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CANTORI DI NOSTOIStrutture giuridiche e politiche

delle comunità omeriche

M. Paola Mittica

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Copyright © MMVIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

tel. / fax 06 93781065

ISBN 88–548–0924–6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

I edizione: gennaio 2007I ristampa aggiornata: marzo 2007

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«Poiché il ritorno significa semplicemente questo, la possibilità che la vita si nutra di speranza»

F. Ferrucci, 1998.

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Avvertenze

Tutti i versi citati in traduzione dai poemi omerici sono tratti dall’Odissea, a cura di A. Privitera, Fondazione Lorenzo Valla, Mon-dadori, Milano 1981; e dall’Iliade, a cura di R. Calzecchi Onesti, Ei-naudi, Torino 1950. Dove si è intervenuto, sacrificando l’aspetto arti-stico con il solo fine di meglio evidenziare i rilievi giuridici contenuti nel racconto poetico, se ne dà indicazione segnalando il luogo tra pa-rentesi quadre.

Per quanto riguarda la traslitterazione del greco alfabetico, si è de-ciso, seguendo la prassi ormai vigente, di eliminare non solo spiriti e accenti, ma anche l’indicazione della quantità delle vocali.

Nella vastità della letteratura sui poemi omerici, si segnala infine che, pur menzionando le opere classiche nel merito delle questioni af-frontate, la bibliografia riferita nelle note privilegia le pubblicazioni più recenti e maggiormente diffuse.

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Indice

p.

Introduzione 9

Capitolo I

I canti di Omero 1. Archeologia dei poemi 2. Composizione e funzioni dell’epica 3. Poesia e memoria 4. I racconti dell’Odissea

13 17 22 25

Capitolo II Quasi un destino

1. Il ritorno di Ulisse 2. Il disegno dei Feaci 3. Il senso dell’avventura 4. Cantori omerici

29 32 40 47

Capitolo III Le comunità visitate dai cantori

1. Rappresentare la comunità 2. Le forme dell’economia e del lavoro 3. Le case dei nobili 4. Il banchetto e la piazza

53 55 64 73

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Capitolo IV Il valore del sangue

1. L’onore e la legge 2. Il premio o la vergogna 3. Il risarcimento dell’offesa 3.1. La reazione all’omicidio 3.2. L’offesa risarcita dal chreos 4. Il peccato di hybris 4.1. L’assemblea riunita da Telemaco 4.2. La vendetta dei Laerziadi

83 88 92 93 100 104 109 117

Conclusioni Alle origini del legame sociale 131

Bibliografia

137

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Introduzione

L’Odissea è flusso continuo. È un testo in movimento. Una storia che non si conclude, fatta di tante storie disposte a mutare a ogni nuovo racconto.

Quando studiai per la prima volta la società rispecchiata nei canti, la osservai come una società in costante divenire. Il divenire dell’ordine. L’interazione normativa nella società omerica, titolo del libro dedicato a quella ricerca, discendeva dall’ipotesi che la giuridi-cità trasposta nell’epica omerica riflettesse l’ordine sociale delle co-munità greche della Dark Age. Un ordine che emergeva da norme consolidate, ma che si andava ulteriormente componendo nel tentativo di porre in essere nuovi equilibri, come era possibile osservare analiz-zando le interazioni tra i vari personaggi. Il modello di comunità che ne derivò era più complesso di quanto fosse possibile ipotizzare appli-cando le categorie della sociologia e dell’antropologia, classicamente ascritte all’analisi delle società tradizionali. In particolare, la struttura giuridica di conflitti e dispute era riconducibile a un sistema che aveva ritualizzato la vendetta, rendendo il costo del sangue un prezzo sosti-tuibile da beni diversi dalla vita dell’offensore: merci o altre soluzioni, aventi la funzione fondamentale di impedire le faide familiari e pre-servare il patrimonio delle vite, indispensabile per la sopravvivenza stessa della comunità e la saldezza del legame sociale. Ricchezza e potere, alimentate dalla violenza e dal carattere competitivo dei perso-naggi, apparivano, come in qualunque altra compagine sociale, antica e moderna, le principali cause di conflitto. Tuttavia, nonostante queste fossero considerate tra i segni distintivi dell’essere eroico, la cultura omerica alimentava i dispositivi del controllo sociale, con altri valori e qualità da collegare all’onore personale, più adeguati alla condivisione e alla possibile convivenza pacifica, di modo che nessun uomo, incline all’eccesso e avente come obiettivo primario l’affermazione personale, potesse prendere il sopravvento.

Mi ero trovata, in breve, di fronte a una comunità raffinata a tutti i livelli: della struttura sociale, della dimensione giuridica in senso stretto e della gestione del potere.

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Introduzione

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Sarebbe stato impossibile non tornare su questa fonte inesauribile di ricerca, soprattutto dopo aver sviluppato una metodologia di analisi del racconto, che ha dato frutti interessanti in una successiva lettura dell’Orestea di Eschilo. Il percorso che proponiamo in questa nuova indagine sulle comunità e sugli universi giuridici rappresentati nei poemi omerici, muove, quindi, da una diversa prospettiva, privile-giando la possibilità di cogliere il punto di vista di coloro che li hanno composti.

