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il cieloin terra
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12/2010
Dal 1993, il giornale di strada di Bologna fondato dalle persone senza dimora
PRODURRE QUESTO GIORNALE COSTA 0,75 EURO • QUELLO CHE DATE IN PIù è IL GUADAGNO DEL DIFFUSOREQUALSIASI RICHIESTA AL DI Là DELL’OFFERTA LIBERA NON è AUTORIZZATA
DICEmBRE CON: GIANLUCA mOROZZI, EmILIO QUADRELLI SUSANNA RONCONI, SImONA vINCI
1210
Piazza GrandeGiornale di strada di Bologna fondato dalle persone senza dimora“TeNDeRe uN gIoRNALe è megLIo Che TeNDeRe uNA mANo”Direttore eDitoriale Leonardo Tancredidirettore resPonsaBile Bruno PizzicaCaPoredattori Jacopo Fiorentino, Pietro Scarnera
redazioneVia Corazza 7/8 40128 Bologna, tel. 051 4222046, fax 0514216961www.piazzagrande.it | [email protected]
Consulenza editoriale Agenda (www.agendanet.it)
in redazionegiuseppe mele, Ilaria giupponi, erika Casali, eva Brugnettini, Si-mone Jacca, Salvatore Pio, mauro Sarti, Laura marongiu
Hanno CollaBorato a questo numerogruppo fotografico Bandiera gialla, Paolo Lambertini, gianluca morozzi, Nancy Poltronieri, redazione Bandiera gialla, redazione Sottobosco.info, Donato ungaro, Simona Vinci, Sonia Zucchini, giu-seppe Scandurra, Francesca Bono, Sofia Pizzo, Susanna Ronconi, emilio Quadrelli, Nadia Luppi, Vilas, Alessandro Tortelli, graziella guizzardi, Alberto Tetta
Bologna, dicembre/gennaio 2010, anno XVii, numero 170
stamPa Tipografia moderna
ProGetto GrafiCo Fabio Bolognini
impaginazione exploit Bologna
distriBuzioneRedazione Piazza grandeRegistrato presso il Tribunale di Bologna il 15/09/1995 n°6474
gerenza
i nostri strilloni
Ho 32 anni, sono arrivata dalla Ro-mania, dove facevo la casalinga, sei anni fa, e da allora vendo Piazza Grande a Porta Saragozza. Io e mio marito Nicolae abbiamo due figli di 10 e 12 anni, che sono rimasti in Ro-mania con mia madre. Qui viviamo a Porta San Mamolo.
Ho 34 anni, sono in Italia da otto anni, ho sempre venduto Piazza Grande in via Lame. In Romania face-vo il muratore, qui non ho trovato la-voro. Io e mia moglie Doina torniamo spesso a casa per andare a trovare i nostri figli, l’ultima volta è stato due mesi fa.
DOINA NICOLAE
In copertIna
È ComINCIATo Come uN SuSSuRRo A meZZA VoCe, uN ANNo FA meNTRe IL SINDACo DeLBoNo
SI DImeTTeVA, CoN IL PASSARe DeI meSI è DIVeNTATo INSISTeNTe Come uN mANTRA, ADeSSo
FINALmeNTe QuALCuNo Lo uRLA. BoLogNA è IN CRISI, oRmAI Lo DICoNo TuTTI.
mA IN QueSTo momeNTo DI STALLo SI RegISTRANo DeLLe SCoSSe, DA QuALChe PARTe emeRgoNo
PeZZI DI CITTà ANCoRA VIVI. Ne VogLIAmo SegNALARe TRe. LA PRImA CI RIguARDA moLTo DA VICINo,
PeRDoNATeCI L’AuToCeLeBRAZIoNe. DAL 16 oTToBRe FINo A meTà NoVemBRe, BoLogNA è STATA
ANImATA DA uNA SeRIe DI INIZIATIVe Che hANNo PoRTATo I “mARgINI” IN PIAZZA. SI è PARTITI CoN
LA NoSTRA “BoLogNA SeNZA DImoRA”, ASSemBLeA PuBBLICA SuLLo STATo DeL weLFARe BoLogNe-
Se e SPeTTACoLI DI STRADA (PuRTRoPPo STRoNCATI DA uN ACQuAZZoNe); PoI, PeR Le QuATTRo
SeTTImANe SuCCeSSIVe “PoRTe APeRTe”, IL FeSTIVAL DeLL’ASSoCIAZIoNe NAuFRAgI, hA FoCALIZZA-
To L’ATTeNZIoNe SuL LAVoRo DeLLe TANTe STRuTTuRe DI ACCogLIeNZA PeR CoNCLuDeRe CoN uN
DIBATTITo SuLLA “CITTà Che VoRRemmo”. LA SeCoNDA SCoSSA INVeCe VIeNe DA LoNTANo, Come Le
CeNTINAIA DI mIgRANTI Che INSIeme A TANTI CITTADINI NATIVI hANNo RIemPITo Le STRADe DeL CeN-
TRo DI BoLogNA, IL 13 NoVemBRe, PeR LA mANIFeSTAZIoNe RegIoNALe “CoNTRo IL RAZZISmo e PeR
I DIRITTI DI TuTTI”. ALmeNo 5000 PeRSoNe (TANTe DI QueSTI TemPI) hANNo mANIFeSTATo CoNTRo
uNA Legge SuLL’ImmIgRAZIoNe PRoFoNDAmeNTe INgIuSTA, Che PoRTA ANCoRA IL Nome DI BoS-
SI e FINI, e DATo LA LoRo SoLIDARIeTà AI LAVoRAToRI mIgRANTI DI BReSCIA IN QueI gIoRNI SALITI
SuLLA gRu DI uN CANTIeRe PeR PRoTeSTA. LA TeRZA SCoSSA è ANCoRA IN CoRSo meNTRe ANDIAmo
IN STAmPA. VIeNe DAgLI STuDeNTI meDI e uNIVeRSITARI Che ANChe A BoLogNA hANNo oCCuPATo
SCuoLe e FACoLTà PeR CoNTeSTARe uNA RIFoRmA Che meTTe IN SVeNDITA IL LoRo FuTuRo e QueL-
Lo DeLLA CuLTuRA e DeLLA RICeRCA. AggIuNgo Che ABBIAmo AVuTo IL PIACeRe DI eSSeRe INVITATI A
PARLARe DI PIAZZA gRANDe IN uNA SCuoLA oCCuPATA e ABBIAmo TRoVATo ATTeNZIoNe e eNTuSIA-
Smo. SegNALI DI VITA Che VeNgoNo DAL BASSo e ChIeDoNo SPAZI DI PARTeCIPAZIoNe IN uNA CITTà
Che APPARe PALLIDA e SBIADITA Come PoChe VoLTe NeLLA SuA SToRIA. ABBIAmo VoLuTo meTTeRLI
IN eVIDeNZA (mA A CeRCARe BeNe Se Ne PoSSoNo TRoVARe ANChe ALTRI) PeR DARe uN SuggeRI-
meNTo A ChI IN QueSTI gIoRNI STA STILANDo PoSSIBILI PRogRAmmI DI goVeRNo PeR LA CITTà. Bo-
LogNA è uNA CITTà IN CRISI, FACCIAmo IN moDo Che IL PRoSSImo ToNo DI QueSTe PARoLe NoN SIA
QueLLo DeLLA RASSegNAZIoNe. ([email protected]
editoriale/Segnalidi vitap LeoNARDo TANCReDI
il volto in prima pagina è
quello di Youssef, un murato-
re marocchino, musulmano
praticante che per le sue pre-
ghiere si sposta tra le piccole
moschee improvvisate nella
periferia di Bologna. l’autri-
ce della foto è Clara Calubini
del gruppo fotografico di Ban-
diera Gialla (www.bandiera-
gialla.it).
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Anche i Combattenti per la pace leggono Piazza grande:
a sinistra una ex soldatessa israeliana, a destra un ex
combattentente palestinese, al centro Luisa morgantini.Gua
rda
chi l
egge
Dagli inizi di novembre, nella
Sala multifunzionale del Cen-
tro d’accoglienza Beltrame, è
apparso uno scaffale pieno di libri. è
lo spazio “Libro vagabondo” dedicato
al bookcrossing, la circolazione libera
e gratuita di libri. L’idea si è sviluppata
da qualche anno in vari paesi e pro-
muove la lettura in un modo originale,
svincolato da ogni obbligo, anche da
quello di portare indietro i libri come
avviene normalmente in una biblio-
teca. Chi vuole rimettere il libro nello
scaffale dove l’ha trovato può farlo, ma
si può anche tenere o “liberare” in un
altro posto. Per seguire il percorso che
ha fatto il libro si può andare sul sito
internet www.bookcrossing-italy.com e
rintracciarlo tramite un codice scrit-
to nelle prime pagine. Chiunque può
lasciare dei libri sullo scaffale affinché
altri possano ritrovarli e leggerli.
Contrariamente a ciò che molti pos-
sono pensare, nei dormitori ci sono
molte pesone che amano leggere, e
infatti il bookcrossing ha conseguito
un discreto successo al Beltrame. Tra
gli ospiti ci sono lettori onnivori che
spaziano dai gialli alla narrativa più
sofisticata, da Agata Christie a herman
hesse, e altri che si appassionano alla
storia moderna o alla cultura orientale.
ovviamente c’è anche chi ama riviste
e fumetti. Dallo scaffale del “Libro va-
gabondo” transitano in una variopinta
compagnia Dostoevskij e Tex willer,
Camilleri e Topolino, Cervantes e Fo-
cus.
Il bookcrossing, così libero da co-
strizioni, stuzzica la curiosità delle
persone e fa accostare ai libri anche
lettori “inaspettati”. La lettura dà un
impulso all’immaginazione in manie-
ra attiva, per chi vive in dormitorio o
passa la giornata in un centro diurno
rappresenta una valida alternativa alla
fruizione passiva della televisione. e
chi ha più bisogno di stimoli se non
una persona emarginata dalla vita? La
lettura fa sorgere idee che forse posso-
no diventare progetti per migliorare la
propria condizione.
