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407 LA COMUNICAZIONE NEI MUSEI E NEI PARCHI: ASPETTI METODOLOGICI E ORIENTAMENTI ATTUALI * « Si potrebbe sostenere, con buone ragioni, che la “fruizione” delle ricer- che archeologiche da parte del grande pubblico non ha bisogno degli specialisti, bensì di buoni giornalisti, in grado di scrivere testi con un linguaggio accessibi- le, di abili registi o di architetti esperti dell’allestimento museale. In realtà, capiterà spesso all’archeologo di vedersi commissionati articoli per quotidiani e settimanali o di essere chiamato come consulente di documentari e per la realizzazione di musei. Chiunque si sia cimentato con una di queste attività sa quanto sia difficile trovare il modo di superare la barriera del linguaggio specia- listico per rivolgersi alla “gente”, tentando di evitare, allo stesso tempo, sia la banalizzazione che quella sottile forma di snobismo intellettuale che produce una divulgazione che è stata felicemente definita come “sottoprodotto del- l’erudizione” » (GUIDI 1994, p. 102). 1. La comunicazione in archeologia Nella mia esperienza di archeologo e in quella, attuale, di docente di museologia, uno dei temi che mi ha costretto più volte a riflettere è stata la difficoltà persistente di trasmettere informazioni tecniche ad un’utenza non specializzata. Tengo a sottolineare che non si tratta del trasferimento di informazioni in senso didattico: questa pratica, che richiede un lavoro specifico di proget- tazione culturale, è di solito finalizzata a migliorare la qualità e la quantità delle conoscenze, con percorsi di apprendimento pilotati da un insegnante. Le difficoltà emergono invece per tutte le occasioni in cui si debba attivare una semplice proposta di informazioni, in casi diversi (in un percor- so museale, in una mostra, in un parco) e su supporti disparati (di tipo carta- ceo, oppure informatico). In altri termini, si pone un problema generale di comunicazione dei dati: in questi anni ho cercato di “scarnificare” la materia, di riportarla alle sue dimensioni originarie, cercando di capire perché la comunicazione tecnica non funzioni o perché, al contrario, abbia successo. Il carattere sparso e non or- ganico della lezione che vi propongo, ne è in qualche modo la testimonianza. Vi sono alcune considerazioni da anticipare: quando si parla di “comu- nicazione” ci si riferisce ad uno scambio di segnali o messaggi, che avviene a * Questo testo riproduce con fedeltà quanto esposto nella lezione del 19/12/1997: ho preferito rielaborare la registrazione sbobinata da Simona Biondi, per mantenerne il tono colloquiale della lezione. Sono grato ad Enzo A. Becchetti, per il proficuo scambio di idee che ha avuto luogo nella discussione successiva e per i suggerimenti che amichevolmente mi ha fornito. Le fotografie e i grafici sono di mia realizzazione, se non altrimenti indicato. © 1999 Edizioni all’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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LA COMUNICAZIONE NEI MUSEI E NEI PARCHI: ASPETTI METODOLOGICI EORIENTAMENTI ATTUALI *

«Si potrebbe sostenere, con buone ragioni, che la “fruizione” delle ricer-che archeologiche da parte del grande pubblico non ha bisogno degli specialisti,bensì di buoni giornalisti, in grado di scrivere testi con un linguaggio accessibi-le, di abili registi o di architetti esperti dell’allestimento museale. In realtà,capiterà spesso all’archeologo di vedersi commissionati articoli per quotidianie settimanali o di essere chiamato come consulente di documentari e per larealizzazione di musei. Chiunque si sia cimentato con una di queste attività saquanto sia difficile trovare il modo di superare la barriera del linguaggio specia-listico per rivolgersi alla “gente”, tentando di evitare, allo stesso tempo, sia labanalizzazione che quella sottile forma di snobismo intellettuale che produceuna divulgazione che è stata felicemente definita come “sottoprodotto del-l’erudizione”» (GUIDI 1994, p. 102).

1. La comunicazione in archeologia

Nella mia esperienza di archeologo e in quella, attuale, di docente dimuseologia, uno dei temi che mi ha costretto più volte a riflettere è stata ladifficoltà persistente di trasmettere informazioni tecniche ad un’utenza nonspecializzata.

Tengo a sottolineare che non si tratta del trasferimento di informazioniin senso didattico: questa pratica, che richiede un lavoro specifico di proget-tazione culturale, è di solito finalizzata a migliorare la qualità e la quantitàdelle conoscenze, con percorsi di apprendimento pilotati da un insegnante.

Le difficoltà emergono invece per tutte le occasioni in cui si debbaattivare una semplice proposta di informazioni, in casi diversi (in un percor-so museale, in una mostra, in un parco) e su supporti disparati (di tipo carta-ceo, oppure informatico).

In altri termini, si pone un problema generale di comunicazione deidati: in questi anni ho cercato di “scarnificare” la materia, di riportarla alle suedimensioni originarie, cercando di capire perché la comunicazione tecnica nonfunzioni o perché, al contrario, abbia successo. Il carattere sparso e non or-ganico della lezione che vi propongo, ne è in qualche modo la testimonianza.

Vi sono alcune considerazioni da anticipare: quando si parla di “comu-nicazione” ci si riferisce ad uno scambio di segnali o messaggi, che avviene a

* Questo testo riproduce con fedeltà quanto esposto nella lezione del 19/12/1997: hopreferito rielaborare la registrazione sbobinata da Simona Biondi, per mantenerne il tonocolloquiale della lezione. Sono grato ad Enzo A. Becchetti, per il proficuo scambio di idee cheha avuto luogo nella discussione successiva e per i suggerimenti che amichevolmente mi hafornito. Le fotografie e i grafici sono di mia realizzazione, se non altrimenti indicato.

