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1 1 L’impresa etica e la responsabilità sociale Che cos’è un’impresa etica? In base a quali parametri è possibile valutare l’attività di un’impresa? Uno dei concetti più importanti che abbiamo sinora imparato è che l’obiettivo principale di chiunque svol- ga un’attività imprenditoriale è quello di conseguire il più elevato profitto possibile, cioè di massimizzare, attraverso un’opportuna combinazione delle risorse materiali, umane e finanziarie a sua disposizione, la differenza positiva tra i ricavi e i costi di produzione. Secondo tale impostazione, dunque, il parametro fondamentale sarebbe proprio il profitto, vale a dire la capacità dell’impresa di aumentare la ricchezza di coloro che hanno fornito all’impre- sa stessa il capitale necessario, cioè dei cd. shareholders. La teoria secondo la quale l’impresa deve rispondere del proprio operato ad un’unica ca- tegoria di soggetti, gli azionisti, affonda le sue radici nella concezione utilitaristica dell’economia tipica della scuola classica e di autori quali Smith e Ricardo, secondo i quali, come ormai sappiamo bene, le scelte dei singoli operatori economici, guidate esclu- sivamente dall’obiettivo del massimo guadagno personale e non ostacolate o vincolate dall’intervento esterno dello Stato, conducono ad una situazione socialmente ottimale, cioè al massimo utilizzo delle risorse e al pieno impiego della forza lavoro. La scuola classica, dunque, non nega il ruolo sociale delle imprese, vale a dire il fatto che esse abbiano una responsabilità non solo nei confronti di chi ha fornito loro il capitale ma anche della collettività, ma ritiene che esse assolvano automaticamente tale compito nel momento in cui perseguono i propri interessi; la ricerca del profitto, quindi, garantendo gli interessi degli azionisti, garantirebbe anche gli interessi dell’intera collettività (cresci- ta del reddito, piena occupazione ecc.). In epoca assai più recente, tale impostazione è stata sostenuta da un economista del calibro di Milton Friedman, secondo cui l’unica responsabilità sociale dell’impresa è la massimizzazio- ne del profitto (Capitalismo e libertà, 1962), poiché solo in tal modo si garantisce l’utilizzo ottimale delle risorse e la creazione di posti di lavoro, così da ottenere un impatto positivo sulla società civile, ed ha favorito l’elaborazione di teorie più sofisticate incentrate sulla necessità dell’impresa di creare valore per gli azionisti (cd. Shareholders Value Approach). In ogni caso, che si tratti semplicemente di ottenere il massimo profitto o, in modo più sofisticato, di creare valore, il concetto di base non cambia: la realizzazione degli obiet- tivi degli azionisti è la stella polare dell’attività dell’impresa e deve guidare il management nell’assunzione delle decisioni più importanti. L’idea secondo la quale ciò che fa felici gli azionisti fa felice automaticamente l’intera collettività ha cominciato ad essere messa seriamente in discussione negli Stati Uniti intorno agli anni ’30 del secolo scorso, quando le drammatiche conseguenze della grave crisi del 1929 e i tentativi (in buona parte riusciti) di scaricare i costi dei fallimenti finanziari sulle classi medie misero a nudo le inefficienze di un sistema basato in modo spinto sul libero mercato e, soprattutto, evidenzia- rono come gli obiettivi dei differenti gruppi sociali non fossero necessariamente convergenti. Il sostanziale fallimento delle teorie economiche liberiste, di impostazione classica e neoclassica, e il contemporaneo successo di quelle keynesiane, basate sulla necessità di un intervento diretto dello Stato nell’economia, finalizzato a realizzare una maggiore equità sociale anche attraverso politiche economiche redistributive del reddito e della ricchezza (il cd. Welfare State), mi- Shareholders: azionisti, soggetti che detengono (hold) una quota (share) del capitale di una società. Welfare State: insieme delle misure attraverso le quali lo Stato interviene direttamente in economia al fine di miglio- rare le condizioni di vita dei cittadini e di ridurre le disu- guaglianze sociali, garantendo servizi essenziali quali l’assistenza sanitaria, la previdenza e l’istruzione scolastica.