Per questo lanciamo un appello ai let-
tori di Piazza grande: se avete qualche
bel libro che avete già letto e che da
qualche tempo giace annoiato nella
giornalismo D’asfalto012345678910111213141516
Il centro di via
Sabatucci cerca
nuovi volumi,
perché fra i senza
dimora i lettori
non mancano
Antonella e Lorenzo
si sono incontrati
sui binari d’Italia,
in cerca di un
futuro migliore
vostra libreria, dategli la possibilità di
viaggiare e di conoscere nuovi letto-
ri! Portatelo al Centro Beltrame, in via
Sabatucci 2, sullo scaffale del “Libro
vagabondo”. Forse anche voi potrete
trovare libri interessanti da prendere.
e se volete, potrete bervi un caffè e
scambiare quattro chiacchiere con le
persone che frequentano la Sala multi-
funzionale.
p VILAS
p ALeSSANDRo ToRTeLLI
Servizio mobile
Una storia d’amorefra treni e stazioni
Come tutte le sere, Antonella sie-
de nell’ultimo sedile di legno,
con il volto segnato dalle soffe-
renze dell’anno appena trascorso e una
coperta che le permetterà di passare la
notte nella stazione di Bologna. È stufa
di vivere in strada, e racconta che quan-
do ci si trova in questa condizione la
rabbia continua a crescere, cominci a
odiare il mondo che ti circonda.
Lorenzo arriva qualche minuto dopo con
il tè caldo portato stanotte dai volontari.
Le siede accanto e cerca di rincuorarla.
Antonella è malata. Da un anno viaggia-
no insieme nel ricco Nord italiano alla
ricerca di un’occasione, ma le gambe
cominciano a farle male. Anche l’appa-
recchio per la glicemia si è rotto e non
può tenere sotto controllo il diabete che
continua ad assillarla. Questa notte dor-
miranno nella sala d’aspetto nella spe-
ranza di poter tornare a casa.
Cinque anni fa Lorenzo aveva una vita
normale, un lavoro dignitoso, una mo-
glie e due figli. Forse si era sposato trop-
po presto, forse non sapeva amare come
si amava un tempo, ma il matrimonio
era giunto a un vicolo cieco. In pochi
mesi la separazione e poi divorzio, rot-
tura con i figli e crollo psicologico. Così
Lorenzo oggi è un barbone. E, come tutti
i barboni, ha cominciato con un bicchie-
re di vino. Ma quando il primo bicchie-
re è alle nove del mattino il lavoro co-
mincia a essere difficile da conservare.
Anche Antonella aveva una vita norma-
le, ma un giorno ha deciso di scappare
dal marito e dai figli. Non è andata ol-
tre la quinta elementare e non ha qua-
lifiche professionali. Il lavoro è difficile
da trovare perché lei per il mercato non
è una risorsa. Nei primi mesi ha trova-
to ospitalità da un’amica, ma quando si
è resa conto che per rimanere doveva
compiacere un anziano conoscente non
le è rimasto che scappare in lacrime. Co-
mincia a dormire sui treni per evitare in-
contri pericolosi e a frequentare mense,
dormitori e bagni pubblici.
Non sappiamo se è stato amore o solo la
paura di rimanere soli, ma il loro incon-
tro a Reggio Calabria ha cambiato a en-
trambi la vita. Insieme hanno deciso di
andare al Nord. Forse non era il momen-
to giusto. Roma, Trieste, Verona, Trento,
Venezia e infine Bologna. Poche occasio-
ni, tanta sofferenza. A Bologna hanno
anche trovato qualche lavoretto nelle
ultime settimane. La residenza rimane
però un ostacolo insuperabile. Se hai bi-
sogno di aiuto e sei di Bari devi tornare
a Bari, questa la semplice logica dei ser-
vizi sociali. E se a Bari il lavoro non c’è,
Al dormitorioarrivano i libri
Al Beltrame uno scaffale dedicato al “bookcrossing”
non importa, perché tu sei un barbone
e i barboni non hanno bisogno di lavo-
ro ma solo di assistenza. E poi barboni
non hanno famiglia e nemmeno relazio-
ni: devono stare in dormitori diversi. Per
essere aiutati, insomma, dovrebbero se-
pararsi. Ma Antonella è malata e Loren-
zo le vuole rimanere accanto. È meglio
ripiegare verso Bari, anche se il Comune
non ha soldi e la Caritas è in difficoltà.
Non resta che intraprendere il viaggio
senza biglietto. Partiranno questa notte.
La loro storia ricorda quella dell’hobo
americano, che percorreva lungo la fer-
rovia gli Stati Uniti alla ricerca di lavoro,
affrontando il rischio di essere scovato
e cacciato dalla polizia. Cent’anni dopo,
Antonella e Lorenzo stanno attraversan-
do il nostro paese, ma cercano solo di
ritornare a casa per costruire un futuro
comune. ([email protected])
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figlie anch’esse del baby boom degli anni Sessanta, le parrocchie bolognesi largheggiano in spazio. Ca-
noniche e vecchi cinema parrocchiali, oratori e sale di catechismo, tutte pensate per ospitare i giovani
cresciuti a omogeneizzati nel tempo del miracolo economico, e oggi brizzolati cinquantenni o madri
dei tanti ragazzini che manifestano contro la riforma gelmini, non trovano giovani generazioni pronte
a occupare quelle stanze. o comunque non abbastanza. Sono luoghi ampi e progettati senza lesinare in cortili e
campetti, immensi saloni nati per sviluppare la “pastorale educativa”, e che invece oggi fanno gola a enti locali,
istituzioni e imprenditori del mattone. Sono un centinaio le parrocchie in città, fanno quattrocento in tutto pren-
dendo la provincia (ma le chiese sono quasi il doppio): calano le vocazioni, diminuiscono i fedeli, ma i metri qua-
dri restano. e ognuno si organizza come può. In centro, ad esempio, il problema è drammatico. Anziani i preti (a
Bologna un religioso su quattro è over 75), anziani i residenti (se escludiamo gli studenti fuori sede), vuote le sale
delle parrocchie che spesso vengono affittate a offerta libera per riunioni di condominio e corsi che vanno dalla
danza alla scrittura creativa. Tanto che ad aprile scorso la curia bolognese ha dovuto procedere al “commissaria-
mento” della cattedrale di San Pietro, con la conseguente soppressione della parrocchia affidando ad altre chiese
del centro benedizioni e sacramenti.
oltre non si va. Resta il rito liturgico, ma per la vita sociale, l’accoglienza, l’ospitalità, ciascun prete fa un po’ a
InchIesta
ilcieloFra crisi delle vocazioni e calo dei fedeli, le parrocchie bolognesi si scoprono grandi e
con troppi metri quadri. un patrimonio costoso da gestire e difficile da destinare ad al-
tri usi. ma alcuni preti coraggiosi provano a reinventare gli spazi
p mAuRo SARTI FoTogRAFIe DI gRAZIeLLA guIZZARDI
terrain
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era troppo grande per me - racconta il sacerdote, 73 anni, noto alle cronache per
avere ospitato nei suoi locali il coro gay Komos – così ho tirato su un cartongesso e
ho diviso l’appartamento in due. ora nella mia casa vivono anche un italiano, un
indiano e tre rumeni… Tutte persone che avevano bisogno di una sistemazione”. Non
basta: alla Beverara funziona l’oratorio con i biliardini e il bar, un gruppo ciclistico,
uno caritativo che raccoglie indumenti, alimenti e fa anche da centro d’ascolto per
chi è in difficoltà, campi estivi. mentre un appartamento, che fa parte delle proprie-
tà della parrocchia, è stato affittato a una famiglia di iraniani. “mi capita di prestare
le sale a gruppi di altre religioni – continua – non con un calendario prestabilito, ma
occasionalmente succede: l’altra sera, ad esempio, abbiamo organizzato una cena
araba”. In molti conoscono poi la scuola “paterna” della parrocchia di Sant’Antonio
da Padova della Dozza. Lì, don giovanni Nicolini, ha realizzato il suo sogno: una
piccola Barbiana all’emiliana, una scuola media davvero particolare che già il sacer-
dote aveva sperimentato nella comunità di Sammartini di Crevalcore nel 1982, dove
viveva prima di finire a fare il prete a due passi dal carcere circondariale. Percorsi
personalizzati, maggiore spazio alla libertà e a un concetto più vasto di cultura rivol-
ta all’approfondimento, questa è la scuola parrocchiale della Dozza. Lo schema giu-
ridico della scuola paterna, grazie a una legge del 1926, prevede che gli allievi siano
iscritti presso un istituto, al quale i genitori chiedono poi l’autorizzazione di potere
provvedere all’istruzione dei propri figli. una scuola fatta in casa, a cui non manca-
no gli iscritti e che anima gli ampi spazi della Dozza. una parrocchia effervescente
che contemporaneamente ospita una cooperativa di lavoro, e altre attività sempre
rivolte agli immigrati. Don giovanni insegna storia e geografia, ma tutti gli altri prof
vengono dall’accademia o dai mestieri, docenti in pensione, genitori autodidatti, ar-
tisti, artigiani e semplici volontari che hanno deciso di dedicare qualche ora a una
scuola così speciale.