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condizione vi sia volontà di comunicare. È un processo con un proprio svol-gimento, consequenziale e coerente, come qualsiasi processo scientifico; inanalogia con altre attività umane, esso può essere perfettamente misurato: citengo a sottolinearlo, perché vedremo quanto sarà influente ai fini di detta-gliare meglio alcuni dei temi di oggi.

Cos’è la comunicazione? È uno scambio di segnali: non c’è attività co-municativa se la fonte è unilaterale, cioè la fonte emittente lancia un segnaleche non viene recepito.

La multilateralità del processo quindi è una condizione essenziale perattivare lo scambio. Mi limito, per ragioni di tempo, a contenere la lezione sudue forme di comunicazione: quella che viene proposta attraverso la scrittu-ra e quella delle immagini (con una propensione, naturalmente, a considera-re anche le forme “contaminate” dei due generi).

Nella comunicazione scritta, analizzeremo i problemi relativi alla tra-smissione e alla ricezione delle parole; nella comunicazione visuale il suppor-to è invece l’immagine; un terzo filone, sicuramente meritevole di esseresviluppato, al quale, tuttavia, si farà un cenno cursorio, è quello della comu-nicazione attraverso i sensi.

Un’ultima precisazione: anche e soprattutto nel settore della comuni-cazione, esiste il feedback (o verifica), cioè, in sintesi, la capacità di testarel’avvenuta ricezione delle informazioni trasmesse.

2. La comunicazione nei musei

I canali di un processo comunicativo sono stati spiegati e ricostruiticon la modellistica, che è di grande interesse: in particolare, è utile sottoline-are in questa sede gli aspetti correlati alla ricezione dell’informazione.

Un processo di comunicazione avviene tra due o più soggetti: le parti,in questa rielaborazione del classico modello di Shannon e Weaver, adattatoai nostri fini, sono costituite da una fonte emittente e da un destinatario, cherappresentano i due poli del processo (Fig. 1).

Il primo campo di esperienza, quello della fonte emittente (che ho in-dicato in sintesi come il campo degli specialisti, cioè, p.es., degli esperti nellamateria del museo o della mostra), codifica evidentemente una materia, unoggetto o semplicemente un’informazione, con un messaggio (o segnale) chevuole trasmettere all’altro campo di esperienza (quello degli utenti, da iden-tificarsi, p.es., con i visitatori del museo o della mostra).

Il campo di esperienza degli utenti non assume immediatamente il mes-saggio: lo deve prima decodificare attraverso gli strumenti della propria sen-sibilità ma soprattutto della propria esperienza cognitiva: se, p.es., il messag-gio proposto in un pannello museale sarà codificato attraverso un brano scrittoin lingua russa, si presuppone che, nell’ambito del campo d’esperienza degli

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utenti, chi dovrà procedere alla decodificazione del messaggio debba cono-scere e saper leggere la lingua russa.

Il processo è circolare, nel senso che il secondo campo d’esperienza,cioè il destinatario del messaggio, con una risposta permetterà al primo cam-po di esperienza di verificare la ricezione del segnale.

Il modello di Shannon e Weaver considera poi la presenza di fenomenisullo sfondo del processo, in grado di influenzare le condizioni di trasmissio-ne del messaggio: sono definiti come “rumore” e possono essere di tipo di-verso (le chiacchiere di un gruppo di persone che vi disturbano durante lalettura di un pannello dentro un museo, oppure un sole splendente e il profu-mo dei fiori che vi distolgono dalla lettura della segnaletica in un parco). Unrumore di fondo, tuttavia, può essere anche prodotto dai caratteri tipograficitroppo piccoli dei testi di un pannello o dalla lingua troppo tecnica deglistessi testi (HOOPER-GREENHILL 1994a; MORGAN, WELTON 1994; cfr., in gene-rale, REED 1989).

È interessante osservare come le ricerche nel campo della psicologiacognitiva abbiano tentato di spiegare le ragioni e i meccanismi dei processi dicomunicazione e quindi di apprendimento, sottolineandone la misurabilità:una conoscenza anche non specifica di tali meccanismi, come può essere quelladi chi parla, è tuttavia sufficiente a far scattare una serie di riflessioni inmateria di comunicazione museale. È ovvio che, per cercare soluzioni ad unproblema come questo, bisogna avere solide motivazioni di base: in qualitàdi fonte emittente dei messaggi, trovo che una delle migliori domande daporsi, in sede di progettazione di un sistema informativo museale, sia la seguen-te: “cosa voglio che resti della visita al museo, a chi ne fruisce?” (intervento diBecchetti e Lanciano, in questa sezione).

Fig. 1 – Un modello generale per il processo della comunicazione museale.

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3. Comunicazione e lingua funzionale

La psicologia cognitiva ha individuato una sorta di percorso strategicodell’informazione scritta (nella sua forma più elementare, che è quella alfabetica)durante l’acquisizione del testo con la lettura, fino al riconoscimento e allasua interpretazione (si rimanda qui in modo cursorio al modello di letturainterattiva, proposto da D.E. Rumelhart, in REED 1989): si può osservare comesiano operanti tutti quei meccanismi di riconoscimento della frase, innescatidall’accumulo di conoscenze ortografiche, sintattiche, lessicali e semantiche(che sono gruppi e sistemi di informazioni elaborate in precedenza), senza lequali non sarebbe possibile giungere all’interpretazione del testo (Fig. 2).

