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Quarantena Quaresimale (1)
Il virus della paura
Miei carissimi fratelli e sorelle,
tempo addietro avevo in animo di inviarvi un messaggio per l’inizio
della quaresima. Ma l’incalzare del Coronavirus mi ha fatto cambiare idea. Anziché scrivervi una
lettera che inevitabilmente sarebbe risultata più lunga e quindi più noiosa, ho pensato che sarebbe
stato meglio proporvi qualcosa di più breve e di più veloce, ogni settimana. Così, da fratello povero
come voi, che cerca Gesù come voi. Con tutta la passione e la fatica di stargli dietro, ma anche con
tutta la disponibilità e la gioia di scorgere nelle sorelle e nei fratelli di fede quei tratti del suo volto
che ancora non trova in se stesso.
In questi giorni ho registrato vari segnali di gratitudine per aver adottato – in collaborazione
con le Autorità civili e in comunione con gli altri Vescovi della regione – varie e motivate indicazioni
cautelari in modo da prevenire nelle nostre comunità realistici pericoli di contagio, ma comunque di
non chiudere le nostre chiese alla visita e alla supplica dei singoli fedeli. Questo bisogno di silenzio,
nutrito da un acuto desiderio di preghiera, mi ha stupito e commosso.
No, non vi ho riscontrato l’idea di un ricorso superstizioso ad una Divinità che in modo
magico ci potrebbe e dovrebbe risolvere i problemi e mettere al riparo dai pericoli che corriamo,
garantendoci una assicurazione sulla vita.
I cristiani hanno imparato dal Maestro di Nazaret. Il nostro Dio non è un fastidioso
guastafeste. Né un capriccioso, implacabile fustigatore. Non è un padre-mostro. E’ un Padre-Papà, il
nostro fedele Alleato, che ci ha mandato Gesù a salvarci dal male più devastante: l’egoismo. Ma
anche per liberarci dalla paura.
Ci ha mandato suo Figlio, il quale ha provato sulla sua pelle il brivido della madre di tutte le
paure: la morte. Non se ne è lasciato paralizzare, ma l’ha superata con lo slancio di una estrema fiducia
nell’amore del Padre-Abbà. Rileggiamo il drammatico racconto della Lettera agli Ebrei: “Nei giorni
della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva
salvarlo da morte e, per il pieno abbandono a lui, venne esaudito”. Venne esaudito, non nel senso
che fu liberato dal dolore, ma che fu liberato nel dolore. Perché a una violenza totalmente
ingiustificata rispose con un amore totalmente incondizionato. Morì, certo, ma morì amando e per-
donando. Per questo il Padre lo ha risuscitato, per lasciarlo sempre con noi, come lui stesso ha
promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
Sì, noi crediamo che Gesù non si è ancora stancato di rimanere con noi, perfino nei giorni più
bui e più difficili. Non si è mai chiuso alle necessità e alle sofferenze dei poveri, dei malati e degli
esclusi. E’vero: “non si vergogna di chiamarci fratelli”, e continua a passare il suo cielo sulla nostra
terra.
Come ci aiuta allora Gesù in questi giorni della paura? Con le due ali che ci permettono non
di non sentire la paura, ma ci consentono di non acconsentire alla paura. Sono le ali della ragione e
della fede, che si librano all’unisono. La ragione ci aiuta a non essere né superficiali né allarmisti. E
la fede ci aiuta a sperare. Sempre. Non perché le nostre cose vanno bene. Ma perché il Padre non ha
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mai smesso né mai smetterà di volerci bene. Ascoltiamo san Paolo: “Non lasciarti vincere dal male,
ma vinci il male con il bene”.
Miei carissimi, ma non vi pare che se noi cristiani usassimo un po’ di più queste due ali, il
mondo andrebbe meglio?
Vi saluto.
Vostro
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Quarantena Quaresimale (2)
L’antivirus del digiuno
Miei carissimi fratelli e sorelle,
dalla scorsa settimana, da giornali, telegiornali e social vari continuano
a grondare notizie non-stop sul Covid-19. Un vorticoso tsunami mediatico. Che per noi italiani e
cristiani ha praticamente coinciso con l’inizio della Quaresima, tempo forte per prepararci alla
Pasqua, segnato dall’esercizio delle tre grandi opere ‘penitenziali’: preghiera, elemosina, digiuno.