Altre parrocchie come San giovanni Bosco, gli Alemanni, San Paolo di Ravone,
Sant’Antonio in via massarenti, ma l’elenco è più lungo, si danno un gran da fare. e
non buttano metri quadri. un’altra lunga lista riguarda invece i tanti spazi della Chie-
sa bolognese che non hanno destinazione. Saloni e salette che, quando va bene, si
accendono la sera per qualche assemblea di condominio. Poi ci sono anche i conven-
ti delle suore, qualche eremo, grandi aree in città, solo per fare degli esempi, come
quella del Villaggio del Fanciullo. Spazi, spesso, sottoutilizzati. “Il problema non ri-
guarda solo gli edifici – racconta frate Benito Fusco, un passato in Lotta Continua, poi
InchIestamodo suo. In base alla formazione rice-
vuta, all’età, alle risorse economiche che
può sottrarre alla - spesso costosissima –
manutenzione degli edifici parrocchiali.
gli scout, 3 mila in città compresi 500
educatori, danno una mano a occupa-
re le sale. ma sono un mondo a sé, che
spesso si confronta poco con la comuni-
tà parrocchiale. Ci sono le Caritas e i Servizi di accoglienza alla vita, qualche parroco
è anche riuscito a rianimare i cinema, che erano 17 non molti anni fa, e che ora si ri-
ducono a una decina, con una programmazione che di fatto non si differenzia molto
da quella delle altre sale. ma non basta. Anche perché, a parte le parrocchie, ci sono
anche ospedali, scuole, campi sportivi, alberghi, biblioteche, box e garage, seminari,
convitti, tutti di proprietà della Chiesa che ormai faticano a trovare una loro destina-
zione esclusivamente ecclesiale.
ovviamente ci sono le eccellenze, le isole felici dove un miracoloso mix tra parteci-
pazione, bisogni concreti, voglia di fare e una buona dose di coraggio, ha prodotto
casi unici da raccontare. Come quello di don Nildo Pirani della parrocchia della Be-
verara, che – tanto per cominciare – ha diviso il suo appartamento in due. “La casa
“Mi capita di prestare le sale a gruppi di altre religioni – spiega don nildo pirani – non con un calendario prestabilito, Ma occasionalMente succede: l’altra sera, ad eseMpio, abbiaMo organizzato una cena araba”
assessore a Casalecchio di Reno, e oggi voce scomoda della Chiesa bolognese – ma
è una questione soprattutto culturale. Legata alla sensibilità dei preti e dei frati, alla
loro formazione. Non tutti sono disposti a mettere in campo un’attività di accoglien-
za. Anche all’interno degli ordini religiosi ci sono delle differenze: i preti hanno più
una formazione individuale, i frati hanno al contrario una maggiore attenzione collet-
tiva… e anche questo incide”.
Il gioco è facile, ma suona efficace. Sono quattrocento le parrocchie a Bologna e pro-
vincia? “ecco, se ciascuna parrocchia accogliesse non dico una famiglia, che forse
sarebbe troppo – conclude frate Benito, da un po’ di tempo confinato nella parroc-
chia di San Lorenzo di Budrio – ma anche solo una persona in difficoltà, sarebbero
già quattrocento persone tolte dalla strada. Potrebbe essere una cosa concreta, e il
problema dei senza casa riceverebbe già una bella sistemata”.
f
Indù, musulmani, ma non solo. Il centro Zonarel-
li, in pieno quartiere San Donato, si occupa da
sempre di intercultura, e spesso questo significa
occuparsi di religione.
A novembre il centro ha ospitato la Festa del Sacri-
ficio, organizzata dall’associazione Sopra ai ponti,
occasione di ritrovo per tutta la comunità islamica
della città e non solo.
L’agnello, che simboleggia Isacco, si trasforma in
un pasto caldo per la comunità riunita. Dopo averlo
macellato secondo il rituale, se ne regala un quarto
ai pellegrini. Per questo alla Festa del Sacrificio non
partecipano solo musulmani di origine indiana e pa-
kistana, ma anche molti italiani. “Siamo andati da
molti commercianti islamici della zona che hanno
contribuito generosamente, donando carne di agnel-
lo - racconta Rafia dell’associazione Sopra ai ponti -,
abbiamo fatto appello a tutti i fratelli e alle mense
invitandoli alla festa”. Il significato della celebrazio-
ne collettiva è stare insieme ed essere tanti, anche
italiani, gente bisognosa. “Dopo la cena comune ab-
biamo regalato carne cruda alle famiglie bisognose.
L’insegnamento dell’islam è quello di essere altrui-
sti, non esiste il concetto di io ma solo di noi” con-
clude Rafia.
“Lo spazio del centro non è adatto per le feste reli-
giose - dice Fausto Amelii, responsabile del progetto
Intercultura dello Zonarelli - ma chi non ha un luogo
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InchIesta
P arlare di moschee a Bologna ri-
chiama inevitabilmente il proget-
to della grande moschea di cui
si parla da anni. ma i tanti arabi, magh-
rebini, pakistani e bangladesi intanto si
sono industriati per trovare i loro spazi
di preghiera. e visto che moschea è ogni
luogo in cui ci sia un tappeto e un imam,
Bologna è ricca di moschee, ma tutte mi-
nuscole, e qualcuno ci rimette. Le donne,
ad esempio. e le attività culturali. C’è chi
pensa, come il presidente del consiglio
provinciale degli stranieri Bouchaib Kha-
line (marocchino) che piuttosto di una
grande moschea “sarebbe meglio ristrut-
turare e potenziare l’esistente, visto che i
centri sono fatiscenti e troppo piccoli per
contenere tutti i fedeli. In via Terracini,
ad esempio, si prega in un capannone
con il tetto in lamiera: in estate è caldissi-
mo mentre in inverno si gela”. ogni mo-
schea, inoltre, è frequentata da comunità
diverse: “I marocchini vanno alla Barca
e in via Terracini - prosegue Khaline -.
In via Libia ci sono più pakistani e ban-
gladesi, mentre in via Pallavicini i fedeli
sono più misti”. Quella che attualmente
si avvicina di più all’idea di moschea è il
capannone di via Pallavicini, con cortile
e uffici. Prima di quest’estate aveva una
biblioteca, poi c’è stato l’incendio doloso
in agosto. “Qualcuno ha sfondato il vetro
con una molotov, sono bruciati quasi tut-
ti i libri”, racconta Adel Shaick, ingegnere
giordano nell’esecutivo del Centro di cul-
tura Islamica. Racconta che fino all’an-
no scorso c’erano circa 170 bambini che
sabato e domenica andavano a studia-
re lingua araba e Corano al Centro. ma
era impossibile tenerli tutti, poco spazio,
quindi sono stati spostati alla scuola ele-
mentare garibaldi, in zona San Donato.
“Qui ne sono rimasti pochi”, dice l’imam
Said mahdi Nasr, che elenca le attività
del centro, tra cui “le visite ai musulmani
in carcere e negli ospedali. I rituali per
il funerale islamico. Lezioni di arabo e
cultura islamica agli italiani che vengo-
no qua. Siamo un punto di riferimento
importante”.
Youssef e Kalim, un marocchino e un tu-
Le moschee bolognesi?Piccole e improvvisate
nisino, pregano cinque volte al giorno,
ma questo per loro vuol dire spostarsi
tra una moschea e un’altra. Strutture im-
provvisate e poco comode come quella
di via Libia e via Terracini. uno mura-
tore, l’altro saldatore. Youssef ha vissuto
a Napoli per 14 anni, e con il marcato
accento si scambia per un meridionale.
entrambi hanno affrontato la crisi eco-
nomica, e sono rimasti in Italia, contra-
riamente a molti che invece sono torna-
ti ai luoghi di provenienza. Come spiega
Shaick: “Sono tanti i musulmani che
hanno lasciato l’Italia in questo periodo,
sono rimasti soprattutto i padri di fami-
glia”. In via Libia la moschea è una stan-
za ricoperta di tappeti, dietro una ten-
da azzurra. Troppo piccolo per ricavare
p eVA BRugNeTTINI ALBeRTo TeTTA
la Dea Durga e l’agnellop eRIKA CASALI
Il centro Zonarelli offre le proprie stanze per le feste di indù e musulmani
lo spazio per le donne. In via Pallavicini
c’è, e il venerdì si vede qualche donna
velata arrivare a coppie, passare attra-
verso le auto tra le quali c’è un merca-
tino improvvisato di prodotti tipici. Per
la festa del sacrificio del 16 novembre,
non c’era spazio da nessuna parte per
i 3 mila musulmani che si sono accal-
cati al capannone del Parco Nord, così
per tutto il giorno una fiumana vestita
a festa ha percorso via Stalingrado. “Ci
dipingono come la causa di tutti i mali
– dice sarcasticamente un membro del
direttivo del Centro - ho una proposta
per sanare l’economia italiana: chiudia-
mo tutte le moschee per due anni, e che
Dio ci perdoni”. (evabrugnettini@piaz-
zagrande.it)
dove celebrare i propri riti supplisce alla mancanza
utilizzando le nostre stanze”. Le associazioni ricre-
ano l’ambiente: gli indù si autotassano ogni anno
per chiamare un celebrante dall’India ad officiare
la cerimonia dedicata alla dea Durga, nella versione
ridotta di 5 giorni invece che 10.
“Lo Zonarelli per noi è un punto di riferimento, di
aggregazione e ha un grande valore sociale” dice Bi-
nil Bopal dell’associazione che si occupa della ce-
lebrazione dedicata alla dea Durga, madre di tutti
senza distinzione di razza o religione. “Al centro
vengono anche i fratelli non praticanti, proprio per-
ché è un luogo neutrale, aperto a tutti”. (erikacasa-
Non c’è spazio
per i 3 mila fedeli
presenti in città.
e a rimetterci sono
soprattutto
le donne e le
attività culturali
r| la stanza adibita a moschea in via libia
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InchIesta
p ILARIA gIuPPoNI“Lo sbattezzo è la traduzione giuridica dell’elementare diritto, sancito
dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e riconosciuto in Ita-
lia da un provvedimento del Garante per la privacy, di poter abbandona-
re una confessione religiosa”. Così recita la definizione del circolo Uaar
(Unione degli atei e degli agnostici razionalisti), che vede fra i suoi presi-
denti onorari scienziati come Margherita Hack, nomi quali Pierpaolo Odi-
freddi e Sergio Staino, e poi sociologi e neurobiologi, giuristi e medici.
Non è dunque l’iniziativa provocatoria di alcuni fanatici, né una folkloristica
alternativa: “Chi cerca di uscire da una chiesa, non vuole entrare in un’al-
tra”, dice Paolo Marani, che si occupa dello sportello di Bologna (riceve al
Cassero ogni sabato mattina). Per questo non c’è un registro che tenga il
conto degli italiani sbattezzati, che si stima siano circa 20 mila: “un baci-
no consistente del quale è necessario che i politici inizino a tenere conto”.