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1 L’impresaeticaelaresponsabilitàsociale

Checos’èun’impresaetica?In base a quali parametri è possibile valutare l’attività di un’impresa? Uno dei concetti più importanti che abbiamo sinora imparato è che l’obiettivo principale di chiunque svol-ga un’attività imprenditoriale è quello di conseguire il più elevato profitto possibile, cioè di massimizzare, attraverso un’opportuna combinazione delle risorse materiali, umane e finanziarie a sua disposizione, la differenza positiva tra i ricavi e i costi di produzione.

Secondo tale impostazione, dunque, il parametro fondamentale sarebbe proprio il profitto, vale a dire la capacità dell’impresa di aumentare la ricchezza di coloro che hanno fornito all’impre-

sa stessa il capitale necessario, cioè dei cd. shareholders.La teoria secondo la quale l’impresa deve rispondere del proprio operato ad un’unica ca-tegoria di soggetti, gli azionisti, affonda le sue radici nella concezione utilitaristica dell’economia tipica della scuola classica e di autori quali Smith e Ricardo, secondo i quali, come ormai sappiamo bene, le scelte dei singoli operatori economici, guidate esclu-sivamente dall’obiettivo del massimo guadagno personale e non ostacolate o vincolate dall’intervento esterno dello Stato, conducono ad una situazione socialmente ottimale, cioè al massimo utilizzo delle risorse e al pieno impiego della forza lavoro.La scuola classica, dunque, non nega il ruolo sociale delle imprese, vale a dire il fatto che esse abbiano una responsabilità non solo nei confronti di chi ha fornito loro il capitale ma anche della collettività, ma ritiene che esse assolvano automaticamente tale compito nel momento in cui perseguono i propri interessi; la ricerca del profitto, quindi, garantendo gli interessi degli azionisti, garantirebbe anche gli interessi dell’intera collettività (cresci-ta del reddito, piena occupazione ecc.).In epoca assai più recente, tale impostazione è stata sostenuta da un economista del calibro di Milton Friedman, secondo cui l’unica responsabilità sociale dell’impresa è la massimizzazio-ne del profitto (Capitalismo e libertà, 1962), poiché solo in tal modo si garantisce l’utilizzo ottimale delle risorse e la creazione di posti di lavoro, così da ottenere un impatto positivo sulla società civile, ed ha favorito l’elaborazione di teorie più sofisticate incentrate sulla necessità dell’impresa di creare valore per gli azionisti (cd. Shareholders Value Approach).In ogni caso, che si tratti semplicemente di ottenere il massimo profitto o, in modo più sofisticato, di creare valore, il concetto di base non cambia: la realizzazione degli obiet-tivi degli azionisti è la stella polare dell’attività dell’impresa e deve guidare il management nell’assunzione delle decisioni più importanti.L’idea secondo la quale ciò che fa felici gli azionisti fa felice automaticamente l’intera collettività ha cominciato ad essere messa seriamente in discussione negli Stati Uniti intorno agli anni ’30 del secolo scorso, quando le drammatiche conseguenze della grave crisi del 1929 e i tentativi (in buona parte riusciti) di scaricare i costi dei fallimenti finanziari sulle classi medie misero a nudo le inefficienze di un sistema basato in modo spinto sul libero mercato e, soprattutto, evidenzia-rono come gli obiettivi dei differenti gruppi sociali non fossero necessariamente convergenti.

Il sostanziale fallimento delle teorie economiche liberiste, di impostazione classica e neoclassica, e il contemporaneo successo di quelle keynesiane, basate sulla necessità di un intervento diretto dello Stato nell’economia, finalizzato a realizzare una maggiore equità sociale anche attraverso

politiche economiche redistributive del reddito e della ricchezza (il cd. Welfare State), mi-

Shareholders: azionisti, soggetti che detengono (hold) una quota (share) del capitale di una società.

Welfare State: insieme delle misure attraverso le quali lo Stato interviene direttamente in economia al fine di miglio-rare le condizioni di vita dei cittadini e di ridurre le disu-guaglianze sociali, garantendo servizi essenziali quali l’assistenza sanitaria, la previdenza e l’istruzione scolastica.

