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1 1 INTRODUZIONE AI RENI Nell'uomo l'apparato digerente assorbe molti tipi di sostanze chimiche fra cui; acqua, aminoacidi, zuccheri, lipidi, vitamine e sali minerali. La quantità e la composizione delle sostanze che passano dal sistema digerente e dal metabolismo cellulare alla cir- colazione sanguigna non sono rigorosamente regolate. Eppure la composizione chi- mica del sangue e degli altri liquidi è regolata con precisione ed è stabilizzata da meccanismi omeostatici 1 che eliminano o trattengono selettivamente queste diverse sostanze. Nell'uomo questa funzione è svolta dal sistema escretore, la cui attività por- ta all'escrezione di un materiale liquido detto urina. Uno dei principali compiti del si- stema escretore è di eliminare alcuni prodotti del metabolismo, per lo più i derivati azotati. La deaminazione degli aminoacidi e di altri composti azotati produce ammo- niaca (NH3) la quale è altamente tossica: a livello del fegato l'ammoniaca viene con- vertita in un composto meno tossico (l'urea) che può circolare ed essere eliminato da- gli organi escretori. Nell'uomo gli organi escretori principali sono i reni. 1.1 ASPETTO E POSIZIONE 1 Omeostasi. Capacità degli organismi viventi di mantenere un equilibrio stabile, nonostante il variare delle condizioni esterne.

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1 INTRODUZIONE AI RENI Nell'uomo l'apparato digerente assorbe molti tipi di sostanze chimiche fra cui; acqua, aminoacidi, zuccheri, lipidi, vitamine e sali minerali. La quantità e la composizione delle sostanze che passano dal sistema digerente e dal metabolismo cellulare alla cir-colazione sanguigna non sono rigorosamente regolate. Eppure la composizione chi-mica del sangue e degli altri liquidi è regolata con precisione ed è stabilizzata da meccanismi omeostatici1 che eliminano o trattengono selettivamente queste diverse sostanze. Nell'uomo questa funzione è svolta dal sistema escretore, la cui attività por-ta all'escrezione di un materiale liquido detto urina. Uno dei principali compiti del si-stema escretore è di eliminare alcuni prodotti del metabolismo, per lo più i derivati azotati. La deaminazione degli aminoacidi e di altri composti azotati produce ammo-niaca (NH3) la quale è altamente tossica: a livello del fegato l'ammoniaca viene con-vertita in un composto meno tossico (l'urea) che può circolare ed essere eliminato da-gli organi escretori. Nell'uomo gli organi escretori principali sono i reni.

1.1 ASPETTO E POSIZIONE

1 Omeostasi. Capacità degli organismi viventi di mantenere un equilibrio stabile, nonostante il variare delle condizioni esterne.

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Il rene e’ un organo ghiandolare adibito al trattamento dell’urina. I reni rappresentano la parte essenziale dell’apparato urinario; hanno una forma di fagiolo e la loro super-ficie è liscia nell’adulto mentre presenta “bernoccoli” nel feto. Situati nel cavo addominale, sono ricoperti soltanto sulla faccia anteriore dal perito-neo; con la faccia posteriore sono addossati al piano muscolare lombare in posizione paravertebrale. Posti all’altezza delle due ultime vertebre dorsali e delle prime due lombari (il destro ha in genere una posizione un po’ più bassa) hanno grand’asse ver-ticale, leggermente inclinato dall’alto verso il basso in senso laterale, hanno un’altezza media di 12 cm, larghezza 7 cm, spessore 3 cm; peso oscillante fra 110 e 160 g e colore rosso bruno. Sono mantenuti fissi dai loro vasi, dal peritoneo e da una fascia detta la fascia renale.

1.2 STRUTTURA Osservando una superficie di sezione del rene si nota che esso è costituito da due par-ti macroscopicamente ben distinguibili: una esterna o corticale, di aspetto finemente granuloso, di colorito rosso giallastro; l’altra interna o midollare, disposta intorno all’ilo, di consistenza dura e di colorazione rosso cupo. La midollare è disposta a segmenti conici (piramidi di Malpighi), aventi base verso la corticale ed apice all’ilo, ove sorgono a formare le papille renali. Le papille sono ab-bracciate dai calici renali, che confluiscono nel bacinetto renale. Il bacinetto renale ha il compito di raccogliere l’urina proveniente dalle diverse papille e convogliarla nell’uretre. La distinzione tra corticale e midollare, in corrispondenza della base delle piramidi, è poco netta e da essa si elevano numerosi prolungamenti nello spessore della corticale a formare le piramidi di Ferrein o raggi midollari. A sua volta la cor-ticale si approfondisce fra le singole piramidi a formare le colonne di Bertin. Strutturalmente il rene è costituito da tante unità tubulari (due milioni circa) tra di lo-ro indipendenti dette nefroni. I tubuli sono costituiti da una membrana sulla quale è impiantato l’epitelio ghiandolare. Alla sua origine ciascun tubulo costituisce un fondo cieco introflesso formante una cavità a doppia parete (capsula di Bownmann), in-guainante un gomitolo di capillari arteriosi (glomerulo renale o corpuscolo di Malpi-ghi).

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Partendo dal glomerulo il tubulo ha inizialmente un percorso molto tortuoso verso la periferia del rene (tubulo contorto di primo ordine), quindi si flette, assumendo una direzione rettilinea; passa in un raggio midollare, percorre la piramide per ripiegare poi bruscamente e risalire verso la corticale formando così un’ansa, detta ansa di Henle, con una branca discendente ed una ascendente avvicinate e parallele. Rientrato nella corticale il tubulo assume nuovamente decorso tortuoso (tubulo contorto di se-condo ordine), che infine per mezzo di una arcata o canale d’unione penetra in un raggio midollare e sbocca in un tubulo collettore o tubulo retto. I tubuli retti decorro-no rettilinei nel raggio midollare, ricevono altri canali d’unione e si raccolgono a formare le piramidi, nella quale altri tubuli si congiungono ad angolo acuto formando canali sempre più grossi che all’apice della papilla convergono nei canali papillari. Questi ultimi in numero di 10-30 sboccano nel calice. L’architettura del rene è anche in dipendenza della struttura dei vasi. L’arteria renale, originata direttamente dall’aorta, penetra nel rene all’ilo, e si divide subito in rami in-terlobari corrispondenti ai singoli lobi o papille. I rami interlobari si dirigono verso la corticale ed al limite tra corticale e midollare formano arcate convesse, le arterie arci-formi, che seguono tale confine. Dalle arcate si dipartono a distanze regolari le arterie interlobulari con direzione verso la periferia. Dai due lati delle arterie interlobulari, a varie altezze si distaccano dei piccoli rami, ciascuno dei quali si porta ad un glomeru-lo costituendone l’arteria afferente, che formerà la fitta rete capillare del glomerulo

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renale. Ogni glomerulo presenta poi un ramo efferente diretto ad una vena interlobu-lare e di qui alle vene archiformi, che per mezzo di quattro-cinque tronchi si scarica-no nella vena renale tributaria della vena cava inferiore.

1.3 FISIOLOGIA Il rene è una ghiandola a secrezione esterna per l’elaborazione dell’urina, svolgendo così un’azione regolatrice sulla costituzione e composizione dei tessuti e del sangue, sulla pressione osmotica2 del sangue e sul metabolismo basale. Con l’urina vengono infatti eliminate le scorie del ricambio azotato, i sali, l’acqua e tutte quelle sostanze la cui presenza nel sangue e quantitativamente o qualitativamente dannosa. Si tiene inoltre distinta l’attività globulare da quella tubulare. La prima è considerata come un semplice processo fisico di ultrafiltrazione che fa passare nei tubuli un liquido identi-co per composizione al plasma, privato però delle proteine. Nei tubuli si ha poi un processo selettivo di assorbimento differenziale, avendo luogo riassorbimento delle sostanze che non devono andare perdute. La funzione renale è molto complessa e re-golata da meccanismi fisiochimici e neuroendocrini. Infatti la composizione chimico-fisica, la quantità, la pressione del sangue ai reni, sono elementi influenti in senso quantitativo e qualitativo sull’attività renale. Altrettanto importanti sono gli influssi neuroendocrini. Il sistema endocrino regola l’attività renale con un ormone tiroideo, stimolante la diu-resi ed il ricambio idrico, e con un ormone antidiuretico dell’ipofisi posteriore, ad a-zione diretta sui tubuli renali. Per alcuni autori esistono inoltre rapporti tra funzionali-tà renale ed altre ghiandole endocrine (paratiroide e ghiandole sessuali). Infine è da ricordare che il rene svolge anche importanti attività sintetiche e riduttrici: nei reni si sintetizza, dall’acido adenilico e da aminoacidi, l’ammoniaca (idonea a neutralizzare gli acidi e a mantenere costante l’equilibrio acido-base nel sangue); dall’acido ben-zoico e glicocolla, l’acido ippurico, ecc… Inoltre per idrolisi3 di composti organici glicidici, si ottengono i cromogeni ed una parte dei fosfati. Tutte queste complesse attività renali sono volte a regolare alcune fondamentali co-stanti biologiche dell’organismo e precisamente :

• pressione osmotica del sangue • equilibrio acido base • equilibrio minerale

Il liquido filtrato dal rene è poi in gran parte riassorbito, garantendo così l'equilibrio omeostatico tra i vari composti presenti nel sangue (ad esempio due reni sani filtrano circa 180 litri di acqua al giorno, ne riassorbono circa 178 litri e ne perdono circa 2 2 Osmosi. Fenomeno fisico consistente nel passaggio spontaneo di solventi fluidi attraverso membrane semipermeabili, mentre le molecole di soluto non riescono ad attraversarla. 3 Idrolisi. Scissione di un composto ottenuta per azione dell'acqua, generalmente con l'intervento di catalizzatori enzi-matici o di altra natura.

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litri con l'urina). Ad esempio l'escrezione del sodio è controllata da un ormone steroi-deo chiamato Aldosterone (ghiandole surrenali); questo ormone stimola il riassorbi-mento del sodio dal liquido della zona midollare (liquido che circonda i tessuti di una parte del rene detta "ansa di Henle") al tubulo, la velocità di secrezione dell'aldoste-rone regola la quantità di sodio persa con l'urina e garantisce che questa sia propor-zionale alla quantità di sodio assorbito con la dieta. Un altro ormone importante è la Vasopressina o ADH (ormone antidiuretico) che stimola il rene a riassorbire più o meno acqua, a seconda delle necessita osmotiche del momento, ad esempio a seguito di una forte ingestione di acqua, la produzione di ADH diminuisce e così i reni pro-ducono una urina più diluita (con più acqua e meno sodio). Inoltre è sempre grazie ai reni che si può regolare la pressione arteriosa e questo viene fatto attraverso un or-mone detto Renina che viene secreto quando la pressione è bassa ed in più sempre in questi organi viene prodotta eritro-proietina, una sostanza che stimola il midollo spi-nale a produrre globuli rossi, e un’altra precursore della vitamina D che regola l’assorbimento di calcio e fosforo.

1.4 ESAMI POSSIBILI Per capire se i reni funzionano esistono diversi esami in grado di accertare lo stato di salute dell'apparato urinario e dunque anche di prevenirne eventuali danni. Il primo è sicu-ramente l'esame delle urine, essendo queste ultime il risultato finale del lavoro di fil-trazione dei reni; quest'esame andrebbe ripetuto almeno una volta all'anno. A rivelare i problemi renali sono anche le analisi del sangue. Importanti, infatti, sono i valori di azotemia e creatinina4. I primi indicano il contenuto di azoto nel sangue e segnalano il numero di scorie azotate che provengono dal metabolismo delle proteine: se è in eccesso significa che il rene non elimina le scorie. I secondi, invece, indicano quanta creatinina è presente. Essendo un composto organico di solito eliminato con le urine, è un buon indicatore dell’eventuale presenza di anomalie renali. Con l'ecografia, esame basato sugli ultrasuoni, si studiano la struttura del rene, le vie urinarie e la vescica per vedere se vi sono alterazioni o neoformazioni. A scopo pre-ventivo l'esame andrebbe ripetuto ogni anno dai 40 anni. La tomografia assiale computerizzata (TAC) fornisce sezioni trasversali del rene e dell'apparato urinario sotto forma di immagini computerizzate e viene effettuata nei casi di diagnosi dubbie dopo l'ecografia. La biopsia consiste nel prelievo con un ago di pezzetti di tessuto renale inviati poi in laboratorio per l'analisi diagnostica della presenza o meno di eventuali glomerulone-friti o sospetti tumori. L'arteriografia è una radiografia dell'arteria renale che viene evidenziata iniettando un particolare liquido di contrasto. La si fa quando si sospetta il blocco dell'arteria che 4 Creatinina. Sostanza derivata dalla degradazione della creatina (amminoacido presente nei tessuti dei vertebrati e di alcuni invertebrati, libero o in combinazione con acido fosforico; è importante per la trasformazione dell'energia chimi-ca in energia meccanica che è alla base della contrazione muscolare).

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convoglia il sangue al rene, oppure un tumore o per indagare su eventuali casi di in-sufficienza renale. L'urografia è un esame radiologico che, attraverso l'introduzione in vena di un liquido radio opaco secreto dai reni, "dipinge" tutte le vie urinarie mettendone in evidenza le possibili alterazioni. Un altro esame spesso utilizzato e lapielografia discendente; l’esame non ‘è altro che un’indagine radiologica condotta mediante un liquido di contrasto che viene elimina-to per via renale permettendo di mettere in risalto l’ombra del rene e delle vie urina-rie. L’utilita dell’esame radiologico deriva dalla possibilità di evidenziare alterazioni di posizione, di forma, presenza di calcoli e di dilatazioni o restringimenti delle vie urinarie.

1.5 BREVE INTRODUZIONE ALL’APPARATO URINARIO L'apparato urinario è costituito da: reni, ureteri, vescica e uretra. L'urina deriva dalla filtrazione del sangue da parte dei reni, che lo depurano dalle sostanze tossiche e dai prodotti di rifiuto del metabolismo. L'urina così prodotta dai reni viene raccolta nel bacinetto renale o pelvi renale. Da ciascuna pelvi renale parte un condotto tubulare che prende il nome di uretere e che convoglia le urine alla vescica. La vescica è un organo cavo, costituito da una parete muscolare, che si trova alloggiata nel bacino. Dalla vescica le urine raggiungono l'esterno attraverso un condotto denominato ure-tra. Nel maschio il tratto iniziale dell'uretra decorre attraverso la prostata. La prostata è una ghiandola situata alla base della vescica e le cui secrezioni contribuiscono a formare lo sperma. Le pareti interne della pelvi renale, dell'uretere, della vescica e di parte dell'uretra sono rivestite da uno strato di cellule denominato epitelio transiziona-le. Il complesso di fibre di muscolatura liscia (cioè involontaria) che costituisce la pa-rete muscolare della vescica viene denominato detrusore. Dal punto di vista funzionale possiamo distinguere la muscolatura vescicale in due parti: una parte è situata nei 2/3 superiori della vescica, mentre l'altra parte, costituita da fibre muscolari ad andamento obliquo spiraliforme, si trova nella parte inferiore della vescica, denominata collo vescicole, che continua avvolgendo la parte iniziale dell'uretra prendendo il nome di sfintere uretrale interno. L'uretra è inoltre contornata da un manicotto di muscolatura striata (volontaria) che costituisce lo sfintere uretrale esterno. Tutte queste strutture anatomiche sono fondamentali per assicurare la conti-nenza urinaria.

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1.6 FUNZIONI E PATOLOGIE RENALI

L'insufficienza renale acuta può essere definita come una repentina riduzione della funzione renale che può portare a conseguenze mortali. Essa corrisponde ad una di-minuzione della rimozione della creatinina endogena a valori al di sotto del 5% del normale. Vi sono ovviamente molte condizioni che possono determinare un'insufficienza rena-le acuta. Da un punto di vista patogenetico è conveniente classificare queste condi-zioni in tre gruppi: • Cause prerenali. La funzione renale può essere reversibilmente ridotta da nu-

merose cause che intervengono al di fuori del rene, come ipotensione, deple-zione salina o disidratazione. L'insufficienza renale dura soltanto per il tempo che questi fattori prerenali o extrarenali perdurano.

• Cause postrenali. L'insufficienza renale può essere causata da un'ostruzione del flusso dell'urina nelle vie urinarie che può essere dovuta a molte cause. Frequentemente, quando i pazienti hanno un completo blocco dell'escrezione urinaria (anuria), distinta dalla diminuita produzione di urina (oliguria), vi sono verosimilmente cause postrenali.

• Insufficienza renale acuta parenchimatosa. È un'alterata funzionalità dei ne-froni. I fattori eziologici sono molti e includono ampiamente varie affezioni, come la glomerulonefrite acuta, la pielonefrite acuta, il lupus eritematoso (LES), la poliarterite nodosa ed altre.

Per impegno terapeutico e per frequenza, è tuttavia importante l'insufficienza renale

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acuta che è associata a trasfusioni con sangue incompatibile, a setticemia, a compli-cazioni ostetrico-ginecologiche, a lesioni da schiacciamento e a grandi interventi chi-rurgici (sebbene lo shock settico o circolatorio sia frequentemente associato con que-sto tipo di insufficienza renale acuta questa non rappresenta una condizione obbliga-toria). Un'esatta definizione clinica di tale tipo di insufficienza renale acuta non è possibile; comunque vi sono molte caratteristiche cliniche che sono comuni alle varie condizioni, ed anche i quadri istologici sono in larga misura simili. Và poi ricordato il fatto che è importante distinguere tra insufficienza renale del cosiddetto "rene da shock" e l'oliguria con diminuita funzione renale che accompagna lo stesso shock. Nell'ultimo caso, la funzione renale è soltanto transitoriamente ridotta e ritorna a li-velli normali immediatamente o poco dopo il ritorno della pressione sanguigna ai va-lori normali. Al contrario, nel vero "rene da shock" l'insufficienza renale persiste, spesso per settimane, anche dopo il ritorno di una normale circolazione. La patogenesi della nefropatia tumulo interstiziale acuta non è stata finora del tutto chiarita. Dal momento che spesso tale affezione fa seguito di uno shock, è stato ipo-tizzato che l'ipossia renale sia la causa del blocco renale. Comunque, i dati sperimen-tali disponibili non avvalorano l'ipotesi che un'ipossia renale deleteria avvenga duran-te uno shock emorragico, sebbene vi sia una notevole riduzione del flusso renale ematico. Perciò, una teoria che consideri l'ipossia come inizio dell' insufficienza rena-le acuta susseguente ad uno shock deve essere posta ancora in discussione. D'altra parte, nell’insufficienza renale acuta dimostrata, vi è una debole correlazione tra la funzione renale da una parte e il flusso ematico renale ed il consumo di ossige-no dall'altra. Sembra perciò che la riduzione del flusso ematico e dell'assunzione di ossigeno non è probabilmente la causa dell'insufficienza renale grave. D'altra parte vi sono poche osservazioni della distribuzione del flusso ematico all'interno del rene nel corso di un'insufficienza renale acuta; tali osservazioni indicano che viene interessato in modo predominante il flusso sanguigno della corticale del rene. Di conseguenza, si deve concludere che la causa che determina l'insufficienza renale acuta non è stata ancora identificata.

1.6.1 PATOLOGIA E BLOCCO RENALE TEMPORANEO Macroscopicamente, il rene di pazienti che hanno un'anuria acuta è ingrandito e palli-do. Nelle sezioni, la sostanza corticale si presenta pallida e spessa e contrasta con le piramidi scure ed iperemiche5. Poiché le alterazioni autolitiche6, che intervengono ra-pidamente, rendono impossibile lo studio dei dettagli dei tubuli già dopo poche ore. In modo caratteristico, i glomeruli sono normali, anche se è presente una marcata ri-duzione della loro funzionalità. I tuboli contorti distali e, per certi tratti anche i pros-simali sono dilatati con un epitelio appiattito. Cilindri di materiale granulare bruno o rossastro (emocilindri) si riscontrano sia nei 5 Iperemia. Aumentato afflusso sanguigno a un organo o a un tessuto. 6 Autolisi. Decomposizione, disfacimento di tessuti animali o vegetali per effetto degli enzimi che essi stessi contengo-no

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tubuli distali che nei tubuli collettori. Una necrosi estesa o completa dell'epitelio tu-bulare è assente nel materiale bioptico, ma alterazioni degenerative si riscontrano fre-quentemente nell'epitelio che circonda i cilindri nei tubuli distali. È presente una scarsa o modesta infiltrazione cellulare interstiziale, distribuita local-mente, di linfociti, plasmacellule e granulociti, assieme ad un modesto edema inter-stiziale, specialmente in pazienti con una manifesta iperidratazione. Anche le altera-zioni idropiche nell'epitelio dei tubuli prossimali sembrano essere dovute all'infusione di soluzioni come mannitolo, saccarosio o destrano. Il quadro clinico, durante i primi giorni del blocco renale, è quello che caratterizza la malattia. Anche durante la prima settimana i soli sintomi aggiuntivi possono essere limitati alla sonnolenza o alla nausea. L'urina è scarsa, di elevato peso specifico e normalmente contiene proteine, dopo i globuli rossi e cilindri con granuli rossastri (emocilindri); possono essere presenti anche tracce di glucosio. Man mano che la condizione si evolve, le caratteristiche cliniche sono correlate con l'aumento dell'azotemia, con l'acidosi che peggiora e con l'innalzamento di livelli sie-rici di potassio. Complicanze cardiache possono sopravvenire anche in quei pazienti che non hanno presentato un aumento di peso. L'iperidratazione rappresenta un ulte-riore fattore aggravante dell'integrità del sistema circolatorio e i pazienti possono ma-nifestare un'insufficienza cardiaca congestizia. Le manifestazioni cardio-vascolari so-no poi complicate ulteriormente dalla intossicazione di potassio, che può essere cor-retta, fino a un certo punto, con la somministrazione di glucosio, con la correzione dell’acidosi, con l'uso di resine a scambio ionico che assorbono potassio e con la digi-talizzazione7. Comunque, la morte può sopraggiungere improvvisamente dal momen-to che la sensibilità del cuore alla stimolazione vagale è aumentata dagli elevati livelli plasmatici di potassio. Perciò se l'iperpotassiemia non può essere controllata con i sussidi sopraddetti, dovrebbe essere usata la dialisi. Coma, convulsioni e anemia possono sopraggiungere mentre persiste il blocco renale. Dopo un periodo di circa 14 giorni, la diuresi riprende; di solito, questo indica la fine del blocco renale. Comunque la prognosi non è buona e in circa il 50% dei casi so-praggiungere la morte, dovuta principalmente alle gravi malattie di base o a qualche complicanza. La prognosi è di regola favorevole nei giovani in cui è possibile curare la malattia di base (per esempio i casi ostetrici e i ginecologici ). Di solito i pazienti, se sopravvivono, recuperano una funzionalità renale normale o quasi normale, anche dopo un lungo periodo di oliguria od anuria.

1.6.2 INSUFFICIENZA RENALE CRONICA L'insufficienza renale cronica di solito è dovuta ad una malattia renale intrinseca cro-nica. Pressoché tutte le nefropatie bilaterali progressive possono evolvere in un'insuf-ficienza renale cronica; così anche malattie che inizialmente non sono renali, come la

7 Digitalizzazione. Somministrazione di farmaci digitatici (farmaci contenenti sostanze combinate con glucosio) che esercitano una funzione cardiotonica.

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nefropatia ostruttiva, possono produrre poi una malattia renale intrinseca e quindi una insufficienza renale cronica. Comunque, la differenza tra l'insufficienza renale croni-ca e l'insufficienza renale acuta è che quest'ultima può essere dovuta a cause sia e-xtrarenali che renali. Lo stesso tipo di alterazione funzionale in caso di insufficienza renale può essere do-vuto a diverse malattie del rene. Le conseguenze sul piano funzionale di così diverse entità (come l'ischemia, l'aumentata pressione intrapelvica, l'infezione da parte di al-cuni microrganismi o la deposizione di complessi antigene-anticorpo leganti il com-plemento) possono essere simili per quanto riguarda il risultato finale. Comunque, nell'uomo, le cause più comuni di insufficienza renale cronica sono rappresentate dal-le forme progressive bilaterali di glomerulo-nefrite o altre nefriti. Un lieve danno della funzionalità renale è di solito messo in evidenza solo imponen-do al rene richieste inconsuete, come durante le determinazioni di concentrazione, o mettendo in contatto il rene con soluti esogeni (esterni) come il para-aminoippurato (PAI) per il quale un rene normale presenta drenaggio elevato. Man mano che la funzionalità renale progressivamente diminuisce, si rende manifesta uno stato di generale insufficienza renale. Comunque, una compromissione renale progressiva non dovrebbe essere vista come un susseguirsi di stadi chiaramente defi-niti, ma come una continua diminuzione delle funzioni omeostatiche esercitate dal rene stesso. Generalmente, una insufficienza renale è considerata come una fase moderatamente grave di compromissione renale ed è principalmente caratterizzata da una marcata perdita di adattamento delle funzioni omeostatiche renali, nonostante l'assenza di im-portanti alterazioni nella composizione dei liquidi organici. A volte però, una dieta insolita o uno stress metabolico possono aggravare tali alterazioni. Un ulteriore perdita della funzionalità renale sfocia in una insufficienza renale totale, termine che di solito significa comparsa di alterazioni nella composizione dei liquidi del corpo; le capacità omeostatiche dei reni sono compromesse oltre il limite in cui essi possono adattare la loro risposta in modo appropriato alle ordinarie richieste me-taboliche dell'organismo.

1.6.3 ESCREZIONE DELL'ACQUA Quando una parte del parenchima8 renale viene rimossa chirurgicamente, il tessuto che residua va incontro ad ipertrofia9 ed iperplasia10, ma non viene rigenerato alcun nefrone. La più semplice dimostrazione di questo adattamento strutturale alla perdita di nefroni funzionanti è dato dall’ipertrofia della restante parte del rene, ipertrofia che interviene dopo ore dalla rimozione del rene contro laterale.

8 Parenchima. Complesso delle strutture che esplicano le funzioni vitali specifiche di un organo. 9 Ipetrofia. Aumento del volume di un organo o di un tessuto, determinato dall'aumento di volume delle cellule che lo costituiscono. 10 Iperplasia. Aumento del volume di un organo o di un tessuto, determinato dall'aumento del numero delle cellule che li costituiscono.

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Ci sono anche correlazioni ben documentate fra la funzionalità e l'ipertrofia struttura-le. Per esempio, il rene residuo alla fine può raggiungere un effettivo flusso plasmati-co renale ed una velocità di filtrazione gromelurale pari a circa 80% dei valori che si hanno con i due reni normali. I cambiamenti più evidenti si verificano nel tubulo con-torto prossimale e nell'ansa di Henle, ma l'intero nefrone, compreso il glomerulo, par-tecipa all'ipertrofia. Per inciso, non sembra che sia determinante se l'asportazione del tessuto renale funzionante è avvenuta per una nefrectomia11 unilaterale o per escis-sione12 di una parte di rene. In esperimenti di escissione, il tessuto renale residuo mo-stra un'ipertrofia, sia funzionale che morfologica, dei nefroni indenni. In corso di malattie renali diffuse, provocate sperimentalmente, sono state più volte descritte alterazioni simili a quelle riscontrate dopo nefrectomia sperimentale. Allo stesso modo, nell'insufficienza renale cronica dell'uomo, causata da forme progressi-ve bilaterali diffuse di glomerulonefrite od altre malattie parenchimali, i nefroni non interessati mostrano una ipertrofia e una iperplasia non diversa da quella riscontrata negli animali sottoposti ad escissione del parenchima renale. Dalle numerose osser-vazioni cliniche e dargli esperimenti sugli animali, si è sviluppato il concetto che la base strutturale comune per l'insufficienza renale nell'uomo è una diminuzione del numero dei nefroni funzionanti, con i restanti nefroni che mostrano una ipertrofia cor-relata all'aumentato lavoro per ogni nefrone. Questo concetto, esposto in maniera convincente da sir Roberts Platt e successivamente confermato dai dati forniti da un ingegnoso modello sperimentale ideato dal dottor Neal Bricker, è stato denominato “l'ipotesi del nefrone intatto”. Si deve tener presente che i nefroni non sono strutturalmente tutti identici; ciò nono-stante, il concetto di velocità di filtrazione per nefrone ha una utilità pratica proprio come ha significato la velocità di filtrazione gromerulale per un rene. Nell'insuffi-cienza renale cronica, dovuta sia ad una malattia renale diffusa sia ad una asportazio-ne chirurgica di tessuto renale, il concetto di una popolazione di nefroni residui, seb-bene sovraccaricati, ha una certa utilità solo se non viene richiesta una definizione ben precisa della normalità o della integrità strutturale. Un aumento del numero delle unità osmoticamente attive deputate all'escrezione pro-duce un aumento del volume dell'urina per minuto, sia nei reni malati che nei norma-li. Quest'effetto osmotico che viene principalmente esercitato nei tubuli contorti pros-simali, fa’ diminuire il riassorbimento del filtrato glomerulare. Se il volume di liquidi continua ad aumentare, si accresce ulteriormente il volume dell'urina e la osmolalità urinaria si avvicina a quella del filtrato glomerulare. Da ciò si possono trarre alcune conclusioni:

1. è noto che la quantità misurata dei soluti escreti per rene è la stessa se la fun-zionalità renale è normale o ridotta al 20% del normale.

2. sebbene il volume del filtrato glomerulare totale sia ridotto, il filtrato glomeru-lare medio per nefrone funzionante è notevolmente aumentato.

3. la regolazione omeostatica può essere ottenuta con il 20% delle unità funzio-nanti disponibili per questo compito.

11 Nefrectomia. Asportazione chirurgica di un rene. 12 Escissione. Asportazione chirurgica di una parte di tessuto od organo.

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Poiché la quantità di soluto che compare in tubuli è direttamente proporzionale alla filtrazione glomerulare, i nefroni residui funzionanti lavorano al di sopra delle loro normali capacità, per cui si ottiene un'eliminazione totale di soluti uguale a quella di un rene normofunzionante. Tuttavia questo si realizzata con un diminuito riassorbi-mento di acqua, che si manifesta con una diminuzione delle capacità di concentrazio-ne oppure con debolezza e poliuria13. In un secondo tempo compare l'incapacità del rene a diluire l'urina, incapacità che si rende manifesta con l'escrezione di un'urina con osmolalità14 relativamente costante o isostenuria. Col progredire dell'insufficienza e con la comparsa dell'iperazotemia, l'aumento della concentrazione dell'urea si aggiunge al carico osmotico totale. È evidente che il denominatore comune di maggior importanza dell'insufficienza re-nale cronica è la perdita totale o parziale delle funzioni omeostatiche. Come già detto, i nefroni funzionanti devono svolgere tutto il lavoro della normale popolazione di ne-froni; se il danno renale progredisce, il reni mantengono l'escrezione dell'urea, della creatinina, dei fosfati inorganici dal momento che la concentrazione di queste sostan-ze nel plasma è aumentata. Comunque, la capacità dei nefroni residui a compensare le esigenze metaboliche è nettamente diminuita in quanto i nefroni possono variare l'o-smolalità dell'urina soltanto entro limiti molto ristretti.

1.6.4 DISTURBI DELL'EQUILIBRIO ACIDO-BASE La perdita dei nefroni funzionanti, in un primo tempo, non produce variazioni del pH del sangue poiché i nefroni residui aumentano il loro volume di escrezione di acidi. Per questo motivo, nelle prime fasi di una nefropatia, la diminuita escrezione di acidi può essere svelata solo ricorrendo a determinazioni del carico acido. La perdita conti-nua di nefroni, comunque, riduce progressivamente l'escrezione di acidi e si rende manifesta gradualmente un'acidosi metabolica. Per principio, una nefropatia dovrebbe alterare la capacità di escrezione acida per un danneggiamento di qualcuno o di tutti i meccanismi che normalmente mantengono l'omeostasi acido-basica. Tuttavia, il rias-sorbimento del bicarbonato e la secrezione di idrogenioni nel tubulo distale sono di solito conservati in una malattia renale e le principali cause di diminuita escrezione acida sono rappresentate dalla diminuita disponibilità dei tamponi urinari e dell'am-moniaca. La prima alterazione dell'escrezione acida che si riscontra è la riduzione dell'escre-zione dell'ammonio urinario. A questo stadio, l'escrezione acida totale è di solito an-cora normale poiché gli idrogenioni, che avrebbero dovuto scambiarsi con l'ammo-niaca, vengono escreti sotto forma di frazione acida titolabile. 13 Poliuria. Aumento della quantità di urina emessa al giorno. 14 Osmole. Quantità in grammi pari al peso molecolare di un composto diviso per il numero delle particelle in cui esso può dissociarsi in soluzione. Il termine osmole fa riferimento alla capacità che la sua soluzione ha di esercitare una de-terminata pressione osmotica su una membrana semipermeabilie. Nel caso di un soluto che non dissocia (ad es. il gluco-sio) osmosi e moli coincidono. Nel caso di un soluto ionico (NaCl) una quantità in grammi pari alla somma dei pesi a-tomici di Na e Cl (equivalente ad una mole) genera una mole di Na+ ed una mole di Cl-, quindi due osmosi di particelle.

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Se la nefropatia evolve, l'escrezione di ammonio diviene generalmente molto bassa e l'escrezione acida dipende esclusivamente dall'escrezione della frazione acida titola-bile. L'escrezione della frazione acida titolabile15 di solito rimane relativamente normale fino a che la velocità di filtrazione glomerulare (VFG) scende al 20% o anche al 15% del normale. La stabilità di questo meccanismo deriva dalla mantenuta escrezione i-drogenionica del tubulo distale e dalla continua cessione di fosfati per l'escrezione. Alternativamente, il mantenimento dell'escrezione urinaria di fosfati dipende da due fattori:

1. se la VFG diminuisce, la concentrazione sierica dei fosfati aumenta, così anche il carico filtrato: il prodotto della VFG e della concentrazione sierica dei fosfati rimane, entro certi limiti, costante;

2. vi è una diminuzione nel riassorbimento dei fosfati nel tubulo prossimale. Normalmente, l'80% o più di fosfati filtrati sono riassorbiti e non appaiono nel-l'urina finale. Comunque, se la VFG diminuisce, questa frazione scende a valo-ri così bassi da raggiungere il 10% e l'escrezione urinaria di fosfati può rimane-re quasi normale, nonostante una diminuzione del carico filtrato.

