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255 2/2012 Sensibilità comuni, uso della comparazione e convergenze interpretative: per una Methodenlehre unitaria nella riflessione eu- ropea sul diritto dei gruppi di società [*] Vincenzo Cariello SOMMARIO: 1. Le tesi oggetto di dimostrazione. – 2. Permanente importanza (sebbene non più centralità e- sclusiva) del diritto tedesco dei gruppi. – 3. Sostanziale ripiegamento della prospettiva di armonizzazione del diritto generale dei gruppi. – 4. Uso interpretativo del diritto comparato e convergenze spontanee dei diritti nazionali dei gruppi. – 5. Uso interpretativo del diritto comparato e dogmatica giuridica (cenni). – 6. Disciplina dell’attività di direzione e coordinamento tra specialità e generalità. – 7. Principi di corrretta ge- stione societaria e imprenditoriale. – 8. Interesse di gruppo. – 9. Segue. Interesse di gruppo e crisi nel gruppo (cenni). – 10. Segue. Interesse di gruppo e tecnica dei vantaggi compensativi. – 11. Tre proficue prospettive di uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi. – 12. Segue. Diritto tedesco. – 13. Se- gue. Diritto francese. – 14. Segue. Diritto angloamericano. – 15. Alcune “assonanze” nel diritto italiano. – 16. Conclusione (con una postilla sulla necessaria libertà di pensiero del chierico della scienza). 1. Le tesi oggetto di dimostrazione. – Mi propongo di dimostrare che: (i) nei tempi correnti, il diritto generale dei gruppi è uno dei settori del diritto societario nei quali più fecondo si può rivelare il c.d. uso interpretativo del diritto comparato; (ii) l’uso interpretativo del diritto comparato può funzionare come strumento per promuove- re, confermare e/o rafforzare una convergenza delle esperienze nazionali nella materia, vera al- ternativa alle ormai depotenziate, al di là di contrari proclami e attestazioni, istanze di effettiva armonizzazione generale; (iii) esistono concreti ed eclatanti esempi di una già avvenuta ovvero in atto convergenza dei diritti giurisprudenziali idonea a spianare la strada a un consapevole e non occultato uso in- tepretativo del diritto comparato dei gruppi. 2. Permanente importanza (sebbene non più centralità esclusiva) del diritto tedesco dei gruppi. Nel diritto dei gruppi – la citazione è tratta dal Forum Europaeum sui gruppi di so- [*] Versione integrale della relazione svolta al Convegno Temi e problemi attuali di diritto societario internazionale, eu- ropeo, interno e comparato, Bertinoro, 24-26 maggio 2012. Il testo, volutamente, conserva modalità espositive tipiche di una relazione, privilegiando, per il taglio prettamente comparatistico, l’analisi di esperienze straniere.

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Sensibilità comuni, uso della comparazione e convergenze interpretative: per una Methodenlehre unitaria nella riflessione eu-ropea sul diritto dei gruppi di società [*]

Vincenzo Cariello

SOMMARIO: 1. Le tesi oggetto di dimostrazione. – 2. Permanente importanza (sebbene non più centralità e-sclusiva) del diritto tedesco dei gruppi. – 3. Sostanziale ripiegamento della prospettiva di armonizzazione del diritto generale dei gruppi. – 4. Uso interpretativo del diritto comparato e convergenze spontanee dei diritti nazionali dei gruppi. – 5. Uso interpretativo del diritto comparato e dogmatica giuridica (cenni). – 6. Disciplina dell’attività di direzione e coordinamento tra specialità e generalità. – 7. Principi di corrretta ge-stione societaria e imprenditoriale. – 8. Interesse di gruppo. – 9. Segue. Interesse di gruppo e crisi nel gruppo (cenni). – 10. Segue. Interesse di gruppo e tecnica dei vantaggi compensativi. – 11. Tre proficue prospettive di uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi. – 12. Segue. Diritto tedesco. – 13. Se-gue. Diritto francese. – 14. Segue. Diritto angloamericano. – 15. Alcune “assonanze” nel diritto italiano. – 16. Conclusione (con una postilla sulla necessaria libertà di pensiero del chierico della scienza). 1. Le tesi oggetto di dimostrazione. – Mi propongo di dimostrare che: (i) nei tempi correnti, il diritto generale dei gruppi è uno dei settori del diritto societario nei

quali più fecondo si può rivelare il c.d. uso interpretativo del diritto comparato; (ii) l’uso interpretativo del diritto comparato può funzionare come strumento per promuove-

re, confermare e/o rafforzare una convergenza delle esperienze nazionali nella materia, vera al-ternativa alle ormai depotenziate, al di là di contrari proclami e attestazioni, istanze di effettiva armonizzazione generale;

(iii) esistono concreti ed eclatanti esempi di una già avvenuta ovvero in atto convergenza dei diritti giurisprudenziali idonea a spianare la strada a un consapevole e non occultato uso in-tepretativo del diritto comparato dei gruppi.

2. Permanente importanza (sebbene non più centralità esclusiva) del diritto tedesco dei gruppi. – Nel diritto dei gruppi – la citazione è tratta dal Forum Europaeum sui gruppi di so-

[*] Versione integrale della relazione svolta al Convegno Temi e problemi attuali di diritto societario internazionale, eu-ropeo, interno e comparato, Bertinoro, 24-26 maggio 2012. Il testo, volutamente, conserva modalità espositive tipiche di una relazione, privilegiando, per il taglio prettamente comparatistico, l’analisi di esperienze straniere.

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cietà del 1998 [1] –, l’esame del proprio ombelico, come avviene in molti stati dell’UE da parte di alcuni dei (là considerati) principali giuristi, è cosa del XX secolo; in passato, quando vigeva il diritto comune in Europa, si era già molto più avanti [2].

Che il diritto dei gruppi di società sia, per usare le parole di K. Hopt [3], uno dei (sei) temi principali del diritto comparato delle società è affermazione non difficilmente verificabile. Co-sa si debba comparare, come fare uso della comparazione e dove essa conduca, viceversa, è in-terrogativo ricco d’implicazioni, di vario genere: di politica del diritto, metodologiche, inter-pretative, applicative.

Da più parti si osserva che il ruolo dell’esperienza tedesca non deve essere più sopravvalu-tato. Sempre K. Hopt ha scritto, sono solo 3 anni fa, che il diritto tedesco dei gruppi di società «non è più un articolo da esportazione» [4].

Oggi, nella stessa Germania, è difficilmente contestabile l’impietosa sentenza emessa da Karsten Schmidt [5]: l’edificio di un diritto del gruppo di imprese non è rintracciabile nel dirit-to azionario. M. Lutter parlava di «diritto dei gruppi incompiuto» [6]. Non è identificabile un progetto di costruzione, solo un’armatura e regole statiche.

I singoli diritti nazionali sono troppo avanti nella riflessione per potere accettare, non senza rigetto, e comunque non senza discutere e procedere a revisioni, l’imposizione e la predomi-nanza dell’esperienza tedesca. A mio avviso, però, essa resta di continuo orientamento, se non nelle soluzioni (o in tutte le soluzioni), nell’emersione e messa a fuoco di diversi e significativi problemi, teorici e applicativi, che agitano la materia. Semmai, è indiscutibile che l’esperienza tedesca non si atteggia più quale unica in grado di forgiare soluzioni e innescare riflessioni de-stinate a circolare nel panorama continentale, e non solo, assumendo valenza paradigmatica. Difetta, attingendo alla fraseologia della materia, una direzione unitaria tedesca del diritto dei gruppi.

3. Sostanziale ripiegamento della prospettiva di armonizzazione del diritto generale dei

gruppi. – Un secondo dato, sempre di partenza, appare agevolmente accertabile: la diffusa, progressivamente emergente convinzione, a prescindere e nonostante affermazioni di segno opposto, della non fattibilità, futura, di una Vollharmonisierung del diritto dei gruppi [7]. Pure,

[1] Forum Europaeum dei gruppi di società per l’Europa: ZGR, 1998, 672 ss.; Rev. soc., 1999, 43 ss. e 236 ss.; Rev. der. merc., 1999, 445 ss.; Eur. Bus. Org. L. Rev., 2000, 165 ss.; Riv. soc., 2001, 341 ss.; su cui v., ad esempio, HOPT, Kon-zernrecht für Europa – Zur Diskussion um die Vorschläge des Forum Europaeum Konzernrecht, in Aufbruck nach Europa, 75 Jahre Max-Planck-Institut für privatrecht (Tübingen, 2001), 17 ss.

[2] HOPT-WYMEERSCH, “Key Problems of Company Law and Corporate Governance in Europe – Introductory Remarcks on the Meeting of Friends of the Hamburg Max Planck Institue, June 12, 2004”, RabelsZ, 2005, 614, classificano proprio la materia dei gruppi come una dei key company law topics da non trattare nella (esclusiva) prospettiva del singolo paese, ma in chiave (necessariamente) europea.

[3] HOPT, “Droit comparé des sociétés – Quelques réflexions sur l’actualité et les èvolutions comparées du droit alle-mand et du droit français des sociétés”, Rev. soc., 2009, 318 s.

[4] HOPT (supra, n. 3), 318. [5] SCHMIDT, “Das Recht der Mitgliedschaft: Ist “korporatives Denken” passé?“, ZGR, 2011, 129. La riflessione parte da

lontano: per una tappa fondamentale nell’esplicazione del pensiero dell’Autore, SCHMIDT, Konzernunternehmen, Unter-nehmensgruppe und Konzern-Rechtsverhältnis – Gedanken zum Recht der verbundenen Unternehmen nach §§ 15 ff, 291 ff. AktG –, in Festschrift für M. Lutter zum 70. Geburstag (Köln, 2000), 1167 ss.: v. anche citazioni successive.

[6] LUTTER, Das unvollendete Konzernrecht, in Festschrift für K. Schmidt zum 70. Geburstag (Köln, 2009), 1068 ss. [7] ACKERMANN, Vollharmonisierung im Gesellschaftsrecht, in GSELL-HERRESTHAL (Hrsg. von). Vollharmonisierung im Pri-

vatrecht, l (Tübingen, 2009), 273 ss.

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e ancora prima, non è difficile constatare [8] che, per il passato e il presente, lo stesso diritto dei gruppi risulta essere una delle aree non armonizzate del diritto societario europeo [9].

La tendenza di politica del diritto pare essere quella di superare l’assenza di armonizzazione generale del diritto dei gruppi tramite l’affermazione di una armonizzazione di principi [10]. Tendenza che però, a sua volta, s’imbatte in ostacoli e oppositori in particolare in Germania, anche a livello politico: basta leggersi la netta presa di posizione contraria alle proposte conte-nute nel Green Paper del 5 aprile 2011 espressa dal Deutsche Bundestag nella seduta del 6 lu-glio 2011.

Che quando l’armonizzazione tocca la materia dei gruppi diventi difficile partire da esigen-ze ampiamente condivise in materia appunto di armonizzazione legislativa – si badi, non di so-luzioni convergenti – lo dimostrano, solo per fare un ulteriore esempio, le risposte offerte al documento di consultazione dell’EC Internal Market and Services sulla creazione di un fra-mework europeo della gestione delle crisi, in relazione alla parte del documento concernente i trasferimenti infragruppo quale strumento di prevenzione dei dissesti bancari [11].

Vi è di più: sono fermamente convinto che anche nelle domande, che sono ciclicamente og-getto, da decenni, di consultazioni, circa l’opportunità, la necessità, l’auspicio di una vera e completa armonizzazione del diritto dei gruppi (ancora da ultima, la consultazione lanciata il 20 febbraio 2012 sul futuro del diritto societario europeo – IX, 19 –, chiusasi il 15 maggio 2012) si annidi in realtà la convinzione (o la rassegnazione) che la prospettiva di armonizza-zione sia da tempo tramontata o non più realisticamente praticabile.

Così che il titolo di un saggio di otto anni fa dello spagnolo José Miguel Embid Irujo [12], reso in forma di affermazione, oggi sarebbe proponibile, più realisticamente, sotto forma di in-terrogativo, anche se ferma resta l’affermazione iniziale per cui l’hard core del dibattito non ha ancora trovato una risposta conclusiva soddisfacente [13].

La netta impressione è che il diritto dei gruppi e i suoi studiosi paiono, d’improvviso, essere

[8] LUTTER-BAYER-SCHMIDT (Hrsg. von) Europäisches Unternehmens– und Kapialmarktrecht, 5. Aufl. (Berlin, 2012), 143 ss. («nicht „europäisiert“ ist auch der weite und schwierige Bereich der verbundenen Unternehmen»); CAHN-DONALD, Comparative company law (Cambridge, 2010), 675 ss.

[9] Sempre più diffuso il dissenso sull’armonizzazione sovranazionale a fronte del crescente consenso (v. anche dopo) sulla convergenza nazionale: cfr. FLECKNER, Europäische Gesellschaftsrecht, in Festschrift für Klaus J.Hopt zum 70. Gebur-stag (Berlin, 2010), Bd. I, 672 ss.; e v. già LÜBKING, Ein einheitlisches Konzernrecht für Europa (Baden-Baden, 2000); prima: SLAGTER, “Einheitlisches Konzernrecht in Europa?”, ZGR, 1992, 401 ss.; v. pure la presa di posizione del High Level Group of Company Law Experts, che nel 2000 si espresse contro una complessiva legge europea sui gruppi, preferendo l’approccio settoriale. Di armonizzazione (rectius, unificazione) del diritto dei gruppi non si può certo propriamente parla-re con riferimento agli artt. 32-36 del Regolamento CE n. 2157/2001 sullo Statuto di SE.

[10] All’inizio e sullo sfondo resta sempre la certezza che, anche oggi, dopo diverso legiferare (pure nel nostro diritto) e molto decidere (dei giudici dei diversi paesi), il gruppo non sembra (ancora) potersi costringere entro confini (del tutto) tranquillanti [per dirla con le parole di MIGNOLI, I quarant’anni della Rivista (Ricordo di Bruno Visentini – Le battaglie della Rivista – I problemi dei gruppi di società), in I gruppi di società. Atti del Convegno internazionale di studi, Venezia, 16-17-18 novembre, I (Milano, 1996), 11)].

[11] DG Internal Market and Services Working Document, Technical details of a possible EU framework for bank reco-very and resolution, http://ec.europa.eu/internal_market/consultations/docs/2011/crisismanagement/consultationpaperen.pdf, consultazione chiusa marzo 2011; LAMANDINI, A margine dei lavori preparatori della Commissione per un EU Framework for crisis Management in the financial sector: problemi vecchi e nuovi in tema di gruppi bancari in crisi, in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger (Milano, 2011), 881 ss.

[12] IRUJO, “Searching for a Law of Groups in Europe”, RabelZ 2005, 723 ss. [13] Le risposte ad alcuni bisogni di tutela restano del tutto insoddisfacenti, anche nei diritti a più evoluta formazione:

alludo, tra gli altri, alla tutela della capogruppo, nonché dei suoi creditori e soci. Perlatro, come notava già il Forum Euro-paeum nel 1998 (§§ III.1 e III. 2), il caso Metalgesellschaft e della sua controllata americana MG Corporation (1993-1994) ha evidenziato rischi derivanti per le “madri “ da “figlie” che operano in altri Paesi.

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doppiamente orfani: del padre (il diritto tedesco, nella sua funzione maieutica e di orientamen-to) e di madre (l’armonizzazione).

In ogni caso, il ripiegamento, il ridimensionamento ovvero addirittura (da parte dei più) il ripudio dell’armonizzazione dei diritti nazionali dei gruppi non elimina la questione, che è di vertice, delle strategie e degli strumenti di regolamentazione comune dei gruppi di società.

4. Uso interpretativo del diritto comparato e convergenze spontanee dei diritti nazionali

dei gruppi. – In questo scenario assai sinteticamente rappresentato delle tendenze regolative del fenomeno, il diritto europeo dei gruppi di società si continua a porre (anche) attualmente domande epocali. Riprendendo il titolo di un recentissimo saggio [14], ci si deve interrogare di nuovo su quali siano le questioni future della ricerca e riflessione sul diritto dei gruppi.

La tesi centrale che oggi vorrei perorare è così ancora meglio precisabile: il progresso delle idee e delle soluzioni in materia di diritto dei gruppi può avvenire prevalentemente rivitaliz-zando e rinvigorendo, sul piano metodologico, il c.d. uso interpretativo del diritto comparato.

Anche per il diritto generale dei gruppi, in prospettiva, pare davvero che alla scelta dell’armonizzazione sovranazionale vada nei fatti sostituendosi e possa essere sostituita la convergenza dei diritti nazionali, nella tensione anche delle diverse fonti di produzione, es-senzialmente tramite la c.d. circolazione diretta delle idee giuridiche [15]. È percepibile e isolabile una tendenza sempre più sviluppata a elaborare, anche nel diritto dei gruppi, degli Universalwerkzeuge che garantiscano applicazioni di soluzioni uniformi per macro problemi generali

In questa direzione, l’uso interpretativo del diritto comparato, al di là della sua teorizzazio-ne, può essere praticato e produrre effetti di soluzioni convergenti ma pure di soluzioni diver-genti [16], idonee a provocare anche l’emersione di diverse sensibilità nell’enucleazione dei problemi rilevanti. Le stesse soluzioni poi vanno misurate sull’analogia nella regolamentazione degli assetti di interessi, sulla possibilità che la soluzione di diritto coincida sebbene ottenuta con regole specifiche diverse ma in fondo ispirate a e da stessi principi.

I legislatori nazionali, pure in quei paesi dove esistono discipline cc.dd. generali di gruppi, possono anche restare ai margini di questo processo senza che esso risulti per questo esposto all’insuccesso. Tutto ciò riflesso della circostanza che vede l’uso del diritto comparato, come ci

[14] VEIL, Zukunftsfragen der Konzernrechstforschung, in Begegnungen im Recht. Ringvorlesung der Bucerius Law School zu Ehren von Karsten Schmidt anlässlich seines 70. Geburstag (Tübingen, 2012), 45 ss. Per la retrospettiva stori-ca, eccettuando i più recenti sviluppi, non posso che rimandare a ALTMEPPEN, Die historische Grunglagen des Konzer-nreschts, in Aktienrecht im Wandel, Bd. II, Grundsatzfragen des Aktienrechts, Hrsg. von W. Bayer-M.Habersack (Tübin-gen, 2007), 1027 ss.

[15] JUNG, “Versus une convergence des droits allemand et français des sociétés?“, R.I.D.C., 2008, 874 ss. Nel con-tempo, è anche attendibile osservare che l’uso interpretativo del diritto comparato forse può essere favorito non più solo o tanto dal richiamo alla circolazione, ma dal fenomeno della c.d. frammentazione (la categoria sociologica corrispondente a tutti nota è quella della liquidità: Z. Baumann) della classificazioni legali. Per una riflessione sintetica, ma parimenti sti-molante, v. KOSKENNIEMI, Legal Fragmentation(s). An Essay on Fluidity and Form, in Soziologische Jurisprudenz. Festschrift für G. Teubner zum 65. Geburstag (Berlin, 2009), 795 ss.

[16] Talvolta, in prospettiva esattamente ribaltata, si guarda al diritto comparato per distinguere l’istituto di diritto in-terno da istituti analoghi ma non identici, in questo modo connettendo alla differenza la preclusione per soluzioni altrove accolte: si pensi, esaminando la recente giurisprudenza italiana, al confronto tra accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis legge fall. e Prepackaged Plan statuninese quale modalità operativa-applicativa ai sensi del Chapter 11: cfr. ad esempio Trib. Bologna, 15-17 novembre 2011, www.ilcaso.it; Trib. Piacenza, 23 giugno 2009, ivi; Trib. Novara, 2 maggio 2011, ivi.

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ricorda Marcus Lutter, tradotto non solo nell’esame delle disposizioni di altri paesi, bensì delle loro dottrine e giurisprudenze [17].

Chiarisco subito che la mia forte propensione a incoraggiare un uso interpretativo del diritto comparato da parte anche dei giudici, se, da un lato, impone una salto formativo e culturale de-gli stessi giudici; dall’altro, sottintende la ferma convinzione di una perpetuità di valore meto-dologico, sebbene tramite una necessario ripensamento culturale, del diritto comparato; dall’al-tro ancora, non intende affatto risultare, in ragione dell’auspicio del suo impiego da parte ap-punto della giurisprudenza pratica, una perorazione acritica della via giudiziale alla trasforma-zione dei diritti nazionali, sentendomi anzi io da tempo assai vicino alle (forse non più troppo di moda) posizioni scettiche tarelliane [18].

Piuttosto, ritengo che questo scetticismo – che trova corrispondenza, pure in altre esperien-ze, nella posizione di coloro che sbarrano la strada all’uso interpretativo del diritto comparato, radicalizzando l’approccio culturale di chi assume che «il compito del giudice nazionale non è di impiantare nel suo sistema elementi di un altro sistema giuridico» [19], con prospettiva che trova una solido appiglio anche nelle disposizioni di diritto internazionale privato e nel connes-so dibattito teorico (v. anche dopo), le quali vincolano il giudice a interpretare il dirittto stra-niero secondo i canoni suoi propri – potrebbe essere vinto proprio da un parallelo serio ripen-samento dei giudici sul loro ruolo di artefici dei mutamenti interpretativi, da promuovere svi-luppando una maggiore, più consapevole conoscenza del diritto comparato [20].

[17] LUTTER, “Die Auslegung angeglichen Rechts“, JZ, 1992, 604. [18] Vicinanza propiziata da una rilettura, a sua volta non acritica e totalmente adesiva, di TARELLO, “Orientamenti

della magistratura e della dottrina sulla funzione politica del giurista-interprete”, Pol. dir., 1972, 459 ss.; ID., Sullo stato dell’organizzazione giuridica. Intervista a Giovanni Tarello, a cura di Bessone (Bologna, 1979); per un’acuta riflessione sulle posizioni tarelliane e sulle critiche, alcune ideologiamente prevenute, alle medesime avanzate, v. E. CARBONE, “Candidus Iudex”. Il diritto dei giudici e lo scetticismo sulle norme”, Materiali per una storia della cultura giuridica, 2007, 143 ss.

[19] EIDENMÜLLER, “Gesellschaftsstatut und Insolvenzstatut”, RabelsZ, 2006, 501 s.; GOETTE, “Zu den Folgen der Aner-kennung ausländischer Gesellschaften mit tatsächlichen Sitz im Inland für die Haftung ihrer Gesellschafter und Organe”, ZIP, 2006, 545; in posizione diversa SCHALL, “The UK Limited Company Abroad, How Foreign Creditors are Protected after Inspire Art (Including a Comparison of UK and German Creditor Protection Rules)”, Eur. Bus. L. Rev., 2005, 1551; ma sulla c.d. funzione trasformativa ancora attuale dei trapianti del diritto REHM, “Rechtstransplante als Instrumente der Re-chtsreform und– transformation”, RabelsZ, 2008, 10 ss.; in una prospettiva assai critica, di invito a ripensare radicalmente la metodologia comparatistica, anche SIEMS, “The End of Comparative Law”, 2 The Journal of Comp. Law, 133 ss. Non mi pare, invece, che la difesa o la promozione dell’uso interpretativo del diritto comparato anche da parte dei giudici si pon-ga di per sé in contrasto con le posizioni dei fautori o propugnatori del c.d. giuspositivismo critico (cfr., nella giuscommer-cialistica, LIBERTINI, “Le fonti private del diritto commerciale. Appunti per una discussione”, Riv. dir. comm., 2008, I, in particolare 619 ss.), difensori della rigidità delle fonti e della sovranità statale, dal momento che la vigile delega alla giuri-sprudenza può ben conoscere l’utilizzo (sorvegliato) del diritto comparato. Per inciso, è bene non dimenticare che le stes-se tesi giuspositivistiche sono nel pieno di una profondo rivolgimento dagli esiti incerti: si pensi al dibattito che contrappo-ne (ancora oggi: COLEMAN, “The Architecture of Jurisprudence”, 121 The Yale L. Jou. 3 ss., in particolare 34 ss.) in USA in-clusive ed exclusive positivism e agli autorevoli tentativi di “riconcettualizzare” la giurisprudenza in termini di a set of basic problems, dando evidenza distinta alla duplice componente normativa e sociale delle regole legali.