Sì, anche digiuno. Qui mi scatta in capo un ronzio compulsivo, che mi fa dire tra me e me:
strano destino delle parole! Dopo aver dilagato per secoli e secoli nei rigogliosi terreni di manuali
ascetici e devote vite di santi, oggi la parola digiuno risulta quasi del tutto esiliata dal corrente gergo
clericale. Per emigrare infine nei laboratori-analisi e reparti chirurgici. Ma non posso non
domandarmi: che ne è ormai del peso specifico di una parola che vanta un pedigree di tutto rispetto,
dal momento che risale a profeti come Isaia, Geremia, Gioele, ed altri ancora? Che lo stesso Gesù ha,
certo, purificato nello spirito e nella prassi, e se vogliamo ha perfino relativizzato. Ma che non ha
affatto derubricato.
Ma guarda un po’: la gente oggi digiuna e organizza scioperi della fame per rivendicare
legittimi diritti da cui è stata espropriata, per ottenere un aumento di salario, per denunciare gravi
fenomeni di violenza, per esprimere solidarietà a persone oppresse o sfruttate. Ma non digiuna più
per santificare un tempo sacro come la Quaresima. Del resto la ‘pia pratica’ del digiuno risulta
talmente sbiadita per cui uno quasi non se ne accorge più. Un pasto ridotto. Un piatto solo. Quasi
niente fuori dai pasti.
A questo punto, mi pare di sentire la voce dei ‘laici’ che ci ricordano la Parola: “Cari cristiani,
associatevi pure ai nostri ‘digiuni’. Ma non dimenticatevi di farne un altro. Un digiuno che sia
profezia. Astenetevi pure da un pasto, ma prima guardatevi dall’ingordigia, dal sopruso, dalla smania
dell’accaparramento, dalla corruzione e dalla collusione con oscure trame di potere. Privatevi pure di
un piatto, ma prima ancora privatevi del lusso, dello spreco, del troppo. Più che non sedervi a mensa,
aggiungete un posto a tavola. Più che non toccare il pane, spezzatelo con chi ha fame, con chi è
sfruttato, è sfrattato e senza tetto”.
Ma qual è il digiuno richiesto a tutti, cristiani compresi, nei giorni critici del Covid-19? Penso
che questo sia il tempo del digiuno dalla superficialità facilona e irresponsabile, che induce a
minimizzare tranquillamente la portata di questa epidemia, come se fosse una normale influenza.
All’opposto questo è anche il tempo del digiuno dal catastrofismo isterico e allarmista, che
contagia paure irrazionali e infondate. E interpreta il virus che ci sta affliggendo, come castigo e
punizione, fulminata da una gelida entità vendicativa e senza cuore.
Un’altra forma di digiuno – a cui non possiamo sottrarci – è quella dal benaltrismo, che porta
a pensare che i veri problemi sono ben altri: il surriscaldamento del pianeta, le speculazioni
finanziarie, le guerre… Problemi drammatici, certo, ma si può risolvere un problema oscurandone un
altro?
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Senza dimenticare il digiuno dall’opportunismo di chi vorrebbe sfruttare la situazione in corso
come una ghiotta occasione per affermarsi, per fare affari, per sbalzare di sella i propri avversari
politici…
Insomma ci occorrono due virtù, per niente alternative, ma neppure fifty-fifty: la prudenza dei
serpenti e la semplicità delle colombe. La prima ci fa evitare il pericolo quando è possibile. La
seconda ce lo fa affrontare quando è inevitabile.
Miei carissimi, ma non vi pare che se noi cristiani bazzicassimo un po’ di più questa via
evangelica, a tutti risulterebbe un po’ meno complicato far fronte all’emergenza attuale?
Vi saluto.
Vostro
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Quarantena Quaresimale (3)
La terapia della preghiera
Miei carissimi fratelli e sorelle, ,
stavolta debbo cominciare da una confessione a cuore aperto.
Credetemi. Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli e sorelle che, quando penso alla mia preghiera,
mi affiorano dal cuore due pungenti amarezze. La prima è di non riuscire a pregare di più. E allora
rischio di ammalarmi di attivismo e di espormi al virus pelagiano del “fai da te”. La seconda amarezza
è presto detta: più vado avanti negli anni e più mi pare di non saper pregare.
