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ARTICLES SUR LES PERES DE L’EGLISE

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  • ARTICLES SUR LES PERES DE LEGLISE

  • Tra soprannomi e appellativi l'ingresso del cristianesimonell'onomastica della tarda antichit

    Alle origini di Benedictus

    di CARLO CARLETTII mutamenti intervenuti nella mentalit, nelle abitudini, nella organizzazione e nella gestione degli spazi e delle strutture materiali, in seguito alla diffusione e al progressivo radicamento del cristianesimo nella societ romana, si manifestano con intensit e ritmi anche sensibilmente diversificati. Se le esigenze della nuova fede condussero a trasformazioni decise e talvolta anche rapide nelle forme e nelle funzioni dell'edilizia sacra e delle strutture funerarie, nella scansione del tempo, nella presenza di nuovi temi e soggetti nella produzione

  • figurativa, nella formazione di nuove forme espressive nella prassi epigrafica, questi stessi ritmi non intervennero in un ambito di stretta pertinenza individuale e familiare quale quello dei nomi personali. In questa direzione il percorso di progressiva "cristianizzazione" fu lentissimo e desultorio, protraendosi in un lungo periodo di gestazione. Tra il III secolo e l'inizio dell'altomedioevo la scelta dei nomi individuali rimase strettamente ancorata alla tradizione, che peraltro nel corso della tarda antichit si andava avviando a profonde trasformazioni, nelle quali l'incidenza dell'identit cristiana rimase sostanzialmente marginale, almeno fino alla seconda met del IV secolo. In tale contesto i cristiani usano indifferentemente un vastissimo repertorio onomastico, generalmente non identitario, che quello di uso comune nella societ romana: i gentilizi imperiali o di grande tradizione in funzione di cognomina (cio "nomi personali") come Aurelius, Domitius, Flavius, Iulius, Marcius, Petronius, Valerius; i teoforici, cio nomi derivati da quelli di divinit (Aphrodisius, Apollinaris, Dionysius, Eros, Heliodorus, Hermes, Iovinus, Martinus, Mercurius, Saturninus, Venerius) o da personaggi del mito (Romulus, Herculius); i cosidetti wish-names ("nomi augurali") come Augurius, Euodius, Eutichius, Faustus, Felix/Felicitas, Fortunatus; quelli ripresi da grandi personaggi storici (in

  • primo luogo Alexander, o Cato), quelli ancora desunti da qualit morali o fisiche (Callistus, Blandus, Celer), nonch la singolare categoria degli uncomplimentary names ("nomi non-elogiativi") - Agrios, Balbus, Kopros, Proiectus, Reiectus, Stercorius - erroneamente ritenuti specificamente cristiani sulla base della bizzarra idea che fossero recepiti come presunti nomi di "umiliazione": a essi in realt la mentalit del tempo - profondamente superstiziosa - attribuiva un forte potere apotropaico, e in questa dimensione erano indifferentemente usati da cristiani e pagani. quasi superfluo rilevare che la documentazione di base per lo studio dell'onomastica antica risieda essenzialmente nella produzione epigrafica. A Roma la documentazione di sicura committenza cristiana raggiunge allo stato attuale circa 40.000 esemplari, dai quali si ricavano circa 65.000 nomi individuali. A riprova delle lentissime trasformazioni intervenute nella onomastica del mondo tardo antico, un dato incontrovertibile che nel corso di quattro secoli (dal III al VI) non pi del venti per cento dei nomi utilizzati possono considerarsi di conio cristiano.Si a lungo discusso sulle dinamiche e sulle motivazioni che condussero all'emergenza di nomi cristiani nella societ tardoantica. Allo stato attuale della ricerca si sono individuati diversi percorsi di formazione, i cui primi esiti cominciano a intravvedersi sporadicamente - soprattutto a

  • Roma - nel corso del III secolo come indicato in particolare dalle iscrizioni dell'Arenario della catacomba di Priscilla, che testimoniano gi un uso discreto dei nomi apostolici Pietro e Paolo. I dati di cui possiamo disporre indicano senza alcun dubbio nella devozione ai martiri il motore primo della nascita di una onomastica cristiana. Molti dei nomi divenuti nel tempo specificamente "identitari" erano diffusamente utilizzati nel mondo romano, ma ebbero particolare fortuna tra i cristiani perch corrispondenti a quelli dei pi famosi e venerati "eroi della fede", come - particolarmente a Roma - Agnese, Ippolito, Sisto, Sebastiano, Lorenzo, oltre naturalmente a Pietro e Paolo, i cui nomi possono essere assunti come i prototipi di una nascente antroponimia cristiana. Nel corso del IV secolo iniziarono a diffondersi alcuni nomi precedentemente ignoti o di uso sporadico, che traducevano in forme onomastiche principi fondanti della nuova fede: il pi diffuso sicuramente Anastasius (o Anastasia), il cui ovvio significato puntualmente spiegato in un'elogio funerario della catacomba di Commodilla (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, II, 6130) della seconda met del IV secolo: "io Anastasia credo nella vita futura secondo quanto significato dal mio nome" (Anastasia secundum nomen credo futuram). E pienamente "identitari" si rivelano nomi - sostanzialmente

  • inediti nel mondo romano - come Agape, Agapius, Innocentius, Martyrius.Particolare fortuna ebbe poi una categoria omogenea di nomi come Redemptus, Renatus, Renovatus, Reparatus - cosiddetti ex baptismate - che proponevano con efficace espressivit gli effetti sacramentali dell'iniziazione cristiana. Anche nell'ambito delle comunit cristiane - come gi nella societ romana in riferimento alle divinit del Pantheon - entr nell'uso corrente una articolata gamma di formazioni teoforiche costruite su Deus, Dominus, Thes, Krios. Particolare fortuna ebbe Cyriacus (Cyriaca), che si pu assumere come esemplificativo del fenomeno tipicamente cristiano dello "slittamento semantico" (mutamento di significato) intervenuto in un nome personale, come spiegato lucidamente da Iiro Kajanto, caposcuola indiscusso degli studi sull'onomastica romana: "Per i pagani l'aggettivo greco kuriaks - da cui deriva l'antroponimo Cyriacus - indicava l'appartenenza al Signore nel senso di padrone e in tal senso era un nome tipicamente servile; per i cristiani invece aveva assunto il significato "identitario" di appartenente al Signore cio a Dio". In questa stessa direzione si inserisce un teoforico come Theodulus, che riprende la diffusa tipologia formulare dolos / dole Theo, servus Dei, servus Christi, ancilla Dei, ancilla Christi, nonch l'omogenea

  • categoria di nomi bitematici costruiti su Christus, Deus, Thes, che sviluppano formazioni indeclinabili come Adeodatus, Chistophorus, Deogratias, Deusdat, Deusdedit, Deusdona, Deushabet, Habetdeus, Theodulus, Dominicus, Quodvultdeus, Spesindeo: vere e proprie "espressioni onomastiche" (sentence-names), per le quali si ipotizzato una origine africana come traduzione latina di precedenti nomi punici. Parlando di onomastica cristiana sul giornale quotidiano vaticano viene spontaneo il desiderio di accennare al nome del Papa, anche perch nella storia complessiva della onomastica cristiana il nome Benedictus costituisce un "caso" di notevole interesse in relazione alla sua origine e alla sua successiva diffusione. Nell'immaginario collettivo della nostra contemporaneit questo antroponimo per lo pi percepito come una formazione geneticamente cristiana, ma la sua storia indica senza ombra di dubbio un'origine e un percorso del tutto diversi. Sia l'aggettivo benedictus sia l'antroponimo di derivazione Benedictus - alla cui base c' una tradizione semitica nel tipo Baruch, participio passato del verbo Barach (benedire) - sono attestati dalla fine del II secolo con una discreta diffusione socialmente trasversale, come indicano alcune testimonianze epigrafiche dei secoli II e III, che ne attestano l'uso anche in ambito servile e libertino, oltre che naturalmente tra gli ingenui (nati liberi). Il nome

  • Benedictus presuppone naturalmente l'aggettivo benedictus, largamente attestato nell'epigrafia funeraria romana come attributo personale nella sua articolata gamma semantica di "degno di lode", "benvoluto", "famoso", "celebre". Non si tratta - come in molti altri nomi latini - della traduzione di un omologo greco, poich il corrispettivo greco Eulogius di uso molto pi recente (non prima del III secolo) rispetto a Benedictus, che dunque pu essere senz'altro assunto come un cognome di pura origine latina, e sicuramente pressoch esclusivo della citt di Roma, dove trova il massimo di attestazioni. L'uso di questo nome forn anche l'occasione per un gioco di parole, come si pu leggere in un'iscrizione del III secolo nella quale una defunta - di nome Benedetta - definita tale di nome e di fatto: i superstiti vollero ricordarla come "anima buona" e dunque "prediletta", che quanto significato dal suo nome: d(is) M(anibus) / anima sancta / cata nomen / Benedicta (Corpus Inscriptionum Latinarum, VI, 13545), laddove da osservare il calco latino del greco kat, corrispettivo del latino secundum.In questo stesso ambito semantico si inserisce l'elogio rivolto a un defunto di nome Restituto: d(is) M(anibus) / Restituti / animulae / bonae et / benedictae / sit tibi terra levis (Corpus Inscriptionum Latinarum, VI, 25408).In ambito cristiano, e soprattutto a Roma, in termini

  • cronologici e di diffusione, l'aggettivo qualificativo benedictus sembra precedere nell'uso l'antroponimo di diretta derivazione, come indicato eloquentemente dalla documentazione epigrafica del cimitero anonimo di via Anapo (via Salaria nuova), rimasto attivo per circa un secolo, tra l'ultimo trentennio del III secolo e la fine del IV: qui si registra un'alta concentrazione dell'uso di benedictus come qualificativo personale associato al nome del defunto e mai inserito nella sequela degli epiteti abituali come carissimus, dulcissimus, obsequens e simili (Inscr. Christ., IX, 24641, 24642, 24658, 24660, 24677, 24680, 24704, 24705, 24710, 24721, 24722, 24725, 24739, 24745, 24753, 24767, 24789, 24793, 24796, 24810). Questi testi - generalmente molto succinti - non consentono di chiarire il significato assunto da benedictus in questo come in altri contesti cimiteriali romani: quello tradizionale o quello identitario in senso cristiano? L'accezione cristiana appare per del tutto evidente almeno in tre casi: in un epitaffio del cimitero dei Giordani (Inscr. Christ., IX, 24357: Calledrome benedicta in Chr(isto) e, analogamente, in due iscrizioni della catacomba di via Anapo: la dedicatoria Anastasi/o filio benedicto (Inscr. Christ., IX, 24641) e l'acclamatoria Aureli Varro / dulcissime et desiderantis/sime coniux pax / tibi benedicte (Inscr. Christ., IX, 25010): nell'una e

  • nell'altra non sembra casuale da un lato il legame tra la specificit del nome del defunto e il qualificativo benedictus, dall'altro il collegamento concettuale tra la formula irenica pax tibi e il congiunto benedicte.