Con specifico riferimento all’ambito museale, si è dimostrato partico-larmente efficace l’uso del diagramma di Fry, che ha stabilito un nesso tra etàe capacità di lettura, attraverso un calcolo basato sul riscontro incrociato tranumero delle sillabe nelle parole e numero delle parole nelle frasi: la pruden-za che J. CARTER (1994) suggerisce nell’uso del test nel settore della comuni-cazione museale non toglie significato al fatto che esista una correlazionemisurabile tra la capacità di ricezione di un messaggio e la forma verbale incui esso è presentato (Fig. 3).

Vi sono poi test che consentono di calcolare il grado di leggibilità di untesto, per mezzo di un punteggio (come il test di leggibilità di R. Flesch,impiegato nell’esempio proposto infra, nelle Figg. 25-26): sviluppati nelmondo anglosassone, questi test sono diventati insostituibili guidelines per iredattori dei sistemi informativi dei parchi americani (con relativo softwaredi autocontrollo della scrittura) (ZEHR et al. 1994, p. 10).

Fig. 2 – Il modello della lettura interattiva proposto da D.E. Rumelhart (rielaborato da REED 1989).

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Fig. 3 – Il diagramma di Fry sul rapporto tra età e capacità di lettura: le linee tratteggiateindicano il limite dell’area di massima affidabilità del test (fonte: CARTER 1994).

L’uso del diagramma di Fry e del test di Flesch hanno dimostrato che,per quanto banale o scontato ciò possa apparire, la comunicazione con la scrittu-ra avviene con regole assolutamente codificate dai nostri registri sensoriali.

Il problema non è, almeno a livello di sistemi informativi museali, sol-tanto quello di scrivere parole con un numero inferiore di sillabe o frasi conun numero di parole controllato. Soprattutto nella lingua italiana, estrema-mente ricca e articolata nel lessico, esiste una tendenza a fare un uso preva-lente e quasi indiscriminato del linguaggio sviluppato nel proprio ambitoprofessionale, denominato “lingua funzionale” da Giacomo Devoto.

Il linguaggio professionale è, forse il più potente mezzo di autoreferen-za per un campo d’esperienza specialistico: attraverso il suo impiego corren-te si crea un codice di procedure accettato da tutti gli addetti ai lavori. Ètuttavia necessario graduarne e ridefinirne l’impiego, a seconda dell’applica-zione che si sta sviluppando (cfr., per es., le osservazioni e le raccomandazio-ni sull’uso dei differenti registri linguistici in MASONI 1995).

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Nel nostro settore in particolare, esiste una difficoltà quasi congenita anon trovare una forma calibrata e flessibile di impiego della lingua funzionale,che mette a rischio, in molti casi, il processo della comunicazione museale.

In una variazione al primo modello sulla comunicazione museale pre-sentato, si osservi come il canale attraverso il quale viene trasferito il messag-gio rischia di contrapporre, in fase rispettivamente di codifica e di decodificadel segnale, il campo d’esperienza emittente con quello ricevente, compro-mettendo tutto il processo di risposta e successivo feedback (Fig. 4).

4. Come viene recepito il messaggio archeologico?

La psicologia cognitiva ha anche sviluppato alcuni tracciati sulle moda-lità di ricezione del messaggio esterno da parte del cervello umano.

A questo proposito è particolarmente interessante sottolineare le fun-zioni della memoria, da tempo distinta in memoria a breve termine (MBT) ememoria a lungo termine (MLT). La prima è una memoria di lavoro: devetrattenere e sapere elaborare un’informazione il tempo necessario per l’azio-ne in corso (p.es., ricordare un numero telefonico in fase di composizionesulla tastiera) e deve combinare l’informazione proveniente dall’esterno conquelle già stoccate nella MLT, attraverso le fasi dell’apprendimento (Fig. 5).

La MLT dispone invece di un vero e proprio magazzino, che consenteil deposito ordinato e il ripescaggio delle informazioni; l’interazione tra ledue memorie è stata spiegata con una relazione continuamente riproposta eaggiornata tra esperienze in corso ed esperienze vissute, resa possibile dai

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chunks (traducibili come “associazioni” o meglio “raggruppamenti”).Un classico esempio: la sequenza di 6 lettere, mostrata a chi vi ascolta per

qualche secondo, sarà ripetuta con difficoltà, se richiesta dopo alcuni minuti,IARCBB

perchè verrà trattata dalla memoria di lavoro (MBT), che non ha ritenuto diconservarla a lungo. Se, invece, proporrete le stesse lettere ordinate in unasequenza diversa:

RAIBBCla capacità di ripetere l’ordine corretto sarà notevolmente incrementata dal-l’associazione delle lettere, che richiamano gli acronimi degli enti radiotele-visivi di stato italiano e britannico. La MBT, in questo caso, ha interagito conla MLT, che aveva già immagazzinato l’informazione relativa al significatodegli acronimi e ha ripescato l’informazione.

Conoscere alcuni aspetti del meccanismo della memoria umana puòessere chiaramente utile alla costruzione di un sistema informativo museale:una buona sollecitazione esterna, infatti, può attivare un fenomeno d’ap-prendimento che aiuterà a costruire un ricordo durevole nel tempo, sul qualeimpostarne altri.

Ma non basta: bisognerebbe anche valutare con grande attenzione lacapacità dell’oggetto (nel caso specifico, del reperto archeologico), di espri-mere significati e condizioni diverse a seconda dell’esperienza e del diversointeresse del visitatore (HOOPER-GREENHILL 1994b).