Eppure di maestri di preghiera ne ho avuti molti, e molto buoni. I primi sono stati i miei
genitori. Mia madre, anzitutto. A quasi 70 anni di distanza, mi sento ancora percuotere dai suoi sospiri
a stento repressi davanti alla statua del Crocifisso del mio paese. Il messaggio che me ne veniva ‘a
pelle’ era limpido e invitante: Gesù mi aveva amato fino a morire per me. E poi, mio padre. Più che
il rosario serale recitato a colpi di sonno al termine di massacranti giornate di lavoro, mi ritornano in
mente le volte che di notte mi sentiva piangere per il mal di denti o per la tonsillite. Con uno scatto
celere accorreva al mio lettino e di colpo riusciva a placare il pianto convulso e l’irrefrenabile paura
che mi attanagliava. Anche dal babbo mi giungeva un messaggio di palpitante tenerezza: Dio è un
Padre-Papà che non ce la fa a vedere o a sentire i suoi figli gemere e singhiozzare. Ambedue i
messaggi sono stati e rimangono una imprescindibile premessa per la mia povera preghiera: perché
pregare se a Dio non importa di me?
Poi c'è stato il seminario minore, e lì ho capito che la preghiera è una cosa bella, bellissima:
è parlare cuore a cuore con Gesù, l'amico-PIÙ. Il più grande, il più leale, il più fedele. Il più generoso,
il più umile, il più coraggioso amico che io abbia mai incontrato. E che più di ogni altro mi abbia
fatto felice. Poi ancora, da giovane, al seminario maggiore, ho cominciato a gustare la bellezza della
lectio divina, che allora si chiamava semplicemente meditazione. Il nostro nuovo padre spirituale,
appena arrivato, fece piazza pulita dei tanti libri e libretti che intasavano i banchi della nostra cappella,
per rimpiazzarli con la Bibbia. La sola, nuda Bibbia. Fu una scoperta da leccarsi le labbra. Il 'Libro
dei libri' non solo mi consegnava le deliziose parole della lingua umano-divina per poter dialogare
con Dio, ma mi forniva pure l'intero vocabolario e la grammatica di base della preghiera.
E allora cos’è pregare? ce lo stiamo chiedendo in questi tempi di Covid-19. Pregare è
parlare con Dio, ci dicevano da bambini. Sì, ma poveri come siamo, pieni di fede e di dubbi, noi
sogniamo una fede rocciosa, che sradichi alberi e sposti montagne. Ma di una fede di questa lega, non
siamo capaci. Gonfi di noi, dobbiamo rifarci anfore vuote. Dobbiamo svuotarci dalla idolatria.
Dobbiamo ricordare sempre che il contrario della fede non è l’incredulità: è l’IO-latria. Che non è
solo l’adorazione delle immagini degli dei “falsi e bugiardi”. E’ anche la falsificazione dell’immagine
fedele del Dio vivo e vero. Di cui l’autentica ‘copia-conforme’ è quella firmata da Gesù: Dio non è il
padre-padrone. E’ il Padre–Abbà.
Ma se noi ci sbagliamo su Dio, allora la nostra preghiera risulterà contagiata dal virus delle
sue immagini idolatriche, proiettate dai nostri sogni, deliri di onnipotenza e narcisistici bisogni.
Immagini tipo: il dio-Bankomat del “tanto ti do, tanto mi devi”. Il dio-Specchio del fariseo al tempio
che si contempla compiaciuto e non smette di autocelebrarsi: “IO ti ringrazio, IO digiuno, IO non
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sono come questo pubblicano”. Ancora, la dea-Polizza che ci strega con il miraggio di una magica
assicurazione sulla vita. Il dio-Faraone, che non vuole figli da amare e servire, ma schiavi da
schiacciare e asservire.
No, il nostro Dio è l’Abbà che ci ama senza se e senza ma. Che non si merita, ma si accoglie.
Che non vuole facchini, ma innamorati. Che non può dare nulla di meno di se stesso. E in croce
preferisce rinunciare a salvare se stesso pur di salvare tutti noi.
Miei carissimi fratelli e sorelle, ma non vi pare che, se noi credessimo un po’ di più nell’Abbà
di Gesù, non saremmo sedotti dalla subdola tentazione idolatrica di volerlo piegare ai nostri meschini
progetti?
Vi saluto.
Vostro
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Quarantena – Quaresimale (4)
Contro la pandemia dell’EGO
Miei carissimi fratelli e sorelle,
dopo avervi parlato del digiuno e della preghiera, adesso dovrei
parlarvi del terzo pilastro dell’edificio quaresimale: l’elemosina. Che – stiamo sereni – non è affatto
coprire i rattoppi della giustizia con le pezze calde della carità. Amare il povero non significa
assisterlo, significa promuoverlo. Purtroppo oggi da noi l’elemosina è un cardo spinoso che spunta
nel deserto dell’ingiustizia, come alibi a una solidarietà vera, concreta, gratuita.