    Questa

    documentazione indica in definitiva che a Roma nel corso del IV secolo benedictus / Benedictus raggiunsero una discreta diffusione e contestualmente cominciarono ad assumere nella percezione comunitaria una connotazione "identitaria", gi emergente nella catacomba di via Anapo, alla quale - anche perch finora anonima - potrebbe legittimamente attribuirsi la denominazione di "catacomba dei benedetti".A Roma, in Italia, in Europa, un vigoroso e poi inarrestabile incremento dell'uso di Benedictus si avvia alla fine del mondo antico. La sua straordinaria fortuna si deve alla altrettanto straordinaria opera di Benedetto da Norcia (480-547), fondatore del monastero di Montecassino e promotore del monachesimo in Occidente. La sua immediata diffusione - almeno nel corso dei secoli VI-VII - rimase sostanzialmente circoscritta nell'ambito

  • ecclesiastico: gi in et protobenedettina si registra il suo uso nell'onomastica episcopale e naturalmente in quella monastica, a Roma con Papa Benedetto I (575-579) e in un'area di nuova conversione come l'Inghilterra con Benedetto Biscop (628-690) - cinque volte pellegrino a Roma - fondatore nella terra degli Angli dei monasteri di Wearmouth e Jarrow, naturalmente dedicati a san Pietro e san Paolo.Successivamente, a partire dall'VIII e IX secolo, il nome Benedictus si diffonde rapidamente sia nell'onomastica maschile che in quella femminile, con particolare incidenza nell'area laziale e meridionale, dove risulta per frequenza al terzo posto dopo Iohannes e Petrus.Attualmente l'area di maggiore diffusione la Sicilia (36 per cento), ma a partire dagli anni Settanta si registrato un complessivo calo di frequenza parzialmente bilanciato da una sostenuta ascesa nell'onomastica femminile.

    La basilica di Santa Maria Maggiore dalla tradizione liberiana

    alla realizzazione di Sisto III nel segno del concilio di Efeso

    Neve ad agosto per un trionfo romano

    di TIMOTHY VERDON

  • Le chiese che nascono per la preghiera, sono anche frutti della preghiera, come suggerisce la storia di Santa Maria ad nives - Santa Maria Maggiore - di cui il 5 agosto si celebra la memoria. Secondo un racconto riferito mille anni dopo gli eventi narrati da certo fra Bartolomeo da Trento, un ricco patrizio romano, il senatore Giovanni, insieme alla moglie avevano deciso di destinare alla Chiesa i loro beni terreni, non avendo figli. Nella notte tra il 4 e il 5 agosto 358 la Vergine Maria apparve a Giovanni, e simultaneamente a Papa Liberio, chiedendo la dedicazione di una basilica a Roma, nel luogo dove, in quella stessa notte d'estate, sarebbe caduta abbondante neve. Al mattino senatore e Pontefice si recarono sul Cispio, dove la prodigiosa nevicata s'era in effetti verificata, e Papa Liberio tracci nella neve la forma dell'erigenda basilica: il soggetto di un dipinto del secondo Cinquecento conservato alla

  • Pinacoteca Vaticana in cui l'artista, Jacopo Zucchi, sottolinea l'intensa preghiera del patrizio Giovanni e della moglie, raffigurati insieme a Papa Liberio in primo piano. Oltre alla sua storia particolare, Santa Maria Maggiore, come ogni chiesa, rappresenta l'intera storia del rapporto tra Dio e gli uomini, offrendosi quale figura di quell' "edificio della salvezza" che sant'Ireneo vedeva disegnato da Dio "come farebbe un architetto" (Contro le eresie, IV, 14, 2-3).In Santa Maria Maggiore, ricostruita in forme monumentali ed abbellita nel V secolo, quarantatr riquadri in mosaico sopra il colonnato della navata infatti narrano episodi "strutturanti" della fede giudeo-cristiana: storie di Abramo, di Mos, di Giosu. Cos, avanzando verso l'altare, i credenti vengono inseriti in un processo storico e metastorico che li conduce verso la citt "il cui architetto e costruttore Dio stesso" (Ebrei, 11, 10). Alla fine di questo percorso, a destra e a sinistra della parete di fondo vediamo in effetti due citt, "Hierusalem" e "Betlemme" come sono identificate da scritte, davanti alle cui porte aperte sono radunati piccoli greggi; dall'arco della porta aperta dell'una e dell'altra citt pende una croce d'oro, e il viale d'ingresso nobilitato da un colonnato simile a quello della stessa basilica di Santa Maria Maggiore. Queste scene musive si trovano sull'arco che incornicia l'altare della basilica, cos che le dodici pecore

  • raffigurate diventano immagine del popolo cresciuto dal nucleo primitivo dei dodici apostoli. E di fatti il "gregge" che si raduna a pregare in Santa Maria Maggiore, come le pecore nel mosaico, guarda tra due file di colonne attraverso la "porta" del presbiterio verso il "tempio", Cristo, presente nell'Eucaristia.Al centro dell'arco di trionfo che incornicia l'altare, un'iscrizione dedicatoria recita XIXtus episcopus plebi Dei ("Il Vescovo Sisto [ha fatto fare questo] per il popolo di Dio". Si tratta di Papa Sisto III (432-440), che ingrand la basilica iniziata nel IV secolo da Papa Liberio, dedicandola alla Vergine dopo la solenne dichiarazione del concilio di Efeso, che nel 431 riconobbe a Maria il titolo di "Madre di Dio". E tra le scene dell'arco di trionfo, vediamo in effetti episodi della vita di Cristo in cui Maria ha un ruolo importante: l'Annunciazione e l'Adorazione dei Magi. La speciale dignit di Maria sottolineata dalla veste splendida in cui l'artista la presenta nell'Annunciazione: non solo la fanciulla di Nazaret che ha partorito Ges, ma una figura simbolica, la Chiesa come Domina, Signora. Nel registro sotto l'Annunciazione, ritroviamo questa stessa figura alla destra del piccolo Cristo in trono, mentre un'altra donna sta alla sinistra del trono, figura del popolo antico, la Ecclesia ex circumcisione. Questa indossa il nero vedovile, mentre Maria appare come la "sposa"

  • descritta nel Salmo 45: "gemme e tessuto d'oro il suo vestito. presentata al re in preziosi ricami" (vv. 14-15).A prescindere dalla fonte veterotestamentaria, quest'immagine stranamente "contemporanea" con il periodo d'esecuzione del mosaico: Maria, figura della Chiesa, porta l'abito di corte di una principessa imperiale, e il piccolo Ges siede in mezzo all'enorme trono come un imperatore bambino: esempio, questo, di una sovrapposizione del sacro cristiano al profano romano assai comune all'epoca. Altre "sovrapposizioni" sono la forma della Gerusalemme celeste, nel mosaico, che ricalca il colonnato di un tipico decumanus d'et imperiale, e il termine usato nell'iscrizione dedicatoria, plebi Dei. Nella Roma un tempo repubblicana, dove pure sotto l'Impero la dignit politica dei cittadini veniva evocata col termine arcaico plebs - popolo unito, popolo capace di decisioni, di coraggio, di sacrificio - il vescovo dedica la nuova aula assembleare plebi Dei: a un popolo cui, oltre alle caratteristiche dei suoi antenati romani, vengono ora attribuite quelle del popolo condotto da Abramo, Mos e Giosu, per cui i cristiani di Roma si possono ormai chiamare col doppio appellativo plebs Dei.Ma notiamo un'altra sottolineatura di questo primo grande programma mariano realizzato in Occidente, dove - come gi detto - la Vergine "in veste tessuta d'oro" e con la corona in testa costituisce un'immediata risposta

  • iconografica alla solenne dichiarazione del concilio di Efeso. Tale regalit non limitata alla donna Maria ma ha un carattere collettivo sottolineato precisamente dall'iscrizione dedicatoria sopraccennata, Xistus episcopus plebi Dei: frase, questa, che suggerisce l'essenziale chiave di lettura di simili immagini, in cui Maria concepita non in primo luogo come persona individuale, ma come figura collettiva del popolo, come Domina Ecclesia.La pi significativa sovrapposizione storica a Santa Maria Maggiore la basilica stessa, la cui struttura - una vasta aula rettangolare sontuosamente decorata - doveva dare un senso di assoluta continuit col passato romano, anche se, paradossalmente, esprimeva anche l'epocale capovolgimento culturale costituito dal trionfo del cristianesimo. Come altri templi cristiani eretti dopo l'editto imperiale che levava la condanna sulla nuova fede, l'originale basilica Liberiana proclamava la vittoria della Chiesa l dove essa era stata messa alla prova. Un testo del periodo servir a evocare il clima: il discorso di Eusebio di Cesarea per la consacrazione della nuova cattedrale di Tiro in Fenicia (316-319 circa), ricostruita esattamente dove una precedente chiesa era stata distrutta da persecutori pagani. Eusebio paragona la nuova basilica al tempio gerosolimitano ricostruito dopo l'esilio babilonese, citando la profezia di Aggeo secondo cui "la gloria futura di questa casa sar pi grande di

  • quella di una volta".Poi, pensando al passo di Isaia dove si legge che, nell'era futura, "gli afflitti di Sion" avranno "una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell'abito di lutto, canti di lode invece di un cuore mesto" perch "rialzeranno gli antichi ruderi, ricostruiranno le citt desolate" (61, 3-4), Eusebio afferma che ormai la Chiesa "ha indossato la sua veste nuziale" e pu dire, nelle parole d'Isaia: "io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perch mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli". Il vescovo di Cesarea ripete infine le promesse e le esortazioni divine, citando sempre Isaia: "Ecco io ti tolgo di mano il calice della vertigine, la coppa della mia ira; tu non lo berrai pi; lo metter in mano ai tuoi tormentatori". E ancora: "Svegliati, svegliati, rivestiti della tua magnificenza, alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si radunano, vengono da te. "Com' vero che io vivo", dice il Signore, "ti vestirai di tutti loro come di ornamenti, te ne ornerai come una sposa"".Nonostante il linguaggio biblico, il trionfo della Chiesa era tuttavia un trionfo "romano", concepito nel linguaggio comune del tardo impero. La cattedrale di Tiro, la basilica Liberiana, le altre chiese del tempo non avevano caratteristiche architettoniche specificamente

  • "ecclesiastiche", cio. Tutto ricordava piuttosto le aule dei magistrati o le sale d'udienza degli imperatori: le colonne, identiche a quelle delle basiliche civili; i rivestimenti marmorei, gli spazi ampli, la luminosit proveniente da grandi finestre.Dice Eusebio che il committente della nuova cattedrale di Tiro, il vescovo Paolino, "apr una porta ampia e molto alta per ricevere i raggi del sole mattutino, offrendo cos anche a coloro che restavano fuori del cortile un panorama ininterrotto dell'interno, come per attirare verso l'ingresso gli occhi perfino dei non credenti, cos che nessuno potesse passare in fretta senza riflettere con profonda commozione alla desolazione di prima e la miracolosa trasformazione ora. Egli sperava che la sola emozione davanti a questo spettacolo avrebbe toccato le persone, spingendole verso l'entrata".Era un invito a contemplare l'azione di Dio nella contemporaneit della storia: a riconoscere la potenza del Risorto in un'inversione di rotta cos profonda da non potersi esprimere superficialmente, in un cambiamento esterno delle cose, ma nel "miracolo" di una conversione di senso che lasciasse invariata l'esteriorit. Roma rimaneva Roma, le sue aule pubbliche rimanevano quelle, con la differenza che ora la plebs che affollava le aule era plebs Dei.Come le altre basiliche romane del IV-V secolo, Santa