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sero dunque in primo piano la necessità di ripensare al ruolo sociale delle imprese e di ab-bandonare una concezione che privilegiava il solo interesse degli azionisti.Si trattava, in altri termini, di considerare l’impresa non più soltanto come una macchina per la produzione di profitti ma come parte integrante di un ambiente più ampio, costi-tuito da una pluralità di forze economiche, politiche e sociali che interagiscono con l’impresa stessa e nei cui confronti essa è responsabile. Occorreva mettere in discussione, quindi, l’idea per la quale l’impresa si fa carico di tali responsabilità nel momento stesso in cui tende alla realizzazione del profitto. Le drammatiche conseguenze sociali della crisi del 1929, l’aumento generalizzato dei livelli di inflazione e di disoccupazione causa-to dalla grave crisi petrolifera mondiale dei primi anni ’70, il comportamento spregiudi-cato di molti gruppi multinazionali che hanno sfruttato le risorse dei paesi più poveri senza contribuire al loro sviluppo, l’esplodere dei problemi ambientali e, soprattutto negli ultimi anni, il succedersi di scandali finanziari hanno dimostrato che le cose non stanno esattamente così e che la dimensione economica dell’attività delle imprese non può es-sere perseguita senza tenere conto dei suoi effetti sociali.Proprio in quanto parte di un contesto più ampio, non più limitato ai suoi azionisti, all’impresa si chiede oggi di essere etica, oltre che efficace ed efficiente. Il termine etica deriva dal greco éthos, che significa letteralmente consuetudine o costume sociale; l’impresa etica, dunque, è quell’impresa che, consapevole del proprio ruolo so-ciale, agisce nel rispetto di una scala di valori ampiamente condivisa all’interno dell’am-biente in cui opera.Sebbene questa nuova concezione del ruolo etico e sociale delle imprese abbia cominciato a diffondersi intorno agli anni ’30 del secolo scorso, è solo negli anni ’80 che essa ha ri-cevuto una vera e propria formalizzazione teorica, grazie alla teoria degli stackeholders elaborata da Robert Edward Freeman; gli stackeholders sono tutti quei soggetti che, in maniera più o meno diretta, sono portatori di interessi nei confronti dell’impresa, influen-zandone l’attività ed essendone nel contempo influenzati. Si tratta, com’è evidente, di una categoria molto ampia, nella quale rientrano sia coloro che sono in grado di esercitare una pressione diretta e immediata sull’attività dell’impresa (i cd. stackeholders primari, come i proprietari, i dipendenti, i fornitori, i clienti e i concorrenti) sia quei soggetti che, pur non interagendo quotidianamente con l’impresa, sono comunque in grado di influenzarne nel lungo termine i comportamenti, influendo ad esempio sul clima sociale e sul contesto generale in cui l’impresa si trova ad operare (i cd. stackeholders secondari, tra i quali rien-trano, ad esempio, i sindacati, le associazioni di consumatori, i mass media).Cominciava così a delinearsi il concetto di responsabilità sociale delle imprese (in in-glese Corporate Social Responsibility, CSR), secondo il quale la responsabilità dell’impresa assume una connotazione più ampia, non essendo più limitata alla necessità di garantire un profitto a coloro che forniscono il capitale ma dovendosi estendere alla tutela degli interessi di tutta una serie di interlocutori sociali con i quali l’impresa tesse una fitta rete di rapporti e di interazioni e che sono in grado, direttamente o indirettamente, di condi-zionarne le sorti. Il concetto di responsabilità sociale, dunque, comprende e nello stesso tempo va oltre il concetto stesso di etica; l’impresa socialmente responsabile è quell’impresa che, oltre a comportarsi eticamente, nel definire le proprie strategie e i propri codici di comportamen-to tiene conto non solo dei legittimi interessi dei suoi azionisti ma anche delle aspetta-tive di tutti i suoi stakeholders; proprio dalla corretta gestione di questa complessa rete e, dunque, dalla capacità di costruire un largo consenso sociale, realizzando il giusto equilibrio fra tutti gli interessi in gioco, dipende la sopravvivenza stessa dell’impresa e la possibilità di realizzare i suoi obiettivi.