La diminuzione del riassorbimento tubulare di fosfati, così importante per il mante-nimento dell'escrezione acida in presenza di una progressiva insufficienza renale, de-riva da una aumentata secrezione dell'ormone paratiroideo. Questo viene stimolato dalla ritenzione di fosfati e dal conseguente ridotto assorbimento di calcio nel tubo gastro-intestinale. Quando la VFG scende al di sotto del 15%-20% del normale, l'escrezione della fra-zione acida titolabile comincia a scendere, nonostante i due meccanismi compensato-ri, e l'escrezione acida renale diviene progressivamente inadeguata, determinando u-n'importante acidosì sistemica. Nella grande maggioranza dei pazienti affetti da nefropatia, si verifica il seguente processo: una primitiva diminuzione dell'escrezione dell'ammoniaca, una conseguen-te riduzione di escrezione della frazione acida titolabile, un pressoché normale man-tenimento nella richiesta di bicarbonato e una normale secrezione di idrogenioni nel nefrone distale. Occasionalmente però, alcuni pazienti si discostano da questo model-lo e manifestano disturbi o nel riassorbimento del bicarbonato o nella secrezione di idrogenioni. In questo caso, l'escrezione acida può essere seriamente compromessa, pur in presenza di una normale o solo lievemente ridotta filtrazione glomerulare. L'incapacità di riassorbire in maniera completa il bicarbonato filtrato porta ad un aci-dosi metabolica per una deplezione selettiva del corpo della base coniugata. Oltre tut-to, l’incapacità di formare un liquido con un'appropriata acidita nel lume del tubulo distale compromette in modo diretto la formazione e l'escrezione di ioni ammonio e fa diminuire l'acidità titolabile. Disordini del riassorbimento del bicarbonato o della secrezione distale di idrogenioni possono produrre un acidosi nonostante una normale VFG. Questi disordini fanno 15 Titolazione. Analisi chimica intesa a determinare la quantità di una sostanza contenuta in una soluzione della quale è noto il volume.

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parte di forme di acidosi tubulare renale (ATR). Una ATR secondaria ad un anormale riassorbimento del bicarbonato viene spesso indicata come ATR prossimale, poiché la maggior quota del riassorbimento del bicarbonato avviene nel tubulo contorto prossimale; si presume che il difetto risieda nel tubulo prossimale. L'alterata secrezione di idrogenioni è detta ATR distale per motivi analoghi. Un'altra designazione più corretta per questa alterazione è ATR di gradiente, in quanto il difetto principale è in una limitazione assoluta non sul tasso di secrezione di idrogenioni, ma sul massimo gradiente di pH che può essere ottenuto dall'epitelio tu-bulare fra il liquido del lume e di sangue. In condizioni normale questo gradiente può essere superiore a 1000: 1; con un'ATR di gradiente esso è di 100: 1 o minore. Difetti selettivi dell'acificazione (forme di ATR) sono stati descritti per molte malattie renali.Una ATR prossimale è di solito associata ad altri disordini dei tubuli prossimali che fanno parte delle forme complete o incomplete e della sindrome di Fanconi. Una ATR distale di solito è un disturbo renale ereditario, ma può anche verificarsi in varie nefropatie acquisite, come in una ostruzione delle vie urinarie, in una pielonefrite, in una nefrite interstiziale e in affezioni renali dovute a molte malattie sistemiche, come stati iperglobulinemici, ipercalcemia, anemia drepanocitica, sindrome epatorenale o abuso di fenacetina.

1.6.5 EFFETTO SULLA FISIOLOGIA SISTEMICA Sia il meccanismo più comune di ritenzione acida, dovuto ad una diminuita escrezio-ne di ammoniaca, sia quello più raro, dovuto a difetti di acidificazione, hanno un i-dentico effetto sulla fisiologia sistemica: gli idrogenioni trattenuti titolano tutti i si-stemi tamponi disponibili, intracellulari ed extracellulari. Il principale fra i sistemi tampone dei liquidi extra cellulari è il bicarbonato che, nel processo di titolazione, produce anidride carbonica e acqua con conseguente calo del contenuto di bicarbonato nel plasma. Una frazione degli anioni trattenuti titola i sali dell'osso liberando da questo calcio e fosforo con conseguente demineralizzazione dell'osso stesso. Il centro respiratorio è stimolato dall'abbassamento del pH ematico che agisce sui chemiorecettori16 dei grandi vasi e del tronco cerebrale. Il conseguente aumento degli atti respiratori e della loro profondità fa diminuire la pressione parziale dell'anidride carbonica, aiutando a mantenere pressoché normale il pH del sangue a spese di un ul-teriore abbassamento del contenuto plasmatico di bicarbonato. Se l'insufficienza rena-le progredisce e la ritenzione di acidi diviene più grave, questo compenso respiratorio diviene sempre più importante nel mantenere il pH del sangue nei limiti compatibili con la vita. A questo stadio compare una marcata iperventilazione, spesso indicata come respiro di Kussmaul. Di solito, è presente solo nei pazienti che soffrono di in-sufficienza renale in stadio molto avanzato e di uremia17.

16 Chemiorecettori. Recettore sensibile a stimoli di natura chimica. 17 Uremia. Accumulo nel sangue di scorie azotate dovuto a insufficienza renale.

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I reperti urinari ed ematici nei pazienti che presentano acidosi secondaria all'insuffi-cienza renale sono caratteristici. Il pH del sangue, l'anidride carbonica del sangue e la concentrazione di bicarbonato sono tuttti diminuiti; la concentrazione di fosfato sieri-co è alta. Altri anioni18, come il solfato, sono pure aumentati; ne risulta che il divario anionico, cioè la differnza fra (sodio + potassio) e (cloro + bicarbonato), è aumentato al di sopra del limite massimo di 15 mEq/l (milliequivalenti19 al litro). Il pH urinario è generalmente piuttosto basso e l'urina contiene pochi ioni ammonio. I reperti sono simili nei pazienti che presentano la non comune sindrome di ATR, a eccezione della ipercloremia che è sempre presente. La filtrazione e l'escrezione di anioni come solfato e fosfato sono meno compromesse rispetto all'escrezione di idro-genioni. Poiché la concentrazione del bicarbonato plasmatico diminuisce, il cloro viene conservato allo scopo di mantenere l'elettoneutralità delle siero. Il paziente con ATR di gradiente, oltre ad avere acidosi ipercloremica, ha un'urina alcalina o insuffi-cientemente acida, che riflette i disturbi di base.

1.6.6 BILANCIO DEL SODIO In una malattia renale, un’aumentata velocità di filtrazione glomerulare per il nefrone ha come conseguenza un aumentato carico di sodio per nefrone. Il volume assoluto di riassorbimento del sodio è così aumentato, ma il riassorbimento frazionato del sodio è basso. Ne deriva che i tubuli ancora funzionanti riassorbono il sodio ad una velocità che è vicina al massimo della loro capacità, ma nello stesso tempo vi è un'obbligata perdita di sodio nell'urina, per cui il paziente con insufficienza renale cronica è parti-colarmente esposto ad una deplezione20 sodica se l'introito di sodio viene ridotto o se, come spesso accade, sono presenti nausea e vomito. In questo caso, una limitazione dell'introduzione di sodio produce tutta una serie di conseguenze; poiché il rene non è in grado di ridurre appropriatamente l'escrezione di sodio, si ha un lieve bilancio negativo del sodio. Questo processo si traduce lenta-mente in una progressiva e grave riduzione del volume extracellulare con conseguen-te eventuale riduzione della velocità di filtrazione glomerulare si può avere anche ri-duzione del flusso ematico renale se si sviluppa una oligoemia21; i sintomi e le altera-zioni chimiche dell'uremia vengono così esaltati.

18 Anione. Ione dotato di carica negativa. 19 Milliequivalenti (mEq): unità di misura della concentrazione degli elettroliti in un dato volume di soluzione. In ge-

nere la concentrazione viene epressa in mEq/l e si calcola: molecolare pesovalenza(mg/l) •

Per i gas, poiché’ in condizioni standard una quantità di gas equivalente al suo peso molecolare espresso in grammi oc-cupa un volume di 22,4 litri, la concentrazione si esprime in millimoli (mM) per litro. 20 Deplezione. Riduzione della quantità di un liquido o di una sostanza presente nell'organismo. 21 Oligoemia. Diminuzione della quantità di sangue nell'organismo.

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2 EMODIALISI

In qualsiasi studio storico dedicato ai grandi progressi terapeutici compiuti nel XX secolo dovrebbe essere incluso, in posizione preminente, il rene artificiale. La so-pravvivenza quotidiana di migliaia di persone dipende dal rene artificiale, oltre a quella di pazienti uremici selezionati per il trapianto che vengono mantenuti in dialisi ospedaliera o domiciliare fino al reperimento di un donatore. Accanto a ciò il rene artificiale ha salvato migliaia di pazienti affetti da insufficienza renale acuta, evitando loro di morire per iperpotassiemia o uremia e si è dimostrato utile nel trattamento di pazienti che avevano ingerito veleni o una eccessiva quantità di farmaci.

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2.1 PRINCIPI DELLA DIALISI

Sin dai primi tempi della biochimica, si è scoperto il fondamentale principio fisiolo-gico della dialisi e cioè del movimento dei soluti oltre una membrana semipermeabile con una direzione e con una velocità proporzionale ai gradienti di concentrazione. Un esempio classico dell’impiego di questo principio è la tecnica di laboratorio con cui i soluti legati a proteine vengono separati da quelli non legati a proteine. Questo fondamentale e semplice principio fisiologico rappresenta il fondamento dell’attuale rene artificiale o dialisi extracorporea. Il sangue ed il plasma, idealmente in uno strato estremamente sottile e uniforme, fluisce lungo un lato di una membrana semipermeabile. Una soluzione di lavaggio, simile al liquido extracellulare normale, scorre con turbolenza dall’altro lato della membrana, preferibilmente controcorrente rispetto al flusso del sangue. Qualsiasi soluto che abbia una concentrazione più eleva-ta del sangue rispetto al liquido di dialisi, si muove verso il gradiente di concentra-zione più basso e lascia il sangue. Allo stesso modo, qualsiasi soluto che abbia una concentrazione più elevata nel liquido di dialisi (sodio, glucosio, bicarbonato…) la-scerà quest’ultimo ed attraverserà la membrana semipermeabile diffondendo nel san-gue. Il sangue, ricostituito e purificato, viene poi restituito alla circolazione del pa-ziente. Il flusso ematico attraverso il rene artificiale nel corso di una dialisi clinica eseguita in pazienti uremici non solo determina l’inversione dell’acidosi e la correzione delle anomalie elettrolitiche, ma serve anche a fornire sostanze nutritive quali il glucosio. Il beneficio clinico del paziente è il risultato diretto della differenza artero-venosa dei soluti nocivi che si crea mentre il sangue circola nel rene aritificiale. Attualmente un grande numero di persone affette da malattie renali croniche vengono mantenute in vita per lunghi periodi di tempo grazie al rene artificiale. La dialisi vie-ne eseguita due o tre volte alla settimana per quattro ore ogni volta. Altri soggetti in attesa di un donatore adatto al trapianto vengono mantenuti in vita con la dialisi. Do-po l’esecuzione del trapianto, il paziente può, se necessario, riprendere la dialisi ed essere sostenuto per brevi periodi di tempo durante gli episodi di aggressione immu-nitaria o per periodi più lunghi nel caso di rigetto del trapianto.

2.2 STORIA DELLA DIALISI

I postulati dell'impiego della dialisi in medicina risalgono al 1913, quando il Dott. John Abel della Johns Hopkins Medical School di Baltimora descrisse un metodo mediante il quale il sangue di un animale vivo poteva essere sottoposto a dialisi al di fuori del corpo, ed essere nuovamente restituito alla circolazione normale, senza e-sposizione all'aria, infezione da parte di microrganismi o a qualsiasi alterazione che possa essere di pregiudizio alla vita. Il filtro di questo sistema era definito rene artifi-ciale.

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Nel 1924, il tedesco Haas, partendo dall'ipotesi che la sindrome uremica era causata dalla ritenzione di prodotti normalmente escreti nell'urina e che era possibile allonta-narli con un procedimento dialitico, e cioè utilizzando il passaggio di soluti che si ve-rifica quando ai due lati di una membrana semipermeabile vi è un gradiente di con-centrazione, eseguì i primi tentativi di emodialisi in pazienti uremici. Quantunque non vi fossero evidenti effetti clinici per la brevità delle applicazioni, questi esperi-menti dimostrarono che il procedimento era utilizzabile in patologia umana. Restava-no aperti numerosi problemi: era necessario disporre di membrane resistenti e suffi-cientemente permeabili per consentire una depurazione significativa; per il circuito extracorporeo erano richiesti materiali atossici ed apirogeni22; si dovevano mettere a punto sistemi sicuri di sterilizzazione e di controllo della coagulazione; erano indi-spensabili accessi vascolari soddisfacenti; era da definire la composizione ottimale delle soluzioni dializzanti. Nel 1943 l'olandese Willem J. Kolff poté riprendere le sperimentazioni utilizzando membrane dializzanti di cellophane23, nuove attrezzature messe a punto con ricerca-tori del suo gruppo e l'eparina24 come anticoagulante. Dopo due anni di insuccessi e qualche risultato parziale e dubbio, una donna di 67 anni con insufficienza renale acuta sopravvisse ad un coma uremico grazie alla dialisi: fu così finalmente confer-mata la validità del trattamento dialitico. La preparazione e l'esecuzione della depura-zione extrarenale erano molto complicate: ad ogni applicazione il circuito extracorpo-reo, di elevato volume, doveva essere riempito con sangue di più donatori; per l'allac-ciamento del "rene artificiale" al paziente si incanulavano con un procedimento chi-rurgico invasivo due grossi vasi, che in genere non potevano più essere usati; la me-todica era spesso mal tollerata. Per tali motivi, la depurazione extracorporea poteva essere ripetuta solo poche volte, ed il suo impiego era ristretto ai casi acuti. Pur con queste limitazioni, il successo nell'insufficienza renale acuta fu inequivocabile, con una drastica riduzione della mortalità. A seguito dei primi risultati già così positivi, nuove energie furono dedicate allo stu-dio dell'uremia, che si incominciava a considerare come potenzialmente correggibile anche a lungo termine con la dialisi, ed allo sviluppo di questa nuova terapia. I prin-cipali ostacoli al suo impiego a tempo indeterminato, com'è richiesto dalle forme cro-niche, furono gradualmente superati e, nel 1960 a Seattle, nonostante un diffuso scet-ticismo, fu avviato il primo programma di trattamento dialitico regolare dell'uremia cronica. Per l'allacciamento ai vasi del paziente era stato ideato un collegamento arte-ro-venoso stabile in teflon25 che veniva disconnesso al momento dell'applicazione. La soluzione successiva, ora adottata nella maggioranza dei pazienti cronici, fu quella della fistola artero-venosa interna, realizzata con la connessione chirurgica di un'arte-

22 Pirogeno. Si dice di farmaco che provoca la febbre. 23 Cellophane. Pellicola trasparente e incolore, in fogli o in bobine, ottenuta per essiccamento di una soluzione di cellu-losa e usata per rivestimenti o imballaggi impermeabili ai grassi, agli idrocarburi e ai gas (ma non al vapore acqueo); si rigonfia e rammollisce al contatto con l'acqua. 24 Eparina. Sostanza fisiologica anticoagulante, di natura polisaccaride, che si estrae dal fegato e dai polmoni. 25 Politetrafluoroetilene. Polimero dell'etilene fluorurato, molto resistente agli agenti chimici e alla temperatura, usato in nastro per guarnizioni idrauliche e come rivestimento antiaderente di pentolame da cucina; è noto con il nome com-merciale di teflon.

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ria ad una vena superficiale. Questo accesso, resistente e di lunga durata, permette di ottenere un notevole aumento della portata ematica in un vaso superficiale che si arte-rializza ed è facilmente accessibile all'infissione estemporanea di due aghi per il pre-lievo ed il ritorno del sangue. Fu inoltre fondamentale la messa a punto di dializzatori (filtri) ad elevata superficie di scambio, di piccolo volume interno e con scarse resi-stenze. I primi erano ingombranti e venivano assemblati a mano; successivamente ne furono forniti altri tipi, già confezionati e sterili, con configurazioni geometriche e-modinamicamente più vantaggiose ed efficienti. Si deve almeno in parte a questi pro-gressi la riduzione della durata delle singole applicazioni da 10 a 6 e poi a 4 ore. La progettazione dei filtri di dialisi è ancora in evoluzione, ed attualmente, oltre alle classiche membrane cellulosiche, se ne impiegano numerose altre, di differenti mate-riali sintetici (poliacrilonitrile, polimetilmetacrilato, policarbonato, polisulfone), con caratteristiche di depurazione e biocompatibilità sempre migliori. Il divario tra richie-ste di trattamento di uremici cronici e disponibilità di posti aveva inizialmente creato drammatici problemi etici e sociali. Per far fronte alle necessità, mentre si cercava di aumentare il numero e la capienza dei centri ospedalieri, alcuni gruppi anglosassoni avviarono i primi programmi di dialisi domiciliare. Furono perciò progettate macchi-ne automatiche (monitors), di ingombro ridotto, che consentivano di operare in con-dizioni di sicurezza senza personale specializzato, preparando automaticamente la so-luzione dializzante. Ben presto queste nuove attrezzature si diffusero anche nelle sale dialisi permettendo di ridurre il numero degli infermieri e gli incidenti tecnici. Il primo periodo della storia della dialisi può essere definito come quello della messa a punto di una metodica di dialisi da applicarsi in maniera standard a tutti i pazienti. Con l'accumularsi dell'esperienza e con la miglior conoscenza dei problemi delle so-pravvivenze prolungate in dialisi, si sono poi gettate le basi per il secondo, attuale pe-riodo, che potremmo definire "della dialisi adeguata per il singolo", con una massima attenzione non solo alla tolleranza immediata, ma anche alle complicazioni a lungo termine ed alla compatibilità biologica dei materiali di dialisi. Mentre il trattamento dialitico dell'uremia cronica si diffondeva con successo crescente, una serie di studi, ancor oggi in pieno sviluppo, venne frattanto indirizzata alla messa a punto di metodiche alternative all'emodialisi. Obiettivo iniziale era di migliorare la depurazione di sostanze con peso molecolare più elevato di quello dell'urea e della creatinina, delle quali si era ipotizzato un possibile ruolo patogenetico in alcune complicazioni dell'uremia. A questo fine furono proposte alcune metodiche, come l'emofiltrazione e l'emodiafiltrazione, che rispondono bene a queste finalità, e sono ben tollerate anche da pazienti con instabilità cardiocircolatoria. Negli anni ‘70 erano stati anche ripresi gli studi sulla dialisi peritoneale, proposta sin dal 1923, ma poi quasi del tutto abbandonata per difficoltà tecniche ed una frequenza eccessiva di peritoniti.

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2.3 EMODIALISI DOMICILIARE

L’impiego a domicilio del rene artificiale ha rappresentato un importante progresso nella riabilitazione dei pazienti affetti da malattie renali croniche e debilitanti. In mol-ti casi tale procedimento ha facilitato il ritorno di tali pazienti ad una vita pressoché normale. Nonostante la maggior convenienza ed indipendenza della dialisi domicilia-re, vi sono alcuni fattori che ne limitano una diffusione più ampia. Anche qui il costo è un fattore limitante: il costo iniziale della dialisi domiciliare è molto più elevato perché ogni persona deve acquistare un apparecchio di emodialisi; inoltre il paziente deve possedere un’adeguata conoscenza sulla macchina e sulla procedura che deve seguire e deve essere sufficientemente motivato a cooperare in tutti gli aspetti del trattamento. È inoltre necessaria la presenza del coniuge, di un parente stretto o di un individuo responsabile per far fronte ad eventuali emergenze. Prima di dare la possibilità ad un paziente di effettuare la dialisi a domicilio è neces-sario esaminare la sua stabilità psicologica e quella della sua famiglia; nel corso di questo tipo di terapia infatti possono insorgere particolari problemi psichici non solo nel paziente, ma anche nei membri della sua famiglia.

2.4 FISTOLE STORIA E DESCRIZIONE Subito dopo i primi esperimenti dialitici ci si accorse che il requisito fondamentale per l’esecuzione di un efficace trattamento era un accesso vascolare adeguato, duratu-ro e non traumatico per i vasi. Durante la seduta dialitica, infatti, il flusso di sangue da e per il filtro dializzante è continuo, con un passaggio globale di sangue che va dai 50 ai 70 litri. L’accesso vascolare deve quindi avere particolari caratteristiche di flusso e portata: per ottenere i flussi necessari per la dialisi bisogna disporre di un vaso che abbia un’alta portata ed un’alta pressione, da cui poter agevolmente prelevare il sangue; bi-sogna inoltre disporre di un vaso di grosso calibro, elevata portata e bassa pressione per il ritorno al paziente del sangue già dializzato. I vasi sanguigni che rispettano tali caratteristiche sono un’arteria il primo ed una vena di discrete dimensioni il secondo. Le prime sedute dialitiche venivano eseguite procedendo alla cateterizzazione inter-mittente di arterie e vene periferiche tramite cannule di vetro o di metallo, suturando poi i vasi al termine di ogni seduta, apportando in tal modo notevole disagio al pa-ziente, al personale medico ed infermieristico e conducendo rapidamente ad un esau-rimento dei vasi superficiali utilizzabili; frequente era inoltre la puntura diretta dell’arteria radiale, della vena femorale o della cava inferiore e per il rientro la vena femorale controlaterale.

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2.4.1 SHUNT ARTERO-VENOSI ESTERNI: CENNI STORICI E CONSIDERAZIONI ATTUALI

Si tratta di protesi in materiale plastico grazie alle quali è stato possibile iniziare il trattamento emodialitico cronico agli inizi degli anni ‘60.

Erano costituiti, nella versione allora più utilizzata, da una branca arteriosa realizzata in silastic morbido che tramite un terminale rigido in teflon, denominato tip, veniva inserito attraverso un’arteriotomia26 in un’arteria periferica degli arti superiori o infe-riori e da una branca venosa che, con le stesse modalità, incannulava una vena gene-ralmente prossima e parallela all’arteria. Poiché il tubo dello shunt, in corrispondenza del tratto incannulato dal tip era fissato alla parete vasale con legature appropriate, l’inserimento dello shunt comportava sempre la "terminalizzazione" dei vasi interes-sati. Parte del tubo di silastic era posizionato sottocute fino al punto di inserimento nel va-so, parte fuoriusciva all’esterno e veniva manipolato dagli operatori della dialisi al momento delle operazioni di connessione e di sconnessione. Durante il periodo non dialitico, le due branche erano connesse con un breve tratto ri-gido – detto ponte – che assicurava il passaggio del sangue dalla branca arteriosa a quella venosa.

26 Arteriotomia. Incisione chirurgica di un'arteria.

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Al momento della dialisi, le due branche venivano sconnesse a livello del ponte e col-legate rispettivamente con l’apparato arterioso e venoso del dializzatore. Tutte queste manovre dovevano essere eseguite da personale abbigliato sterilmente previa prepa-razione di un campo sterile sul quale appoggiare il braccio del paziente debitamente disinfettato. Nel corso degli anni furono proposti differenti tipi di shunt.

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È una modificazione al disegno dello shunt tradizionale con l’intento di creare una struttu-ra con raggio di curvatura definito, senza ne-cessità di sconnessione e connessione consi-derate causa di traumatismo sulle pareti vasali incammulate dal tip. La strutturazione di que-sto tipo di accesso prevedeva la presenza di due tubi dello stesso materiale delo shunt in connessione diretta con il lume dello shunt ai due estremi del tratto di curvatura. I due tubi venivano perfettamente occlusi da un mandri-no di plastica. In posizione di riposo il flusso ematico circolava nella struttura a U dello shunt senza diffondere nelle due propaggini. Quando era necessaria la connessione dialiti-ca, i due tratti rettilinei venivano connessi ri-spettivaemnte con il set arterioso e venoso del dializzatore.

Le due branche dello shunt in silastic erano rivestite per 9 cm della loro parte prossimale da un manicotto di dacron velour che si conti-nuava con un patch avalare di 30 mm dello stesso materiale. Le estremità del tubo in sila-stic erano tagliate a livello del patch con un angolo di 30°. Il cilindro di dacron aveva lo scopo di attivare una reazione tessutale fibro-plastica con formazione di una capsula fibrosa destinata a rendere solidale la protesi nei con-fronti del piano sottocutaneo, realizzando una barriera nei confronti dei germi provenienti dell’esterno. I patch avalari erano utilizzati per eseguire la connessione con i vasi gene-ralmente a livello dell’asse femorale. I van-taggi di questo shunt erano rappresentati dalla grande portata, dall’assenza di tip singoli ell’interno dei vasi e dalla solidità di impian-to. Gli svantaggi, dalla gravità delle eventuali complicanze e dalla problematica della sua ablazione quando non era più utilizzabile.

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Questo tipo di protesi esterne erano tutte caratterizzate comunque da una vita relati-vamente breve, generalmente complicata da episodi flogistico–trombotici e/o infettivi che richiedevano operazioni di pulitura complesse e che si facevano sempre più fre-quenti con l’invecchiare della protesi stessa fino a renderne impossibile il recupero. Si rendeva allora necessario reimpiantare lo shunt in un tratto di vaso più prossimale. Questa procedura trovava un limite tecnico insuperabile quando si arrivava a vasi ar-teriosi che non potevano essere terminalizzati, o che erano in prossimità di una aper-tura articolare o che erano troppo profondi.

2.4.2 ANASTOMOSI Prima di proseguire con la fistole artero-venosa può essere interessante spendere al-cune parole su come vengano realmente collegate un’arteria e una vena (questa unio-ne viene detta anastamosi). Nello scegliere la vena verso la quale si vuole indirizzare il flusso arterializzato oc-corre tener presente che questa, da un punto di vista ideale, deve essere lunga a suffi-cienza da poter permettere un frequente cambio di sede della venipuntura e deve esse-re la più rettilinea possibile. Inoltre, le sedi previste per l’infissione degli aghi non devono mai coincidere con pieghe articolari. Una volta individuata la vena che si vuole utilizzare e fatti tutti gli opportuni accer-tamenti sulla validità della scelta (assenza di cicatrici, assenza di malattie immunolo-giche…) si può procedere con l’anastamosi che può essere sinteticamente descritta dalla figura nella pagina seguente.

2.4.3 DIVERSI TIPI DI ANASTOMOSI Le tecniche chirurgiche con le quali e’ possibile realizzare l’anastamosi ovvero il col-legamento di un vaso arterioso donatore ed un vaso venoso adiacente possono essere condotto in modalità:

• latero (arteria) - laterale (vena): è il tipo tecnicamente più agevole; vena ed ar-teria sono affiancate longitudinalmente

• latero (arteria) - terminale (vena): il vaso venoso viene connesso lungo il dia-metro trasversale all’ arteria tramite arteriotomia longitudinale

• termino (arteria) - terminale (vena): i due vasi si affrontano secondo il diame-tro trasversale del loro lume.

Nella scelta del tipo di combinazione anastomotica si deve tener conto fondamental-mente di due fattori. Il primo è rappresentato dal grado di esperienza dell’operatore: le anastomosi in latero–laterale sono le più agevoli e possono sempre essere trasfor-mate in latero–terminali funzionali al termine dell’intervento quando si è certi che la fistola è ben funzionante. Il secondo è costituito dalla necessità di accostare nella ma-

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niera più armonica possibile i due capi vasali. Ogni volta che i due assi vasali sono disposti su piani di profondità diversa le anastomosi latero-laterali rischiano sempre di esercitare una tensione fra i due settori a meno che non si utilizzino dissezioni va-sali molto ampie. Più fisiologico in questo caso l’impiego di latero (arteria)-terminali (vena). Per uno sfruttamento ottimale delle risorse venose è opportuno in questo caso, ogni volta possibile, anziché terminalizzare la vena principale, eseguire l’anastomosi su di una collaterale venosa in modo tale da creare una anastomosi a T che può permettere un flusso bidirezionale. Le termino–terminali sono attualmente poco utilizzate sui vasi nativi e hanno una lo-ro indicazione solo nella combinazione protesi-protesi e vena-protesi. La modalità più utilizzata e quella latero-terminale. Al completamento dell’ anastomosi si dovrebbe palpare, a livello della vena, il fremi-to, il cosiddetto thrill. L’ assenza di tale fremito e la presenza della sola pulsazione ar-teriosa trasmessa suggeriscono un occlusione venosa e quindi impongono la necessità di una revisione della fistola stessa.

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2.4.4 FISTOLA ARTERO-VENOSA CIMINO-BRESCIA L’uso dello shunt venne progressivamente soppiantato dall’avvento della fistola arte-ro–venosa tipo Cimino-Brescia che rimane a tutt’oggi l’accesso permanente di prima scelta. Tale accesso è ottimale per la buona conduzione della seduta dialitica principalmente perché conserva una buona pervietà27 a lungo termine e per una bassa incidenza di complicanze infettive o trombotiche; inoltre la sua localizzazione immediatamente sotto il derma ne permette una facile e ripetuta puntura transcutanea. Provvista di un vaso venoso di adeguato calibro, la fistola endogena può essere co-struita a livello del polso (fistola distale) o a livello della faccia anteriore del gomito (fistola prossimale). Sfortunatamente esistono condizioni che rendono difficile o ad-dirittura impossibile la costruzione di tale accesso vascolare, come la sclerosi o la trombosi dei vasi venosi, solitamente causate da venipunture ripetute nel tempo, o l’esistenza di vasi venosi sottili, fragili e profondi nel tessuto sottocutaneo come spes-so si può osservare nelle donne in età post-menopausale. Importante, inoltre, è ri-sparmiare la vena safena28 che può essere utilizzata per possibili future ricostruzioni arteriose; da preferire infine l’arto non dominante sia per facilitare l’eventuale auto-venipuntura da parte del paziente, sia per lasciare libero l’arto dominante nel corso della seduta dialitica. La sede di questo tipo di fistola si trova nel terzo distale dell’avambraccio, prossi-malmente all’articolazione del polso. Utilizza come vaso arterioso l’arteria radiale e come efferente29 venoso la cefalica dell’avambraccio ed in qualche raro caso una sua collaterale mediale. L’incisione cutanea, di lunghezza variabile, può iniziare a 2-3 cm prossimalmente al processo stiloideo del radio e va praticata a metà distanza fra il decorso dell’arteria e della vena prescelta. L’anastomosi può essere di tipo latero-laterale, come inizialmen-te descritta da Cimino-Brescia, o una latero terminale. La terminalizzazione (vedi vo-ce A-1 nella figura seguente) della vena sembra preferibile in quanto permette di ese-guire un’incisione cutanea più contenuta, riduce il rischio di iperflusso per minore tendenza dilatativa della bocca anastomotica, mette al sicuro da un’arterializzazione retrograda della rete venosa (verso la mano). Questo tipo di fistola rappresenta certamente la versione più facile di accesso vasco-lare esistente sia per quanto concerne l’esecuzione tecnica che per l’entità delle pos-sibili complicazioni. La frequenza di insuccessi è molto contenuta e la durata gene-ralmente eccellente. Il maggior rischio per le versioni in latero-laterale è rappresenta-to dal sovraccarico cardiaco che può divenire anche sintomatico e richiedere una re-visione della fistola stessa.

27 Pervietà. La condizione di normale apertura di un condotto o di un orifizio. 28 Vena Safena. Vena sottocutanea degli arti inferiori, che origina dalle vene dorsali del piede. 29 Efferente. Si dice di condotto che porta un liquido fuori dell'organismo.

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a: latero-laterale b: latero-terminale

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2.4.5 I PROBLEMI INTRAOPERATORI I problemi intraoperatori possono essere:

• una rete venosa superficiale inadeguata, per vasi venosi di piccolo calibro e/o sclerotici che non permettono una dilatazione strumentale superiore a 3-4 mm di diametro

• ipoplasia30 dell’arteria radiale o calcificazioni parietali importanti • ipotensione con pressione arteriosa minore di 80 mmHg

Per l’utilizzazione tale accesso richiede un periodo di "maturazione", necessario per l’arterializzazione dei vasi venosi, che diventano in tal modo pungibili periodicamen-te; tale periodo è variabile e dipende principalmente dalle caratteristiche dei vasi uti-lizzati nell’ anastomosi. Un uso prematuro può portare alla perdita dell’ accesso in quanto il segmento venoso non può tollerare ripetuti incannulamenti. Per quanto riguarda le fistole prossimali queste, di solito, vengono costruite qualora vi sia stato un fallimento, precoce o tardivo, dell’intervento distale. Inoltre anche in individui con vasi arteriosi di piccolo calibro, per ipoplasia, angiosclerosi o calcifica-zioni tale sede può essere un’ottima alternativa a quella distale. A questo livello c’è il vantaggio di poter utilizzare un’arteria donatrice, quella omera-le, ad alta portata che permette all’accesso di fornire un flusso sanguigno elevato e costante. A differenza delle fistole distali, queste possono essere utilizzate anche a distanza di sole 48 ore dalla loro costruzione, poiché la portata elevata dei vasi non richiede un periodo di maturazione prima della venipuntura. Le complicanze dell’accesso vascolare permanente consistono principalmente in:

• Trombosi • Infezioni • Ischemia • Insufficienza cardiaca • Aneurismi e pseudoaneurismi

La bassa sopravvivenza delle fistole endogene è da ricollegarsi principalmente alla precoce chiusura, di solito entro il primo mese dall’intervento; nessuna differenza di sopravvivenza è stata osservata tra le fistole distali e quelle prossimali. Consideriamo ora in dettaglio le varie complicanze sopraelencate: 30 Ipoplasia. Sviluppo insufficiente o diminuzione di volume di un organo per mancato accrescimento o per diminuzio-ne del numero delle sue cellule.

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Trombosi La trombosi è la causa più comune della perdita dell’accesso vascolare; essa insorge di solito per una riduzione del flusso ematico dell’innesto che può essere provocato da:

• Errori tecnici durante la preparazione chirurgica • Stenosi31 venosa • Eccessiva compressione della fistola dopo la dialisi • Errato incannulamento • Ipotensione • Ipovolemia32 • Compressione accidentale della fistola per assunzione di particolari posizioni

durante il sonno • Stenosi arteriosa • Diatesi33 trombotica

Altri fattori possono essere importanti nel determinare la trombosi della fistola: la presenza di anticorpi anticardiolipina è associata a frequenti stenosi dell’innesto, ma anche condizioni di ipercoagulabilità possono provocare gli stessi problemi. La tera-pia con eritropoietina esplica uno scarso effetto sulla trombosi dell’accesso se si man-tiene l’ematocrito34 ai valori raccomandati. Infezione L’infezione della fistole artero-venosa (FAV) è la seconda causa più frequente della perdita dell’accesso e rappresenta circa il 20% di tutte le complicanze dell’accesso vascolare sintetico. Al contrario, l’infezione delle FAV endogene è alquanto raro ed è dovuto nella mag-gior parte dei casi all’inoculazione batterica in corso di incannulamento localizzando-si prevalentemente nella sede di puntura. Anche per quanto riguarda le protesi sinteti-che l’infezione è da correlarsi all’inoculazione durante la puntura pre-dialitica; la pre-senza di un ematoma a livello della protesi o di un aneurisma35 con trombo associato aumentano notevolmente il rischio di perdita della FAV. Ischemia distale I sintomi di ischemia36 dell’estremità distale dell’arto interessato dalla FAV non sono molto frequenti, ma sono difficili da risolvere ed interessano più facilmente pazienti in cui già preesiste una vasculopatia periferica importante.

31 Stenosi. Restringimento patologico, congenito o acquisito, di un orifizio o di un condotto anatomico. 32 Ipovolemia. Diminuzione del volume del sangue nell'organismo. 33 Diatesi. Predisposizione, per lo più ereditaria, dell'organismo a una determinata malattia. 34 Ematocrito. Rapporto fra il volume del plasma e quello dei globuli rossi. 35 Aneurisma. Dilatazione anomala (congenita o patologica) di un'arteria. 36 Ischemia. Deficiente apporto di sangue in un organo o in una parte dell'organismo.