  • Maria Maggiore in effetti fu concepita per accogliere un popolo numeroso, con una lunghezza di 86 metri. Non era tuttavia la pi grande delle nuove chiese: San Pietro era lunga pi di 120 metri, San Giovanni in Laterano 98, la basilica cimiteriale di San Sebastiano, sulla via Appia, era lunga 75 metri; l'originaria basilica di San Lorenzo sulla via Tiburtina era lunga 98 metri.La prima rete costantiniana di grandi chiese includeva una basilica sulla via Labicana, attigua al martyrion dei santi Marcellino e Pietro contenente il mausoleo dell'Imperatrice Elena, e un'altra sulla via Nomentana, vicino alla memoria di Sant'Agnese, dove la figlia di Costantino, Constantia, aveva fatto costruire il suo mausoleo (l'attuale chiesa di Santa Costanza). Insieme alla basilica Vaticana costruita sulla tomba di san Pietro, queste strutture, realizzate in tempi record, formavano una prima, prestigiosa "rete" di chiese cristiane a Roma. Queste strutture colossali, mimetizzate sul piano stilistico con altri edifici pubblici, erano tuttavia distanziate dal centro dell'Urbe, situate lungo le vie di accesso (San Sebastiano, Santi Marcellino e Pietro, Sant'Agnese), fuori le porte (San Pietro in Vaticano, San Lorenzo) o nell'immenso parco della reggia imperiale (San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme). Anche la memoria di san Paolo sulla via Ostiense era a venti minuti di cammino dall'omonima porta urbica (questa chiesa, San

  • Paolo fuori le mura, verrebbe ricostruita a partire dal 384 dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio in scala gigantesca, una basilica a cinque navate imitante San Pietro).

    Il responsabile degli scavi illustra la scoperta della tomba a Hierapolis

    Nel luogo del riposo dell'apostolo Filippo

    di FRANCESCO D'ANDRIAUniversit del Salento

    "Anche in Asia infatti riposano grandi astri, che si leveranno nell'ultimo giorno della parousa del Signore (...) (tra questi) Filippo, uno

    dei dodici apostoli, il quale si addormentato a Hierapolis (...) anche Giovanni (...) si addormentato a Efeso". Cos scriveva intorno all'anno 190 il vescovo di Efeso,

  • Policrate, in una lettera inviata al vescovo di Roma Vittore. Di qualche anno successivo il Dialogo, un testo in cui il presbitero romano Gaio discute le tesi di Proclo, un rappresentante dell'eresia montanista radicata nella Frigia. Mentre Gaio indica i "trofei" di Pietro e Paolo, fondamenta della Chiesa di Roma, Proclo si riferisce ai sepolcri di Filippo e delle sue figlie profetesse, ubicati a Hierapolis. Numerose altre fonti collegano la citt frigia all'apostolo di Betsaida in Galilea e la ricerca archeologica ha permesso di ritrovare il complesso monumentale nel quale si articolava la memoria di Filippo.Gi nel 1957, al momento della fondazione della missione archeologica italiana a Hierapolis, Paolo Verzone, docente di ingegneria del Politecnico di Torino, aveva posto con forza la questione portando alla luce sulla collina orientale, fuori le mura della citt, una straordinaria chiesa a pianta ottagonale. Si tratta di un capolavoro dell'architettura bizantina del V secolo, frutto delle tradizioni locali nella lavorazione del travertino e del raffinato sapere di architetti legati alla corte imperiale di Costantinopoli. La pianta complessa inoltre fa riferimento alla simbologia dei numeri: gli otto lati del corpo centrale, il quadrato che ingloba l'ottagono, i cortili triangolari, le cappelle a sette lati sviluppano una sottile trama di riferimenti teologici. Verzone aveva identificato nell'ottagono il Martyrion di

  • san Filippo e qui aveva cercato la tomba, ma senza risultati.A partire dalla ripresa dei lavori (2001) nell'edificio, si ripresero le indagini anche attraverso prospezioni geofisiche, in particolare nella zona dell'altare, ma senza alcun successo. Nello stesso tempo Giuseppe Scardozzi, un ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) - Istituto per i beni archeologi e monumentali (Ibam) di Lecce, identificava, attraverso lo studio delle immagini satellitari e le indagini topografiche, la grande strada processionale che portava i pellegrini, attraverso la citt, sino alla collina del santo. I fedeli, uscendo dalla porta della citt, attraversavano un ponte e, prima di affrontare la salita lungo una gradonata in travertino, dovevano lavarsi all'interno di una terma, anch'essa a pianta ottagonale, in cui le esigenze igieniche poste dall'eccezionale afflusso di fedeli, si univano a pratiche di purificazione rituale. Alla sommit della scalinata una fontana permetteva di dissetarsi e di compiere le altre abluzioni prima di salire all'Ottagono. Qui erano predisposte stanze con il pavimento tagliato nella nuda roccia dove i fedeli passavano la notte, forse per entrare in contatto diretto con il santo attraverso pratiche di incubazione attestate anche in altri santuari cristiani di pellegrinaggio come quello intorno alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano a

  • Costantinopoli.La campagna di scavi della missione archeologica italiana a Hierapolis su concessione del Ministero della cultura di Turchia, quest'anno ha interessato un pianoro a mezza costa, a pochi metri di distanza dall'Ottagono. Qui emergeva, da un immane cumulo di pietre e di marmi lavorati, la parte superiore del frontone in travertino di una tomba a sacello di et romana. Era un fatto normale poich la zona era interessata da una vasta necropoli di questo periodo, ma intorno numerose erano le tracce di muri e i frammenti di marmo bizantini. Cos gli scavi energicamente coordinati da Piera Caggia (Ibam-Cnr) hanno portato alla luce una grande basilica a tre navate: si sono rinvenuti capitelli in marmo con raffinate decorazioni riferibili al V secolo, croci, tralci vegetali, transenne traforate, fregi con palme stilizzate all'interno di nicchie. Inoltre il pavimento della navata centrale realizzato a intarsi marmorei (opus sectile) con motivi geometrici a colori molto variati. Sulla cornice di un architrave in marmo era leggibile il monogramma di Teodosio, probabilmente riferibile all'imperatore bizantino. Una ricchezza di decorazioni che ogni giorno si arricchisce di nuovi esempi! Ma il fatto pi straordinario che questa chiesa a tre navate costruita intorno alla tomba a sacello di et romana che costituisce il fulcro di tutta la costruzione: inglobata in una struttura

  • su cui una piattaforma raggiungibile attraverso una scala di marmo. I pellegrini, entrando dal nartece, salivano nella parte superiore della tomba dove immaginiamo fossero collocate lampade, immagini e reliquie del santo, e scendevano da un altro lato, attraversando un pianerottolo decorato da un raffinato mosaico con raffigurazione di pesci.Un riferimento al miracolo della

    moltiplicazione dei pani e dei pesci (Giovanni, 6, 5)?La particolarit di questa scala data dall'alto grado di usura delle superfici marmoree, segno del passaggio di migliaia di persone e gli stessi segni di usura sono sull'architrave della porta d'ingresso alla tomba dove il travertino lisciato come l'alabastro. Intorno alla porta della tomba una serie di fori fa pensare a una chiusura metallica applicata e una porta ulteriore in legno era davanti, a giudicare dagli incassi ricavati sul pavimento.

  • Con la scoperta di questa seconda chiesa si scioglie anche l'interrogativo posto da un sigillo in bronzo di dieci centimetri di diametro, di sicuro proveniente da Hierapolis e ora al museo di Richmond negli Stati Uniti. Rappresenta al centro san Filippo, indicato dall'iscrizione, in veste di pellegrino e serviva a segnare i pani distribuiti ai fedeli in occasione della panegyris (festa del santo). Ai due lati del santo sono raffigurati due edifici posti sulla sommit di due scalinate. Quello alla sua destra, a pianta centrale con cupola, rappresenta certamente il Martyrion, quello alla sua sinistra, sinora non spiegato, stato ora identificato con la chiesa a tre navate in corso di scavo, anche per la facciata con spioventi coperti da tegole. Si direbbe una fotografia del complesso scattata nel VI secolo e il secondo edificio allude, anche per la presenza di una lampada appesa all'ingresso, alle strutture dei sepolcri dei santi. La ricerca archeologica permette ora di mettere insieme tante tessere, raccolte in molti anni di indagini, e di comporre un mosaico coerente. Il sepolcro di san Filippo costituisce il fulcro intorno a cui si articolano gli edifici di questo straordinario santuario di pellegrinaggio, fiorito tra V e VI secolo nella vallata del fiume Lykos in Turchia, di fronte a Colosse, celebre per la lettera di san Paolo, e a Laodicea, una delle sette chiese dell'Apocalisse.

  • Sincretismo religioso e cristianesimo nascente nel III secolo

    Cristo e Orfeosull'altare dell'imperatore

    di GIANFRANCO RAVASI

  • C' un documento interessante sull'arco di storia romana che va da Adriano (117-138 dell'era cristiana) a Carino (283-285): quell'Historia Augusta, cos denominata dall'erudito svizzero del Cinquecento, Isaac Casaubon, che raccoglie una sequenza di biografie degli imperatori romani di quel periodo. Anche se la fonte successiva e non priva di svarioni e di anacronismi, essa risulta interessante per ricostruire il fondale che a noi ora interessa, quello della prima met del III secolo, un'epoca segnata, da un lato, da un'evoluzione storica, sociale e religiosa complessa e significativa e, dall'altro, da un trapasso politico di forte tensione che condurr la dinastia dei Severi (193-235) a sfociare nell'anarchia militare scandita dai cosiddetti imperatori barbari Massimino il Trace (235-238) e Gallieno (253-268).L'era dei Severi fu segnata da un clima di tolleranza religiosa, ben diverso dall'atmosfera che subentrer con Decio e Valeriano e le loro pesanti repressioni anticristiane del 250 e del 258. appunto l'Historia Augusta a ricordarci che l'imperatore Alessandro