La potenziale “multicontestualità” dei reperti archeologici è una con-

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Fig. 6 – La “multicontestualità” dell’oggetto museale, nei suoi possibili significati(rielaborato da HOOPER-GREENHILL 1994b).

dizione eccezionale ai fini museologici, che viene raramente presa in consi-derazione (Fig. 6).

La capacità di esprimere significati diversi o molteplici è di solito tra-scurata, per costruire un sistema espositivo basato nella migliore delle ipotesisulla condizione del reperto, nell’ambito del contesto, al momento del ritro-vamento durante lo scavo archeologico (Figg. 7-12).

Una tendenza, p.es., che dovrebbe essere attenuata o addirittura evita-ta, per conseguire e mantenere un livello elevato di comunicazione dell’in-formazione, è l’allestimento delle vetrine in base ad un criterio crono-tipolo-gico dei reperti. Questo perchè evidentemente la chiave di lettura crono-tipologica è nota soltanto al campo d’esperienza degli archeologi e non aquello degli utenti del museo, a meno che non sia espressamente codificata.

Molteplicità e complessità delle funzioni e dei significati dei repertiinteragiscono con l’esperienza personale del visitatore, che potrebbe quindiattivare un processo di apprendimento delle informazioni basato sul rappor-to tra memoria di lavoro e memoria a lungo termine.

È interessante sottolineare come alcuni indirizzi museologici tentino dipraticare nuove strade nel settore dell’apprendimento scientifico, attraversoforme intensive di interazione con l’esperienza del visitatore.

I sistemi informativi di molti musei scientifici, infatti, hanno scelto laformula dell’interattività come chiave per sollecitare l’apprendimento.

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Figg. 7-12 – Sequenza di assemblaggio di vetrina espositore nel Centro Visita del Parco Archeologicodi Baratti e Populonia (Piombino, LI): la forma ripropone in scala 1:1 l’interno ed il contenutodella tomba 14 della necropoli ellenistica delle Grotte, rinvenuta intatta nel 1997 (scavi inconcessione Parchi Val di Cornia spa, direzione scientifica A. Romualdi). Le ultime due immaginipropongono la vetrina rispettivamente dall’angolo visuale di un adulto e di un bambino (ideazionee progetto: M. Calcinai e A. Zifferero; calco della tomba e scenografia: S. Bracci, D. e M. Calcinai,D. Morelli; realizzazione: Art Vetrina, Visignano di Cascina (PI).

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Bisogna dire che l’interattività si presta molto bene per illustrare so-prattutto i fenomeni della fisica e delle scienze naturali: meno bene (ma èancora tutto da verificare), per le scienze umane.

Un caso che vi propongo è quello del test effettuato dal Museum ofScience di Londra, per cercare di misurare il comportamento dei visitatori intermini di interesse per il sistema informativo interno. Il comportamentodegli utenti della mostra dedicata al bicentenario della nascita di M. Faradayè stato analizzato in base alla quantità di tempo (direttamente correlata ailivelli di interesse e marcata con retini progressivamente più scuri), trascorsatra i pannelli esplicativi (barre in nero nella planimetria), gli oggetti esposti(O nella planimetria) e gli esperimenti interattivi (H nella planimetria)(BICKNELL, MANN 1994) (Fig. 13).

È chiaro che siamo davanti ad un buon esempio di valutazione dell’in-teresse (feedback), costruito sulla risposta del visitatore.

5. Alcune applicazioni di scrittura comunicativa

Gli esempi che seguono vogliono tentare di mettere a fuoco alcuni pro-blemi comuni di carattere museologico, proponendo soluzioni operative.

È evidente, alla luce di quanto è stato detto sulle forme e sui canalidella comunicazione applicata ai sistemi informativi museali, che la ricerca diuno standard di definizione della comunicazione sia assolutamente necessa-ria e imponga delle scelte.

Questo perchè (e rimando al contributo di E. Genovesi nella sezioneII), è ormai ben noto (e spero che le osservazioni proposte qui sul valore esull’incidenza dei rispettivi campi d’esperienza possano far riflettere su comeil successo di un sistema informativo dipenda sostanzialmente dall’atteggia-mento del campo d’esperienza che lo progetta e lo realizza), sono ormai bennote le fasce di segmentazione dell’utenza, in termini di età e di livello cultu-rale. Come scegliere il target del nostro sistema informativo?

La scelta deve essere consapevole: esistono buone forme di mediazionedel messaggio, a seconda della combinazione tra età, stimolo all’apprendi-mento e livello culturale dell’utente.

Rimando ad alcuni progetti di pannelli, interessanti perchè ambivalen-ti, in quanto mirati alla fruizione di un pubblico adulto e in età scolare (inter-vento di E. Genovesi e Fig. 14). Anche nella ripartizione degli apparati illu-strativi di un pannello per una fruizione differenziata resta, tuttavia, il problemadella lingua, che deve seguire la stessa ripartizione. Come ottenere però unrisultato il più possibile omogeneo nel trattamento dei testi di un pannello?

La proposta che avanzo qui è l’impiego di uno strumento lessicale percerti aspetti “misurato”: il DAIC (Dizionario Avanzato dell’Italiano Corren-te), curato da T. De Mauro per i tipi di Paravia.

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Fig. 13 – Diagramma graduato dell’attenzione dei visitatori nell’esposizione per ilbicentenario della nascita di M. Faraday, allo Science Museum di Londra (fonte: BICKNELL,MANN 1994).