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Un flusso ematico deficitario alla mano deriva dallo shunt diretto verso una fistola prossimale e dalla sindrome da furto arterioso in cui il flusso arterioso viene shuntato dal circolo palmare alla fistola tramite l’arteria radiale. L’ischemia si manifesta con la comparsa di dolore a riposo, con cianosi e riduzione del termotatto alla mano, quando questa viene tenuta in posizione declive; tali distur-bi sono più evidenti nei pazienti diabetici. I disturbi spesso si attenuano nelle settimane successive alla costruzione della fistola, per lo sviluppo di circoli collaterali. Se questo non fosse sufficiente si può tentare di ridurre il flusso ematico nella fistola, favorendo quindi il flusso verso l’estremità di-stale dell’arto, con un bendaggio, con la piegatura dell’innesto o con l’interposizione di un altro innesto, anche se di solito non si ottengono dei risultati incoraggianti. Insufficienza cardiaca Nei pazienti in cui esistono già delle cardiopatie (scompenso cardiaco congestizio di qualsiasi natura, coronaropatia, cardiopatia ipertensiva) la costruzione di una FAV può favorire l’ sorgenza di complicanze cardiache che vanno dall’ipotensione ad uno scompenso cardiaco ad alta gittata. Tali complicanze sono più frequenti se il flusso della fistola eccede il 20% della gittata cardiaca. Anche in questo caso si dovrebbe tentare con artifici tali da ridurre il flusso della fi-stola (bendaggi, attorcigliamento dell’innesto...), ma, data l’elevata percentuale degli insuccessi, il legamento dello shunt rimane il trattamento risolutivo dei casi in cui gli altri metodi non si sono rivelati efficaci. Aneurismi e pseudoaneurismi La puntura ripetuta nello stesso sito della fistola può provocare la formazione di a-neurismi e pseudoaneurismi; tali complicanze sono particolarmente importanti nelle fistole sintetiche, causa il danno progressivo che si viene a determinare sull’impiantato. Per ridurre l’incidenza di tali complicanze è consigliabile la rotazione delle sedi di venipuntura. Aneurismi e pseudoaneurismi generalmente si trattano mediante revisione chirurgica dell’accesso, con escissione o legatura dell’area interessata.

2.4.6 TECNOLOGIE DISPONIBILI

Una prima considerazione va fatta sulla disponibilità di cateteri venosi di nuova con-cezione. Infatti dai cateteri monolume che venivano introdotti in arteria ed in vena, si è passati ai cateteri bilume coassiali, a camere appaiate o a camere che si sdoppiano nella parte intravascolare, in poliuretano o in silicone, con lumi sempre più ampi in modo da garantire flussi ematici maggiori. Lo sviluppo tecnologico delle diverse apparecchiature ha portato alla realizzazione di macchine in grado di condurre tutti i tipi di trattamento sopraccitati semplicemente variando l'impostazione su pannelli operativi.

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Per quanto riguarda il problema dell'anticoagulazione, l'uso dell'eparina alla dose di 5-8 UI/Kg/ora è ancora il sistema più largamente impiegato, per il quale si ha la mag-giore esperienza. L’uso dell'eparina garantisce la possibilità di monitorarne rapida-mente ed ovunque gli effetti e di antagonizzare gli eccessi con solfato di protamina. Inoltre l'eparina e ancora l'anticoagulante a costo più contenuto. Buoni risultati si ottengono anche con l'uso delle eparine a basso peso molecolare somministrate nel circuito extracorporeo o per via sottocutanea al paziente. Per quan-to riguarda le prostacicline, i costi elevati e l'impossibilita di monitorare i livelli ema-tici o di evidenziare un sovradosaggio rendono queste sostanze poco indicate per i normali trattamenti, confinando il loro utilizzo in quei casi in cui si hanno particolari condizioni cliniche. L'impiego del citrato trova parecchi consensi e sicuramente costituisce il metodo mi-gliore per anticoagulare il solo circuito extracorporeo senza effetti sul paziente.; tut-tavia il suo uso non e semplice e richiede personale particolarmente addestrato per eseguire frequenti monitoraggi e reinfusioni adeguate per prevenire gli squilibri di sodio, calcio e bicarbonato.

2.4.7 NUOVI ORIZZONTI - SEPSI

A questo proposito sono numerosi ormai i dati della letteratura che dimostrano la possibilità di intervenire precocemente con trattamenti di rimozione extracorporea, indipendentemente dalla presenza o meno di insufficienza renale, per rimuovere TNF-alfa ed altri mediatori con un effetto protettivo generalizzato a tutto l'organismo. Tale approccio tuttavia è ancora piuttosto discusso ed è tuttora in fase di studio e veri-fica. Tuttavia, considerando che in corso di sepsi37 si ha una disregolazione tra produzione di mediatori ad azione protettiva e non e che si ha un passaggio di mediatori nel tor-rente circolatorio, l'applicazione di metodiche di depurazione continua si basa sul ten-tativo di ridurre i livelli circolanti di tali mediatori. È stata infatti dimostrata da nume-rosi studi la possibilità di passaggio nell'ultrafiltrato di alcune di queste sostanze e gli approcci alla loro rimozione sono di vario tipo: in Olanda ed in Australia due gruppi di ricercatori hanno dimostrato un miglioramento clinico trattando con CVVH per ventiquattro ore ad almeno 2L di ultrafiltrazione oraria e per sei-otto ore incremen-tando l'ultrafiltrazione a 4L/h. Altri ricercatori italiani hanno sviluppato una metodica chiamata CPFA (Coupled plasma filtration adsorption, ovvero plasmafiltrazione adsobimento) in cui dal sangue che passa attraverso un plasmafiltro viene separato il plasma contenente i mediatori. Il plasma a sua volta viene fatto circolare attraverso una speciale cartuccia di resina che ha grandi proprieta adsorbitive per queste sostanze e poi reinfuso nella linea ema-tica. Rispetto ad una plasmaferesi tradizionale, in corso di CPFA viene separato, ri-generato e reinfuso al paziente il proprio plasma con vantaggi in termini di costi e di 37 Sepsi. Infezione generalizzata all'intero organismo.

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sicurezza per trasmissione di malattie. Rispetto ad un'emoperfusione, metodica usata in caso di avvelenamenti in cui il sangue intero viene fatto passare attraverso una car-tuccia di carbone che ha proprietà di adsorbire determinate sostanze tossiche, in corso di CPFA le cellule ematiche non vengono a contatto con la resina e quindi si evitano i problemi di consumo piastrinico e di ipocalcemia che si verificano con l'emoperfu-sione. Questo è di sicuro vantaggio in pazienti che spesso sono ipopiastrinemici e che presentano quindi problemi di coagulazione. Altre metodiche che sono allo studio in Italia ed in uso in paesi come il Giappone si basano sull'impiego di una membrana sulla cui superficie e stata legata la Polimixina B che ha un'affinità specifica per le citokine: ad ogni passaggio del sangue attraverso tale membrana viene rimossa una quota piuttosto elevata di mediatori.

2.4.8 ACCESSI PERITONEALI Per molti anni l'impiego della dialisi peritoneale fu limitato ai casi di insufficienza re-nale acuta; la metodica richiedeva la perforazione della parete addominale ad ogni seduta, in quanto non si disponeva di accessi permanenti. Fu Maxwell nel 1959 a dare impulso a questa metodica ideando un nuovo tipo di catetere in nylon, per l'uso e-stemporaneo, che però poteva essere lasciato in sito per più sedute. Risale al 1964 il primo catetere a permanenza propriamente detto, ideato da Palmer e Quinton. Il cate-tere fu modificato nel 1968 da Tenckhoff e Schechter; da allora questo tipo di catete-re, flessibile, morbido, non traumatico ed idoneo ai trattamenti cronici ha avuto una grandissima diffusione. Il catetere viene in genere inserito per via laparotomica38 sottombelicale mediana. L'accesso al peritoneo determina una comunicazione tra ambiente interno ed esterno, e costituisce dunque una zona a rischio per le infezioni peritoneali; i vari tipi di cate-tere proposti in epoca successiva a Tenckhoff hanno limitato solo in parte le compli-canze infettive dell’apertura e del tragitto sottocutaneo, le dislocazioni e gli intrappo-lamenti da parte dell'omento39, e resta tuttora aperto il problema di creare un accesso pratico e del tutto sicuro. La tecnica di posizionamento riveste un ruolo fondamentale nel garantire un buon funzionamento del catetere; recentemente, in alternativa agli approcci chirurgici o semichirurgici, è stato proposto l'uso di un peritoneoscopio, che consente di visualiz-zare direttamente la cavità peritoneale e l'omento, di individuare eventuali aderenze e di posizionare il catetere in una zona libera da anse intestinali.

38 Laparotomia. Apertura chirurgica della cavità addominale. 39 Omento. Parte del peritoneo che, dopo avere avvolto la massa gastrointestinale (piccolo omento), scende a guisa di grembiule nella parte anteriore della cavità addominale (grande omento).

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2.5 EPARINIZZAZIONE: SISTEMICA E REGIONALE L’eparinizzazione sistematica è generalmente il presupposto per l’esecuzione di una emodialisi. Nei pazienti in cui vi è una controindicazione al prolungamento del tempo di coagulazione (es. traumi recenti, eventi chirurgici, ustioni, anamnesi riferibile ad ulcere sanguinanti) si impiega di solito la dialisi peritoneale. Qualora si renda neces-saria una dialisi rapida, si può impiegare il rene ariticiale ricorrendo alla tecnica dell’eparinizzazione regionale.

Alcuni centri impiegano questa tecnica per tutti i pazienti in emodialisi, onde elimina-re il possibile rischio di un’eparinizzazione sistemica. L’eparinizzazione regionale implica la somministrazione di eparina dal alto arterioso del rene artificiale, seguito dalla sua neutralizzazione con portamina dal lato venoso. In questo modo il tempo di coagulazione del sangue nella macchina è prolungato da un’ora e mezza all’infinito, mentre il tempo di coagulazione della persona collegata all’apparecchio viene mante-nuto nei limiti della norma per norma per mezzo della titolazione con protamina.

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L’efficienza di questa tecnica dipenda dalle quantità di eparina somministrate in rap-porto al valore del flusso ematico attraverso il rene. Dato che questi due farmaci han-no diversi spazi di distribuzione nel corpo è possibile che l’eparina, ritornando nel circolo ematico attraverso la linfa, possa esercitare un effetto anticoagulante diverse ore dopo la cessazione della dialisi. Questa possibilità deve essere tenuta presente e combattuta, se necessario, con la somministrazione di ulteriori dosi di portamina.

2.6 DIALISI PERITONEALE La dialisi peritoneale e l’emodialisi sono basate sullo stesso principio fisiologico. Es-se differiscono principalmente nel fatto che la dialisi peritoneale impiega una mem-brana biologica ed è generalmente meno efficace. Durante questo tipo di emodialisi vengono iniettati nella cavità peritoneale, mediante un catetere o un ago molto gros-so, sino a 2-4 litri di liquido di dialisi.

Il peritoneo agisce come membrana semipermeabile; i soluti presenti nel sangue, gra-zie al principio di osmosi, grazie al principio di osmosi, filtrano oltre il peritoneo e si

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versano nel liquido di dialisi. Dopo un opportuno intervallo di tempo necessario a che il sistema si metta in equilibrio (generalmente dopo 1-2 ore) il liquido di dialisi, as-sieme alle sostanze nocive, viene rimosso dalla cavità peritoneale per mezzo di un ca-tetere polivinilico. Il procedimento viene ripetuto diverse volte in un periodo di circa ventiquattro ore. La membrana della parete capillare sembra essere la barriera cellulare principale per quanto concerne la diffusione dei soluti ematici nella cavità peritoneale. Di conse-guenza l’entità della diffusione diviene una funzione del flusso del sangue splancni-co, della differenza di concentrazione dei soluti tra sangue e liquido di dialisi e del grado di mescolamento che ha luogo durante il periodo in cui avviene l’equilibrio nella cavità peritoneale. Per quanto concerne la rimozione di veleni e dei principali metanoli dell’uremia, si può ritenere che l’efficacia di una buona dialisi peritoneale sia circa un sesto rispetto a quella dell’emodialisi, per unità di tempo. Ciononostante, il procedimento è utile nei pazienti che si trovano in particolari condizioni, quali quelli colpiti da infarto del miocardio e nei quali non è desiderabile un’improvvisa modificazione della pressione ematica. Inoltre, la dialisi peritoneale è utile in quelle condizioni che precludono l’impiego dell’eparinizzazione sistemica, anche se in questo caso la tecnica dell’eparinizzazione regionale può costituire una valida alternativa. La dialisi peritoneale può essere impiegata anche per mantenere in vita i pazienti con insufficienza renale cronica affinché essi possano inserirsi nel programma di dialisi cronica con un rene artificiale.

2.6.1 DIALISI PERITONEALE E RICIRCOLAZIONE È una tecnica che implica l’uso di due cannule. Il liquido di dialisi, a flusso continuo, viene pompato nella cavità peritoneale attraverso una cannula e inviato, attraverso un’altra, a una dializzazione ad ultrafiltrazione. Questo apparato non solo rimuove i soluti nocivi dal liquido di dialisi, ma concentra nel liquido stesso le proteine che normalmente vanno perdute durante il procedimento. Quando il liquido di dialisi vie-ne restituito al paziente, l’aumentata concentrazione delle proteine rende minima la loro ulteriore perdita. La via peritoneale è stata usata raramente nei pazienti che richiedono una dialisi a lunga durata perché è difficile ottenere un bilancio nutritivo, data la perdita proteica a cui comunemente si va incontro. Inoltre, in quasi tutti i pazienti compaiono, in genere dopo 6-8 mesi, processi infettivi anche se è stata impiegata una tecnica rigorosamente sterile.

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3 DIALISI E RENI ARTIFICIALI

3.1 INTRODUZIONE La definizione di dialisi si può tradurre come un processo chimico-fisico, per cui al-cune molecole disciolte in un mezzo liquido, passano ad un altro mezzo liquido attra-verso una membrane semipermeabile. Gli obbiettivi della dialisi sono quindi: depurare il plasma dai prodotti azotati derivanti dal metabolismo proteico e

presenti in alte concentrazioni nello stato uremico riequilibrare il bilancio idro-elettrolitico e acido-base

Il passaggio delle varie molecole è determinato dalla presenza di pori di varie dimen-sioni presenti sulla membrana, inoltre la membrana influenza la depurazione in base al grado di permeabilità ai solventi e ai soluti e alla biocompatibilità. Infatti il ripetuto contatto del sangue con la membrana di dialisi comporta reazioni biologiche di tipo infiammatorio ed immunologico; a tale riguardo si definiscono maggiormente bio-compatibili le membrane che comportano minore attivazione del sistema della coagu-lazione e dei meccanismi di flogosi40. Lo scambio di molecole avviene a livello extracorporeo , dove sangue e bagno dialisi, separati dalla membrana semipermeabile, vengono fatti circolare in senso opposto l’uno con l’altro. Per ottenere una depurazione ottimale, è necessario che il circuito ematico extracorporeo garantisca un elevata portata ematica (200-300 ml/min). Per mezzo di una pompa peristaltica a velocità regolabile, da un primo ago si aspira il sangue portandolo verso il filtro dializzatore dove avverranno gli scambi depurativi. Il livello di coagulazione del sangue presente nel circuito extracorporeo viene controllato grazie all’infusione di eparina; in uscita dal filtro, il sangue rientra nella circolazione del paziente, attraverso un secondo ago. Il filtro dializzatore è costituito da fibre capillari cave (8°000-15°000), o a piastra, di diametro variabile, costruite da materiale sintetico o cellulosico. Con queste membra-ne si depura il sangue dalle varie sostanze tossiche, si effettua lo scambio di sostanze sostitutive presenti nel liquido di dialisi, avviene la sottrazione di acqua accumulatasi in eccesso nell’organismo del paziente. Il bagno dialisi è un liquido la cui composizione è costituita da acqua precedentemen-te trattata (resa sterile e priva di sostanze chimiche tossiche) e da due soluzioni con-centrate (acida e basica), che vengono miscelate con un rapporto pari a: una parte di concentrato e 35 parti di acqua.

40 Flogosi. Infiammazione.

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• Il bagno dialisi è veicolato al filtro in direzione opposta al flusso ematico, rive-stendo tutta la superficie dei capillari contenuti nel dializzatore. La circolazione contro-corrente potenzia la depurazione di tipo diffusiva.

Nel circuito del liquido dializzatore viene applicata una pressione di tipo negativo, questa pressione creata dalla pompa di ultrafiltrazione, all’interno del circuito idrauli-co, è più o meno accentuata secondo la variabilità di alcuni parametri:

• le dimensioni e il grado di permeabilità della membrane del dializzatore; • il calo peso (ultrafiltrazione) più o meno accentuato, impostato dall’infermiere,

dietro prescrizione medica; • la velocità della pompa sangue che determina la variabilità della pressione po-

sitiva applicata al filtro; • le resistenze dell’accesso vascolare (pressione negativa di aspirazione, pressio-

ne positiva di rientro).

All’interno del comparto ematico del filtro è sempre presente una pressione positiva, mentre all’interno del comparto del bagno dialisi è sempre presente una pressione ne-gativa. La pressione ematica positiva sommata algebricamente alla pressione del liquido di dialisi in negativo, a livello della membrana semipermeabile, determina la pressione di transmembrana41 (TMP), vale a dire la pressione efficace di ultrafiltrazione. La TMP non deve mai essere negativa. Quando ciò accade si ha una ultrafiltrazione inversa (backfiltration), cioè il passaggio di bagno dialisi nel sangue. Il rischio mag-giore è costituito dal fatto che il bagno dialisi, non essendo sempre un liquido com-pletamente sterile, può provocare il passaggio di endotossine e batteri nel sangue, de-terminando nelle peggiori delle ipotesi delle gravi reazioni settiche.

3.2 MECCANISMI OPERATIVI

Il trasporto di acqua e dei soluti, intra- ed extracellulare avviene per gradiente di con-centrazione (diffusione) e/o per gradiente di pressione idrostatica (convezione). Nella diffusione il passaggio di soluti avviene per un movimento molecolare di soluti attraverso le membrane, secondo un gradiente di concentrazione e con passaggio pressoché nullo di solvente. Questo meccanismo si ottiene prevalentemente nella dia-lisi tradizionale (dialisi con utilizzo di bicarbonato). Nella convezione il passaggio dei soluti attraverso la membrana di dialisi avviene per trascinamento da parte del solvente, che viene forzato ad attraversare la membrana

41 Pressione transmembrana. La forza che spinge il liquido a fluire attraverso una membrana per ultrafiltrazione.

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per effetto di una forza idrostatica. Così permette una sottrazione di solvente e di so-luto. Questo meccanismo (associato a quello diffusivo), si ottiene nelle modalità dialitiche che utilizzano anche delle infusioni (HDF, AFB, PFD); nell’emofiltrazione (HF) in-vece si ha un trasporto puramente convettivo.

3.3 LEGGE DI FICK

La relazione che descrive il fenomeno della diffusione da un punto di vista macro-scopico venne determinata sperimentalmente da Fick nel 1855, osservando come, a parità di temperatura, di sostanza diffondente e di solvente, la massa di sale che dif-fonde attraverso una determinata interfaccia fosse direttamente proporzionale al gra-diente di concentrazione attraverso la superficie, all'area della superficie stessa ed alla durata del fenomeno osservato; infine, notò come esso risultasse sempre diretto dalle regioni a concentrazione maggiore verso quelle a concentrazione minore.

3.3.1 1° LEGGE Ipotesi semplificative del problema:

• due punti in una soluzione separati da una distanza molto piccola dx • la differenza di concentrazione c misurata in tali punti • la quantità di soluto dm che attraversa una area data A in un tempo molto pic-

colo dt • come ipotesi semplificativa assumiamo che la diffusione avvenga unicamente

nella direzione c=c(x) cioè che dc/dy=dc/dz=0 • la concentrazione vari molto lentamente ma apprezzabilmente nel tempo.

Fatte queste premesse la legge di Fick dice che la massa che attraversa l’area data ri-sulta essere:

dm= –DA(dc/dx)dt

Dove D è una costante di proporzionalità.

Definendo ora j il flusso di materia attraverso la superficie come portata di massa (quantità di massa nel tempo) per unità di superficie (l/A) si ottiene:

j=dm/Adt

Allora la formula precedente può essere riscritta come:

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j= –Ddc/dx

Così scritta, la legge di Fick non si limita semplicemente a formalizzare il fenomeno, ma separa le grandezze fisiche che in esso variano da quelle che rimangono costanti in ragione delle condizioni sperimentali che sono state imposte. D'altra parte, come è facile intuire, la temperatura, il tipo di soluto e quello di solvente sono parametri fisi-ci molto importanti per il fenomeno in esame. Così ad esempio, è esperienza comune il fatto che lo zucchero si scioglie in minor tempo nel caffè bollente che in quello freddo; lo zucchero si scioglie in minor tempo nell'acqua che nel latte; l'alcool dif-fonde in acqua in minor tempo rispetto al vino. In realtà, la legge di Fick, scritta in questa forma, tiene conto anche della temperatura, del tipo di soluto e di solvente: infatti, al variare di una o più di queste grandezze fisi-che varia la costante di proporzionalità D, cioè: D dipende dalla temperatura, dal tipo di soluto e di solvente. D è quindi un tipico esempio di parametro fenomenologico ed è chiamato coefficiente di diffusione.

3.3.2 2° LEGGE La prima legge di Fick non è sufficiente per risolvere completamente tutti i problemi di diffusione. Infatti basta notare che il flusso diffusionale può modificare il gradiente di concentrazione che spesso è conseguentemente funzione del tempo. Una seconda relazione interessante dalla quale si ricava appunto la dipendenza della concentrazione dal tempo, si ottiene ricordando che deve essere sempre rispettato il principio della conservazione della massa. Questo si può esprimere con una relazione che imponga che la variazione di concentrazione della sostanza in un volumetto infi-nitesimo aperto agli scambi di materia sia identica alla differenza tra i flussi entrante e uscente nel medesimo elemento di volume.

Facendo vari conti matematici si ottiene che la relazione fra tempo e concentrazione risulta essere:

dc/dt=D(d2c/dx2)

3.4 COSTITUENTI DEL RENE ARTIFICIALE

Il rene artificiale è senza dubbio una macchina molto complessa (causa anche l’enorme quantità di elettronica introdotta negli ultimi anni), ma è ancora possibile individuare quattro elementi principali per cercare di capirne il funzionamento. Questi elementi sono:

1. Il filtro dializzante; 2. Il circuito ematico extracorporeo; 3. Il circuito del liquido di dialisi; 4. Il monitor di controllo.

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3.4.1 IL FILTRO DIALIZZANTE

3.4.1.1 BREVE STORIA

Il dializzatore a spirale più frequentemente impiegato è stato quello a doppia spirale di Kolff. Questo consisteva in due spirali di tubi piatti di cellophane, sostenuti da una rete di fibre di vetro o di polipropilene ed avvolte attorno ad un nucleo centrale. L’intero sistema delle spirali era immerso in un recipiente nel quale veniva pompato il liquido di dialisi. Il sangue circolava attraverso le spirali di cellulosa e le sostanze di degradazione, i farmaci o i veleni venivano portati fuori nel dializzato (vedi Fig.). Data la resistenza delle spirali, era necessaria una pompa per mantenere un adeguato flusso di sangue attraverso l’apparecchio. ERa necessario inoltre un grosso serbatoio per il liquido di dialisi, capace di contenere sino a 100-300 litri. Il prototipo del sistema a lamine e piastre è rappresentato dal rene artificiale di Skeggs-Leonard che è composto da lamine di cellophane racchiuse tra piastre metal-liche solide e rigide. Il sangue fluisce in canali tra le lamine di cellophane, controcor-rente rispetto al liquido di dialisi, che scorre nei solchi tra le lamine di cellophane e le piastre. Il dializzatore di Kiil è una modifica del precedente ed impiega materiali diversi quali ad es. il cuprophane invece del cellophane ed il polipropilene invece delle piastre me-talliche. L’apparecchio a lamine e piastre fornisce un sistema con bassa resistenza e di conseguenza, diversamente da quanto avviene con il sistema a doppia spirale, di solito si può mantenere un flusso grazie alla sola pressione sanguigna, ovviando vir-tualmente alla necessità di una pompa per il sangue. Ad ogni modo, è necessario un grosso serbatoio per il liquido di dialisi, come nel rene a doppia spirale. In molti centri di dialisi viene impiegato un serbatoio comune di liquido di dialisi che serve per 8-10 dializzatori. Fortunatamente, il liquido di dialisi non deve essere man-tenuto batteriologicamente sterile nel corso della dialisi. Ogni qualvolta però vi è un contatto con il sangue, bisogna impiegare tecniche asettiche. Il rene capillare è un emodializzatore più piccolo, ma certamente altrettanto efficace. L’impiego di spirali arrotolate o di tubi di trasudazione ha reso possibile una riduzio-ne della dimensione ed inoltre questo tipo di dializzatore non richiede il riempimento con sangue prima dell’uso.

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Oggi Costituisce l’unità funzionale del rene artificiale. In esso avvengono gli scambi di so-luti e di acqua fra il sangue del paziente ed il liquido di dialisi. Le membrane dializ-zanti possono essere costituite da materiali diversi che ne conferiscono differenti ca-

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ratteristiche depurative e di biocompatibilità, derivanti dalla cellulosa, cellulosa mo-dificata o membrane di derivazione sintetica.

Le caratteristiche di finezza richieste (in particolare per l’ultrafiltrazione) e l’alto ri-schio di intasamento del filtro da parte delle soluzioni da processare fanno sì che i fil-tri debbano essere dotati di proprietà “antiblocco”, come ad esempio l’asimmetria in-terna e il basso assorbimento dei materiali utilizzati. In alternativa, per minimizzare l’intasamento, si possono usare unità dotate di un alto rapporto area filtrante/volume di campione. L’ultrafiltro è una membrana semipermeabile che, dopo applicazione di una pressione positiva, trattiene la maggior parte delle macromolecole, mentre le molecole più pic-cole passano nel filtrato Gli ultrafiltri sono disponibili in parecchi livelli di selettività: con diametri dei pori che vanno da 10 a 103 Angstrom (ossia 0,001–0,1 mm), che alle normali pressioni o-perative permettono di separare particelle da 103 a 106 Dalton. Perché l’ultrafiltrazione funzioni in modo efficiente sono spesso necessarie condizio-ni operative che minimizzano la concentrazione di soluti sulla superficie della mem-brana, evitando la formazione di uno strato gelatinoso che ostruisce la membrana stessa (effetto detto polarizzazione di concentrazione). Vi sono alcune strategie che permettono di superare questo problema: celle con agitazione, filtrazione verticale (in cui la membrana è montata verticalmente in modo che lo strato di molecole che si forma sulla membrana cada verso il basso per gravità), filtrazione tangenziale. Riportiamo di seguito alcuni termini usati nell’ultrafiltrazione: Polarizzazione da concentrazione: Accumulo delle molecole del soluto sulla superfi-cie della membrana (detto anche Strato di gel). La polarizzazione può essere influen-zata dalla pressione applicata attraverso la membrana, dalla concentrazione di soluto e dal flusso del permeato. Concentrato: Campione trattenuto dalla membrana dopo la filtrazione Diafiltrazione: Rimozione dei soluti più piccoli da una soluzione, lasciando le mole-cole più grosse nel retentato.

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Filtrato: Chiamato anche permeato, porzione di un campione che è passata attraverso la membrana. Filtrazione a flusso tangenziale (TFF): Una filtrazione dove il liquido viene ricirco-lato tangenzialmente alla superficie della membrana mentre viene applicata una pres-sione che forza il passaggio del liquido attraverso la membrana. L’azione di allonta-namento operata dalla TFF minimizza la formazione dello strato di gel e di conse-guenza l’intasamento. Grande importanza nella progettazione e realizzazione dei filtri risiede nei materiali impiegati che differiscono per il contenitore e per la membrana che devono essere sterili e generalmente monouso.

3.4.1.2 MEMBRANE PER FILTRI O DIALIZZATORI

La membrana semipermeabile di dialisi rappresenta senza dubbio il nucleo centrale del sistema della dialisi. Infatti tutte le tecniche dialitiche consistono nel far giungere il sangue dal paziente al liquido di dialisi a contatto con la membrana semipermeabi-le, dove avviene la dialisi stessa. Dal punto di vista funzionale, possiamo immaginare la membrana di dialisi come se fosse costituita da una superficie ricoperta da pori di diametro variabile, di modo che solo alcune sostanze di dimensioni inferiori al diametro dei pori, possano attraversar-la e vengono quindi perse nel liquido di dialisi, mentre le altre, di dimensioni maggio-ri, vengono conservate. Da un punto di vista pratico, le tossine uremiche più comuni (urea, fosfati, potassio....) hanno un basso peso molecolare, sono cioè di piccole di-mensioni, e quindi passano attraverso le membrane di dialisi abbandonando il flusso ematico. Invece altre molecole utili all’organismo come le proteine, che sono di peso molecolare elevato, non passano la membrana di dialisi e vengono conservate. Ma le dimensioni di una molecola non sono l'unico fattore che ne determina la dializ-zazione: un altro fattore molto importante é costituito dall’alone di idratazione42. L’alone di idratazione aumenta il diametro della molecola e ne riduce quindi la dia-lizzabilità. Naturalmente poi le cariche elettriche, presenti su una molecola modifica-no il passaggio attraverso la membrana di dialisi, a seconda che le cariche elettriche di superficie della membrana siano di segno uguale o contrario. È noto, infatti, che cariche di segno opposto si attraggono e di segno uguale si respingono. Infine ha molta importanza il legame proteico delle vie molecolari. Le proteine, infat-ti, hanno dimensioni elevate e non vengono dializzate.

3.4.1.3 CARATTERISTICHE IDEALI DELLE MEMBRANE SEMIPER-MEABILI

Prima di parlare dei vari tipi di membrane semipermeabili vediamo, ora, quali do-vrebbero essere le caratteristiche ideali. Una prima caratteristica, necessaria, data la 42 Alone di idratazione. Capacità di una molecola di legare a se altre molecole di acqua attraverso cariche elettriche.

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produzione industriale é la costanza della caratteristica, cioè che tutti i lotti di produ-zione siano assolutamente uguali tra di loro. Inoltre la membrana ideale dovrebbe a-vere una elevata efficacia depurativa, che però dovrebbe essere selettiva nel senso che dovrebbe presentare una selettività biologica, tale da permettere l’eliminazione delle tossine e trattenere sostanze utili all'organismo (come vitamine, aminoacidi....). Un'altra caratteristica più facilmente ottenibile é un'ultrafiltrazione graduale, in modo da poter ben modulare la sottrazione di peso, secondo le necessità del paziente. Inol-tre la membrana di dialisi dovrebbe essere molto resistente, in modo da poter essere lavorata senza problemi in varie forme ed in modo da evitare episodi di rottura. La membrana di dialisi infine non dovrebbe interferire in alcun modo con la biologia del paziente (attivazione del complemento43, della coagulazione ...) dovrebbe cioé essere biocompatibile. Infine, visto che l'emodialisi viene utilizzata in modo continuativo, in un sempre maggiore numero di pazienti, e quindi incide sempre di più nella spesa sanitaria, le membrane di dialisi dovrebbero avere un basso costo.

43 Complemento. Fattore proteico del plasma sanguigno che, reagendo con il complesso antigene-anticorpo, contribui-sce a combattere le infezioni.

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3.4.1.4 TIPI DI MEMBRANE SEMIPERMEABILI

Le membrane possono essere cellulosiche, cioè derivare dalla cellulosa o da polimeri artificiali. In ogni caso tutte le membrane attualmente utilizzate sono polimeri, costi-tuiti cioè da una serie di molecole di base (monomeri) che si legano tra di loro e pos-sono essere individuati i seguenti gruppi:

• Membrane a base di cellulosa rigenerata • Membrane derivate dalla cellulosa • Membrane sintetiche idrofobiche44 • Membrane sintetiche idrofiliche45

Membrane a base di cellulosa rigenerata La cellulosa é un polimero naturale, costituente del legno e molto diffuso in natura. Poiché il polimero naturale é insolubile, per la preparazione delle membrane si ado-perano dei derivati acetilati, utilizzando complessi amminici con il rame (metodo cu-prammonium). La membrana tipica di questo gruppo é il cuprophan, a base di cellu-losa solubilizzata e riprecipitata. È la membrana che ha permesso la diffusione del trattamento dialitico, e con la quale vengono trattati oltre il 60% dei pazienti in emo-dialisi. Il cuprophan viene utilizzato per dializzatori a rotolo, a piastra e capillare. Lo spessore di membrana varia da 11 a 18 micron46. Tale membrana è molto idrofila e presenta un grado di ultrafiltrazione relativamente ridotto. L'efficienza dialitica é buona per sostanze a basso peso molecolare, ma risulta molto scarso per le medie mo-lecole. Il cuprophan sembra essere poco biocompatibile, ma generalmente non pre-senta rischi di retrodiffusione. Membrane derivate dalla cellulosa Alcune membrane di dialisi vengono ottenute esterificando47 la cellulosa. La più co-mune é l'acetato di cellulosa, che viene usato a scopo industriale (ad esempio come supporto dei nastri adesivi). In alcuni gruppi OH della cellulosa sono sostituiti dal ra-dicale acetato. Altra membrana di tale gruppo é l'emophan, in cui gruppi OH- sono sostituiti dal radicale dietilaninoetilico, e che viene utilizzata solo per le dialisi. Tali membrane sono utilizzate per la costruzione di dializzatori a piastre o capillari, e pre-sentano caratteristiche molto simili al cuprophan. Generalmente però lo spessore del-la membrana é più elevato ed esiste una maggiore permeabilità, anche se la rimozione delle medie molecole é molto ridotta. L'ultrafiltrazione é buona e ben graduabile. Non presentano rischi di retrofiltrazione e sembra presentino una migliore biocompatibili-tà.

44 Idrofobiche. Capaci di respingere l’acqua. 45 Idrofiliche. Capaci di assorbire acqua. 46 Micron. Un milionesimo di metro (1×10-6 m). 47 Estere. Composto in cui l'idrogeno di un acido organico (esteri organici) o inorganico (esteri inorganici) è sostituito con un radicale organico.