  • Severo (222-235) venerava all'alba nel suo "larario" i ritratti dei suoi lari antenati, le immagini di alcuni imperatori, la figura di Apollonio di Tiana, ma anche le icone di Cristo, Abramo e Orfeo (cos Elio Lampridio nella Vita di Alessandro Severo, 29, 2, presente appunto nell'Historia Augusta). Questo sincretismo era diffuso nell'impero di allora e il pantheon romano accoglieva senza esitazione figure, idee o simboli e culti dell'Oriente, creando un clima di interculturalit e di multireligiosit, rispondente alla composizione multietnica della popolazione della metropoli e dell'impero. in questa temperie politica, culturale e religiosa che si irradia il cristianesimo. Esso non rivela una sua specifica identit artistica, non tanto per un desiderio di occultamento strategico di autodifesa nei confronti delle prevaricazioni persecutorie o delle eventuali ostilit ambientali, quanto piuttosto per un naturale processo di integrazione nella civilt dell'epoca. Nei primi due secoli della nostra era, infatti, gli aderenti alla nuova fede mostrarono la tendenza ad usare gli spazi dei pagani, anche per quanto riguardava le sepolture dei componenti delle comunit nascenti. Le tombe dei principi degli apostoli, Pietro e Paolo, all'interno delle necropoli pagane del Vaticano e della via Ostiense, ne costituiscono un'eloquente testimonianza. Anche per gli ambienti del culto, durante questi primi due secoli, come noto, si

  • faceva ricorso alle residenze private dei singoli cristiani: le cosiddette domus ecclesiae, che raramente hanno lasciato segni monumentali o decorativi riconducibili al credo cristiano. Queste domus, dove si svolgeva gi la sinassi eucaristica e si celebrava il rito del battesimo, si mimetizzavano nel denso tessuto urbano delle citt del tempo e potevano cambiare di volta in volta, attestando come i cristiani desiderassero mostrare la differenza sostanziale tra questi estemporanei luoghi di culto e i templi pagani. in questo contesto che si colloca lo straordinario monumento sepolcrale degli Aureli (sulle cui scoperte archeologiche "L'Osservatore Romano" ha scritto nel numero dello scorso 10 giugno). Cerchiamo, a questo punto, di delineare l'orizzonte pi specifico, quello del genere "cemeteriale" a cui esso appartiene. Sotto gli imperatori Settimio Severo e Caracalla, tra il 199 e il 217, il Pontefice Zefirino incaric l'allora diacono Callisto di sovrintendere al "cimitero" della via Appia. Questo gesto assume un importante significato nel senso che le catacombe, che avrebbero poi preso la denominazione di San Callisto, divennero il primo cimitero ufficiale della Chiesa di Roma, mostrando subito i caratteri della specificit e della comunitariet. Nell'area pi antica di questo cimitero - scoperta negli anni centrali dell'Ottocento dal celebre Giovanni Battista de Rossi

  • (1822-1894) - stata, infatti, recuperata una sorta di "sacrario pontificio", denominato "Cripta dei Papi", dove furono sepolti molti Pontefici del III secolo. Nello stesso ambito spaziale sono stati individuati alcuni cubicoli dipinti con scene ancora ispirate al repertorio pagano, ma anche con episodi estratti dalle Sacre Scritture, cos come era attestata la presenza di committenti autorevoli da identificare con i presbiteri, con i diaconi e con gli altri componenti della gerarchia ecclesiastica.La struttura ecclesiale proprio in quel tempo stava assumendo, anche nell'Urbe, una forma monarchiana, in perfetto ossequio alle varianti dottrinali che si sviluppavano nell'intero orbis christianus antiquus. Ma in quel piccolo cimitero della via Appia, che assumer le

    attuali grandi dimensioni solo a partire dal IV secolo, ci si imbatte anche in un centinaio di loculi, ossia di tombe umili, sobrie ed essenziali, riservate ai fedeli ordinari, obbedendo a quella legge dell'uguaglianza che regolava lo sviluppo dei primi cimiteri cristiani. Nell'Area I di San Callisto - come defin quel primo nucleo catacombale

  • Giovanni Battista de Rossi - si riconosce l'organizzazione della comunit cristiana del tempo, che stava assumendo appunto i caratteri della gerarchia piramidale, ma anche e soprattutto della comunitariet. Altri nuclei cemeteriali comunitari frattanto spuntavano lungo le vie consolari del suburbio romano (Priscilla sulla via Salaria, San Sebastiano e Pretestato sulla via Appia, Domitilla sulla via Ardeatina, Calepodio sulla via Aurelia, Novaziano sulla via Tiburtina). In essi alcuni sepolcri mantenevano i caratteri dell'ipogeo di diritto privato, riservato a un gruppo familiare, pi o meno allargato, oppure a una vera e propria corporazione.In molti casi, questi ipogei furono considerati dalla letteratura del passato come eretici, specialmente quando l'apparato decorativo e il corredo epigrafico non dimostravano i sintomi chiari della cristianit. in questo orizzonte che dobbiamo collocare lo splendido monumento degli Aureli sito nell'attuale viale Manzoni. Scoperto nell'autunno del 1919, il sepolcro, costituito da tre ambienti completamente dipinti, ha ispirato molte letture iconografiche corrispondenti ad altrettante attribuzioni del monumento, ora considerato pagano, ora cristiano, ora eretico. Il programma decorativo presente nell'ipogeo privato di questa famiglia di liberti, gli Aureli - collocato all'interno delle Mura aureliane, non lontano dalla cappella palatina

  • di Santa Croce in Gerusalemme - propone alla critica un eloquente esempio di iconografia ove si registra quel sincretismo che abbiamo sopra evocato. Negli affreschi, infatti, si riconoscono chiare reminiscenze del repertorio ellenistico, altrettante evidenti allusioni alla vita terrena dei defunti, presumibilmente proiettata in un non meglio identificato aldil; si presentano alcune scene plausibilmente riferibili all'epica omerica e alla mitologia classica, ma si scoprono anche segni, appena percettibili, di un cristianesimo incipiente.Ad esempio, le figure del crioforo (pastore con la pecorella sulle spalle) e del filosofo, se da un lato recuperano i concetti della filantropia, della humanitas e della saggezza classica, preparano, dall'altro, i simboli del buon pastore, delle figure dei santi, degli apostoli e di Cristo. L'ipogeo di questi liberti, insomma, rappresenta, sia dal punto di vista monumentale, sia dal punto di vista epigrafico ed iconografico, una soglia privilegiata per chi voglia avvistare i primi sintomi di un linguaggio religioso, che si stava declinando in senso cristiano e che celebrer successivamente i suoi trionfi iconografici e cultuali. Gli scavi, i restauri, la sistemazione di questo prezioso monumento hanno rappresentato, per i responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, l'occasione per studiare, in maniera globale e multidisciplinare, una delle manifestazioni pi eloquenti e significative della

  • civilt funeraria tardoantica, ricorrendo alle tecniche di indagine pi aggiornate e sofisticate. L'uso del laser per il recupero dell'apparato pittorico - gi sperimentato nelle catacombe di Santa Tecla - ha, infatti, fornito nuovi dati iconografici sorprendenti e tali da illuminare la cultura religiosa di una stagione mutevole.Essa non congedava ancora i temi, i miti e i codici figurativi del passato, ma apriva gi le porte al nuovo repertorio augurale e spirituale della religione cristiana.

    Nuove scoperte nell'ipogeo degli Aureli, monumento funebre a cavallo tra due mondi

    Quanta folla nelle tombe di Onesimo, Papirio e Prima

    Prometeo ed Eracle vengono raffigurati accanto alla creazione di Adamo,

    in una sorta di enciclopedia visiva che riassume i temi pi diffusi negli anni sessanta del III secolo

    Sono stati resi noti i risultati degli studi archeologici sull'ipogeo degli Aureli, sito nell'area di viale Manzoni a Roma. Pubblichiamo stralci di alcuni interventi tratti dalla conferenza stampa.

    di FABRIZIO BISCONTI

  • Ci sono dei monumenti che "parlano troppo" e che diventano dei grovigli inestricabili di idee, di pensieri, di vie interpretative, per cui gli archeologi e gli storici dell'arte devono affilare le loro armi per sciogliere i nodi pi stretti delle teorie che hanno animato committenti e artifices quando stato concepito il complesso monumentale o la sua decorazione. questo il caso dell'ipogeo degli Aureli in viale Manzoni, un monumento sepolcrale, scoperto durante l'allestimento di un garage della Sta, divenuto poi propriet della Fiat s.p.a., nel settore sud-orientale di Roma, non lontano dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme. La Soprintendenza del tempo esegu degli scavi sistematici e l'ispettore Goffredo Bendinelli prepar una prima edizione critica del programma decorativo, poi aggiornata dal grande iconografo Joseph Wilpert e dall'archeologo Orazio Marucchi. Da quel momento, l'ipogeo divenne una vera e propria "palestra" per tutti gli studiosi della storia delle religioni della tarda antichit, che affidarono all'ipogeo, ora

  • una committenza pagana, ora una committenza cristiana, ora una committenza gnostica.Il programma decorativo, che interessa, infatti, le tre stanze funerarie propone una tematica complessa, difficilmente riconducibile a un unico filone iconografico, ma mostra quella ecletticit tipica del clima multireligioso, che anima l'atmosfera culturale, che dal tempo dei Severi, tra il II e il III secolo, giunge all'impero di Gallieno, ossia alla fine degli anni Sessanta dello stesso III secolo. Un tempo, questo, percorso da mille problemi di ordine politico, sociale, economico e militare, che trova "rifugio" nel pensiero filosofico e religioso, il quale accoglie nell'ideologia romana le correnti delle nuove credenze e delle forme di fede provenienti dall'Oriente. Il culto per Mitra, il pensiero giudaico, la filosofia neoplatonica, l'orfismo, il cristianesimo, la gnosi vivono e convivono in una Roma multietnica e multireligiosa,

    creando anche forme di sincretismo e

  • sovrapposizioni complesse di elaborazioni religiose. Ebbene, l'ipogeo degli Aureli esprime proprio questa complessit di un pensiero elaborato da una classe sociale elevata, ambiziosa, forse appartenente all'entourage dei liberti imperiali e, comunque, pronta a emulare le manifestazioni monumentali dei ranghi pi alti e danarosi del tempo.La tensione verso l'autorappresentazione suggerisce a questa famiglia, cos in vista nella Roma del tempo, di decorare il proprio monumento funerario con i temi che, pur non dimenticando le consuetudini iconografiche della cultura ellenistica e della tradizione romana, aprono le porte a un nuovo immaginario, sospeso tra vita quotidiana e un mondo beato, tranquillo, quieto, proiettato nell'aldil.Questo felice locus amoenus, di virgiliana memoria, si esprime con molti e diversi espedienti iconografici, che si dislocano nelle pareti dei tre ambienti funerari. Due grandi temi costellano gli affreschi dei tre cubicoli: da una parte, la grande materia filosofica, che propone decine di intellettuali disposti in teorie e muniti di virgae e rotoli della sapienza, dall'altra, l'argomento bucolico, con la rappresentazione di pastori criofori e di un curioso ibrido iconografico, ossia una figura di un pastore-intellettuale, che sembra alludere alla congiunzione dei due temi di base e che vuole rappresentare uno degli Aureli deposti nell'ipogeo.