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Questo dizionario raccoglie circa 20.000 voci della lingua italiana, clas-sificate per mezzo di una particolare simbolistica in parole fondamentali (sono2.000 e costituiscono il 95% delle parole presenti nei testi della scuola del-l’obbligo: camminare, musica, profumo, frutto, campagna); parole di uso fre-quente (sono 3.000: p.es. obiettivo, farmacia, contante, cerchio, architettu-ra); parole strategiche (sono 1.500 e sono indispensabili per riferirsi a cose eazioni d’ogni giorno: aceto, forchetta, zuppa); parole chiave (sono 3.000 esono utili per orientarsi nella vita sociale e per una sempre maggiore padro-nanza della letteratura, della storia, della geografia, dell’arte, della matemati-ca, della geometria, delle scienze e di altri linguaggi specifici); parole di usocomune (sono 10.000).

Il DAIC ha un segmento di utenza individuato nella fascia superioredella scuola dell’obbligo (dagli 11 ai 15 anni) e si pone, evidentemente, comestrumento integrativo e ragionato nell’apprendimento della lingua italiana.

La proposta di impiegare il DAIC in qualità di piattaforma linguisticadi riscontro per la scrittura dei testi nasce dalla necessità di individuare un targetche raccolga, se possibile, più segmenti di utenza: una fascia riconoscibile nellivello culturale della scuola dell’obbligo è certamente un buon obiettivo.

Volendo diversificare ancora, tuttavia, è possibile ricorrere al DIB (Di-

Fig. 14 – Progetto per pannellature ripartite in settori per adulti e bambini, nel sito diMonte Bibele (fonte: VITALI, GOTTARELLI 1988).

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zionario italiano di base, sempre curato da T. De Mauro), che si rivolge aduna fascia di apprendimento della scuole elementari e quindi potrebbe essereutile per riscontrare testi da scrivere in modo ancora più semplice.

Un’applicazione possibile di questo procedimento è presentata nelletabelle 1 e 2, con la rielaborazione e la semplificazione del testo di un pannel-lo museale, attraverso un primo riscontro con il DAIC, una semplificazionesostanziale ed un nuovo riscontro del testo con il dizionario. Si noti che nellaversione finale è stata trasformata anche l’impostazione grafica del testo:

Tabella 1. Esempio di testo trascritto da un pannello museale di un museoitaliano (69 parole, ordinate in due frasi; carattere tipografico Times NewRoman, altezza 16, giustificato a destra).

“All’inizio del II sec. a.C. l’ingresso di strati subalterni nella società,forse attraverso la cooptazione, in alcuni casi, delle gentes della campagna,permette a questi ultimi di avere sepolture di una certa monumentalità anchese estremamente modeste, rispetto a quelle precedenti. È forse questo il caso dialcune delle piccole tombe a camera che si addensano intorno al grande ipogeodella tomba n.2, delle quali abbiamo già fatto menzione.”

Lo stesso testo analizzato con il DAIC:“All’inizio del II sec. a.C. l’ingresso di strati subalterni nella società,

forse attraverso la cooptazione, in alcuni casi, delle gentes della campagna,permette a questi ultimi di avere sepolture di una certa monumentalità anchese estremamente modeste, rispetto a quelle precedenti. È forse questo il casodi alcune delle piccole tombe a camera che si addensano intorno al grandeipogeo della tomba n.2, delle quali abbiamo già fatto menzione”.Chiave di lettura delle parole:

tondo = una delle 2.000 parole italiane fondamentalicorsivo = una delle 3.000 parole italiane di uso frequenteneretto = una delle 10.000 parole italiane di uso comunetondo sottolineato = parola non presente nel DAIC

Tabella 2. Proposta di modifica dello stesso testo, trattato con l’ausilio delDAIC (38 parole, raccolte in due frasi; carattere tipografico Arial, altezza 22,non giustificato a destra):

“Nel II secolo avanti Cristo, una parte della popolazione diventapiù ricca: molte famiglie, residenti nelle campagne, sono potenti comele famiglie cittadine.Questa ricchezza si osserva nelle tombe monumentali poste intornoalla grande tomba a camera 2.”Lo stesso testo analizzato con l’ausilio del DAIC:

“Nel II secolo avanti Cristo, una parte della popolazione diventa più

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ricca: molte famiglie, residenti nelle campagne, sono potenti come le fami-glie cittadine.

Questa ricchezza si osserva nelle tombe monumentali poste intornoalla grande tomba a camera 2”.Chiave di lettura delle parole:

tondo = una delle 2.000 parole italiane fondamentalicorsivo = una delle 3.000 parole italiane di uso frequenteneretto = una delle 10.000 parole italiane di uso comuneCome si può osservare, ammesso di avere colto il senso del messaggio

dell’ignoto (e criptico) autore, la rielaborazione testuale ha comportato lostesso numero di frasi, con un minor numero di parole. Nel testo originale,inoltre, la percentuale di parole non presenti nel DAIC è piuttosto elevata ene compromette l’interpretazione, da parte di un campo d’esperienza nonspecialista. Si noti anche la differenza nella proposta grafica del testo: il ca-rattere tipografico Arial (privo di apici e pedici), non giustificato, produce uneffetto di maggiore leggibilità del testo e di maggiore dinamicità dell’impagi-nazione, rispetto al carattere Times New Roman, giustificato a destra.

6. Alcune regole di scrittura

Si propongono di seguito alcune regole, perlopiù rielaborate dalla ma-nualistica anglosassone e adattate alla lingua italiana: sono utili per la produ-zione di qualsiasi testo nell’ambito dei sistemi informativi diretti a fasce diutenza indistinte (CARTER, HILLIER 1994; TRAPP et al. 1994; ZEHR et al. 1994;cfr. anche l’intervento di M. Gross in questa sezione):

1. Comporre frasi brevi, inserendo uno o al massimo due concetti in ciascunafrase; cercare di evitare troppe frasi subordinate (in particolare le parente-tiche), che appesantiscono il testo.