Uno degli scopi principali dello sbattezzo, che di fatto consiste in un’auto-
dichiarazione presentata al parroco della propria chiesa di battesimo con
la richiesta di apporvi una firma e la convalida dal notaio, è quello di ve-
dersi riconosciuto il diritto di rappresentanza, sancito dalla Costituzione.
“Finché il nostro paese verrà considerato un paese a maggioranza cattolica
quasi assoluta (96% a detta dell’Istituzione ecclesiastica) - continua Ma-
rani - le persone che non si rispecchiano in quei valori, e soprattutto nei
limiti che questi impongono, si troveranno a subirli”. In Italia esiste la li-
bertà di culto, ma la libertà di non possederne uno fatica a trovare spazio.
Lo sbattezzo esprime, in questo senso, una richiesta di uguaglianza. Info su
www.uaar.it. ([email protected])
Padre Dionisios viene dalla grecia ma vive a Bo-
logna ormai da tanti anni. Nel 1999 ha aiutato
ad aprire la chiesa greco ortodossa di via dei
griffoni che da fuori sembra piccola e dimessa men-
tre dentro è un’esplosione di icone e di decorazioni
dorate. I fedeli si incontrano tutte le domeniche, dopo
la messa rimangono molto tempo insieme, mangia-
no piatti del loro paese e bevono caffè greco. “Quella
greca è la prima comunità ortodossa organizzata di
Bologna”, spiega padre Dionisios, e racconta che al
principio la loro chiesa era quella di via Sant’Isaia che
però, con il crollo dell’unione Sovietica e la conse-
guente ondata di persone in fuga dalla Russia e dalle
repubbliche satellite, è diventata il luogo di culto della
comunità slava. Padre Dionisios sta mettendo insie-
me da anni un’imponente collezione di libri in lingua
greca, classici e contemporanei, che verranno messi
a disposizione del pubblico non appena la ristruttu-
razione dell’ambiente sopra la chiesa sarà terminata.
La chiesa di nazionalità rumena invece, si è spostata
un anno fa nella parrocchia di San Nicola, in fondo a
via del Pratello; la comunità è molto vasta e tutte le
domeniche si riunisce per cantare, pregare e racconta-
re le storie sacre. Il gruppo dei bambini ha formato un
coro che si esibirà la notte di Natale, anche se questa
festa trova divisa la comunità ortodossa. Infatti, chi
si rifà al culto antecedente la riforma di inizio ‘900
festeggia ancora il 6 gennaio, come per esempio il
gruppo slavo, mentre tutti gli altri si sono adattati al
canonico 25 dicembre. La chiesa di padre Ion Rimboi
non è abbastanza grande per tutti i fedeli, che molte
volte devono raggrupparsi fin sotto al portico antistan-
te. “Per fortuna noi non utilizziamo sedie e quindi c’è
più posto in chiesa” ride il sacerdote aggiustandosi la
p eRIKA CASALI
Gli altricristianiortodossi ed evangelici
sono molto presenti a
Bologna. Si ritrovano per
pregare, per ricordare i
paesi d’origine, ma anche
per impegnarsi nel sociale
lunga veste nera.
In fondo a via Corticella, proprio accanto alla stazio-
ne, c’è la chiesa evangelica eben ezer, al suo interno
si trova l’associazione matteo XXV che si occupa di
aiutare le persone meno abbienti e in condizioni di
svantaggio. un sostegno, sia materiale che spirituale,
che raggiunge anche i detenuti della Dozza. I grup-
pi etnici di fede evangelica sono vari: la domenica si
danno il cambio italiani, rumeni e cinesi che celebra-
no la loro funzione accompagnati da chitarre e altri
strumenti musicali. Tutto il resto della settimana si
alternano gruppi di preghiera, femminili e di giovani
che organizzano le proprie attività. “Siamo molto attivi
nel sociale - dice padre Anselmo, responsabile dell’as-
sociazione - solo attraverso attività svolte con e per
gli altri è possibile mettere in pratica gli insegnamenti
della religione”. ([email protected])
i Diritti Dei laici
r| fonte flickr (Cybermacs)
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Il quInto alImento
Nutrirci è il primo atto che fac-
ciamo alla nascita ed è un’esi-
genza primaria per l’uomo, e
anche per questo esiste un legame stret-
tissimo tra cibo ed esistenza, nutrimento
e cultura. Le religioni ritengono il cibo un
nutrimento non solo per il corpo, ma an-
che per lo spirito e per questo i testi sacri
danno consigli, ammonimenti e impon-
gono divieti.
Nell’Islam, (Corano: V ) gli alimenti si di-
vidono in halâl (leciti), harâm (proibiti),
mushbûb (dubbi, il cui consumo è affi-
dato alla coscienza del musulmano) e
makrûh (abominevoli). Il pesce è lecito,
così come il coniglio, il pollame, bovini,
ovini e caprini. La selvaggina è lecita solo
se il cacciatore è musulmano e se spa-
rando pronuncia la formula tasmiya (Bis-
millâhi, Âllâhu âkbar, ovvero “Nel nome
di Dio”, “Dio è il più grande”). La carne
degli animali leciti è commestibile solo
se questi vengono macellati secondo le
prescrizioni della Sharîa, la Legge reli-
giosa islamica. La religione islamica pre-
vede inoltre il Ramadan: per un mese,
dalla prima luce dell’alba al tramonto, ci
si astiene dal bere e mangiare: un mese
di privazioni perché tutti, dal più ricco al
più povero, vivano le stesse esperienze.
L’ebraismo ha regole alimentari simi-
li a quelle musulmane ma più restritti-
ve, infatti nella Bibbia (Levitico cap. 11,
Deuteronomio cap. 14) vi sono elenchi
degli animali kasher (leciti): mucca, pe-
cora, capra e cervo. Sono invece vieta-
ti maiale, cammello, cavallo o coniglio.
Vietati anche molluschi, crostacei e an-
guille. una casa strettamente kasher avrà
almeno due servizi di utensili, uno “da
carne”, e uno “da latte”, poiché è vietato
mescolare latte e carne, così come è proi-
bito ingerire insieme carne e pesce. Inol-
tre per gli ebrei ci sono cinque giorni di
digiuno completo all’anno, il più impor-
tante di questi è lo Yom Kippur, il giorno
dell’espiazione.
Le religioni orientali sono principalmente
vegetariane, l’Ahimsa (il principio della
nonviolenza verso tutti gli esseri viven-
ti che ha la sua origine nei Veda) è un
aspetto centrale di queste religioni. Il
Buddismo per esempio si fonda su due
principi fondamentali, la saggezza e la
compassione. Per il raggiungimento di
entrambe è indispensabile essere vegeta-
riani. Il primo dei precetti buddisti recita:
“Non uccidere, anzi tutela ogni forma di
vita”. oggi solo i monaci Zen hanno man-
tenuto inalterata la loro originale tradi-
il ciBoDell’animap FRANCeSCA BoNo SoFIA PIZZo
Dall’Islam all’ebraismo, fino alle religioni
orientali: ogni culto ha le sue regole in fatto
di alimentazione. e in una società sempre
più multietnica è bene conoscerle
zione di vegetariani.
Anche l’Induismo ammonisce alla prati-
ca del vegetarianismo. Nell’Induismo è
particolarmente sentita la legge dei kar-
ma per cui chi mangia un animale nel-
la vita futura sarà a sua volta mangiato
(Srimad Bhagavatam 11.5.14). Inoltre, nel-
la religione induista, la vacca è ritenuta
un animale sacro. Per questo gli indù os-
servanti, quand’anche non siano stretta-
mente vegetariani, rifiuteranno ogni for-
ma di carne vaccina.
Se le religioni islamica, induista, buddi-
sta ed ebraica hanno alimenti tabù, quel-
la cristiana, che sia cattolica, ortodossa
o protestante, praticamente non ne han-
no, se non in forma di digiuno, duran-
te il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì
Santo ed astinenza dalla carne il venerdì.
(www.communeating.com)
illustrazione di sonia zucchini |t
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Ormai non sono più casi isola-
ti. Non solo il drop in di Bolo-
gna, anche i dormitori di Tori-
no, l’unità di strada di Sassari, i centri
diurni di Napoli. I servizi di bassa soglia
sono sotto tiro: dei tagli al welfare, alla
sanità, di quella gerarchia un po’ feroce
– anche se vestita dei panni asettici del-
la ragione economica – che mette mano
alla forbice a partire dai più deboli, dai
soggetti che hanno poca voce, non fanno
lobbying e, magari, non votano. e anche
dai loro operatori: non sarà un caso che
siano per lo più precari, sottopagati, di
associazioni o cooperative che aspettano
mesi e semestri per ricevere quanto spet-
ta loro. Nella chiusura o ridimensiona-
mento dei servizi a bassa soglia c’è tutta
la filosofia di un’epoca, quella che ci è
dato di vivere. In primo luogo, la rottura
di, e il disinteresse per, i legami sociali.
Sappiamo che le basse soglie oltre a of-
frire beni e servizi di base, in risposta a
bisogni primari, sono anche luoghi dove
si tessono relazioni, dove si crea un le-
game – sebbene “debole”, ma nel lavoro
sociale questo aggettivo non è negativo,
è una opportunità - e che spesso sono i
soli contesti in cui le persone in difficoltà
o in “difetto di cittadinanza”, come i mi-
granti non regolarizzati o i senza dimo-
ra senza residenza, incontrano il welfare.
Dunque, luoghi preziosi di ricucitura di
rapporti sociali che hanno subito, nel-
le mille biografie delle persone che in-
contrano, cesure, rotture, conflitti. Luoghi
preziosi, si direbbe, non solo per i dirit-
ti delle persone, ma anche per il conte-
sto sociale in cui vivono, ché non si può
pensare di governare frammentazione,
povertà, emarginazione lasciandole sem-
plicemente alla deriva: serve almeno un
battello che dia la possibilità di intravve-
dere e raggiungere un approdo.
