che li deve ricevere perchè lì per lì fanno stare male. Non dovrebbe essere solo l’età anagrafica a guidare la scelta, (questa è una cosa che ancora si enuncia ma che poi è difficile mettere in pratica), perchè proprio in virtù di quella eterogeneità di cui abbiamo parlato, a parità di età ci potranno essere persone che sono in condizioni biologiche, cliniche, molto diverse le une dalle altre, quindi la scelta che si pone sostanzialmente, quando si ha a che fare con un paziente anziano, riguarda anche gli obiettivi terapeutici che uno vuole cercare di raggiungere, obiettivi che meno spesso saranno obiettivi di tipo, chiamiamoli massimalista: guarigione e prolungamento della sopravvivenza, ma più spesso saranno obiettivi a più breve termine ma più facilmente raggiungibili, quindi quello del miglioramento della qualità della vita che in molti casi, qualità della vita si traduce nel recupero della massima autonomia funzionale.

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Qualità della vita e autonomia funzionale non sono sempre concatenati uno può avere una qualità di vita scadente pur avendo un’ottima autonomia funzionale e viceversa, sta di fatto che nella maggior parte dei casi l’autonomia funzionale, la capacità di badare a se stessi, è un elemento chiave nella qualità della vita di una persona. Se questo fatto qui del minor peso, della minore attenzione che per forza di cose si deve avere verso un obiettivo che è quello primario di far guarire il paziente e di impedire che questa malattia lo porti a morte, d’altra parte, questa che può sembrare una limitazione se ci pensate bene in realtà ci mette a disposizione anche un ventaglio maggiore di interventi e di cose che si possono fare, cosa voglio dire? Tradizionalmente un medico, un internista con poca esperienza geriatrica e poco avvezzo ad avere a che fare con malattie croniche, dice io a questo paziente più di così non posso fare, me ne disinteresso, gli ho dato la terapia cosa vuole di più? Non riesco a guarirlo quindi che devo fare? Di fronte al paziente anziano, con vari problemi, con varie possibilità di stare male e con una malattia che difficilmente possiamo curare e far passare, noi tuttavia abbiamo vari possibilità di fargli del bene semplicemente cercando di migliorare quello che gli rimane a disposizione; ad esempio ,se noi riusciamo, anche se il paziente ha una prognosi infausta per una malattia grave, a migliorare anche di poco la sua capacità funzionale, il suo grado di autonomia, il suo grado di benessere, con piccoli interventi, che possono essere medici, infermieristici, otteniamo dei buoni risultati facendolo stare meglio, per dire una cosa banale, una persona che riamane a letto per molto tempo sviluppa una serie di sintomi al di là, dei rischi cui va incontro, i sintomi quali dolore, maggior rigidità al movimento quindi si muove sempre con maggiore difficoltà, spesso sviluppa stipsi, cose che nella vostra pratica avete cominciato ad osservare, allora, in linea di massima tutto questo viene ignorato dalla gran parte degli internisti perchè considerano questo tipo di problemi come problemi di serie B rispetto al problema principale che è quello di curargli ad esempio l’ictus, di fatto poi, una persona con l’ictus, mal mobilizzato o non mobilizzato e con tutti i problemi della sindrome da immobilizzazione, soffre tantissimo per questa limitazione che gli viene imposta semplicemente perchè non c’è l’attenzione o non ci sono le risorse per mobilizzarlo e quindi ridurre i dolori articolari, ridurre la stipsi ecc.. Il fatto di non potere sempre mirare all’obiettivo primario, principale che è quello di prolungare la sopravvivenza, ci limita da una parte ma per altri versi amplia il ventaglio delle cose che possiamo fare per migliorare le condizioni di vita e quindi questo ci da degli stimoli in più perchè con relativamente poco possiamo ottenere molto in termini di soddisfazione del paziente. Quindi l’attenzione a questi obiettivi “alternativi” (NON secondari) è estremamente importante e tra questi