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Membrane sintetiche idrofobiche Le membrane sintetiche sono costituite da polimeri non esistenti in natura. Presenta-no oltre alla membrana una struttura reticolare di sostegno, spugnosa, per cui anche se il loro spessore è elevato l'ultrafiltrazione risulta comunque elevata. Infatti lo spes-sore è 3-5 volte superiore a quello delle membrane cellulosiche, ma la parte filtrante vera e propria ha uno spessore molto ridotto. Generalmente sono sostanze utilizzate dall'industria per la costruzione di materie pla-stiche e tessuti. Membrane tipiche di questa classe sono il polisulfone, il polimetil me-tacrilato ed il poliacrilonitrile (sulfonato o non sulfonato). Tali membrane presentano una buona depurazione per le medie molecole e possono arrivare ad una permeabilità di 40°000 di peso molecolare, molto vicina cioè alla dimensione della proteina. L'ul-trafiltrazione è molto elevata e questo rende queste membrane ideali per le tecniche dialitiche che utilizzano l'infusione (emofiltrazione, biofiltrazione...) ma aumenta di molto la retrodiffusione del liquido della dialisi. Inoltre la loro idrofobia rende neces-sario l'uso di umidificanti che vengono parzialmente rilasciati successivamente. Sem-brano però presentare una buona biocompatibilità. Membrane sintetiche idrofiliche Queste membrane presentano caratteristiche generali molto simili a quelle cellulosi-che, anche se è stata descritta una migliore biocompatibilità. Le membrane tipiche di questa categoria sono il polietercarbonato (gambrane) e l'etilvinilalcool (eval). Pre-sentano un'ultrafiltrazione media con buona rimozione delle piccole molecole, ma scarsa delle medie molecole. Con tali membrane il rischio della retrodiffusione è mol-to ridotto.

3.4.1.5 ALCUNI ESEMPI E DATI DI FILTRI PRODOTTI DALLA

DITTA BELLCO S.p.A.

Filtro DIAPES a membrana La membrana DIAPES impiega un nuovo polimero caratterizzato da un equilibrio ot-timale tra la struttura idrofobica del polieteresulfone e le componenti idrofiliche del polivinilpirrolidone (PVP). Ciò conferisce alla membrana un eccellente profilo di emocompatibilità a minima interazione con le componenti del sangue. La membrana DIAPES ha una struttura innovativa che combina tre strati aventi diffe-renti porosità e funzionalità. Ciò conferisce alla membrana un'ampia flessibilità ap-plicativa sia in termini di ultrafiltrazione che di caratteristiche convettive. La membrana DIAPES è stata sviluppata mediante una nuova tecnologia che prevede un filo spaziatore tra i capillari della membrana per ottimizzare la distribuzione del dializzato. La membrana pertanto risulta avere caratteristiche depurative altamente stabili per tutta la durata del trattamento.

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Questa membrana è una membrana sintetica ad alta permeabilità con uno spessore della fibra di soli 30 micron. Grazie a ciò la membrana si caratterizza con prestazioni uniche in termini di trasporto dei soluti.

Urea (ml/min) 241 246 250 255 241 246 250 255

Creatinina (ml/min) 216 223 227 234 216 223 227 234 Fosfati (ml/min) 205 213 218 226 205 213 218 226

Vitamina B12 (ml/min) 160 166 170 177 160 166 170 177 UFR (ml/h•mmHg) 51 61 68 80 51 61 68 80

Superficie effettiva (m2) 1,20 1,40 1,60 1,90 1,20 1,40 1,60 1,90

Compartimento sangue (ml) 73 85 94 109 73 85 94 109

Compartimento liq. dialisi (ml) 132 154 169 192 132 154 169 192

Compart. sangue (mmHg) <50 <45 <30 <25 <50 <45 <30 <25

Compartimento liq. dialisi (mmHg) <50 <50 <50 <50 <50 <50 <50 <50

Diametro interno (µm) 200 200 200 200 200 200 200 200 Spessore parete (µm) 30 30 30 30 30 30 30 30

Lunghezza (mm) 305 305 305 305 305 305 305 305 Diametro (mm) 55 55 55 55 55 55 55 55

Peso (g) 178 191 192 211 197 209 213 230 Filtro HEMOPHAN a membrana HEMOPHAN mantiene le elevate proprietà meccaniche delle membrane cellulosiche e nello stesso tempo ha una migliorata compatibilità nell'interazione san-gue/membrana espressa da una leucopenia48 e da una attivazione complementare si-gnificativamente ridotte.

48 Leucopenia. Diminuzione dei globuli bianchi del sangue.

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HEMOPHAN può essere sterilizzato con tutte le metodiche di uso corrente e costitui-sce un equilibrio ideale tra le esigenze depurative in trattamenti diffusivi e la richiesta di un migliore profilo di biocompatibilità.

Urea(ml/min) 229 247 258 231 254 211 238 253 231 254 214 224 231

Creatinina (ml/min) 186 208 222 192 218 174 198 213 192 218 184 198 209 Fosfati (ml/min) 152 169 182 176 199 148 163 175 176 199 150 163 173

Vitamina B12(ml/min) 59 69 77 66 77 44 48 53 51 60 56 66 74 UFR (ml/h•mmHg) 5,9 7,4 8,6 7,3 9,2 3,1 4,0 4,5 3,9 5,2 5,5 7,0 8,0

Superficie effettiva (m2) 1,15 1,36 1,72 1,20 1,60 1,15 1,36 1,72 1,20 1,60 1,35 1,64 1,92

Comp. sangue (ml) 67 83 96 70 88 67 83 96 70 88 73 90 103 Comp. liq.dialisi (ml) 150 171 157 149 169 150 171 157 149 169 140 120 120

Comp. sangue (mmHg) <50 <45 <30< <50 <45 <50 <45 <30 <50 <45 <50 <45 <40 Comp. liq.dialisi (mmHg) <35 <35 <35 <35 <35 <35 <35 <35 <35 <35 <35 <35 <35

Diametro interno (µm) 200 200 200 200 200 200 200 200 200 200 200 200 200 Spessore parete (µm) 8 8 8 6,5 6,5 8 8 8 6,5 6,5 8 8 8

Lunghezza (mm) 305 305 305 305 305 305 305 305 305 305 305 305 305 Diametro (mm) 36 39 39 36 39 36 39 39 36 39 55 55 55

Peso (g) 155 161 166 159 161 155 161 166 159 161 200 208 224

Filtro CUPROPHAN a membrana L'elevato grado di porosità fine, insieme all'ottima resistenza meccanica della mem-brana consentono di ottenere fibre a differente diametro e spessore di parete al fine di ottimizzare le performances depurative in applicazioni diffusive. L'ottima clearance (depurazione) diffusiva ottenibile per le piccole molecole, l'ultrafiltrazione tale da as-sicurare una sufficiente rimozione di fluidi in eccesso, le modeste necessità di epari-nizzazione nonché la più ampia applicabilità dei metodi correnti di sterilizzazione fanno di CUPROPHAN una scelta sicura per la dialisi tradizionale.

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Urea (ml/min) 215 237 251 266 173 178 181

Creatinina (ml/min) 166 187 213 223 153 163 170 FosfatI (ml/min) 137 156 173 191 131 141 147

Vitamina B12 (ml/min) 48 59 69 77 54 63 69 UFR (ml/h•mmHg) 4,5 5,9 7,4 8,6 5,5 7,0 8,0

Superficie effettiva (m2) 1,08 1,35 1,64 1,95 1,35 1,64 1,92

Compartimento sangue (ml) 52 67 83 96 73 90 103

Compartimento liq. dialisi (ml) 121 151 172 157 140 120 142

Compart. sangue (mmHg) <60 <50 <45 <30 <50 <45 <40

Compartimento liq. dialisi (mmHg) <35 <35 <35 <35 <35 <35 <35

Diametro interno (µm) 200 200 200 200 200 200 200 Spessore parete (µm) 7,5 7,5 7,5 7,5 7,5 7,5 7,5

Lunghezza (mm) 305 305 305 305 305 305 305 Diametro (mm) 32 36 39 39 55 55 55

Peso (g) 150 155 161 166 200 208 224

3.4.1.6 MATERIALE DEL CONTENITORE

Acrilico - Acrilico modificato (A-MA): scarsa resistenza chimica, basso contenuto di estraibili e basso potere legante delle proteine, non autoclavabile. Adatto per soluzio-ni acquose o biologiche. Polipropilene (PP): resistente ai solventi, bassa capacità di ritenzione proteica, ideale per filtrazione di campioni proteici. Teflon -PTFE : idrofobo, ideale per solventi organici aggressivi.

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Policarbonato (PC): bassa resistenza a sostanze chimiche inorganiche, adatto per campioni acquosi e a pH neutro.

3.4.1.7 MATERIALE PER LA MEMBRANA

Polivinildifluoruro (PVDF): idrofilo bassa ritenzione proteica e alta compatibilità chimica, ideale per filtrare soluzioni acquose, campioni proteici. Polisulfone (PS): idrofilo, bassa ritenzione proteica, ideale per filtrazione di soluzioni acquose e campioni proteici. Polietilensulfone (PES): idrofilo, esente da tensioattivi, bassa capacità legante le pro-teine, elevata velocità di flusso, basso livello di estraibili inorganici e ottima resisten-za chimica. Le membrane in PES sono ideali ad esempio colture cellulari. Nitrocellulosa (NC): esente da triton, bassa percentuale di estraibili, ottime qualità bagnanti, ideale per applicazioni microbiologiche,non resistente ai solventi. Acetato di cellulosa (CA e Surfactant Free Cellulose Acetate-SFCA): esente da triton, con basso livello di estraibili, bassa capacità di legame delle proteine, ottima capacità filtrante dei campioni biologici in genere, non resistente ai solventi. Nylon (NY): idrofilo e privo di tensioattivi, livello molto basso di estraibili e alta resi-stenza ai solventi. Adatto per campioni acquosi, autoclavabile fino a 121°C. Allumina: è atossico, caratterizzato da un basso livello di estraibili e da minimo le-game proteico. È ideale per sterilizzazione a freddo, microscopia, biologia cellulare. Vetro borosilicato: l’azione combinata della membrana e del prefiltro in vetro borosi-licato da 1 mm elimina la necessità della prefiltrazione e aumenta significativamente il volume del filtrato.

3.4.2 IL CIRCUITO EMATICO EXTRACORPOREO

Costituito da una serie di cavi di piccolo calibro, di materiale plastico, articolati in due segmenti principali: la linea arteriosa e la linea venosa. Il sangue proveniente dal paziente arriva al filtro dializzatore per mezzo della linea arteriosa; dopo aver attra-versato il filtro, ritorna depurato al paziente lungo la linea venosa. Questo, centinaia di volte nel corso di ogni singola seduta dialitica. La progressione del sangue nel circuito extracorporeo è assicurata da una pompa di tipo peristaltico. La sterilità del filtro dializzatore e di tutto il circuito extracorporeo è ottenuta mediante sterilizzazione con ossido di etilene, con raggi gamma o con raggi beta. L’incoagulabilità del sangue nel circuito extracorporeo in generale, e nel filtro dializzatore in particolare, è assicurata dal lavaggio di queste strutture, nella fase di preparazione del circuito, con una soluzione eparinata e dalla somministrazione di eparina durante la seduta emodialitica.

3.4.2.1 LINEE EXTRACORPOREE

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Circuito arterioso

La linea arteriosa è dotata di un'estremità che si collega alla cannula arteriosa, di u-n'estremità che si collega al filtro e di una via laterale per l'eparinizzazione del siste-ma ; questa è ottenuta tramite una pompa a siringa. Il circuito completo dopo essere stato assemblato, va riempito con sangue, ed e’ estremamente importante eliminare tutta l'aria del circuito, sia essa nel settore ematico (arterioso e venoso) che in quello del filtrato. Circuito venoso

La linea venosa è provvista di un'estremità che si raccorda alla cannula venosa e di un'estremità che si collega al filtro. Caratteristiche di una linea ematica fornite dalla Bellco S.p.A.

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La linea ematica in Pivipol è composta da un tubo in Polivinil-Cloruro (PVC) plasti-ficato con Di-(-2-Etil)-Esilftalato (DEHP) coestruso49 internamente con uno strato di Poliuretano. Il processo di coestrusione permette:

• Al PVC di effettuare l'azione meccanica e di supporto propria del tubatismo plastico.

• Al Poliuretano di espletare la funzione di interfaccia biocompatibile con il san-gue con cui viene in contatto. Le linee ematiche in Pivipol, durante il tratta-mento dialitico in circolazione extracorporea, assicurano la riduzione di trau-matismi a carico delle parti corpuscolate del sangue grazie alla propria peculia-re composizione chimico-fisica.

Quest'ultima conferisce alle linee ematiche in Pivipol una elevata biocompatibilità garantita da:

• Minor attivazione del complemento per merito di superfici estremamente lisce, minimizzando il traumatismo cellulare, riducendo il rischio di formazione di trombi, favorendo una minore adesione piastrinica e un migliore scorrimento del sangue.

• Ritardata migrazione dei plastificanti dal tubo in PVC al sangue grazie “all’effetto barriera" prodotto dall'estrusione in Poliuretano.

49 Estrusione. Procedimento di lavorazione di materiali plastici, o resi temporaneamente tali (materiali metallici, mate-rie plastiche e sim.), che consiste nel forzare il materiale attraverso un'apertura sagomata al fine di ottenere tubi, barre o profilati vari.

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Un indicatore elettivo di biocompatibilità è la rilevazione di C3a (Anafilotossina) nel sangue esposto a trattamento dialitico in circuito extracorporeo. Quando il sangue viene a contatto con una superficie estranea nell'organismo si determina una reazione che sviluppa la C3a, in una sorta di processo infiammatorio.

3.4.2.2 DISINFEZIONE STERILIZZAZIONE

La disinfezione va distinta dalla sterilizzazione in quanto individuano due metodi di pulizia differenti. Per disinfezione (usata prevalentemente nella pulizia delle macchine per dialisi) si in-tende tutto ciò che porta alla eliminazione dei microrganismi patogeni dall’ambiente

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e da veicoli, impedendo così la trasmissione delle malattie infettive dalla fonte di in-fezione all’individuo sano. La sterilizzazione (usata per la pulizia dei materiali disposable) fa qualcosa in più della disinfezione: infatti porta alla distruzione di tutti i microrganismi (spore com-prese), siano essi patogeni oppure no.

3.4.2.2.1 STERILIZZAZIONE

La scelta del sistema più adeguato di sterilizzazione dipende essenzialmente dal tipo di prodotto o materiale che deve essere trattato. A seconda che si vogliano sterilizzare terreni di coltura, materiale di laboratorio o strumentario ospedaliero si può scegliere tra autoclavi50, stufe a secco, impiego di raggi gamma, individuando poi all’interno della gamma di attrezzature disponibili per ogni sistema di sterilizzazione quella più adatta alle proprie necessità. Una volta effettuato il trattamento per la verifica di av-venuta sterilizzazione si ricorre alla convalida fisica, a indicatori chimici e biologici. Ogni procedimento può essere schematicamente distinto dagli altri osservando i se-guenti parametri:

• il meccanismo della sterilizzazione è tipico per ogni metodo di sterilizzazione • l’efficacia del trattamento di sterilizzazione è influenzata dalla natura

dell’agente inquinante, dal suo D-value (parametro di resistenza alla sterilizza-zione): dose necessaria per abbattere di n. 1 Log il microrganismo campione

• la sicurezza del trattamento di sterilizzazione è influenzata dalla quantità dell’agente inquinante, dalla sua popolazione presente sul dispositivo medico

• la sterilità deve essere espressa come probabilità matematica di contaminazione residua, livello di sicurezza della sterilità (SAL), che è in funzione della critici-tà del prodotto: dispositivi medici devono avere SAL = 10-6 .

• Esistono, come già detto, diverse tecniche di sterilizzazione anche se quelle più effi-caci ed utilizzate sono tre:

• ossido di etilene • irraggiamento gamma • irraggiamento beta

ed attualmente il loro utilizzo in processi industriali ha i seguenti numeri

• 48 % ossido di etilene • 40 % irraggiamento gamma • 12 % altro (irraggiamento elettroni accelerati….)

50 Autoclave. . Recipiente cilindrico a chiusura ermetica capace di resistere a pressioni superiori a quella atmosferica; è usato come sterilizzatore, attivatore di processi chimici, regolatore di pressione.

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Raggi gamma Le radiazioni gamma sono onde elettromagnetiche ad alta energia (fotoni), prive di massa e di carica elettrica, quindi caratterizzate da una profonda penetrazione. L’assenza di massa riduce al minimo l’interazione con la materia ed è per questo che le radiazioni gamma vengono definite ionizzanti. Sono emesse da radioisotopi per raggiungere la stabilità attraverso il fenomeno detto decadimento, che non comporta la formazione di scorie radioattive. Il radioisotopo universalmente utilizzato a tale scopo è il Cobalto 60. L’emissione fotonica è certa e segue precise leggi fisiche: ciò permette di conoscere a priori la dose che si andrà a somministrare. L’elemento caratterizzante l’irraggiamento è la dose assorbita la cui unità di misura è il Gray (Gy). L’uso dei dispositivi medici in plastica non sterilizzabili al calore hanno prodotto un crescente sviluppo della sterilizzazione per irraggiamento gamma. Le radiazioni gamma, attraversando la materia, cedono a questa una certa quantità di energia che dipende dal numero di fotoni incidenti, dalla loro energia e dalla natura della materia stessa. Gli effetti delle radiazioni sui microrganismi sono legati alla pre-senza di acqua nelle cellule. L’effetto diretto consiste nell’interazione con le molecole del DNA causandone la rottura ed impedendo quindi la replicazione cellulare. Altro effetto è il danneggia-mento dei substrati proteici che danneggiano le membrane cellulari. Il maggior vantaggio di questo processo consiste nell’avere un unico parametro su cui esercitare il controllo: la dose assorbita. L’assenza di residui, la pressoché nulla pro-duzione di calore, l’assenza di sollecitazioni meccaniche e la peculiare efficacia su batteri (sporigeni e non), muffe e lieviti sono altri vantaggi che, uniti al primo, rendo-no questo tipo di sterilizzazione particolarmente adatta per dispositivi medici, materie prime e prodotti farmaceutici non finiti (in bulk) e finiti, materie prime e prodotti co-smetici in bulk e finiti, materiali di laboratorio e materiali di confezionamento. Quello dell’irraggiamento a radiazioni gamma è un servizio svolto da società specia-lizzate che si avvalgono di bunker in cui si trova la cella di irraggiamento, dove il ma-teriale da sterilizzare viene caricato e movimentato in modo totalmente automatico. Gli imballaggi contenenti il materiale da sterilizzare spediti dal committente vengono alloggiati negli appositi contenitori di irraggiamento con dimensioni fisse (irradiation container), sopra vengono apposte delle etichette radiosensibili. Si procede anche al posizionamento dei dosimetri nei punti prefissati. Quando l’intero lotto di sterilizzazione raggiunge la cella di irraggiamento, un siste-ma di movimentazione automatica garantisce che ogni singolo contenitore di irrag-giamento occupi sequenzialmente ognuna delle posizioni differenti e simmetriche ri-spetto alla sorgente. Il processo viene gestito da un sistema di supervisione compute-rizzato. La rimozione del lotto dalla cella di irraggiamento avviene tramite un sistema di cari-co/scarico automatico. Viene inoltre controllato il viraggio dell’indicatore radiosensi-bile e vengono rimossi i dosimetri per la misura della dose. Il rilascio di un lotto steri-

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lizzato è vincolato infatti al controllo che la dose somministrata sia stata effettiva-mente quella prescelta. È il laboratorio dosimetrico a determinare la dose sommini-strata per via spettrofotometrica. Se la dose è conforme, la direzione impianti approva il trattamento e il personale procede alla preparazione del materiale in uscita. L’elevata penetrazione permette di intervenire sull’imballaggio finale chiuso, esclu-dendo qualsiasi manipolazione dei prodotti contenuti prima, durante e dopo il tratta-mento. Il processo avviene in condizioni ambientali di temperatura, pressione e umi-dità controllati, non lascia residui di nessun genere e quindi non è necessaria alcuna quarantena per il rilascio del prodotto. Ossido di etilene (ETO) L’ossido di etilene è un gas incolore, infiammabile, esplosivo, notevolmente irritante per la cute e le mucose. La miscelazione con il biossido di carbonio o il clorofluoro-carbonio attenua l'infiammabilità ed il rischio esplosivo. L'attività sterilizzante è ascrivibile al processo di alchilazione delle proteine e degli acidi nucleici contenuti dai microrganismi. L'efficacia dell'ETO è influenzata dalla concentrazione del gas, dalla temperatura, dall'umidità e dal tempo di esposizione. Pur con alcune limitazioni, l'aumento della concentrazione e della temperatura riduce il tempo necessario per la sterilizzazione. Il vantaggio primario della sterilizzazione con ETO è la possibilità di sterilizzare ma-teriali sanitari termolabili senza effetti dannosi sugli stessi. Gli svantaggi principali sono la lunghezza del ciclo (2,5 ore esclusa l'areazione che dura 12 ore se forzata meccanicamente o addirittura 7 giorni se attesa spontaneamen-te), l'alto costo, e la potenziale tossicità per i pazienti e gli operatori sanitari. La note-vole capacità del gas di penetrare all'interno dei materiali (tubi di gomma, cateteri ecc.) ed il suo successivo rilascio costituisce infatti il pericolo maggiore per gli opera-tori esposti a tale processo. A tutt'oggi l'ETO rappresenta il processo più efficace per la sterilizzazione a bassa temperatura ma, nonostante le sue eccellenti proprietà, tale gas è tossico, mutageni-co51 ed è sospettato di essere anche cancerogeno. Per questa ragione, il suo impiego in ambito sanitario deve essere limitato al minimo, in attesa che le nuove tecnologie di sterilizzazione a bassa temperatura sostituiscano uniformemente tale procedimento. Per eseguire questo tipo di sterilizzazione si utilizza un’autoclave (è una caldaia all’interno della quale si produce vapore sotto pressione per raggiungere alte tempera-ture) detta a ossido di etilene all’ interno della quale vengono posti i materiali che de-vono essere stati precedentemente lavati e ben asciugati, in quanto l'umidità produce sostanze tossiche difficilmente rimuovibili con aerazione. Successivamente, sigillata l’autoclave, viene inserito al suo interno l’etilene saturo che vi rimarrà per un tempo prestabilito in base al tipo di pulizia desiderato, ed in se-guito prima dell’estrazione si dovrà attendere la degassificazione (eliminazione di tut-to il gas) onde evitare la rimanenza di etilene.

51 Mutageno. Si dice di fattore o agente che può provocare mutazioni genetiche.

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I fattori che intervengono nella sterilizzazione sono parecchi come ad esempio • Concentrazione del gas. • Umidità: i valori di umidità relativa all'interno della camera di sterilizzazione

dovrebbero essere compresi tra il 30% e il 60%. • Temperatura: la temperatura aumenta l'efficacia del gas, maggiore è la tempe-

ratura minore è il tempo di sterilizzazione. Essendo un metodo di sterilizzazio-ne per presidi termolabili, in genere non vengono mai superati i 50°-60° C per non danneggiare i materiali.

• Tempo di contatto: può variare rispetto ai fattori precedenti, in genera il ciclo di sterilizzazione si mantiene per 4-5 ore.

• Pressione: varia in funzione del gas impiegato, in quanto, per ovviare ai pro-blemi di infiammabilità ed esplosività l'ETO viene miscelato a Freon o ad Ani-dride carbonica.

Questo tipo di sterilizzazione e’ sicuramente meno efficiente e più lunga di quella a raggi gamma ma può essere eseguita ovunque senza l’impiego di apparecchiature particolarmente complesse e costose.

3.4.3 CIRCUITO DEL LIQUIDO DI DIALISI In esso è contenuta una soluzione costituita essenzialmente da acqua di rete (sottopo-sta ad un processo di demineralizzazione chimica mediante il passaggio attraverso re-sine a scambio ionico), sali minerali, sostanze osmoticamente attive, e sostanze tam-pone (in genere acetato o bicarbonato). La soluzione utilizzata come bagno dialisi contiene sodio, potassio, calcio, magnesio, cloruro, acetato e glucosio. Una volta at-traversato il filtro, con una direzione di flusso inversa rispetto al sangue, il liquido di dialisi viene inviato direttamente in scarico. Sul circuito del liquido di dialisi, inoltre, è inserita una seconda pompa (pompa aspirante) che ha la funzione di creare una pressione negativa, permettendo così la rimozione diretta per ultrafiltrazione dell’acqua in eccesso sottratta dal sangue del paziente.

3.4.4 PARAMETRI CHIMICI FISICI E BIOLOGICI DEL LIQUIDO DI DIALISI

3.4.4.1 INTRODUZIONE

Con il termine "liquido di dialisi" (l.d.d.) possiamo intendere, in generale, ogni solu-zione polisalina usata in dialisi, per rinormalizzare l'equilibrio elettrolitico e acido-base e per rendere possibile la rimozione dei cataboliti52 terminali. In questa ampia

52 Catabolito. Sostanza di rifiuto prodotta dal catabolismo (processo fisiologico di disintegrazione degli alimenti e for-mazione delle sostanze di rifiuto).

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definizione rientrano, quindi, anche i liquidi di reinfusione usati in emofiltrazione (HF) ed emodiafiltrazione (HDF). Fisseremo comunque l'attenzione sul liquido di dialisi con bicarbonato, usato in emodialisi diffusiva (HD) in HDF, o in HF (come li-quido di reinfusione quando prodotto dall'apparecchio di dialisi). Per poter svolgere il suo ruolo in modo ottimale, il liquido di dialisi deve avere una ben precisa composi-zione chimica e rispondere a determinati requisiti di purezza sotto l'aspetto microbio-logico e dei microinquinanti chimici. Inoltre la sua preparazione, a partire da soluzio-ni concentrate, e/o il suo controllo implicano in genere misure conducimetriche. Di qui l'aspetto fisico della questione.

3.4.4.2 STERILIZZAZIONE/DISINFEZIONE DELL’ACQUA

Questo procedimento serve per impedire la proliferazione di microrganismi (batteri, alghe, funghi) e per garantire l’erogazione di acqua pura necessaria per il processo di dialisi. Vi sono vari metodi per sterilizzare l’acqua: Disinfezione chimica: si utilizzano soluzioni sanitizzanti a base di acido pera-

cetico, aldeidi53 o altri prodotti specifici. È effettuabile su tutti i tipi di circuiti. Disinfezione termica: si utilizza vapore o acqua surriscaldata. Effettuabile so-

lamente con circuiti in PVDF o in acciaio inox.

3.4.4.3 SCAMBIO IONICO

Gli scambiatori di ioni tolgono dall’acqua potabile solo i contaminanti inorganici o ionizzati. In questo processo, l’acqua viene fatta percolare54 lungo una colonna che contiene delle sferule sintetiche aventi un diametro pari a circa 1mm, chiamate resi-ne; durante tale passaggio, certi ioni presenti nell’acqua sono scambiati con altri ioni fissati alle resine. Gli scambiatori di ioni più comuni sono di due tipi: addolcitori e deionizzatori. 3.4.4.3.1 ADDOLCIMENTO DELL’ACQUA

53 Aldeide. Composto organico prodotto per ossidazione, o deidrogenazione, di taluni alcoli. 54 Percolazione. Operazione di filtrazione o di separazione di componenti di una miscela liquida, attuata facendola pas-sare attraverso spessi strati di materiale solido.

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Le resine di un addolcitore vengono attivate da ioni di sodio che sono scambiati so-prattutto con ioni di calcio e di magnesio. Un addolcitore di acqua ha una limitata ca-pacità di legamento per gli altri ioni polivalenti, come quelli del ferro, del manganese e dell’alluminio. A causa delle differenze di carica vengono liberati due ioni di sodio per ogni ione bi-valente trattenuto dalle resine. Unità di misura della durezza dell’acqua:

1. un grado francese (°F) =10 mg/l di CaCO3 nell’acqua per uso domestico o trattata

= 10 PPm di CaCO3 = 0,2 mEq/l di CaCO3 = 0,1 mmol/l di CaCO3

2. un grado tedesco (°D) = 1,78 °F 3. un grano/gallone USA = 17,1 mg/l di CaCO3 4. un grano/gallone Imp. = 14,2 mg/l di CaCO3

Le misure e le prestazioni degli addolcitori dell’acqua andrebbero scelte in modo che questi possano effettuare una rigenerazione quotidiana per mantenere i composti or-ganici e i microrganismi entro limiti accettabili. Sono comunque consigliati regolari controlli batteriologici. Se questi controlli evidenziano elevati livelli batteriologici il sistema richiede la disinfezione attuata con l’utilizzo di acido peracetico e di ozono, sostanze preferibili alla formaldeide55 poiché essa risulta troppo difficile da sciacqua-re. L’agente disinfettante, in una diluizione appropriata, viene pompato al posto della soluzione salina; poi il ciclo viene interrotto per permettere all’agente sterilizzante di

55 Formaldeide. Aldeide dell'acido formico; ha proprietà antisettiche.

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agire. Infine bisognerà risciacquare l’impianto ed effettuare un test per riscontrare e-ventuali residui del prodotto.

Vantaggi di un addolcitore di acqua bassi costi di acquisto e funzionamento alto tasso di flusso struttura semplice e facile manutenzione

Svantaggi non vengono tolti i contaminanti inorganici e quelli non-ionici favorisce la contaminazione con batteri ed endotossine la quantità dell’acqua è variabile non riduce la salinità dell’acqua

3.4.4.3.2 DEIONINZZAZIONE

Un deionizzatore si differenzia da un addolcitore in quanto effettua un doppio scam-bio cationico e anionico delle resine: le resine cationiche ed anioniche scambiano ca-tioni ed anioni rispettivamente con ioni di H+ e OH-, portando a uno scambio di tutti gli elettroliti per ottenere un’acqua pura.

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Vantaggi estraggono efficacemente ioni hanno un funzionamento relativamente poco costoso (tranne per quel che ri-

guarda le cartucce scambiabili a letto misto) sono completamente rigenerabili

Svantaggi non vengono rimossi corpuscoli e colloidi56, batteri e pirogeni le resine possono generare polverina di resina e favorire la proliferazione bat-

terica le sostanze chimiche usate per la rigenerazione sono corrosive e pericolose

3.4.4.4 ADSORBIMENTO SU CARBONE ATTIVO

I filtri a carbone attivo offrono un ottimo metodo per rimuovere mediante adsorbi-mento le sostanze organiche, le endotossine, le clorammine ed il cloro.

56 Colloide. S’ostanza che, dispersa in un liquido, dà luogo ad aggregati particellari che misurano da uno a mille nano-metri e che non diffondono attraverso membrane di pergamena.

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3.4.4.4.1 CONTAMINAZIONE

I filtri al carbone attivo presentano un’altra fonte di sviluppo batterico a causa della loro struttura estremamente porosa che si ricopre progressivamente di sostanze orga-niche offrendo in questo modo un ambiente ideale per i batteri. Questa è un’ulteriore ragione per scegliere un filtro a carbone di dimensioni limitate e per sostituirlo rego-larmente. I filtri di questo tipo possono anche perdere piccoli frammenti di polvere di carbone che devono essere tolti efficacemente con un filtro da 1-5 micron.

3.4.4.4.2 INDICAZIONI SPECIFICHE PER I FILTRI CON

ADSORBIMENTO DI CARBONE

usare prima dei deionizzatori in quanto le clorammine si possono trasformare in nutrosammine molto tossiche e cancerogene usare prima dei deionizzatori e l’osmosi inversa in quanto nessun sistema può

togliere il cloro e le clorammine che sono i composti che causano l’anemia se l’acqua usata è di superficie, questi filtri sono usati per togliere le sostanze

tossiche che non possono essere eliminate sufficientemente con scambiatori ionici e l’osmosi inversa

3.4.4.4.3 ESAURIMENTO E CONTROLLO

I filtri a carbone attivo dovrebbero essere testati regolarmente per verificare se il clo-ro o le clorammine sono presenti nel circuito situato a valle del filtro (nel qual caso il filtro deve essere sostituito). A questo scopo sono utili i preparati per test che utiliz-zano i reagenti DTP (Dietil-p-fenilenedrammina). L’esaurimento dei filtri dipende principalmente dal tipo e dalla misura di filtro scelto, dal carico di contaminanti nell’acqua e dal volume totale di acqua filtrata ottenuta. Tuttavia, bisogna tenere presente che un test con il DTP non è indicativo dell’esaurimento relativamente a qualsiasi altro composto tossico. Questo è partico-larmente interessante se si sta utilizzando acqua di superficie trattata in quanto questa può contenere parecchi residui chimici indesiderabili che devono essere tolti con l’adsorbimento al carbonio. Quindi sarebbe consigliabile installare dei filtri di carbo-ne in cartucce e sostituirle almeno due volte l’anno in modo da evitare la loro saturazione.

3.4.4.5 OSMOSI INVERSA

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3.4.4.5.1 PRINCIPIO OPERATIVO

In origine l’osmosi inversa è stata studiata per desalinizzare l’acqua del mare; da oltre 15 anni viene anche considerata una parte indispendabile di un sistema di trattamento dell’acqua per emodialisi. Consiste in un processo di filtrazione su membrana; le pompe forniscono acqua ad al-ta pressione (15-30 bar) alla membrana dell’osmosi inversa che scarta circa il 50% del flusso che giunge dalle pompe. Il termine osmosi inversa deriva dal fatto che la parte di acqua scartata contiene ele-vate concentrazioni di tutte le molecole e quindi ha un’alta pressione osmotica rispet-to al solvente purificato. La direzione del flusso dell’acqua prodotta è quindi opposta a quella del gradiente di pressione osmotica.

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3.4.4.5.2 PRETRATTAMENTO DELL’ACQUA

Addolcimento. La precipitazione del bicarbonato dipende dalla durezza

dell’acqua, dall’alcalinità, dal pH e dalla temperatura ed è definita con l’indice di precipitazione di Langelier. I contaminanti dell’acqua si raddoppiano nella concentrazione e quindi aumenta la precipitazione sul lato del concentrato delle membrane ad osmosi inversa. Il modo più pratico per evitare la precipitazione del carbonato di calcio, la funzione ridotta che ne risulta, nonché il danno po-tenziale alle membrane per osmosi inversa, consiste nell’utilizzo di uno scam-biatore ionico Pretrattamento con carbone attivo. Siccome il cloro e le clorammine non

vengono eliminati adeguatamente con l’osmosi inversa e visto che, quando so-no in eccesso, possono danneggiare alcuni tipi di membrane per l’osmosi in-versa (es. quelle di poliammide) devono prima essere assorbiti con i filtri al carbone attivo Prefiltro. Per proteggere le membrane per l’osmosi inversa è necessario un

prefiltro da un micron (per le membrane capillari) o da sei micron (per le membrane a spirale)

3.4.4.5.3 EFFICIENZA

L’acqua in entrata non dovrebbe essere troppo fredda in quanto questo fatto potrebbe far diminuire considerevolmente la qualità e la produzione dell’acqua di osmosi in-versa. Le piccole dimensioni dei pori (1,5 nm) che sono una barriera totale per le mo-lecole maggiori di 100-300 Dalton offrono un’alta resistenza al flusso di permeazio-ne; da ciò risulta un limitato tasso di produzione di acqua per dialisi nonostante l’alta pressione in entrata e la vasta superficie delle membrane. Questo richiede l’uso di un serbatoio tampone per soddisfare le richieste del flusso di picco durante i periodi in cui vi sono molti pazienti contemporaneamente in dialisi. Il 90-99% dei contaminanti disciolti vengono tolti dall’acqua in entrata con questo processo e la stessa cosa vale per il 99% dei batteri, dei virus, dei pirogeni, delle so-stanze organiche e di quelle colloidali.