In secondo luogo: fine del welfare nella
sua declinazione costituzionale e indivi-
dualizzazione del rischio sociale. Si salvi
chi può, insomma: gli inclusi non han-
no alcuna voglia di far spazio agli esclusi
(pensiamo al senso comune sulle tasse,
e pensiamo che sulla fiscalità genera-
le si basa il welfare!), trionfa la conce-
zione di una povertà come colpa, come
responsabilità di ogni singolo, e al suo
superamento come faccenda privata che
ognuno si sbrogli da sé. Avere un soste-
gno sociale diventa questione di “merite-
volezza”, e passa attraverso una giungla
di criteri e standard sempre più seletti-
vi, che via via riducono al lumicino nu-
mero e tipologie di persone che posso-
no accedervi: se non hai il permesso di
soggiorno, se non hai la residenza stori-
ca, se non hai l’abitabilità, se possiedi
un cellulare e quindi sei troppo ricco,
se hai le urine “sporche” di cocaina…
I servizi a bassa soglia hanno tre “difet-
ti”, per questo sistema: non sono seletti-
vi (la soddisfazione di bisogni di base ri-
entra nel diritto di ognuno di vivere mai
al di sotto della soglia della dignità uma-
na. ma questa è la Costituzione). Lavo-
rano sulla promozione della persona
sulla base della validazione e non della
selezione (cioè: ognuno ha qualcosa su
cui puntare, da valorizzare, contro la di-
visione tra quanti possono e quanti non
possono). Facilitano l’ingresso dei pro-
pri utenti nel sistema di welfare, “accre-
ditandone” diritti e bisogni (invece di te-
nerli lontani a favore della meritevolezza
e della selezione). e pensare che crede-
vamo fossero proprio questi “difetti” la
nostra mission! In terzo luogo: i servizi
a bassa soglia puntano a prevenire e
limitare il ricorso alla repressione e al
penale, contenendo rischi e danni del-
le condizioni di emarginazione grave e
contattando precocemente situazioni “al
limite”. e qui le criticità esplodono: per-
ché se non si investe nella ricucitura di
Così affondala bassa soglia
Dormitori e servizi per i senza
casa chiudono in tutta Italia,
e non per caso. Dietro c’è
un’idea precisa, che vede la
povertà come una colpa.
legame sociale e insieme nella promo-
zione dei singoli, la prospettiva è quella
del transito dallo stato sociale allo stato
penale, all’approccio securitario come
modello di governo della società (che
vuol dire che si divide intenzionalmen-
te la società tra chi “merita sicurezza” e
alcune minoranze bollate e inchiodate
a giocare il ruolo di “nemici”), il ricor-
so alla legge penale e al carcere come
nuovo “contenitore di povertà”. è una
prospettiva in cui siamo già dentro, non
da oggi: è già in atto. è una prospetti-
va pericolosa, pessimista, con un volto
feroce. Resistere e rilanciare è un do-
vere e una responsabilità, per chi come
noi ha strumenti, competenze, capacità,
esperienza. Non solo per i nostri utenti,
e sarebbe abbastanza, ma per tutti. Tor-
nando alla metafora delle basse soglie
come battello che consente il transito, le
parole di michel Foucault ci ricordano il
rischio che stiamo correndo: “Nelle ci-
viltà senza battelli i sogni inaridiscono,
lo spionaggio rimpiazza l’avventura, e la
polizia i corsari”.
I rifiuti, l’altra faccia dell’opulenza, non sono un problema soltanto a Napoli. Una gestione attenta risponde alla logica del buon governo, crea fiducia presso i cittadini
ed è elemento sempre più importante nella legislazione, che in ambito rifiuti è sempre più attenta e severa, oltre che in continua evoluzione. A questo proposito la
Provincia di Bologna ha definito un Piano Provinciale per la Gestione dei Rifiuti (PPGR) decennale (2007-2017) mirato alla creazione di una filiera produttiva, una rete
d’imprese capaci di fare business all’interno (e al servizio) di un sistema integrato di gestione dei rifiuti in grado di raggiungere elevati obiettivi di riduzione, riciclo e
recupero, nonché di recupero ambientale di aree degradate e inquinate. In linea con il programma d’interventi della Provincia di Bologna, che tramite i fondi europei
sostiene progetti di alta formazione, l’associazione Forma-Azione in Rete ha realizzato “Ambiente: sviluppo delle competenze di filiera”, a cura di Lucia Lupo (progettista
esperta in formazione), che ha sviluppato competenze specialistiche sul tema dei rifiuti e coinvolto realtà produttive per dar vita alla filiera produttiva per l’ambiente. I
principi di una corretta gestione del ciclo dei rifiuti, la prevenzione nella produzione del rifiuto, il recupero dei materiali e dell’energia, la minimizzazione dell’impatto
ambientale e le responsabilità condivise tra tutti i protagonisti del processo produttivo rispondono a logiche e pratiche condivise di gestione ottimali e sono stati parte
integrante dei contenuti formativi del corso che intendeva formare “manager dei rifiuti”. Fondamentale è stato il contributo di Hera nel validare il processo formativo,
definire standard metodologici e operativi con le aziende del settore, supportare l’omogeneizzazione delle informazioni e delle conoscenze, e del Consorzio SIC, che ha
facilitato la messa di rete delle imprese presente (sue affiliate) che hanno condiviso saperi, stile di gestione e un approccio dinamico nei confronti del sistema econo-
mico locale. Il livello d’interazione che si è creato tra allievi e docenti, che hanno sviluppato sinergie e collaborazioni è stato uno dei risultati più importanti del corso.
Il concetto stesso di filiera si attiva a partire dallo scambio di esperienze fra lavoratori e dirigenti delle realtà produttive del settore. Secondo la dottoressa Lupo: “Le
aziende partecipanti hanno sviluppato sinergie produttive e di servizio, uscendo dalla logica del ‘cortile di casa’ e mettendo in rete competenze e specializzazioni.”
Formazione per “manager” dei rifiuti
p SuSANNA RoNCoNI
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La chiusura di alcuni servizi rivolti ai
senza dimora, il rischio di aumento delle
rette e ridimensionamento del servizio
dei nidi e altri provvedimenti decisi dal
Comune commissariato. Cosa succede al
welfare bolognese? Lo abbiamo chiesto
a Teresa marzocchi, assessore regionale
alle Politiche sociali.
A Bologna è in atto una dismissio-
ne del sistema di welfare?
Riguardo ai nidi abbiamo verificato che il
Comune non ha ufficializzato nessun ta-
glio. Noi abbiamo confermato per gli asi-
li 1,5 milioni per Bologna e 4 milioni per
la Regione. Il Comune ha fatto una poli-
tica di contenimento, le rette non sono
state aumentate per anni. è un momen-
to di difficoltà generale, la causa è anche
il ritardo con cui il governo centrale l’ha
affrontata, per due anni hanno detto che
la crisi non c’era, poi hanno cominciato
a fare tagli in maniera indiscriminata.
alcuni servizi viene anche dal fatto che
sono cresciuti i bisogni, la domanda di
assistenza. Si può superare questa situa-
zione facendo tavoli di decisione concer-
tata, come quello attivo da maggio 2009
“un patto per la crisi” dove siedono
rappresentanze politiche, datoriali, sin-
dacali.
Quanto ha pesato avere un Comu-
ne commissariato?
Nel contesto di una grande difficoltà ge-
nerale, a Bologna le cose si sono compli-
cate per la mancanza di un governo po-
litico, il Commissario ha lavorato come
meglio ha potuto, così come i tecnici.
Soprattutto a livello dei quartieri si è
sentita la mancanza di una guida politi-
ca, fondamentale data la gestione decen-
trata dei servizi sociali. è mancata l’inter-
mediazione necessaria con i cittadini che
solo un governo politico può assicurare.
Marzocchi:“Il welfare?Una priorità”
Nonostante i tagli
del governo, la
Regione conferma
l’impegno per la
spesa sociale
Invece i tagli ai servizi di bassa so-
glia sono già una realtà. Si è trat-
tato di una scelta ponderata?
Riguardo ai tagli ai servizi di bassa so-
glia, dalla Regione non è venuta nessuna
indicazione di priorità, non c’è stato
niente di preordinato. Anzi nella delibera
di assegnazione di fondi ai territori noi
impegniamo le stesse risorse del 2010,
cioè andremo a coprire il buco lasciato
dal governo centrale. La priorità rima-
ne il welfare e i servizi alle persone, il
risparmio verrà dal taglio alle spese cen-
trali, non dal territorio. L’impegno per il
2011 sarà di 22 milioni dal fondo straor-
dinario per la crisi, di cui 11 per i minori
e le famiglie e i restanti 11 per le gravi
marginalità, quindi non c’è nessuna vo-
lontà di toccare quella fascia di utenza.
Come si esce da questa situazione
senza toccare i servizi?
La difficoltà degli enti locali di attivare
p LeoNARDo TANCReDI
Intervista all’assessore regionale alle Politiche sociali
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Fraternal CompagniaDieci annidi teatro:si festeggiasul palco
In occasione dei dieci anni dalla sua na-
scita, la Fraternal Compagnia ha deciso
di offrire agli abbonati e ai soci di Piaz-
za Grande l’ingresso a quattro spetta-
coli del secondo Festival di Commedia
dell’Arte “L’eredità della maschera”, al
prezzo totale di 10 euro. Come otte-
nerli? È sufficiente essere soci di Piazza
Grande o abbonati al mensile e recar-
si presso il teatro Dehon, in via Libia
59, dal lunedì al venerdì (pomeriggio).
Il programma del festival prevede gli
spettacoli “Mori a Venezia”, per la re-
gia di Carlo Boso (il 9 febbraio alle 21);
“Visita al dottori con Ciarlatani dottori
e castracani”, per la regia di Romano
Danielli (il 22 febbraio alle 21); “Filtri
di vini”, per la regia di Marco Rota (il
15 marzo); “Le astuzie di Coviello”, per
la regia di Antonio Fava (il 24 marzo
alle 21).
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p NADIA LuPPI p DoNATo uNgARo
ABologna il fenomeno delle truffe
e dei raggiri ai danni degli an-
ziani sembra – stando alle de-
nunce pervenute alla Questura - in calo.