[20] Tutto ciò dipende, oltre che da quanto si sta per osservare, dallo spazio che ogni diritto è disposto a concedere anche alla creatività della propria giurisprudenza; o meglio all’accezione in cui ogni diritto nazionale intende il ruolo ap-plicativo della giurisprudenza: in divenire in Italia nella stessa concezione dei giudici, in alcuni casi disposti a staccarsi dal-le posizioni che vedono nella giurisprudenza l’assenza (appunto) di ogni «funzione creativa della regola» (Cass., 4 novem-bre 2004 n 21095, Foro it., 2004, I, 3294): cfr. GALGANO, “La giurisprudenza fra ars inveniendi e ars combinatoria”, Contr. impr., 2012, 79 ss. Ovviamente, l’uso interpretativo del diritto comparato potrebbe risultare più semplice, ad esempio, a un giudice svizzero: solo che sviluppasse, in tutto e per tutto, l’autonomia di giudizio che gli assegna l’art. 1 del Codice Civile elvetico, sull’applicazione del diritto: e, più precisamente, il paragrafo 2, ai sensi del quale «nei casi non previsti dal-la legge il giudice decide secondo la consuetudine e, in difetto di questa, secondo la regola che egli adotterebbe come legislatore» (aggiungendo poi il paragrafo 3 che il giudice «si attiene alla dottrina e alla giurisprudenza più autorevoli”): cfr. tra i molti, OTT, Juristische Methode in der Sackgasse? (Zürich, 2006), in particolare 18 ss., 42 ss., 69 ss., 123 ss., 136 ss.:

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Interrogandomi sugli scenari dell’uso interpretativo del diritto comparato, proponendone una rivitalizzazione in chiave di strumento metodologico, non intendo certo scoprire un meto-do interpretativo nuovo [21].

Le riflessioni, risalenti nel tempo, sono note. Lo sono sul tema in generale, vale a dire a li-vello di teoria generale del diritto e della comparazione; e pure a livello del diritto dei gruppi. Ma basta frequentare la produzione scientifica più recente– che al tema continua a dedicare un’attenzione trasversale nei diversi paesi [22] – per rendersi subito conto che se il metodo è conosciuto, esso nondimeno continua a essere discusso e a costituire oggetto di riflessione nel-le sue effettivamente accoglibili varianti applicative. Oggi sempre di più e con prospettive an-che diverse. Non un tema, quindi, desueto, su cui tutto si è già detto o scritto, ma argomento per cui molto ancora c’è da dire, sul piano, appunto, metodologico e applicativo.

L’uso interpretativo del diritto comparato s’indentifica con i “servizi”, come li denominava Gino Gorla, della comparazione tra il diritto “nostrano” e il diritto “straniero” (il binomio è sempre gorliano [23]. Di quei servizi, l’uso interpretativo del diritto comparato, in via di prima approssimazione, ne potrebbe svolgere almeno quattro (in alternativa ovvero anche in congiun-zione):

(i) comparare per colmare le eventuali lacune di un diritto nazionale; (ii) comparare per evolvere e raffinare l’argomentazione e l’interpretazione di un diritto na-

zionale in relazione a questioni comuni ad altri diritti nei quali le medesime hanno già cono-

HENNINGER, Europäisches Privatrecht und Methode (Tübingen, 2009), 91 s.; HONSELL, Art. 1, in HONSELL-VOGT-GEISER (Hrsg. von) Basler Kommentar Zivilgesetzbuch I, Art. 1-456 ZGB, 4 Aufl. (Basel, 2010), Rn 34 ss., 25 ss.

[21] E che, in questa prospettiva, rimanda, nella sua prima sistemazione metodologica realmente organica, al noto saggio ZWEIGERT, “Rechtsvergliechung als universale Interpretationsmethode“, RablesZ 1949/1950, 5 ss. (ove ulteriori cita-zioni di dottrina precedente).

[22] Eberle, “The methodology of Comparative Law”, 16 Roger Willams U.L. Rev. 51 ss., in particolare 56 ss.; CLARK, “Comparative Law Methods in the United States”, ivi, 134 ss.; HUSA, “Methodology of Comparative Law Today: from Paradox to Flexibility?”, R.I.D.C., 2006, 1096 ss.; S. GRUNDMANNN, Europäisches Gesellschaftsrecht, 2. Aufl. (München, 2011), 30 ss.; DE CONINCK, “The Functional Method of Comparative Law: Quo Vadis?”, RabelsZ 2010, 318 ss.; Michaels, “Explanation and Interpretation in Functionalist Comparative Law – a Response to Julie de Coninck”, ivi, 351 ss.; MAR-KESINIS-FEDTKE, Judicial Recourse to Foreing Law (Abingdon, 2006); e, con valutazioni empiriche e statistiche, MAK, “Why do Dutch and UK Judges cite Foreing Law?”, 70 C.L.J., 420 ss. (in relazione a decisioni concernenti diritti a rilevanza costi-tuzionale) FLANAGAN-AHREN, “Judicial Decision-Making and Transnational Law: A Surwey of Common Law Supreme Court Judges”, 60 I.C.L.Q., 1 ss.; v.pure STOLL, Rechtsvergleich und zivilrechtliche Methodik, in Festschrift für C.-W. Canaris zum 70. Geburstag, Bd. II (München, 2007), 829 ss.; O. PFERSMANN, “Le droit comparé comme interprétation et comme théorie du droit”, R.I.D.C., 2001, 275 ss.; Mance, Foreing and Comparative Law in the Courts, in 36 Texas Intern. L. Jour., 418 ss.; (con riguardo all’uso del diritto comparato da parte della giurisprudenza costituzionale) CÁRDENAS PAULSEN, Über die Rechtsvergliechung in der Rechtsprechung des Bundesverfassungsgerichts – Analyse der Heranzieheung ausländischer Judikatur (Hamburg, 2009), 31 ss., 91 ss., 147 ss.; GRUBER, Methoden des internationalen Einheitsrechts (Tübingen, 2004), 329 ss.; KÖTZ, Der Bundesgerichtshof und die Rechtsvergleichung, in 50 Jahre Bundesgerichtshof. Festgabe aus der Wissen-schaft, II (München, 2000), 825 ss.; DROBNIG, The Use of Foreign Law by German Courts, in German National Reports in Civil Law Matters for the XIVth Congress of Comparative Law (Heidelberg, 1994), 5; ID., “Rechtsvergleichung in der deut-schen Rechtsprechung“, RabelsZ, 1986, 610 ss.; con analisi storica, i saggi raccolti nel volume DAUCHY-BRYSON-MIROW (edited by) Ratio decidendi. Guiding Principles of Judical Decisions, vol. 2: “Foreing” Law (Berlin, 2010); cfr. pure SCHWARTZE, Die Rechtsvergleichung, in RIESENHUBER (Hrsg. von) Europäische Methodenlhere (Berlin, 2010), 113 ss. (ancora dalla prospettiva di un giudice) ANCEL, L’invocation d’un droit étranger et le contrôle de la Cour de Cassation, in Vers de nouveaux équilibres entre ordres juridiques. Mélanges en l’honneur de H. Gaudemet-Tallon (Paris, 2008), 3 ss.; JALUZOT, “Méthodologie du droit comparé: bilan et prospective“, R.I.D.C., 2005, 29 ss. Anche vero che, seppure di rado, a volte è il nostro diritto e l’interpretazione che ne dà la giurisprudenza a essere oggetto di osservazione delle esperienze straniere e a essere additati come possibile spunto per inaugurare prospettive future a livello continentale: ad esempio, in materia di responsabilità per danni, e all’attenzione riservata dalla dottrina tedesca alla sentenza della Cass., 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it., 2009, I, 120 ss., in materia di 2059 c.c., v. CHRISTANDL, “Das italienische Nichtvermögensschadensrecht nach 2008 – eine lektion für Europa?”, ZEuP, 2011, 392 ss. (in particolare 397 ss. e 402 ss.).

[23] GORLA, voce Diritto comparato, Enc. dir., XII (Milano, 1964), 933.

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sciuto emersione e trattazione replicabili, previo vaglio di compatibilità, in altri ordinamenti; (iii) comparare per portare alla luce problemi nuovi o non del tutto emersi nella loro identità; (iv) comparare in vista della formazione di un diritto comune. In particolare, per il giurista italiano, il punto di partenza è rappresentato senza dubbio da

una doppia alternativa d’impiego del metodo professata nel nostro paese dai cultori o dagli stessi ricavata dalla giurisprudenza.

Esiste un uso interpretativo fortemente contrastato del diritto comparato, quello normativo, che rimanda al suo utilizzo ex art. 12, 1° comma, preleggi (ammissibilità del ricorso a casi si-mili o materie analoghe al di fuori del nostro ordinamento [24].

In alternativa, come recentemente ri-prospettato [25], risulta più assecondato l’impiego del diritto comparato quale argomento comparatistico (e, in definitiva, a tale ulteriore prospettiva sembra pure aprire – ove interpreatato in bonam partem – un significativo obiter di una colta pronuncia delle Sez. Un. sul c.d. overruling processuale: Cass. 2011/15144 [26]; sebbene que-sta decisione sia stata pure criticata, tra i processualcivilisti, da parte di chi vi ha ravvisato, a mio parere non del tutto motivatamente, la conferma di una «preoccupante tendenza della giu-risprudenza a riconoscersi il potere di “fare diritto”» [27]. In questa seconda accezione, l’uso interpretativo del diritto comparato può aspirare ad accedere a una qualificazione come canone interpretativo di ogni diritto nazionale, in quanto tale utilizzabile al pari degli altri canoni er-menutici.

[24] MONATERI-SOMMA, “«Alien in Roma». L’uso del diritto comparato come interpretazione analogica ex art. 12 pre-leggi”, Foro it., 1999, V, 47; prima SOMMA, L’uso giurisprudenziale della comparazione nel diritto interno e comunitario (Milano, 2001), 103 ss.; critico, di recente, SMORTO, “L’uso giurisprudenziale della comparazione”, Europa e dir. priv., 2010, 232 s.

[25] L’impiego si rintraccia, in Italia, già nelle tesi di Mengoni, Ermeneutica e dogmatica giuridica (Milano, 1996). [26] «La norma di volta in volta adegua il suo contenuto, in guisa da conformare il predisposto meccanismo di prote-

zione alle nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale o sovranazionale»: Cass., 11 luglio 2011, n. 15144, www.ilcaso.it. E ancora (in modo altrettanto significativo): «[la norma], nel tempo, … è suscettibile di as-sumere una molteplicità di contenuti, in relazione ed entro il limite dei significati resi possibili dalla plurivocità del signifi-cante testuale per un duplice ordine di fattori propulsivi, interni ed esterni. In relazione al primo profilo viene in rilievo…la considerazione che l’interesse della norma protetto…non può evidentemente restare imprigionato nella gabbia del testo della regola iuris, ma di questa invece costituisce l’elemento mobile quasi linfa vitale, che ne orienta il processo di crescita e ne determina i percorsi evolutivi. … Parallelamente, per quanto poi attiene all’incidenza di fattori esterni, è decisivo l’aspetto strutturale-sistematico della regola iuris, quale elemento non in sé autoconchiuso, ma segmento invece di una complessa architettura giuridica, coordinata secondo postulati di unitarietà e completezza … Per cui, in realtà, quel-lo…del diritto vivente è fenomeno oggettivo: per un verso legato alla natura assiologica della norma e, per altro verso, de-terminato dalle dinamiche evolutive interne al sistema ordinamentale. Fenomeno che, per la sua complessità, esige la me-diazione accertativa della giurisprudenza …; il “diritto vivente” esiste al momento – ma non (solo) per effetto – della inter-petazione dei giudici … L’interpretazione della regola iuris, che si riflette [nelle]decisoni, può definirsi “evolutiva”, ma ciò per traslato, in quanto … volta ad accetare il significato evolutivamente assunto dalla norma nel momento in cui il giudice è chiamato a farne applicazione …: accertamento che, a livello di intervento nomofilattico della Corte regolatrice, ha an-che vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto dalle novelle del 2006 (art. 374 c.p.c.) e del 2009 (art. 360 bis, n. 1, c.p.c.), ma stabilità pur sempre relativa, perché la vivenza della norma … è una vicenda, per definizione, aperta». Ed infine, per quanto qui interessa più direttamente: «diversa dalla esegesi evolutiva è invece l’interpretazione “correttiva”. Con la quale il giudice torna direttamente sul signifi-cante, sul testo cioè delle disposizione, per desumerne – indipendentemente da vicende evolutive che l’abbiano interessa-ta – un significato diverso da quello consacrato in una precedente esegesi giurisprudenziale». Su tale importante pronun-cia, tra i processualisti, CONSTANTINO, “Il principio di affidamento tra fluidità delle regole e certezza del diritto”, Riv. dir. proc., 2011, I, 1075; PUNZI, “Il ruolo della giurisprudenza e i mutamenti di interpretazione di norme processuali”, ivi, I, 1337 ss.; VERDE, “Mutamento di giurisprudenza e affidamento incolpevole (considerazioni sul difficile rapporto tra giudice e legge)”, ivi, 2012, I, 6 ss.

[27] VERDE (supra, n. 26), 11.

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Questo binomio d’impiego conosce riscontri, tra altri, anche in Germania. Nell’atteggia-mento della giurisprudenza, si possono rintracciare due percorsi principali: quello dei giudici che fondano la propria decisione sul diritto comparato, il quale assume posizione trainante non solo e tanto dell’argomentazione, ma anche e piuttosto per la soluzione del caso esaminato; e quello – ed è, ad esempio, l’atteggiamento in effetti privilegiato in particolare dal Bundesgeri-chtshof [28] – dei giudici che elaborano la soluzione autonomanente e utilizzano, in “via fina-le”, l’argomento comparatistico per rafforzare la conclusione comunque raggiunta.

Di uso interpretativo del diritto comparato non si dovrebbe invece propriamente parlare nel-la prospettiva inversa, che in realtà ha il suo precipuo terreno di elezione nel diritto internazio-nale, e che attiene all’utilizzazione del diritto interno per interpretare il diritto straniero di cui il giudice si debba necessariamente occupare [29] (si parla in questo caso di comparative interna-tional law [30]. Il tema, proprio con riferimento al diritto societario, riceve attenzione, anche sotto il profilo processualcivilistico, ancora una volta in Germania, dove la questione principale diviene quella se e a quali condizioni i giudici tedeschi debbano e possano interpretate il diritto societario straniero ed eventualmente perfezionarlo (il tema processuale si iscrive nei §§ 293 e 545 ZPO [31]. Al riguardo, si è criticamente dibattuta [32] la tesi secondo cui i giudici tedeschi sarebbero autorizzati a procedere a un “perfezionamento creativo” del diritto societario stranie-ro alla luce della dottrina giuridica tedesca.

Più precisamente, però, qui si tratta di trattare e veicolare il diritto straniero in altro modo rispetto all’utilizzazione del diritto comparato per interpretare il diritto interno: nel senso che quando una fattispecie presenta momenti di collegamento che consentono l’applicazione diretta del diritto straniero, ciò consente al giudice nazionale, ove richiesto di applicare il diritto stra-niero, di reinterpretarlo alla luce della propria esperienza, “restituendolo” all’ordinamento di provenienza rivisitato.

In questo caso, certo, il giudice è chiamato a conoscere del diritto straniero ai fini di una de-cisione di diritto interno, ma utilizza il “diritto” del proprio paese per interpretare il diritto stra-niero, così forse appunto consegnando al giurista di quel paese straniero una sua fattispecie in-terpretata alla luce del diritto di altro paese, con un’interpretazione che potrebbe trascendere la sua valenza conoscitiva. Ed allora, alla fine, anche il c.d. diritto internazionale comparato può, in un certo senso adattando il suo significato primario e proprio, divenire strumento di veicola-zione in un determinato diritto nazionale di paradigmi interpretativi di altre esperienze.

[28] JANSSEN-SCHULZE, “Legal Cultures and Legal Transplants in Germany”, ERPL, 2011, 225 ss. (in particolare 248 s.); GRUBER (supra, n. 22), 197; v. anche MULLER-RICHARDS (ed. by) Highest Court and Globalisation (The Hague, 2010).

[29] Sull’applicazione giudiziale del diritto straniero, questione affrontata soprattuto nel diritto internazionale privato, v., ad esempio, l’importante Cass., 26 febbraio 2002, n. 2791, Riv. dir. int. priv. proc., 2002, 726 ss.; e, nella dottrina ita-liana, tra altri, IVALDI, “In tema di applicazione giudiziale del diritto straniero”, ivi, 2010, 585 ss.; QUEIROLO, “Conoscenza del diritto straniero e contraddizioni della giurisprudenza italiana”, ivi, 603 ss.; Carbone, “La conoscenza del diritto stra-niero e il giudice italiano”, Dir. comm. internaz., 2009, 193 ss.; LA MATTINA, “Il giudice italiano e il diritto societario stra-niero”, ivi, 933 ss.

[30] Di recente, da ultimo, ROBERTS, “Comparative International Law? The Role of National Courts in creating and en-forcing International Law”, 60 ICLQ, 57 ss.

[31] THOLE, “Anwendung und Reversibilität ausländischen Gesellschaftsrechts in Verfahren vor deutschen Gerich-ten“, ZHR, 2012, 15 ss. (con attenta analisi del dibattito e delle posizioni).

[32] EIDENMÜLLER (supra, n. 19), loc. cit. Ma a tacer d’altro, non vedo come si possa sostenere che l’interpretazione da parte di un giudice del diritto straniero non possa, per definizione, avvenire in nome di paradigmi di ragionamento co-munque fedeli ai principi anche se discostati dalla loro applicazione, e in questo modo fornire soluzioni più avanzate, che magari, rispettando la coerenza del diritto interpretato, ne consentano la evoluzione; ricognizioni comparatistiche anche in FERRERI, “General Report: Complexity of Transnational Law”, EPCL, 2012, 35 ss.

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(Anche) nel diritto dei gruppi [33], l’uso interpretativo del diritto comparato offre allora la possibilità (non necessariamente in alternativa, ma pure congiuntamente) di:

1. identificare le questioni allo stato trasversalmente dibattute e le domande suscettibili di produrre un’evoluzione della materia verso assetti e strategie decisionali orientate alla com-plessiva tutela della c.d. comunità degli interessi coinvolti nell’agire di gruppo;

2. enucleare i criteri interpretativi che meglio si adattano all’interpretazione dei diritti scritti, sul presupposto che non vi sia un’equivalenza universale dei canoni ermeneutici che presiedo-no alla concretizzazione delle norme contenute nelle disposizioni (si tratta, in buona sostanza, del tema di vertice della gerarchia dei canoni ermeneutici intesi a definire la tutela degli inte-ressi presidiati dal diritto generale dei gruppi: con un progressivo affievolimento della già ri-dimensionata valenza dell’argomento letterale a favore della primazia, in particolare, degli ar-gomenti teleologico, “orientato alle conseguenze”, funzionalista, efficientista, sistematico, di c.d. “politica del diritto” [34];

[33] Vi sono molte materie nelle quali l’uso giurisprudenziale del diritto comparato potrebbe dare frutti, anche in via puramente confermativa di assunti cui aderisce il diritto italiano per come anche solo interpretato e applicato. Penso, in relazioni a tematiche limitrofe a quelle qui trattate, e per citarne solo una, alla tipizzazione dell’azione di concerto nelle società quotate, che molto potrebbe giovarsi della proficua esperienza francese (si pensi agli scenari aperti dalle due deci-sioni, della CA Parigi nell’affaire Eiffage, 2 aprile 2008, Rev. soc., 2008, 394; e della Cour cass., nell’affaire Gecina, 27 ot-tobre 2009, ivi, 2010, 112 ss.), pur con attenzione alla compatibilità delle soluzioni là elaborate con l’assetto legale e rego-lamentare italiano. Penso, sempre guardando alla giurisprudenza francese, alle recenti decisioni sul controllo congiunto, e in particolare non tanto sulla fattispecie del tutto peculiare del c.d. autocontrôle conjoint (Art. L. 233-31 code comm.), bensì, con qualche reminiscenza di diritto italiano, (i) sulla necessità che l’altro co-controllante debba dare il suo assenso in relazione alle decisioni dell’assemblea generale (Cour cass., 29 giugno 2010, ivi, 446; di grande rilievo anche CE, 20 ottobre 2004, ivi, 2005, 158 ss.; importante per le differenti statuizioni: a) è riscontrabile il controllo congiunto ai sensi dell’Art. L. 233-3 code comm. anche quando uno dei co-controllanti, in assenza dell’accordo, avrebbe avuto il controllo solitario; b) è idoneo a determinare controllo congiunto tra due azionisti, uno al 49% l’altro al 51 %, l’accordo con cui si stabilisce che voteranno in assemblea in modo che entrambi siano rappresentati dal medesimo numero di amministratori e che le principali decisioni gestionali e di sviluppo della società dovranno essere votate almeno da un amministratore del socio con il 49% e da un amministratore del socio con il 51% anche se è previsto che il presidente sia designato dal socio maggioritario e in caso di parità abbia il doppio voto; c) il controllo congiunto non è pregiudicato dal fatto che la convention pevede che, in caso di blocco, l’azionista di maggioranza potrà procedere al riscatto o acquisto delle parteci-pazioni dell’altro, in quanto una tale pattuizione dimostra piuttosto che «nelle circostanze normali di gestione della socie-tà, i due azionisti devono essere considerati come determinani in comune … le decisioni dell’assemblea generale …»); e (ii) sulla sottolineatura della precisazione contenuta nell’art. L. 233-3, III code comm., che tiene distinte le nozioni di azio-ne di concerto e controllo congiunto, disponendo che le persone che agiscono di concerto sono considerate controllanti congiunti quando determinano di fatto le decisioni della società.