2. Preferire verbi attivi piuttosto che passivi: i verbi attivi rendono la frasepiù snella e l’informazione più diretta.

3. Preferire un tono colloquiale al tono più formale della comunicazionescritta (p.es., il tono della letteratura scientifica).

4. Evitare il più possibile il linguaggio funzionale (o di settore): anche se èdifficile, bisognerebbe sempre cercare di proporre un termine di facilecomprensione per un’utenza composta in grande maggioranza da non spe-cialisti (p.es., sostituire il termine “sito” o “insediamento”, con quello im-mediatamente comprensibile di “abitato”). Nei casi dove non si può pro-prio fare a meno di inserire un termine tecnico, è meglio farlo seguire dauna brevissima spiegazione tra parentesi.

5. Cercare di tradurre un concetto astratto in “immagini visibili”: p.es., anzi-ché “Tra il IV ed il III secolo a.C. Populonia detiene il primato della si-

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derurgia nell’area tirrenica”, è preferibile “Populonia è il più importantecentro di produzione del ferro nel Mediterraneo antico”.

6. È opportuno, per ordinare le informazioni nel pannello, adoperare il siste-ma del “testo gerarchico” (altrimenti detto “della regola 3-30-3”): il con-tenuto del pannello dovrebbe essere subito compreso dal titolo (tempo dilettura: 3 secondi); il messaggio centrale del pannello dovrebbe essere sin-tetizzato in un blocco di testo breve (non dovrebbe superare le 100-150 paro-le), articolato in 3 o 4 frasi, ciascuna non più lunga di 20-25 parole (tempo dilettura: 30 secondi); se vi è necessità di fornire ulteriori informazioni odettagli, è opportuno inserirle a corredo di illustrazioni o grafici, confunzione di didascalie (tempo occorrente di lettura: 3 minuti).È utile sottolineare che la brevità delle frasi (la lunghezza ideale è compre-sa tra le 10 e le 20 parole), aumenta in modo determinante la comprensi-bilità di un testo scritto.

7. Grafici e illustrazioni non hanno la funzione di ripetere l’informazione scrittanel pannello. Dovrebbero invece integrarla: p.es., se si descrive la forma diuna capanna protostorica nel testo, produrre nello stesso pannello la ricostru-zione della capanna offre molte più informazioni e spunti per il lettore chenon l’inserimento della planimetria dello scavo (senza contare le difficoltàche ha un lettore non addetto ai lavori nell’interpretare una planimetria).

8. Selezionare le informazioni: è utile ricordare che più del 90% di tutte leinformazioni ricevute nel corso di una giornata non entrano nella memo-ria a lungo termine (cioè non vengono immagazzinate nel cervello perpoter essere nuovamente utilizzate). Anche se in un pannello si desiderafornire un quadro più dettagliato possibile del tema o del problema de-scritto, bisogna considerare che il lettore occasionale ne ricorderà unaminima parte o non lo ricorderà affatto.È più opportuno, allora, scrivere il testo riflettendo su cosa vogliamo cheil lettore porti con sé del pannello: soltanto così si avrà un approccio me-todologico corretto per calibrare le informazioni di un testo scritto.

7. Comunicare con testo e immagini

L’immagine è un potente mezzo di trasmissione del messaggio cultura-le: nel sistema informativo di un museo o un parco, immagini ben organizza-te e strutturate possono incrementare di molto la capacità di comunicare icontenuti scientifici delle raccolte, dei monumenti e/o dei percorsi.

Ne diamo per scontata e fuori discussione la qualità grafica o fotografica,che deve essere sempre elevata; in questa sede è utile sottolineare alcuni aspettidel grado di elaborazione delle immagini, soprattutto ai fini di un’integrazioneottimale con i testi. Gli esempi seguenti non hanno la pretesa di essere esaustividegli argomenti trattati: possono, tuttavia, fornire alcuni percorsi di lavoro.

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Su qualsiasi supporto (anche informatico) venga fissata, un’immaginecomposita avrà capacità di contenere e trasmettere informazioni molto mag-giori di un’immagine unitaria. La necessità di accompagnare l’immagine conun testo scritto, inoltre, sarà inversamente proporzionale alla sua articolazio-ne: un’immagine composita avrà bisogno soltanto di buone didascalie.

Di solito, una sequenza visiva di qualità ha alle spalle uno storyboardbene impostato (Fig. 15).

Fig. 15 – La presenza dello storyboard nell’illustrazione archeologica: la tecnologia dellacottura della ceramica nell’età del bronzo (disegno di R. Merlo per il Museo della Ceramicadi Fiorano Modenese).

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Lo storyboard è la struttura di una storia, condensata in immagini: unasua caratteristica essenziale è, inoltre, la dimensione temporale.

L’esempio presentato qui può effettivamente tradurre meglio di molteparole, la capacità di raccontare la storia della formazione del deposito pale-ontologico di Swartkrans in Sudafrica, in relazione alla scoperta del cranio diAustralopithecus robustus (Fig. 16).

Diverso è invece il caso di immagini unitarie, che arricchiscono il testo:

Fig. 16 – L’importanza dello storyboard nell’illustrazione archeologica: sequenza diformazione del sito paleontologico di Swartkrans, in Sudafrica (fonte: SALZA 1989).