Allora parliamo di carità, intesa come amore. Ma Amore con l’A maiuscola non è un
vocabolo: è un vocabolario. Perché dice il tutto della rivelazione cristiana. Ne dice il principio e il
fondamento, la meta e la strada, la profezia e il compimento, il centro pulsante e il tutto eccedente.
Amore è parola divina – Dio è Amore! – e parola umana: chi non è amato e non ama, muore. E’
parola bilingue, divino-umana: vedi alla voce “Gesù Cristo”, Amore divino dell’uomo, Amore umano
di Dio. Proviamo allora a cantillare le sette note dell’Amore, quale si è rivelato nell’evento capitale
di tutta la storia: la Pasqua.
Primo, la gratuità. L’Amore di Dio è totalmente disinteressato. Dio ama l’uomo perché è
Amore, non perché insegua un proprio, centripeto tornaconto. Potrebbe il sole non illuminare o il
fuoco non bruciare? Chi contempla il Crocifisso scorge un amore tanto gratuito e sconfinato da
apparire in-credibile: così Dio ha amato il mondo! Gesù, avendo amato i suoi, li amò fino all’estremo:
carità eccessiva, sproporzionata, straripante. Il suo Vangelo parla chiaro. Neppure i torti subiti, le
richieste esorbitanti, i soprusi sofferti, le violenze patite, le feroci persecuzioni dei nemici devono
essere barriera all’Amore.
La gratuità si traduce in tenerezza. L’Amore non si indurisce per ostinata volontà di
autocoerenza e non si raffredda in pura correttezza giuridica, ma si porge nei gesti caldi della più
premurosa e affettuosa delicatezza. Cosa c’è di più tenero di Cristo che si china a lavare i piedi dei
discepoli? O che si lascia spezzare e mangiare dai suoi come un pane fragrante? o che gradisce i baci
e il nardo di Maria sui suoi piedi?
La tenerezza si prolunga nella misericordia. L’Amore è veramente tenero perché non giudica
e non condanna. Tutto scusa, tutto sopporta. Non si arresta di fronte alla miseria dell’amato, non vince
soltanto il tempo, vince un nemico ancora più accanito: la colpa, l’incorrispondenza, l’infedeltà.
La misericordia si accompagna alla intelligenza. L’Amore vede quello che si può fare
immediatamente. E vede quello che si deve fare con leggi giuste, con nuove strutture e riforme
continue. Vede che a chi ti chiede un pesce gli devi dare la canna per pescare, e non un pesce bell’e
fritto. Ma vede pure che non tutti sono in grado di reggere la canna per pescare.
L’intelligenza si incarna nella concretezza. L’Amore si fa gesto e storia, non scade mai a
buonismo tenerone o a morboso sentimentalismo, ma raggiunge la persona qui e adesso. Ci è richiesto
un Amore tangibile, spicciolo. Che traduca l’impulso emotivo nel servizio operoso. Che non si ferma
mai. E non fermarsi mai nell’Amore significa andare molto lontano, nella direzione di una croce che
salva.
La concretezza si fonda sulla radicalità. L’Amore che ha il volto e il nome del Crocifisso, al
mondo dell’egoismo e della violenza, dell’interesse e del profitto, contrappone l’offerta di sé, la
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disponibilità totale e gratuita della propria vita, senza difese, senza limiti, senza revoche. Si regala, si
spende, si consuma tutto fino a morire.
La radicalità si illumina nella trasparenza. L’Amore è la carità di Dio, non la nostra. Il nostro
Amore è vangelo – buona notizia – a patto che lasci trasparire l’Amore di Dio. Perché è questo che
gli uomini cercano, non appena il nostro. Che è troppo piccolo per dissetare l’arsura d’infinito, che
brucia in cuore all’umanità ferita e sfinita. Il nostro Amore può diventare grande, solo se sa mettersi
da parte per attirare l’attenzione sull’Amore di Dio, non sul nostro.
Miei carissimi, ma non vi pare che se noi cristiani ci lasciassimo contagiare dall’antidoto di
un Amore così, riusciremmo a sconfiggere la pandemia dell’Io egoista e autocentrato che ammorba
il mondo?
Vi saluto
Vostro
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Quarantena - Quaresimale (5)
Croce: il vaccino dell’Amore
Miei carissimi fratelli e sorelle,
permettetemi uno sfogo. Quanto male mi fa sentire gente, purtroppo
anche di chiesa, parlare di questo tsunami del Covid-19 come di un castigo mandatoci da Dio… Mi
viene da domandarmi: ma quale immagine di Dio veicola un pensiero così mostruoso?! Mi verrebbe
da gridare da tutti i balconi, strillare da tutte le tribune, urlare da tutte le piattaforme: “Nooo! Ma
come si puòòò?! Se dopo 2mila anni di cristianesimo, ancora serpeggia tra i cristiani una idea di Dio
tanto perfida e perversa, allora è segno che abbiamo stravolto tutto, proprio tutto del Vangelo. Dalla
A alla Zeta”.