3.4.4.5.4 PROCESSO DI PRODUZIONE DELLE MEMBRANE

Per l’emodialisi si usano tre processi di produzione delle membrane: 1. Deposito di soluzione. Questo è stato il primo metodo di produzione delle

membrane ed è molto conosciuto nella produzione di membrane per emodiali-si. Una miscela con soluzione di solventi che si stabilizza insieme ai composti di cellulosa o polimerici viene colata in una strato sottile; la membrana si rea-lizza dopo l’evaporazione del solvente.

2. Estrusione a fibra cava. Anche questo processo è molto conosciuto. Le fibre cave sono estruse sia in acetato di cellulosa che in poliammide ai fini dell’osmosi inversa.

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3. Membrane a pellicole composte. Questa tecnologia è nuova: due membrane vengono combinate per creare una membrana composta. La tecnologia delle membrane a pellicola sottile ha permesso di sviluppare soddisfacentemente un materiale ottimale per scartare i composti insieme a una pellicola sottostante di supporto che ne garantisce la resistenza.

3.4.4.5.5 VARIE UNITÀ DI OSMOSI INVERSA

Nel mondo vi sono almeno dieci fabbricanti che nel loro insieme producono oltre venti diversi tipi di unità ad osmosi inversa. La maggior parte delle unità prodotte servono alla desalinizzazione dell’acqua di mare ed a specifiche applicazioni indu-striali. Per la purificazione dell’acqua per l’emodialisi si usano soprattutto cinque tipi di uni-tà. La scelta migliore è quella di utilizzare due membrane a pellicola sottile composi-ta di polisulfone/polisulfone o poliammide/polisulfone, seguita dalle membrane piatte di acetato di cellulosa. Le membrane a fibra cava per osmosi inversa in acetato di cellulosa e in poliammide sono le ultime che si possono scegliere fra questi cinque tipi. Rispetto alle membrane con avvolgimento a spirale le precedenti presentano anche un alto rischio di contaminazione batterica (rottura della fibra singola).

3.4.4.5.6 CONTROLLO

Il controllo dell’acqua per osmosi inversa ha luogo e viene indicato mediante un con-trollo comparativo di resistenza tra l’acqua in entrata ed in uscita. Una corretta impo-stazione degli allarmi è necessaria per rilevare l’intasamento delle membrane. Questa situazione richiede la rigenerazione delle membrane con un agente chimico di pulizia, a seconda delle prescrizioni di ciascuna unità. Si consiglia di effettuare questo pro-cesso di pulizia una volta l’anno; naturalmente però questo deve essere adattato al li-vello di contaminazione dell’acqua in entrata. I test di integrità delle membrane possono essere effettuati sia con il metodo del pun-to di gorgogliamento (pressione necessaria per spingere l’aria lungo i capillari) oppu-re con il metodo di diffusione (quantità di aria che passa nelle membrane piatte in condizioni di pressione standard). Per entrambi i metodi i risultati vengono paragona-ti ai valori ed ai limiti di riferimento dell’integrità per ogni specifica unità.

3.4.4.5.7 DURATE DELLE MEMBRANE

L’integrità a lungo termine delle membrane per osmosi inversa dipende dal materiale delle membrane e dal tipo rispetto alla quantità dell’acqua. Oltre alla durezza dell’acqua, al basso pH, al cloro, alle clorammine ed al ferro, anche i depositi batteri-ci, i colloidi di sostanze organiche e l’alta temperatura possono abbreviare la durata delle membrane per osmosi inversa. Grazie al progresso tecnologico le rotture delle membrane sono rare in condizioni operative normali.

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3.4.4.5.8 LIMITI

È importante capire che l’osmosi inversa non toglie il 100% dei contaminanti dell’acqua. Gli ioni vengono scartati non solo secondo le dimensioni ma anche in ba-se alla loro carica elettrica e lo scarto sarà tanto migliore quanto più sarà alta questa carica. Gli ioni estremamente polivalenti (es. Al++) sono scartati molto meglio di quelli ionizzati debolmente, come succede per gli ioni di sodio. I composti non ionici vengono scartati solo secondo le loro dimensioni. La concen-trazione di alcuni contaminanti può restare fuori dai limiti di sicurezza nell’acqua trattata con osmosi inversa e quindi sarà necessario un trattamento complementare. Questo si può verificare per il fluoro, i nitrati, il cloro, le clorammine, ecc.; anche al-cuni composti organici con una misura di pori maggiore rispetto alle membrane pos-sono non essere tolti in modo adeguato. Per es. il blindano, che è un pesticida, viene eliminato in modo insufficiente dalle membrane di osmosi inversa in acetato di cellu-losa.

3.4.4.5.9 DISINFEZIONE

In via di principio, l’acqua di osmosi inversa è sterile ed apirogena. La membrana è più stretta dei filtri per sterilizzazione ed i pirogeni hanno un peso molecolare mag-giore del limite di sicurezza delle membrane ad osmosi inversa. Tuttavia la stagna-zione dell’acqua è responsabile della proliferazione batterica ovunque, anche a valle delle membrane ad osmosi inversa e quindi la prima acqua prodotta dopo la stagna-zione dovrà essere eliminata sistematicamente. Questo processo di contaminazione può essere evitato mediante un continuo risciac-quo automatico durante i periodi di non operatività. La qualità batterica dell’acqua sottoposta ad osmosi inversa deve essere controllata regolarmente. Se le colture supe-rano i limiti accettabili bisognerà prendere in considerazione la possibilità di procede-re alla disinfezione con l’adeguato agente disinfettante, come l’acido peracetico o l’ipoclorito, a seconda della composizione dell’acqua in ingresso dell’apparato.

3.4.4.5.10 VANTAGGI E SVANTAGGI DELL’OSMOSI INVERSA

Elimina efficacemente i frammenti, i pirogeni, i microrganismi, le sostanze i-norganiche e quelle colloidali disciolte Ha bisogno di una minima manutenzione È possibile un funzionamento continuo

Svantaggi Flusso relativamente basso che richiede l’uso di un serbatoio tampone se fosse-

ro a fronte di flussi di picco È necessario un pretrattamento dell’acqua Alcuni contaminanti non vengono sufficientemente eliminati

3.4.4.6 FILTRAZIONE

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I filtri tolgono i frammenti dall’acqua mediante filtrazione meccanica. La ragione principale del loro uso in emodialisi è la rimozione di particelle che potrebbero dan-neggiare le apparecchiature per il trattamento dell’acqua o le apparecchiature di diali-si.

3.4.4.6.1 SCELTA DEI FILTRI

Per purificare l’acqua per emodialisi vengono usati soprattutto quattro tipi di filtri (è disponibile una vasta gamma di filtri con delle misure di pori da oltre 100 micron fino a 0,02 micron; alcuni filtri sono riutilizzabili dopo il controlavaggio, tuttavia la mag-gior parte dei filtri oggi dispone di cartucce monouso): Filtri per sedimenti. Usati per raccogliere le sabbie ed i frammenti di ruggine

nell’acqua di tubatura. Hanno pori con dimensioni da 10 micron e vengono ri-puliti con il controlavaggio Filtri per filtrazione con micropori. Hanno dei pori più piccoli di quelli per

sedimenti. Si usano due tipi di filtri: o Filtri di profondità. Sono fatti di fibre compresse che costituiscono una

matrice in cui vengono intrappolati i frammenti. Questo tipo di filtri ha una misura di pori da 25 micron e spesso vengono installati come prefil-tri dell’acqua in entrata per cattuare le particelle in sospensione e pro-teggere dalla sporcizia le altre unità di trattamento dell’acqua. I filtri di profondità hanno una grossissima capacità, ma devono essere sostituiti regolarmente per evitare il passaggio di frammenti. Questo deve essere fatto quando aumenta la caduta di pressione nel filtro.

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o Filtri schermanti. Hanno una struttura uniforme con delle misure di pori determinate in modo accurato. Ci sono due tipi di filtri scermanti: Filtri per frammenti. Hanno delle misure di pori da 0,55 micron;

vengono usati nei sistemi di trattamento dell’acqua per raccogliere frammenti, per es. dopo il passaggio attraverso il filtro di carbone o dopo uno scambiatore ionico. Sono anche posti all’entrata di u-nità singole per pazienti. La saturazione viene controllata facil-mente mediante un aumento progressivo della pressione nel ma-nometro di ingresso al filtro. Filtri sterilizzanti. Hanno pori da 0,2 micron e riescono a trattene-

re fino al 100% di microrganismi; servono a produrre un liquido sterile. La loro integrità può essere accertata mediante il test sul punto di gorgogliamento o con quello a diffusione di integrità

3.4.4.6.2 CONTAMINAZIONE

I depositi nei filtri sono un buon mezzo di proliferazione dei microrganismi. Questo può essere facilmente limitato con la disinfezione e con regolare sostituzione dei fil-tri.

3.4.4.7 ULTRAFILTRAZIONE

L’ultrafiltrazione è una tecnica con membrana semipermeabile simile all’osmosi in-versa. Come per l’osmosi inversa, anche questa utilizza il flusso tangenziale, ma c’è solo il 10% di scarto per mantenere bassa la concentrazione dei contaminanti prima del filtro. Le membrane usate sono simili a quelle dei sistemi ad osmosi inversa, tut-tavia hanno dei pori più grandi con un limite tipico da 10°000 dalton rispetto ai 100-300 Dalton dell’osmosi inversa. Con questo processo di filtrazione quindi gli elettro-liti non vengono eliminati, mentre sono eliminate solo le sostanze organiche, i fram-menti, i microrganismi, i pirogeni e le sostanze colloidali. Questo permette di utiliz-zare questo processo per nuove applicazioni:

o È un buon processo per i deionizzatori: toglie i contaminati che non sono stati eliminati dai deionizzatori.

o Può essere applicata sull’acqua addolcita per evitare l’intasamento delle mem-brane capillari per osmosi inversa e la conseguente perdita di efficienza

o Serve anche per togliere i batteri ed i pirogeni dall’acqua o dal liquido di diali-si.

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3.4.4.7.1 CONTROLLI

Il test di integrità delle membrane è simile a quello delle unità ad osmosi inversa e si avvale del test di diffusione. È consigliabile usare un prefiltro da 1-10 micron. In un’unità di ultrafiltrazione di polisulfone si possono evitare l’ostruzione e l’impregnamento delle membrane di polisulfone con un ciclo automatico di pulizia e di disinfezione con ipoclorito. La durata delle membrane è maggiore di quella delle membrane per osmosi inversa.

3.4.4.8 SOMMARIO

Un sistema ottimale per preparare l’acqua per emodialisi deve fornire un’acqua puri-ficata, sterile e senza pirogeni. L’unità finale dovrebbe quindi essere quella ad osmosi inversa o quella che utilizza l’ultrafiltrazione. Un buon impianto per la preparazione dell’acqua per dialisi dovrebbe quindi include-re, nell’ordine:

un riduttore di pressione un filtro di profondità un doppio addolcitore con appropriato sistema di controllo un filtro assorbente al carbone un filtro schermante l’unità per osmosi inversa con pompa a pressione ed un completo controllo

operativo. È incluso anche un serbatoio per la disinfezione dell’unità ad osmo-si inversa.

Dei rilevatori di livello nel serbatoio di distribuzione attivano o disattivano il sistema di produzione dell’acqua. Una cosa molto pratica è uno spruzzatore nel serbatoio di distribuzione che ne permette una facile disinfezione e risciacquo. La contaminazione aerea si evita usando un filtro sterilizzante per aria ed il dispositivo di sicurezza “U” ad alcool contro i sovraflussi. Devono essere evitati la stagnazione e gli spazi morti nell’impianto di distribuzione dell’acqua. L’acqua dovrebbe circolare continuamente lungo tutto l’impianto. In condizioni operative ottimali un’adatta installazione a raggi UV evita soddisfacen-temente lo sviluppo batterico, ma questa applicazione richiede un minimo di manu-tenzione. In alternativa si usa moto spesso un filtro per sterilizzazione; tuttavia anche in questo caso è necessaria una frequente pulizia e disinfezione del filtro per mante-nere al minimo l’accumulo batterico e l’infiltrazione di endotossine.

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Un’altra alternativa consiste nell’eliminare il serbatoio di riserva (sempre che non siano presenti flussi di picco) e nel far ricircolare l’acqua non utilizzata attraverso l’unità di osmosi inversa. Conclusioni La qualità di base dell’acqua potabile è sempre il fondamento ed il punto di partenza per produrre un’acqua che offra una sicurezza accettabile per l’emodialisi. L’acqua potabile di superficie che viene trattata è caratterizzata da un alto livello di contami-nanti (es. alluminio) e deve essere filtrata con vari processi in serie che comprendano almeno l’assorbimento al carbone, lo scambio ionico e l’osmosi inversa. È certamente auspicabile evitare (se possibile) l’uso di acqua potabile di bassa qualità a causa della potenziale presenza di composti tossici non ionici che non possono esse-re tolti completamente nonostante l’utilizzo della migliore tecnologia disponibile. Una buona acqua potabile proveniente da pozzi sotterranei non presenta questi pro-blemi; trattandola con le stesse misure di sicurezza dell’acqua di superficie offre la migliore garanzia di sicurezza. Si consiglia quindi di effettuare un’analisi completa dell’acqua con scadenza annuale sia dell’acqua potabile, sia di quella già trattata e pronta per l’emodialisi.

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3.4.4.9 FONTI DI ALLUMINIO IN PAZIENTI NEUROPATICI

Negli ultimi decenni si sono raccolte prove sostanziali che dimostrano come la fonte più significativa di alluminio nei pazienti in dialisi sia il liquido emodialitico conta-minato dall’alluminio. Studi epidemiologici hanno dimostrato una chiara associazione fra la concentrazione dell’alluminio presente nell’acqua per dialisi e l’incidenza delle quattro principali malattie associate alla tossicità da alluminio: l’encefalopatia dialitica, le fratture ossee da osteomalacia57, l’anemia normocromica microcitica e le disfunzioni paratiroidee 3.4.4.9.1 TRASFERIMENTO DELL’ALLUMINIO DURANTE LA DIALISI

Da studi medici si può affermare che l’80% di alluminio plasmatico è legata alle pro-teine, mentre il 20% è ultrafiltrabile e diffusibile. L’equilibrio dell’alluminio in emo-dialisi dipende soprattutto dal gradiente di concentrazione dell’alluminio diffusibile, dal carattere della membrana dialitica, dalle sue dimensioni e spessore ed infine dalla durata del trattamento. Inoltre, la stima del trasferimento dell’alluminio durante l’emodialisi viene modifica-ta dalle laterazioni del pH del liquido dialitico: piccoli cambiamenti di pH possono midificare la solubilità dell’alluminio e quindi la sua diffusibilità. In considerazione di questi fatti, pare ovvio che il livello di alluminio del liquido dia-litico non debba superare i 10-15 µg/l, cosicché i pazienti in emodialisi con una con-centrazione plasmatici di alluminio normale o lievemente alta (40-60 µg/l) saranno protetti dal trasferimento di alluminio durante la dialisi.

3.4.4.9.2 TOSSICITÀ DELL’ALLUMINIO: MANIFESTAZIONI CLINI-

CHE

Encefalopatia dialitica È stato universalmente accettato che l’alluminio è il principale agente eziologico neu-rotossico della sindrome dell’encefalopatia dialitica. Tuttavia non sono stati ancora chiaramente definiti i meccanismi attraverso cui l’alluminio agisce come neurotossi-co. Ci sono molti potenziali siti sui quali l’alluminio può esercitare i propri effetti tos-sici: la sintesi proteica, il trasporto massonico e la regolazione di diverse funzioni en-zimatiche. La classica sintomatologia dell’encefalopatia dialitica comprende i seguenti disturbi: turbe del linguaggio, caratterizzate da balbuzie o balbettamenti subito dopo la dialisi; queste alterazioni possono essere associate a sottili cambiamenti mentali come il di-sorientamento direzionale e le alterazioni della personalità.

57 Osteomalacia. Decalcificazione e rammollimento delle ossa.

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Con il progredire della malattia le turbe del linguaggio si intensificano quasi sempre, fino ad includere episodi di mutismo totale, contrazioni, mioclonia58, aprassia59 moto-ria e accessi apoplettici60. In questa fase finale della malattia possono anche compari-re allucinazioni auditive e atteggiamenti paranoici. Durante le prime fasi questi sintomi sono intermittenti e compaiono frequentemente dopo la dialisi. Tuttavia nelle fasi avanzate diventano permanenti e spesso portano al decesso da sei a dodici mesi dopo l’insorgere dei sintomi. Osteodistrofia osteomalacica dialitica e disfunzione dell’ormone paratiroideo Tutte le prove effettuate convalidano il fatto che l’alluminio è un importante fattore eziologico61 per lo sviluppo della osteodistrofia osteomalacica dialitica. Questo particolare tipo di lesione indotto dall’alluminio è progressivo e spesso è as-sociato ad una miopatia62 prossimale ed è quasi sempre residente al trattamento con i metabolici della vitamina D; in parecchie circostanze la sindrome è anche associata ad un’altra incidenza di ipercalcemia. Si crede che il difetto di mineralizzazione trovato in questa sindrome non compaia immediatamente dopo l’aumento di alluminio nelle ossa, ma bensì dopo un lasso di tempo abbastanza lungo che tende ad essere maggiore nei pazienti che sono stati sot-toposti ad emodialisi da più tempo. L’azione dell’alluminio sulle cellule ossee in qualche modo può essere regolato dall’ormone paratiroideo che facilita la mineraliz-zazione scheletrica nei pazienti uremici. Da un punto di vista istologico63, il difetto di mineralizzazione è caratterizzato da un eccesso dell’osteoide (matrice ossea non mineralizzata) con un deposito preferenziale dell’alluminio nell’interfaccia tra l’osteoide e la matrice calcificata. L’esito di questi difetti di mineralizzazione è un’alta incidenza di fratture (spontanee o traumatiche) che non sono facili da prevenire nei singoli pazienti a causa della mancanza di iniziali reperti radiologici delle alterazioni ossee da sovraccarico di al-luminio. In casi gravi e avanzati le fratture, i dolori ossei, la debolezza muscolare prossimale, la perdita di altezza dovuta alle deformità ossee, associati ad una scarsa risposa terapeutica, hanno reso questa sindrome incompatibile con la vita. Anemia ipocromica microcitica Questa è una delle prime manifestazioni cliniche della tossicità cronica da alluminio e probabilmente è l’effetto più rapidamente reversibile. In caso di avvelenamento da al-luminio, questo tipo di anemia aggrava la quasi inevitabile anemia normocitica e normocromica riscontrata nella maggior parte dei pazienti neuropatici.

58 Mioclonia. Condizione patologica caratterizzata da contrazioni cloniche (contrazioni spasmodiche dei muscoli che si riscontrano in molte malattie del sistema nervoso) di un muscolo o di un gruppo di muscoli. 59 Aprassia. Incapacità di compiere movimenti coordinati e finalizzati a uno scopo. 60 Apoplessia. Istantaneo arresto delle funzioni cerebrali causato da emorragia, con effetti paralizzanti. 61 Eziologia. Parte della scienza medica che studia le cause delle malattie e delle disfunzioni. 62 Miopatia. Termine generico che indica una qualsiasi affezione muscolare. 63 Istologia. Branca della biologia che studia la struttura microscopica dei tessuti animali o vegetali.

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3.4.4.10 PARAMETRI CHIMICI

Ogni liquido di dialisi ha la sua formula nominale, stabilita dal medico, che individua quali soluti e in che quantità si debbano avere in soluzione. In genere abbiamo:

• Cationi: Na+, K+, Ca++, Mg++ • Anioni: Cl , HCO3 (bicarb.), CH3 - COO (acetato) • Molecole neutre: CO2 e, a volte, glucosio.

Questa formulazione implica necessariamente l'inevitabile presenza, anche se piccola, ma a volte di non trascurabile quantità, di CO3 (ione carbonato), CaCO3 (carbonato di calcio) e, trattandosi di soluzioni acquose, di H+ e OH–.

3.4.4.10.1 IL PH

Parametro importante per il liquido di dialisi con bicarbonato è il suo pH. Il pH è un modo comodo per esprimere la concentrazione [H+] degli ioni in soluzione, che, se la soluzione è diluita, può andare da un massimo di circa 0,1 moli/l fino a valori picco-lissimi dell'ordine delle 10-14 mol/l. Per evitare di dover usare numeri così poco ma-neggevoli, la concentrazione di ioni idrogeno viene espressa con il pH, così definito:

pH = –10log10 [H+]

Il segno – serve solo per avere dei valori positivi per il pH. Per soluzioni diluite esso varia così da 1 ( [ H+]=0,1 mol/l) a 14 ([H+]=10-14 mol/1). In una soluzione acquosa diluita [H+]×[OH–]=Kw (costante), cosicché se [H+] au-menta [OH–] deve diminuire e viceversa. Se la soluzione è neutra, come nel caso dell'acqua pura, allora [H+]=[OH– ] e pH=7. Se acida, [H+] > [OH–], pH < 7 e, se basica, [H+] < [OH–], pH > 7. L'importanza del pH in fisiologia, discende già dalla constatazione, che l'organismo umano possiede tutta una serie di sistemi per mantenere, in condizioni normali, il pH ematico entro i limiti molto ristretti di 7,35 e 7,43. Situazioni di estrema gravità si hanno se il pH scende a 7,0 o se sale oltre il 7,8. Questo però non implica, che se si dializza con un liquido di dialisi con pH=7,0, ciò metta necessariamente in pericolo il paziente. Il pH del liquido di dialisi, così come del plasma, è determinato essenzial-mente dalle concentrazioni [HCO3] dei bicarbonati e [CO2] della anidride carbonica in soluzione. Nel plasma, [CO2] va da 1,24 mmol/l (arteriosa) a 1,43 mmol/l (venosa) mentre [HCO3]=25 mmol/l (in condizioni normali). Nel liquido di dialisi invece la [CO2] va da 3 a 5 mmol/l e [HC03] in generale da 30 a 40 mmol/l, valori più elevati, in entram-bi i casi, di quelli fisiologici. Per i bicarbonati ciò è giustificato dalla necessità di reintegrare i bicarbonati plasmatici consumati nel periodo interdialitico, per la CO2 al fine di avere un pH sufficientemente basso da impedire, o quantomeno rendere tra-scurabile, la precipitazione del calcio carbonato (CaCO3). Complessivamente, quindi, al paziente vengono forniti, durante la dialisi, sia bicarbonati che anidride carbonica,

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ma mentre l'eccesso di quest'ultima viene rapidamente eliminato con la ventilazione polmonare, i bicarbonati restano e il pH plasmatico sale, anche se il liquido di dialisi avesse avuto un pH inferiore a quello fisiologico. Da un punto di vista chimico, il principale problema posto dal liquido di dialisi con bicarbonato è la sua instabilità.

3.4.4.10.2 I MICROINQUINANTI CHIMICI

Nel liquido di dialisi, accanto ai soluti necessariamente presenti, in base alla formula nominale adottata, si trovano anche, in minime quantita’ sostanze chimiche indeside-rate, i microinquinanti chimici. E' praticamente impossibile evitarli, ma si può, e si deve, tenere la loro concentrazione a valori sufficientemente bassi da non determinare effetti clinici negativi, né a breve né a lungo termine. Essi provengono dall'acqua uti-lizzata dagli apparecchi di dialisi, dai concentrati e, in particolari condizioni sfavore-voli, dalle stesse attrezzature di dialisi. Sono sostanze chimiche a basso peso moleco-lare, in grado quindi, di attraversare tutti i tipi di filtri usati in dialisi. Salvo per pochi casi (es. alluminio).

MICROINQUINANTE CMA* SINTOMATOLOGIA DA ECCESSO Cloro libero 0,1 ppm Fluoro 0,2 ppm

Nitrati (N03 ) 2 ppm Grave meta emoglobinemia, ipotensione, nausea

Solfati 50 ppm Nausea, vomito, acidosi metabolica NH4 0,2 ppm Alluminio 0,01 ppm Mercurio 0,001 ppm Piombo 0,01 ppm Zinco 0,1 ppm Nausea, vomito, anemia marcata

Rame 0,1 ppm Emolisi, leucocitosi, pancreatite. Può esse-re fatale

Composti organo-alogenati

0,03 ppm (tota-le)

alogenati 0,03 ppm (tota-le)

Cloroamine 0,05 ppm Anemia emolitica

(*)=concentrazioni massime ammissibili.

Date le esigue concentrazioni, eventuali sfondamenti delle CMA non sono rivelati dall'apparecchio di dialisi, neppure dal pH, e poco si può controllare in reparto (ad. es. il cloro libero e le cloroamine). È necessaria quindi una analisi periodica delle po-tenziali fonti, particolarmente dell'acqua di dialisi.

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3.4.4.11 PARAMETRI FISICI

3.4.4.11.1 LA CONDUCIBILITA’

La conduttività del liquido di dialisi è il parametro fisico più importante. Infatti gli apparecchi di dialisi non sono in grado di misurare direttamente la concentrazione dei sali disciolti: per ottenere tale misura utilizzano un procedimento indiretto andando a misurare la conduttività del liquido di dialisi Questa tecnica si basa sul fatto, ben no-to, che sciogliendo in acqua distillata, di per sé isolante, un sale, la soluzione che si ottiene diventa conduttrice, tanto più, quanto più elevata è la concentrazione del sale. Per rendere il discorso più esatto e quantitativo è bene ricordare le definizioni delle grandezze elettriche in gioco. Se in una soluzione contenente ioni si determina un campo elettrico E si ha un movimento di cariche positive nel verso di E, e negative nel verso opposto. Si ha cioè una corrente, che risulta essere legata ad E dalla sempli-ce relazione

J = x×E

J è la corrente che attraversa l'unità di superficie perpendicolare ad E; x è una costan-te detta conduttività (o conducibilità specifica), che dipende solo dalla soluzione e dalla sua temperatura. La necessità di tenere conto della dipendenza dalla temperatu-ra, è evidente se si tiene presente che nel range tra 5°C, 35°C e 40°C, la variazione della conduttività sarebbe del 10%. Se non si compensasse l'effetto della temperatura, potremmo avere nel bagno di dialisi delle inaccettabili variazioni del 10% nella con-centrazione salina. In pratica, l'apparecchio di dialisi misura innanzitutto la conduttanza G di una cella conducimetrica (un contenitore, con due elettrodi, attraversato dal liquido di dialisi)

UIG =

applicando agli elettrodi della cella una tensione U e misurando la corrente I.

La conduttività risulta poi proporzionale alla conduttanza G

x = Kcella×G dove Kcella è una costante nota, dipendente solo dalla geometria della cella. Alla cella viene applicata una corrente alternata di frequenza sufficientemente elevata (500 - 2.000 Hz) in modo da evitare fenomeni di scarica agli elettrodi, che rendereb-bero non lineare il legame tra U e I, falsando quindi il calcolo di G. La conduttività del liquido di dialisi è determinata dal contributo di tutti gli ioni pre-senti in soluzione. In altre parole, anche se il Na+ e il Cl– sono gli ioni presenti in maggiore quantità, non esiste una esatta correlazione tra essi e la conduttività.

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Per ogni formulazione di liquido di dialisi vi è una ben precisa conduttività; questa deve essere nota e usata come riferimento per la regolazione e taratura delle apparec-chiature. È bene poi tenere presente, specialmente per misure di laboratorio, che il le-game tra la conduttività e la concentrazione salina non è lineare. Anche se abbiamo una soluzione di un solo sale (es. NaCl), se dimezziamo la concentrazione la condut-tività che otterremo sarà maggiore della metà di quella iniziale. Solo per valori di conduttività inferiori ai 0,1 mS/cm la relazione è lineare entro l'1%.

3.4.4.12 PARAMETRI BIOLOGICI

Da un punto di vista biologico il liquido di dialisi può essere contaminato da vari mi-crorganismi (oltre che da varie sostanze chimiche, già viste precedentemente): batteri, funghi, virus e dai loro prodotti, i pirogeni. Sono questi un gruppo eterogeneo di mo-lecole organiche, il cui peso molecolare oscilla tra i 200 ed il milione di Dalton circa. Si dividono sostanzialmente in due gruppi: Endotossine: sono prodotte dalla lisi64 di batteri morti Esotossine: sono secrete attivamente da batteri vivi. Le concentrazioni massime ammissibili (CMA) per i contaminanti biologici dipendo-no dall'uso che si fa del liquido di dialisi per cui, mentre in HF (emofiltrazione) il li-quido deve essere sterile ed apirogeno, per l'HD (emodialisi diffusiva) ciò non è stret-tamente necessario e la cosa va valutata anche in base ai mezzi che si hanno a dispo-sizione, però sempre rispettando la normativa vigente. Riguardo ai batteri devono pe-rò essere assenti i coliformi65 totali e fecali, gli streptococchi66 fecali e i clostridi. Oltre ai microrganismi, occorre fare particolare attenzione anche sui pirogeni per i seguenti motivi: gli effetti clinici sul paziente, salvo casi eccezionali, sono dovuti ai pirogeni

anche perché la membrana integra del filtro di dialisi è una barriera insormon-tabile sia per i batteri che per i virus, anche i più piccoli. Non così per i piroge-ni tra i quali troviamo molecole molto piccole (fino a 200 di p.m.). Un liquido di dialisi potrebbe avere carica batterica bassa, ma elevato livello di

pirogeni. Ciò è legato al fatto che le normali conte batteriche fatte in coltura misurano praticamente il numero dei batteri vivi, mentre gran parte dei piroge-ni proviene dalla lisi dei batteri morti.

Il test più comune per i pirogeni è il LAL test (limulus amoebocyte lisate). È un test 64 Lisi. Disgregazione di un tessuto per effetto di necrosi o in seguito a un processo putrefattivo o fermentativo. 65 Colibacillo. Bacillo saprofita (si dice dei batteri, normalmente presenti negli organismi animali, che non determinano effetti patologici) abituale dell'intestino; normalmente non patogeno, può determinare talora infiammazioni delle vie urinarie o intestinali. 66 Streptococco. Batterio dalla forma tondeggiante che si dispone con gli altri in catena.

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relativamente semplice e può essere effettuato direttamente dal personale del centro dialisi. Alcuni pirogeni però, tra cui quelli rilasciati da batteri comuni nell'acqua co-me lo pseudomonas, non sono rivelati da questo test. Per un affinamento della ricerca sono disponibili test più complessi come l'MNC test (mononuclear cells test).

3.4.4.13 MISURE E METODOLOGIE

Le possibili misure chimiche e fisiche sul liquido di dialisi riguardano: Na+, K+, HCO3–, pH, Ca++, CO2, x. Il medico responsabile della terapia dialitica dovrebbe fornire i valori nominali (otti-mali) per questi parametri e, molto importante, le oscillazioni ammissibili. In base a queste ultime il tecnico valuta il livello di precisione necessario nelle sue misure. Ad es. se l'oscillazione ammissibile per Na è del 2% ( ± 3 mEq/lt circa), il tecnico, per avere un minimo margine di manovra, dovrà effettuare delle misure con un errore non superiore all'1%, cosa non facile. Infatti, per le misure di cui stiamo discutendo, vi sono almeno quattro sorgenti di errore: la modalità del prelievo l'instabilità del liquido di dialisi verso alcuni parametri (es. pH, CO2) la strumentazione usata le soluzioni standard per tarare gli apparecchi di misura.

Per la modalità corretta del prelievo occorre tenere ben presente come opera l'appa-recchio di dialisi in esame. In via generale e per apparecchi in single-pass, in labora-torio, può essere utilizzata la metodologia illustrata nella figura della pagina seguente. Il tratto di circuito illustrato è connesso all'apparecchio al posto del filtro di dialisi. La camera di miscelazione (da 500 ml circa) serve a mediare eventuali oscillazioni nella concentrazione del liquido di dialisi Ad essa segue un punto di prelievo per siringa (senza ago), particolarmente indicato per misurare, con emogasanalisi, pH e CO2 e, con gli ioni selettivi, Ca++. Na+ e K+ è bene siano misurati con il fotometro a fiamma, utilizzando il prelievo con siringa oppure il liquido che resta nella camera di miscela-zione una volta disinserita dall'apparecchio.

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La camera di miscelazione fornisce poi liquido sufficiente per misurare i bicarbonati utilizzando la titolazione con HCl e metilarancio come indicatore. A valle, nel circui-to di controllo, c'è poi un conducimetro con termometro per il rilievo dei parametri fi-sici. È possibile anche inserire una sonda pH in linea per la misura in tempo reale. L'insta-bilità del liquido di dialisi con bicarbonato può influenzare il pH, i bicarbonati, l'ani-dride carbonica e il calcio ionizzato, quindi le misure di questi parametri, per avere la massima precisione, dovrebbero essere effettuate immediatamente dopo il prelievo. In realtà operando con contenitori ben chiusi e completamente pieni di liquido di dia-lisi, è possibile fare alcune delle suddette misure anche un'ora dopo il prelievo riscon-trando solamente piccoli errori.

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3.4.4 MONITOR Si tratta di un apparecchiatura dotata di sofisticati congegni finalizzati a due compiti essenziali che sono la preparazione del liquido di dialisi e il controllo di alcuni para-metri essenziali per la conduzione della seduta dialitica in condizioni di efficacia e di sicurezza per il paziente, quali il riscaldamento del liquido di dialisi, rilevamento di perdite ematiche attraverso le membrane, controllo della temperatura sia del dializza-to che del sangue, controllo continuo della composizione del liquido di dialisi. Le moderne macchine sono dotate di numerosi sistemi di controllo: i flussi, le temperatu-re, l’ultrafiltrazione, la conducibilità, il pH sono tutte grandezze misurate da sensori dislocati lungo il circuito extracorporeo. Esistono sensori specifici che misurano in continuo alcune variabili biologiche ed emodinamiche come la temperatura corporea, il volume ematico o le variazioni di urea, permettendo un accurato monitoraggio in-tradialitico. Per il controllo della volemia67, le più importanti variabili sono l’ultrafiltrazione e la concentrazione di sodio nel liquido di dialisi.

3.4.4.1 MONITORAGGIO DELLA SEDUTA DIALITICA DATO DALLA MACCHINA EMODIALIZZANTE

La tecnologia avanzata del monitor mette a disposizione dell’infermiere molti sistemi di sicurezza, che non possono comunque sostituirsi ad un attenta sorveglianza della condotta dialitica da parte dell’infermiere. Il monitoraggio deve essere continuo ed accurato.Queste sicurezze tecnologiche sono racchiuse in due sistemi:

1. circuito ematico 2. circuito dializzante

3.4.4.1.1 CIRCUITO EMATICO

• Rilevatori di pressione di aspirazione e rientro sangue (la lettura riguarda e-sclusivamente l’accesso vascolare). Ci garantiscono la conoscenza della portata e della giusta posizione degli aghi, attivando in caso di valori eccessivi un al-larme acustico e visivo, il bloccaggio della pompa sangue, il clampaggio con una pinza meccanica (clamp) sulla linea di rientro.

• Rilevatore d’aria. Si trova nella parte terminale del circuito venoso (gocciola-tore). Un lettore a raggi infrarossi legge anche la minima presenza d’aria, atti-vando un allarme acustico e visivo, il bloccaggio della pompa sangue, il clam-paggio con una pinza meccanica sulla linea di rientro.