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Figg. 17-22 – Le prove dei pannelli del Centro Visita del Parco Archeologico di Baratti ePopulonia (Piombino, LI): l’immagine al centro, dominante nel progetto grafico, saràcompletata da didascalie esplicanti i particolari del disegno. I pannelli illustrano la siderurgiae le attività di cava populoniesi, la vita e il rito funebre nell’età del ferro (ideazione e progettografico: Paolo Donati; impaginazione e realizzazione: G. Breschi ed Edizioni Polistampa (FI).

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il compito dell’illustrazione dovrebbe sempre essere quello di integrare e ar-ticolare le informazioni, piuttosto che servire di commento, come si è dettoin precedenza (Figg. 17-22).

Si osservi come il successo del messaggio dipenda sempre da un buongrado di assimilazione tra testo e immagini, a prescindere dal supporto (ge-neralmente cartaceo o informatico) utilizzato.

Per la segnaletica o la pannellistica da utilizzare in esterno, il NationalPark Service statunitense ha sviluppato tipologie specifiche di indicatori, ri-spetto all’impiego richiesto: si osservi come siano studiati nella forma e nellafunzione, con un rapporto ottimale tra testo e immagini (intorno al 25% ditesto, rispetto al 75% per cento di immagini, in base all’esperienza di chiparla) (Figg. 23-24).

Gli esempi che si propongono sono di grande interesse perchè riprodu-cono alcuni aspetti della manualistica statunitense, che è legata all’ente fede-rale di gestione dei parchi, negli aspetti della progettazione e, naturalmente,della fruizione a diversi livelli.

In modo particolare è utile seguire il processo di valutazione di unpannello, attraverso un suo giudizio critico, che comporta un successivo, rin-novato assemblaggio delle informazioni e delle immagini (Figg. 25-26).

Fig. 23 – La comunicazione delle informazioni nei parchi statunitensi: forma e funzionedei wayside exhibits (fonte: National Park Service).

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Fig. 24 – Esempi di wayside exhibits e pannelli nei parchi statunitensi: contenuti e tipologie(fonte: National Park Service).

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Fig. 29-30 – 29. Un esempio di comunicazione efficace: la brochure degli Heritage Trails(GB) ha una pagina introduttiva realizzata attraverso un testo gerarchizzato. In alto asinistra, è sintetizzato il contenuto delle pagine; a destra, le finalità del progetto. Ledifferenze nella grandezza del carattere tipografico facilitano l’occhio ad impostare lasequenza di lettura della pagina (cortesia G. Binks); 30. Un esempio di comunicazioneefficace: la classificazione del pino marittimo nel regno vegetale; le immagini sostituisconocompletamente il testo scritto (fonte: D’ONOFRIO, PETRINI 1992).

Allo stesso modo, è utile considerare la possibilità di progettare e rea-lizzare depliants o piccole guide di qualità, impiegando gli stessi criteri cheabbiamo avanzato in precedenza (cioè un testo gerarchizzato, che renda beneevidente, su una base precostituita, che serve a quantificare le informazionida produrre, il messaggio da trasmettere) (Figg. 27-31).

Un esempio di booklet britannico, illustrante l’attività delle units ar-cheologiche afferenti al Museum of London, riesce a rendere un’idea di comele immagini unitarie di sezioni di scavo e stratigrafie interpretate, possanoessere elaborate all’interno di un quadro generale di raccordo, utile per espli-care caratteri e relazioni di siti urbani pluristratificati (fig. 32).

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Fig. 32 – Esempio di elaborazione di immagini per la spiegazione di stratigrafiearcheologiche (fonte: CHAPMAN 1986).

Fig. 31 – Un esempio di comunicazione efficace: il messaggio è chiaramente espresso in altoa sinistra, così come la fonte emittente (marchio del WWF); il rapporto tra testo e immagineè molto equilibrato (fonte: catalogo L’Italia dei Parchi; progetto grafico A. Candido & P.).

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Fig. 33 – Esempi di scenografie per ambientazioni di età medievale (fonte: catalogo ScenicRoute Ltd., York GB).

8. Comunicare con le persone e per le persone

La persona stessa è un ottimo mezzo di trasmissione delle informazio-ni: nel nostro Paese la comunicazione verbale viene di solito prodotta daguide specializzate: in altri paesi europei, il range di applicazioni è decisa-mente più esteso.

Partendo dai casi più semplici, soprattutto il mondo anglosassone hafatto ricorso ad ambientazioni e ricostruzioni di siti archeologici con veriapparati scenografici (Fig. 33).

La riambientazione e la ricostruzione affondano le proprie radici emotivazioni in quel fenomeno, tutto britannico e statunitense, che è l’inter-pretazione (interpretation) (per una definizione si rimanda all’intervento diM. Gross, in questa sezione e di N. Mills nella sezione III; cfr. anche BINKS etal. 1988; REGNIER et al. 1994; JAMESON 1997) (Figg. 34-35).

L’interpretazione è, in sostanza, una forma di organizzazione delle in-formazioni che valorizzi il luogo (uno scavo archeologico, un sito storico),attraverso un piano specifico di impiego delle risorse. È interessante osserva-re come un buon piano di interpretazione debba partire prima dell’indaginesul campo, al fine di indirizzarne gli interventi per trarne il massimo profittoin termini di fruizione (Fig. 36).

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Una forma più complessa di interpretazione avviene attraverso i figu-ranti, che di solito ripropongono un determinato ruolo del passato (archeo-logico, ma anche della storia recente), servendosi del modo di vestire, delmodo di esprimersi, fino alla riproduzione di processi tecnologici con copiedi utensili del periodo (Figg. 37-40).

È interessante osservare come in alcuni paesi europei, la necessità diinterpretare il passato sia stata alla base dello sviluppo di una delle specializ-zazioni più interessanti e ricche di sviluppi della nostra disciplina, l’archeolo-gia sperimentale (Figg. 41-45).