  • Nell'iscrizione musiva dedicata da un Aurelius Felicissimus si ricorda la sepoltura dei tre fratelli Aurelius Onesimus, Aurelius Papirius e Aurelia Prima. Ebbene, questi tre defunti vengono rappresentati in un lungo ciclo affrescato, ora come il saggio pastore, di cui si parlato; ora come un cavaliere che entra in una favolosa citt, che si propone come una sorta di oltremondo urbano; ora come un retore al centro di un foro; ora come una commensale di un banchetto celeste. Il ciclo si inserisce in un grande quadro omerico, dove, secondo i primi editori, era rappresentato l'episodio di Ulisse che torna a Itaca e incontra Penelope al telaio tra i Proci. Il recentissimo restauro effettuato con il rivoluzionario uso del laser - che lo scorso anno recuper il cubicolo degli apostoli a S. Tecla - ha permesso di leggere meglio questa singolare megalografia. Nella parte superiore, laddove gli iconografi del passato riconoscevano il palazzo e le greggi di Laerte, stata scoperta ancora Aurelia Prima che, in segno di lutto, si scioglie i capelli per compiangere i due fratelli morti, sistemati sul letto funebre all'interno di un recinto funerario. Nel settore inferiore - sulla scia di qualche interpretazione del passato - si assiste al momento in cui Ulisse ottiene dalla maga Circe che i compagni, trasformati in porci, tornino a essere uomini. Il racconto, che si dispiega nel X canto dell'Odissea, ben si inserisce nella tematica funeraria del tempo, se si tiene conto che fu

  • proprio Circe a indicare la via di un viaggio nell'Ade al curioso Odisseo. Le nuove scene individuate si calano perfettamente nel sistema multireligioso a cui fa capo il sincretismo elaborato dagli Aureli, che comporta anche due enigmatiche scene dove si pu riconoscere sia Prometeo che crea l'uomo ed Eracle nel giardino delle Esperidi, sia la creazione di Adamo e la cacciata dall'Eden. Queste incertezze e queste compresenze ci parlano di un'atmosfera ricca di tensioni ideologiche, che mirano, comunque, a creare una condizione oltremondana, sospesa nel cosmo, in equilibrio tra una sede terrena e una ultraterrena, che prepara l'idea di un altro mondo pronto a rappresentare il paradiso dei cristiani, riservato, in questo caso, a un gruppo privato, a una famiglia d'alto rango. Di l a poco o negli stessi anni, proprio nella prima met del III secolo, nascono le catacombe comunitarie destinate alla sepoltura di tutti i fratelli che hanno aderito alla nuova fede. L'ipogeo degli Aureli, in questo contesto, rappresenta un antefatto singolare, fortemente autorappresentativo, di una gens che, senza abbracciare il pensiero cristiano, lo contempla nell'orizzonte multireligioso del tempo.

    Quando il nome raccontava una vita

  • E dopo sedici secoli Pascasio ancora in classifica

    Gi nella prima et costantiniana e, in maniera pi evidente, dalla met del iv

    secolo, i tratti identitari di una realt ecclesiale pi matura e definita

    cominciano a manifestarsi tangibilmente anche attraverso la produzione

    epigrafica che, per non pochi aspetti, dopo la parentesi dellepigrafia

    minimale (in realt non meno espressiva) del III secolo, si riappropria sul

    piano formale del

    consolidato

    patrimonio della

    tradizione

    romana.Tra let

    precostantiniana e

    quella

    immediatamente

    successiva le

    diversit appaiono

    subito evidenti e

    anche molto profonde.

    A giusta ragione il gesuita Antonio Ferrua nel confrontare le iscrizioni

    precostantiniane della Regione i-y della catacomba dei Santi Marcellino e Pietro

    sulla Labicana con quelle della seconda met del iv secolo del cimitero di

    Commodilla, poteva legittimamente osservare: incredibile come in pochi

    decenni le usanze cimiteriali cambino profondamente e in quasi tutti gli aspetti

    della loro esplicazione: sembra di entrare in un mondo nuovo.

    I primi e pi evidenti sintomi del mondo nuovo evocato da Ferrua si colgono

    preliminarmente in due aspetti di notevole portata: il rientro nella prassi

    corrente di tutto quanto era stato ideologicamente escluso nelle strutture

  • epigrafiche del laconismo arcaico (i dati retrospettivi e dunque le microstorie

    della vita terrena) e, con particolare incidenza (anche se non sempre e

    dovunque) una maggiore e pi articolata visibilit dello specifico cristiano che,

    ancora sommesso e quasi reticente nel III secolo, in breve tempo si configura

    sempre pi come palese segno di appartenenza, manifestandosi in un cospicuo

    e variegato repertorio formulare, che nel corso del tempo tende a cristallizzarsi

    per poi scomparire quasi totalmente con la fine del mondo antico, nel corso cio

    del secolo vi.

    Nel periodo che intercorre che tra la met del iv e la met del v secolo si pu

    senzaltro riconoscere la stagione pi creativa nella acquisizione di moduli

    espressivi generalmente di tipo formulare, che entrano stabilmente nel

    repertorio epigrafico, con un linguaggio generalmente rarefatto, spesso ellittico

    e non sempre immediatamente comprensibile anche per la frequenza delluso di

    forme, tipicamente epigrafiche, sospese o contratte.

    Sul piano dei nuovi contenuti che si affacciano e si consolidano nella cultura

    epigrafica del tempo, quasi allimprovviso e in notevole quantit emergono

    termini, espressioni o, semplicemente, segni che, in forme esplicita o

    implicita, qualificano defunto e dedicanti come adepti della nuova fede:

    laspetto pi tipico e diffuso la definitiva affermazione delle formule

    ireniche in pace - en eirne, variamente assunte con valenza escatologica (in

    pace Christi, Dei, Domini), funeraria (la quies del sepolcro) o retrospettiva in

    riferimento cio a una vita condotta secundum legem domini (ad

    esempio Maxema que vi|xit in pace a|nnos triginta; Inscriptiones Christianae

    Urbis Romae, iv, 9419). Ed proprio nellambito formulare pi specificamente

    connotato, molto pi che nella stanca riproposizione del formulario di routine,

    che si colgono i diversificati livelli di partecipazione e comprensione dei Christi

    fideles laici nei riguardi dei momenti forti e qualificanti che scandiscono

    lavvicinamento e lingresso nella comunit dei cristiani.

  • In questo ambito, a partire dalla met del iv secolo, un significativo elemento di

    novit si pu agevolmente individuare nella progressiva affermazione nelle

    comunit di una onomastica specificamente cristiana, che dopo la morte trova il

    suo pressoch esclusivo alveo di memoria conservazione nella documentazione

    epigrafica. Nascono i nomi identitari: in primo luogo quelli di estrazione

    neotestamentaria come Petrus (il pi diffuso gi dal III secolo), Paulus,

    Iohannes, Maria, o quelli che ripropongono principi dogmatici fondamentali

    come in primo luogo Anastasius/Anastasia, che in un caso (indubbiamente

    eccezionale) sollecitarono un palese svelamento del loro significato: Anastasia

    secundum nomen credo futuram, una vera e propria professione di fede nella

    resurrezione finale, espressa con lespediente del cosiddetto feronymos.

    Ampia accoglienza tra i cristiani ebbero anche i cosiddetti nomi teofori, tra i

    quali il pi diffuso Cyriacus, il cui significato cristiano deriva dal fenomeno del

    cosiddetto slittamento semantico (mutamento di significato) da

    appartenente al padrone a appartenente al Signore.

    Alcuni nomi cristiani si propongono poi come veri e propri calchi onomastici del

    momento forte per eccellenza del calendario liturgico cristiano: il pi

    caratteritico e diffuso Pascasius/Pascasia derivato ovviamente

    da Pascha spesso ricordato nelle iscrizioni in diretta correlazione con il

    battesimo che, come noto, nellantichit cristiana veniva amministrato

    durante la liturgia della veglia pasquale. E in effetti sono molto numerose le

    testimonianze epigrafiche nelle quali, attraverso una specifica gamma

    formulare, vengono espressamente menzionati i diversi e progressi passaggi che

    conducevano il fedele alla acceptio fidis, alla accoglienza del battesimo.

    Da queste testimonianze si ricava tra laltro che let media della gran parte dei

    defunti neobattezzati (dai 20 ai 50 anni) fa legittimamente supporre un

    deliberato rinvio del battesimo fino allapprossimarsi della morte (tra i molti

    esempi Inscriptiones Christianae Urbis Romae, i, 2087, 2833, 3202, 3553; ii,

    4164; III, 7379; iv, 11806, 11862, 12020, 12459, 12652; v, 13443; VII, 17548,

  • 18469, 18631, 18693, 18979, 19820; ix, 24870): questi procrastinantes (cos

    venivano definiti dai Padri della Chiesa) pertanto giungevano spesso al

    battesimo nello status di audientes, senza aver percorso i diversi gradi della

    preparazione, che prevedevano per i candidati una duplice fase di istruzione,

    una remota (cathecumeni, audientes) della durata di circa un triennio, e laltra

    prossima nel corso della quale i catecumeni, dopo la valutazione (scrutinio) del

    vescovo, iscrivevano prima della Quaresima il loro nome nei dittici per il

    battesimo della notte pasquale, assumendo cos requisito e denominazione

    difotizmenoi (coloro che stanno per essere illuminati), di competentes (in

    Occidente) di audientes (a Roma).

    Questo percorso di istruzione progressivo ovviamente non poteva aver luogo

    per i casi peraltro numerosissimi di morte prematura: in questi casi il

    battesimo (pedobattesimo) veniva amministratoin articulo mortis, al di fuori

    della pratica prevista nel disciplinare battesimale, che in condizioni normali

    prevedeva un lungo e articolato percorso di istruzione.

    Per la storia dellorigine del cognomen pasquale Pascasius un documento (ora

    perduto) particolarmente significativo lepitaffio posto sulla tomba di un

    bambino, morto il 28 aprile dellanno 463 e sepolto a Roma nella catacomba di

    Castulo sulla via Labicana. La vicenda della sua breve esistenza descritta in

    termini dettagliati (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, vi, 15895):

    Pascasio, nato col nome di Severo nel corso dei giorni pasquali, gioved quattro

    aprile, nellanno del consolato di Flavio Costantino e Rufo (457) uomini

    chiarissimi, visse sei anni. Ricevette il battesimo (percepit) il 21 aprile e depose

    nel sepolcro le vesti bianche lottava di Pasqua, il 28 aprile, nellanno del

    consolato delluomo chiarissimo Flavio Basilio (463).

    La vita, seppur breve, di Pascasio si svolse sotto il segno della Pasqua, che

    nellanno 457 cadde nellultimo giorno del mese. Il quattro aprile, giorno della

    sua nascita, era dunque incluso (come specificato nellepitaffio) nel periodo

    dei dies pascales, cio dei quindici giorni comprensivi della settimana

  • precedente e successiva al giorno di Pasqua: la sacralit dei giorni pasquali

    era anche riconosciuta in una legge del 392, che prevedeva appunto in questo

    periodo la sospensione di tutti gli atti giuridici, sia pubblici e privati (Codex

    Theodosianus, ii, 8, 21). Alla nascita il defunto aveva assunto il nome anagrafico

    di Severus, cui fu aggiunto, al momento del battesimo, quello specificamente

    cristiano di Pascasius: natu(s) Severi nomine, Pascasius, dies pascales, prid(ie)

    Non(as) April(es), die Iobis(cio Iovis) Fl(avio) Constantino et Rufo v(iris)

    c(larissimis) cons(ulibus).