67 Volemia. La quantità complessiva di sangue presente in un organismo.

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• Sensore di riconoscimento sangue. Questo sensore a raggi infrarossi è posizio-nato prima dell’ingresso della pompa sangue o sotto il gocciolatore (la posizio-ne è determinata dal modello del monitor). Il riconoscimento attiva le misure delle soglie minime e massime di allarme sul valore di aspirazione e sul rientro sangue; ci avvisa che può aver inizio l’ultrafiltrazione; evita di poter attivare per sbaglio i programmi delle disinfezioni.

3.4.4.1.2 CIRCUITO DIALIZZANTE

• Impostazione della conducibilità. Eventuale attivazione dell’allarme acustico e visivo (tanica concentrato vuota, rottura sonde conducibilità, rottura spezzoni pompe peristaltiche, guasti scheda elettronica).

• Impostazione del tempo dialisi. • Impostazione del calo peso totale da ultrafiltrare. • Impostazione della temperatura del bagno dialisi. Eventuale allarme acustico e

visivo per rottura corpi riscaldanti. • Lettura di fuga sangue. Un lettore a infrarossi posto sul circuito idraulico di u-

scita, legge la variazione di torpidità dell’ultrafiltrato, che in caso di rottura (anche minima) della membrana, attiva un allarme acustico e visivo.

• Lettura valore transmenbrana. Un display posto sul monitor indica il valore re-ale di t.m.p. con le soglie minime e massime di allarme.

3.5 TRATTAMENTO DELL’ INSUFFICIENZA RENALE ACUTA IN UNITA’ DI CURA INTENSIVA

3.5.1 INTRODUZIONE L'insufficienza renale acuta, che clinicamente si presenta con il rapido declino della funzione escretoria renale, nel paziente critico è raramente monosintomatica: essa in-fatti è conseguenza di un quadro di disfunzioni multiorganiche del paziente. Questa insufficienza renale si presenta in pazienti in stato di shock, spesso settico, con insufficienza cardio-respiratoria, epatica e della coagulazione, sempre con una ri-sposta infiammatoria sistemica (SIRS) che ha come punto di partenza un trauma (in-tervento chirurgico maggiore, politrauma, ustione, ... ). In questi pazienti il trattamento dell'insufficienza renale non può essere basato su una dialisi "standard" analoga a quella usata per trattare l'insufficienza renale acuta non complicata, ma deve provvedere ad una adeguata rimozione di tossine uremiche, ga-rantire un ottimale controllo dei fluidi, un riequilibrio dei disordini elettrolitici ed aci-do-base ed il ripristino dell'omeostasi, e permettere una certa "protezione" del rene da danni ulteriori.

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In questo quadro l'applicazione dell'emodialisi intermittente o peritoneale è controin-dicato o addirittura sconsigliato per i rischi connessi a tali trattamenti. Infatti la dialisi peritoneale è nella maggior parte dei casi inapplicabile per la scarsa efficienza, per problemi legati a chirurgia addominale, per il rischio di peritonite e per l’eventuale influenza negativa sulla dinamica respiratoria del liquido in peritoneo. Per quanto riguarda l'emodialisi intermittente, concepita per il paziente cronico, essa può determinare variazioni troppo rapide dell'osmolalità plasmatica e del volume cir-colante tali da aggravare l'instabilità emodinamica tipica di questi pazienti; inoltre un trattamento intermittente può non essere in grado di correggere adeguatamente l'aci-dosi e di mantenere a livelli accettabili i disequilibri elettrolitici e il bilancio idrico di tali pazienti. Si è reso pertanto necessario lo sviluppo di metodiche dialitiche "ad hoc", che garan-tissero una buona tollerabilità dal punto di vista clinico, una buona capacità depurati-va nei confronti delle varie tossine uremiche, una massima capacità di correggere l'omeostasi idro-elettrolitica ed acido-base, che fossero biocompatibili e prive di ef-fetti collaterali potenzialmente nocivi al rene in fase di ripresa. Tutte queste caratteri-stiche, assieme ad una facilità di istituzione e monitoraggio, hanno portato allo studio e alla attuazione delle così dette terapie sostitutive renali continue che in letteratura internazionale vengono definite CRRT (Continuous Renal Replacement Therapies). L’origine di trattamenti risale al 1977 quando Peter Kramer in Germania utilizzò per primo un sistema chiamato Emofiltrazione Artero Venosa Continua (CAVH). Il prin-cipio sul quale si basava questa tecnica era il seguente: il gradiente pressorio tra un'arteria ed una vena nelle quali erano stati inseriti due cateteri era sufficiente a spin-gere il sangue attraverso un piccolo circuito nel quale era inserito un filtro altamente permeabile che generava una certa quota di ultrafiltrato. La quota di acqua plasmatica rimossa come ultrafiltrato poteva essere reinfusa del tutto o in parte, in base alle ne-cessità cliniche, con appropriate soluzioni di reinfusione. L’applicazione di tale trat-tamento in modo continuo, ventiquattro ore su ventiquattro, garantiva un sufficiente controllo del bilancio idrico, elettrolitico e, in minima parte, anche metabolico.

3.5.2 NOMENCLATURA DELLE VARIE TERAPIE CONTINUE I diversi trattamenti dell'insufficienza renale acuta possono essere distinti in base a: Frequenza e durata del trattamento: continuo o intermittente (C-I) Tipo di accesso: artero-venoso o veno-venoso (AV o VV) Tipo di trasporto dei soluti: emofiltrazione, emodialisi, emodiafiltrazione ultra-

filtrazione (H-HD-HDF-UF). I trattamenti di tipo artero-venoso, cioè spontanei senza pompa, con movimento del sangue nel circuito spinto dal gradiente pressorio del paziente, sono ormai sempre più spesso sostituiti dai trattamenti veno-venosi in cui una pompa peristaltica fa avanzare il sangue nel circuito. Analizziamo quindi questi ultimi tipi di trattamento.

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3.5.2.1 ULTRAFILTRAZIONE CONTINUA LENTA (SCUF: SLOW CONTINUOUS ULTRAFILTRATION)

Il trattamento viene eseguito con membrane altamente permeabili all'acqua per venti-quattro ore o per frazioni di giornata allo scopo di rimuovere i fluidi in eccesso. L’intento è quello di eliminare il sovraccarico idrico, in presenza o meno di insuffi-cienza renale; tale sovraccarico deve essere ridotto lentamentea causa delle condi-zioni di particolare instabilità emodinamica del paziente. Non e necessaria alcuna reinfusione in quanto, vista la lunga durata del trattamento, la rimozione di fluidi per unità di tempo è modesta, ma comunque sufficiente a garantire l’efficienza del trat-tamento. Uno dei principali fattori che impongono la scelta della SCUF è rappresentato dallo scompenso cardiaco refrattario. In questo particolare caso i possibili meccanismi d'a-zione attraverso cui la SCUF normalizza le pressioni di riempimento del muscolo cardiaco sono legati alla riduzione sia del precarico che del postcarico con riduzione progressiva dell'accumulo di liquidi, mantenendo al contempo costante il volume cir-colante grazie al lento riempimento degli spazi extravascolari. È inoltre dimostrata una rimozione di molecole ad azione cardiodepressiva e una modulazione dell'asse renina angiotensina.

3.5.2.2 EMOFILTRAZIONE VENO-VENOSA CONTINUA (CVVH: CONTINUOUS VENOUS VENOUS HEMOFILTRATION )

Il trattamento viene eseguito nell'arco di ventiquattro ore: lo scopo è quello di ottene-re un buon controllo del bilancio idrico del paziente consentendo tutte le infusioni ne-cessarie (farmaci, nutrizione, altro) accompagnato da una buona depurazione in ter-mini di controllo metabolico. I dializzatori utilizzati sono costituiti da membrane sin-tetiche ad alto flusso e a bassa resistenza. Ciò garantisce il massimo passaggio di ac-qua plasmatica attraverso la membrana. Il meccanismo depurativo utilizzato è la con-vezione cioè passaggio attraverso la membrana sintetica di acqua che trascina con sé anche soluti. L’elevata permeabilità idraulica di queste membrane garantisce flussi di ultrafiltrazione eccedenti i 2000 cc/h e in tal modo garantisce il passaggio di elevate quantità di soluti anche a più elevato peso molecolare (come ad esempio alcune cito-kine). L'elevata quota di ultrafiltrazione eccede le necessità cliniche e deve essere rimpiazzata con opportune soluzioni di reinfusione arricchite con elettroliti e bicar-bonato. Le prime apparecchiature in uso impostavano la reinfusione in base alla differenza, valutata con sistema gravimetrico, tra entrate ed uscite, ma tale sistema risultava sog-getto ad errori anche grossolani. Al contrario, le apparecchiature attualmente in commercio sono fornite di pompe peristalitche anche sulla linea di reinfusione e di sofisticati sistemi di bilanciamento di fluidi con margine di errore ultrafiltrazio-ne/reinfusione prossimo allo zero.

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Questo trattamento è utilizzato in tutte le condizioni di insufficienza renale acuta complicata o meno da una sindrome da insufficienza multiorganica. In questi casi la rimozione di fluidi, opportunamente calcolata per bilanciare le entrate tra un processo di dialisi ed il successivo e per ottenere un ottimo controllo metabolico, permette di mantenere l'organismo in una condizione di equilibrio per più giorni e favorisce l'in-staurarsi di una condizione favorevole alla ripresa funzionale renale.

3.5.2.3 EMODIALISI CONTINUA (CVVHD: CONTINUOUS VENOUS-VENOUS HEMODIALYSIS)

Trattasi di un trattamento emodialitico continuo ventiquattro ore su ventiquat-tro. La soluzione di dialisi viene fatta passare in controcorrente nel dializzatore che è costituito da una membrana a basso flusso. In questo caso infatti la quota di ultrafiltrato che viene prodotta e limitata (in genere e pari alla quota necessa-ria per mantenere il bilancio idrico) e non è quindi richiesta reinfusione. La ri-mozione di soluti avviene per diffusione in base al diverso gradiente di concen-trazione tra sangue e liquido di dialisi. La depurazione è migliore per i soluti a basso peso molecolare come urea, creatinina ed elettroliti. Il trattamento è pertanto indicato quando non vi sono problemi di particolare sovraccarico idrico, ma piuttosto quando permangono elevati livellì di tossine uremiche come ad esempio in caso di insufficienza renale acuta a diuresi con-servata o nelle iniziali fasi di poliuria post insufficienza renale.

3.5.2.4 EMODIALISI CONTINUA AD ALTO FLUSSO (CVVHFD: CONTINUOUS VENOUS-VENOUS HIGH FLUX DIALYSIS)

Si tratta di una variante della precedente tipologia di dialisi che può essere eseguita con l’apparecchiatura Diapact CRRT (Braun Carex S.p.A.). Il liquido di dialisi viene fatto circolare in controcorrente, con passaggio singolo o in ricircolo, attraverso un filtro con membrana ad alta permeabilítà, garantendo una ri-mozione combinata per convezione e diffusione. L’unione di questi due meccanismi permette di coprire una gamma di pesi molecolari di soluti più ampia, comprendendo anche il fosfato e la beta 2 microglobulina. Non è necessaria la reinfusione in quanto la quota di acqua rimossa in eccesso viene reinfusa direttamente dal liquido di dialisi per retrofiltrazione lungo il dializzatore. In questo sistema l'equilibrio tra liquido di dialisi (10 o 20 litri) e plasma si ottiene dopo due-quattro ore(urea ed elettroliti); per quanto riguarda le molecole di dimensioni maggiori si riscontra un equilibrio pari al 60% raggiunto dopo circa quattro ore di trattamento. La tecnica può essere applicata in modo continuo per ventiquattro ore su ventiquattro ottenendo in tal modo depurazioni piuttosto elevate; oppure può essere applicata so-lamente per alcune ore ottenendo ugualmente buoni risultati dal punto di vista del

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controllo metabolico. In genere è un trattamento che viene ben tollerato dal punto di vista emodinamico anche da pazienti instabili, e trova indicazioni dove è richiesto un elevato controllo metabolico con ridotta necessita di controllo di bilancio idrico.

3.5.2.5 EMODIAFILTRAZIONE VENO-VENOSA CONTINUA (CVVHDF: CONTINUOUS VENOUS-VENOUS HEMODIAFILTRATION)

È un trattamento impiegato nell'arco delle ventiquattro ore con membrane ad alto flusso che garantiscono rimozione di soluti a basso peso molecolare per diffusione, in scambio con una soluzione di liquido di dialisi e rimozione per convezione di acqua plasmatica e soluti ad elevato peso molecolare. L'acqua plasmatica rimossa deve es-sere sostituita da un'opportuna soluzione di reinfusione. Si tratta di una metodica che combina i vantaggi in termini di depurazione della convezione e della diffusione e che garantisce un'ottima tolleranza cardiovascolare. Trova indicazione in pazienti cri-tici, particolarmente catabolici o in emodializzati cronici con problemi acuti extrare-nali.

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3.6 ASPETTI FISICI E TECNICI DELLA DIALISI MO-NOAGO

La dialisi monoago è una successione di brevi cicli dialitici identici. Ogni ciclo è formato da due fasi: fase arteriosa, durante la quale il sangue viene aspi-rato tramite l'unico accesso vascolare che viene utilizzato per l’intera seduta ed im-messo nel sistema (filtro di dialisi + camera o camere ad espansione) e fase venosa dove si ha la restituzione al paziente del sangue trattato utilizzando lo stesso accesso dal quale si è aspirato il sangue arterioso.

Gli elementi emodinamici chiave da cui dipende l'efficienza della dialisi monoago, sono il flusso ematico medio e il volume di sangue trattato per ciclo, detto brevemen-te, "corsa" o "stroke".

Nella genesi del ricircolo è forse utile distinguere due sedi: l'accesso vascolare e il circuito extracorporeo. All'inizio della fase arteriosa, una quota del sangue trattato e appena espulsa in fistola o nel vaso durante la fase venosa, può essere riaspirata nel circolo extracorporeo. Ciò è tanto più facile avvenga, quan-to più basso è il flusso ematico nel vaso o nella fistola e quanto più difficoltoso sia il drenaggio venoso. Il circuito extracorpo-reo dà ricircolo sostanzialmente per due motivi: uno è lo spa-zio morto, ovvero quella parte comune alle linee arteriosa o venosa costituite dall'ago o catetere e dalla linea ad essi colle-gata fino alla biforcazione della Y , dove convergono le due li-nee. Tale volume deve essere contenuto il più possibile, ma è facile intuire che, specialmente con cateteri può essere rilevan-

te. L'altro motivo risiede nella dilatabilità e compressibilità (compliance) delle linee arteriosa e venosa che stanno tra l'accesso e le pinze automatiche. Come mostra il diagramma delle pressioni allegato allo schema generale nella figura successiva, du-rante la fase venosa questa parte del circuito è in genere soggetta ad altre pressioni positive (anche + 300 mmHg) con tendenza ad espandersi, cosicché una parte del sangue trattato si inserisce nella linea arteriosa: all'inizio della fase arteriosa , la pres-sione diventa, in genere, bruscamente negativa (anche - 200, -300 mmHg), le linee si comprimono e un'ulteriore quota di sangue già trattato passa dalla linea venosa a quella arteriosa.

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Al fine di avere flussi medi paragonabili a quelli che si hanno nella dialisi a due aghi, è necessario avere dei flussi di aspirazione più elevati. Quindi per evitare di avere ec-cessive depressioni in fase arteriosa ed eccessive sovrapressioni venose nella fase ve-nosa occorre usare accessi vascolari a bassa resistenza idraulica (ad es. aghi corti e di grosso calibro). Ciò diminuisce anche l'inevitabile danno che il moto turbolento nel-l'accesso vascolare produce sul sangue. La fistola o il vaso ben incannulato debbono poi avere un elevato flusso di perfusione68. Le camere di espansione debbono essere adeguate e usate propriamente: devono cioè risultare quasi completamente vuote alla fine di ogni fase venosa. Nel complesso, la dialisi con monoago risulta essere una tecnica particolarmente dif-ficile se paragonata alla tecnica a due aghi. Pure difficile è dare delle direttive genera-li che si applichino a tutte le situazioni . Comunque vi sono alcuni aspetti che si pos-sono considerare di validità generale e che qui riassumiamo:

1. Il materiale disposable (monouso) usato deve essere adatto alla dialisi con mo-noago (aghi e cateteri che devono essere di grosso calibro (14-15 G) e con spa-zio morto ridotto.

2. Usare linee dotate di camere di espansione sia sulla linea arteriosa che sulla li-nea venosa (possibilmente con camere di volume uguale, o, se diverse, con la

68 Perfusione. Introduzione di sostanze medicamentose attraverso la circolazione sanguigna, in tutto l'organismo o in zone delimitate di esso.

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camera di volume della linea venosa maggiore di quella arteriosa). Il volume complessivo dovrebbe essere almeno 250 ml. Bisogna evitare con cura di riempire eccessivamente le due camere: ciò aumenta pericolosamente la quota ematica sottratta al paziente (anche se il limite massimo in condizioni dialitiche normali risulta essere di 350 ml).

3. Se le camere ad espansione sono adeguate, non c'è differenza sostanziale nel-l'uso di filtri a piastre o capillari.

4. Pressione minima di sistema, sempre maggiore di zero.

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4 MACCHINA PER EMODIALISI 4008 B

Fresenius®

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4.1 STRUTTURA E FUNZIONE DELLE SINGOLE PARTI COMPONENTI LA MACCHINA

Fíg. 1: Apparecchio per emodialisi - vista frontale

Legenda: 1 Monitor 3 Idraulica 2 Moduli (da sinistra a destra) 4 Freno Pompa sangue (arteriosa) 5 Lancia di aspirazione concentrato Pompa eparina bicarbonato Pompa sangue (SN) 6 Lancia di aspirazione concentrato 2a Spazio per moduli addizionali acetato o acido (da sinistra a destra) Libero 7 Camera di risciacquo Camera di lavaggio 8 Sistema connessione laterale Rilevatore di livello liquido di dialisi 9 Asta I V

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Fig. 2: Apparecchio per emodialisi - vista retro

Legenda: 1 Monitor (retro) 2 Valvola raccolta campione liquido di dialisi per sistema di distribuzione concentrato 3 Filtro 4 Linea distribuzione al filtro sangue con indicatore esterno di flusso 5 Linea di ritorno liquido di dialisi dal filtro sangue 6 Connettore della disinfezione 7 Connettore dei concentrato basico per sistema di distribuzione concentrato centralizzato (blu), opzionale 8 Connettore del concentrato acetato/acido per sistema di distribuzione concentrato centralizzato (rosso), opzionale 9 Scarico 10 Collegamento acqua (permeato) o connettore per filtro ingresso acqua 11 Scarico del troppo pieno 12 Unità di alimentazione 13 Clamp per tubi di connessione del liquido di dialisi Y Connettore per il disinfettante Z Inserzione dei connettore per il disinfettante

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Fig. 3: Vista frontale monitor

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la Tasto ON/OFF 1b LED ON/OFF 2a Tasto Lavaggio 2b LED Lavaggio 3a Tasto Lavaggio a caldo 3b LED Lavaggio a caldo 4a Tasto Disinfezione 4b LED Disinfezione 5a Tasto Ago singolo 5b LED Ago singolo 6a Tasto Test macchina 6b LED Test macchina 7a Tasto Riempimento linee e filtro 7b LED Riempimento linee e filtro 8a Tasto Inizio dialisi/Reset Allarmi 8b LED Inizio dialisi/Reset Allarmi 9a Tasto Silenzia Allarmi 9b LED Silenzia Allarmi Monitor ematico (elementi da 10 a 14) 10a indicatore allarme rilevatore bolle d’aria 11a indicatore allarme perdite ematiche 11b led disinserimento protezioni 11c tasto disinserimento protezioni 12a indicatore allarme pressione arteriosa 12b indicatore valori misurati di pressione arteriosa 13a indicatore allarme pressione venosa 13b indicatore valori misurati di pressione venosa 14a indicatore allarme pressione transmembrana 14b indicatore valori misurati di pressione transmembrana Monitor dell'Ultrafiltrazione (elemento 15) 15a Indicatore dell' UF ottenuta 15b Tasto Reset UF ottenuta 15c Indicatore Flusso di UF 15d Tasti A e V (Flusso di UF) 15e Indicatore di UF Desiderata 15f Tasti A e V (UF Desiderata) 15g Indicatore dei Tempo restante 15h Tasti A e V (Tempo restante) 15i led della UF 15k Tasto ON/OFF UF Monitor del liquido di dialisi (elementi da 16 a 18) 16° indicatore allarme conducibilità 16b indicatore del valore misurato di conducibilità 16c tasto AC. 16d tasto BIC 17b led flusso 17c tasto ON/OFF flusso 18b tasto SET 19a indicatore condizione verde (operatività) 19b indicatore condizione giallo (avviso/info) 19c indicatore condizione rosso (allarme) 20a display del testo 20b tasti ⇑ ⇓ 20c tasto conferma 20d tasto selezione

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Fig. 4: Pompa ematica (arteriosa)

Legenda: 1 Display (indica il flusso, il diametro della linea o un codice di errore) 2 LED Allarme (rosso) 3 LED Operatività (verde) 4 Connettore della pressione (collegamento luer lock della linea di misurazione della pressione arteriosa) 5 Blocco (protegge il segmento di linea installata contro lo scivolamento) 6 Sportello della pompa sangue 7 Rotore (spinge il sangue dei paziente per mezzo dei rulli e della linea installata, il rotore può essere rimosso per operazioni di pulizia) 8 Sensore (avverte se lo sportello della pompa sangue è aperto o chiuso) 9 Tasto Start/Stop (per accendere e spegnere la pompa sangue) 10 Tasto ⇓ (per ridurre il flusso ematico o il valore dei diametro della linea) 11 Tasto ⇑ (per aumentare il flusso ematico o il valore dei diametro della linea)

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Fig. 5: Pompa eparina

Legenda: 1 Spintore siringa (muove lo stantuffo della siringa) 2 Tasto Bolus 3 Tasto Rate (per regolare il flusso eparina) 4 Tasto orologio (per impostare il tempo di funzionamento) 5 Supporto siringa 6 Tasto Start/Stop 7 Tasto ⇓ (per ridurre il flusso o il tempo di funzionamento, e per muovere il carrello della siringa verso il

basso) 8 Tasto ⇑ (per aumentare il flusso o il tempo di funzionamento, e per muovere il carrello della siringa verso l'alto) 9 LED Operatività (verde) 10 Display (indica il flusso, il tempo di funzionamento, il volume dei bolus o un codice di errore 11 LED Allarme (rosso)

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Fig. 6: Rilevatore di livello

Legenda: 1 Interruttore a levetta (per alzare ed abbassare il livello del fluido nella camera venosa) 2 Connettore della pressione venosa (connettore luer lock della linea di misura della pressione venosa) 3 Supporto della camera venosa con rilevatore ad ultrasuoni 4 Clamp della linea venosa 5 Rilevatore ottico

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Fig. 7: Schema generale.

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Legenda 2 Sensore temperatura 74 Filtro 1 UF 3 Sensore temperatura 75 Indicatore esterno di flusso 5 Interruttore di livello 76 Filtro 1 pieno valvola 6 Sensore di livello 77 Scambiatore di calore 7 Cella conducimetrica di misura 78 Valvola di sfogo 8 Rilevatore perdite ematiche 84 Valvola dei disinfettante 9 Trasduttore di pressione 87 Valvola di scarico 10 Contatto Reed per concentrato acido 88 Blocco multifunzionale 12 Contatto Reed per concentrato basico 88a Camera di degasificazione 21 Pompa di flusso 88b Separatore aria secondario 22 Pompa UF 88c Separatore aria primario 23 Pompa concentrato acido 159 Orifizio di degasificazione 24 Valvola filtro sangue 1 90a Camera di risciacquo conc. acido 24b Valvola filtro sangue 2 90b Camera di risciacquo conc. basico 25 Pompa concentrato basico 91 Valvola di risciacquo 26 Valvola di bypass 92 Valvola di ventilazione 29 Pompa di degasificazione 94 Lancia di aspirazione concentrato acido 30 Valvola di scarico 95 Lancia di aspirazione concentrato basico 31 Valvola 1 camera di bilanciamento 97 Pompa di ventilazione 32 Valvola 2 camera di bilanciamento 98 Valvola di controllo (camere di lavaggio) 33 Valvola 3 camera di bilanciamento 109 Sensore temperatura 34 Valvola 4 camera di bilanciamento 111 Filtro idrofobico 35 Valvola 5 camera di bilanciamento 112 Valvola di ventilazione 36 Valvola 6 camera di bilanciamento 114 Filtro del liquido di dialisi 37 Valvola 7 camera di bilanciamento 115 Sensore valvola disinfezione 38 Valvola 8 camera di bilanciamento 116 Valvola raccolta campione liquido di dialisi 41 Valvola ingresso acqua 125 Adattatore 43 Valvola pieno 150 Filtro 54 Resistenza riscaldatore 151 Strozzatura 61 Valvola riduttore pressione 160 Valvola di iniezione concentrato 63 Filtro 1 ingresso acqua 161 Valvola di iniezione disinfettante 65 Valvola eccesso pressione 162 Cella dì misura conducibilità conc. basico 66 Blocco riscaldatore 163 Valvola di aspirazione concentrato 66a Camera ingresso acqua 164 Connettore disinfettante 66b Camera resistenza riscaldatore 165 Inserzione connettore disinfettante 66c Camera a livello variabile 166 Contatto Reed per inserzione connettore 68 Camera di bilanciamento disinfettante 71 Filtro 1 concentrato acido 167 Valvola test (V84) 72 Filtro 1 concentrato basico 168 Valvola controllo (scarico) 73 Filtro 1 liquido di dialisi esterno 169 Sensore temperatura Punti di misurazione dell'idraulica A Riduzione pressione acqua in ingresso B Valvola incremento pressione della camera di bilanciamento C Pressione pompa flusso D Pressione pompa di degasificazione

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4.2 DESCRIZIONE DEI COMPARTO IDRAULICO

L'idraulica della macchina di dialisi consiste di un sistema di bilanciamento volume-trico del liquido di dialisi che è chiuso rispetto alla pressione atmosferica. Nella ca-mera di bilanciamento il liquido di dialisi (l.d.d.) di scarico viene spostato dal liquido di dialisi in ingresso (e viceversa). Di conseguenza il volume di fluido in ingresso ed in uscita risulta identico. Il fluido “fresco” è separato da quello “usato” per mezzo di una membrana elastica. La valvola riduttrice di pressione (61) assicura il mantenimento della pressione di in-gresso dell'acqua ad un valore costante. Prima dello scambiatore di calore (77) il concentrato acetato viene immesso per mez-zo della pompa del concentrato (23). Durante la dialisi con uso di bicarbonato essa immette concentrato acido. Durante la dialisi con uso di bicarbonato, la pompa del concentrato basico (25) invia quantità di concentrato basico nella camera (88c) del blocco multifunzionale (88). Se i concentrati acido e basico dovessero essere scambiati per errore, ciò viene rilevato da una cella conducimetrica (162) che monitorizza la conducibilità all'uscita della pompa bicarbonato (25). Lo scambiatore di calore (77) trasmette una parte dei calore del liquido di dialisi u-scente all'acqua fredda in ingresso. Il liquido di dialisi viene riscaldato nella camera riscaldatrice (66b). La pompa ad in-granaggi (29) e l'orifizio di degasificazione (89) sono usati per generare una pressione negativa, degasificando così il liquido di dialisi. L'aria sviluppata si raccoglie nella camera di separazione. Da questa camera essa viene inviata nel blocco riscaldatore (66) attraverso la valvola di incremento di pressione (65) e poi all'atmosfera passando per la camera a livello variabile (66c). Il liquido di dialisi fluisce dalla camera (88c) e dalla camera di bilanciamento (68) at-traverso la cella di misura della conducibilità (7) e la valvola dei filtro (24) fino al fil-tro sangue. Nella cella di misura della conducibilità vengono misurati ed indicati sul monitor sia la conducibilità che la temperatura (sensore temperatura 3). Quando la temperatura e la conducibilità sono entro i limiti, le due valvole verso il filtro sangue (24, 24b) sono aperte e la valvola di by-pass (26) è chiusa. Se uno dei due valori dovesse essere fuori dai limiti (allarme temperatura e/o conducibilità), la valvola di by-pass (26) si apre e la valvola verso il filtro sangue (24) si chiude. Il fluido usato che fluisce dal filtro sangue è controllato da un rilevatore di perdite ematiche (8). Da questa camera esso fluisce nella camera (88b) del blocco multifun-zionale (88). Il fluido proveniente dal blocco viene spinto attraverso la pompa di flus-so (21) nella camera di bilanciamento. In questo modo viene assicurato che il liquido di dialisi in uscita sia sempre rimpiazzato dallo stesso volume di liquido di dialisi in ingresso.

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Il trasduttore di livello (9) è inserito nella camera (88b) del blocco multifunzionale (88). La pressione misurata è presa come quantità nel calcolo della pressione tran-smembrana (TMP). Una pompa a membrana (pompa ultrafiltrazione 22) da 1 ml di volume per ciclo sot-trae fluido dal sistema ad un tasso specifico. Poiché il sistema è chiuso, lo stesso vo-lume di ultrafiltrato proviene dal sangue tramite il filtro. Dopo la camera di bilanciamento (68) il liquido di dialisi in uscita dal filtro sangue viene mandato allo scarico esterno attraverso la valvola (30), lo scambiatore di calore (77) e la valvola (87). Qualsiasi ingresso di una notevole quantità d'aria nel sistema, causata da forte dega-sazione o durante il priming, viene rilevata dal sensore (8). Questa aria viene inviata all'atmosfera tramite la pompa di ventilazione (97). La valvola di raccolta campione liquido di dialisi (116) é inserita nella linea di in-gresso del liquido di dialisi nel filtro sangue. Da questa valvola si può estrarre liquido di dialisi usando una siringa con raccordo luer-lock. Quando si usa l'opzione diasafe (114), il liquido di dialisi passa attraverso un filtro capillare con membrana in polisulfone che trattiene le sostanze pirogeniche ed i mi-crorganismi, e viene poi inviato al filtro sangue. I punti di misura delle pressioni (A), (B), (C) e (D) permettono la misurazione diretta di varie pressioni, senza rendere necessaria l'apertura di linee e tubi. Il punto (A) mi-sura la pressione dell'acqua in ingresso; (B) misura la pressione incrementata della camera di bilanciamento; (C) la pressione della pompa di flusso; (D) la pressione ne-gativa della pompa di degasazione. La macchina viene pulita e disinfettata durante d'operatività senza ricircolo. Il disin-fettante é introdotto nel circuito dalla pompa dei concentrato (23) tramite la valvola (84) ed il sensore (115) che rileva se il disinfettante é presente o meno.

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4.3 DESCRIZIONE DELLA PROCEDURA DI TRAT-TAMENTO

4.3.1 DIALISI CON USO DI BICARBONATO

4.3.1.1 MODALITÀ OPERATIVE

La macchina per emodialisi consente l'esecuzione di dialisi con l’impiego di acetato o bicarbonato. Il tipo di trattamento è determinato da:

- il concentrato (o i concentrati) - il posizionamento dei connettori di aspirazione del concentrato

Per la dialisi con bicarbonato sono richiesti due concentrati:

- concentrato acido - concentrato bicarbonato

I concentrati sono aspirati e distribuiti per mezzo di due pompe e miscelati con acqua osmotizzata nella macchina di dialisi. A questo fine, i tubi di aspirazione del concen-trato sono collegati ai contenitori dei concentrati pertinenti. Il miscelamento è esegui-to in maniera volumetrica e proporzionale, cioè quantità fisse di concentrato sono ag-giunte ad una specifica quantità di acqua dalle pompe concentrato. Il rapporto di mi-scelazione può essere variato entro limiti specifici. Esso si può regolare premendo i tasti (Ac) e (Bic) sul monitor. Durante la dialisi con uso di bicarbonato si possono formare sali insolubili di Calcio e Magnesio. Questa è la ragione per cui la macchina dovrebbe essere decalcificata e disinfettata dopo ogni dialisi di questo tipo, usando un agente chimico appropriato (ad es. Puristeril 340). Durante il programma di pulizia, i tubi di aspirazione del concentrato devono essere inseriti nella camera di risciacquo che fa parte della macchina di dialisi.

4.3.1.2 CONCENTRATI PER DIALISI CON BICARBONATO

La corretta concentrazione di ioni nel liquido di dialisi può essere ottenuta solo usan-do i concentrati appropriati rispetto al sistema di miscelazìone.

1. Concentrato acido

SK-F 203 (PGS 21)/SK-F 003 (PGS 01), diluito a 35, 6L in contenitore da 10L.

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2. Concentrato basico

Soluzione di Bicarbonato di Sodio all'8,4%, 8L in contenitore da 10L.

4.3.1.3 LIQUIDO DI DIALISI PER DIALISI CON BICARBONATO

Dopo che i concentrati sono stati miscelati, l'acido acetico proveniente dai con-centrato acido reagisce con l'equivalente quantità di bicarbonato. Il risultato è lo sviluppo di acido carbonico e acetato di sodio. Ciò porta alla seguente com-posizione ionica durante la regolazione di base delle pompe per:

a) SK-F 203 (PGS 21) e bicarbonato di Sodio all'8,4%

Sodio 138.00 mval/l 138.00 mmol/l Potassio 2.00 mval/l 2.00 mmol/l Calcio 3.50 mval/l 1.75 mmol/l Magnesio 1.00 mval/l 0.50 mmol/l Cloro 109.50 mval/l 109.50 mmol/l Acetato 3.00 mval/l 3.00 mmol/l Bicarbonato 32.00 mval/l 32.00 mmol/l b) SK-F 003 (PGS 01) e soluzione di bicarbonato di Sodio all' 8,4% Sodio 138.00 mval/l 138.00 mmol/l Potassio 0.00 mval/l 0.00 mmol/l Calcio 3,50 mval/l 1.75 mmol/l Magnesio 1.00 mval/l 0,50 mmol/l Cloro 109.50 mval/l 109.50 mmol/l Acetato 3.00 mval/l 3.00 mmol/l Bicarbonato 32.00 mval/l 32.00 mmol/l

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Fig. 8: Connettori concentrato

4.3.1.4 SICUREZZA DURANTE LA DIALISI CON USO DI BICARBO-NATO

La sicurezza della procedura é garantita da:

- i due sistemi indipendenti volumetrici di miscelazione - il sistema di monitoraggio della conducibilità compensato in temperatura - la codifica dei colori delle lance di aspirazione e dei contenitori dei con-

centrati - la codifica meccanica delle lance di aspirazione e dei contenitori dei

concentrati (solo per contenitori di concentrato originale Fresenius - la cella addizionale di misura della conducibilità sulla linea del bicarbo-

nato.

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Procedura

Il liquido di dialisi viene preparato in maniera continua a partire dal concentra-to bicarbonato, concentrato acido ed acqua osmotizzata. Due pompe a mem-brana, indipendenti l'una dall'altra, inviano la soluzione concentrata acida e la soluzione concentrata basica in un sistema di miscelazione volumetrica propor-zionale.