Il 2009 ha segnato un miglioramento ri-
spetto al 2008 e pare che nel 2010 si
registri una diminuzione delle segnala-
zioni. Basta questo a dire che il proble-
ma è risolto? Naturalmente no, occorre
mantenere alta l’attenzione, riflettendo
da un lato sulle ragioni che fanno degli
anziani le vittime ottimali dei raggiri e
dall’altro su ciò che non solo la singola
vittima ma in generale la comunità può
fare per contrastare il fenomeno.
Sulle pagine dei giornali si legge di fre-
quente di anziani che vengono avvicinati
per strada da persone distinte che ten-
tano di vendere orologi e gioielli falsi,
chiedono offerte per improbabili raccol-
te di beneficienza, si fingono creditori o
ancora parlano di eredità da riscuotere.
e ancora capita che i malintenzionati si
rechino direttamente a casa degli anzia-
ni più soli, travestiti da carabinieri o ar-
mati di finti tesserini di riconoscimento,
e chiedano di leggere i contatori del gas
e della luce o di verificare la posizione
contributiva e pensionistica della vitti-
ma.
gli anziani, insomma, restano i bersagli
preferiti di truffatori e malintenzionati. è
per questo che associazioni come Auser,
insieme alle forze dell’ordine e a diver-
si istituti bancari stanno portando avan-
ti campagne di sensibilizzazione rivolte
agli anziani e alla cittadinanza. “Da di-
versi anni – spiega Secondo Cavallari,
“I have a dream”. Io ho un sogno. Tutti conoscono le
parole del pastore protestante Martin Luther King. E
anch’io mi permetto di avere un sogno: guidare un autobus
non tanto ecologico, quanto ecumenico. Un luogo dove il si-
gnificato greco di questa parola, che anticamente identifica-
va la parte abitata della Terra, riunisca non solo protestanti e
ortodossi, cattolici e copti; ma anche appartenenti a religioni
diverse. Perché ci si renda conto di essere tutti… sullo stesso
autobus; perché se un cristiano può dire, recitando il Vange-
lo, “...ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto
sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospita-
to, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete
visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”,
un musulmano può rispondere leggendo il
Corano “...ero ammalato e non mi hai visita-
to; l’uomo dirà: O Signore, e come avrei po-
tuto visitarti quando tu sei il Signore delle
creature? Egli dirà: Non sapevi che il tale mio
servo era ammalato e non l’hai visitato? Non
sapevi che se tu l’avessi visitato mi avresti
trovato presso di lui?”. Io ho un sogno; che questi scritti non
siano pergamene da museo, ma divengano vivo pane quoti-
diano; mio e dei miei passeggeri. Perché oggi il “ero malato
e mi avete visitato”, ma anche “mi avresti trovato presso di
lui” divengano: “mi hai visto sofferente e mi hai ceduto il
posto a sedere”. E ancora: “mi hai visto affranto e mi hai re-
galato un sorriso”. Di più: “prima di avermi visto chiedere,
hai pensato di prendere un caffè in mia compagnia”. Senza
indagare sul mio stato sociale, sulla mia idea politica, sul co-
lore della mia pelle; sulla mia religione. Io, tranviere ateo e
miscredente, ho un sogno: che il rispetto verso gli altri diven-
ti la normalità. Perché una volta un cristiano e un ebreo di-
scutevano su quale fosse, oggi, l’indicazione più saggia del-
la Bibbia. Dopo aver scartato “ama il prossimo tuo come te
stesso”, visto il dilagante autolesionismo dell’uomo, decise-
ro che la frase più bella era “chi è senza peccato scagli la pri-
ma pietra”. Quante “pietre” da deporre. Ho un sogno: e non
svegliatemi, per favore. ([email protected])
Gli anziani truffatiperché troppo soli
Sogno un busecumenico
presidente di Auser Bologna – promuo-
viamo iniziative in città e in provincia in
cui le forze dell’ordine mettano in guar-
dia gli anziani e in generale i cittadini ri-
spetto al pericolo truffe, e spiegano loro
che è necessario denunciare chi tenta o
chi peggio è riuscito a ingannarci, senza
vergogna, perché a tutti può succedere
di abbassare la guardia”. Spesso, infat-
ti, ci si vergogna della propria ingenui-
tà a tal punto da non denunciare i de-
linquenti, una dinamica psicologica che
rende il fenomeno di difficile contrasto.
“Se davvero vogliamo proteggere gli an-
ziani dai raggiri, dobbiamo fare in modo
che l’intera comunità si faccia garante
della loro sicurezza e che loro si sentano
meno soli. Se un anziano sa di potersi ri-
volgere a un famigliare, a un volontario,
a un vicino di casa, a una persona fidata,
sarà meno facile che si affidi agli scono-
sciuti e che cada nelle trappole” ricorda
Cavallari, che ribadisce “dobbiamo tene-
re presente che se non ci si isola, se si
condividono spazi e relazioni, possiamo
tutti sentirci più sicuri e meno vulnerabi-
li, una buona regola di convivenza che
vale per gli anziani e per tutti noi”.
Film senza chiassolettera pubblicata su la repubblica del 24 novembre 2010
eravamo al capitol a vedere il film “the social network”. a 20 minuti dall’inizio un gruppo di ragazzini fa il suo ingresso in sala tra schiamazzi e per una decina di minuti continua a parlare, alzarsi, cambiare posizio-ne e ridere. fino alla fine del primo tempo un continuo disturbo ai danni degli spettatoriche ad ogni tentativo di mettere fine al trambusto venivano ignorati o presi in giro [continua...]
cara lettrice,quelli che al cinema parlano, o peggio, non piacciono neanche a noi. Però in questo caso, senza offesa, la colpa è un po’ anche sua: ma come, va a vedere un film che parla di facebook? Per forza poi ci trova i ragazzini! le consigliamo invece alcune tipologie di film dove nessuno la disturberà: 1. tutti i film muti e in bianco e nero. 2. i film francesi, polacchi, scandinavi, svizzeri, asiatici e africani, meglio se impegnati. 3. i documentari, a meno che siano horror travestiti da documentari. 4. i film in 3D: sono tutti troppo impegnati dagli effetti speciali per dare fastidio.
la Posta Degli altri
non Parlate al conDucente
La redazione di Piazza Grande risPonde aLLe Lettere PubbLicate sui quotidiani boLoGnesi
Non è da oggi che il mercato im-
mobiliare di Bologna mi appare
come una roba aliena e incom-
prensibile. Quindici anni fa, a 26 anni,
avevo deciso che era tempo di andare a
vivere da sola e valutai l’opportunità di
acquistare un monolocale in centro. or-
ganizzai una serie di visite alle quali mi
presentai con la più candida, meraviglio-
sa e ottusa delle ingenuità. Vidi cose che
voi umani… no, anche voi le avete viste,
le abbiamo viste tutti quanti, noi che un
bel giorno abbiamo pensato che invece
di buttare via i nostri pochi soldini in un
affitto spropositato, forse avremmo fatto
meglio a fare un piccolo sforzo in più e
garantirci un investimento per il futuro.
La nostra ingenuità ha sbattuto il muso
- oltre che con la non concessione dei
mutui da parte delle banche -
contro visioni che mai avrem-
mo potuto immaginare nean-
che sotto l’effetto di sostanze
psicotrope. Seminterrati umi-
di con grate affacciate sui mar-
ciapiedi ad altezza scarpe dei
passanti, nonché comode vie
di passaggio per pantegane,
spacciate per caratteristici
pied-a-terre. Soffitte accessibi-
li solo scalando chilometri di
tetti. graziosi bilocali a più li-
velli che si rivelavano 12 metri
quadri soppalcati dove il let-
to era un giaciglio ricavato su
una struttura di legno con 30 centimetri
di aria respirabile. Bagni ciechi. Angoli
cottura incavati in nicchie simili a grotte
preistoriche.
La mia verginità immobiliare, anche se
messa a dura prova, resisteva. Andò per-
duta in via definitiva una mattina di pri-
mavera: alle spalle avevo già decine di
catapecchie malsane e credevo che or-
mai niente potesse stupirmi. e infatti non
fu sorpresa. Non fu smarrimento. Non fu
confusione. Fu indignazione, disgusto,
rabbia incontenibile quella che mi riem-
pì il petto quella mattina in cui entrai nel
to quanto, lì dentro, era “ino” e “etto”.
Come la casettina di Barbie, mi sfuggì
dalle labbra. ma la Creatura Immobiliare
era tutta presa a mostrarmi la meraviglia
delle meraviglie: l’abbaino che dava sui
tetti. Venga, venga per di qua. mi girai su
me stessa ed ero già lì, nell’unico punto
della scatolina (o scatoletta?) dove si ri-
usciva a mantenersi in posizione semi-
eretta. Ci ritrovammo lì, io e la Creatura,
con le teste spinte fuori dalla finestrella
a vasistas a respirare i miasmi che sali-
vano da via Saragozza. Che bella vista,
eh? Carponi, uscii dalla graziosa mansar-
da senza trovare la forza di rispondergli e
corsi giù per le quattro rampe più una di
scale e lui (o lei? o esso?) mi inseguì tal-
lonandomi e quando ci ritrovammo sotto
il portico, finalmente fuori da quell’incu-
bo escheriano, non riuscii a dirgli altro
che una frase, ridicola, inutile, e soprat-
tutto rivolta non si sa bene a chi, forse al
dio malvagio di quella mia città cattiva,
per parafrasare (più o meno) i Pooh: Ver-
gognatevi! Vergognatevi tutti!