    Unaltra circostanza, anchessa del tutto fortuita, contrassegna la fine

    di Severus/Pascasius, che nello stesso giorno (lultimo dei dies paschales)

    insieme al corpo depose nel sepolcro anche la veste bianca, assunta al

    momento del battesimo: percepit xi Kal(endas) Maias et albas suas octabas

    Pascae ad sepulcrum deposuit, laddove lottava di Pasqua appunto la

    domenica in albis. A quello di SeverusPascasius possono coerentemente

    avvicinarsi gli epitaffi (rispettivamente del iv e v secolo) della gallicaOptatina

    Reticia, originaria di Arles (Corpus Inscriptionum Latinarum XII 956) e della

    romana Venerandache, come nutrix, dedic la sepoltura ai propri protetti

    (alumnis suis) Primitiva e Felicio (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, i,

    3722): ambedue nel corso della liturgia battesimale assunsero

    il supernomendi Pascasia.

    La microstoria di questo antroponimo pasquale sostenuta anche da altre

    sporadiche attestazioni, storicamente rilevanti, perch per un verso

    documentano (anche attraverso la memoria funeraria) una ormai diffusa e

    radicata percezione della centralit della celebrazione pasquale e battesimale e

    per laltro perch consentono di cogliere o, quantomeno, ipotizzare, le

    motivazioni tecniche immediate e nel contempo contingenti dunque

    connesse allevento e al tempo liturgico che chiariscono le ragioni della

    introduzione nella onomastica cristiana antica di un nome (precedentemente

    ignoto) comePascasius/Pascasia.

  • In taluni casi la motivazione non sempre quella rituale connessa

    allassunzione di un nuovo nome nel corso del rito delliniziazione, ma quella

    invece della occasionale nascita di un individuo (evidentemente cristiano) nella

    settimana precedente o successiva al giorno della celebrazione pasquale, cio

    nel corso dei quindici giorni, definiti appunto dies pascales, come nel gi

    ricordato epitaffio diSeverus-Pascasius.

    Le iscrizioni in cui vengono ricordati defunti con il nome Pascasius/Pascasia,

    se corredate dalla menzione del giorno, mese e anno della morte, consentono

    infatti agevolmente attraverso il ricorso al calendario perpetuo pasquale di

    verificare se lopzione per il supernomen Pascasius fosse derivata dalla

    coincidenza della nascita nel corso dei dies pascales o, viceversa, da una scelta

    genericamente devozionale, svincolata dalla sollecitazione di un contesto

    liturgico, e dunque esercitata in un periodo qualsiasi dellanno, come peraltro

    documentato in numerose iscrizioni di Roma e dellAfrica nel corso dei secoli iv

    e v.

    Una opzione, riconoscibile nella sua consapevole definizione, quella che

    implicitamente si evince nellepitaffio che commemora una dulcissima

    infans morta ad Arles il 29 luglio del 422 a due anni, tre mesi, dieci giorni: era

    dunque nata il 19 aprile del 420 e in quellanno la Pasqua cadeva il 18 aprile. Ci

    spiega pienamente la motivazione che sollecit la scelta del cognomen Pascasia,

    attribuito alla giovane defunta: hic requiescit Pascasia / dulcissima infans,

    quae vixit an(n)i(s) duobus, mens(ibus) tribus et dies x.obiit IIIi Kal(endas)

    Iul(ias) Honorio XIII et Theodosio cons(ulibus) (Corpus Inscriptionum

    Latinarum, XIII, 2353). A Roma un bambino di quattro anni, otto mesi, quattro

    giorni mor il quattro dicembre del 382. La sua nascita era allora avvenuta il

    primo aprile del 378, che in quellanno coincideva con il giorno della

    Pasqua: pridie Non(is) Decemb(ribus) d(e)p(ositus) Pascasius, qui vixit

    ann(is) IIIi m(ensibus) VIIId(iebus) IIIi. Antonio et Syagrio

    con)sulibus) (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, ii, 5791).

  • Questa in sintesi la storia della formazione e della diffusione nel corso dei secoli

    iv e v secolo di un nome cristiano, che ebbe nei secoli successivi una

    straordinaria fortuna e che tuttora, in molteplici varianti, occupa in Italia il

    ventesimo posto nella graduatoria dei nomi pi diffusi.

    CARLO CARLETTI

    EXCURSUS NELLA TRADIZIONE DELL'ARTE CRISTIANA

    di Rodolfo Papa*

    ROMA, luned, 21 marzo 2011 (ZENIT.org).- La tradizione dellarte

    cristiana trasmette lispirata comprensione della Bellezza della

    Rivelazione. Interrogare la tradizione artistica, significa ripercorrere una

    storia viva, di visione e di comunicazione fatta con gli occhi della Fede:

    dagli affreschi dei loculi catacombali che, con la raffigurazione di Cristo

    che resuscita Lazzaro, mostrano la fede dei primi cristiani nella

    resurrezione dei morti, fino alle splendide immagini del Rinascimento o

    del Seicento, e poi oltre.

    Fin dai primi secoli del Cristianesimo, larte ha cercato di rispondere alle

    esigenze dellannuncio (Kerigma) e a quelle della formazione (Didach),

    per la diffusione del messaggio cristiano. Larte entra fin dallinizio nella

    vita del Cristianesimo, divenendo partecipe del dinamismo della teologia,

    nella luce della fede. Ricordiamo come la tradizione veda nellevangelista

  • Luca il primo pittore cristiano, in quanto ritrattista di Maria, e in

    Nicodemo, il primo scultore cristiano, autore di un crocificisso ritenuto

    miracoloso.

    Agli albori del Cristianesimo larte cristiana va lentamente prendendo

    coscienza. Cos, nei primi secoli, alcune botteghe di cesellatori e di

    scultori in argento, avorio e bronzo, lavorano sia per i pagani che per i

    cristiani, come per esempio nei noti casi dei dittici senatoriali e consolari.

    Contestualmente per, nasce anche con sicurezza uniconografia cristiana

    legata alla diffusione dei Vangeli e alla stessa forma in parabole della

    predicazione di Cristo. Questa iconografia non ha paura di prendere dal

    mondo pagano immagini e simboli, riletti per alla luce della verit. Cos,

    per esempio, il nuovo messaggio del buon pastore si sovrappone alla

    iconografia del moscoforo.

    In seguito, una vera e propria presa di coscienza del mezzo artistico

    come strumento di indagine, di riflessione, di introspezione propriamente

    cristiana.

    La fiducia nellefficacia evangelizzatrice dellarte ha prodotto nel Medio

    Evo molti racconti per difenderne la legittimit contro chi la negava con

    forza. Ne sono esempio la sottolineatura della figura di san Luca come

    ritrattista di Maria, come anche della figura di Nicodemo quale primo

    scultore cristiano, autore del ligneo Crocifisso miracoloso di Beirut, dal

  • quale si origin la tipologia dei crocifissi detti del Volto Santo, come

    quello di Lucca, o ancora limmagine del volto di Cristo impressa sul

    lenzuolo detto della Veronica e poi ancora il Mandylion. La tradizione ha,

    dunque, cercato di rintracciare una iconografia delle origini, una sorta di

    modello al quale ispirarsi, per poter vedere, anche solo da lontano, il

    volto dellAmato.

    Questa tensione verso il ritratto del volto di Cristo, presente nel

    plurimillenario lavoro degli artisti cristiani, mossa dalla volont di

    immaginare la propria vita come contemporanea a quella del Salvatore.

    Larte cristiana va tutta misurata nella capacit di dire Ges Cristo, vero

    Dio e vero uomo. Spesso gli artisti hanno lavorato insieme ai teologi, per

    saper rappresentare le profonde verit del tesoro della Fede.

    Ricordiamo, per esempio, come alla base delloperare artistico del Beato

    Angelico nei monasteri domenicani, ci fosse una precisa teologia della

    visione elaborata da S. Antonino Pierozzi, priore del Convento di san

    Marco a Firenze, il quale accoglie e valorizza il frate pittore, perch

    convinto che con la sua arte potr ripresentare agli occhi stessi dei frati la

    bellezza di Ges. Nel monastero di San Marco a Firenze ogni frate

    domenicano poteva svolgere i propri esercizi contemplativi con lausilio

    delle immagini affrescate da Beato Angelico sulle pareti delle celle,

  • consentendo la contemporaneit tra la vita del frate e levento sacro

    rappresentato.

    In modo particolare, la progettazione architettonica e pittorica viene fatta

    in vista di una liturgia contemplativa e immaginativa, in cui ogni pietra,

    ogni forma geometrica, ogni richiamo allantico parlano della vita di Ges

    Cristo. Il convento diviene in questo modo una sorta di Gerusalemme

    ficta, un ambiente rappresentativo capace di sostenere la vita

    spirituale. Questo progetto risponde pienamente alla pratica, diffusissima

    nel XV secolo, di arricchire la vita di preghiera mediante rappresentazioni

    interiori, come raccomandato, per esempio, nel Zardino de Oration,

    scritto intorno al 1454 e stampato a Venezia nel 1494.

    Le opere di arte sacra spesso si pongono come sussidio alla pratica della

    meditazione, offrendo la possibilit di vivere come presente quanto viene

    prospettivamente rappresentato. Risulta essere una straordinaria

    applicazione pittorica di questa pratica meditativa, per esempio,

    la Passione di Cristo di Hans Memling (conservata nella Galleria Sabauda

    di Torino), in cui possiamo osservare una rappresentazione della citt di

    Gerusalemme, con i vari momenti della passione di Ges ambientati nei

    vari luoghi: il fedele pu cos percorrere il quadro, meditando e

    contemplando la passione di Cristo.

  • Lattenzione principale dellarte cristiana sempre data allaspetto

    kerigmatico, cio allannuncio ai non credenti, e a quello didascalico, cio

    catechetico per i fedeli. Al centro di tutto c il vangelo di Ges Cristo. Per

    essere allaltezza del messaggio, larte sviluppa i propri mezzi espressivi;

    gli artisti e le loro botteghe, pur ricevendo in eredit dalla tradizione

    unampia e complessa struttura iconografica, tendono a migliorarla,

    affinando i modi e i mezzi per poter dire con pi precisione e profondit

    qualcosa nel discorso su Dio fatto carne. Questa finalit anima e motiva

    la nascita e lapprofondimento della prospettiva, la rinascita e

    lapprofondimento della teoria delle luci e delle ombre, e ancora

    lapprofondimento della teoria dei colori, fino ad arrivare a vere e proprie

    strutture di tipo sintattico, capaci di saper organizzare il discorso pittorico

    tanto da farne un discorso compiuto.