[34] Per un’indagine comparata delle tecniche interpretative, HENNINGER (supra, n. 20). Dall’interpretazione teleologi-ca viene tenuta distinta (STEINDORFF, Politik des Gesetzes als Auslegungsmastaß im Wirtschaftsrecht, in Festschrift für K. La-renz zum 70. Geburstag (München, 1973), 217 ss.; Teubner, Die ‘Politik des Gesetzes’im Recht der Konzernhaftung. Plä-doyer für einen sektoralen Konzerndurchgriff, in Festschrift für Steindorff zum 70. Geburstag (Berlin-New York, 1990), 261 ss.), anche nella materia dei gruppi (più specificamente, della responsabilità), il metodo o criterio interpretativo della poli-tica del diritto o della legge in una specifica materia [c.d. “collegamento strutturale”]. Devono essere analizzate pure la portata e l’efficacia dell’impiego in materia della c.d. argomentazione orientata alle conseguenze (dibattuta in Germania a partire dagli anni ’70 del Secolo trascorso; su cui v., per limitarsi alle monografie, DECKERT, Folgenorientierung in der Re-chtsanwendung (München, 1995); ZHANG, Juristische Argumentation durch Folgenorientierung (Baden-Baden, 2010); HA-GER, Rechtsmethoden in Europa (Tübingen, 2009), 46 ss. e 198 ss. V. anche HENSCHE, “Probleme einer folgenorientie-rung Rechtsanwendung, Rechtstheorie, 1998, 103 ss.; in Italia alcuni spunti in CARIELLO, “Controllo congiunto” e accordi parasociali (Milano, 1997), 130 ss., e dottrina anche italiana anteriore ivi citata [in particolare MENGONI (supra, n. 25) 91 ss., e PORTALE, “Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata”, Riv. soc., 1991, 97 e 100]. L’autonomia dell’argo-mentazione orientata alle conseguenze segna un’accezione della stessa propensa – in contrapposizione a impostazioni unficanti registrabili in Germania come in Italia: la non distinzione è affermata, ad esempio, nella nostra letteratura giuridi-ca, da DENOZZA, “La struttura dell’interpretazione”, Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, 63 ss., con argomentazioni anche pro-prie di una parte della dottrina tedesca – a riconoscere a tale argomentazione tratti sufficientemente autonomi e autono-mamente caratterizzanti (anche solo per la parzialmente diversa rilevanza argomentativa riconosciuta alle conseguenze) rispetto all’interpretazione teleologica. Mi pare che la contrapposizione – che peraltro riguarda anche altri canoni erme-

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3. ipotizzarne la circolazione in altri ordinamenti e verificare se tale circolazioni sia possibi-le (legittima perché compatibile) e utile sul piano dei principi generali dei singoli diritti e, in particolare, di un eventualmente esistente disciplina organica dei gruppi;

4. definire l’impatto di questa circolazione sulla formazione del diritto domestico e/o sulla sua interpretazione soprattutto da parte della giurisprudenza [35].

neutici oggetto di progressiva autonomizzazione dall’interpretazione teleologica nella quale nel passato erano diluiti e ri-solti: si pensi alla stessa interpretazione efficentista ovvero ispirata al principio di efficienza – dipenda essenzialmente, da una parte, dalla resistenza o meno, dalla tendenza o meno a convogliare e coaugulare nell’interpretazione teleologica procedimenti e schemi argomentativi di cui si potrebbe invece prospettare la catalogazione come autonomi canoni erme-neutici; dall’altra, dalla propensione o meno a sussumere nei canoni tradizionali, quali componenti non autonome degli stessi, schemi di ragionamento che si denonato, rispetto ad altri che ne sono sprovvisti, quali criteri giustificativi autonomi della decisione; dall’altra ancora, dalla disponibilità o meno alla reductio ad unitatem e alla sussunzione generalizzante nella classificazione dei canoni; dall’altra, infine, dalla predisposizione ad accogliere o meno impostazioni che siano dispo-ste a segmentare e scomporre l’argomento teleologico in differenti argomenti che non traducano le analogie genetiche, strutturali e funzionali in ragioni bastevoli alla catalogazione inclusiva. Piuttosto, il ruolo dell’interprete dovrebbe essere, almeno a mio avviso, quello di segnare, ove possibile e di certo senza moltiplicare in assenza di necessità, le differenze tra argomenti anche fortemente simili nel momento in cui l’argomento “speciale” tale divenga per la valenza nuova che asse-gna e riconosce, rispetto all’argomento generale dal quale promana, a elementi formanti l’attività interpetativa trsforman-doli appunto in autonomi criteri di giudizio. Proprio l’argomento c.d. consequenzialista mi pare debba essere adeguata-mente valorizzato, emancipandolo dal suo trattamento, come qualche studioso tedesco ha evidenziato, in chiave di «mer-ce di contrabbando» (Schmuggelware). La sua qualificazione come argumentum ad absurdum, come giustamente nota FLEISCHER, “Rechtsvergleichende Beobachtungen zur Rolle der Gesetzesmaterialen bei der Gesetzesauslegung”, RabelzZ, 2010, 318 ss. non gli rende giustizia: volenti o nolenti, i giudici devono soppesare le reali conseguenze delle loro decisio-ni. Si tratta di un argomento giuridico che non può essere ridotto a un argomento non giuridico per poi renderne difficol-toso l’impiego nel ragionamento del giudicante (anche se sappiamo che una frontiera della metodologia giuridica è rap-presentata dalla ricerca di spazi d’inserimento di argomenti c.d. estranei nel discorso giuridico: v. ora, su di essi, MARTENS, “Rechtliche und außenrechtliche Argumente”, Rechtstheorie, 2011, 145, soprattutto 150 ss.). Ma vi è di più: proprio nel diritto dei gruppi, esistono significative tendenze a utilizzare l’argomento consequenzialista per affermare l’estensione di responsabilità alla capogruppo (e, più in generale, addirittura a fondare la responsabilità di ogni socio for corporate wrongs): v. le indicazioni di CROWE, “Does Control Make a Difference? The Moral Foundations of Shareholder Liability for Corporate Wrongs”, 75 MLR, 159 ss.

[35] Le esperienze di diritto comparato si prestano anche a ulteriori “usi”, con valenza comunque latamente interpre-tativa o ricostruttiva del percorso di una determinata decisione: (i) possono essere invocate tramite la mediazione della dottrina interna (allora il diritto comparato è mediato dalla dottrina nazionale, e quindi la decisione si basa sull’utilizzo da parte di questa del diritto comparato); (ii) pur senza menzionare espressamente un’esperienza straniera, si procede all’applicazione di una fattispecie, di uno standard valutativo, di una regola in essa presente quale criterio di definizione di una fattispecie di diritto interno; (iii) il diritto comparato viene trattato come argomento storico, nel ripercorrere gli sviluppi della nostra legislazione (intenzione del nostro legislatore) e/o come indicazione meramente culturale, priva di influenza decisionale. Certamente, bisogna stare attenti a valutare come espressione di vero e proprio uso interpretativo del diritto comparato i casi in cui il giudice nazionale impiega espressioni tratte da altra esperienza per qualificare però un instituto, una regola o un principio di diritto interno cui abbina quella espressione. In questi casi, infatti, è possibile o che il giudice operi così un’identificazione tra le soluzioni di diversi ordinamenti o che ritenga che il principio di diritto interno debba essere reso in modo corrispondente all’istituto, regola o principio di diritto straniero. Avendo come riferimento, anzitutto, l’esperienza tedesca, il primo caso parrebbe riscontrabile, ad esempio, nella qualificazione come business judgment rule (sebbene si sia ritenuto con modalità di formulazione differenti tra USA e Germania) della regola coniata dal § 93 AktG. Peraltro, credo che non possa essere fondatamente revocato in dubbio che, nello stesso diritto tedesco, la business ju-dgment rule sia dapprima transitata nell’ARAG Entscheidung del BGH, 21 aprile 1997 (BGHZ 135, 244) e poi recepita [di vera e propria “codificazione” parla, oltre che lo stesso BGH in una decisione avente a oggetto l’interpretazione dei §§ 311 e 317 AktG – BGH 3 marzo 2008, ivi, 175, 365 ss. (sub § 11) – larga parte della dottrina: tra altri, BUNZ, Der Schutz unternehmerischer Entscheidungen durch das Geschäftsleiterermessen: ein Beitrag zu mehr Rechtssicherheit im Umgang mit der Business Judgment Rule (Köln, 2011), 49 ss.; SCHLIMM, Das Geschäftsleiterermessen des Vorstands einer Aktinegesell-schaft: die Kodifikation einer “Business Judgment Rule” deutscher Prägung in § 93 Abs. 1 S. 2 AktG (Baden-Baden. 2009), 107 ss., 120 ss., 158 ss., 173 ss., 292 ss.; GRAUMANN, “Der Entscheidungsbegriff in § 93 Abs.1 Satz 2 AktG – Rekon-struktion des traditionellen Verständnisses und Vorschlag für eine moderne Konzepzion“ –, ZGR, 2011, 293 ss. (in partico-lare 298 ss.); JUNGMANN, Die Business Judgment Rule – ein Institut des allgemeinen Verbandrechts? – Zur Geltung von § 93 Abs. 1 Satz 2 AktG außerhalb des Aktienrechts –, in Festschrift für K. Schmidt (supra, n. 6), in particolare 846 ss.; DRUEY, Standardisierung der Sorgfaltspflicht?Fragen zur Business Judgment Rule, ivi, 57 ss. (con posizione critica – p. 70 ss. –, af-fermando che la rule non è una Vorschrift: p. 71; in generale, sulla distinzione Rules e Principles, ora SCHNEIDER, Kapital-

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Se poi dovessi sintetizzare, provando a fondere uso interpretativo del diritto comparato e uso interpretativo del diritto internazione comparato, privilegierei due scenari interpretativi:

a) vero e proprio impiego interpretativo del diritto comparato: si traggono dal paradigma di ragionamento straniero percorsi che servono per applicare il diritto nazionale. Si “perfeziona” il diritto interno tramite il diritto straniero;

b) i giudici di un paese straniero si trovano ad applicare il diritto dei gruppi di un altro paese (ad esempio, gli artt. 2497 ss.) e lo interpretano creativamente alla luce della propria giurispru-denza teorica e pratica. La soluzione adottata restituisce al giudice un diritto nazionale interpre-tato dal giudice straniero in modo coerente con il proprio strumentario dogmatico ma metodo-logicamente appropriato anche al diritto interno interpretato.

5. Uso interpretativo del diritto comparato e dogmatica giuridica (cenni). – Emerge già distintamente che l’uso interpretativo del diritto comparato è, in definitiva, anche l’espressione di una ben definita istanza metodologica [36].

Con un’avvertenza che potrebbe sembrare esuli dalla presente riflessione ma che, al contra-rio, funziona come ulteriore premessa a essa: non vi è contrapposizione netta tra metodologia giuridica e dogmatica. Come si è anche di recente precisato da parte dei teorici del diritto, «la dogmatica giuridica è strutturalmente prossima alla metodologia giuridica» [37], sebbene pro-priamente debba restarne distinta con riferimento alla dipendenza rispetto alla c.d. semantica della legge.

A chi poi il dogmatismo invocherebbe per formulare una critica di astrattismo e inconclu-denza allo studioso che ne sarebbe reo, consiglierei, oltre che la lettura di un recentissimo vo-lume pubblicato in Germania [38], di scorrere l’Editoriale, a firma di Ulrich Noack, sul fascico-lo n. 8 (agosto) del 2011 di Der Konzern. Rispondendo a Carsten Peter Claussen, il quale ebbe a dire che egli milita a favore del diritto e contro la dogmatica, Noack si limita a osservare che anche attraverso la dogmatica il diritto «si sviluppa».

marktrecht – Principles-Based – oder Rules-Based Regulation, in Gedächtnisschrift für M. Gruson (Berlin. 2009), 369 ss.); v. pure, per un riscontro dell’effettivo utilizzo da parte di altri attori – le banche regionali –, CASPER, Die Anwendbarkeit der Business Judgment Rule bei Landesbanken, in Festschrift für W. Goette zum 65. Geburstag (München, 2011), 29 ss.; sulla “implementazione” da parte della giurisprundenza tedesca della regola di giudizio statunitense, v., inoltre, HAAS-ZIEMONS, § 43, in MICHALSKI (Hrsg. von), Kommentar zum Gesetz betreffend die Gesellschaften mit beschränkter Haftung (GmbH-Gesetz), Bd.II, 2. Aufl. (München 2010), Rn 68 ss., 510 s.] appunto nel § 93 Abs. 1 S. 2 AktG con la Gesetz zur Unterneh-mensintegrität und Modernisierung des Anfechtungsrechts – UMAG del 2005. Più in generale, sull’influenza (addirittura di Dominanz ha parlato Eidenmüller) del diritto societario statunitense su quello tedesco cfr. VON HEIN, Die Rezeption US-amerikanischen Gesellschaftsrechts in Deutschland (Tübingen, 2008); nonché EBKE, Der Einfluss des US-amerikanischen Rechts auf das Internationale Gesellschaftsrecht in Deutschland und Europa: Rezeption oder Abwehr? in EBKE-ELSING-GROßFELD-KÜHNE (Hrsg. von), Das deutsche Wirtschaftsrecht unter dem Einfluss des US-amerikanischen Rechts (Frankfurt/M, 2011), 175 ss. (pubblicato, in una versione ridotta, anche in ZvglRWiss, 2011, 2 ss.); HOPT, Aktienrecht unter amerikani-schem Einfluss, in Festschrift für C.-W.Canaris (supra, n. 22), 105 ss.

[36] L’uso interpretativo del diritto comparato potrebbe, tra l’altro, in parte rinnovare l’impostazione e gli esiti del di-battito tra tesi formalistiche, scettiche (propugnate, tra gli altri, da GUASTINI, Teoria del significato e teoria dell’inter-pretazione, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2008, 463 ss.; ID., Lo scetticismo interpretativo rivisitato, ivi, 2006, 227 ss.) e intermedie (o pluralismo cognitivo, secondo la ridefinizione in positivo proposta da DENOZZA, L’inter-pretazione delle norme tra scetticismo e “pluralismo cognitivo”, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2007, 463 ss.) sull’interpretazione giuridica. Si pensi solo alla circostanza che una certa interpretazione potrebbe addirittura essere qualificata, a seconda dei casi, “vera” o “falsa” ed essere definibile vera piuttosto che falsa a seconda che si acceda all’interpretazione della disposizione di diritto interno alla luce del diritto comparato.

[37] HASSEMER, “Juristische Methodenlehre und richterliche Pragmatik“, Rechtstheorie, 2008, 15. [38] KIRCHOF-MAGEN-SCHNEIDER, Was weißt Dogmatik? (Tübingen, 2012).

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La riflessione sulla dogmatica si diversifica, nel segno però, come l’ha definita di recente il civilista tedesco Rolf Stürner, non solo di una sua apertura e rivisitazione ma pure di una difesa della sua “valenza” (Wertigkeit) [39].

6. Disciplina dell’attività di direzione e coordinamento tra specialità e generalità. – Le

necessarie premesse di metodo mi permettono ora di entrare nel cuore della trattazione odierna. Lo faccio assumendo un dato che pare scontato ma che forse non lo è davvero sul piano

(appunto) metodologico: (pure) nel diritto dei gruppi, le regole di sanzione [40] sono la reazio-ne alla violazione di regole di azione, di organizzazione e di procedimento [41]; nel contempo, soprattutto nell’approccio della giurisprudenza (e, in qualche modo, altrimenti non potrebbe essere), queste ultime vengono isolate, formulate, delineate ed enunciate, per lo più in via inci-dentale, essenzialmente in sede di fissazione delle regole di sanzione.

L’elaborazione di questi insiemi di regole è costantemente attraversata e segnata, anzitutto, dal tema del loro reale tasso di deroga alla disciplina delle società non raggruppate.

Su tale profilo dell’indagine non mi tratterrò. Non posso sorvolare su esso, tuttavia, senza almeno avere osservato che, nella nostra esperienza, ciò che deve essere forse ripensato è il tema della (reale o presunta) c.d. specialità della disciplina del 2497 ss. e del conseguente tasso di (reale o presunta) deroga alle c.d. disposizioni generali da intendersi come quelle discipli-nanti analoghe questioni di società non coinvolte da direzione e coordinamento.

Ciò non si può fare oggi, però, senza prima affrontare il tema più generale della tenuta della tradizionale interpretazione del brocardo lex specialis derogat (legi) generali (corrispondente alla massima generi per speciem derogatur) [42].

[39] STÜRNER, “Das Zivilrecht der Moderne und die Bedeutung der Rechtsdogmatik“, JZ, 2012, 10 ss. (attenzione, in particolare, alla distinzione tra Gebrauchsdogmatik e wissenschäftliche Dogmatik, all’arricchimento del binomio anche sot-to l’influenza americana e al ruolo, anche qui, della comparazione). Ripetuta nel panorama della riflessione teorica euro-pea l’avvertenza dell’urgenza del “problema metodologico”. Se è vero, infatti, che «il tema generale porta con sé la dia-gnosi: la metodologia giuridica classica è morta. Una volta formulata questa diagnosi [però] seguono due interrogativi. Il primo: in che cosa questa metodologia è morta? Il secondo: chi raccoglierà l’eredità, chi può raccogliere l’eredità della metodologia giuridica classica» (NEUMANN, “Juristische Methodenlehre und Theorie der Juristische Argumentation”, Re-chtstheorie, 2001, 239); v. pure il breve ma ponderato saggio di RÜTHERS, “Wozu auch noch Methodenlehre? – Die Grun-dlagenlücken im Jurastudium”, JuS, 2011, 865 ss.; più diffusamente, FLEISCHER, “Europäische Methodenlehre: Stand und Perspektiven”, RabelsZ, 2011, 700 ss.; meno di recente, LAUNHARDT, “Methodenlehre aus Rechtsrhetorischer Perspektive: Abscheid von der Normativität?”, Rechtstheorie, 2001, 141 ss.

[40] Al di là dei problemi dell’armonizzazione generale, difficoltosa risulta pure l’armonizzare (particolare) delle san-zioni (anche diverse dalla responsabilità), in ragione del fatto che esse corrispondono allo strumentario dei singoli paesi (Forum Europaeum 1998, IV.3, b). Si pensi ai casi dell’ispezione speciale prevista, in Germania, dai §§ 142-146 AktG (Sonderprüfung), e con riferimento ai gruppi di fatto, dal § 315 AktG; e in Francia, all’expertise de gestion (Artt. L. 225-231 code com.). Si esclude qui l’analisi di altre tecniche cc.dd. rimediali (terminologia attinta, per quanto mi riguarda, da GUIZZI, voce Direzione e coordinamento di società, in Dizionari del diritto privato promossi da IRTI-ABRIANI (a cura di), Dirit-to commerciale (Milano, 2011), 362).

[41] E v., d’altronde, gli spunti anche della civilistica – DI MAJO, La tutela civile dei diritti, IV ed. (Milano, 2003), 398; MAZZAMUTO, “La responsabilità contrattuale in senso debole, Europa e dir. priv., 2011, 123 ss. – la quale pone l’accento sull’interesse alla correttezza procedimentale, costruendo, in definitiva, la responsabilità da attività di direzione e coordi-namento come derivante da violazione di regole di azione e di comportamento: la direzione e coordinamento come atti-vità e procedimento di svolgimento e attuazione di tale attività.

[42] Per addivenire all’interpretazione e all’identificazione delle disposizioni complessive applicabili all’attività di dire-zione e coordinamento, al fine di costruire quello che si suole ormai denominare da più parti lo “statuto organizzativo” delle società interessate da tale attività, occorre un paziente lavorio che conduca a rispondere ad alcuni interrogativi di metodo: se gli artt. 2497-2497-septies c.c. contengano disposizioni speciali e/o generali; quali disposizioni siano speciali e quali generali; quelle speciali, lo siano rispetto a quali disposizioni più generali; se esistano disposizioni speciali che dero-

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Segnalo, al riguardo, che, sebbene non diffusamente compreso, e a dispetto delle traduzioni largheggianti del brocardo, è in effetti controverso [43] tra gli stessi studiosi della specialità se davvero le norme speciali deroghino (sempre) alle norme generali e per quali ragioni. Ciò che appare invero studiato è l’antinomia tra norma speciale e norma generale e la giustificazione del c.d. principio di specialità come tecnica di soluzione di antinomie tra norma speciale e norma generale, come pure la specialità, ma non la questione vera e propria della deroga della norma speciale alla norma generale [44], nella quale sono comprese le deroghe alle norme non solo incompatibili ma pure compatibili, sicché la specialità non serve solo per prevenire o ri-solvere antinomie [45].

La questione può essere correttamente inquadrata solo se si distingue la specialità come ca-ratteristica “logico-sematica” del contenuto della norma dalla questione della compatibilità e incompatibilità delle norme identificate come speciali rispetto alle norme identificate come ge-nerali e viceversa.

Nel fare questo, sono anche io persuaso che si debba muovere, tra l’altro, dall’assunto che «nessuna norma giuridica può essere considerata speciale … o generale … rispetto a un’altra norma, senza avere preventivamente identificato un genere rilevante e le sue differenze speci-fiche rilevanti, cioè quali concetti delle norme hanno un ruolo di genere … e di specie …» [46].

Così, occorre non trascurare, tra l’altro, che (i) la specialità normativa può presentarsi in termini di c.d. implicazione stretta (relazione di inclusione/implicazione) ovvero di bilateralità o reciprocità (relazione di interferenza); (ii) la norma speciale può o non può essere compatibi-le/incompatibile con la norma generale; (iii) a ben vedere, nessuna norma speciale è di per sé derogante norme generali, in quanto «la deroga … non è una questione logico-concettuale ine-rente al contenuto delle norme ma è una questione di diritto positivo che riguarda la scelta delle norme con cui decidere i casi giuridici» [47]; e, soprattutto, per quel che più mi interessa in questo contesto, (iv) «la deroga presuppone necessariamente un ambito comune di qualifica-zione tra due norme ... di specialità oppure almeno … di interferenza …; ma dipende da cia-scun diritto positivo se le norme (più) speciali derogano alle norme (più) generali o viceversa

ghino a quelle (rispettive) generali; quali disposizioni generali deroghino, all’inverso, a quelle speciali; quali disposizioni speciali si applichino congiuntamente a quelle generali. Al riguardo, mi preme solo osservare che il diritto positivo italiano del codice civile: (i) non contiene un’espressa norma speciale della disciplina del capo IX che deroghi a un settore o ambi-to della disciplina codicistica delle società; (ii) non contiene un’espressa norma generale della disciplina delle società che deroghi a disposizioni della disciplina del capo IX; (iii) non contiene espresse norme speciali che deroghino ad alcune norme generali in via puntuale; (iv) non contiene una norma della disciplina codicistica delle società che deroghi alle norme “più speciali” di discipline speciali dell’attività di direzione e coordinamento; (v) sembra contenere solo norme cc.dd. generali sul recesso da spa e da srl (artt. 2437, 5° comma, e 2473, 1° comma, c.c.; anche però l’art. 2532, 1° com-ma, c.c.) le quali non derogano alla norma speciale del recesso da società soggetta ad attività (art. 2497-quater c.c.) e una norma speciale dell’attività di direzione e coordinamento, l’art. 2497-quater, 2° comma, che non deroga alle norme gene-rali sul recesso da spa o srl non di gruppo, così che norme generali e speciale concorrono alla disciplina del recesso (ma con due specificazioni importanti: la prima, che a sua volta il 2° comma dell’art. 2497-quater non prevede l’applicazione diretta, in quanto compatibile, dell’art. 2285 c.c., sicché nei tipi personalistici soggetti a direzione e coordinamento l’ap-plicazione dell’art. 2285 c.c. sembrerebbe conseguire solo a un’applicazione analogica; la seconda, che non esiste invero una reciprocità perfetta della non deroga norme generali/norma speciale, in quanto gli artt. 2437, 5° comma, e 2473, 1° comma fanno espressamente salvo l’art. 2497-quater, mentre questo dichiara l’applicazione di quelle solo se compatibile, anche se l’applicazione per rinvio implica sempre il positivo vaglio di compatibilità).

[43] ZORZETTO, La norma speciale. Una nozione ingannevole (Pisa, 2010). [44] ZORZETTO (supra, n. 43), 383 ss. [45] ZORZETTO (supra, n. 43), 36 e soprattutto 513 ss. [46] ZORZETTO (supra, n. 43), 26 ss. [47] ZORZETTO (supra, n. 43), 34.

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se le prime sono derogate dalle seconde o piuttosto se nessuna delle due norme, speciale e ge-nerale, deroga e le due si debbano usare congiuntamente nella giustificazione giuridica» [48].

7. Principi di corrretta gestione societaria e imprenditoriale. – In secondo luogo, l’elabo-

razione delle regole soprattutto di responsabilità, ma pure di azione, di organizzazione e di pro-cedimento, nel e del gruppo, risulta altrettanto costantemente orientata verso l’identificazione dei principi di corretta gestione societaria imprenditoriale e la definizione della loro natura di principi o di clausole generale [49], anche secondo differenti declinazioni [50].

Ritengo che occorra però essere pienamente consapevoli che le questioni ricostruttive e in-terpretative poste dal riferimento ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale so-no lungi dall’esaurirsi in quella, pur importante, della loro identificazione e tipizzazione; fermo restando che, credo, essi operino in modo diverso a seconda non solo della posizione organiz-zativa e finanziaria (soprattutto, ma non solo) della diretta, ma pure della “qualità” e del “tipo” dell’attività di direzione e coordinamento esercitata; e altrettanto fermo restando, ovviamente, che la scelta di affidarsi a “principi” incide sulla capacità di enforcement della previsione nor-mativa [51].