Sono passati 15 anni, e questa storia mi è
tornata in mente oggi, di ritorno da una
visita a una casa in zona Corticella (una
delle poche abbordabili per chi oggi de-
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delizioso e particolare “oggetto” di via
Saragozza. L’appartamento si raggiunge-
va scalando quattro rampe di scale nor-
mali, più una rampa in legno tarlato che
conduceva ai tetti. un corridoio vetrato
sul quale si aprivano tre o quattro por-
ticine da nano di Biancaneve. era anche
grazioso, quel corridoio verandato. C’era-
no piantine grasse fuori dalle porte e la
luce era proprio bella, lassù. Il mio cuore
si gonfiò di sollievo. Poi, l’agente immo-
biliare (no, non lo ricordo con esattezza,
nella mia testa le loro facce si mescolano
in un’unica Creatura magmatica e can-
giante che ha come caratteristica prin-
cipale, e unica a pensarci bene, un’un-
tuosa impermeabilità all’evidenza dei
fatti reali del mondo)… dunque dicevo, la
Creatura Immobiliare spinse la terza por-
ticina da nano e letteralmente mi buttò
dentro la mia nuova casa. D’istinto arre-
trai d’un passo. ma la Creatura là dietro
premeva e fui costretta a entrare. Tutto
era rivestito di mattonelle bianche e ver-
di tipo bagno d’autogrill. Per avventurar-
mi in quei 18 metri quadri fui costretta a
chinare la testa e ingobbire le spalle. e
dire che sono bassa, pensai, e cercai di
consolarmi. Vede, diceva la Creatura Im-
mobiliare con una voce che mi giungeva
distorta e piena di echi alieni, lì c’è il ba-
gnetto, lì c’è l’angolino cottura, lì l’arma-
dietto a muro, laggiù il ripostiglino. Tut-
immoBiliaricreature
cida che 18 metri a 180mila euro pur se
dentro porta sono francamente impropo-
nibili). La nuova (ma in verità antichissi-
ma) Creatura Immobiliare ha aperto un
portoncino e mi ha fatto strada nell’ap-
partamento. Da una parte le finestre da-
vano su un dirupo coperto di boscaglia
che ruzzolava verso il canale. La Creatu-
ra, come mi avesse letto nel pensiero, ha
sorriso: fanno la disinfestazione tutti gli
anni, per le zanzare tigre. Dall’altra par-
te, le camere da letto si affacciavano drit-
te sulla strada. Primo piano. e mentre la
Creatura mormorava “è davvero silenzio-
so, tutto considerato”, la schiena di un
autobus appariva a filo della finestra e il
vetro, il pavimento sotto i nostri piedi, i
muri un po’ scrostati, tremavano e oscil-
lavano e il rumore si univa baldanzoso
a quello di un aereo in
decollo. Sono scoppia-
ta a ridere, ho stretto
un arto superiore del-
la Creatura e ho ripreso
l’autobus.
Poi il riso si è trasforma-
to in magone. Pensavo
alla mansardina di 15
anni fa e mi chiedevo:
cos’è cambiato, in que-
sti 15 anni, in questa
città che sfrutta a san-
gue gli studenti fuori-
sede e vuol bene solo
alle ricche famiglie pos-
sidenti? In fondo, lo fa dal tardo medioe-
vo: se esistono i portici è per conquistar-
si stanze in più da poter affittare a chi da
tutta europa veniva nel famoso Ateneo.
La differenza è che ora c’è la Crisi. e non
è uno slogan. è la tragedia di gente che si
indebita per il resto della sua vita per vi-
verla, quella benedetta o maledetta vita,
in una deliziosa, caratteristica, graziosis-
sima e particolare topaia.
Bologna, noi tutti, per questo, ti voglia-
mo meno bene di quanto meriteresti.
Certi giorni, ad essere sinceri, ti detestia-
mo. (©2010)
p SImoNA VINCI
Q| illustrazione di nancy Poltronieri
sImona vIncI e carlo lucarellIraccontano bologna
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spalle alla porta
Un altro Uomo nerop gIANLuCA moRoZZIil primo uomo nero, quello evocato nelle notti di tempesta per spaventare i piccoli tifosi del Bologna, si chiama tommaso fabbretti. lui, beh, come dire, ha fatto piccole cose, roba da niente. sotto la sua gestione, il Bologna mai retrocesso – una delle tre squadre a non aver mai conosciuto la serie B, all’inizio degli anni ottanta: Bologna, Juve, inter - in un anno è finito dalla serie a alla serie c. così, a piombo. io, per mia fortuna, questo uomo nero me lo sono perso per un pelo: sono diventato tifoso l’anno dopo, quello della serie c, quando il presidente era un signore elegante, con dei capelli da parrucchiere per signora e dei gran fou-lard di nome Brizzi. mio nonno però mi raccontava di questo fabbretti che, tanto per gradire, era stato anche arrestato. mica per aver mandato in c il Bologna. Per cose sue. il secondo uomo nero, quello di inizio anni novanta, si chiama Pasquale casillo. anche lui è passato su Bologna in modo gentile, delicato, impalpabile. Dopo aver colonizzato una squadra con scarti del foggia e dirigenti di antipatia incalcolabile, gente che si presentava dicendo “Beh, ma che volete da noi, tanto il Bologna è una squadra sul livello dell’andria”, così, per rendersi simpatici, alla fine di quella bellissima stagione ha lasciato il Bologna in serie c e, per di più, fallito. Quando noi tifosi vogliamo superare qualche momento difficile, in genere, diciamo: beh, abbiamo superato casillo, supereremo anche questa. invece, come tutti sanno, il numero perfetto è il tre. Porcedda è arrivato quest’estate a rilevare il Bologna dai poco amati – eufemismo – menarini. È arrivato con questo sorrisone da obama sardo – questa non è mia -, ha rinnovato la squadra, l’ha svecchiata, ha cacciato l’allenatore il giorno prima dell’inizio del campionato, va bene, una gestione un po’ particolare, ma ci piaceva, in verità il suo rinnovamento. Di squadre di ottuagenari non se ne poteva più. Poi viene fuori che Porcedda non ha pagato l’irpef in tempo. sarebbe un punto di penalizzazione, il mancato pagamento dell’irpef, ma lui sorride, dice “ma no, tranquilli, pago con un mese di ritardo, sono già d’accordo su tutto, al massimo prendiamo un’ammenda, ma nemmeno quella, vedrete”. e noi ci fidiamo. Poi ci sarebbero da pagare gli stipen-di ai giocatori entro il 15 novembre. lui aspetta proprio l’ultimo giorno, perché, dice lui, quale imprenditore paga il giorno prima? e noi: “beh, sì, in effetti, anche noi spesso paghiamo la bolletta del gas l’ultimo giorno, però, presidente, mi raccomando, che se non si pagano gli stipendi son tre punti di penalizzazione”. il 15 novembre Porcedda sparisce. È a milano, dicono, a fare cosa non si sa. “ma ha pagato?” ci domandiamo tutti, “non ha pagato?”. la sera telefona, dice “Ho pa-gato gli stipendi, state tranquilli, non fatemi i conti in tasca, sono tranquillo, ora voglio parlare solo di calcio”. che si fa? ci si fida. Dice che ha pagato, avrà pagato. non sarà così scemo da dire che ha pagato, poi non ha pagato. il mercoledì scoppia tutto. non ha pagato proprio niente, scopriamo, neppure, veniamo a sapere, il passaggio di quote ai menarini, neppure il vecchio allenatore colomba. e adesso?
Negli stadi si può trovare un pezzo im-
portante della vita sociale e politica na-
zionale, quello del rapporto tra masse
e potere. un rapporto regolato da rigidi
strumenti di controllo, come spiega la
raccolta di saggi “Stadio Italia. I conflitti
del calcio moderno” (Casa usher, 2010),
Fra gli autori c’è anche emilio Quadrelli,
ricercatore sociale e scrittore.
Perché lo stadio può aiutare a leg-
gere la società?
Lo stadio può rappresentare un ottimo
punto di osservazione di alcune tipolo-
gie di conflitto delle nostre società. è un
luogo in cui è possibile vedere l’elabora-
zione e la sperimentazione di alcuni di-
spositivi che poi troviamo applicati nei
più diversi ambiti sociali. Allo stadio si
possono osservare, in contemporanea,
i comportamenti delle “masse” e quel-
li del “potere”. Nello stadio “masse” e
“potere” sono immediatamente di fronte
e questo, all’interno di una dimensione
politica sempre meno disposta alla me-
diazione, può consentire di delineare al-
cuni scenari non archiviabili come sem-
plice fenomeno di nicchia.
Nel libro si dice che lo stadio è
diventato luogo di espressione di
un’appartenenza cittadina...
Forse più che di appartenenza cittadi-
na si dovrebbe parlare di appartenenza
territoriale. mi sembra che, in qualche
modo, il possesso dello stadio da par-
te delle curve sia un modo, in un’epoca
che sembra aver sancito la fine dell’ap-
partenenza e delle identità, per riaffer-
mare che, almeno per quote non secon-
darie di popolazione, sentirsi interni a
una realtà materiale e concreta, con tut-
te le ricadute in termini di legami sociali
che questo comporta, continui a rivesti-
re un’importanza fondamentale.
Cosa ti spaventa nel parlare di
“cultura” ultras?
Da parte mia c’è la messa in discussione
della riduzione della “questione stadi” a
semplice fenomeno culturale. Come ho
provato ad argomentare questo signifi-
ca confinare le masse subalterne dentro
la dimensione delle sub culture metro-
politane negando loro, di fatto, di poter
aspirare a una dimensione propriamen-
te politica quindi, questo è il nodo della
questione, negarle la possibilità di farsi
discorso generale o, per dirla tutta, clas-
se universale.
Quanto conosciamo le nostre cur-
ve? Perché ritieni necessario fare
attività di ricerca sul campo su
questo tema?
Più che di ricerca sul campo ho parla-
to di presenza militante sul campo. In
poche parole studiare e conoscere me-
p gIuSePPe SCANDuRRA
Il poteree le masse
Scrittore e ricercato-
re, per emilio Qua-
drelli lo stadio può
essere uno specchio
della società
glio le curve per poter indirizzare quel
potenziale antagonista in prassi politica
cosciente e non ghettizzata e/o crimina-
lizzata e quindi spezzare quella sorta di
egemonia che la destra radicale è riusci-
ta a costruirsi dentro le curve.
Cosa pensi quando in curva si
ascoltano cori contro il “calcio
moderno”?