La verità limpida e liberante che Gesù è venuto a comunicarci è concentrata in questo
semplicissimo versetto del vangelo di Giovanni: “Dio, nessuno lo ha visto mai: il Figlio unigenito,
che è Dio ed è (rivolto) verso il grembo del Padre, è lui che lo ha rivelato” (1,18). Ecco cosa è venuto
a fare Gesù in mezzo a noi: è venuto ad aiutarci a non sbagliarci su Dio. E’ venuto a raccontarci
come è fatto Dio. E’ venuto a dirci che Dio è fatto tutto d’Amore. Vero, verissimo: “Dio è amore”.
Non è un padre-padrone. E’ Padre-Papà: ha il volto di un padre fortissimo e il cuore di una tenerissima
madre.
Questa è la più bella notizia (= evangelo), mai udita sotto il cielo. Gesù la grida e la canta, la
declina e la racconta. Con gesti intensi di struggente tenerezza. Con sentimenti indicibili di toccante
misericordia. Con atteggiamenti commossi e commoventi di fremente con-passione. Soprattutto nei
confronti degli ‘scartati’ del suo tempo e della sua terra: donne, bambini, poveri e lebbrosi, malati e
oppressi, pubblici peccatori e peccatrici. Mai si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli. Con
la vita e la parola annunciò al mondo che Dio è Padre-Abbà, e ha cura di tutti i suoi figli.
Il volto che Gesù ci rivela (= s-vela) di Dio è quello di un Dio capovolto. Un Dio diverso.
Tutte le religioni dicono che, se Dio venisse in mezzo a noi, toccherebbe a noi lavargli i piedi e
toglierci, noi, il pane di bocca per offrirlo a lui. In Gesù invece il Dio invisibile si è fatto visibile,
palpabile, rivelandosi con il volto della gratuità più gratuita, del più generoso dono di sé, dell’offerta
della propria vita a fondo perduto.
Un Dio rovesciato: venuto a servire, non a farsi servire. A lavare, lui, i piedi a noi. A farsi, lui,
pane per la nostra fame di In-finito. Un capovolgimento che mi lascia sorpreso e commosso. Non è
l’uomo che si sacrifica e muore per Dio, ma Dio per l’uomo.
È il paradosso della incarnazione. Una parola, questa, che ci dice di un movimento che da
Dio va verso l’uomo, non l’inverso. Se il Figlio di Dio si fosse manifestato nelle vesti sgargianti di
un maestoso imperatore, o nei solenni paramenti di un ieratico sommo sacerdote, non sarebbe stata
un’assoluta novità. Ma solo una prevedibile modalità, conforme alla logica mondana. Invece Gesù di
Nazaret ha condiviso la sorte dei più umili fra gli ultimi, rovesciando in tal modo l’immagine di Dio,
e manifestando così il volto di un Dio imprevedibile. Di fatto imprevisto. Del tutto inatteso.
Ma c’è di più, come mostra la parola della croce. Il Calvario ci dice fino a che punto Dio ami
l’uomo. Non solo morendo con i peccatori e per i peccatori, ma come un peccatore, tra due malfattori.
Ancora di più. Sulla croce Gesù, per salvare noi, ha rinunciato a salvare se stesso. Vive per primo la
parola che aveva consegnato ai suoi: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà”. In fondo,
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l’accusa sfacciatamente rivoltagli dai capi del popolo, i soldati romani, i malfattori crocifissi con lui,
dalla folla schiamazzante che assiste a quell’orrendo spettacolo, finisce per scoprire la sua vera carta
di identità: quel Nazareno crocifisso si è spogliato della sua ‘gloriosa’ divinità e “si è fatto povero per
farci ricchi con la sua povertà” (san Paolo). Sulla croce Gesù ha fatto di una violenza totalmente
ingiustificata, l’occasione per una dedizione totalmente incondizionata. C’è un amore più grande?