Mi sembra, ad esempio, che debba guadagnare progressiva centralità (anche) l’interrogativo relativo alla derogabilità di tali principi ovvero di obblighi di condotta e azione desunti da (e in applicazione di) questi principi; come pure quello concernente la portata applicativa “esterna” dei principi. In quest’ultimo caso, a mio avviso, si devono meglio definire i termini in cui essi presiedono anche alle regole di azione esterna della capogruppo, nel senso che tali principi mi pare possano e debbano essere tenuti in considerazione anche ai fini della responsabilità della

[48] ZORZETTO (supra, n. 43), loc. ult. cit. [49] V., per tutti, DENOZZA, Clausole generali, interessi protetti e frammentazione del sistema, in Studi in ricordo di Pier

Giusto Jaeger (supra, n. 11), 25 ss.; LIBERTINI, Clausole generali, norme di principio, norme a contenuto determinato. Una proposta di distinzione, ivi, 113 ss.; per tematiche più strettamente connesse ai gruppi, G. SCOGNAMIGLIO, “Clausole gene-rali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, ivi, 579 ss. (in particolare 592 ss.). Dibattito rivitalizzato dalla civili-stica e dalla sua rinnovata meditazione su un cambiamento radicale del significato della legislazione per principi e clausole e consequentemente sul ruolo di “regole di giudizio” (e interpretative) delle cc. dd. clausole generali: oltre (il diffusamente citato) VELUZZI, Le clausole generali: Semantica e politica del diritto (Milano, 2010), v., tra altri, Mazzamuto, “Il rapporto tra clausole generali e valori”, Giur. it., 2011, 7 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Principi generali, clausole generali e nuove tecniche di controllo dell’autonomia privata, in Annuario del contratto 2010 (Torino, 2011), 17 ss.; ID., “L’abuso del diritto”, Contratti, 2012, 8 ss. Vi è poi un ulteriore problema applicativo: «mentre sul piano sostanziale e, in particolare, in riferimento alla interpretazione delle clausole generali ed alla determinazione dei poteri del giudice in materia è fisiologica e doverosa l’evoluzione giurisprudenziale e l’adeguamento ai valori sociali ed economici, sul piano processuale i valori prevalenti con-sistono della certezza e della uniformità dell’interpretazione» [COSTANTINO (supra, n. 26), 1075]. Sicché, siamo proprio sicuri che la prova della violazione dei principi di corretta gestione da parte dell’attore non sconti un onere troppo gravoso di assolvimento, sia sotto il profilo della determinazione del principio che viene concretamente in discussione, sia della sua violazione, sia – ecco il punto – dell’identificazione di un principio che sia appunto certo e uniforme nell’interpre-tazione? E che, magari, non risultino in tal caso auspicabili interventi di agevolazione di assolvimento dell’onere probatorio dell’attore?

[50] In questa prospettiva, MAZZONI, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospetti-va di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber amicorum Antonio Piras (Torino, 2010), 813 ss.; e, in nuce, con attenzione però essenzilamente ai principi ispiranti i doveri di gestori di società “in cirisi”, v. le riflessioni di STANGHELLINI, La crisi d’impresa fra diritto ed economia. Le procedure d’insolvenza (Bologna, 2007); BRIZZI, “Responsabilità gestoria in prossimità dello stato di insolvenza e tutela dei creditori”, Riv. dir. comm., 2008, I, 1027 ss.

[51] La questione dell’attitudine all’enforcement di comandi resi in forma di principles ovvero di rules conosce un rin-vigorito dibattito negli USA, soprattutto nell’ambito della Security Law: cfr., tra altri, PARK, “Rules, Principles and the Com-petition to Enforce the Securities Laws”, 100 Cal. L. Rev., 115 ss.

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“madre” per atti o fatti della “figlia” che abbiano arrecato danni a terzi non soci o creditori del-la “figlia” (pensando al diritto italiano, viene in mente la possibilità di affermare la responsabi-lità della capogruppo per avere “imposto” ovvero tollerato un abuso della pubblicità – indebi-tamente omessa ovvero attuata – della soggezione ad attività di direzione e coordinamento e tale abuso abbia prodotto danni a terzi ai sensi dell’art. 2497-bis, 3° comma, c.c.).

8. Interesse di gruppo. – Si assume che, nell’ambito del diritto dei gruppi, l’interesse di gruppo sia (in qualche modo) derogatorio delle regole generali (in particolare) di azione, di or-ganizzazione e di sanzione.

Invero, l’interesse di gruppo costituisce, da sempre, uno dei poli di attrazione resistenti del residuale tentativo di armonizzazione; o, preferibilmente, al di fuori di questo, oggetto di una raccomandazione di riconoscimento.

Ma sull’interesse di gruppo, oggi come da sempre, non vi è affatto una soddisfacente coe-sione interpretativa nell’ambito delle differenti esperienze; più precisamente, proprio sulle sue accezioni e rilevanze, oltre che nella sussistenza di sue sicure basi dispositive di riconoscimento.

Ponendo attenzione, ad esempio, alla nostra esperienza, mi risulta spontaneo evocare, tra al-tre, la recisa, e da non sottovalutare, recente statuizione (a livello di obiter) contenuta in una decisione dei giudici milanesi [52], secondo la quale l’interesse di gruppo non assurge nell’art. 2497 c.c. a requisito di liceità dell’attività di direzione e coordinamento, attesa anche «l’estrema difficoltà di individuare l’interesse di gruppo». In questa prospettiva, l’interesse di gruppo appare defilato, potendo la società che dirige e coordina agire anche nell’interesse pro-prio o altrui (e non di gruppo), purché l’operazione – si precisa – sia almeno economicamente neutra per la diretta [53].

In effetti, a meglio riflettere, l’interesse di gruppo, se da una parte sembra non necessaria-mente di per sé evocato dal riferimento, nell’art. 2497, 1° comma, c.c., all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, dall’altra parte pare dovere o potere restare estraneo all’interesse, rispettivamente, proprio ovvero altrui menzionato nella medesima disposizione. Semmai, un sentore dell’interesse di gruppo lo si avverte nel continuum tra primo e secondo periodo dell’art. 2497, 1° comma, c.c., là dove è previsto che il danno prodotto per perseguimento non corretto di un interesse estraneo a quello proprio di società diretta e coordinata può risultare mancante «alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento».

In ogni caso, oggi, in modo ancora più netto di ieri, il tema è quello, di vertice e prelimina-re, del riconoscimento o meno dell’interesse di gruppo. Si ripetono e si ufficializzano i diversi argomenti per introdurre una regola che riconosca interesse di gruppo (§ 4.1.2. Report of Re-flection Group del 5 aprile 2011 [54]: aiuterebbe la capogruppo che è attiva in differenti paesi

[52] Trib. Milano, 17 febbraio 2012, in corso di pubblicazione in questa Rivista, 2012, I, 148 (con massime, peraltro, di altro tenore e ad altre questioni dedicate). E v. DENOZZA, Modalità di esercizio del controllo e corretto funzionamento del mercato, in I gruppi di società (supra, n. 10), II (Milano, 1996), 1144 ss. (confusioni e forzature dell’espressione interes-se di gruppo).

[53] Sulla questione, di recente, con conclusioni solo in parte condivisibili, MAUGERI, “Interesse sociale, interesse dei soci e interesse di gruppo”, Giur. comm., 2012, I, 66 ss.; in precedenza, G. SCOGNAMIGLIO, “Motivazione delle decisioni e governo del gruppo”, Riv. dir. civ., 2010, I, 774 ss.

[54] Sintomatico che PIERRE-HENRI CONAC nel suo intervento il 17 maggio 2011 in occasione della Conference on Eu-ropean Company Law: The way forward, dedicato anche alla parte del diritto dei gruppi contenuta nel Report del 5 aprile 2011, si premuri di avvertire che essa non è una nuova IX direttiva, non vuole essere un Konzernrecht.

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ad agire senza chiedersi se la legge dei singoli paesi riconosca o meno interesse di gruppo; po-trebbe chiarire i doveri dei gestori delle “madri” e delle “figlie” [55].

Al riguardo, mi limito a osservare che penso debba emergere, e assumere una definitiva va-lenza ricostruttiva, senza alcun tentennamento o comoda concessione all’equivoco, la consape-volezza che giungere a isolare una rilevanza di disciplina dell’interesse di gruppo non comporti necessariamente l’unificazione soggettiva dell’impresa di gruppo [56], la sua entificazione; an-zi, non richieda affatto questa unificazione ed entificazione, ma ne possa e debba prescinde-re [57], proprio al fine di conservare una reale valenza ricostruttiva e applicativa in materia.

Credo che uno degli esiti meritevoli della più avveduta riflessione in materia degli ultimi 30 anni, in Europa come in USA, sia la progressiva emancipazione dell’interesse di gruppo dalla soggettivizzazione del gruppo: la prima non presuppone la seconda e ne può, anzi ne deve, fare a meno.

Questo non significa che a singoli fini disciplinari [antitrust [58], bilancio [59], fiscale, lavo-

[55] Sostanzialmente in linea con la Comunicazione del 2003, Modernizzare il diritto delle società, dove si indicava a-gli Stati membri di adottare una norma quadro che consentisse ai responsabili della gestione delle società di gruppo «di adottare ed attuare una politica di gruppo coordinata, a condizione che gli interessi dei creditori della società siano effetti-vamente tutelati e che nell’arco del tempo la ripartizione dei vantaggi e degli svantaggi tra gli azionisti delle società sia e-quilibrata». Nello stesso tempo, il Report ammette la mancanza di un’evidenza empirica che supporti l’introduzione di questa regola dell’interesse di gruppo a livello comunitario.

[56] Sicché, anche sul piano processuale, il gruppo di società come tale non è titolare di diritti e obblighi e non può essere condannato: in Francia, di recente, Cour cass., 15 novembre 2011, Rev. soc., 2011, 37.

[57] Lo avvertiva già tra gli altri, JAEGER, Le società del gruppo tra unificazione e autonomia, in I gruppi di società (supra, n. 6), 1443 s., testo e nt. 55.

[58] A livello comunitario, rammento, tra altre Corte di Giustizia, 10 settembre 2009, Causa C-97/08 (Akzo Nobel NV e altri vs Comunita Europea), nn. 54-78, in particolare n. 58: «la condotta di una figlia può essere imputata alla madre, in particolare quando, sebbene avendo distinta personalità giuridica, questa figlia non decide indipendentemente la sua condotta sul mercato, ma esegue, da tutti i punti di vista, le istruzioni impartite dalla madre …, avendo riguardo in parti-colare ai legami economici, organizzativi e giuridici tra le due società»; v. il recentissimo punto di KERSTING, “Wettbewer-bsrechtliche Haftung im Konzern”, Der Konzern, 2011, 445 ss., ove ulteriori riferimenti; BÜRGER, “Die Haftung der Kon-zernmutter für Kartellrechtsverstoße ihrer Tochter nach deutschen Recht”, WuW, 2011, 130 ss.; THOMAS, “Die wirtschaf-tliche Einheit im EU-Kartellbußgeldrecht”, KSzW, 2011, 10 ss.; v. pure, in generale, TICHÝ, Der Konzern im Kartellrecht (Ei-ne Skizze), in Privatrecht in Europa. Vielfalt, Kollision, Kooperation. Festschrift für H.J. Sonnenberger zum 70. Geburstag (München, 2004), 262 ss. Con riguardo alla tipizzazione del condizionamento economico della madre sulla figlia, interes-santi sono, sebbene dettate ad altri fini disciplinari – § 14 KStG e § 2 GewStG –, le posizioni espresse, in Germania, dal BFH, 9 febbario 2011, AG, 2011, 591 s. (in particolare per i concetti di condizionamento o ingestione finanziaria, econo-mica e organizzativa). Tornando alla giurisprudenza comunitaria, cfr. Tribunale CE, 24 marzo, 2011 Causa T-383/06 (Tom-kins plc/Commissione): la fattispecie è quella di responsabilità della controllante relativa alla realizzazione da parte di una propria controllata di un’intesa vietata; e la questione processuale (procedurale), se, per converso e correlativamente, in queste situazioni, l’annullamento di una decisione di condanna per intesa anticoncorrenziale richiesto da un ricorrente possa coinvolgere un soggetto diverso ma legato da rapporto di controllo e considerato, nel giudizio poi annullato, respon-sabile assieme alla ricorrente dell’intesa. In queste fattispecie, la giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia, 14 set-tembre 1999, causa C-310/97 P, Commissione/AssiDomänKraft Products e a.) aveva stabilito il principio per cui l’an-nullamento pronunciato non può eccedere quello del ricorrente. Il Tribunale, però (punti 42-46) osserva che «dal punto di vista del diritto della concorrenza, la ricorrente costitui[sce] un’unica entità con la sua società controllata, la quale ha par-zialmente vinto la causa … in cui è sfociato il ricorso di annullamento di quest’ultima. L’imputazione che la Commissione ha contestato alla ricorrente implica pertanto che quest’ultima benefici del parziale annullamento della decisione impu-gnata nella suddetta causa … il Tribunale, adito con un ricorso d’annullamento presentato separatamente da una società controllante e da una sua controllata, non statuisce ultra petita quando tiene conto dell’esito del ricorso presentato dalla società controllata nell’ipotesi in cui il petitum del ricorso proposto dalla società controllante abbia il medesimo ogget-to…Occorre infine osservare che, nelle circostanze della fattispecie, la responsabilità in solido della società controllante e della sua controllata per il pagamento dell’ammenda loro inflitta le colloca in una situazione particolare per cui l’an-nullamento o la riforma della decisione impugnata implica conseguenze per la controllante cui è stato imputato il compor-tamento illegittimo della controllata. Infatti, se non si fosse verificato il comportamento illegittimo della società controllata, non ci sarebbe stata imputazione alla controllante di tale comportamento …, né condanna in solido della società control-lante con la controllata al pagamento dell’ammenda …».

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ro [60], cogestione [61], disciplina dei mercati [62]] l’interesse di gruppo, nella sua dimensione unitaria, senza ancora una volta presupporre e produrre la unificazione della struttura di gruppo in un unico soggetto giuridico, non possa (rectius, debba, proprio in funzione della soddisfa-cente realizzazione delle finalità disciplinari) determinare l’imputazione unitaria degli effetti al soggetto che di quell’interesse sia assertore e propugnatore, garante e definitore.

Fermo resta, e deve restare, piuttosto, l’orientamento che esprime, da una parte, la non ge-nerale unificazione soggettiva giuridica delle imprese del gruppo; dall’altra, la necessità che piuttosto un’imputazione unitaria degli effetti “dell’agire di gruppo” rispetto a certe conse-guenze sia predicata da norme che, a diversi fini e per le reationes di specifiche discipline, la riconoscano ovvero sia quanto meno predicabile in ragione dell’interpretazione di tali discipli-ne; dall’altra ancora, che pure nelle discipline nelle quali questo riconoscimento d’imputazione unitaria non sussiste, il “superamento degli schermi” è possibile eccezionalmente senza però che ciò pregiudichi, in senso generale, la necessaria differenziazioni delle componenti [63].

In questi ultimi casi, è bene osservarlo, occorre forse meglio riflettere sulle possibilità di praticare, nel diritto dei gruppi, una distinzione tra capacità giuridica e personalità giuridi-ca [64]: nel senso che l’assenza di personalità giuridica, cui si lega il concetto di unificazione ed entificazione, potrebbe non pregiudicare il riscontro, almeno a determinati fini, di una capa-cità giuridica del e di gruppo.

A ogni modo, questo approccio in tema d’interesse di gruppo – e bene dirlo– non è messo in crisi e contraddetto dall’idea, sempre più diffusa, che il tema della responsabilità della capo-gruppo per le obbligazioni delle figlie verso terzi debba in realtà essere governato da uno schema di ragionamento differente: in presenza di una forte integrazione tra madre e figlia, tale da pre-cludere nella sostanza la effettiva separatezza imprenditoriale ed economica delle unità e da de-terminare una confusione anzitutto patrimoniale, vige una presunzione relativa di responsabilità della madre, alla quale è però concesso di provare la inesistenza della integrazione confusoria.

Come neppure risulta esclusa l’utilità dell’interrogativo se l’esistenza del gruppo determini di per sé, organizzativamente e procedimentalmente, pur senza l’unificazione giuridica delle imprese, un’organizzazione del gruppo che incida sull’esercizio dei poteri e delle competenze degli organi delle distinte entità societarie: e, quindi, se l’esistenza, fattuale o contrattuale,

[59] In prospettiva sempre comparatistica, per la qualifica, nel diritto svizzero, dell’unità giuridica del gruppo nel caso di bilancio consolidato come unità fittizia, da cui discenderebbe l’inesistenza di un diritto dell’azionista della capogruppo di consultare i bilanci annuali delle società del gruppo, BG, 2 novembre 2005, BGE, 2006, III, 78 ss.; e, nella giurispru-denza francese, Cour cass., 3 novembre 2011, Bull. Joly Soc., 2012, 357 ss.

[60] Mi pare però degna di menzione, in prospettiva opposta all’unificazione delle conseguenze giuridiche per le so-cietà del gruppo, la decisione della Cour de droit civil svizzera, 2 dicembre 2010, BGE, 2011, III, 31 s., secondo la quale «in presenza di un gruppo di società, occorre esaminare per ognuna delle aziende membro se vi sia un licenziamento col-lettivo; il numero o la proporzione dei licenziamenti non viene stabilito sulla base del gruppo»; sulla nozione di co-emploi nei gruppi di società, cfr., per giurisprudenza francese, Cour cass., 30 novembre 2011, Bull. Joly Soc., 2012, 168 ss.; Cour cass., 28 settembre 2011, ivi, 59 ss.

[61] Avendo presente l’esperienza tedesca, § 5 MitbestG; e sulla nozione di gruppo nella cogestione v. ora OLG Dre-sda, 15 aprile 2010, AG, 2011, 88 s.

[62] Sempre con riguardo alla Germania, § 22 WpHG. [63] Di recente, in sintesi, WINDBICHLER, Zukunft des Gesellschaftsrechts: Orientierungen für die kapitalmarktorientierte

Aktiengesellschaft, in GRUDMANN-KLOEPFER-PAULUS-SCHRÖDER-WERLE (Hrsg. von), Festschrift 200 Jahre Juristische Fakultät der Humboldt-Universität zu Berlin. Geschichte, Gegenwart und Zukunft (Berlin, 2010), 1088.

[64] ADEN, “Rechtsfähigkeit des Konzerns – Zur funktinesbezogenen Rechtsfähigkeit“, DZWIR, 2011, 89 ss.; nella civi-listica, REUTER, „Rechtsfähigkeit und Rechtspersönlichkeit. Rechtstheoretische und rechtspraktische Anmerkungen zu ei-nem großen Thema“, AcP, 2007, 674 ss.

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dell’attività di direzione e coordinamento possa creare (rectius, legittimare la creazione di) una organizzazione di gruppo (Konzernorganisation) la quale includa le imprese di gruppo in un ordine particolare [65].

E non è un caso che di recente la questione sia stata riproposta [66], con una certa urgenza teorica e pratica, ipotizzando due modelli ricostruttivi e applicativi: creazione di una Re-chtsgemeinschaft i cui organi decidano tutto in modo vincolante (opzione ritenuta impraticabile anche nello stesso diritto tedesco) oppure trasferimento di competenze di organi delle figlie ai corrispondenti organi della capogruppo e assegnazione a questi della qualità di organi del gruppo, con conseguente creazione di quella che Wiedemann ha denominato «la supremazia organizzativa della capogruppo» (Primärordnung der Obergesellschaft).

La questione s’iscrive, a sua volta, in quella dei processi di adozione delle decisioni concer-nenti il gruppo e delle sue componenti. Problema che, se si vuole, solo per comodità, si può riassumere con l’espressione “corporate governance del gruppo” [67]. Problema che poi si specifica anche nella ricostruzione dei procedimenti di assunzione delle decisioni a livello ver-ticale (della “madre” o delle “madri” per le “figlie”), a livello orizzontale (tra “figlie” o tra le “madri”, in caso di attività congiunta di direzione e coordinamento), a livello interno (nel-l’ambito della “madre” o delle “madri” e in quello delle “figlie”).

La questione di vertice si esplica in molteplici interrogativi. Così, Marcus Lutter, eviden-ziando la rammentata incompiutezza del diritto tedesco dei gruppi [68], si domanda, ad esem-pio, se esista – e la risposta si pensa debba essere positiva – un dovere specifico di sorveglianza dell’organo di controllo della “madre” sull’esercizio del potere di direzione da parte del-l’organo di gestione [69]; e se l’organo di gestione della “madre” debba integrare e dirigere la “figlia” con la struttura di gruppo oppure se possa agire come azionista “disinteressato” o me-glio solo interessato a incassare gli utili annuali. Mi basta osservare che una (comunque attua-ta) “supremazia organizzativa” può funzionare come uno dei presupposti (titolo direi) della re-sponsabilità della capogruppo.

Immediata l’assonanza con alcune riflessioni sviluppate nell’esperienza statunitense in ma-teria di responsabilità della parent company quale unitary nerve center del gruppo (v. dopo); e, in quella comunitaria, di COMI nel diritto delle insolvenze transfrontaliere [70].

[65] È tornato sul tema WIEDEMANN, “Aufstieg unde Krise des GmbH-Konzernrechts“, GmbHR, 2011, 1015 s. [66] WIEDEMANN (supra, n. 65), loc. cit. [67] Cfr., ad esempio, HOFSTETTER, Corporate Governance im Konzern, in Neuere Tendenzen im Gesellschaftsrecht.

Festschrift für P. Forstmoser zum 60. Geburstag (Zürich/Basel/Genf, 2003), 301 ss.; e in una prospettiva particolare, GÖTZ, “Corporate Governance multinationaler Konzerne und deutsches Unternehmensrecht“, ZGR 2003, 1 ss.

[68] LUTTER (supra, n. 6), cit. [69] Precedentemente, GÖTZ, “Leitungssorgfalt und Leitungskontrolle der Aktiengesellschaft hinsichtlich abhängiger

Unternehmen”, ZGR, 1998, 539 ss.; e lo stesso LUTTER, “Der Aufsichtsrat im Konzern, AG, 2006, 517 ss.; ID., Zustim-mungspflichtige Geschäfte im Konzern, in Liber amicorum W. Happ zum 70. Geburstag (Berlin, 2006), 140 ss.; cfr. pure CARIELLO, “Consiglio di sorveglianza della capogruppo e “unificazione e supervisione strategica” del gruppo”, A.G.E., 2007, 2, 288 s.

[70] In particolare, volendo qui invece privilegiare il dibattito in atto nell’esperienza italiana, mi piace richiamare quel-le prospettive di ricerca che, muovendo dalla giustificazione dell’annullamento dell’autonomia in caso di confusione di patrimoni delle società e di attività di direzioni tali da compromettere nella forma e nella sostanza la separatezza, giustifi-cano – MAZZONI, Concordati di gruppi transfrontalieri e disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza, in Studi in ri-cordo di Pier Giusto Jaeger (supra, n. 11), 895 ss.; ID., Soluzioni concordatarie: interferenze con il diritto societario, proces-suale e del mercato finanziario, in FORTUNATO-GIANNELLI-GUERRERA-PERRINO (a cura di), La riforma della legge fallimentare (Milano, 2011), 135 ss. prima, v. anche ID., Osservazioni in tema di gruppo transnazionale insolvente, in questa Rivista, 2007, I, 2 ss. – un’interpretazione della nozione di “centro degli interessi principali” rilevante ai fini del Regolamento Eu-

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Nel contempo, la “supremazia organizzativa”, almeno nel diritto italiano, non credo possa revocare in dubbio l’esistenza di limiti all’ingerenza della capogruppo anche in ipotesi di dire-zione e coordinamento “forte”.

Invero, esiste un terzo modello che in qualche modo segnala una tendenza almeno alla rea-lizzazione di forme di compartecipazione formale della capogruppo nel processo decisionale delle figlie: è quello realizzato attraverso lo schema della c.d. doppia approvazione di atti della figlia (da parte della madre – più frequentemente – preventivamente o – più di rado – successi-vamente alla decisione assunta dagli organi competenti della figlia) [71].

9. Segue. Interesse di gruppo e crisi nel gruppo (cenni). – Su un piano sempre di direttive

generali dell’indagine, occorre condurre aggiuntivi e continui approfondimenti sulla dimensio-ne operativa del perseguimento dell’interesse di gruppo in presenza di crisi isolate di imprese del gruppo ovvero di crisi propagate a più imprese di gruppo.