    Questo fiorire di mezzi artistici al servizio del messaggio cristiano,

    protagonista anche nel Rinascimento. A proposito di questo importante

    momento della cultura, spesso si sottolinea una rinascita dei culti pagani,

    oppure si parla di una permanenza degli antichi dei, tanto da connotare

    larte rinascimentale come essenzialmente neopagana. In realt, il

    recupero del classico compiuto in questo periodo nella prospettiva di

    una cultura autenticamente cristiana; come chiave di lettura possiamo

    utilizzare un esempio noto a tutti, ovvero la tradizionale interpretazione

  • cristologica del VI canto dellEneide di Virgilio, nellottica della possibilit

    di leggere la cultura greco-romana come una sorta di prefigurazione

    dellera cristiana. Del resto, Virgilio la guida di Dante nelle prime due

    cantiche della Divina Commedia.

    Cos gli artisti rinascimentali, aiutati da una raffinata e colta committenza

    capace di interpretare alla luce del Cristianesimo anche la tradizione

    classica, affondano le radici nel mondo pagano, emergendone e

    illuminandolo con la forza nuova della Rivelazione. Cos nella Stanze della

    Segnaturadi Raffaello in Vaticano, nella lunetta dei poeti, accanto ai

    cantori del Cristianesimo Dante e Petrarca, troviamo i cantori

    dellantichit: Orfeo, Omero, Virgilio.

    Molta trattatistica artistica del 600, affiancava il teologo al pittore, nella

    necessit che il pittore sapesse cosa narrare: cos per esempio il pittore

    Piero da Cortona lavora insieme al teologo Domenico Ottonelli, per

    il Trattato della pittura, e scutlura, uso et abuso loro, del 1652. Si tratta

    della trasmissione del sapere teologico nellarte, nella consapevolezza che

    larte ha una dimensione teologica e deve sapersene fare carico, nel

    momento in cui si pone a servizio della Chiesa.

    Da una ricognizione della tradizione dellarte cristiana emergono alcune

    coordinate fondamentali. Infatti, pur nella successione di stili e tecniche

    molto diverse, tutta la tradizione resa unitaria dalla centralit dei

  • misteri della Fede, e primo fra tutti lIncarnazione. In osservanza a

    questo mistero, larte cristiana appare figurativa, capace cio di dire il

    corpo di Cristo, narrativa, capace cio di raccontarne la storia vera, e

    bella, perch, come scriveva San Francesco Tu sei bellezza.

    Nella Lettera agli artisti del 4 aprile 1999, Giovanni Paolo II offre una

    riflessione completa sullarte, scritta dal punto di vista, anche spaziale,

    del Vaticano: scrivendo da questo Palazzo Apostolico, che anche uno

    scrigno di capolavori forse unico al mondo (n.24) [1].

    Dopo aver illustrato la condizione dellartefice come imago Dei, Giovanni

    Paolo II illumina la condizione di Fede dellartista; egli scrive di una

    speciale vocazione dellartista (n. 2), definisce la vocazione artistica

    come scintilla divina (n. 3); mostra come la fioritura artistica dellarte

    cristiana tragga linfa dallIncarnazione e consista in un ampio capitolo

    di fede e di bellezza (n. 5); afferma che la conoscenza di Fede pu

    trarre giovamento dallintuizione artistica, come nel caso della pittura

    del Beato Angelico e della lauda estatica di san Francesco dAssisi. Agli

    artisti spetta il compito speciale di dire con larte che in Cristo il mondo

    redento e la creazione aspetta la rivelazione dei figli di Dio anche

    mediante larte e per larte (n. 14). Infine larte risulta essere uno

    dei luoghi in cui lo Spirito Santo si esprime: il divino soffio dello Spirito

    creatore sincontra con il genio delluomo e ne stimola la capacit

  • creativa. Lo raggiunge con una sorta di illuminazione interiore, che unisce

    insieme lindicazione del bene e del bello, e risveglia in lui le energie della

    mente e del cuore rendendolo atto a concepire lidea e a darle forma

    nellopera darte (n. 15).

    1) Giovanni Paolo II, Lettera agli Artisti, 4 aprile 1999, n. 24.

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    * Rodolfo Papa storico dellarte, docente di storia delle teorie

    estetiche presso la Facolt di Filosofia della Pontificia Universit

    Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti.

    Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di

    Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli

    pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa

    di questioni iconologiche relative allarte rinascimentale e

    barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di

    Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal

  • 2000 una rubrica settimanale di storia dellarte cristiana alla

    Radio Vaticana.

    Le catacombe come paradigma della complessit degli ultimi secoli del mondo antico

    Quando i romani dipingevano al buio

    di CARLO CARLETTIIl 23 marzo, nella sala delle conferenze di Palazzo Massimo a Roma, viene presentato il volume di Fabrizio Bisconti Le pitture delle catacombe romane. Restauri e interpretazioni (Tau Editrice, Todi, 2011, pp. XI + 361, euro 90). Anticipiamo ampi stralci di due degli interventi previsti. All'incontro interverranno anche il direttore del Dipartimento di studi storici e artistici, archeologici e della conservazione dell'Universit di Roma Tre, Liliana Barroero, e il direttore del nostro giornale.

    Le pitture delle catacombe romane sono senza alcun dubbio parte costitutiva e dinamica della produzione artistica di et tardoantica, anche se questo ruolo non sempre stato riconosciuto da quella parte del mondo degli studi e della divulgazione (ad esempio nelle mostre), ancora ingabbiato in un malcelato pregiudizio

  • "classicistico" e condizionato da un inconscio atteggiamento "laicista", pateticamente percepito come politically correct.Ma il dato concreto quello di una documentazione di enorme consistenza, in cui convivono - talvolta nel medesimo contesto insediativo - manifestazioni di notevole eccellenza qualitativa e prodotti per lo pi di livello medio-basso, sia dal punto di vista formale che da quello tecnico-esecutivo: performances di routine di "immediato consumo", condizionate e dalla urgenza dell'irruzione della morte e dalle disagevoli condizioni ambientali e strutturali che caratterizzano i siti catacombali. La funzionalit di questo repertorio di immagini nel mondo dei morti, rimane (anche nella percezione dei committenti e degli utenti cristiani) quella tradizionale della decorazione dell'ultima dimora e della autorappresentazione di un singolo o di un gruppo familiare. Sono poi le scelte di determinati temi e soggetti

  • che, attraverso emblematiche schematizzazioni, interazioni e formulazioni, svelano e definiscono la prospettiva entro la quale questi messaggi figurali si inseriscono e prendono significato.Si rimarrebbe nel vago e nell'indefinito se una volta tanto non si entrasse nella reale consistenza di questo patrimonio, se non si percorresse anche con attenzione "computistica" questo microcosmo figurativo capillarmente "invasivo", che tuttora si lascia leggere, apprezzare, studiare negli oltre centocinquanta chilometri di estensione lineare degli ambienti sotterranei catacombali. In questa prospettiva una preliminare analisi quantitativa riveste un ruolo determinante e costituisce un fondamentale plafond di riferimento per qualsiasi successiva indagine non condizionata da pregiudiziali divisive. Il volume complessivo di questo straordinario dossier figurativo, tradotto in numeri, svela ordini di grandezza senza dubbio inaspettati, forse anche per gli addetti ai lavori. Negli oltre settanta insediamenti catacombali di Roma si conservano 420 unit monumentali (cubicoli, arcosoli, tratti di gallerie, loculi, cripte, basiliche ipogee), con circa 2.300 contesti decorativi, esiti ultimi della consapevole scelta di temi e soggetti che, per un verso ripropongono la tradizione di un immaginario figurativo connesso alla morte e all'aldil nelle sue diversificate

  • percezioni e, per l'altro, presentano un nuovo repertorio tematico, che per la prima volta, con la discrezione che contrassegna la nascita di processi innovativi, entra nell'universo figurativo della tarda antichit. Pertanto, accanto al tessuto connettivo costituito dagli innumerevoli dispositivi figurativi che caratterizzano il mondo ultraterreno, emergono le traduzioni figurative di uno specifico "identitario". Qui sono ancora i numeri che forniscono l'entit e lo spessore di una molteplicit di temi e soggetti di diretta estrazione biblica: complessivamente 620 esemplari (420 dall'Antico Testamento, 198 dal Nuovo) che propongono 47 temi, 31 veterotestamentari e 16 neotestamentari. Se ci si spinge pi in profondit all'interno di queste indicazioni numeriche, si possono apprezzare, come elemento forse significativo della Biblisierung ("diffusione della Scrittura nelle comunit"), le ricorrenze dei diversi luoghi scritturistici.Al vertice delle preferenze si pongono due eventi veterotestamentari, Mos che batte la rupe (12 per cento di esemplari) e i diversi momenti del ciclo di Giona (10 per cento), cui seguono un tema neotestamentario - il miracolo della resurrezione di Lazzaro, rappresentato in sessantacinque esemplari (10 per cento) - e ancora altri due temi dell'antico Testamento, Daniele nella fossa dei leoni e No nell'arca (rispettivamente 8 per cento e 7,50 per cento). Tra i temi di ascendenza neotestamentaria,

  • sono nettamente pi diffusi i miracoli di Ges e, tra questi, particolare predilezione riservata alla risurrezione di Lazzaro, alla moltiplicazione dei pani e alla guarigione del paralitico. Al di fuori dello specifico religioso, vi sono una moltitudine di rappresentazioni che propongono un amplissimo repertorio di una vera e propria "iconografia del reale", che illustra attivit, mestieri, professioni, attitudini dei defunti, proponendo a volte anche momenti salienti connessi al rituale funerario. Il tessuto connettivo concettuale e materiale in cui si dispone questa esplosione di immagini bibliche rimane quello dell'iconografia dell'"irreale", la rappresentazione cio di un immaginario dell'aldil che sintetizza in molteplici esiti e soluzioni un patrimonio di idealit secolari. Dietro e dentro questa elencazione di dati, si celano una infinit di questioni che afferiscono agli ambiti storico-culturale, storico-artistico, iconografico e iconologico ma anche naturalmente alle metodologie, agli approcci, alla verifica delle correnti storiografiche e della proposizione dei modelli interpretativi. Problematiche che, come ovvio, suscitano interrogativi, impongono riletture, esigono chiarimenti. questo il perimetro, ampio e articolato, pieno anche di classiche e insidiose questioni lungamente dibattute, in cui si muove il nuovissimo libro di Fabrizio Bisconti, Le