Codifica dei contenitori dei concentrati (solo per contenitori di concentrato originali Fresenius) I contenitori sono codificati per mezzo di una particolare sagoma ricavata sul sotto-tappo, che previene lo scambio dei contenitori. Le lance di aspirazione pertinenti so-no anch'esse sagomate meccanicamente.

Fig. 9: Preparazione del liquido di dialisi (illustrazione del principio utilizzato)

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4.4 SISTEMA PROTETTIVO L'apparato di misura della conducibilità ed il circuito di by-pass è stati progettati per proteggere il filtro sangue da circolazione di liquido di dialisi improprio. La finestra di allarme regolabile serve per monitorare la conducibilità prescelta in un campo di valori di ±5%, offrendo così una protezione contro errori nel sistema di miscelazione. Con liquido di dialisi di errata composizione, l'indicatore di conducibilità è fuori dalla finestra di allarme. L'allarme di conducibilità (CD), che viene così generato, attiva l'operazione di by-pass del liquido di dialisi. Un allarme sonoro e luminoso viene e-messo dalla macchina. Un errore iniziale nel sistema di miscelazione sarà riconosciuto non appena la devia-zione dei valore della concentrazione del liquido di dialisi rispetto al valore impostato raggiungerà un grado di pericolosità. Errore Massima deviazione Fornitura di concentrato acido insufficiente CD: - 0,4 mS/cm (pompa guasta, filtro intasato): Na: - 4 mmol/l porta sempre ad una riduzione di Bic: ±Omml/I concentrazione. pH: +0,04 Fornitura di concentrato bicarbonato insufficiente (pompa guasta, filtro intasato): porta sempre ad una riduzione di concentrazione CD: - 0,4 mS/cm Na: - 6 mmol/l Bic : - 6 mmol/l pH: -0,19 Insufficiente fornitura di acqua all'ingresso o CD: ± 0,4 mS/cm nella camera di bilanciamento: la massima Na: + 6 mmol/l variazione nella concentrazione finale Bic: ± 1 mmol/l ammonta (circa) a 0,4113,5 = 0,03 = 3% pH: ± 0,05 Monitor della conducibilità difettoso: Nessuna deviazione. indicazione errata L'errore sarà rilevato durante il pros-simo test T11. Monitor della conducibilità difettoso: Nessuna deviazione. valutazione errata dell'allarme L'errore sarà rilevato durante il pros-simo test T1. Inversione contenitore concentrato basico / CD fuori dalla finestra di allarme. acido (o viceversa) (Valore atteso!)

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Monitorizzato per mezzo della ceila conducimetrica dei bicarbonato Minimizzato dalla codifica dei conte-nitori dei concentrato (solo per concentrati originali FRESENIUS) Uso di concentrati errati CD: ± 0,4 mS/cm

Rapporti di miscelazione Regolazione nel

menu' SET UP

H90

in litri

Concentrato

acido in litri

Concentrato

basico in litri

Miscelazione

concentrato

Acido

Miscelazione

concentrato

Bicarbonato

1 34 32,775 1 1,225 35 28,57

1 35,83 (NaCI 20) 34 1 1,83 36,83 20,13

1 35,83 (NaCI 26) 34 1 1,83 36,83 20,13

* 1 : 35,83 <B> 33,8 1 2 36,83 18,42

1 : 44 42,225 1 1,775 45 25,35

* B = bicarbonato Belga

Variazione della conducibilità Nell'ipotesi di un valore di Sodio di base di 140 mmol, se la regolazione dei Sodio è portata a 147 mmol il valore dei Sodio varia dei 5%. La conducibilità, che è calcolata a partire dell'addizione dei valori di conducibilità complessivi stampati sul contenito-re, vale a dire acido 11,9 mS/cm + bicarbonato 1,9 mS/cm = 13,8 mS/cm, aumenterà quindi dello stesso 5%. Se la proporzione dei bicarbonato viene modificata, la proporzione di acido cambia nel senso opposto, in modo da mantenere il Sodio richiesto ad un valore costante. Cio' puo' dare come risultato una minore variazione della conducibilità totale. Esempio: Un valore di Sodio selezionato di 140 mmol/l corrisponde a 105 mmol/l dal concen-trato acido + 35 mmol/l dal concentrato bicarbonato. Se il bicarbonato è aumentato di 3 mmol/l (= 38 mmol/l sulla pompa dei bicarbonato), la pompa dei concentrato acido viene riaggiustata di -3 mmol/l a 102 mmol/l Il valore di Sodio selezionato di 102 + 38 = 140 mmol/l viene così mantenuto.

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4.5 DESCRIZIONE DEI CIRCUITO EMATICO EXTRA-CORPOREO

Fig. 10: Circuito ematico extracorporeo - dialisi a due aghi

Legenda 1a Filtro idrofobico esterno 8 Valvola di aerazione 2 Monitor pressione arteriosa 9 Monitor pressione venosa di rientro 3 Pompa ematica arteriosa 10 Pompa ventilazione 4 Pompa eparina 11 Filtro idrofobico 5 Camera espansione arteriosa 12 Rilevatore aria 6 Filtro sangue 13 Clamp linea venosa 7a Filtro idrofobico esterno 14 Rilevatore ottico 7b Filtro idrofobico interno

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4.5.1 DIALISI AD AGO DOPPIO

La pompa arteriosa invia sangue dall'accesso vascolare del paziente al filtro sangue. La pressione nella parte di aspirazione della pompa è misurata e controllata per mez-zo dell'indicatore della pressione arteriosa, separato dal sangue per mezzo di un filtro idrofobico. Se tale pressione dovesse superare o scendere al disotto dei limiti impo-stati, si attiva un allarme sangue: la pompa arteriosa si ferma, la clamp venosa si chiude, un allarme ottico e sonoro viene emesso. L'ultrafiltrazione viene fermata. Do-si di eparina possono essere infuse nel sangue per mezzo della pompa eparina ad un tasso regolabile. Dopo il filtro sangue, il sangue entra nella camera venosa In essa la pressione venosa è rilevata e controllata entro stretti limiti. L'indicatore della pressione venosa è sepa-rato dal sangue da due filtri idrofobici. La camera venosa è posta nel rilevatore di li-vello, che serve da protezione contro l’infusione d'aria. Se il livello dei sangue doves-se scendere oppure nella camera venosa vi fosse sangue con schiuma o microbolle, si attiva un allarme sangue: la pompa arteriosa si ferma, la clamp venosa si chiude, un allarme ottico e sonoro viene emesso. L'ultrafiltrazione viene fermata. Dopo la camera venosa, il sangue passa nel rilevatore ottico (OD), che è differenziato come segue: OD rileva trasparenza soluzione fisiologica o aria nella linea OD rileva opacità sangue nella linea

Dal rilevatore ottico, il sangue torna poi al paziente (ago venoso).

4.5.2 DIALISI AD AGO SINGOLO (SISTEMA CLICK-CLACK)

Nota: Questa procedura dovrebbe essere usata solo in casi eccezionali, poichè lo stroke-volume (volume di scambio per ciclo) ed il conseguente il tasso di ricircolo possono essere notevolmente svantag-giosi. Esempio per l'uso di questa procedura Se dovessero sorgere problemi di flusso di sangue in uno degli accessi vascolari durante la dialisi ad ago doppio, è ancora possibile continuare il trattamento usando le linee sangue montate, selezionando la procedura SN click-clack (Single Needle-Ago Singolo). Dopo che i valori di pressione di commutazione sono stati immessi, il tra-sduttore della pressione venosa attiva la pompa sangue e la clamp della linea venosa. Entrambe le linee arieriosa e venosa sono collegate all'accesso vascolare rimanente per mezzo di un set ad Y.

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La clamp della linea venosa rimane chiusa fino a quando la pompa arteriosa invia sangue. Non appena il limite superiore della pressione venosa viene raggiunto nella linea ematica, la pompa sangue, si ferma e la clamp della linea venosa si apre. La pressione che si è sviluppata nella linea ematica fa rientrare il sangue nel paziente. Quando il limite inferiore impostato viene raggiunto, la pompa arteriosa inizia a gira-re mentre la clamp venosa si chiude; il procedimento si ripete ciclicamente. Se il tempo del ciclo dovesse essere superiore a 15 sec, un allarme viene attivato. La clamp della linea venosa si chiude e la pompa sangue arteriosa si ferma.

4.5.3 DIALISI AD AGO SINGOLO (SISTEMA OPZIONALE) Fig. 11: Circuito ematico extracorporeo - díalisi ad ago singolo (opzionale)

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Legenda la Filtro idrofobico esterno 11 Filtro idrofobico 2 Monitor pressione arteriosa 12 Rilevatore aria 3 Pompa sangue arteriosa 13 Clamp linea venosa 4 Pompa eparina 14 Rilevatore ottico 5 Camera espansione arteriosa 15a Camera di espansione esterna 6 Filtro sangue 15b Camera di espansione interna 7a Filtro idrofobico esterno 16a Filtro idrofobico esterno 7b Filtro idrofobico interno 16b Filtro idrofobico interno 8 Valvola di aereazione 17 Monitor per il controllo della pressione 9 Monitor pressione venosa di ritorno dell'ago singolo 10 Pompa di ventilazione 18 Pompa venosa ago singolo

Durante la dialisi ad ago singolo (SN) il sangue viene alternativamente prelevato e reimmesso nel paziente per mezzo un solo ago. Ciò viene ottenuto per mezzo di un modulo pompa addizionale, che include l'elettronica di controllo dell'ago singolo (procedura a due testate con sistema di controllo pressione-pressione). Con sistema SN mediante pompa ematica doppia il flusso medio ematico QSN viene calcolato come segue: QSN = (BPRart x BPRsn) / (BPRart + BPRsn) [valore teorico] La seguente formula approssimata é sufficiente per l'uso pratico: Q_sn = (BPRart + BPRsn) / 4 La pompa sangue arteriosa invia il sangue nella camera di scambio esterna. Il volume ematico di scambio dipende dallo stroke volume (volume di scambio per ciclo) impo-stato (da 10 a 50 ml). In questa fase la pompa SN non gira, la clamp della linea venosa è chiusa, la camera di scambio esterna è collegata ad un trasduttore di pressione nel modulo pompa SN. La camera di scambio interna, che è riempita d'aria, è posta all'interno dei modulo pompa SN. Non appena la pressione supera il limite superiore prefissato, la pompa arteriosa si ferma. La pompa SN inizia a girare ed invia il sangue al paziente attraverso il filtro sangue, la camera venosa e la clamp della linea venosa. Quando la pressione nella camera di scambio interna scende al disotto dei limite prefissato, la procedura descrit-ta inizia di nuovo. Il valore inferiore della pressione di commutazione é fissato a 75 mmHg. Il valore superiore di pressione di commutazione dipende dallo stroke volume impostato. Stroke volume (ml) 10 15 20 25 30 35 40 45 50

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Valore superiore della pressione di commu- 110 130 150 172 195 219 244 270 299 tazione (mmHg) La posizione della pompa sangue SN prima dei filtro sangue impedisce fluttuazioni dei livello ematico nella camera venosa. Anche la stabilità della TMP viene migliora-ta. Il risultato terapeutico (clearance) dipende dal flusso ematico effettivo e dallo stroke volume. Più alto é lo stroke volume, minore é la proporzione di ricircolo. Per tale ragione il flusso ematico massimo e lo stroke volume massimo dovrebbero essere impostati. Queste impostazioni sono diverse da paziente a paziente e, a causa degli accessi va-scolari individuali, hanno limiti diversi. Tutti gli altri componenti e le loro funzioni conispondono a quelli già descritti per la dialisi ad ago doppio. Il riconoscimento dell'arresto di entrambe le pompe sangue è attivato. Se una delle pompe si ferma per un periodo superiore a quello prefissato (30 sec.), un allarme di arresto pompa sangue viene attivato.

4.6 FLUSSO EMATICO EFFETTIVO E VOLUME EMA-TICO CUMULATIVO

Il display del flusso sulla pompa ematica indica il flusso ematico teorico. Questo va-lore viene calcolato a partire dalla velocità di rotazione dei rotore e dal diametro in-terno della linea ematica usata. Il flusso ematico reale (flusso ematico effettivo) può variare leggermente da questo valore, poiché esso dipende dalle differenti pressioni di aspirazione (pressione arte-riosa) generate dalla pompa. Il computer sul monitor contiene un algoritmo che corregge il flusso ematico teorico, in relazione alla pressione arteriosa. Usando il flusso ematico reale ed il tempo di trattamento trascorso, il monitor calcola il volume ematico cumulato.

4.7 DISINFETTANTI Soluzione per disinfettare e rimuovere i depositi di calcio dai circuiti del liquido di dialisi Diluizione: il concentrato nel contenitore è diluito con acqua nella macchina di emo-dialisi ad un rapporto di 1:34.

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Fresenius Puristeril® 340: (Temperatura dell'acqua nel programma di pulizia: 37 °C) Sostanza attiva di base: acido peracetico Concentrazione della sostanza attiva: approssimativamente 0,15% (diluito) Fresenius Sporotal® 100: (Temperatura dell'acqua nel programma di pulizia: 37 °C) Sostanza attiva di base: ipoclorito di Sodio Concentrazione della sostanza attiva: approssimativamente 0,1% (diluito) Nota: Il filtro del liquido di dialisi (optionale) può essere pulito usando lo Fresenius® Sporotal 100 solo su consultazione con il produttore.

4.8 POMPE PERISTALTICHE Le pompe peristaltiche sono le pompe di tipo rotativo più diffuse in laboratorio, gra-zie alla loro semplicità d'impiego e alla loro flessibilità e sicurezza operativa, nonché al loro costo. Si caratterizzano per il fatto che gli organi della pompa non vengono mai in contatto con il liquido trasportato, in quanto esso viene spinto lungo il tubo di trasporto per effetto alternativo di compressioni e dilatazioni generate da rulli sulla sua superficie esterna. Tali azioni simulano i movimenti muscolari peristaltici delle pareti dei canali e delle cavità dell'organismo animale, movimenti che determinano le progressioni del loro contenuto: di qui il nome della pompa. La testata pompante è costituita da due parti: il corpo della pompa (statore) e il rotore a rulli. Tra lo statore e il rotore viene inserito un tubo flessibile ed elastico, che si schiaccia tra le pareti dello statore e i rulli del rotore. Il rotore in movimento fa scor-rere i rulli sul tubo spingendo avanti il fluido; passato il rullo, il tubo riprende la sua forma creando una depressione che trascina con sé il fluido. Tra i rulli si crea un cu-scinetto di liquido dipendente dal diametro interno dei tubi e dal numero e dalla di-sposizione geometrica dei rotori. La portata è determinata dal diametro del tubo e dal-la velocità del rotore e si mantiene relativamente costante con basse pulsazioni. Il principale vantaggio è quello che il liquido non bagna il corpo della pompa, il che e-vita i problemi di contaminazione e di risciacquo, in quanto è sufficiente sostituire il tubo quando si cambia il materiale da trasferire. Sono pompe volumetriche con porta-te proporzionali alla velocità del motore, autoadescanti, perché richiamano il fluido per depressione, non hanno riflusso e non danno effetti sifone perché uno dei rulli tiene sempre schiacciato il tubo (occlusione), e possono funzionare a secco per il tra-

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sporto di gas, o come pompe da vuoto. Sono di facile manutenzione per l'assenza di valvole e di guarnizioni.

4.9 POMPE A SIRINGA Le pompe a siringa sono l'automazione delle siringhe manuali e sono perciò dei si-stemi discontinui a pistone a spostamento positivo. L'azione d'aspirazione e mandata simula il movimento manuale con il vantaggio del controllo e della ripetibilità dei movimenti propri degli strumenti automatici, ciò che assicura precisioni d'erogazione non ottenibili a mano. Le pompe dispensatrici a siringa singola o multipla permettono erogazioni controllate e, nei modelli con microprocessore, a dispensa programmata consentono una grande varietà di applicazioni nel campo delle perfusioni ed aspira-zioni. I sistemi pompanti sono costituiti da una base a uno o più posti di supporto delle si-ringhe, dove esse vengono depositate orizzontalmente o verticalmente, bloccate a scatto o con una molla e con la manopola del pistone fissata su una barra scorrevole,

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collegata ad un motore tramite una sistema di trasmissione, che provvede al movi-mento alternativo di avanzamento e retrazione del pistone entro il cilindro della sirin-ga. L'uniformità del flusso non è influenzato da cambiamenti di contropressione. Gli strumenti in genere sono costruiti per ospitare i modelli di siringa manuale in com-mercio, sia in vetro sia in plastica. Alcune sono gestite da microprocessore che con-sente una grande varietà di programmi di erogazione: velocità, a flusso continuo o in-termittente etc..

a. aletta siringa b. asola fissaggio aletta siringa c. pulsante sblocco spingisiringa d. coperchio batterie e. pulsante f. spingisiringa g. coperchio fermasiringa

h. potenziometro con freccia per regolazione ve-locità

i. pistone siringa j. cacciavite k. corpo siringa l. segnale luminoso lampeggiante (LED) m. barra filettata n. fermacoperchio

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4.10 POMPE A INGRANAGGI Sono pompe rotative che aspirano il fluido in una camera cilindrica (capsula) entro la quale ruotano con velocita' costante due ruote dentate ingrananti tra loro. Una ruota trasmette il movimento motore all'altra in folle sul proprio asse: il fluido e' trasportato dal circuito d'immissione a quello di mandata passando nelle cavita', che si formano tra i denti e la capsula durante la rotazione; il suo ritorno e' impedito dal mutuo con-tatto tra i denti. La capsula comunica con due ambienti a pressione diversa: il moto relativo tra la capsula e le ruote dentate da' luogo alternativamente e periodicamente ad immissione ed espulsione di fluido, le cui variazioni di pressione nel periodo costi-tuiscono il ciclo della pompa. Le pompe ad ingranaggi presentano le seguenti caratteristiche:

• portata proporzionale al numero dei giri; al variare della pressione la portata rimane pressochè costante;

• autoadescanti e reversibili: possono ruotare in entrambi i sensi senza alterare le proprie prestazioni;

• possono pompare, indifferentemente, liquidi a basse medie ed alte viscosità, mantenendo la stessa coppia di ingranaggi, senza sbattimenti o emulsioni del prodotto pompato.

Assai importante è il fatto che il liquido viene pompato senza la minima pulsazione, con flusso continuo, tutto ciò a vantaggio della pompa poichè valvole raccorderie e tubazioni non subiscono deleterie vibrazioni.Le pompe ad ingranaggi hanno una bas-sa velocità periferica del rotore che permette una non indifferente longevità della pompa stessa.

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4.11 POMPA A MEMBRANA L'azione pompante e' generata dalla pulsazione di una membrana flessibile per spo-stare il liquido ad ogni corsa del pistone. Infatti in questo tipo di pompe uno o piu pistoni ,comunque tutti azionati dallo stesso motore, durante il loro moto alternato non fanno altro che far pulsare una membrana posta esattamente all’uscita della sede ove scorre il pistone (la membrana di conse-guenza si alza o si abbassa) generando cosi’,l’effetto di aspirazione o compressione. In alcuni tipi di pompe a membrana pero’ il pistone non fa altro che muovere una da-ta massa d’olio la quale e’ a contatto con la membrana producendo cosi’ i due effetti di aspirazione e mandata svolti dalla membrana. Non vi sono pericoli di perdite perché il pistone e' isolato dal diaframma e pertanto questo tipo di pompe puo' essere impiegato per fluidi abrasivi e per sospensioni.

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5 SEDUTA DIALITICA

5.1 COSA SI FA’ QUANDO INIZIA UNA SEDUTA DIALI-TICA

Prima dell’inizio della seduta vanno espletati alcuni compiti, quali: preparare l’apparecchiatura, provvedere alla disinfezione, consultare la documentazione dei pa-zienti, controllare la completezza del set per la puntura, annotare il peso del paziente. La seduta dialitica richiede un tempo sufficientemente lungo per poter essere effettua-ta adeguatamente; in un centro di dialisi ci si può preoccupare al massimo di 3 o 4 pazienti per infermiere. Dopo un primo colloquio con il paziente, ci si informerà sulle sue condizioni di salute e sulla comparsa di eventuali sintomi, in quanto tali informazioni possono essere utili per l’esecuzione della dialisi. Quesiti d’importanza fondamentale, da porsi sempre prima di iniziare il trattamento, sono i seguenti:

• stato del paziente riguardo a infezioni e altre malattie • principali problemi durante il trattamento di dialisi: disturbi del ritmo cardiaco,

per sapere se è necessario il monitoraggio elettrocardiografico; alterazioni della pressione arteriosa; presenza di crampi muscolari; tendenza all’iperpotassemia (o all’ipopotassemia) e all’acidosi

• aumento medio del peso corporeo nel periodo interdialitico breve e in quello lungo

• eventuali terapie in atto • presenza di allergie (al disinfettante, al filtro o all’eparina) • conoscere il fabbisogno di eparina, tendenza all’emorragia o problemi di coa-

gulazione

Una volta che il paziente è pronto per la dialisi, al suo check-up fa seguito quello dell’apparecchiatura controllando:

• che gli attacchi siano corretti (acqua, elettricità e deflusso) • se è stata effettuata la disinfezione, il funzionamento degli allarmi acustici e

visivi • che le linee sangue siano quelle giuste e siano state posizionate in modo corret-

to • che l’aria presente nelle linee sangue sia uscita completamente dalla sezione

ematica e dalla sezione del liquido di dialisi • che sia stato preparato il concentrato prescritto • che sia stato aggiunto il valore nominale della conducibilità • che sia stato raggiunto il valore teorico della temperatura

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• che sia stato eseguito il controllo della pressione arteriosa, che il rilevatore di pressione sia stato connesso correttamente, che non ci siano torsioni e inginoc-chiature del tubicino di rilevazione della pressione

• che il dispositivo dell’alimentazione di eparina funzioni correttamente

Il vero e proprio trattamento dialitico comincia con la puntura dello shunt; la durata della dialisi si calcola dal momento in cui tutti i parametri sono stati fissati e la mac-china viene messa in funzione. Se lo shunt è stato punto correttamente si deve esegui-re un ulteriore esame per accertarsi che la posizione degli aghi sia corretta: l’ago ve-noso deve essere posizionato superiormente rispetto a quello arterioso ed entrambi devono essere fissati adeguatamente. A questo punto può essere somministrata la prima dose di eparina e si può collegare l’ago arterioso con la linea sangue arteriosa, previa disinfezione della parte terminale. In ogni caso va evitata che l’eccessiva di-stanza tra la macchina e il paziente metta in trazione le linee sangue e gli aghi ad essa connessi. Si mette quindi in funzione la pompa sangue con un flusso variabile dai 50 ai 100 ml/min, il liquido che si trova nelle linee può esservi lasciato, e quindi restituito al paziente, soprattutto se è un paziente che può avere ipotensioni. In genere si riempie di sangue fino al gocciolatore venoso e successivamente si collega la linea sangue venosa. Infine, si provvede a fissare stabilmente con cerotti entrambe le linee. Con l’inizio della circolazione extracorporea, si provvede con la massima attenzione alla regolazione definitiva della macchina e bisogna provvedere alle seguenti misure:

• regolando la pompa sangue alla velocità desiderata, tenendo sotto controllo, contemporaneamente l’indicatore di pressione; controllare che non si verifichi-no collassamenti dei vasi, tumefazione dello shunt, strozzamenti delle linee sangue; inoltre si devono controllare i valori pressori forniti dall’indicatore di pressione

• verificare il buon funzionamento del rilevatore di pressione e fissarne i limiti di allarme

• regolare il tasso di ultrafiltrazione prescritto, fissare i limiti di allarme della pressione transmenbrana

• controllare la plausibilità dei vari parametri forniti dalla macchina • esaminare la normalità del flusso del liquido di dialisi • inserire la pompa eparina e assicurarsi una sufficiente riserva di farmaco • controllare a vista il flusso sangue: accertarsi dell’assenza di bolle d’aria e che

la progressione lungo le linee sangue sia normale • controllare se l’indicatore per le perdite sangue sia in funzione • regolare la temperatura del liquido di dialisi • effettuare un controllo finale delle linee sangue: inginocchiatura, impermeabili-

tà, fissaggio, assenza di trazione • si controlla la posizione del paziente e del suo braccio con lo shunt • ci si assicura che il paziente sia in grado di raggiungere il campanello d’allarme

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5.2 COSA SI FA’ DURANTE LA SEDUTA DIALITICA L’assistenza al paziente durante un trattamento dialitico è uno dei pilastri della tera-pia individuale qualificata. Le misure essenziali per una corretta assistenza al pazien-te e per il controllo dello svolgimento di una dialisi, priva di complicanze, sono qui riassunte:

• controllo delle condizioni generali del singolo paziente: stato di coscienza, sin-tomatologia dolorosa, decubito, posizione del braccio con lo shunt

• controllo della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa ed eventualmente misurazione della temperatura corporea

• controllo dei punti di penetrazione degli aghi: se vi sono complicanze come emorragia o spostamento degli aghi

• controllo a vista del flusso sangue nelle linee sangue e del livello ematico nei gocciolatori; controllo dell’eventuale presenza d’aria nella circolazione extra-corporea; controllo del flusso sangue

• controllo dei rilevatori di pressione • controllo corretto dell’afflusso di eparina; eventualmente eseguire un controllo

della coagulazione se prescritto • controllo della conducibilità in base ai valori prescritti • controllo della temperatura • controllo del flusso del liquido di dialisi e dell’eventuale presenza di sangue • controllo del sistema di infusione e dell’avvenuta predisposizione di sacche di

soluzione salina • verificare l’avvenuta assunzione di farmaci durante il trattamento. Controllare

il diario di dialisi circa eventuali particolari prescrizioni (prelievi di sangue, monitoraggio elettrocardiografico durante la dialisi, variazioni della conducibi-lità, del flusso di eparina; del concentrato

5.3 COMPLICANZE INTRADIALITICHE E RISOLUZIO-NI PRESCRITTE

Durante il trattamento di dialisi è bene mantenere sveglio il paziente onde evitare l’insorgere di problemi i cui sintomi possono essere rilevati solo da particolari atteg-giamenti del paziente che altrimenti con i normali controlli della macchina non evi-denzierebbero.

5.3.1 IPOTENSIONE Sintomo frequente, causato nella maggior parte dei casi dall’eccessiva ultrafiltrazione e conseguente ipovolemia, che si manifesta maggiormente in pazienti emodinamica-mente instabili (lo sbadiglio, la sudorazione, il ridotto flusso ematico, sono campanel-li d’allarme). L’infermiere interviene con l’azzeramento dell’ultrafiltrazione e rapida

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infusione di soluzioni saline o liquidi ipertonici fino alla scomparsa del sintomo. Im-portante educare il paziente a gestire al meglio l’introito liquido nella dieta.

5.3.2 ARITMIE La rapida perdita di potassio extracellulare, provoca alterazioni del rapporto intra ed extra. Monitoraggio con emogasanalisi del potassio intradialitico. La prevenzione della comparsa di questa complicanza viene eseguita infondendo potassio nel sangue in infusione continua per tutta la durata della dialisi, e/o aggiungendolo nel liquido di soluzione il bagno dialisi).

5.3.3 IPERTENSIONE Probabile bilancio del sodio o del calcio troppo positivo. Controllare ed eventualmen-te modificare la dose dialitica. Altra causa è la rapida infusione di liquidi, o durante la dialisi, o la fase di restituzione a fine trattamento.

5.3.4 CRAMPO MUSCOLARE Principalmente causato dall’eccessiva ultrafiltrazione, che crea uno squilibrio elettro-litico tra l’intracellulare e l’extracellulare. I crampi sono anche frequenti nella fase fi-nale del trattamento, quando il paziente si è avvicinato al suo peso secco. Ridurre l’ultrafiltrazione, infondere liquidi, praticare soluzioni saline concentrate (sconsigliate nella fase terminale della seduta), praticare farmaci ad azione miorilassante69 prescrit-to (attenzione, possono ridurre la pressione). Anche le manovre fisiche dell’infermiere sulla parte crampizzata, possono ridurre il sintomo.

5.3.5 SINDROME DA SQUILIBRIO Si verifica principalmente nei pazienti che affrontano le prime sedute emodialitiche, quando la concentrazione dell’urea è molto alta. Quando si utilizzano nel bagno diali-si basse concentrazioni di sodio, si ha un ulteriore caduta dell’osmolarità plasmatica, con conseguente passaggio dell’acqua dall’intracellulare all’extracellulare. La sinto-matologia è varia è consiste prevalentemente in cefalea70, nausea, vomito, crampi e tremori muscolari, irrequietezza, sonnolenza, disorientamento, alterazioni pressorie, crisi convulsive. La sindrome è prevenibile effettuando una depurazione lenta, utilizzando bagni di dialisi ad alte concentrazioni di sodio ed eventualmente infondendo soluzioni ipero-smotiche (fiale da 10 ml di glucosio 33%). 69 Miorilassante. Ha la proprietà di rilassare i muscoli striati. 70 Cefalea. Mal di testa.

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5.3.6 REAZIONE DA IPERSENSIBILITÀ Il sangue del paziente, durante la seduta emodialitica rimane a contatto con materiali non fisiologici (linee ematice, filtro), nonostante l’alta biocompatibilità dei materiali utilizzati. L’organismo quindi, sviluppa sempre delle reazioni mediate dall’attivazione dei leucociti e del complemento con possibile liberazione dei media-tori flogistici71. Quando però il sangue viene a contatto con sostanze dotate di potere allergenico, si possono sviluppare delle vere reazioni di ipersensibilità di varia entità. Le reazioni allergiche possono essere sviluppate da membrane poco biocompatibili con rilascio di sostanze da parte delle membrane stesse. La sintomatologia è estre-mamente variabile, da lieve a molto severa: agitazione, sensazione di testa vuota, ca-lore, pallore, prurito, starnuti, arrossamento cutaneo, edema72 cutaneo, orticaria, nau-sea, vomito, tosse, dispnea73 leggera, dolori toracici, addominali e lombari, bronco-spasmo, edema laringeo, cianosi, dispnea acuta, tachicardia, ipotensione, collasso, ar-resto cardio-circolatorio, decesso. La terapia farmacologia consiste in: antistaminici, cortisonici, adrenalina, supporto cardio-respiratorio.

5.3.7 EMBOLIA GASSOSA Il monitor è fornito di un ottimo sistema di sicurezza per la rilevazione d’aria (a infra-rossi), quindi l’embolia spesso è dovuta a disattenzione da parte dell’infermiere. La fase più rischiosa e delicata, è durante il distacco, cioè nella restituzione del sangue a fine trattamento. In questa fase le sicurezza del monitor vengono temporaneamente disabilitate. Non essendo quantificabile l’aria introdotta nel sangue del paziente, la sintomatologia è estremamente variabile: tosse secca, dolore retrosternale, dispnea, collasso, morte. Il paziente va posizionato subito sul fianco sinistro, con la testa in basso e gli arti inferiori sollevati (nel tentativo di intrappolare l’aria nel circolo dell’atrio destro). La terapia farmacologia, eventualmente prescritta, consiste nel pra-ticare alte dosi di cortisone, per ridurre l’edema polmonare; somministrazione di os-sigeno; supporto cardiologico (dopamina, digitale); se necessario la rianimazione cardio-respiratoria.

5.3.8 COAGULAZIONE DEL SANGUE NEL CIRCUITO EXTRA-CORPOREO

La causa principale è l’insufficiente eparinizzazione del circuito ematico; l’infermiere deve segnalare al medico il problema, che, in rapporto alla tecnica dialitica utilizzata,

71 Flogosi. Infiammazione. 72 Edema. Infiltrazione di liquido organico nei tessuti. 73 Dispnea. Difficoltà di respirazione.

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deve incrementare la dose di eparina. Le cause secondarie sono dovute a motivi tec-nici o a problemi sull’accesso vascolare (es. quando l’infermiere è costretto a tenere ferma la pompa sangue). La coagulazione del filtro dializzatore e sul circuito ematico può avvenire anche a causa di regimi bassi della pompa sangue (riduzione della por-tata sanguigna dell’accesso vascolare). Di fronte a un processo coagulativo importan-te, è sempre necessario sostituire il filtro e/o le linee ematiche. Quando la coagulazio-ne è solo iniziale e l’efficacia del filtro non è compromessa, può essere sufficiente aumentare la dose di eparina o eseguire lavaggi del circuito con soluzione fisiologica.

5.3.9 EMOLISI Una modesta emolisi è fisiologicamente presente ad ogni trattamento dialitico, spe-cialmente durante le prime sedute (effetto meccanico della pompa peristaltica sui globuli rossi). Si ha la rottura della membrana cellulare del globulo rosso con fuoriu-scita del liquido intracellulare. I fattori che possono maggiormente provocare l’emolisi sono: traumi continui esercitati dalla pompa sangue sulla linea ematica e amplificati in caso di eccessiva aspirazione negativa; eccessiva corrente elettrica nel bagno dialisi; residui di sostanze usate nella disinfezione del circuito idraulico (for-malina, ipocloriti); errata diluizione del bagno dialisi (bagno dialisi eccessivamente ipotonico, rotture sul preparatore). I sintomi principali sono il dolore lombare, altera-zioni pressorie, malessere generale, iperpotassemia.

5.3.10 ROTTURA DEL FILTRO DIALIZZATORE Durante la dialisi può accadere che la membrana semipermeabile si rompa, con con-seguente passaggio di sangue nel bagno dialisi. Il monitor rileva, con un sensore a in-frarossi, la variazione di torpidità dell’ultrafiltrato attivando l’allarme. L’unica mano-vra da effettuare è la sostituzione del filtro, dopo aver restituito il sangue del circuito ematico al paziente.

5.3.11 EMORRAGIA Causata maggiormente dall’ipocoagulazione che viene prodotta con l’eparinizzazione del circuito ematico extracorporeo. Altra causa è la sconnessione accidentale delle li-nee ematiche o degli aghi.

5.3.12 RICIRCOLO È l’aspirazione da parte dell’ago arterioso di una certa quantità di sangue venoso, ap-pena rientrato nel letto vascolare dopo il passaggio nel filtro dializzatore; causato da una vicinanza degli aghi o per portata inferiore al flusso richiesto della circolazione extracorporea, resistenza al deflusso venoso, o posizione invertita degli aghi.