In questo senso, il salto qualitativo dell’indagine – v. anche dopo – può essere propiziato da un ulteriore intensificarsi della riflessione sui doveri di direzione unitaria dell’impresa “in zona d’insolvenza” ovvero già entrata in stato di insolvenza in connessione con la possibile, se non doverosa riqualificazione degli scenari di perseguimento dell’interesse di gruppo in presenza di singole componenti imprenditoriali interessate da crisi prossime o già sfociate in trattamenti concorsuali.

Come non pensare, in questa prospettiva di riflessione, ai sempre più diffusi inviti a ri-definire lo status dei doveri degli organi di società prossima all’insolvenza, sovraindebitata o insolvente? Si rammenti, in particolare, come, in tale contesto, in Europa, da parte di talu-ni [72], la stessa business judgment rule risulti essere intesa, ma non senza contrasti, trasfigu-rarsi nella insolvency judgment rule, relativamente all’adozione di decisioni imprenditoriali in fase di già attivata procedura d’insolvenza. Con chiare assonanze – come appureremo – con at-teggiamenti e posizioni, soprattutto, di giurisprudenza e dottrina statunitensi.

Il tema, di per sé, anche nei diritti continentali (oltre che negli USA: v. dopo), è ormai pros-simo a maturazione e approdi normativi, là dove si parla, sempre più con insistenza [73], di co-dificazione dei doveri di gestione nella crisi [74], capitolo centrale del c.d. diritto dell’organiz-zazione dell’impresa in crisi.

ropeo sulle procedure di insolvenza che «individui l’essenza della nozione stessa nella coincidenza tra main interests di una determinata controllata e interessi riferibili all’intero gruppo, inteso come impresa economicamente unitaria; e ciò tutte le volte in cui l’integrazione di quella controllata nella gestione unitaria del gruppo sia particolarmente intensa» (MAZZONI, Concordati, cit., 911). In questo senso, acquista importanza e rilevanza forse anche quanto deciso da Trib. Iser-nia 10 aprile 2009, Fallimento, 2010, 59 ss.: «ai sensi dell’art. 3 n. 1 del Regolamento CE n. 1346/2000 si deve ritenere situato in Italia, con cnoseguente competenza del giudice italiano ad aprire la procedura di insolvenza, il centro degli iin-teressi principali di una società di capitali con sede statutaria in Lussumburgo ma il cui intero capitale sociale sia detenuto da società avente sede in Italia, che sia amministrata da un consiglio nel quale l’unico soggetto con nazionalità lussembur-ghese non è titolare di deleghe operative, e la cui attività sia costituita da emissione di prestiti obbligazionari di cui si erano fatte garanti le altre società del gruppo».

[71] Cfr., per un esempio normativo di diritto interno, art. 4, comma 1, lett. d), Regolamento sulle operazioni con par-ti correlate (delibera Consob n. 17221 del 12 marzo 2010).

[72] Immediato il riferimento – ma non solo – a UHLENBRUCK, Corporate Governance, Compliance and Insolvency Ju-dgement Rule als Problem der Insolvenzverwalterhaftung, in Festschrift für K. Schmidt (supra, n. 6), 1613 ss.

[73] In Germania, tra gli ultimi, KLEINDIEK, Geschäftsführerhaftung in der Krise, in Festschrift für U.H.Schneider (Köln, 2011), 617 ss., in particolare 630 s.

[74] Vi è ormai la consapevolezza, da più di un decennio, che il gruppo nell’insolvenza sia un Sonderfall e si insiste

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In altre parole, occorre sottoporre a seria verifica la possibilità che, in corrispondenza di un aggravamento dello stato di crisi di una impresa di gruppo, si assottigli di per sé, per la capo-gruppo e per i gestori della stessa impresa versante in tale stato, la legittimità di scelte impren-ditoriali riguardanti quest’ultima corrispondenti o anche corrispondenti all’interesse di gruppo, divenendo progressivamente sempre più prevalente, fino ad assumere valenza esclusiva, il per-seguimento del solo interesse dell’impresa in crisi e dei soggetti patrimonialmente più esposti

sulla mancanza di un diritto dell’insolvenza di gruppo, discutendo sulle sue conseguenze, in taluni ordinamenti ritenute da alcuni non troppo rilevanti, in presenza di diritti societari contenenti regole espressamente riferite a tale insolvenza o, co-munque, adattabili interpretativamente a essa. Ancora una volta, il Forum Europaeum del 1998 dedicava al tema degli ob-blighi degli amministratori in caso di crisi un paragrafo specifico (IX) per sensibilizzare il legislatore euorpeo, guardando all’esperienza britannica del wrongful trading (Sec. 214 Insolvency Act) e a quelle francese e belga dell’action en comble-ment du passif, alla formalizzazione di due proposte, una principale e generale e l’altra alternativa e specifica per i gruppi («una capogruppo che abbia indotto gli amministratori di una società controllata a perseguire una politica gestionale nell’interesse del gruppo, nel momento in cui non sussita per la controllata nessuna ragionevole prospettiva di evitare lo scioglimento con le proprie forze (momento iniziale della crisi) sarà tenuta a provvedere senza indugio a risanare in modo energico la controllata oppure a disporre la sua liquidazione in forma ordinata …»). Emergeva già in quel contesto la pro-pensione a disconoscere un obbligo della capogruppo a risanare una società “figlia” la cui permanenza in vita (come ope-rativa) implicasse appunto un intervento di risanamento finanziario. Negli ultimi 5 anni, vi è stato un fiorire degli studi sulle prospettive applicative e interpretative, in particolare, nel caso di insolvenze di gruppi multinazionali (in relazioni alle qua-li, invero, si avverte come massima l’urgenza di regole scritte). Il diritto statunitense offre tecniche di perseguimento della responsabilità note, che si collocano tra doctrine e rule (piercing the corporate veil: Alter ego doctrine e Instrumentality Ru-le: v. anche dopo). Vengono perorate soluzioni de lege data e de iure condendo, partendo anche da leading cases (su tutti: EUROFOOD-PARMALAT, COLLINS & AIKMAN). [tutto M.LO?] Analisi dettagliata, anche delle prospettive de lege feren-da, nel diritto continentale, soprattutto in Germania: tra i molti, SCHMIDT, “Konzern-Insovenzrecht – Etwicklungsstand und Perspektiven“, KTS, 2010, 1 ss. VALLENDER, Plädoyer für einen Konzerninsolvenzgerischtsstand, in Festschrift für H.P. Run-kel (Koln, 2009), 373 ss.; NICHT, Konzernorganisation und Insolvenz (Dresden, 2009); DEYDA, Der Konzern im europäi-schen internationalen Insolvenzrecht (Baden-Baden, 2008); PAULUS, “Überlegungen zu einem modernen Konzerninsol-venzrecht“, ZIP, 2005, 2301 s.; ROTSTEGGE, Konzerninsolvenz (Baden-Baden, 2007); ma tra i pioneri degli studi sull’insol-venza di gruppo dapprima, Lutter, “Der Konzern in der Insolvenz“, ZfB, 1984, 781 ss.; Kübler, “Konzern und Insolvenz – Zur Durchsetzung konzernmäßiger Sanierungsziele an den Beispielsfällen AUG und Korf, ZGR, 1984, 560 ss.; LAUBACHER, Die Haftungsproblematik bei Konkurs einer Gesellschaft innerhalb eines transnationalen Unternehmens – Eine Untersu-chung auf der Grundlage des deutschen Aktienkonzernrechts (Konstanz, 1984); BLUMBERG, The Law of Corporate Groups – Problems in the Bankruptcy or Reorganisation of Parent and Subsidiary Corporations, Including the Law of Corporate Guara-ties (Boston and Toronto, 1985); MEVORACH, “Towards a Consensus on the Treatment of Multinational Enterprise Groups in Insolvency“, 18 Cardozo J. Int’l & Comp. L. 359; UHLENBRUCK, “Konzerninsolvenzrecht als Problem der Insolvenzrechts-reform“, KTS, 1986, 419 ss.; EHRICKE, Das abhängige Konzernunternehmen in der Insolvenz (Tübingen, 1998); ID., “Die Zusammenfassung von Insolvenzverfahren mehrerer Unternehmen desselben Konzern“, DZWiR, 1999, 353 ss.; ID., “Die neue Europäische Insolvenzverordung und grenzüberschreitende Konzerninsolvenz“, EWS, 2002, 101 ss.; ID., “Zur ge-meinscheftlichen Sanierung insolventer Unternehmen eines Konzerns“, ZinsO, 2002, 393 ss. È un dato di fatto che vi sia stata quasi una contemporaneità di emersione delle tematiche a livello UNCITRAL (Guide del 2004: in Italia, con prospet-tive applicative continentali, cfr. Mazzoni, “Cross-border insolvency of multinational groups of companies: proposal for an European approach in the light of the UNCITRAL approach”, Dir. comm. internaz., 2010, 755 ss.) e di dibattito in Germa-nia (dove dal 2005 in avanti diversi sono stati gli interventi e le prese di posizione: muovendo il dibattito dal “se” al “co-me” di un Konzerninsolvenzrecht: segnalo solo, nel 2005, il saggio, ricco di spunti, di EIDENMÜLLER, “Verfahrenskoordina-tion bei Konzerninsolvenzen”, ZHR, 2005, 528 ss.; in prospettiva anche di più ampio respiro, sempre EIDENMÜLLER (supra, n. 19), 474 ss., in particolare 486 ss.; più di recente, Windbichler, Zukunft des Gesellschaftsrechts: Orientierung für die kapitalmarkorientierte Aktiengesellschaft, in Festschrift 200 Jahre Juristische Fakultät der Humboldt-Universität zu Berlin (Berlin, 2010), 1079 ss.; PAULUS, “Wege zu einem Konzerninsolvenzrecht”, ZGR, 2010, 270 ss. Lo stesso EIDENMÜLLER, “Zukunftperspektiven der privatrechtlichen Forschung“, ZGR, 2007, 498, pone la questione se sia consigliabile un Kon-zernrestrukturierungsverfahren europeo. Ulteriori approfondimenti pure in VERHOEVEN, Die Konzerninsolvenz (Köln, 2011), in particolare 77 ss., 109 ss., 181 ss., 249 ss.; BRÜNKMANS, Die Koordinierung von Insolvenzverfahren konzernverbundener Unternehmen nach deutschen und europäischem Insovenzrecht (Berlin, 2009); BONUS, Die Konzernleitungsmacht im Insol-venzverfahren konzernverbundener Kapitalgesellschaften (Köln, 2011); HIRTE, Die Tochtergesellschaft in der Insolvenz der Muttergesellschaft als Verpfändung von “Konzern”-Aktiva an Dritte – Überlegungen zu Entwicklung eines Konzerninsolvenz-rechts, in Festschrift für K. Schmidt (supra, n. 6), 641 ss. Tuttavia, anche dopo il regolamento comunitario e proprio dopo le Guide of Insolvency Law dell’UNCITRAL del dicembre 2004, i temi cominciano a essere però meglio isolati: ad esem-pio, il concetto di gruppo e la non unificazione delle imprese sane nell’insolvenza, la proposizione della domanda, il c.d. post-commencement financing, l’impugnazione della dichiarazione d’insolvenza, la riorganizzazione “di gruppo”.

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agli esiti negativi della stessa crisi. Sebbene la mia convinzione, come quella di altri, sia che, anche in questo caso, l’interesse di gruppo non possa essere essere obliterato, soprattutto lad-dove la sua considerazione permetta di assumere iniziative atte a evitare propagazioni della cri-si ad altre imprese rientranti nel perimetro dell’attività di direzione e coordinamento.

10. Segue. Interesse di gruppo e tecnica dei vantaggi compensativi. – L’interesse di grup-

po presiede, in particolare, al funzionamento del meccanismo compensativo, nella sua duplice portata di criterio di organizzazione delle regole di azione e procedimentali (o, per chi preferi-sca fondere le due prospettive, delle regole procedimentali di azione) nel gruppo e di criterio di determinazione dell’esistenza o meno di una responsabilità di e nel gruppo.

Molte riflessioni si potrebbero svolgere, anche di segno critico, su tale meccanismo o, piut-tosto, sulle sue propagandate, e a volte distorre, prassi applicative.

La mia convinzione – tutt’altro che scontata, attesi appunto alcuni riscontri teorici e pratici che accompagnano l’uso della tecnica – è che l’invocazione e l’impiego del meccanismo com-pensativo, ancora una volta in Italia ma anche in altre esperienze, deve essere conforme ai e supportato dai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale del e nel gruppo: nel senso che un impiego del meccanismo compensativo in contrasto con questi principi renderà lo stesso meccanismo inidoneo alla produzione di effetti esonerativi della responsabilità, ma, an-zi, potendo funzionare da fattore di aggravamento di questa responsabilità.

In questo senso, sono convinto, ad esempio, che il meccanismo compensativo non possa operare in situazioni di forte tensione finanziaria e patrimoniale, di crisi o di prossimità all’insolvenza dell’impresa inserita nel gruppo. O più precisamente e meglio, secondo la cor-retta impostazione di buona parte della giurisprudenza penalistica (quella incline a distinguere la infedeltà patrimoniale dell’art. 2634, comma 3, c.c. dalla bancarotta fraudolenta impropria ex art. 216 e 223, 1º comma, legge fall.), sebbene non vi è chi non colga la non piena corri-spondenza tra art. 2497, 1° comma, secondo periodo, e 2634, 3° comma, c.c.:

(i) il vantaggio compensativo cessa allorché venga operato un trasferimento di ricchezza (anche prestazione di garanzie), senza alcuna contropartita economica, da una società in diffi-coltà economiche ad altra del medesimo gruppo in analoghe difficoltà, considerato che, in tal caso, nessuna prognosi positiva è possibile [75];

(ii) non si versa più nell’ambito del vantaggio compensativo, neppure civilistico, quando un atto dannoso cagiona il dissesto della società gestita, a favore di altre società collegate, in vista di vantaggi del tutto aleatori e privandola di beni strumentali, e determina l’impossibilità della stessa ad una successiva proficua gestione [76];

(iii) l’assunzione di obbligazioni gravanti sul patrimonio della società a favore di altre so-cietà del gruppo di cui sia noto lo stato di difficoltà, per importi esorbitanti dalla capienza del patrimonio della società garante con ciò determinandone il fallimento, considerato che si tratta di un atto che – addebitando, con valutazione ex ante, un immediato e sproporzionato sacrificio finanziario alla società garante in vista di vantaggi del tutto aleatori, o comunque, con ragione-voli probabilità di insuccesso – è incompatibile con la corretta espressione del potere di ammi-nistrazione [77].

[75] Cass., 8 novembre 2007, n. 7326, Cass. pen., 2009, 291. [76] Cass., 15 luglio 2008, n. 39546, Società, 2009, 919. [77] Cass., 22 febbraio 2007, Cass. pen., 2008, 3021; Cass., 22 ottobre 2008, n. 39546, Fallimento, 2009, 313 ss.

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Mi pare, più precisamente, che pure una realizzata compensazione possa entrare in collisio-ne – il punto è stato colto con chiarezza, in Italia, soprattutto da Miola [78] – con la conserva-zione in vita della società e quindi la garanzia che essa disponga di una liquidità sufficiente a escludere la sua insolvenza o il suo ingresso “in zona di insolvenza” o di “turbolenza finanzia-ria” ragionevolmente prodromica all’insolvenza.

Questo vuol dire che i problemi di tutela della diretta e dei suoi (eventuali) soci di minoran-za e dei creditori non sono affatto risolti garantendo una compensazione: e quindi che la com-pensazione anche effettuata non basti a escludere la responsabilità della società che dirige e coordina e dei gestori nel momento in cui la compensazione non sia comunque in grado di evi-tare, anche in via puramente prospettica, un’incidenza esiziale – o anche solo potenzialmente esiziale – sul patrimonio netto della diretta e la distruzione della sua liquidità.

In questo senso, gettando lo sguardo all’intenso dibattito comparatistico sugli “spostamenti finanziari” infragruppo, mi paiono da valorizzare al massimo gli spunti della giurisprudenza, della dottrina ma anche della normativa tedesche (ovvio il riferimento alla c.d. Zahalungshaf-tung dei §§ 64 GmbHG e 92 Abs. 2 S. 3 AktG; cfr. 15a InsO) tesi a valorizzare la connessione e la compatibilità tra regole del capitale, flussi di liquidità e doveri gestori degli amministratori volti a verificare “le condizioni di ammissibilità” di erogazioni finanziarie effettuate dalla di-retta verso altre società del gruppo [79]: doveri bilancistici (valore del credito da iscrivere a bi-lancio), drittvergleich Test; valutazione prognostica di evoluzione della situazione (se il presti-to, in prospettiva, è idoneo a compromettere la conservazione di liquidità tale da condurre a un rischio della sua operatività sul mercato), doveri di monitorare la solvibilità della capogruppo o della società cui il prestito è giunto (solvency e liquidity test) [80].

In definitiva, occorre che il meccanismo compensativo soggiaccia a verifiche idonee a e-scludere, tra l’altro, che la compensazione, eliminando un danno specifico, sia però a sua volta, prospetticamente idonea a minacciare la sopravvivenza della società [81]. In altre parole, è ne-cessario avere chiaro che lo stesso danno di cui si predica la compensazione non sia in realtà, non nell’immediato ma prospetticamente tale da minare l’esistenza o da esporre la società ad altri danni (questa, d’altronde, l’impostazione, non sempre adeguatamente valorizzata in Italia, del Forum Europaeum del 1998).

Inoltre, resta equivoco e parziale continuare a ragionare nel senso che il danno a una società debba essere compensato dal vantaggio alla stessa società. Il danno a una società diretta può tradursi pure in un danno all’interesse del gruppo e al gruppo nella sua complessità: se la porta-ta del danno è (fosse) non solo atomistica (alla singola società del gruppo), la compensazione non può essere (potrebbe essere) solo atomistica ma tale da estendere la sua portata elidente al-

[78] MIOLA, Tesoreria accentrata nei gruppi di società e capitale sociale, in La struttura finanziaria e i bilanci delle socie-tà di capitali. Studi in onore di Giovanni E. Colombo (Torino, 2011), 36 ss.; cfr. anche qualche cenno, in precedenza, in VICARI, L’assistenza finanziaria per l’acquisto del controllo delle società di capitali (Milano, 2006), 218 ss.

[79] MIOLA (supra, n. 78), cit. [80] Ancora diverse, sebbene in qualche modo parzialmente limitrofe, le questioni, particolarmente avvertite nel-

l’esperienza del diritto concorsuale statunitense, sollevate dal quel tipo particolare di shareholder opportunism denomina-to correlation-seeking rivelato dalla combinazione di società “figlie” e garanzie intragruppo: cfr. SQUIRE, “Strategic Liability in the Corporate Group”, 78 Univ. Chicago L. Rev., 605 ss.

[81] D’altronde, come già rilevato da GUERRERA, ““Compiti” e responsabilità del socio di controllo”, in questa Rivista, 2009, ??, 511, l’accentramento della tesoreria, creando una situazione di totale dipendenza finanziaria della diretta, può assumere rilevanza ai fini della valutazione dell’agire corretto (e, assumendo ciò, si può svolgere l’ulteriore considerazione secondo cui, ove la compensazione risulti essere una modalità di gestione degli impieghi della tesoreria, essa non può es-sere sottratta, all’evidenza, a una valutazione in termini di corrispondenza o meno ai principi di corretta gestione).

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le propagini di gruppo del danno. La compensazione dovrà essere di gruppo, tale da eliminare le (ovvero addirittura evitare la produzione delle) conseguenze dannose propagabili al grup-po [82]. Il tema si interseca con quello dell’efficace informazione programmatica, interna ed esterna, della direzione del gruppo.

Tutto quanto precede, e altro ancora, m’induce a sostenere che sarebbe necessario sostenere la stessa involcabilità del vantaggio compensativo solo in presenza (non tanto o non necessa-riamente di un contratto di attività di direzione e coordinamento, bensì e piuttosto) di un piano strategico, industriale, finanziario di gruppo che evidenzi, programmaticamente, le operazioni della capogruppo rispetto alle figlie, così da rendere trasparente la gestione prospettica di gruppo.

In questa prospettiva di riflessione, si coglie quanto mai, almeno per il giurista italiano, la fecondità dell’uso interpretativo del diritto comparato.

Mi limito a notare che il principio fondamentale coniato dal grand arrêt francese Rozen-blum, pronunciato dalla cassazione penale (4 febbraio 1985 [83], e poi transitato in decisioni della cassazione civile (a partire da Cour cass. 3 aprile 1990 [84], e che oramai circola immodi-ficato nella giurisprudenza della cassazione criminale, stabilisce anche che per ricadere nella previsione dell’Art. L. 241-3,4 Code comm. l’apporto finanziario a favore di una società del gruppo nel quale gli amministratori siano interessati direttamente o indirettamente deve essere dettato da un interesse (appunto) economico, sociale o finanziario, apprezzabile con riguardo a una politica elaborata per l’insieme del gruppo e non deve né essere priva di contropartita né alterare l’equilibro tra gli impegni rispettivi delle società del gruppo [85].

In Francia, la domanda se esista la compensazione è l’ultima, non la prima. Si guarda alla struttura, alla sinergia tra le società, se esista un bilanciamento e, solo alla fine, alla compensa-zione.

Così diviene essenziale stabilire quali siano i presupposti – appunto– di corretta invocabilità del meccanismo compensativo. Il Forum Europaeum del 1998 ne individua tre, il Report del 2011 quattro (ma il quarto è in realtà menzionato anche dal Forum):

(i) gruppo strutturalmente stabilizzato (società non “selvaggiamente” messe insieme, non “schiavizzate”, dovendo mantenere una certa autonomia);

(ii) gruppo sottoposto a una complessiva politica coerente; (iii) opportunità di guadagno calibrate tra le varie componenti del gruppo; (iv) non legittimità che alcuna delle società del gruppo sia esclusa in tutto e/o a lungo termi-

ne da partecipazione ai vantaggi patrimoniali.

[82] Ognuno coglie come, così richiedendo, non si stia affatto predicando che la compensazione di un danno sofferto da una società del gruppo possa accontentarsi dei generici vantaggi derivabili dalla sua inclusione nel perimetro di eserci-zio dell’attività di direzione e coordinamento.

[83] Cour cass., 4 febbraio 1985, Rev. trim. dr. com., 1985, 827 ss. (ma già Trib. Corr. Paris, 16 maggio 1974, Rev. soc., 1975, 657). Spontanea la marcata (anche se non totale) continuità tra questa giurisprudenza e quella statunitense del c.d. advantage/disadvantage test, rilsalente al noto caso Case v. New York Central Railroad Company del 1964.

[84] Cour cass., 3 aprile 1990, Rev. soc., 1990, 625 ss. Per un’analisi, abbastanza recente, dei casi affrontati dalla giu-risprudenza penale francese dal 1985 al 2004, v. BOURSIER, “Le fait justificatif de groupe dans l’abus de biens sociaux: en-tre efficacité et clandestinité. Analyse de vingt ans de jurisprudence criminelle“, ivi, 2005, 273 ss.; per l’attenzione dei giu-risti tedeschi alla giurisprudenza transalpina, tra diversi, LUTTER, Zur Privilegierung einheitlicher Leitung im französichen (Konzern-)Recht, in Festschrift für A.Kellermann zum 70.Geburstag (Berlin-New York, 1991), 260 ss. (ove l’affermazione del significato “comparatistico”, trascendente il diritto francese, della giurisprudenza Rozenblum: 267 ss.); tra i recenti, GRÄ-BENER, Der Schutz außenstehender Gesellschafter im deutschen und französichen Kapitalgesellschaften (Baden-Baden, 2010), 105 ss.

[85] Cass. crim., 10 febbraio 2010, Droit soc., 2010, 5, 40 ss.; Cass. crim., 11 febbraio 2009, ivi, 2009, 2009, 4, 39 ss.