Credo che in tutto questo vi sia una sorta
di “romanticismo” un po’ sempre uguale
a se stesso. ossia la mitopoiesi di un’era
“autentica” e non contaminata del calcio
che, in realtà, non è mai esistita. Il pro-
blema, molto più realisticamente, non è
essere contro il calcio moderno ma quali
tipi di conflitti e contraddizioni si apro-
no dentro il calcio moderno. La nostal-
gia per il “buon calcio andato”, andan-
do al sodo, mi sembra che sia un po’
come dire: “Non è più come una volta”,
“Non ci sono più i giovani di una vol-
ta”, “una volta si andava a dormire con
l’uscio aperto” e così via. Non è fantasti-
cando sul passato, che per giunta non è
mai esistito, che è possibile intervenire
dentro le mutazioni sociali. Il problema
è qui e ora come affronto lo scenario sto-
ricamente determinato in cui sono pro-
iettato.
cronaca Delle Partite PreceDenti
Osservatore onu per i diritti dei
Rom, da quasi vent’anni Paul
Polansky vive insieme a loro
nei Balcani, coniugando ricerche sgradi-
te ai governi e poesia, attraverso la qua-
le trasporta le loro storie. Fondamentali i
suoi studi sui campi di concentramento.
Nel 2004 gunter grass gli consegna lo
human Rights Award.
Si fa un po’ fatica a dire chi sia-
no i rom. Aiutaci: chi sono i “gyp-
sies”?
originariamente sono emigranti dall’In-
dia. Si identificavano con il nome di
Dom, il gruppo di fuori casta più vasto
dell’India. Da secoli cercano di scappare
dal sistema delle caste, dalla condizione
di reietti, dall’eredità di emarginati.
Cos’altro hanno in comune?
Nonostante le differenze tra i clan, tutti
loro pensano che i figli siano il loro oro.
e sopportano per loro. Naturalmente esi-
ste l’abuso sui minori così come esiste in
tutte le società.
Ma come mai sembra che non si
curino di loro?
Lo fanno! Nell’insegnargli come lavora-
re. Ai rom non è dato avere un lavoro,
quindi è necessario che siano loro a in-
ventarsene uno. Così, all’età di 5, 6 anni,
i bambini imparano a lavorare per so-
pravvivere. Imparano a raccogliere la
carta, il ferro, a elemosinare… questo
viene considerato un lavoro molto ono-
revole, che hanno portato con sé diretta-
mente dall’India: è il modo in cui loro
aiutano te a fare del bene, ad andare in
paradiso.
È realmente una loro credenza?
Ti racconto una storia. mi trovavo in In-
dia, stavo seguendo un gruppo di gyp-
sies, e all’improvviso un uomo uscì di
corsa da un negozio urlando: “Tu stai
cercando di uccidermi! Perché non sei
venuto per i tuoi soldi, oggi?!”. Stava
accusando uno di loro di non avergli
chiesto l’elemosina, come invece faceva
tutti i giorni. Dimenticandosi di passa-
re da lui, non aveva consentito all’uo-
mo di fare il suo gesto per il paradiso, e
lo avrebbe mandato all’inferno. Loro lo
considerano un lavoro. e qualificato, an-
che. un lavoro molto duro: sei umiliato
dalle persone, sotto il sole o la pioggia
tutto il giorno. e inoltre dicono che è me-
glio fare l’elemosina che rubare. gli an-
ziani tuttora credono di aiutare gli altri
nella salita in paradiso attraverso questa
pratica. Pochissimi gypsies, passando
davanti a un mendicante, non gli conce-
dono l’elemosina. Che sia un mendican-
te rom o uno qualsiasi, loro gli daranno
dei soldi. Sempre. Perché credono che
quel mendicante potrebbe essere Dio. e
tu stai dicendo no a Dio. Poi conosco an-
che gypsies che sono professionisti della
questua, e in cinque anni fanno soldi a
sufficienza da costruirsi tre case.
In Italia, i rom vengono ridotti a
nomadi e ci si aspetta che viva-
no in campi nomadi, pensando
anche che siano loro a volerci vi-
vere. Qual è il modo di vivere più
“appropriato” per i rom?
La maggior parte di loro vive in apparta-
menti. Non è mai stata nomade in 700
anni di storia. Solitamente hanno una
casa che abitano durante l’inverno, e
poi, in estate, girano in cerca di una fie-
ra dove vendere ciò che hanno costrui-
to durante l’inverno oppure cercano un
lavoro stagionale. Se i polacchi vanno
in Inghilterra per la raccolta estiva del-
le bacche, li chiamiamo “nomadi”? Cer-
to che no. Anche i gypsies sono migranti
stagionali, nel migliore dei casi.
Una provocazione: se è vero che
provengono dall’India, i nostri go-
verni potrebbero dire : che ritorni-
no in India!
Non diciamo agli italoamericani “torna-
te in Italia!”. metà dell’America andreb-
be rimandata indietro! La maggior parte
dei gypsies risiede nei paesi in cui vive
già da secoli. I Sinti in Italia sono citta-
dini italiani, e dovrebbero essere tratta-
ti come tali. Se hanno bisogno di social
housing vanno inseriti, non conficcati in
un campo. hanno il passaporto, la carta
di identità, e se vogliono lasciare i cam-
p ILARIA gIuPPoNI
Sulle tracce dei “gypsies”
Chi sono veramente
i rom? A sgombrare
il campo dai
pregiudizi ci pensa
Paul Polansky, da
20 anni osservatore
onu nei Balcani
pi e andare a vivere in un appartamento
senza dire di essere Sinti, possono farlo:
nessuno si accorgerebbe della differen-
za. ([email protected])
012345678910111213141516
r| Paul Polansy
p I. g.Il 27 gennaio è la data di abbattimento dei cancelli di Auschwitz-Birkenau, l’epilogo di una stagione oscura, fatta di perse-
cuzioni e stragi, e a cui anche l’Italia diede il suo triste contributo. Il 4 settembre 1940 Mussolini firmò un decreto con cui
vennero istituiti i primi 43 campi di internamento “per cittadini di paesi nemici”. In questi campi furono concentrati oltre
agli ebrei e agli antifascisti, anche rom e sinti. I campi fascisti, erano campi di concentramento e non campi di sterminio.
Tuttavia, dal settembre 1943 all’aprile 1945 i nazisti, in collaborazione con la polizia della Repubblica Sociale Italiana di
Salò, istituirono e gestirono, nell’Italia occupata, quattro campi di smistamento rispettivamente a Borgo San Dalmazzo
(Cuneo), Fossoli (Modena), Grosseto e Bolzano, da cui gli italiani venivano poi avviati ai Lager tedeschi, disseminati in Eu-
ropa. A Trieste, nella Risiera di San Sabba, fu creato invece un campo di sterminio dotato di forno crematorio dove furono
assassinate più di 5.000 persone.
Giornata della memoria27 gennaio
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sullo scaffale
Angelo MastrandreaIl trombettiere di CusterEdiesse, 10 euro
La storia di mike Porco, primo a far salire
su un palco Bob Dylan, come quella di gio-
vanni martino che col nome di John martin
suonò la carica a Little Big horn, sono parte
della ricerca di Angelo mastrandrea (vice-
direttore del manifesto): stralci di biogra-
fie che diventano epica romanzesca sullo
sfondo della grande storia.
Maurizio ViroliLa libertà dei serviLaterza, 15 euro
La libertà dei servi è la libertà di fare ciò
che si vuole ma essendo sottoposti alle
insidie di un potere enorme, il potere del
sovrano che può trasformare una repub-
blica in una corte, e i cittadini in servi.
Ad essa si contrappone la libertà repub-
blicana dei cittadini: la libertà grazie alle
leggi, e nel rispetto dei doveri civici.
da regalare a natale o da leggere nel 2011ecco I lIbrI consIglIatI dalla redazIone
Aa. Vv.Dieci in pauraEpoché, 12,60 euro
Cosa si nasconde dietro l’ossessione per
la sicurezza? Quanto c’è di naturale e
quanto di fabbricato? e, soprattutto, a
chi giova? Dieci scrittori si misurano con
il feuilleton eccitato e monocorde che ha
preso il posto dell’informazione e ci aiu-
tano a smontarlo utilizzando lo strumen-
to mite e spiazzante del racconto.
Riccardo IaconaL’Italia in presa direttaChiarelettere, 13,60 euro
Iacona ci fa vedere l’Italia così com’è. L’Ita-
lia che non si vorrebbe vedere. Il giorna-
lista rintraccia i nodi di un paese blocca-
to e ne svela le cause. Che così diventano
rintracciabili e, di conseguenza, risana-
bili. Non un’accusa, ma un rendiconto.
un’esortazione alla assunzione di re-
sponsabilità di ciascuno di noi.
Aa. Vv.Permesso di soggiornoEdiesse, 10 euro
Raccolta di racconti brevi, scritti da mi-
granti, provenienti tra gli altri da Pale-
stina, Congo, India, Argentina e Roma-
nia. Diversi scrittori sono già noti per la
rubrica Italieni su Internazionale, come
gabriella Kuruvilla e mihai mircea But-
covan. Alcuni molto divertenti, altri re-
torici.
Lorenzo GuadagnucciParole sporcheAltreconomia, 13 euro
“Le parole sono importanti”, diceva
Nanni moretti. e se giornali e tv scrivono
e parlano male è probabile che lettori
e spettatori pensino male. “Parole spor-
che” dà conto di come e perché razzismo
e xenofobia in Italia trovano spazio sui
più importanti media, in bocca agli in-
tellettuali e tra i cittadini.
Gianluca MorozziCicatriciGuanda, 16 euro
Nemo Quegg uccide una persona davan-
ti a centinaia di testimoni. Poi aspetta la
polizia. Alla psicologa che deve stilare la
perizia, racconta una storia spaventosa
in cui ci sono una ragazza che prende
l’autobus notturno sempre alla stessa
ora, una nave in bottiglia e un medico
dagli occhi di ghiaccio.
Boarelli-Lambertini-PerrottaBologna al bivioEdizioni dell’asino, 10 euro
Bologna è una città in crisi? Domanda
ricorrente da qualche tempo. Prova a ri-
spondere una raccolta di saggi e articoli
che raccontano la città da diversi pun-
ti di vista: la deriva della politica, l’ero-
sione del modello emiliano di welfare,
la dismissione industriale, la crisi della
produzione culturale.