Così il Crocifisso ci dice come è fatto Dio. Dio è l’onnipotente: ci ha creato per amore e perciò
ci ha fatto liberi. Non ci ha ‘sfornato’ in serie come dei perfetti robot, algidi e metallici, senza carne
né cuore, che non hanno bisogno di un padre e dei fratelli. E non ci ha mandato Gesù a spiegarci il
mistero del dolore, ma a condividerlo. Per questo lui, il Figlio di Dio onni-potente, si è reso onni-
impotente. Perché Dio è misericordioso, e proprio nella misericordia investe la sua onnipotenza. Se
non facesse così, finirebbe per distruggere la nostra libertà, e quindi arriverebbe ad azzerare la nostra
umanità. Di più: arriverebbe a distruggere se stesso, perché è il Dio-tutto-Amore. E pertanto che
Amore sarebbe se non fosse ‘scrupolosamente’ rispettoso della nostra umana libertà?
Ma su un tema così delicato e impegnativo dovremo ritornare più avanti…
Miei carissimi tutti, ma non vi pare che se noi cristiani - già ‘vaccinati’ al battesimo con
l’antivirus dell’Amore – ci impegnassimo un po’ di più a riscoprire la vita nuova che in quel giorno
ci è stata ‘contagiata’, potremmo allora collaborare con il Crocifisso-Risorto per rendere più umana
questa “aiuola che ci fa tanto feroci”?
Vi saluto
Vostro
Quarantena- Quaresimale (6)
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La con-passione del Padre
Miei carissimi fratelli e sorelle,
permettetemi due brevi premesse in apertura.
La prima: una dedica. Questa 6.a lettera quaresimale la vorrei indirizzare ‘in posta prioritaria’
ai fratelli e alle sorelle che credono, ma in questi giorni drammatici si pongono pungenti domande e
dubbi lancinanti, e stanno facendo tanta fatica a credere. Vorrei inoltre dedicarla anche a quanti non
credono, eppure si sono messi in un arduo cammino di ricerca, ma fanno altrettanta fatica a trovare
qualcuno che li aiuti. Agli uni e agli altri vorrei dire: “Pensatemi e sentitemi in cammino con voi
tutti”.
Seconda premessa: una osservazione intrigante. So bene che la riproduzione di un capolavoro
pecca sempre per difetto. Ma oggi ho bisogno di richiamare alla mia e vostra memoria lo splendido,
struggente affresco del Masaccio, intitolato Trinità e collocato nella terza campata di sinistra di santa
Maria Novella, a Firenze. In verità, più che il mistero della Tri-Unità nella gloria, vi si raffigura il
mistero delle tre Persone nella Passione. Con lo Spirito che volteggia sul capo del Padre, il quale,
con le braccia distese e il volto sofferente e immensamente amante, sostiene con le sue mani la croce
del Figlio. Il messaggio è folgorante: anche il Padre soffre-con il Figlio che soffre-con il Padre. Di
più: la sofferenza in Dio non è ‘binaria’, ma effettivamente ‘trinitaria’. Lo stesso Spirito Santo, che è
l’amore di Dio in persona, è anche, di conseguenza, il “dolore di Dio in persona”.
In-credibile! In-razionale!! Del tutto condivisibile san Paolo: la morte in croce di Gesù è un
“messaggio scandaloso e offensivo per i Giudei, un assurdo pazzesco per i pagani”. Gli Ebrei non
potevano credere in un Messia e Figlio di Dio condannato al supplizio più infamante del tempo. E i
Greci sostenevano che la divinità non può assolutamente amare nessun essere umano, e non può
minimamente soffrire e sacrificarsi per i miseri mortali. Altrimenti si degraderebbe.
Del resto anche per i musulmani è del tutto intollerabile che Dio abbia permesso che un
grande ‘profeta’ come Gesù sia andato a finire – proprio lui, completamente innocente – inchiodato
a una croce. Pertanto Gesù sarebbe in extremis disceso miracolosamente dal patibolo e sostituito da
un sosia. Mentre solo i cristiani credono che Gesù sia stato realmente crocifisso, sia realmente morto
e sia stato realmente sepolto. Una penosissima passione, che Gesù stesso ha letto in una logica di
amore. Incamminandosi verso la croce, egli disse: “Perché il mondo sappia che io amo il Padre,
alzatevi, andiamo” (Gv 14,31). Dunque Gesù ha vissuto la sua passione e morte come un offerta di
amore verso il Padre.
Ma a questo punto scatta la domanda fatale: che razza di amore sarebbe quello di un Padre,
per giunta onnipotente, che non è riuscito a salvare suo Figlio da una morte tanto scandalosa quanto
raccapricciante? Ma qui arriva la sorpresa di due belle notizie.