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Quest’ultima considerazione ci permette di chiarire un possibile equivoco; dare una mag-giore importanza al ruolo etico e sociale delle imprese e alla loro responsabilità nei con-fronti di una vasta categoria di soggetti non vuol dire affatto mettere in secondo piano il profitto, che è e resta l’obiettivo principale dell’impresa, ma significa solo sottolineare come l’adozione di un comportamento socialmente responsabile costituisca oggi la con-dizione necessaria per ottenere un risultato economico soddisfacente. Curare la qualità e la sicurezza dei prodotti, promuovere eventi culturali o filantropici, preoccuparsi delle condizioni di lavoro dei propri dipendenti, adottare standard produtti-vi volti a ridurre le emissioni inquinanti, incentivare il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti tossici e, più in generale, aprirsi al dialogo con tutti i possibili interlocutori, significa per l’impresa acquisire consenso e legittimazione sociale, cioè gettare le basi di un successo duraturo. La responsabilità sociale, quindi, non deve essere considerata un costo ma un

investimento e, soprattutto, non va confusa con la filantropia, poiché nasce dalla consapevolez-za che gli obiettivi degli azionisti possono rea-

lizzarsi meglio in un contesto di relazioni armoniche con l’ambiente. Non c’è dunque alcun contrasto tra responsabilità sociale e profitto: la prima serve ad ottenere più facilmente il secondo.

Iprincipidell’impresasocialmenteresponsabile:lariduzionedell’im-pattoambientaleelatuteladeidirittideilavoratoriLa maggiore consapevolezza dell’importanza di assumere un comportamento etico e so-cialmente responsabile è il frutto della crescente attenzione dell’opinione pubblica nei confronti delle ripercussioni sociali dell’attività delle imprese. Tale attenzione si sta pro-gressivamente traducendo nella nascita di un nuovo tipo di consumatore, che potremmo definire critico, il quale sceglie i beni da acquistare in base non solo al prezzo e alla qua-lità ma anche a criteri ambientali e sociali, che tengono conto, ad esempio, delle moda-lità di produzione e di trasporto del bene, dei criteri di smaltimento dei rifiuti e, più in generale, delle caratteristiche etiche dell’impresa che lo produce.Se ogni bene prodotto o servizio erogato ha un peso sociale e ambientale, perché per produrlo sono state utilizzate risorse naturali, sono stati impiegati lavoratori, è stata consumata energia e prodotto inquinamento, allora l’obiettivo del consumatore critico è proprio quello di ridurre il più possibile tale peso, orientando i propri acquisti nei con-fronti di quelle imprese che dimostrano di avere un comportamento socialmente respon-sabile. È evidente che un’impresa che voglia continuare ad ottenere profitti non può non tenere conto di questo mutato atteggiamento. Ma, in concreto, che cosa vuol dire essere socialmente responsabili? Quali sono i parame-tri che i consumatori utilizzano per assegnare a un prodotto e ad un’impresa la patente di eticità?

Da un’indagine condotta da Eurisko (un istituto di ricerche di mercato) su un campione rappresentativo di consumatori risulta che un’impresa è considerata socialmente respon-sabile se:

• assicura che prodotti e processi non danneggino l’ambiente (82%);• tratta equamente i dipendenti e i collaboratori indipendentemente da sesso, razza,

religione, appartenenza politica (77%);• fornisce prodotti di buona qualità al prezzo più basso possibile (60%);• evita di testare i propri prodotti sugli animali (60%);• rispetta i diritti umani (55%);

Filantropia: amore spontaneo verso il prossimo, che porta ad operare per il suo bene.

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• si adopera per ridurre la differenza tra ricchi e poveri (46%);• contribuisce a risolvere problemi sociali come criminalità, povertà, analfabetismo (35%).