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Vorrei rimarcare la portata “procedimentale” di questa accezione del vantaggio compensa-tivo: come, appunto, anzitutto, regola procedimentale dell’agire del e nel gruppo.

11. Tre proficue prospettive di uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi. – Se

tentiamo a questo punto di meglio articolare scenari e prospettive, in particolare giurispruden-ziali, nei quali l’uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi si presenta più propizio, non avremmo soverchie difficoltà ad appurare che, in questi scenari e contesti, forse del tutto evi-dentemente e inevitabilmente, le riflessioni sulle regole di organizzazione, di azione, di proce-dimento, quando esistenti, sono – come già anticipato – il portato di precorsi argomentativi o statuizioni elaborate in sede di determinazione di regole di sanzioni: in particolare, di quelle regole che permettono talvolta di superare il principio, di portata generale, per cui la società “madre” non risponde, se non volontariamente, delle obbligazioni incombenti sulla “figlia” verso terzi con i quali la stessa “figlia” abbia instaurato contatti giuridicamente rilevanti.

La giurisprudenza europea, nei principali paesi dove la riflessione sui gruppi appare più af-finata (Germania, Svizzera, Francia; Gran Bretagna; in modo non irrilevante anche in Olanda, Spagna e Portogallo), ha elaborato senza dubbio tecniche di tutela che, a prescindere dalla loro derivazione da soluzioni legali specifiche in materia di gruppi, hanno rappresentato e rappre-sentano il retroterra di istanze di “convergenze senza armonizzazioni” anche assai di recente rappresentate.

Rispetto a molti di questi percorsi giurisprudenziali stranieri (a prescindere dalla circostanza che essi vengano praticati in paesi con o meno discipline generali dei gruppi) il giurista di dirit-to italiano, compreso il giudice, è bene si ponga con apertura d’animo e d’intelletto, propenso e disposto ad attentamente considerarne le soluzioni – alcune delle quali, ben inteso, dallo stesso giudice italiano raggiunto tramite simili o pure differenti percorsi argomentativi –, pur sempre alieno da pratiche acriticamente recuperatorie dell’altrui e con spiccata attenzione ai margini (appunto) di utilizzazione interpretativa del diritto comparato, in funzione esplicativa e applica-tiva della nostra disciplina.

Ma pure consapevole del fatto che, anche laddove esso dovesse appurare la non praticabilità nel proprio diritto di alcuni di quei percorsi argomentativi e di alcune di quelle correlate con-clusioni, tale conclusione avrà nondimeno assolto a una non irrilevante funzione metodologica e interpretativa: quella, appunto, di rendere l’interpretazione e l’applicazione del proprio diritto nazionale impermeabili a siffatti percorsi.

Riservo la mia attenzione a tre percorsi, ognuno dei quali caratterizzato da scenari definitori dei principali interrogativi interpretativi e applicativi del moderno diritto dei gruppi in ambito comparatistico:

(i) propagazione negativa e positiva alla capogruppo di effetti prodotti da relazioni inter-venute tra società “figlia” e terzi, alle quali la medesima capogruppo risulta formalmente e-stranea, da un punto di vista giuridico. Qui il principio interpretativo che regge ed è saldo vuo-le tendenzialmente esclusa ogni propagazione, con importanti eccezioni fattuali determinate da condotte della capogruppo tipizzate e quindi oggetto di una diffusa uniformità d’identifica-zione e catalogazione;

(ii) limiti del potere di condizionamento delle società “figlie” e di libera determinazione della capogruppo dell’assetto organizzativo del gruppo. In questo caso, il principio interpreta-tivo tendenzialmente applicabile disconosce l’assoluta irresponsabilità per asservimento delle società “figlie” al perseguimento dell’interesse ovvero degli interessi di gruppo, nel contempo riconoscendo però un relativa libertà organizzativa del gruppo;

(ii) possibile diversa gradazione contenutistica e destinazione soggettiva dei doveri di cor-

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retto esercizio del potere di eterogestione della capogruppo in ragione della concreta situa-zione patrimoniale e/o finanziaria della società “figlia”. Il principio interpretativo che pare destinato a un progressivo sempre più diffuso accoglimento è, in tale caso, in effetti, conforme all’idea della necessaria diversificazione contenutistica e destinazione soggettiva di tali doveri, secondo un parametro di scelta e selezione da parte della capogruppo e dei gestori (soprattutto) delle società “figlie” sottratto ad automatismi e, piuttosto, ispirato a un’attenta e ponderata va-lutazione comparata dei complessivi interessi coinvolti nella gestione del gruppo.

Escludo dall’esame, e quindi dall’esposizione, tra l’altro, la prospettiva (attualmente, non normativa, neppure in Paesi nei quali la riflessione risulta avere raggiunto stadi assai evoluti di approfondimento), cui già facevo cenno, delle regole di azione e di organizzazione delle im-prese di gruppo interessate da soluzioni concordatarie, di ristrutturazione o più latamente “ne-goziali” di uno stato di crisi. Alludo soprattutto all’esame delle regole – facenti parte del c.d. diritto societario delle imprese in crisi – di definizione o ridefinizione dell’assetto delle compe-tenze ovvero dei poteri decisionali in caso, soprattutto, di accesso di un’impresa di gruppo a siffatte soluzioni. Mi limito solo a ribadire come si tratti, in questo caso, di imprimere, almeno in Italia, un’accelerazione al dibattito, altrove (soprattuto in Germania) da tempo centrale, rela-tivo, sotto il profilo metodologico e delle premesse sistematiche, alle modalità di combinazione delle “regole dello statuto societario” con quelle dello “statuto dell’insolvenza”; sotto un profi-lo peculiare, alla possibilità che gli organi della capogruppo assumano un ruolo decisionale, se non preminente, quanto meno imprescindibile nei passaggi procedimentali di predisposizione e attuazione delle soluzioni.

12. Segue. Diritto tedesco. – Guardando a questi tre percorsi nei quali l’uso interpretativo

del diritto comparato si presenta, almeno nelle premesse, proficuo, e iniziando dalla Germania, l’attenzione del comparatista è attirata:

(a) dalla condivisibile resistenza a riconoscere la responsabilità da affidamento nella capo-gruppo derivante da semplice rappresentazione dell’appartenenza al gruppo [86], in linea, a ben vedere (sebbene talvolta si trovi affermato il contrario), con la costante giurisprudenza svizzera. Giurisprudenza elvetica che esclude la responsabilità da affidamento nella capo-gruppo per indicazioni di carattere generale in merito all’esistenza di una relazione di gruppo, nel contempo attestando la meritevolezza di protezione di quella fiducia che derivi da un com-portamento della società madre suscettibile di evocare aspettative sufficientemente concrete e determinate [87];

[86] OLG Düsseldorf, 15 luglio 2005 (“Deutscher Herold”), consultabile in www.justiz.nrw.de; per un commento alla sentenza RIECKERS, “Werbung mit Konzernzugehörigkeit als Haftungsrisiko?, BB, 2006, 277 ss., ove ulteriori riferimenti; v. anche ULRICH, “Durchbrechung der Haftungsbeschränkung im GmbH-Unternehmensverbund und ihre Grenzen“, GmbHR, 2007, 1294.

[87] BG, 15 novembre 1994 (Swissair-Fall), BGE, 120, I-II, 333 ss.; BG, 10 ottobre 1995 (Grosse-Fall), ivi, 121 III, 350 ss.; BG, 6 novembre 1996 (Omni-Fall), ivi, 123, III, 220; e soprattutto BG, 16 aprile 1998 (Musikvetrieb/Motor-Columbus– Fall), ivi, 124, III, 303 s.; da ultima, BG, 8 febbraio 2010 (4 A _ 306/2009), in www.bger.ch; v. pure BG, 12 giugno 2006, BGE, 133 III, 449; BG, 13 maggio 2008, ivi, 134 III,. 390. E difatti, bisogna rilevare – v. puntualmente BURG-VON DER CRO-NE, “Vetrauenshaftung im Konzern”, SZW/RSDA, 2010, 417 ss. – che la Suprema Corte elvetica applica rigorosamente la fattispecie (cfr. già CARIELLO, “Sulla c.d. responsabilità da affidamento nella capogruppo”, Riv dir. civ., 2002, II, 321 ss.); e, nella dottrina, sottolineano l’atteggiamento cauto della giurisprudenza, VON Büren, Der Konzern, in Schweizerisches Priva-trecht, Bd. VIII/6, 2. Aufl. (Basel/Genf/München, 2005), 196 ss.; Böckli, Schweizer Aktienrecht, 3. Aufl. (Zürich/Basel/Genf, 2004), § 11, N. 475 ss., 1234 s.(vi è una quarta edizione, del 2009, che non ho potuto consultare); VON DER CRONE-M. WALTER, “Konzernerklärung und Konzernvetrauenshaftung“, SZW/RSDA, 2001, 59 ss.; BRECHBÜHL, Haftung aus erweckten

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(b) dall’affermazione di una tendenziale, ma non assoluta, discrezionalità della capogruppo a procedere a scelte di ristrutturazione del gruppo [88]; come pure dall’attestazione dell’as-senza di un obbligo della capogruppo di salvataggio e dalla tenuta dell’alternativa “Sanieren oder Ausscheiden” [89]. In questo senso, bisogna approfondire i margini che si aprono alla let-tura “liberalizzante” di decisioni del Bundesgerichtshof tedesco in tema, appunto, di non neces-saria correlazione tra obblighi azionari di buona fede e attività di risanamento patrimonia-le/finanziario [90];

(c) dalla permanente possibilità di ricostruire la responsabilità della capogruppo in termini di Existenzvernichtungshaftung [91];

(d) dalla tendenza a escludere l’operatività nel gruppo del contratto con effetti protettivi verso terzi.

Konzernvertrauen (Bern, 1998); da ultimi, a commento della pronuncia del 2010, BURG-VON DER CRONE, op. loc. cit.; HEI-NIGER, Der Konzern im Unternehmensstrafrecht gemäss Art. 102 StGB (Bern, 2011), 49 ss. Se vi è una costante nell’argomentazione giurisprudenziale svizzera, pertanto, è il riconoscimento non generalizzato, e solo sulla base di pre-supposti aggiuntivi, della responsabilità da affidamento nella capogruppo (BURG-VON DER CRONE, 426). Proprio con riferi-mento alla questione della responsabilità da affidamento nella capogruppo, ho altrove auspicato l’indipendenza d’in-dagine e di riflessione del giurista italiano, chiamato a una consapevolezza del significato, dogmatico e di politica del dirit-to, che quella teorizzazione assume nei paesi dove discusso; e nell’auspicio di un significato di stimolo evolutivo del vigen-te diritto italiano (allora giurisprudenziale e soprattutto dottrinale) della responsabilità della capogruppo, anche nella pro-spettiva della, allora imminente, riforma legislativa (CARIELLO, op. ult. cit., 331 ss.). Con il che, lo preciso ove non si fosse colto, non intendevo affatto ripudiare l’uso interpretativo del diritto comparato (in materia).

[88] La giurisprudenza di merito tedesca (LG München, 12 maggio 2011, AG, 2011, 801 ss.) ha ribadito l’assenza di un diritto (id est, non esiste di per sé un diritto) d’indennizzo in caso di mutamento della società capogruppo nel quadro di una konzerninterne Umstrukturierung Quando “l’abbandono” della “figlia” si risolve nel salvataggio di un’altra “figlia”, si pone il tema, da meglio approfondire, del trattamento paritario delle “figlie”, vale a dire dei termini nei quali possano es-sere attuate delle “discriminazioni di trattamento” tra le “figlie” da parte della “madre”: tema anche questo oggetto di ri-flessione altrove, sempre in Germania: cfr. ad esempio VERSE, Der Gleichbehandlungsgrundsatz im Recht der Kapitallgesel-lschaften (Tübingen, 2006), 331 ss. (in particolare 348 ss.).

[89] Che, nel diritto italiano, come ricorda, tra altri, BRIZZI (supra, n. 50), 1094 s., trova riflesso nell’art. 2447 c.c.; v. pure oltre, n. 143; pregnante l’analisi anche di STANGHELLINI, Directors’duties and the optimal timing of insolvency. A reas-sessment oh the “recapitalize or liquidate” rule, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze. Studi in onore di Giuseppe Zanarone (Torino, 2011), 731 ss. Il tema può essere anche iscritto nella riflessione più complessiva che sta ac-compagnando (anche in Germania, e da qualche tempo) la dottrina impegnata nella ricostruzione dei Pflichtenbindungen, identificabili non solo in Kooperationspflichten (di soci e creditori; tra di loro e gli uni nei confronti degli altri; con i dubbi che circondano però i doveri di cooperazione tra i creditori), in caso di c.d. Sanierung in der Insolvenz: per tutti, BITTER, “Sanierung in der Insolvenz – Der Beitrag von Treu – und Aufopferungspflichten zum Sanierungserfolg”, ZHR, 2010, 147 ss. (in particolare 163 ss.); ma ancora prima EIDENMÜLLER, Unternehmenssanierung zwischen Markt und Gesetz (Köln, 1999), 345 ss., 435 ss. (e soprattutto) 555 ss.; in dimensione anche “operativa”, THIERHOFF-MÜLLER-ILLY (Hrsg. von) Unter-nehmenssanierung (Heidelberg, 2012); indicazioni pure in Madaus, “Keine Reorganisation ohne die Gesellschafter. Von den Grenzen der Gläubigermacht in der Insolvenz“, ZGR, 2011, 749 ss. (sebbene in relazione alla più generale questione della titolarità di competenze decisionali organizzative di società insolvente; e sugli Organisationsprobleme della s.p.a. in-solvente, tra molti, SCHMIDT, “Aktienrecht und Insolvenzrecht – Organisationsprobleme bei insolventen Aktiengesellscahf-ten“, AG, 2006, 597 ss.; ID., “Bestellung und Abberufung des Vorstands in der Insolvenz einer Aktiengesellschaft. Ein Di-skussionsbeitrag zur insolventen AG im Anschluss an Klöckner”, AG, 2010, 780”, AG, 2011, 1 ss.; in Italia cfr. soprattutto GUERRERA-MALTONI, “Concordati giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, Riv. soc., 2008, 17 ss.; FERRI jr., “La struttura finanziaria della società in crisi”, di prossima pubblicazione in questa Rivista, 2012 – e letto per cortesia dell’Autore – in corrispondenza dei §§ 3 ss.).

[90] BGH 13 ottobre 2009, BGHZ 183, 1 ss., in particolare 8 ss.; v. pure, per altre argomentazioni, BGH 25 gennaio 2011, NZG 2011, 510 ss. Tra ultimi, riflessioni in BRAND, “«Sanieren oder Aussscheiden» in der Aktiengesellschaft“, KTS-ZfI, 2011, 481 ss.

[91] Per la giurisprudenza, il percorso si snoda dalle decisioni Autokran e Video, 16 settembre 1985 e 23 settembre 1991, BGHZ 95, 330 e 115, 187; Thrihotel, 16 luglio 2007, ivi, 173, 246; Gamma, 28 aprile 2008, ivi, 176, 204, in parti-colare 210 ss.; Sanitary, 9 febbraio 2009, ivi, 179, 344 ss., in particolare 348 ss.; v. pure, in sede penale, BGH, 31 luglio 2009, Der Konzern, 2010, 318; considerazioni, in prospettiva specifica, in BAG, 15 marzo 2011, AG, 2011, 705 s.

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Svolgo alcune brevi considerazioni quanto alle ultime due prospettive di riflessione men-zionate.

A) Penso risulti necessario, ancora oggi, anche per il giurista italiano, non dimenticare di te-nere sempre presente la differenza tra Existenzvernichtungshaftung e Zahlungshaftung (§§ 64 S. 3 GmbHG e 92 Abs. 2 S. 3 AktG; § 15a InsO): essa risiede nella constatazione che nella pri-ma fattispecie è in discussione una valutazione della posizione dei soci, nella seconda della condotta dei gestori [92].

In particolare, il giurista italiano che pratichi ovvero che si predisponga a praticare scenari di un uso interpretativo del diritto tedesco in materia non dovrà dimenticare – il punto è colto limpidamente, in Italia, da Miola [93] – la triplice metamorfosi conosciuta e subita della natura dell’Existenzvernichtungshaftung: da fattispecie di Durchgriffhaftung, a responsabilità pog-giante sul § 826 BGB [94] (agevolata dalla formulazione della disposizione), a responsabilità contrattuale dei soci [95].

Occorre cogliere bene, in sostanza, il passaggio dalla fattispecie giurisprudenziale alla fatti-specie normativa, almeno nella s.r.l., con il transito dalla Existenzvernichtugnshaftung alla In-solvenzverursachungshaftung o, secondo la più precisa terminologia, all’Insolvenzverschlep-pungshaftung [96].

La metamorfosi e l’approdo normativo rende attuale la questione della sopravvivenza della Existenzvernichtungshaftung, appunto, dopo la sua normativizzazione come Insolvenzverursa-

[92] Da ultima, BGH, 24 gennaio 2012, DB, 2012, 794 ss. [93] MIOLA, op. cit., 70 ss. [94] Nella civilistica, limitandomi ai commentari, OECHSLER, § 826, in VON Staudinger, BGB Kommentar, Buch 2, §§

826-829; ProdHaftG, neubearbeitung 2009 (Berlin, 2009), Rn 324 ss., 129 ss.; ID., Die Existenzvernichtungshaftung und das Beweirecht, in Festschrift für U.H. Schneide rzum 70.Geburstag (Köln, 2011), 913 ss.; Sprau, § 826, in Palandt Bürgher-liches Gesetzbuch, 71 Aufl. (München, 2012), Rn 35, 1366; G. Spindler, § 826, in BAMBERGER-ROTH (Hrsg. von), Kommen-tar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, Bd. 2, §§ 611-1296 (München, 2012), Rn 42 ss., 1567 ss.; per una prospettiva civilistica più complessiva, WAGNER, Existenzvernichtung als Deliktstatbestand – Einordung, Ausgestaltung und Anknüpfung der Haf-tung wegen “existenzvernichtenden Eingriff” –, in Festschrift für C.-W. Canaris (supra, n. 22), 473 ss.; ID., Deliktshaftung und Insolvenzrecht, in Festschrift für W. Gerhardt (Köln, 2004), 1043 ss. (dove la veritiera constatazione che la tutela dei credi-tori nell’insolvenza in via di responsabilità delittuale è stata, fino a circa 10 anni fa, un non tema).

[95] Tra ultimi, significativa la ricostruzione del percorso argomentativo, in TRÖGER-SDANGELMAYER, “Eigenhaftung der Organe für die Veranlassung existenzvernichtender Leitungsmaßnahmen in Konzern“, ZGR, 2011, 558 ss., in particolare 578 ss.; HÜFFER, Qualifiziert faktisch konzernierte Aktiengesellscahft nach dem Übergang zur Existenzvernichtungshaftung bei der GmbH, in Festschrift für W.Gotte zum 65. Geburstag (München, 2011), 191 ss.; KURZWELLY, Die Existenzvernich-tungshaftung – Entwicklung und Abschluss einer höchtsrechterlichen Rechtsfortbildung, ivi, 277 ss.; AGEBUSCH-KNITTEL, Das Spannungsfeld zwischen existenzvernichtenden Eingriff und berechtigter Geltendmachung von Gesellschafterfordeungen in GmbH – Konzern, in Festschrift für J. Wellensiek zum 80. Geburstag (München, 2011), 451 ss.; e soprattutto in RÖCK, Die Rechtsfolgen der Existenzverninchtungshaftung (Tübingen, 2011); ma v. pure, per trarne spunti di carettere generale in ma-teria di responsabilità, WIEDEMANN, “Verantwotung in der Gesellschaft– Gedanken zur Haftung der Geschäftsleiter und der Gesellschafter in der Kapitalgesellschaft“, ZGR, 2011, 211 s.; HABERSACK, in EMMERICH-HABERSACK, Aktien– und GmbH– Konzernrecht, 6 Aufl. (München, 2010), Rn 33 ss., 702 ss.; e la puntuale disamina di SERVATIUS, Konzernrecht, Syst. Darst. 4, in MICHALSKI (Hrsg. von) Kommentar zum Gesetz betreffend die Gesellschaften mit beschränkter Haftung (GmbH-Gesetz), Bd.I, 2. Aufl. (München 2010), Rn 370 ss., 477 ss.; prima MATSCHERMUS, Die Durchgriffshaftung wegen Existenzvernichtung in der GmbH (Baden-Baden, 2007).

[96] La comparazione trova riscontri positivi (su tutte, Francia e UK), vale a dire soluzioni che si avvicinano alla Exi-stenzvernichtungshaftung (seppure con non marginali differenze): cfr. le osservazioni di CASPER, § 64, in ULMER IN GEMAIN-SCHAFT MIT HABERSACK UND WINTER (Hrsg. von), GmbH Goßkommentar (Tübingen, 2010), Rn. 16 ss., 607 ss.; WALLMANN, Verantwortlichkeit für fehlerhafte Unternehmensleitung als Instrument der Gläubigerschutzes in Frankreich (Baden-Baden, 2008); WILLEMER, Vis attractiva concurs und die Europäische Insolvenzordnung (Tübingen, 2006); BODE, Le groupe interna-tional de sociètés: le système de conflit de lois en droit comparé français et allemande (Frankfurt/M, 2010); STEFFEK, Gläubi-gerschutz in der Kapitalgesellschaft: Krise und Insolvenz im englischen und deutschen Gesellschafts– und Insolvenzrecht (Tübingen, 2011); WEBER, Gesellschaftsrecht und Gläubigerschutz im internationalen Zivilverfahrensrecht (Tübingen, 2011).

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chungshaftung/Insolvenzverschleppungshaftung: se cioè l’Existenzvernichtungshaftung man-tenga un significato metodologico, di tecnica per trattare ipotesi di responsabilità al di fuori del fallimento in situazioni di crisi non ancora approdate all’insolvenza [97].

B) Sulla questione della possibilità di prefigurare applicazioni del contratto con effetti pro-tettivi nei confronti di terzi nell’ambito delle relazioni di gruppo [98], la risposta negativa da molti – e della stessa Suprema Corte tedesca, in revisione di una decisione dell’OLG di Mona-co – abbracciata consegue all’assenza di fondate ragioni che inducano a discostarsi dal Tren-nungsprinzip e dal contenimento applicativo del contratto con effetti protettivi dei terzi nell’ambito della struttura di gruppo.

La decisione dei giudici di Monaco, con effetti teorici e pratici dirompenti [99], aveva de-sunto proprio dall’esistenza della direzione unitaria del gruppo l’ammissibilità di un “unitario trattamento” della “zona di tutela”, nel senso che il contratto di credito tra una banca e una so-cietà figlia soggetta a direzione unitaria, avrebbe esplicato una Schutzwirkung anche per la holding in quanto “madre”, sicché ogni contratto di una banca con una società di un gruppo sa-rebbe sufficiente a determinare effetti protettivi a favore di tutte le società del gruppo. Così as-sumendo, si è osservato, in un colpo solo, da una parte, la figura del contratto a favore di terzi acquisterebbe una portata mai conosciuta fino ad oggi, dall’altra verrebbe infranto, secondo una portata non condivisibile, il principio della separatezza nel gruppo [100].

Ma che la conclusione negativa propugnata dal BGH e da autorevole dottrina appaghi tutti gli interpreti è da escludere: e così, è utile leggersi il serrato confronto che la decisione ha innescato proprio tra i civilisti [101].

13. Segue. Diritto francese. – Alcune delle superiori tendenze interpretative della giuri-

sprudenza tedesca riecheggiano in decisioni dei giudici francesi. Penso soprattutto alle statuizioni secondo cui:

(a) l’autonomia della società non può essere alterata, e la responsabilità della “madre” af-fermata, sulla base dell’uso (del semplice uso) dello stesso logo da parte di “madre” e/o “fi-glia” o in forza di dichiarazioni sulla stampa relative alle pratiche di gruppo da parte della “madre” [102];

(b) la “madre” non può essere impegnata contrattualmente dalla “figlia” senza il suo con-senso [103];

[97] E v. infatti, tra altri, KURZWELLY (supra, n. 95); RÖCK, “Die Anforderungen de Existenzvernichtungshaftung nach “Trihotel” – Eine Zwischenbilanz“, DZWIR, 2012, 97 ss.