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5.4 COSA SI FA’ ALLA FINE DELLA SEDUTA DIALITI-CA

Prima di provvedere l’attuazione per le misure di conclusione della seduta dialitica, si deve valutare se lo scopo del trattamento è stato raggiunto, considerando:

• se è stata ottenuta la sottrazione d’acqua desiderata • se è stata raggiunta la normalizzazione dell’equilibrio acido-base e idro-

elettrolitico • se sono state eseguite le prescrizioni per l’attuale dialisi • prima del distacco ci si deve accertare di avere a disposizione tutti gli accessori

necessari: tamponi, siringhe, cerotti, pinze, ecc. • se sono presenti i flaconi contenenti le soluzioni necessarie al distacco (NaCl

0,9%, glucosio o levulosio) • se sono stati prescritti prelievi di sangue al termine della dialisi • se sono stati prescritti farmaci da somministrare a fine dialisi

Come per l’intero trattamento dialitico, anche per il processo di distacco è richiesta la massima attenzione e concentrazione. Alla fine della dialisi è necessario restituire lentamente al paziente il volume sanguigno extracorporeo. A tal scopo devono essere adattate le seguenti misure:

• interrompere l’afflusso di eparina • arrestare la pompa sangue • far terminare l’ultrafiltrazione • staccare la linea sangue arteriosa dal paziente, clampando il catetere, far deflui-

re la soluzione di infusione, riavviare la pompa sangue, iniziare il lavaggio di ritorno. Nel lavaggio di ritorno, il filtro dializzatore viene delicatamente agita-to, per ottenere un ulteriore mobilizzazione degli eritrociti

• dopo aver restituito il sangue residuo al paziente si stringono con due pinze la linea sangue venosa e la canula, infine si estrae l’ago e si comprime con un tampone il foro da cui è stato estratto;

• prima di ripesare il paziente si misura nuovamente la pressione arteriosa (misu-razione che nell’intradialisi viene attuata circa ogni trenta minuti);

• si compila il verbale di dialisi annotando eventualmente particolarità a cui por-re attenzione alla prossima dialisi;

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6 DATI SULLA DIALISI

La sanità in Europa

Non è possibile discutere della dialisi in Europa se non si valuta la poliforma situa-zione della sanità nelle nazioni europee. Le tabelle seguenti attraverso alcuni indica-tori, danno una immagine delle realtà sanitarie, da cui si avvince un grande polimorfi-smo. Le risorse dedicate per la sanità rispetto al PIL sono molto diverse da nazione a nazione.

Indicatore delle risorse dedicate alla sanità dalla spesa sanitaria procapite. Non sem-pre la qualità percepita dagli utenti si correla con maggiore impegno di risorse. La ta-bella seguente da l'idea del grado di soddisfazione dei cittadini rispetto al loro S.S.N.

Spesa sanitaria procapite in dollari usa (2) (tabella 1)

NAZIONE DOLLARI Grado di sodisfazione dell'utenza

USA 2.354 dal 30% al 60%

Canada 1.683 oltre il 60%

Benelux 1.384 oltre il 60%

Francia 1.274 oltre il 60%

Germania 1.232 oltre il 60%

Italia 1.130 meno del 30%

Inghilterra 836 dal 30% al 60%

Spagna 730 meno del 30%

Grecia 405 meno del 30%

Molto evidente è il divario di quanto ogni cittadino riceve dalla sua nazione per la sua salute. Altro importante indicatore della qualità del S.S.N. è la mortalità infantile e

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l'aspettativa di vita alla nascita. Anche questi indicatori sono molto diversi da nazione a nazione.

La dialisi nei vari sistemi sanitari

I dati fino ad ora presentati non sono aridi numeri, ma esprimono maggiore o minore possibilità di cure nelle varie nazioni, maggiore o minore attenzione all'uomo. Anche i programmi dialitici europei risentono delle difformità dei sistemi sanitari. La scelta del trattamento è spesso correlata con la disponibilità delle risorse. Non ancora tutte le nazioni europee accettano il trattamento pieno: per esempio vi sono dei limiti in Inghilterra per le patologie oncologiche non sempre le scelte di programmi costosi in dialisi sono correlate con i sistemi sanitari a maggiore impegno economico pro capite. Sicuramente la dialisi è meglio condotta nei paesi a sistemi sanitari ad alta socialità. Le nazioni elencate nelle tabelle seguenti sono in ordine decrescente rispetto alla spe-sa sanitaria pro capite. In tal modo sono ben evidenti i rapporti tra scelte di program-mi dialitici e ricchezza di mezzi a disposizione della sanità.

La dialisi in Europa

Dializzati e trapiantati in al-cune nazioni Europea

Pazienti in dialisi ospedaliera e do-miciliare

Depurazione Extra-corporea e Dialisi

Peritoneale

NAZIONE per mi-lione di abitanti

per mi-lione di abitanti

domiciliare % ospedaliera % Emodialisi %

Dialisi peritone

ale % Svezia 244 317 680 30 1.533 70 71,9 28,1 Svizzera 272 277 391 20 1.514 80 82,6 17,4 Belgio 327 233 259 7,9 3.013 92 93,7 6,2 Francia 323 824 2.983 16,4 15.110 83 90,7 9,3 Germania O. 306 306 2.476 13 16.224 87 89,1 10,8

Germania E. 232 58 266 7,2 3.453 92,7 93 6,9

Gran Bre-tagna 162 262 5.032 54,2 4.236 45,7 53,9 46,1

Italia 340 140 2.812 14,4 16.615 89,3 88,8 11,4 Spagna 365 232 1.516 10,6 12.752 89,3 90,4 9,6 Polonia 83 13 300 9,4 2.887 90,5 95,9 4,1

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Le norme Le norme italiane relative alle apparecchiature ed agli impianti si sono ora adeguate a quelle Europee. Norme CEI 62-5 e 62-19( per la dialisi) Per le macchine elettromedi-cali si riferiscono alla parte elettrica, idraulica, all'involucro, ai comandi ecc. Il CEI e' l'organismo italiano riconosciuto quale orogatore di regole di normalizzazione euro-pea. Si avvale, nei paesi CEE, del lavoro di altri enti:

• CEN comite europen de nommalisation • CENELEC comite uropeen de normalisation electrotecnique • ISO international organization for standardization • IEC internatinal electrotechnical commision

L'Europa come comunita' sta percorrendo la strada per uno standard Europeo basato sul concetto di qualita' totale. La legislazione comunitaria ha gia approvato le norme del medical devices (direttiva CEE 93/42 14-6-93

Metodiche dialitiche Percentuali di in-fezione da HCV

e isolamento

NAZIONE Dialisi bi-carbonato

%

Emofiltrazione %

Emodiafiltrazione %

Dialisi acetato

%

HCV %

Isolamento %

Svezia 97,5 0,8 2,2 0,5 8,8 76 Svizzera 89,7 2,2 3,0 5,1 8,4 28 Belgio 89,7 2,4 3,1 4,8 2,4 31 Francia 80,4 0,7 6,8 12,1 18,8 31 Germania O. 86,9 3,0 3,9 6,2 7,8 88

Germania E. 86,7 4,3 10 0,1 14,5 no

Gran Bre-tagna 75,3 0,4 0,02 21,2 2,7 48

Italia 72,9 2,3 19 5,8 26,8 60 Spagna 66,4 1,0 5,3 27,3 25,3 63 Polonia 16,6 2,9 8,5 72 28,6 28 Grecia 41,4 11,6 4,3 42,7 24,3 no

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Marchio qualita' totale CE Il marchio CE armonizzera' tutte le legislazioni comunitarie sull'argomento e consen-tira' la libera circolazione delle apparecchiature elettromedicali. Il tecnico di dialisi e la qualita' totale come standard Europeo. La scelta delle apparecchiature sara' stretta-mente vincola al marchio CE. Il tecnico di dialisi dovra' conoscere le norme relative, in particolare quelle specifiche per le attrezzature dialitiche. Il marchio CE per il fab-bricante premiera' le ditte che otterranno la certificazione di qualita' relativa a tutte le fasi della produzione. Il marchio CE (93-42 CEE 14-6-93 allegato II) e relativo a:

• Organizzazione dell'azienda • La progettazione • La produzione • I sistemi di sicurezza - i controlli di qualita' • La distribuzione

La dichiarazione di conformita' CE si ottiene da un ente certificante. Marchio CE Anche la qualita' del lavoro in dialisi passera' attraverso un iter di certificazione euro-pea per consentire una armonizzazione delle varie realta'. Sono gia' realta' le normati-ve relative a:

1. Autorizzazione obbligatoria (D.L. 502 art.8) prevede requisiti minimi relativi alla struttura = omologazione ad esercitare

2. Accreditamento: D.P.R. 1-3-94 DSN 1994 1996 / 8; valuta processi e risultati; per ora e' volontario.

3. Le procedure di accreditamento sono invece ben delineate: 1. In USA, dove gli standard di qualita' sono verificati dalla joint commi-

sion on accreditation of health organitation acaho) 2. In Canada' (cadian council of health facilities) 3. Australia (council on healtcare standard) ACHS, sistema volontario, ma

qualificante 4. Gran Bretagna (hospital accreditation program) ancora in fase di defini-

zione 5. Sistemi di accreditamento volontari, sul modello australiano, sono in fa-

se di definizione in Argentina, Polonia, Germania, Francia, Svezia, Cata-logna, Belgio, Olanda.

6. In Italia la 502 prevede la necessita' di accreditamento per le strutture private che si convenzionano con il S.S.N.

4. Certificazione: volontaria mediante enti esterni.Valuta strutture e processi pro-duttivi, non i risultati.

5. Richiede verifiche periodiche. Le norme attraverso cui si ottiene la certifica-zione sono internazionalmente riconosciute.

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Il D.P.R. n. 573 del 18-4-94 art.9, prevede che gli appalti pubblici di attrezzature ad alta tecnologia siano aderenti alle norme UNI, EN 29.000 ed UNI EN 45.000. Questa complessa articolazione di norme dovrebbe garantire per il futuro, anche in dialisi, una uniformita' di livelli assistenziali: il target degli anni futuri sara' anche in dialisi la qualita'. Il tecnico di dialisi sara' la figura di primo piano nell'iter verso questo tra-guardo. Una scadenza precisa su cui il tecnico di dialisi dovra' essere informato e' quella prevista dal D.L. 19-9-94 n.626 sulla sicurezza del lavoro. Tale legge dovrebbe entrare in vigore dal 1-1-96. Discussa e criticata, pone pur sempre l'obbligo di adem-pimenti a cui anche il tecnico di dialisi dovra' contribuire.

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7 SICUREZZA E GESTIONE NEI SISTEMI BIO-

FEEDBACK

L'evoluzione tecnologica ha apportato un notevole progresso nella struttura e nella gestione delle macchine per dialisi. Come conseguenza, le normative riguardanti la sicurezza delle apparecchiature necessitano di continue revisioni, anche alla luce di metodiche particolari o di nuovi strumenti come i sistemi di biofeedback che cambia-no il modo di vedere e pensare la dialisi. D'altra parte l'attività normativa stabilisce i requisiti essenziali per la sicurezza ed essi devono essere applicati ad ogni nuovo progetto che dovrà perciò essere sottoposto agli enti normatori i quali ne certifiche-ranno le caratteristiche. La rivoluzione elettronica avviata negli anni 60 ha ormai mo-nopolizzato tutte le tecnologie con cui abbiamo a che fare tutti i giorni; in particolare l'avvento del microprocessore ha permesso di implementare sofisticati sistemi di con-trollo permettendo in questo modo di ottimizzare i consumi ed il loro impatto ecolo-gico. Oggi per il funzionamento delle moderne macchine per dialisi, il peso dell'elet-tronica è di gran lunga il maggiore rispetto all'idraulica e alla meccanica, cosicché il microprocessore è diventato l'attore principale del trattamento emodialitico; grazie al-le sue enormi capacità computazionali si è riusciti a progettare circuiti idraulici e-stremamente compatti e sofisticati sistemi di interfaccia. In realtà la foresta di micro-circuiti presenti sulle sfoglie di silicio di un microprocessore avrebbero ben poca uti-lità se non ci fosse un software (SW) capace di impartire le giuste istruzioni da ese-guire, anzi proprio nel SW risiede la capacità di poter migliorare ed evolvere le capa-cità operative delle apparecchiatura emodialitiche. Dunque appare chiaro come per i progettisti e gli enti normatori, che dovranno certificare la qualità e la sicurezza del prodotto, si prospettano nuove problematiche in termini di gestione e sicurezza degli elettromedicali. Il compito della struttura hardware (HW) e SW è quello di controlla-re istante per istante:

• i vari stadi di ogni fase macchina (quindi di ogni componente in essi coinvolti) • il flusso di informazioni dalla macchina all'operatore e viceversa • la sicurezza del paziente.

É ovvio che ognuno di questi punti ha esigenze funzionali e progettuali molto diverse tra di loro. Il controllo di ogni elemento funzionale dei vari moduli dialitici (ematico, idraulico e emodiafiltrazione ...) richiedono una continua evoluzione:

• per implementare nuove prestazioni, • migliorare le performance della componentistica.

Anche i flussi di informazioni, soprattutto nelle nuove macchine che fanno uso di schermi interattivi, deve essere continuamente aggiornato per:

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• migliorare l'interfaccia utente, • visualizzare messaggistica e parametri fisiologici.

La progettazione di un sistema di protezione (SdP) deve garantire prima di tutto la si-curezza nelle parti critiche del trattamento emodialitico individuate dalla norma CEI 62 - 19, vale a dire evitare i rischi potenziali dovuti a:

• Concentrazione del liquido di dialisi (conducibilità) • Temperatura del dialisato • Ultrafiltrazione • Perdite ematiche (verso l'esterno, per rottura del filtro, etc) • Embolia gassosa

ma anche di nuove esigenze di sicurezza non attualmente contemplate nelle norme suddette:

• Tecniche emodiafiltrative • Profili di UF, CD, K, etc • Sistemi di biofeedback

Le parti HW e SW presentano problematiche progettuali diverse. La presenza di un microprocessore, se da un lato permette il controllo in tempo reale di tutti i processi macchina, dall'altro introduce una nuova problematica: cosa succede se si produce un malfunzionamento del microprocessore? L'approccio tedesco richiede l'utilizzo del doppio microprocessore che deve garantire che il sistema di controllo non "impazzi-sca" e, in caso di primo guasto sia capace di attivare le sicurezze opportune. É il con-cetto di ridondaza in cui: ogni elemento, oltre ad essere controllo di se stesso, è a sua volta controllato da un secondo elemento che si attiva solo in caso di avaria del pri-mo.Per fare in modo che il sistema a doppio processore (SdP) sia correttamente fun-zionante la macchina deve effettuare dei self-test che ne verifichino l'effettiva effi-cienza operativa. I test, di fatto obbligatori, rappresentano una fase fondamentale per la sicurezza: mettono l'apparecchiatura in grado di rispondere in caso di primo guasto o, equivalentemente, rendono altamente improbabile la presenza conteporanea di due guasti indipendenti. La sicurezza della parte SW dei SdP rappresenta la reale novità delle problematiche progettuali e normative. Le enormi potenzialità dei moderni di-spositivi per il trattamento extracorporeo risiedono nella possibilità di generare un programma sorgente che dia vita a tutti i processi macchina. Quindi la sicurezza di ogni device passa attraverso la certificazione del SW del SdP. La logica del SdP è di-versa da quella del sistema di controllo (SdC), essa deve sottostare a poche regole e deve essere estremamente rigida, in altri termini il SW di gestione non deve permette-re che qualsiasi condizione operativa o manovra impartita da chi utilizza la macchina metta il paziente in una condizione di pericolo. Quindi il SdC e il SdP, pur operando sui medesimi attuatori, ragionano con logiche antitetiche e questo rappresenta un no-tevole limite per la progettazione, soprattutto rallenta notevolmente la possibilità di evolvere e migliorare le prestazioni della macchina. Ogni realizzazione di un nuovo

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software, che è l'anima di ogni sistema evolutivo, deve avere necessariamente il me-desimo grado di sicurezza di quello precedente e questo significa: verificare ogni vol-ta che la protezione del paziente è presente in tutta l'architettura SW.

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8 DEFINIZIONE DEI TERMINI I termini speciali usati in queste istruzioni operative sono spiegati di seguito. Pressione arteriosa Pressione nel circuito extracorporeo tra la cannula arterio-sa e la pompa sangue. Allarme sangue Gruppo di allarmi che provocano l'arresto dei sistema e-matico:

- Pressione arteriosa - Pressione venosa di rientro - Pressione di transmembrana - Perdita ematica - Aria - Allarme di arresto pompa ematica

Sistemi ematici Sistemi che mantengono e controllano le funzioni del cir-cuito extracorporeo. Trappola bolle Apparato integrato al set linea ematica per separare i gas che non sono disciolti nel sangue. By-pass Apparato per deviare il liquido di dialisi oltre il filtro san-gue. Conducibilità Reciproco della resistenza elettrica specifica, ad es. del liquido di dialisi Liquido di dialisi Fluido di scambio usato durante l'emodialisi. Pressione liquido di dialisi Pressione presente in una definita sezione dei sistema che

fa circolare il liquido di dialisi, ad es. all'uscita dei filtro sangue.

Connettore sangue Connettore ematico arterioso o venoso connesso al. filtro dei filtro sangue sangue. Camera di espansione Apparato per il livellamento della pressione e dei volume, ad es. durante l'uso in metodica ago singolo. Circuito extracorporeo Una sezione della circolazione ematica, che ha luogo al difuori del corpo umano. Clamp (sulla linea) Apparato per l'occlusione automatica dei set linea emati-ca, ad

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es. per una condizione di allarme o durante la metodica ago singolo. Connettore di misurazione Connettore per la linea di misurazione della pressione, ad es. della pressione luer lock. Linea di misurazione Linea di connessione che collega il set linea ematica con il della pressione misuratore della pressione. Testata pompa La testata della pompa comprende il rotore e lo stato-re. Linea pompa Segmento della linea ematica da inserire nella testata della pompa. Supporto linea pompa Apparato per fermare il segmento della linea ematica interno alla pompa Rotore pompa Parte di guida della pompa ematica Statore pompa Supporto stazionante per la parte premente del rotore. Terapia sequenziale (ISO UF) Separazione della procedura emodialitica in due fasi successive di trattamento, ciascuna comprendente sia solo ultrafiltrazione che diffusione ed ultrafiltrazìone (procedura secondo. il metodo Bergstro:m). Metodo Ago Singolo Tecnica in cui l'accesso vascolare per il trattamento viene stabilito per mezzo di una sola puntura. Pressione di transmembrana Differenza fra le pressioni agenti sulla membrana dei filtro

sangue (pressione ematica, pressione del liquido di dialisi).

Pressione venosa dì rientro Pressione nel circuito extracorporeo prima della can-nula venosa (ad es. nella camera venosa). Acqua Acqua di caratteristiche adatte all'emodialisi (ad es. acqua trattata per mezzo di Osmosi Inversa). Allarmi acqua Gruppo di allarmi che non causa l'arresto dei sistema ematico: conducibilità (by-pass operativo), tempera-tura (by-pass operativo), flusso.

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9 ABBREVIAZIONI E SIMBOLI

AC = corrente alternata BC = camera di bilanciamento BIC = bicarbonato BP = pompa sangue CD = conducibilità DC = corrente continua Fig. = figura (schema) ED = emodialisi EDF = emodiafiltrazíone LD = rivelatore di livello LED = diodo ad emissione luminosa OD = rilevatore ottico si = blocco di by-pass liquido di dialisi SN = ago singolo SV = valvola a solenoide TMP = pressione di transmembrana UF = ultrafiltrazJone

10 BREVE INTRODUZIONE SULLE UNITA’ DI

MISURA CHIMICHE L'unità di misura più naturale in chimica per quantificare la concentrazione di un so-luto è la mole/litro (mol/l) o il suo sottomultiplo millimole/litro (mmol/l). La mole, diversamente dal peso, esprime il numero di unità chimiche (molecole, atomi, ioni) della stessa specie, presenti in una data quantità di sostanza. Così una mole d'acqua contiene lo stesso numero di molecole di una mole di glucosio; tale numero, detto numero di Avogadro N, è pari a 6,02 · 1023 .Importante è poi il legame tra moli e grammi. Se si tratta di molecole, una mole è pari a un numero di grammi uguale al peso molecolare (p.m.). Così essendo il p.m. dell'acqua 18, una mole d'acqua pesa 18 gr.. Analogamente per gli atomi e ioni: ad es. essendo 23 il peso atomico (p.a.), del sodio, una mole di sodio è pari a 23 gr. e 1 mmol è pari a 23 mg. Perciò:

• moli (ioni o atomi) = grammi/ p.a. • moli (molecole) = grammi/p.m.

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A volte, per gli ioni, invece delle moli si parla di equivalenti. Mentre la mole si riferi-sce al numero di ioni, l'equivalente (eq.) si riferisce al numero di cariche elementari (carica dell'elettrone) complessivamente portate dagli ioni. Quindi avrò l'equivalente di ioni se il numero totale di cariche trasportate è pari al numero di Avogadro N.

La relazione tra moli ed equivalenti è così:

N° equivalenti (ioni)=n° moli x carica dello ione.

Per i trasporti d'acqua a livello di membrane naturali ed artificiali, dovuti ai soluti presenti (osmosi), e importante il concetto di osmole: l'osmole si correla al totale di tutte le particelle presenti in soluzione, quale che sia la specie cui appartengono: 1 osmole è pari ad un numero di particelle uguale al numero di Avogadro N. Così scio-gliendo 1 mole di NaCl in acqua, dato che il sale si scompone (ionizza) in Na+ e Cl-, si avrà anche 1 eq. di Na+, 1 eq. di Cl e 2 Osmoli, poiché, per ogni molecola di NaCl, si hanno due particelle in soluzione: Na+ e Cl-. Quando scriveremo una specie chimi-ca tra parentesi quadra, come ad es. [Na+], [CO2], intenderemo la sua concentrazione in mol/l. o, se specificato, mmol/l.

11 CHE COSA SIGNIFICA CLEARANCE

(RIMOZIONE)? Il concetto di clearance è importante nella nefrologia, in particolare nella stima sulla capacità dei reni di rimuovere gli scarti metabolici. Lo stesso concetto viene applicato ai reni artificiali. L’idea di clerance fu sviluppata nel 1920 da Austin, Stillman e Van Slyke per confrontare la capacità di un renale malato di esplellere urea rispetto ad un rene sano. Clerance è una misura empirica che rappresenta un volume di sangue cal-colato, completamente ripulito da una sostanza x in un minuto. È un volume teorico e non ha un riscontro con misure sperimentali. L’equazione base è la seguente: Cx=

x

x

PVU •

Con Cx clerance di x (ml/min di sangue) Ux concentrazione di x in urina (mg/100 ml) V volume di urina (ml/min) Px concentrazione di x in plasma (mg/100 ml) Come viene utilizzata questa equazione per valutare le prestazioni di un rene artificia-le?

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Si utilizza la seguente formula modificata:

Cx=

x

xx

AVA

bQ•

Con Cx clerance di x (ml/min di sangue) Ax concentrazione arteriosa (ingresso) di x (mg/100 ml) Vx concentrazione venosa (uscita) di x (mg/100 ml) Qb velocità flusso sanguigno (ml/min) Quando la clearance di un soluto viene dato come indicatore delle prestazioni di un dializzatore, è importante che anche la velocità del flusso sanguigno venga fissata. All’interno del normale range di lavoro, clearance aumenta all’aumentare del flusso sanguigno. Inoltre, clearance viene influenzata anche dalla soluzione del soluto: ad un dato flusso sanguigno, la clearance di x è più grande se si utilizza un dializzatore ad elevate concentrazioni arteriose rispetto ad un dializzatore che presenza basse con-centrazioni arteriose.

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1 INTRODUZIONE AI RENI ........................................................................................................1

1.1 ASPETTO E POSIZIONE...................................................................................................1 1.2 STRUTTURA ......................................................................................................................2 1.3 FISIOLOGIA .......................................................................................................................4 1.4 ESAMI POSSIBILI .............................................................................................................5 1.5 BREVE INTRODUZIONE ALL’APPARATO URINARIO....................................................6 1.6 FUNZIONI E PATOLOGIE RENALI ................................................................................7

1.6.1 PATOLOGIA E BLOCCO RENALE TEMPORANEO.............................................8 1.6.2 INSUFFICIENZA RENALE CRONICA ....................................................................9 1.6.3 ESCREZIONE DELL'ACQUA.................................................................................10 1.6.4 DISTURBI DELL'EQUILIBRIO ACIDO-BASE .....................................................12 1.6.5 EFFETTO SULLA FISIOLOGIA SISTEMICA .......................................................14 1.6.6 BILANCIO DEL SODIO...........................................................................................15

2 EMODIALISI ............................................................................................................................16 2.1 PRINCIPI DELLA DIALISI .............................................................................................17 2.2 STORIA DELLA DIALISI................................................................................................17 2.3 EMODIALISI DOMICILIARE.........................................................................................20 2.4 FISTOLE STORIA E DESCRIZIONE .............................................................................20

2.4.1 SHUNT ARTERO-VENOSI ESTERNI: CENNI STORICI E CONSIDERAZIONI ATTUALI ..................................................................................................................................21 2.4.2 ANASTOMOSI .........................................................................................................24 2.4.3 DIVERSI TIPI DI ANASTOMOSI ...........................................................................24 2.4.4 FISTOLA ARTERO-VENOSA CIMINO-BRESCIA...............................................26 2.4.5 I PROBLEMI INTRAOPERATORI .........................................................................28 2.4.6 TECNOLOGIE DISPONIBILI..................................................................................30 2.4.7 NUOVI ORIZZONTI - SEPSI...................................................................................31 2.4.8 ACCESSI PERITONEALI ........................................................................................32

2.5 EPARINIZZAZIONE: SISTEMICA E REGIONALE......................................................33 2.6 DIALISI PERITONEALE .................................................................................................34

2.6.1 DIALISI PERITONEALE E RICIRCOLAZIONE ...................................................35 3 DIALISI E RENI ARTIFICIALI...............................................................................................36

3.1 INTRODUZIONE..............................................................................................................36 3.2 MECCANISMI OPERATIVI ............................................................................................37 3.3 LEGGE DI FICK ...............................................................................................................38

3.3.1 1° LEGGE..................................................................................................................38 3.3.2 2° LEGGE..................................................................................................................39

3.4 COSTITUENTI DEL RENE ARTIFICIALE....................................................................39 3.4.1 IL FILTRO DIALIZZANTE .....................................................................................40

3.4.1.1 BREVE STORIA ...................................................................................................40 3.4.1.2 MEMBRANE PER FILTRI O DIALIZZATORI..................................................43 3.4.1.3 CARATTERISTICHE IDEALI DELLE MEMBRANE SEMIPERMEABILI.....43 3.4.1.4 TIPI DI MEMBRANE SEMIPERMEABILI ........................................................45 3.4.1.5 ALCUNI ESEMPI E DATI DI FILTRI PRODOTTI DALLA .............................46 DITTA BELLCO S.p.A. ........................................................................................................46 3.4.1.6 MATERIALE DEL CONTENITORE...................................................................49 3.4.1.7 MATERIALE PER LA MEMBRANA .................................................................50

3.4.2 IL CIRCUITO EMATICO EXTRACORPOREO .....................................................50 3.4.2.1 LINEE EXTRACORPOREE.................................................................................50 3.4.2.2 DISINFEZIONE STERILIZZAZIONE.................................................................53

3.4.2.2.1 STERILIZZAZIONE.......................................................................................54

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3.4.3 CIRCUITO DEL LIQUIDO DI DIALISI..................................................................57 3.4.4 PARAMETRI CHIMICI FISICI E BIOLOGICI DEL LIQUIDO DI DIALISI........57

3.4.4.1 INTRODUZIONE..................................................................................................57 3.4.4.2 STERILIZZAZIONE/DISINFEZIONE DELL’ACQUA......................................58 3.4.4.3 SCAMBIO IONICO ..............................................................................................58

3.4.4.3.1 ADDOLCIMENTO DELL’ACQUA...............................................................58 3.4.4.3.2 DEIONINZZAZIONE .....................................................................................60

3.4.4.4 ADSORBIMENTO SU CARBONE ATTIVO......................................................61 3.4.4.4.1 CONTAMINAZIONE .....................................................................................62 3.4.4.4.2 INDICAZIONI SPECIFICHE PER I FILTRI CON........................................62 ADSORBIMENTO DI CARBONE ..................................................................................62 3.4.4.4.3 ESAURIMENTO E CONTROLLO ................................................................62

3.4.4.5 OSMOSI INVERSA ..............................................................................................62 3.4.4.5.1 PRINCIPIO OPERATIVO ..............................................................................63 3.4.4.5.2 PRETRATTAMENTO DELL’ACQUA..........................................................64 3.4.4.5.3 EFFICIENZA...................................................................................................64 3.4.4.5.4 PROCESSO DI PRODUZIONE DELLE MEMBRANE................................64 3.4.4.5.5 VARIE UNITÀ DI OSMOSI INVERSA ........................................................65 3.4.4.5.6 CONTROLLO .................................................................................................65 3.4.4.5.7 DURATE DELLE MEMBRANE....................................................................65 3.4.4.5.8 LIMITI .............................................................................................................66 3.4.4.5.9 DISINFEZIONE ..............................................................................................66 3.4.4.5.10 VANTAGGI E SVANTAGGI DELL’OSMOSI INVERSA.........................66

3.4.4.6 FILTRAZIONE......................................................................................................66 3.4.4.6.1 SCELTA DEI FILTRI .....................................................................................67 3.4.4.6.2 CONTAMINAZIONE .....................................................................................68

3.4.4.7 ULTRAFILTRAZIONE ........................................................................................68 3.4.4.7.1 CONTROLLI ...................................................................................................69

3.4.4.8 SOMMARIO..........................................................................................................69 3.4.4.9 FONTI DI ALLUMINIO IN PAZIENTI NEUROPATICI ...................................73

3.4.4.9.1 TRASFERIMENTO DELL’ALLUMINIO DURANTE LA DIALISI ...........73 3.4.4.9.2 TOSSICITÀ DELL’ALLUMINIO: MANIFESTAZIONI CLINICHE ..........73

3.4.4.10 PARAMETRI CHIMICI....................................................................................75 3.4.4.10.1 IL PH..............................................................................................................75 3.4.4.10.2 I MICROINQUINANTI CHIMICI................................................................76

3.4.4.11 PARAMETRI FISICI ........................................................................................77 3.4.4.11.1 LA CONDUCIBILITA’.................................................................................77

3.4.4.12 PARAMETRI BIOLOGICI ...............................................................................78 3.4.4.13 MISURE E METODOLOGIE...........................................................................79

3.4.4 MONITOR.................................................................................................................81 3.4.4.1 MONITORAGGIO DELLA SEDUTA DIALITICA DATO DALLA MACCHINA EMODIALIZZANTE......................................................................................81

3.4.4.1.1 CIRCUITO EMATICO....................................................................................81 3.4.4.1.2 CIRCUITO DIALIZZANTE ...........................................................................82

3.5 TRATTAMENTO DELL’ INSUFFICIENZA RENALE ACUTA IN UNITA’ DI CURA INTENSIVA ..................................................................................................................................82

3.5.1 INTRODUZIONE......................................................................................................82 3.5.2 NOMENCLATURA DELLE VARIE TERAPIE CONTINUE ................................83

3.5.2.1 ULTRAFILTRAZIONE CONTINUA LENTA (SCUF: SLOW CONTINUOUS ULTRAFILTRATION) .........................................................................................................84

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3.5.2.2 EMOFILTRAZIONE VENO-VENOSA CONTINUA (CVVH: CONTINUOUS VENOUS VENOUS HEMOFILTRATION )........................................................................84 3.5.2.3 EMODIALISI CONTINUA (CVVHD: CONTINUOUS VENOUS-VENOUS HEMODIALYSIS) ................................................................................................................85 3.5.2.4 EMODIALISI CONTINUA AD ALTO FLUSSO (CVVHFD: CONTINUOUS VENOUS-VENOUS HIGH FLUX DIALYSIS)...................................................................85 3.5.2.5 EMODIAFILTRAZIONE VENO-VENOSA CONTINUA (CVVHDF: CONTINUOUS VENOUS-VENOUS HEMODIAFILTRATION) ......................................86

3.6 ASPETTI FISICI E TECNICI DELLA DIALISI MONOAGO........................................87 4 MACCHINA PER EMODIALISI 4008 B.................................................................................90

4.1 STRUTTURA E FUNZIONE DELLE SINGOLE PARTI COMPONENTI LA MACCHINA..................................................................................................................................91 4.2 DESCRIZIONE DEI COMPARTO IDRAULICO..........................................................100 4.3 DESCRIZIONE DELLA PROCEDURA DI TRATTAMENTO....................................102

4.3.1 DIALISI CON USO DI BICARBONATO..............................................................102 4.3.1.1 MODALITÀ OPERATIVE .................................................................................102 4.3.1.2 CONCENTRATI PER DIALISI CON BICARBONATO ..................................102

4.3.1.3 LIQUIDO DI DIALISI PER DIALISI CON BICARBONATO .....................103 4.3.1.4 SICUREZZA DURANTE LA DIALISI CON USO DI BICARBONATO ........104

4.4 SISTEMA PROTETTIVO...............................................................................................106 4.5 DESCRIZIONE DEI CIRCUITO EMATICO EXTRACORPOREO.............................108

4.5.1 DIALISI AD AGO DOPPIO ...................................................................................109 4.5.2 DIALISI AD AGO SINGOLO (SISTEMA CLICK-CLACK)................................109 4.5.3 DIALISI AD AGO SINGOLO (SISTEMA OPZIONALE) .........................................110

4.6 FLUSSO EMATICO EFFETTIVO E VOLUME EMATICO CUMULATIVO.............112 4.7 DISINFETTANTI............................................................................................................112 4.8 POMPE PERISTALTICHE.............................................................................................113 4.9 POMPE A SIRINGA .......................................................................................................114 4.10 POMPE A INGRANAGGI..............................................................................................116 4.11 POMPA A MEMBRANA ...............................................................................................117

5 SEDUTA DIALITICA.............................................................................................................119 5.1 COSA SI FA’ QUANDO INIZIA UNA SEDUTA DIALITICA....................................119 5.2 COSA SI FA’ DURANTE LA SEDUTA DIALITICA ..................................................121 5.3 COMPLICANZE INTRADIALITICHE E RISOLUZIONI PRESCRITTE...................121

5.3.1 IPOTENSIONE........................................................................................................121 5.3.2 ARITMIE.................................................................................................................122 5.3.3 IPERTENSIONE .....................................................................................................122 5.3.4 CRAMPO MUSCOLARE .......................................................................................122 5.3.5 SINDROME DA SQUILIBRIO ..............................................................................122 5.3.6 REAZIONE DA IPERSENSIBILITÀ.....................................................................123 5.3.7 EMBOLIA GASSOSA ............................................................................................123 5.3.8 COAGULAZIONE DEL SANGUE NEL CIRCUITO EXTRACORPOREO........123 5.3.9 EMOLISI .................................................................................................................124 5.3.10 ROTTURA DEL FILTRO DIALIZZATORE.........................................................124 5.3.11 EMORRAGIA .........................................................................................................124 5.3.12 RICIRCOLO ............................................................................................................124

5.4 COSA SI FA’ ALLA FINE DELLA SEDUTA DIALITICA .........................................125 6 DATI SULLA DIALISI...........................................................................................................126 7 SICUREZZA E GESTIONE NEI SISTEMI BIOFEEDBACK ..............................................131 8 DEFINIZIONE DEI TERMINI ...............................................................................................134 9 ABBREVIAZIONI E SIMBOLI .............................................................................................136

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10 BREVE INTRODUZIONE SULLE UNITA’ DI MISURA CHIMICHE...........................136 11 CHE COSA SIGNIFICA CLEARANCE (RIMOZIONE)? ................................................137