Nonostante le aspettative nei confronti delle imprese siano cresciute talmente tanto da arrivare a ricomprendere l’intera gamma dei problemi sociali, come possiamo notare dall’in-dagine appena citata, è tuttavia evidente che negli ultimi anni la sensibilità dell’opinio-ne pubblica si sia concentrata in modo particolare sui temi dell’impatto ambientale e della tutela dei diritti dei lavoratori. L’impatto negativo che l’attività di un’impresa ha sull’ambiente naturale che la circonda, sotto forma di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, è l’esempio più classico di quei costi sociali di cui l’impresa è oggi chiamata a rispondere e che abbiamo definito esternalità negative.Il problema della conservazione dell’ambiente e dell’utilizzo di fonti di energia pulite è salito prepotentemente alla ribalta con la crisi petrolifera dei primi anni ’70 e si pone oggi come uno dei problemi più preoccupanti per l’intera umanità, il che ha favorito il nascere e lo svilupparsi nell’opinione pubblica di una solida cultura ambientalista.

In quanto principali imputate dell’inquinamento del pianeta, le imprese stanno gradual-mente modificando il loro approccio ai problemi ambientali e cominciano a capire che comportarsi in modo tale da favorire la protezione dell’ambiente è oggi il modo migliore per dimostrare la propria responsabilità sociale, ad esempio:

• promuovendo la ricerca e l’utilizzo di fonti di energia pulite;• sperimentando e utilizzando nuove tecnologie che minimizzano l’utilizzo di materie

prime scarse;• impegnandosi a gestire in modo corretto il processo di creazione, gestione e smalti-

mento dei rifiuti;• sponsorizzando e partecipando a eventi volti alla promozione della tutela ambientale.

Si tratta di un tema talmente cruciale (ne va della sopravvivenza del pianeta) che in un futuro prossimo la stessa concorrenza fra imprese si giocherà soprattutto sulla capacità delle stesse di sviluppare tecnologie pulite e di produrre beni a basso impatto ambientale,per cui le imprese che inquinano troveranno sempre meno spazio nel mercato.L’altro tema all’ordine del giorno è la tutela dei diritti umani e, in particolare, dei dirit-ti dei lavoratori. Si tratta, anche in questo caso, di un tema particolarmente delicato e che investe la responsabilità sociale delle imprese per almeno due motivi.In primo luogo, le imprese sono sempre più consapevoli della necessità di gestire in modo adeguato le relazioni con una categoria fondamentale di stackeholders quali sono, appun-to, i dipendenti; favorire la crescita e la formazione del personale, migliorare le condizio-ni di lavoro e il livello di sicurezza, offrire servizi aggiuntivi ai dipendenti e alle loro fa-miglie (come asili nido, palestre e così via), prevedere forme di partecipazione attiva alle decisioni e ai processi innovativi, sono alcuni degli strumenti a disposizione delle impre-se per creare un clima interno sereno e coeso, condizione necessaria per aumentare la produttività dei lavoratori.In secondo luogo, la tutela dei diritti dei lavoratori ha assunto una crescente rilevanza esterna, cioè nei confronti dell’opinione pubblica, soprattutto in seguito ai numerosi casi che nel recente passato hanno visto coinvolte note multinazionali nell’utilizzo disinvolto della forza lavoro in paesi in via di sviluppo, tema quest’ultimo che appare quanto mai attuale in un’economia globalizzata (vedi la Lezione 2 del Percorso G), in cui le imprese dislocano i propri impianti produttivi in quelle aree del mondo in cui più bassi sono i costi del lavoro e minori le garanzie dei lavoratori. Uno dei casi più noti ha riguardato

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alcuni anni fa la Nike, importante azienda operante nel settore delle calzature e dell’ab-bigliamento sportivo, finita nell’occhio del ciclone a causa di un uso non corretto della manodopera e di comportamenti considerati non socialmente responsabili; inoltre, un’in-chiesta giornalistica svelò che i palloni venduti da alcune importanti aziende, tra le quali la Nike, venivano prodotti in un distretto industriale del Pakistan dove lavoravano come cucitori quasi diecimila bambini. La vicenda creò ovviamente una grave danno all’immagine dell’azienda, che ammise una parte delle violazioni contestatele e cominciò da allora ad avviare politiche socialmente responsabili (come l’adozione di un codice di condotta).