[98] BGH 24 gennaio 2006 (Kirch-Gruppe TaurusHolding/Deutsche Bank), ZIP, 2006, 322 s. (in particolare sub nn. 55-57), la quale ribalta la decisione dell’OLG München, 10 dicembre 2003, ZIP, 2004, 20.

[99] CANARIS, “Bankgeheimnis und Schutzwirkungen für Dritte im Konzern“, ivi, 1782. [100] CANARIS (supra, n. 99). [101] Decisamente critico sulla decisione dell’OLG di Monaco è CANARIS (supra, n. 99), 1782 ss.; ID., Noch einmal:

Bankgeheimnis und Schutzwirkungen für Dritte im Konzern, ZIP, 2006, 2362 ss.; favorevole SCHUMANN, “Der Schutz des Kunden bei Verletzungen des bankgeheimnisses durch Kreditinstitut“, ivi, 2353 ss.; ID., “Noch einmal:Bankgeheimnis und Schutzwirkungen für Dritte“, ivi, 2367.

[102] Cour cass., 25 febbraio 2004, RJDA, 2004, 646, n. 715. [103] CA Montpellier, 14 dicembre 2010, Rev. trim. dr. com., 2011, 365 ss. Il principio per cui non esiste

un’espansione del vincolo contrattuale tra “figlia” e terzo alla “madre” è a più riprese riaffermato, in diverse controvesie e a differenti titoli: ad esempio, anche Cour cass. 14 settembre 2010, Rev. soc., 2011, 285 ss.; v. pure Cour cass., 25 otto-bre 2011, www.legifrance.gouv.fr.

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(c) non costituisce abuso di beni sociali la messa a disposizione della “madre” da parte della “figlia” di un avanzo di tesoreria, se l’atto si iscrive in una logica economica di gruppo e non è provato che il movimento di tesoreria abbia fatto correre alla “figlia” dei rischi importanti sen-za contropartita sufficiente, non proporzionati alle sue possibilità reali, permettendo di preveni-re difficoltà gravi per l’avvenire [104] (evidente la pertinenza della statuizione anche ai margini di funzionamento del meccanismo compensativo);

(d) è assente un obbligo della “madre” di finanziare la “figlia” per far fronte alle sue obbli-gazioni, anche ove questa presti un servizio pubblico [105].

Nel contempo non può non darsi conto di altre decisioni che, senza alterare i principi che stanno alla base dei menzionati orientamenti, approdano a conclusioni motivatamente orientate ad affermare la responsabilità della “madre” [106] in ipotesi di:

[104] CA Rennes, 6 gennaio 2005, Rev. soc., 2006, 433 s. [105] Cour cass., 26 marzo 2008, ivi, 2008, 812 ss. È il tema, della responsabilité ambientale della società “madre”.

Questa sentenza, assai criticata in quanto anacronistica (è stato scritto che essa «ne brilles pas par sa clarité. Il n’a pas été jugé digne des honneurs du Bulletin …»: ROLLANDE, “De la responsabilité environnementale del la société mère”, ivi, 814), risulta nondimeno interessante sia sul piano dei principi, sia de iure condendo. La dottrina francese ha rivolto un duro at-tacco alla irresponsabilità della “madre” per danni ambientali prodotti dalla “figlia” (per tutti GRIMONPREZ, “Pour une re-sponsabilité des sociétés mères du fait de leurs filiales”, ivi, 2009, 715 ss.). Le serrate critiche alla decisione della Cassazio-ne hanno determinato l’emanazione di una legge e l’inserimento di una modifica del code de commerce. Per la prima, mi riferisco alla L. n. 2009-967 del 3 agosto 2009 (Programation relative à la mise en oeuvre du Grenelle de l’environnement. Projet de loi portant engagement national pour l’environnement): l’art. 53 afferma che la Francia avrebbe proposto l’introduzione a livello comunitario di un principio di riconoscimento della responsabilità della società “madre” verso la “figlia”, e non verso i terzi, in caso di attentato grave all’ambiente. Per la seconda, il richiamo è alla L. n. 2010-788 del 12 luglio 2010 [per un commento a questo modifica approtata dalla legge, v. MARTIN, “Commentaire des articles 225, 226 et 227 del la loi n. 2010-788 du 12 juillet 2010 portant engagement national pour l’environnemenmt (dite “Grenelle II”), Rev. soc., 2011, 81 ss.], la quale ha condotto all’inserimento nel code comm. del nuovo Art. L. 233-5-1: il quale prescrive, a seconda del tipo sociale, il rispetto delle procedure indicate, rispettivamente, negli Artt. L. 223-19, 225-38, 225-86, 26-10, 227-10, per la decisione [assunta da una società che possiede più della metà del capitale ai sensi dell’Art.L. 233-1, detiene una partecipazione (tra il 10 e il 50 per cento) ai sensi dell’Art. L. 233-2, oppure controllo la società ai sensi dell’Art. L. 233-3] con la quale la società s’impegna a rispondere, in caso di defaillance della società cui è legata, di tutte o parti delle obbligazioni di “prévention ou réparation” incombenti su questa ai sensi del codice dell’ambiente.

[106] A titolo meramente ricognitivo, anche in Spagna la giurisprudenza e la dottrina elaborano tecniche intese ad af-fermare la responsabilità della capogruppo in determinate situazioni valutate come espressive di condotte degenerative e degenerate dell’esercizio di un (pur lecito) potere di direzione e coordinamento di gruppo: cfr. NAVARRA, “Corporate Groups and Creditors Protection: An Approach from Spanisch Company Law Perspective”, ECFR, 2007, 529 ss. (dove, in assenza di regole specifiche di responsabilità nei gruppi, tale responsabilità è fondata, alternativamente, sull’am-ministrazione fiduciaria di cui all’art. 127 bis LSA, sull’amministratore di fatto di cui art. 1332.2 LSA, sui doveri fiduciari del socio di controllo, desunti dagli artt. 7 e 1258 CC); ma v. pure, tra altri, FUENTES, Grupos de sociedades y protección de acreedores (una perspectiva societaria) (Navarra, 2007); GIRADO, “Legislative situation of Coporate Groups in Spanish Law”, ECFR, 2006, 363 ss.; DE ARRIBA, Derecho do grupos de sociedades (Madrid, 2004); EMBID IRUJO, “El buen gobierno corporativo y los grupos de sociedades”, RDM, 2003, 974 ss.; ID., Introdución al derecho de los grupos de sociedades (Granada, 2003); più risalenti, ID., Cuestiones generales sobre la tutela de los socios externos, in I gruppi di società (supra, n. 10), 1213 ss.; ID., “La protección de la minoria en el grupo de sociedades”, RDM, 1994, 913 ss.; per ulteriori citazioni, v. Sánchez Calero, Istituciones de Derecho mercantil, I, XXXIV ed. (Madrid, 2011), 852 ss. Cfr. anche la ricca esposizione (con attenzione pure al diritto delle procedure concorsuali) di ROJO, Los Grupos de sociedades en el Derecho español, in I gruppi di società (supra, n. 10), 388 ss. A livello legislativo, la Propuesta de Código de sociedades mercantiles del novem-bre 2002 conteneva articoli (dal 590 al 602) dedicati a diversi aspetti della mateira: ad esempio, la definizione di gruppo, l’informazione dell’esistenza dle gruppo, distinta dal dovere di iscrizione dell’esistenza del gruppo (Art. 593), il diritto po-tere di impartire istruzioni agli amministratori della dominata da parte di quelli della dominante, purché non contrastanti con la legge o con lo statuto della dominata (Art. 594), la compensazione (Art. 595; oggetto, peraltro, di serrata critica da parte di non marginale dottrina), la postergazione (Art. 596), il diritto di recesso del socio externo (Art. 599), la responsabi-lità solidale della capogruppo per obbligazioni della dominata se, al momento del loro contrarre, consta l’appartenenza della società dominata al gruppo (Art. 601.1), la responsabilità degli amministratori della dominante per danni alla domi-nata, ai creditori e soci, a seguito di istruzioni impartite senza compensazione (Art. 602). La proposta del 2002 fu abban-donata perché considerata “troppo progressista”. Attualmente, a livello normativo, esiste solo una nozione di gruppo: Art. 18 del Real Decreto Legislativo 1/2010, 2 luglio 2010 (Testo Refundido de la Ley de sociedades de capital). Cfr., per un

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(e) confusion des patrimonies o di fictivité [107]; e la prospettiva opera in modo emblemati-co nel diritto concorsuale, là dove, come da tempo affermato, la confusione di patrimoni tra “madre” e “figlia” può condurre alla responsabilità della prima per insufficienza dell’attivo della seconda, sebbene siano non infrequenti gli atteggiamenti restrittivi [108]. Dal canto suo, l’atteggiamento della giurisprudenza favorevole a riconoscere la confusione di patrimoni [109] richiede, tra l’altro, una relazione di dipendenza economica e giuridica totale e anormale;

(f) sussistenza dell’apparenza di unità economica colpevolmente creata e, quindi, configura-zione della rappresentazione esterna del gruppo come co-elemento, assieme ad altri, di deter-minazione della responsabilità solidale di tutte le società del gruppo in determinate circostan-ze [110];

(g) immistione o ingerenza della “madre” nelle decisioni adottate dalla “figlia”, imposte dalla prima nel proprio esclusivo interesse [111].

Con la necessaria precisazione che è il concorso di tali situazioni, più che il verificarsi isola-to di ognuna di esse, a potere determinare l’esito finale dell’imputazione della responsabilità alla capogruppo [112].

14. Segue. Diritto angloamericano. – Le spinte che animano, nel vecchio continente, la de-

finizione di parametri sufficientemente e ragionevolmente equilibrati idonei a funzionare, da una parte, quale tecnica d’imputazione alla “madre” di una responsabilità per obbligazioni pro-prie di sue “figlie” verso terzi e, dall’altra, quali criteri di orientamento per la gradazione con-tenutistica e per la direzione soggettiva dei doveri di azione della capogruppo e dei gestori del-le “figlie” si ritrovano, con ulteriore arricchimento di sfumature, nella giurisprudenza statuni-tense.

Paradigmatiche a mio avviso le anche recenti elaborazioni, per un verso, intese a una risi-

agile commento, FUENTES, Comentario del la Ley de Sociedades de Capital, dirs. A. ROJO-E. BELTRÁN, I (Madrid, 2011), 298 ss.; nonché DE LA GÁNDARA, “Comentarios al texto refundido de la Ley de Sociedades de Capital-Disposiciones Generales”, RdS, 2011-2012, 39 ss. Tuttavia, la Sección de Derecho Mercantil della Comisión General e Codificación sta lavorando su un Código mercantil nel cui secondo libro, dedicato alle società mercantili, dovrebbe essere inserita una disciplina sui gruppi, più leggera di quella del 2002.

[107] Risalendo, tra le decisioni che fondano l’impostazione, Cour cass., 24 maggio 1982, Rev. soc., 1983, 361: esiste fictivité, e quindi confusione tra due società formanti un medesimo gruppo allorché ricorre tra le due persone morali una completa unità di interessi che dimostri una completa unità delle due imprese. Per una ricognizione delle posizioni (invero restrittive: v. sopra), GRELON-DESSUS-LARRIVÉ, “La confusion des patrimonies au sein d’un groupe”, Rev. soc., 2006, 281 ss.

[108] Cour cass., 10 gennaio 2006, ivi, 629 ss.; Cour cass., 15 settembre 2009, Rev. trim. dr. comm., 2009, 756 e 768; Cour cass., 19 aprile 2005, Bull. Joly, 2005, 690; Cour cass., 20 marzo 2001, Rev. trim. dr. comm., 2001, 919 ss.; Cour cass., 31 maggio 2011, Sem. Jur. – Entr. Aff., 37/2011, 15 ss. (dove l’importante precisazione, in linea con un inse-gnamento non proprio recente, che la faute de gestion dell’amministratore può coincidere pure con condotte omissive); CA Versailles, 7 gennaio 2010, Rev. soc., 2010, 561.

[109] Cour. cass., 26 maggio 2010, ivi, 2011, 119 ss. [110] Cour cass., 18 ottobre 1988, Bull. Joly, 1988, 723. [111] CA Versailles, 27 ottobre 1988, J.C.P., 1988., èd. E, n. 7; Cour cass., 9 ottobre 2006, Rev. trim. dr. civ., 2007,

115. Tale prospettiva è stata ribadita di recente, da Cour cass., 26 ottobre 2011, Bull. Joly Soc., 2012, 70, la quale, par-tendo dalla qualificazione della responsabilità della madre italiana per immistione nella gestione della figlia francese come responsabilità delittuale o quasi delittuale rientrante nel campo di applicazione nell’art. 1382 cod. civ., ha conseguente-mente sussunto la fattispecie nel perimetro dell’applicazione dell’art. 5-3 del Regol. 44/2011.

[112] Il che sembra trovare credito, oltre che nella giurisprudenza statunitense, anche in quella comunitaria: ad esem-pio, la confusione dei patrimoni non viene considerata di per sé sufficiente a determinare l’identificazione del centro di interessi principali ai fini del Regolamento sull’insolvenza transfrontaliera: così, tra le ultime, Corte di Giustizia CE, 15 di-cembre 2011, in Fall., 2012, 275 ss.; in Bull. Joly Soc., 2012, 240 ss.

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stemazione della piercing corporate veil theory (“dottrina” tutt’altro che oggetto di definitiva sistemazione); per altro, focalizzate sulla definizione della destinazione soggettiva dei doveri fiduciari di socio controllante e di amministratori della controllata in caso di società “figlie” in zone of insolvency (o in twilight zone o diventate financialy troubled) e sull’eventuale autono-ma identificazione di una fattispecie di responsabilità for deepening insolvency.

Parto dalla rivisitazione e risistemazione della piercing corporate veil theory. La posizione nettamente prevalente nella giurisprudenza USA, ancora oggi [113], è di con-

servare l’integrità della separate entity doctrine a meno che la holding domini la “figlia” e sia coinvolta in condotte fraudolente, illegali o improprie [114].

Ancora di recente, si è ribadito che il «percing the corporate veil è un rimedio straordinario limitato a casi che presentano circostanze eccezionali» [115].

Anche in UK, si continuano a registrare resistenze a estendere la responsabilità di una socie-tà di un gruppo per i debiti di un’altra, anche se fallita. Si è scritto che «the indipendent status of a separate corporation is a very sacred cow» [116]; ma vi sono dei rebel judges. Storica-mente, uno di questi è Lord Denning. In Littelwood Stores v. Inland Revenue Commissio-ners [117], egli parla della “figlia” come di una “creatura”, di un “pupazzo”. Lo stesso Lord Denning, a fronte delle critiche del mondo accademico inglese [118], in D.H.N. Food Distribs. Ltd. v. Tower Hamlets London Borough Council [119] conferma la sua tesi, precisando che es-sa vale soprattutto nel caso in cui una parent company possiede tutte le azioni di una “figlia”, così che può controllare «tutti i movimenti della figlia. Queste figlie sono legate mani e piedi alla madre e devono fare quello che la madre dice».

Soprattutto in USA, si registrano movimenti e istanze di revisione o di perfezionamento dei criteri di invocazione (eccezionale) della piercing the veil doctrine.

Tra le più rilevanti rivisitazioni: (i) l’isolamento della variante generale e correlata della

[113] Il dibattito sulla piercing corporate veil doctrine fa capolinea anche in tre recenti decisioni della Corte Suprema, due del 2010 e una del 2011. In Citizens United v. FEC, 130 S.Ct.876, 911 (2010) – decisione assai importante in materia di campagna elettorale – si afferma che, rispetto al Primo Emendamento, nessuna distinzione corre tra persona fisica e società; e si sposa la real entity conception dello schermo societario. In particolare, sebbene marginalmente, la Suprema Corte osserva che il «conglomerato parla con una sola voce», sicché una società del gruppo potrebbe invece non parlare “con una propria voce”, ma piuttosto in ausilio a tutto il gruppo; il che implica l’applicazione, ad esempio, di una com-mon law fiduciary duties of corporate directors. In Janus Capital Group, Inc. v. First Derivative Traders, 131 S. Ct. 2296 2011, con specifico riferimento alla Federal Securities Law, la Suprema Corte adotta una formàlistic entity-level view della struttura corporativa, non riconoscendo la responsabilità della società in una private securities fraud action ai sensi della SEC Rule 10b-5 per false dichiarazioni contenute in un prospetto diffuso da un fondo d’investimento di cui la società era amministratore o consulente. In Kiobel v. Royal Dutch Petroleum Co., 621 F. 3d 111 (2d Cir.2010), in relazione alle obbli-gazioni per danni relativi ai diritti umani, la Corte è stata chiamata a valutare la fondatezza dell’orientamento del Second Circuit riteneva che la corporation non è una person dal punto di vista della legge e quindi non può essere perseguita ai sensi dell’Alien Tort Statue.

[114] Dearborn, “Enterprise Liability: Reviewing and Revitalizing Liability for Corporate Groups”, 97 Cal. L. Rev., 247; Matheson, “The Modern Law of Corporate Groups: An Empirical Study of Piercing the Corporate Veil in the Parent –Subsidiary Context”, 87 N.C.L. Rev., 1091; Cheng, “Form and Substance of the Doctrine of Piercing the Corporate Veil”, 80 Miss. L.J., 497; ID., “The Corporate Veil Doctrine Revisited: a Comparative Study of the English and the U.S. Corporate Veil Doctrines”, 34 B.C. Int’l & Comp. L. Rev., 329; MCPHERSON-RAJA, “Empirical Study: Corporate Justice: an Empirical Study of Piercing Rates and Factors Courts Consider when Piercing the Corporate Veil”, 45 Wake Forest L. Rev., 931.

[115] Commonwealth Court of Pensylvania, Newcrete Products v. The City of Wilkes-Barre, 2012 Pa. Commw., LEXIS 48 (Febr. 2, 2012).

[116] RAJAK, “Corporate Groups and Cross-Border Bankruptcy”, 44 Tex. Int’l L. J., 526. [117] [1969] 1 W.L.R. 1241, 1254 (Eng.). [118] In particolare: GOWER, Modern Company Law, 3th ed. (London, 1969), 216. [119] [1976] 1. W. L.R. 852, 860 (Eng.).

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simple economic unit theory, che presuppone condotte o scopi impropri; (ii) la distinzione tra involuntary e voluntrary piercing, dove nel secondo caso i soci stessi invocano il piercing per tenere indenne la società, rispondendo essi verso terzi e creditori (questa seconda applicazione è rigettata da alcuni tribunali, da altri accettata – in particolare, in UK-, ma con cautela e a de-terminate eccezionali condizioni [120]; (iii) la non preclusione del ricorso alla doctrine in pre-senza di un controllo congiunto [121]: «the equitable doctrine of piercing cannot be thwarted by having two entities, rather than one, dominate the subsidiary and dividing the conduct be-tween the two so that each can point the finger to some extent at the other. Where such entities have acted in concert without regard to their own corporate separateness to achieve the unjust results that veil piercing protects against, any insistence on sequential piercing necessarily falls on deaf ears» (Intertel Technologies, Inc. and Intertel, Inc. v. Linn Station Properties, LLC and Integrated Telecom Services Corp.) [122].

Rilevante appare anche l’attività di ridefinizione e perferfezionamento dei test da applicare per superare il velo delle distinte entità ai fini dell’affermazione della responsabilità della pa-rent company. Significativo, però, è che non vi sia concordia piena sulla catalogazione delle evidenze offerte dalla prassi in merito alla legittimità d’invocazione e di applicazione della doctrine.

Tra le indagini empiriche che negli ultimi venti anni sono state dedicate alla ricostruzione degli effettivi orientamenti delle corti statunitensi sui margini di impiego della piercing corpo-rate veil theory [123], vi è chi ha riscontrato che le corti, nei rari casi in cui accedono alla doc-trine, sono disposte a squarciare il velo più frequentemente in contract cases che in tort ca-ses [124].

È parimenti indicativo che in talune ricerche risulta che, se da una parte i casi d’insolvenza nei quali si è proposta l’applicazione della teoria sono assai ridotti, in numero e percentuale, rispetto ai casi di contract e tort, dall’altra, se si valuta in quanti casi nei quali è stata proposta l’applicazione della teoria essa è stata poi effettivamente accettata, si scopre che proprio l’insolvenza è la situazione nella quale le corti sono più disposte ad accedere alla dottrina [125].

Inoltre, tra i fattori considerati decisivi al fine di praticare il piercing the veil, il Parent Control/Domination, qualificato come esercizio da parte della madre di un “controllo straordi-nario” sulla figlia, rappresenta il primo: la sua importanza è apprezzabile sia in senso positivo (la maggioranza dei casi in cui le corti praticano la teoria sono contrassegnati da questa situa-zione), sia negativo (nella quasi totalità dei casi in cui le corti sono chiamate ad applicare la te-oria in assenza di questa situazione esse rigettano la teoria [126].

[120] Beckett [2007] 1 .C.R. 1645 s.; CHENG (supra, n. 114); OH “Veil-Piercing”, 89 Tex. L. Rev., 81. [121] In Italia, sulla rilevanza dell’attività congiunta di direzione e coordinamento ai fini dell’applicazione degli artt.

2497 e ss c.c. CARIELLO, “Dal controllo congiunto all’attività congiunta di direzione e coordinamento di società”, Riv. soc., 2007, 1 ss.(con ampi riferimenti di conforme dottrina e giurisprudenze tedesche); da ultimo, pure GUIZZI (supra, nt. 40), 354.

[122] Supreme Court of Kentucky, 2012 Ky. LEXIS 2 (February 23, 2012). [123] THOMPSON, “Piercing the Corporate Veil: An Empirical Study”, 76 Cornell L. Rev., 1036; ID., “Piercing the Veil

Within Corporate Groups: Corporate Shareholders as Mere Investors”, 13 Conn. J. Int’l L., 383; MATHESON (supra, n. 114); Hodge-Sachs, “Piercing the Mist: Bringing the Thompson Study into the 1990s”, 43 Wake Forest L. Rev. 341; MCPHERSON-RAJA (supra, n. 114).

[124] THOMPSON (supra, n. 121); MATHESON (supra, n. 114). [125] MATHESON (supra, n. 114). [126] MATHESON (supra, n. 114).

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La stessa giurisprudenza (ad esempio, Freeman v. Complex Computing Co. [127] è più fe-dele [128] al tradizionale c.d. three-pronged test: secondo il quale il controllo o la dominazione deve essere associata ad altri fattori, quali la circostanza che il controllo è stato esercitato in modo che la società controllata si è atteggiata come mero strumento della “madre”; che il con-trollo è stato usato per commettere una frode o un torto; che questa fronde o torto si è tradotto in unjust loss or injury dell’attore [129]. Con evidenti assonanze alle prassi decisionali in auge in altre esperienze.

Peraltro, sempre negli USA, laddove si tratti d’identificare i presupposti della responsabilità della società madre, si insinuano dubbi che il concetto e la fattispecie di controllo tradizionali, basati sulla proprietà comune, siano idonei a definire tutte le fattispecie di responsabilità per come create dall’evoluzione della struttura delle società. In questi casi, occorre “andare dietro ovvero oltre” la società al fine di includere accordi contrattuali nell’ambito del gruppo.

Una nuova (in via di proposta e di affermazione) possibilità può essere di definire il gruppo di società come un insieme di relazioni di controllo caratterizzato da diversi livelli di proprietà e da altre caratteristiche funzionali (comunanza di personale, strategia). L’approccio, ancora una volta, è quello di guardare oltre il controllo per identificare una serie di relazioni che con-sentano di affermare una più diffusa e marcata responsabilità. Occorre predisporsi a capi-re [130] quando e come i diritti possano riguardare il gruppo come tale; se diritti e obblighi in questo caso si aggiungano o completino i diritti e gli obblighi delle singole entità; se la “ma-dre” debba essere qualificata come proxy dell’impresa o si diano alternative tecniche di alloca-zioni della responsabilità.