La prima va formulata in negativo: dice ciò che Dio non è. La passione di Gesù non può essere
interpretata come il più crudele castigo che Dio potesse infliggere al Figlio innocente. Il Padre non è
un essere permaloso, minaccioso e vendicativo. E’ onnipotente, certo, ma non è onninvadente. Non
soffoca la libertà umana, ma la sostiene e la promuove. Non favorisce né servilismo né fatalismo.
Non è assente né latitante. Non impedisce il male, ma ne trae il bene, rispettando la libertà delle sue
creature.
La seconda buona notizia va detta in positivo, perché è luminosa, incandescente: anche il
Padre soffre! Certamente la sua sofferenza non deriva da limiti, carenze e insufficienze riguardanti
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la sua identità. E neppure scaturisce da ferite ricevute o subite, ma è una passione d’amore. Perché
Dio è amore, e l’amore è il sentimento più vulnerabile che ci sia sotto il cielo. Pertanto un amore
degno di questo nome deve lasciare libero l’amato di accoglierlo o rifiutarlo. Il rifiuto dell’amore è
una delle sofferenze più strazianti per un cuore di carne umana. Ma non di meno è il dolore più atroce
per un Dio che ha tanto amato il mondo da donarci il suo Figlio unigenito. E’ vero: al Calvario il
Padre tace, ma il suo non è un silenzio di indifferenza. E’ un silenzio di sofferenza e di impotenza.
Ambedue dettate dall’Amore.
Certo, san Paolo scrive che Dio (= il Padre) ha prestabilito Cristo “come strumento di
espiazione” (Rm 3,25). Parola da brivido: ‘espiazione’. Ma si tratta di una ‘riparazione’ che non opera
su Dio per placarlo, bensì sul peccato dell’umanità per eliminarlo. Si può dire che il soggetto di questa
espiazione sia Dio stesso, non l’uomo. Si potrebbe esprimere con l’immagine della neutralizzazione
di un virus fatale, anziché con quella di una ira placata da un castigo spietato o da una tremenda
punizione.
Miei carissimi tutti, ma non vi pare che, se noi cristiani ci fidassimo un po’ di più di questo
Padre buono anche quando non riusciamo a comprenderlo, ci libereremmo da ogni paura? E, a nostra
volta, potremmo aiutare i nostri fratelli e sorelle non credenti a liberarsi dall’immagine – che forse
noi stessi abbiamo loro ‘contagiato’, come il più virale di tutti i virus - di un Dio indifferente alla
nostra sofferenza?
Vi saluto.
Vostro
P.s. Nel rileggere questa mia, ho trovato che forse ho voluto dire troppo in troppo poco spazio. Ne
chiedo sinceramente scusa. Prego per voi – e voi pregate per me – perché lo Spirito che “intercede
(per noi) con gemiti inesprimibili”, faccia zampillare dal nostro cuore di pietra il fiotto dello stupore:
“Quanto ci hai amato, Padre buono, quanto ci hai amato!”.
Quarantena Quaresimale (7)
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CroceVia della Vita
Miei carissimi fratelli e sorelle,
ci siamo. Questa è l’ultima lettera ‘quaresimale’ che vi scrivo in
questa interminabile ‘quarantena’, prima di Pasqua. Sarà una delle Pasque più sofferte della storia o
- speriamo! - almeno della nostra vita. Certo, domenica prossima ci mancherà la letizia di poterla
celebrare come di consueto. Ma non ci mancherà, non ci può mancare la gioia di viverla. Ad una
condizione: che ci lasciamo contagiare dal… Calvariovirus. E ne diventiamo ‘portatori sani’.
Non so se succede anche a voi. Penso di sì. A me capita che, quando arrivo alle pagine tristi e
dolenti della passione di Gesù, le parole mi si spengono in gola. Ma lo stesso mi succede per le pagine
squillanti e felici della risurrezione. Non che prima mi viene da piangere e poi mi viene da gioire. Mi
viene da piangere e da gioire, insieme, di commozione e di stupore, prima e dopo la Pasqua. Perché
la fede mi fa sbirciare l’intreccio misterioso e intrigante tra sofferenza e gioia, annodate con nodo
inestricabile dallo stesso laccio: l’amore. Amore nella passione e amore nella risurrezione. Senza
l’amore, la morte di Gesù sarebbe vuota e sterile. E la sua risurrezione, senza l’amore, sarebbe cieca
e inutile.
Forse mi sto incartando. Provo a spiegarmi con una immagine: quella della sorgente, del fiume
e del mare. Partiamo dal mare.
Il Calvario (croce + tomba vuota) è come un mare sconfinato, senza fondo e senza sponde.