  • pitture delle catacombe romane. Restauri e interpretazioni. Il titolo, come gli studiosi percepiranno immediatamente, richiama un'opera grandiosa, ma ormai ineluttabilmente segnata dal tempo. La raccolta, appunto, delle pitture delle catacombe romane pubblicata a Roma nel 1903 da Giuseppe Wilpert: un libro monumentale che fece epoca e che ha costituito per molti decenni il punto di partenza obbligato per qualsiasi ricerca nel campo della pittura cimiteriale tardoromana, anche se le datazioni di Wilpert (oggi del tutto superate) si muovevano verso confini incompatibili con la realt del tardo antico, cui concettualmente e cronologicamente appartiene tutta la pittura catacombale. A oltre un secolo di distanza da un precedente cos illustre, il libro di Bisconti si muove naturalmente in tutt'altra prospettiva e lungo percorsi impensabili (almeno a Roma) tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. La materia, complessa e articolata nelle problematiche e negli strumenti ermeneutici, presentata attraverso una oculata e meditata riproposizione di quattordici saggi pubblicati nell'ultimo ventennio, disposti in successione secondo la cronologia dei monumenti pittorici esaminati. un'idea felice perch consente al lettore di seguire fin dalla sua fase genetica la nascita e lo sviluppo di una iconografia paleocristiana e nel contempo la "resistenza" di un immaginario figurativo di tradizione, che non sempre e

  • non necessariamente - anche nei cimiteri cristiani - risponde e si spiega alla luce della categoria religiosa.La raccolta dei saggi preceduta da una densissima introduzione che ha il taglio di una rimeditazione storiografica e metodologica e che, in trasparenza, fa emergere il percorso di maturazione critica dell'autore. Ma in questa selezione c' un valore aggiunto: come indicato nel sottotitolo, tutti i saggi muovono dalle risultanze acquisite in seguito a interventi particolarmente rilevanti (conservazione, consolidamento, restauro) eseguiti dalla Pontificia Commissione di archeologia sacra in alcuni importanti e, in pi di un caso, fondamentali complessi pittorici. In particolare, quelli del sepolcreto della Piazzola in catacumbas, degli ipogei degli Aureli e di Trebio Giusto, nelle catacombe di Priscilla, di Pretestato, dei Santi Marcellino e Pietro, di via Dino Compagni, di San Callisto, della ex vigna Chiaraviglio, dell'insediamento anonimo della via Ardeatina. La lucida consapevolezza dell'inestricabile legame che interconnette (ma non sempre e dovunque cos) la ricerca della conoscenza storica con la vigile preoccupazione della tutela e della conservazione, la sfraghs connotativa del libro di Bisconti e del suo modo di interagire - attraverso gli appropriati strumenti critici - con la produzione figurativa dell'antichit cristiana, come chiarito nell'incipit della nota introduttiva al volume. "Vent'anni di restauri hanno

  • mutato il volto della "Roma sotterranea cristiana", di quel mondo delle catacombe che mai aveva goduto di una vera e propria attenzione conservativa per quanto attiene gli apparati decorativi e, specialmente, per quanto riguarda un grande patrimonio pittorico. (...) Una disattenzione che ha pesato sulla conoscenza della pittura dell'ultima antichit, tanto che, ancora ai nostri giorni, si parla con disinvoltura dell'arte tardoantica, tacendo di questi "affreschi nel buio"". Eppure questi affreschi nel buio svelano storie complesse spesso insospettabili e concorrono a chiarire aspetti di una storia complessa e non sempre leggibile nei dettagli, che riguarda anche problemi nodali, come ad esempio quello del rapporto delle prime comunit con i luoghi della sepoltura. In questa direzione un contributo importante venuto dall'intervento di pulizia e restauro di un affresco sovrastante il mausoleo di Clodius Hermes nel complesso della Piazzola in catacumbas: qui la rappresentazione figurativa era stata letta (sebbene con qualche dubbio) in chiave cristiana con il riconoscimento della parabola del Buon Pastore, della moltiplicazione dei pani, della guarigione dell'ossesso di Gerasa. Ma l'intervento di pulizia e consolidamento dell'intera superficie affrescata ha consentito di riconoscervi alcuni episodi del ciclo omerico (le greggi di Laerte, la gozzoviglia dei Proci, i compagni di Ulisse trasformati in

  • porci) peraltro presenti in altra formulazione anche nell'ipogeo degli Aureli. L'aspetto importante di questa rilettura la conferma che quello della Piazzola un insediamento pagano che, nel corso della prima et antoniniana, accolse anche le sepolture di alcuni cristiani della famiglia degli Ancotii. Spostandosi verso la fine del IV secolo, si osserva come momenti nodali della storia della Chiesa di Roma abbiano trovato eco nelle pitture delle catacombe. Nell'arcosolio di Celerina della catacomba di Pretestato, sottoposto a un'accuratissima operazione di consolidamento e restauro guidato da Barbara Mazzei, stato possibile rileggere e meglio percepire quanto veicolato dalle immagini. Qui - siamo all'inizio del V secolo - si coglie evidente l'eco della questione ariana al tempo di Papa Liberio (352-366) resa allegoricamente dall'immagine biblica di Susanna in forma di agnello insidiata dai seniores (i vecchioni) tradotti come lupi, che rappresentano rispettivamente la Chiesa e l'eresia (in questo caso quella ariana), sulla scorta appunto della figura dei due lupi che la tradizione patristica aveva elaborato per significare i persecutori e gli eretici sulla scorta del passo di Matteo, 10, 6: sicut oves in medio luporum. Ancora un altro punto nodale - emerso durante il pontificato di Damaso (366-384) - quello rappresentato da un affresco della catacomba dell'ex vigna Chiaraviglio, in cui senza alcun dubbio si coglie il riflesso

  • delle deliberazioni del concilio romano del 382, nel quale il primato petrino (e dunque del vescovo romano) viene riproposta come societas beatissimi Pauli, un prestigioso "valore aggiunto" alla apostolicit della sede romana.Questa pregnante definizione figurativamente tradotta con la scena monumentale dell'abbraccio di Pietro e Paolo, cio con la concordia Apostolorum, che all'inizio degli anni Sessanta del IV secolo era stata corrosivamente messa in discussione dall'imperatore Giuliano l'Apostata, ispirato dalla polemica anticristiana del filosofo Porfirio di Tiro.Una parte consistente e significativa dei numerosi e complessi problemi affrontati nel libro di Bisconti non si sarebbe nemmeno posta se non ci fosse stata l'azione coordinata della Pontificia Commissione di archeologia sacra nella direzione della conservazione e della tutela delle catacombe, soprattutto nelle sue evidenze pi fragili, che sono proprio le pitture ad affresco. A queste problematiche connesse alle attivit di conservazione

    stata dato lo spazio che meritavano, anche con l'esposizione dettagliata (supportata dal

  • contributo degli interventi specialistici di Barbara Mazzei) delle procedure di intervento che hanno attinto alle pi sofisticate e aggiornate tecniche. Merita di essere segnalata la ripresa fotografica all'infrarosso con il sistema della riflettografia che, nelle sovrapposizioni di successive stesure pittoriche, consente di leggere lucidamente ci che l'occhio umano o il tradizionale obiettivo fotografico non consentirebbero: il caso della concordia Apostolorum dell'ex vigna Chiaraviglio che ha svelato una prima rappresentazione degli apostoli acclamanti alla croce o, ancora, dell'arcosolio di Celerina, in cui sotto la figura di san Paolo emersa una presenza maschile, appartenente a un precedente e diverso contesto decorativo.Gli esiti degli interventi di consolidamento, restauro, come anche del ricollocamento di disiecta membra nei contesti figurativi di appartenenza, hanno consentito di vedere "l'erba dalla parte delle radici", come scrive Bisconti, e dunque di seguire e definire nelle loro caratteristiche i procedimenti tecnico-esecutivi e la presenza di tutto quanto attiene alla fase preparatoria del lay-out (impaginazione) della superficie destinata ad accogliere l'affresco. L'individuazione endoscopica - perci indolore oltre che non invasiva - di questi elementi fornisce preziosi indicatori per una pi dettagliata e documentata

  • definizione cronologica: un aspetto nevralgico tuttora in corso di ridefinizione anche perch condizionato dalla contrapposizione critica (non di rado duramente polemica) alle cronologie pregiudizialmente "alte", spesso insostenibili, ereditate dalla prima scuola romana (de Rossi - Wilpert).In sintesi, sul piano della multiforme e multiculturale vicenda storico-artistica che attraversa i secoli della tarda antichit, il valore e l'utilit di questo nuovo libro si possono agevolmente riconoscere nella ricca molteplicit di elementi e di argomenti che quasi naturalmente conducono - anche attraverso l'ottica della produzione figurativa - a riconoscere anche nell'universo-catacomba una cassa di risonanza non troppo flebile delle complessit, che caratterizzano i secoli ultimi del mondo antico, in cui si rincorrono e si integrano, con differenti livelli di incidenza, non sempre lucidamente percepibili, tradizione, creativit, trasformazione.

    La Pontificia Commissione d'Archeologia Sacra si rinnova

    Una task force per le cento catacombe d'Italia

    di CARLO CARLETTI

  • Anche per le istituzioni si succedono le stagioni, che possono rivelarsi luminose o grigie, dinamiche o statiche. Per la Pontificia Commissione di Archeologia l'anno appena trascorso, dopo un quinquennio di decelerazione stato contrassegnato da un forte rilancio della sua attivit istituzionale: una nuova stagione di iniziative, di azioni concrete, di proposte e progetti per l'immediato futuro, inserita in un pi generale contesto virtuoso che emblematicamente viene a collocarsi sub temporibus antistitis Benedicti, secondo una formula gi in uso nell'epigrafia romana dal tempo di Papa Giulio I (337-352).

    Una nuova direzione di rotta, esito non casuale di un appropriato rinnovamento dei vertici dell'istituzione: un nuovo presidente, il

    cardinale Gianfranco Ravasi; un nuovo Segretario, monsignor Giovanni Carr; l'inserimento di un soprintendente, Fabrizio Bisconti, cio di una figura

  • professionale - cos come nelle istituzioni di tutela dei beni archeologici dello Stato italiano - specificamente destinata alla guida e al coordinamento delle attivit e delle problematiche pi propriamente archeologiche, connesse alla tutela, alla conservazione, alle indagini di quell'immenso patrimonio culturale costituto dalle oltre cento catacombe di Roma e d'Italia. In questa prospettiva si coerentemente inserito il rinnovamento intervenuto nella composizione dell'organismo consultivo della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, modificato per due terzi del suo organico. Ne sono entrati a far parte archeologi ed epigrafisti (Hugo Brandenburg, Carlo Carletti, Jean Guyon) ma anche specialisti di storia della Chiesa, di patrologia, di filologia (Enrico dal Covolo, Angelo Di Berardino, Giovanni Maria Vian), che vengono ad aggiungersi ai componenti gi designati nel decennio trascorso (Rosa Maria Carra, Vincenzo Fiocchi Nicolai, Antonio Baruffa).In questa articolazione di competenze, rappresentata dalle nuove scelte, emerge significativamente l'acquisita lucida consapevolezza della complessit storico-culturale di un insediamento catacombale, come "evento monumentale" specificamente cristiano nel suo carattere di spazio sepolcrale non conclusus, cio "aperto" - dunque ideologicamente n gentilizio n corporativo ma

  • comunitario - coerentemente inserito nella dimensione temporale che gli appartiene, che quella fertilissima della tarda antichit.Ed in questo panorama storico-culturale che la comunit dei cristiani - anche attraverso i propri luoghi di sepoltura e le pr