In particolare, sulla questione se la “madre” o altra società del gruppo possa essere conside-rata proxy for the enterprise and the corporate group, in Hertz Corp. V. Friend [131] si affer-ma che se una struttura legale indipendente rappresenta il gruppo ovvero se il gruppo è orga-nizzato gerarchicamente in modo tale che la “madre” o il “quartier generale” funziona come unitary nerve center per l’organizzazione, le obbligazioni “morali” e legali possono essere at-tribuite a questa entità [132]. Si parla di principal place of business o di nerve center come luogo di direzione, coordinamento e controllo.

In termini più generali, risulta sufficientemente delineata la distinzione tra il (maggioritario) c.d. control-based approch [133] e il (minoritario) c.d. true enterprise approach [134]. La ten-

[127] 119 F.3d 1053 (2d Cir. 1997). [128] MATHESON (supra, n. 114). [129] Altri fattori [MATHESON (supra, n. 114)] – selezionati anche in altre esperienze quali elementi condizionanti

l’imputazione di responsabilità alla capogruppo – in progressione d’importanza, alcuni dei quali (raramente tutti; e, co-munque, in assenza di un’esigenza di ricorrenza complessiva congiunta) si combinano secondo variabili differenti: fraud/misrepresentation (frodi e false dichiarazioni, nelle due forme principali, vale a dire allorché la “figlia”, in modo deli-berato, intenzionale e calcolato conduce un terzo a credere che essa sia la “madre”; oppure la “madre” crea un reticolo di “figlie” allo scopo di eludere la normativa), overlap (sovrapposizione: condivisione di attività, persone e luoghi, come ad esempio uffici e personale e componenti cariche sociali), combinaizone impropria di fondi della “madre” e della “figlia”, undercapitalization, unfairness/injustice, directors officers or records non-existent or non-functioning, assumption of risk. In particolare, si è osservato [sempre Matheson (supra, n. 114)] che una significativa variabile di fattori è data dalla combina-zione fraud/misrepresentation, commingling of funds, overlap, unfairness/injustice, parent control/dominance; esposizione riassuntiva, tra le ultime, anche in Supreme Court of Kentucky (supra, n. 122).

[130] Harper Ho, “Theories of Corporate Groups: Corporate Identity Reconceived”, http://ss.com/abstract=1915745. [131] 130 S.Ct. 1181, 1192 (2010). [132] HARPER HO (supra, n. 130). [133] MENDELSON, “A Control-Based Approach to Shareholder Liability for Corporate Torts”, 102 Columbia L. Rev.,

1203 ss.; la tesi è stata ribadita, sebbene con non marginali revisioni di formulazione e ragioni, da CROWE (supra, n. 34).

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denza è di utilizzare il control factor per determinare la responsabilità. Mentre nel primo caso, però, il controllo è la fonte della responsabilità, nel secondo la capacità di controllare diretta-mente una “figlia” come “un pupazzo” è uno degli indici che consentono di giungere all’alter ego docrtine e alla teorizzazione del “mero involucro” [135].

La convergenza di queste tesi si registra, come noto, nella loro comune limitazione della re-sponsabilità alla società “madre” o comunque a quella che esercita un “controllo efficace” sulle decisioni; in ciò esse distanziandosi dalle tesi che professano la possibilità di chiamare in re-sponsabilità tutti i soci, a prescindere dal loro potere di infuenza.

In realtà, alcune più recenti tendenze si collocano in una posizione mediana, incline a pro-fessare, da una parte, una primary or presumptive liability del controlling shareholder; dal-l’altra, a elaborare delle alternative comunque coerenti con questa “priorità” di responsabilità del socio di controllo, idonee comunque a non escludere del tutto nemmeno gli ordinary sha-reholders da responsabilità per corporate wrongs. Si tratta delle ricostruzioni che ipotizzano, in alternativa [136], che (i) se il patrimonio della società è inadeguato ovvero inaccessibile, sia il socio di controllo sia i soci cc.dd. ordinari risponderano pro rata dei corporate wrongs; (ii) se il patrimonio della società è inadeguato ovvero inaccessibile, in via primaria sarà chiamato a rispondere il socio di controllo e solo se il suo patrimonio dovesse rivelarsi parimenti inade-guato ovvero inacessibile, la responsabilità potrà essere estesa, sempre on a pro rata basis ai soci ordinari; (iii) se il patrimonio della società è inadeguato ovvero inaccessibile, in via prima-ria sarà chiamato a rispondere il socio di controllo e solo se il suo patrimonio dovesse rivelarsi parimenti inadeguato ovvero inacessibile, le perdite dovranno essere sofferte da tutti i contri-buenti (in forza del principio della c.d. giustizia distributiva); (iv) se il patrimonio della società è inadeguato ovvero inaccessibile, in via primaria sarà chiamato a rispondere il socio di con-trollo e solo se il suo patrimonio dovesse rivelarsi parimenti inadeguato ovvero inacessibile, le perdite rimaranno in capo alle vittime del danno.

A ogni modo, vi è di rilevante pure che appaiono tutt’altro che emarginati quegli orienta-menti che provano a giustificare la responsabilità della “madre” o del socio che eserciti un ef-fective control anche adducendo un fondamento morale di tale responsabilità (si parla di moral liability; e, d’altronde, diffuso la qualificazione della stessa piercing the corporate veil theory as an equitable doctrine). Ad esempio, di recente si è osservato che il socio di controllo mostra un interesse alle attività quotidiane della società e, per questo, sarà senz’altro nelle condizioni di prevedere e forse prevenire un danno, e quindi sembra ragionevole considerarlo moralmente responsabile [137].

La convergenza di queste tesi si regista, come noto, nella loro comune limitazione della responsabilità alla società “madre” o comunque a quella che esercita un “controllo efficace” sulle decisioni (in ciò distanziandosi dalle tesi che professano la possibilità di chiamare in responsabilità tutti i soci, a prescindere dal loro potere di infuenza: cfr., ad esempio, v. pure WIT-TING, “Liability for Corporate Wrongs”, 28 University of Queensland L. Jour., 113 ss.)

[134] DEABORN (supra, n. 114), 247 ss. [135] Tra altri, DEABORN (supra, n. 114), 248, il quale nota che «le società sono attori economici, punto. Consequen-

temente, imputare una “colpa” a una società può avere senso normativo quando si tratta di close corporation oppure di un socio singolo, ma quando socio è un’altra società, l’analogia fallisce». Inoltre, l’approccio basato sul controllo può in-centivare alquanto la decentralizzazione, l’esternalizzazione del rischio che invece la dottrina dell’impresa cerca di com-battere. Diversamente, l’approccio economico cercherebbe di ristrutturare l’allocazione della responsabilità in modo tale che la capogruppo abbia un incentivo a prevenire i danni prima che accadano [DEABORN (supra, n. 114), loc. ult. cit.].

[136] Le riassume CROWE (supra, n. 34), 171 ss. [137] CROWE (supra, n. 34), 179 ss.; per una recente riflessione teorica, sempre nella cultura anglosassone, sul rappor-

to tra moralità e legge (muovendo dalle tesi hartiane), CANE, “Morality, Law and Conflicting Reason for Action”, 71 C.L.J. 59.

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La seconda area problematica sopra identificata nell’esperienza statunitense come foriera di possibili risultati sul fronte dell’uso interpretativo del diritto comparato nel diritto dei gruppi concerne la definizione della destinazione soggettiva dei doveri fiduciari di socio controllante e di gestori della controllata in caso di società in zone of insolvency e dell’eventuale autonoma identificazione di una fattispecie di responsabilità for deepening insolvency.

Si è riscontrato – il dato non è di difficile individuazione – che quando la società è non solo insolvente ma vicino all’insolvenza, gli interessi dei creditori e dei soci possono “drammatica-mente divergere” [138].

L’assunzione di partenza è che i gestori della “figlia” si trovano tra Sicilla e Cariddi (si par-la di “dilemma” [139]: se favoriscono la “madre”, si espongono ad azione dei creditori della “figlia”; se favoriscono questi ultimi creditori, l’azione si presterà a essere imbastita dalla “ma-dre”, che potrà peraltro revocarli.

Fino a North American Catholic Educational Programming Foundation, Inc. v. Gheeval-la [140], due dubbi permanevano [141]: verso chi i gestori siano tenuti ad adempiere i doveri fiduciari se la società entri in zona di insolvenza (non vi è dubbio invece che una volta transita-ta nell’insolvenza, i doveri fiduciari siano nei confronti dei creditori); i tipi di azione, le pretese vantabili dai creditori in queste situazioni.

In particolare, la giurisprudenza del Delaware lasciava aperta la possibilità dei creditori di agire contro i gestori per breach of fiduciary duties in caso di società in zona di insolven-za [142].

In Gheewalla, la Corte ritiene che in zona di insolvenza, i creditori non siano titolari di un’azione, né diretta né derivata [143]; quando la società divenga insolvente, possono agire so-lo con una derivate claim. Nel primo caso (zona di insolvenza), la protezione dei creditori è ga-rantita o può essere garantita da accordi contrattuali e dalla fraud and fraudolent conveyance law.

L’approdo di Gheewalla tranquillizza i gestori (o almeno così si è portati ad affermare), sembrando legittimarli a negoziare liberamente, purché in buona fede, senza la minaccia dell’azione dei creditori: si è scritto [144] che teoricamente dopo Gheewalla i gestori di una so-cietà solvente ma in zona d’insolvenza possono evitare di tenere conto della dottrina della zona di insolvenza e concentrare la loro attenzione esclusivamente sulla massimizzazione del valore della società per il beneficio dei soci.

In definitiva, quello che in Italia è stato denominato come «ispessimento dei doveri degli

[138] MURRAY ““Latchkey Corporations”: Fiduciary Duties in Wholly Owned, Financially Troubled Subsidiaries”, 36 Del. J. Of Corp. Law, 577; Production Resources Group v. NCT Group, Inc., 863 A. 2d 790.

[139] MURRAY (supra, n. 138). [140] 930 A. 2. d 92 (Del. 2007). [141] ANDERSON “Gheewalla and Insolvency: Creating Greater Certainty for Directors of Distressed Companies”, 11 U.

Pa. J. Bus. L., 1031. [142] Ad esempio: Credit Lyonnais Bank Nederland N.V. v. Pathe Communications Corp., C. A. No. 12150 1991 WL

277613 at 34, secondo cui i gestori di una società in zona di insolvenza sono titolari di doveri fiduciari verso la community of interests coinvolta in questa zona; v. altresì Production Resources Group v. NCT Group, Inc. 863 A. 2d 772 (Del. Ch 2004).

[143] Altrimenti detto: nelle società che si trovano in zona di insolvenza, i creditori non possono esercitare azioni di-rette contro i gestori per violazione dei doveri fiduciari; l’obiettivo dei gestori, anche quando la società si trova in zona di insolvenza, rimane (rimarrebbe) lo stesso della società che non è in zona di insolvenza, sì che i directors dovranno eserci-tare il loro business judgment a vantaggio della società.

[144] ANDERSON (supra, n. 141).

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amministratori nei confronti dei creditori» man mano che la società, anche di gruppo, si ap-prossima alla zona di insolvenza [145], mi sembra, in realtà,, nella giurisprudenza teorica e pra-tica statunitense, assumere la valenza di un assunto, nel contempo, più variegato e sfumato: o perché in realtà si nega che fino all’insolvenza i creditori possano essere destinatari-beneficiari di doveri fiduciari; o perché comunque si ammette che i gestori, prima dell’insolvenza, valuti-no, in buona sostanza secondo la business judgment rule, quali interessi perseguire tra quelli dei creditori e quelli dei soci; o perché, infine, si distingue tra società totalmente posseduta e società non totalmente posseduta, nel solo primo caso escludendo che ci possa essere un socio di minoranza della controllata destinatario di doveri fiduciari, ma chiedendosi semmai se siano i soci di minoranza della “madre” a potere reclamare l’adempimento di questi doveri fiduciari.

Come in certe applicazioni la teoria dei doveri riqualificati dei gestori e della “madre” di società “figlia” in zona di insolvenza è servita per tentare d’impostare una tutela dei creditori di tale società, allo stesso modo, in questa prospettiva, l’assai controversa e dibattuta deepening insolvency theory [146] si è prestata a garantire questi interessi.

Inaugurata negli Anni 80 del Secolo trascorso da parte del Seventh Circuit [147] come teoria dei danni (patiti dalla società a causa del fraudolento prolungamento della sua vita), essa è stata usata dal Third Circuit come causa indipendente di azione (tra l’altro, Official Committee of Unsecured Creditors v. R.F. Lafferty & Co., Inc. [148].

In Lafferty la Corte identifica tre diverse situazioni nelle quali la “fraudolenta espansione” dell’esposizione debitoria della società può danneggiare (ingiustamente) il valore della corpo-ration’s property [149]: (i) quando, opprimendo la società con “debiti ingombranti”, il falli-mento crea limitazioni di operatività che danneggiano la capacità della società di condurre i suoi affari in modo profittevole; (ii) nei casi in cui il fallimento non è ancora una certezza, l’assunzione di nuovi debiti può sospingere la società al fallimento; (iii) quando, anche assente il fallimento, la semplice minaccia di esso può danneggiare le relazioni della società con i suoi clienti, fornitori e impiegati, compromettendo l’affidamento di coloro che trattano con la società.

Dopo Lafferty, la deepening insolvency si afferma come causa indipendente di azione nella giurisprudenza della Bankruptcy Court of District of Delaware (ad esempio, Official Comm. Of Unsecured Creditors v. Credit Suisse First Boston (In re Exide Techs., Inc. [150]. [verif. ( )]

Concettualmente [151], questa teoria assume che esistano “differenti livelli di insolvenza” e che la progressione di una società dallo stato di esplicita insolvenza a irrecuperabile insolvenza (barely insolvent or irretrievably insolvent) può avere effetti devastanti

[145] MAZZONI (supra, n. 50), 835 ss.; v. pure DENOZZA, in Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, a cura di Jorio (Milano, 2012), 181 ss.; ancor prima BRIZZI (supra, n. 50), 1027 ss. In Germania, per recenti trattazioni autonome: HEIL, Insolvenzantragsprflicht und Insolvenzverschepplungshaftung bei der Scheinauslandsgesellschaft in Deutschland (Baden-Baden, 2008), 50 ss.; MAYER, Insolvenzantragspflicht und Scheinauslandsgesellschaft (Baden-Baden, 2008), 21 ss.; BICKER, Gläubigerschutz in der grenzüberschreitenden Konzerngesellschaft (Berlin, 2007); THIERHOFF-MÜLLER-ILLY (Hrsg. von) Unter-nehmenssanierung (Heidelberg, 2012).

[146] Un cenno recente, nella dottrina italiana, in DENOZZA (supra, n. 145), 184. [147] Schacht v. Brown, 711 F. 2d 1343 (7th Circ. 1983). [148] 267 F. 3d 340 (3d Cir., 2001). Completo inquadramento delle possibilità di ricorso alla deepening insolvency

pure come cause of action contro gli accountants in COLASACCO, “Where were the Accountants? Deepening Insolvency As A Means Of Ensuring Accountants’Presence When Corporate Turmoil Materializes”, 78 Fordham L. Rev., 848 ss.

[149] Apel, “In Too Deep: Why The Federal Courts Should Not Recognize Deepening Insolvency As A Cause Of Ac-tion”, 24 Bank. Dev. J. 85.

[150] 299 B.R. 750 ss. (Bankr. D. Del. 2003). [151] CHOKSI, “Skin or Swim? A Case For Salvaging Deepening Insolvency Theory”, 7 J. Bus. Sec. L. 163.

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Nella sua connotazione come theory of corporate injury, essa si presenta, pertanto, nella sua doppia accezione di teoria dei danni e di causa indipendente di azione contro gli amministrato-ri: qualificabile come danno causato dalla fraudolenta espansione dei debiti della società e dal prolungamento della esistenza della società; come azione contro i gestori che avrebbero dovuto liquidare la società e non l’hanno fatto, con il risultato che la società gode al momento della sua effettiva dissoluzione di meno liquidità per i creditori di quelli che avrebbe avuto se fosse stata posta in liquidazione prima e quando si sarebbe dovuto [152].

Diverse corti però, dall’inizio, hanno rigettato già l’accezione della deepening insolvency come teoria dei danni, essenzialmente sulla base di due argomenti [153]. Si contesta la premes-sa che la società soffrirebbe un danno dall’incremento dei debiti; inoltre, queste corti ritengono che il concetto di deepening insolvency sia troppo vago (manca di coerenza) per creare un chia-ro standard per determinare l’esistenza di danni. Si fa presente poi che la teoria riguarda più i danni causati dopo “il punto dell’insolvenza” ai creditori della società che quelli alla società. Si afferma che la teoria contrasterebbe con la “in pari delicto” theory (in pari delicto potior est conditio defendentis [154].

In ogni caso, sebbene con queste riserve, fino al 2006 la teoria ha goduto di crescente segui-to presso le corti fallimentari. A seguito di alcune decisioni del 2006 – Delaware Court of Chancery’s, Trenwick Am. Litig. Trust v. Ernst & Young LLP [155]; Delaware Bankruptcy Court’s, Official Committee of Unsecured Creditors of Randnor Holdings Corp. v. Ten-nenbaum Capital Partners, LLC (In re Radnor Holdings Corp.) [156] – molti hanno scritto che la teoria sarebbe morta.

In particolare, in Trenwick, la corte del Delaware ha rigettato la teoria quale teoria indipen-dente per la responsabilità degli amministratori, osservando che una società insolvente può «con due diligence e buona fede, perseguire una strategia imprenditoriale che essa è convita possa accrescere il valore della società, anche se ciò involga l’esposizione a nuovi debiti».

Sennonché, il definitivo ripiegamento della teoria è tutt’altro che consumato: la decisione del 2008 della U.S. Bankruptcy Court for the District of Delaware, Miller v. McCown De Le-euw & Co. (In re Brown Schools) ha messo in discussione il completamento di questo ripiega-mento e la definitiva caduta in disgrazia della teoria [157].

15. Alcune “assonanze” nel diritto italiano. – Se adesso si volge lo sguardo, in via conclu-

siva, al diritto italiano, e sempre nella prospettiva metodologica dell’uso interpretativo del di-ritto comparato, mi pare del tutto spontaneo pensare ad alcuni dei superiori scenari quando ci si trova a leggere, in particolare, quanto talvolta statuito dalla giurisprudenza del nostro paese.

Nel dettaglio, penso, tra l’altro:

[152] Official Comm. of Unsecured Creditors v. R.F. Lafferty & Co., cit. [153] APEL (supra, n. 149), cit. [154] CHOKSI (supra, n. 151), cit.; e tra altri, sul punto, semrpe in posizione di critica alla teoria, THOMPSON, “A Criti-

que of “Deepening Insolvency”, a New Bankruptcy Tort Theory”, 12 Stanf. J. of L., B. & F. 536; WILLETT, “The Shallows of Deepening Insolvency”, 60 The Bus. Law. 557; diversamente, aderendo a una posizione largamente favorevole all’applicazione della teoria, FRANKLIN, “Deepening Insolvency: What It Is and Why it Should Prevail”, 2 NYU J. Of L. and B. 435.

[155] 906 A. 2d 168 (Del. Ch 2006). [156] 353 B.R. 820 (Bankr. D. Del. 2006). [157] LEALI and TEDESCHI, “Deepening Insolvency Claims in Disguise”, Bankr. Law 360, May 14, 2008.

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(i) all’affermazione secondo cui «non esiste un obbligo di assistenza finanziaria, a maggior ragione se incondizionato, isolabile in capo alla società che esercita attività di direzione e co-ordinamento in quanto tale, anche laddove si acceda ad una accezione più ampia di responsabi-lità…, come riferibile alla assunzione di scelte strategiche “di gruppo” direttamente condizio-nanti (in negativo) le prospettive operative» della diretta [158]; come all’affermazione per la quale è assente un obbligo di legge della capogruppo di rispondere delle obbligazione delle “fi-glie” [159];

(ii) alle pronunce [160] che non impongono alla “madre” di mettere in condizioni la “figlia”, finanziandola direttamente o con sottoscrizione di aumento di capitale o altrimenti, la quale non fosse in grado di farlo da sé, di sfruttare un’occasione di affari che può essere sfruttata dal-la stessa “madre” [161]. In altre parole, gli attori non potrebbero addurre che il soggetto che e-serciti attività s’indebiti o ricapitalizzi o finanzi per consentire alla diretta «di cogliere un’opportunità economica che, altrimenti, le sfuggirebbe» [162]. Tuttavia, va precisato che il rispetto dei principi di corretta gestione presuppone il “non scardinamento” del «necessario punto di equilibrio…tra il soddisfacimento degli interessi delle società controllate e quelli della società controllante [rectius, del gruppo], tale da consentire la soddisfazione per tutti i soggetti coinvolti nelle operazioni realizzate» [163];

(iii) all’assunto – il quale parrebbe intuitivo, ma che in realtà richiede di essere confermato – che l’attività di direzione e coordinamento non costituisce presupposto sufficiente per esten-dere alla società che dirige le responsabilità contrattuali verso terzi della diretta, in quanto due soggetti separati [164].

16. Conclusione (con una postilla sulla necessaria libertà di pensiero del chierico della

scienza). – Spero di avere gettato dei ponti per unire o di avere dimostrato che esistono ponti che già uniscono i diritti dei gruppi, al di là della e a prescindere dall’armonizzazione.

Nel farlo, confido di essere rimasto fedele all’insegnamento metodologico, per me insupera-to, di Gino Gorla: «la comparazione…è un processo quasi circolare di conoscenza che va dall’uno all’altro termine, e dall’altro ritorna sull’uno e così via; e arricchisce in tal modo sem-pre più la conoscenza dell’uno e dell’altro …» [165].

Con una postilla apparentemente fuori tema. È necessario che nei confusi tempi correnti lo studioso, il chierico della scienza, si ponga e

ponga con forza il tema della sua “libertà di pensiero e di servizio” nei confronti della politica, anche di quella dei cc.dd. tecnici. Soprattutto oggi, dove, riprendendo un passo di un sempre più attuale (e profetico) saggio di Luigi Einaudi del 1938, «c’è un balbettio, ci sono parole

[158] Trib. Milano, 17 giugno 2011, Società, 2012, 258. [159] V. ora, in relazione al diritto concorsuale, un passaggio in Trib. Bologna 15 novembre 2011, in www.ilcaso.it. [160] Trib. Milano, 7 ottobre 2010. [161] Per l’esclusione, nel caso di specie, della sottoscrizione di un aumento di capitale della diretta, anche Trib. Ro-

ma, 13/17 luglio 2007, Riv. dir. comm., 2008, II, 218 s. [162] Trib Milano, 7 ottobre 2010 (supra, n. 160). [163] Trib. Palermo, 15 giugno 2011, Foro it., 2011, I, 3189. [164] Trib. Benevento, 21 agosto 2008 e 3 giugno 2009. [165] GORLA (supra, n. 23), 928.

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sconnesse, si odono mozioni d’affetto. Manca il ragionamento» [166]. Anche oggi, invece, vi sono tracce diffuse, secondo forme diverse e ancora più preoccupanti

rispetto al passato, di quello che il filosofo francese Julien Benda – era il 1927 – definiva il tra-dimento dei chierici della scienza [167].

Credo che le condizioni per manifestare e difendere la libertà di pensiero e di proposta dello studioso siano le stesse che Albert Camus additava, nel 1939, come centrali e imprescindibili nel suo Manifesto sulla libertà di stampa: la lucidità, l’opposizione, l’ironia e l’ostinazione.

[166] EINAUDI, Miti e paradossi della giustizia tributaria, in ROMANO (a cura di), L. Einaudi, Scritti economici, storici e ci-vili, IV ed.(Milano, 1973), 9.

[167] BENDA, Les trahison des clercs (Paris, 1927; tradotto in Italia, ed edito da Einaudi, nel 1976; ultima edizione, 2012).

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