E’ formato da miliardi di miliardi di miliardi di gocce. Fuor di metafora quelle gocce sono le lacrime
di tanta povera gente che soffre, ama e spera. Sono goccioline di sudore di tante e tanti che lavorano,
si sacrificano, si sfiancano per il bene comune. Penso in particolare ai tantissimi malati che con il loro
dolore, vissuto con umile amore, rendono più pura l’atmosfera morale della società e bruciano le
tossine inquinanti del mondo che abitiamo. Pensiamo in questi giorni del Covid-19 ai tantissimi
medici – ben 8mila! - che hanno dato la disponibilità alla Protezione Civile. Pensiamo agli oltre 100
giovani riminesi che si sono offerti come volontari alla nostra Caritas diocesana.
Pensiamo soprattutto ai tantissimi malati, ai loro parenti e amici, che stanno associando il loro
dolore alla croce di Gesù. Qualcuno dirà: “Questo al massimo vale per voi cristiani. Ma allora,
secondo voi, sarebbe inutile il pianto e sprecato il sudore di quanti cristiani non sono o non si sentono
di essere?”. E invece no, amici miei. Assolutamente no.
Ve lo dico con parole ben più autorevoli delle mie. Queste, sottoscritte il 7 dicembre 1965 da
Paolo VI e dalla bellezza di ben 2225 vescovi di tutto il mondo, al termine del Concilio Vaticano II.
La citazione è un po’ lunga. Ma il contenuto è abbagliante. “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è
unito in certo modo a ogni uomo. E ciò non vale solo per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini
di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo infatti è morto per tutti.
Pertanto dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel
modo che Dio conosce, con il mistero della Pasqua” (GS 22).
Bellissimo! La nostra esistenza non è affatto sterile o del tutto inutile. “Il nostro dolore
alimenta l’economia sommersa della grazia” (T. Bello). La nostra sofferenza è come un rigagnolo
che va ad ingrossare quel fiume carsico del sangue di Cristo, fino a riversarsi, a sua volta, in
quell’oceano di carità che assicura la possibilità di vita sulla terra.
Il Calvario non è soltanto l’oceano della Carità, ma è anche il fiume della Speranza. Speranza
significa forza di rinnovare il mondo. Spinta a cambiare le cose. Slancio per un bel ‘salto vitale’ (non
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mortale!) in avanti. Nonostante tutto. Nonostante lo tsunami micidiale del Covid-19. Nonostante
l’ecatombe planetaria che sta causando.
Non mi dite, amici miei, che questa è bolsa retorica buonista. O che vi sto rifilando un
dolciastro sciroppetto consolatorio. Ve l’ho detto e ridetto tante volte: noi non speriamo perché le
nostre cose vanno bene, ma perché il Padre dei cieli non si è ancora stancato – né mai si stancherà -
di volerci bene. Noi speriamo perché Cristo è risorto, e lui, da buon Pastore innamorato, non si è
ancora stancato – né mai si stancherà - della nostra irrefragabile certezza, cantillata da un Salmo
dolcissimo: “Le mie lacrime nell’otre tuo raccogli”. Tutte le lacrime. E le lacrime di tutti. Una per
una. Come fossero gocce di rugiada che lui sa abilmente trasformare, una per una, in perle lucenti. Il
Crocifisso-Risorto è capace di farci vedere perfino la morte dal versante della risurrezione. Che è il
versante della speranza.
Il Calvario non è solo il mare della Carità. Non è solo il fiume della Speranza. E’ anche la
sorgente della Fede. Fede significa fidarsi e affidarsi. Significa consegnarsi nelle mani forti e tenere
del Padre-Abbà. Senza pretese. Senza riserve. Senza ricatti. Come ha fatto Gesù, confitto (ma non
sconfitto!) sulla croce: “Padre, nelle tue mani consegno la mia vita”.
Nella tomba vuota è ormai lo scrigno dove giace l’inossidabile chiave di lettura della vita e la
password decisiva della storia. D’ora in poi, non un valore, un precetto, una legge disegneranno
l’itinerario della vita. E nemmeno una formula, un programma, un progetto. Ma una Persona è il cuore
del nostro piangere e sudare. Del nostro amare e gioire. Del nostro credere e sperare.
E del nostro stesso vivere.
Miei carissimi tutti, ma ci rendiamo conto che se è vero che Cristo è risorto, allora è altrettanto
vero che tutto cambia?
Vi saluto e, nonostante il Covid-19, vi auguro di cuore Buona Pasqua!
Vostro