obiettivi di sicuro quello di recuperare il miglior stato funzionale è uno degli obiettivi più rilevanti; un altro aspetto è quello di cercare di migliorare le condizioni mentali di una persona, una persona anziana, molto compromessa, molto malata, manifesta spesso questa sua fragilità sul piano mentale, cognitivo, e allora va in confusione mentale,in questo noi medici e infermieri contribuiamo abbastanza con i farmaci, l’immobilizzazione, la vita stessa della struttura ospedaliera o residenziale porta più facilmente alla confusione per varie cose come la sveglia ad ore impossibili o comunque inusuale per il paziente, il ritmo dei pasti, l’ambiente spersonalizzante, tutto questo altera moltissimo le capacità di orientamento di una persona anziana con dei problemi. Il semplice considerare e cercare di migliorare l’ambiente ospedaliero, umanizzare l’ospedale ha delle grosse conseguenze sul piano mentale e cognitivo di una persona, quindi l’attenzione

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agli aspetti cognitivi, assieme all’attenzione per gli aspetti funzionali è sicuramente uno dei fari che ci guida in tutto quello che facciamo. Tutto questo richiede un continuo esercizio della nostra capacità di scelta, richiede anche una collaborazione molto stretta tra più figure professionali perchè chiarire quale può essere l’obiettivo più importante per quel singolo paziente non è detto che quell’obiettivo sia raggiungibile con l’opera, gli strumenti solo del medico o solo dell’infermiere o del solo fisioterapista, ma c’è necessità della collaborazione di più figure. Un altro aspetto che distingue la medicina interna dalla medicina geriatrica, è quella, proprio parlando di obiettivi, di non considerare il paziente come elemento passivo su cui riversiamo le nostre decisioni ma di renderlo parte attiva del processo decisionale, in altri termini, nel decidere ad esempio se è preferibile privilegiare una terapia che ha la potenzialità di migliorare la sopravvivenza a scapito della qualità della vita, possiamo noi arrogarci il diritto di prendere delle decisioni ignorando la volontà e le aspettative del paziente? Decisamente NO, è più importante che una decisione di questo tipo venga condivisa con il paziente e quando il paziente non è in grado, anche con i familiari, e quindi l’attenzione alla soggettività è un altro elemento caratterizzante della medicina geriatrica. Il processo di cura in medicina interna bene o male, viaggia secondo quella linea retta che abbiamo indicato prima, dalla presentazione, discernimento della diagnosi alla definizione di un piano terapeutico e al raggiungimento, se possibile di questo piano, di solito si va a dritto per questa strada . Proprio per la complessità che caratterizza il paziente anziano ben difficilmente noi possiamo ripercorrere un percorso così lineare anche in geriatria, più spesso abbiamo a che fare con un percorso “circolare“, circolare nel senso che partiamo da una prima valutazione del paziente, con il nostro ragionamento e anche con la condivisione del paziente operiamo delle scelte, mettiamo in atto queste scelte attraverso interventi,poi dobbiamo andare a verificare cosa è successo, verificare se questi interventi hanno ottenuto i risultati sperati, se no li hanno ottenuti sicuramente dobbiamo ricominciare daccapo e vedere dove abbiamo sbagliato, si va un po’ per “tentativi” con una costante attenzione a ricontrollare quello che abbiamo fatto, se ha funzionato o non ha funzionato, e se non ha funzionato cercare di capire perchè e dove ed eventualmente anche cambiare strada, parzialmente o totalmente. Questi sono un po’ i presupposti metodologici generali della geriatria che si traducono poi in un approccio a tutto tondo. Un elemento caratterizzante della geriatria è quello di cercare di occuparsi della persona anziana a tutto tondo, questo viene fatto già nel momento della valutazione del paziente anziano, non soltanto nel momento della terapia,della cura, tanto è vero che la medicina geriatrica si caratterizza per aver proposto.