Parchi tematici come l’Archéodrome de Bourgogne e l’Archeon sonodiventati campi d’applicazione d’eccellenza degli archeologi sperimentali fran-cesi e olandesi (interventi di J. David e di G.F. IJzereef in questa sezione)(Figg. 46-48).

In Italia si sta invece affermando una tendenza a riproporre, mirandosoprattutto al target scolastico, alcuni momenti della vita sociale dell’antichi-tà: queste iniziative hanno il pregio di introdurre i partecipanti (che ne sonogli stessi protagonisti), nei problemi della ricostruzione scientifica degli eventi,con risultati talvolta spettacolari (Figg. 49-51).

Figg. 34-35 – 34. La copertina di Interpretation, bollettino del CEI (Centre forEnvironmental Interpretation, Manchester, GB); 35. La copertina di Common Ground,periodico del National Park Service statunitense per l’archeologia e l’etnografia.

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Fig. 36 – Diagramma per la realizzazione del piano per l’interpretazione di un sitoarcheologico (rielaborato da BINKS et al. 1988).

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Figg. 37-40 – Ingresso e ricostruzioni di ambienti di età vittoriana negli Ironbridge Gorge Museumsdi Blists Hill (Schropshire, GB).

Figg. 41-42 – Archeologia sperimentale: ricostruzione della fase di abbandono e distruzione di unacapanna dell’età del bronzo nel Parco Archeologico di Baratti e Populonia (Piombino, LI) (ideazionee progetto: F. Fedeli; realizzazione G. Alongi, F. Fedeli, D. Vichi).

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Figg. 43-44 – Progetto e realizzazione di laboratorio caseario dell’età del bronzo nelMuseo Civico Archeologico-Naturalistico “A. Klitsche de La Grange” di Allumiere (Roma)(ideazione: E. Genovesi; realizzazione: P. Pulitani).

Figg. 45-47 – Pino Pulitani all’opera con un tornio lento di sua costruzione: la fabbricazionedi vasellame etrusco (Progetto “Archeodromo dell’Etruria Meridionale”, Tolfa 1995; fotodi A. De Tommasi).

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Figg. 48-49 – Archeologia sperimentale all’Archéodrome de Bourgogne (cortesia J. David).

Fig. 50 – La planimetria dell’Archeon olandese (cortesia G.F. IJzereef).

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Figg. 51-53 – Rievocazione di cerimonie funebri etrusche (Progetto “Archeodromodell’Etruria Meridionale”, Tolfa 1993-1996; ideazione di F. Enei; foto di A. De Tommasi).

9. La risposta e la verifica (feedback)

Al termine del processo della comunicazione museale, la risposta delcampo d’esperienza dei visitatori viene verificata dal campo d’esperienza dichi ha emesso il messaggio: ciò dovrebbe avvenire in tutti quei casi in cui nonsoltanto si mira ad un controllo di qualità del servizio erogato, ma anche esoprattutto a cercare di migliorare il proprio approccio al processo comuni-cativo.

Penso infatti che nessun direttore di museo o parco desidererebbe sen-tirsi dire (o leggere su un questionario), che il visitatore non è stato interessa-to dai contenuti offerti o, peggio ancora, non ha capito nulla.

Certo è che nel nostro Paese non si è posta troppa attenzione nè alcontrollo di qualità, nè alla verifica del gradimento dell’utente, confidando(e a ragione, per certi versi), che i contenuti museali sorreggessero da soli idelicati passaggi della fruizione.

Questo è vero per casi eclatanti di opere d’arte (sarebbe ridicolo, p.es.,mettere un pannello esplicativo accanto alla Gioconda di Leonardo), ma nonè vero per la massima parte del patrimonio culturale italiano, che è costituito

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Fig. 54 – Foglio informazioni per visitatori (giovani/studenti) del Parco Archeominerariodi San Silvestro (Campiglia Marittima, LI).

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Fig. 55 – Foglio informazioni per visitatori (adulti) del Parco Archeominerario di SanSilvestro (Campiglia Marittima, LI).

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Figg. 56-57 – Elaborazione statistica dei dati raccolti attraverso i fogli informazioni deiparchi della Val di Cornia.

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da reperti oscuri, il più delle volte frammentati o scoloriti, da opere di quali-tà artistica medio-bassa, da lacerti di muratura e da edifici e chiese anonime.

In tutti questi casi è doveroso per il campo d’esperienza degli speciali-sti, mettere in condizione il campo d’esperienza degli utenti almeno di capirecosa hanno davanti a sè.

Senza contare il fatto che i migliori suggerimenti, in termini di idee,modifiche, o addirittura progetti da sviluppare vengono proprio da chi frui-sce della nostra struttura.

Elaborare questi dati con fogli informazioni consegnati insieme al bi-glietto d’ingresso, e richiesti in uscita oppure raccolti successivamente viaposta o fax, aiuta la struttura di gestione a mantenere un filo diretto conl’utente, per caratterizzarne sempre di più il profilo e per intuirne esigenze edesideri: l’esempio che propongo è quello del questionario elaborato per iParchi della Val di Cornia, attualmente in uso nel Parco Archeominerario diSan Silvestro e nel Parco Archeologico di Baratti e Populonia (Figg. 52-53).

I dati computati dai questionari del 1995 hanno costituito, da una par-te, una verifica sostanziale della qualità del servizio offerto ai visitatori, dal-l’altra una prima base per impostare i futuri piani di marketing della societàdi gestione (Figg. 53-54).

ANDREA ZIFFERERO*

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