Tale ricerca si inscrive per concetti e metodo nel quadro della teo-ria delle narrazioni giuridiche, a partire dal presupposto che la poesia come qualunque altra forma di narrazione possa provvedere, non sol-tanto alla conservazione e alla trasmissione culturale, ma anche e so-prattutto alla regolarizzazione di situazioni soggette alle continue crisi dell’ordine simbolico. In quanto strutturazione di nuove porzioni di senso, qualunque racconto, che abbia questa funzione definibile come “giuridica”, sarebbe utile a colmare le quote di indeterminatezza pre-senti nell’ordine sociale, offrendo combinazioni narrative efficaci per il mantenimento o la ricomposizione degli equilibri propri della con-vivenza.

Per l’evidente capacità di conferire un ordine simbolico, le storie tramandate dall’epica si prestano quindi a essere osservate come rac-conti giuridici e i loro cantori come demiurghi di un’arte della combi-nazione che consente di costruire nuove strutture di senso, servendosi di materiali narrativi propri della cultura e della memoria comune. La composizione svolge la funzione di archivio e di restituzione di tutte le norme, i valori e le competenze di queste società prevalentemente orali, ma è pur sempre composta da artisti che vi imprimono le proprie idee e ambizioni, tentando non solo di rispondere alle aspettative del pubblico, ma di influenzarlo se possibile. D’altra parte, i canti sono tramandati in un poema che ha una propria coerenza, in cui, seppure confluiscono tante trame a tratti prive di collegamento, è possibile rin-venire una logica unitaria che attraversa tutta la narrazione, quella forse di colui o di coloro che hanno combinato questi materiali nella forma monumentale che conosciamo.

Sul piano metodologico, si tratta di osservare l’epica a partire dalle condizioni in cui viene composta e dalle osservazioni e dai valori di chi la compone, senza dimenticarne la funzione sociale di testo della

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Introduzione

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memoria di quelle comunità riflesse nei canti e a cui si rivolgono gli aedi.

Al primo capitolo, introduttivo sull’archeologia dei poemi, segue una riflessione sulle possibili ambizioni dei cantori di Omero, rico-struita soprattutto attraverso la rappresentazione che i cantori danno di loro stessi, prevalentemente nell’Odissea. Quindi, nel terzo capitolo, si traccia un quadro sintetico delle comunità di questo periodo, facendo riferimento alle condizioni materiali della vita riflesse nelle descri-zioni dei contesti narrativi, nonché a quelle più propriamente giuridi-che, relative alle regole di comportamento consuete. Nel quarto capi-tolo, infine, si riprende l’analisi giuridica approfondendo le problema-tiche che interessano il sistema vendicatorio, in stretta corrispondenza con i valori propri della cultura dell’onore, la quale permea l’intero universo simbolico delle comunità omeriche. Pur confermando le ipotesi precedenti sulla funzione di tale sistema quale dispositivo di controllo e trattamento dei conflitti, in vista del mantenimento della solidarietà sociale e del minor dispendio possibile del patrimonio delle vite, in questo caso il quadro è sostanzialmente mutato. Precisandola, dal punto di vista degli aedi, infatti, la rappresentazione della vendetta dei Laerziadi assume valenze che inducono a ricostruire secondo una strategia unitaria le ragioni di Odisseo e Telemaco, in linea con il pro-getto pedagogico impresso nei canti volto alla proposizione di modelli di comportamento da promuovere o da condannare.

Più in generale, e prescindendo da quest’ultima parte in cui è oc-corsa una nuova analisi dei luoghi, le osservazioni nel merito specifico dei rilievi giuridici sono tratte dallo studio precedente, analizzato a suo tempo con la cautela filologica che si deve a questo testo, e a cui si rimanda sovente. Grazie al lavoro svolto per Il divenire dell’ordine, è infatti possibile fornire quadri più sintetici che consentano di discor-rere di questa cultura comunitaria secondo le mutate prospettive elette, con l’opportunità di precisare alcuni passaggi, di restituire talune ipo-tesi con maggiore chiarezza e incisività, nonché di segnalare nuova bibliografia di riferimento.

Tornare su questi temi ci consente, infine, di dare spazio a una ri-flessione sul valore della composizione odissiaca che superi quello di testimonianza antropologica e storico-giuridica delle società della Grecia fino al VI secolo a.C., per trattare questi versi come una fonte

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Introduzione

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in grado di restituire i nuclei concettuali all’origine del legame sociale, che sono stati l’asse portante di un sistema educativo della Grecia an-tica e riemergono in molte forme della cultura giuridica odierna.

Omero resta la mia più grande passione e ringrazio il prof. Giuliano Piazzi, che per primo ha voluto il corso di Antropologia giuridica sulla società omerica per la Laurea di secondo livello in Sociologia. Identità, memoria e mutamento sociale, presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino, attualmente confluita nel corso di laurea in Sociologia della multiculturalità. Un caro sentimento di gratitudine va poi ai nostri brillanti allievi, che mi hanno ripetutamente sollecitato in modo intelligente e critico, prestandosi a una divertente e fruttuosa complicità intellettuale.

S. Lazzaro di Savena, 3 dicembre 2006

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I canti di Omero 1. Archeologia dei poemi

Ogni volta che torniamo a confrontarci con le numerose riflessioni che hanno interessato i poemi omerici sotto i più vari aspetti riemerge preliminarmente il mistero della loro origine.

È davvero esistito Omero? Chi ha composto l’Iliade e l’Odissea? Quando? In quali circostanze e secondo quali tecniche compositive? I canti testimoniano di una società realmente esistita?1

La questione omerica data di fatto dal III sec. a.C., quando i primi problemi sull’origine dei poemi sono posti dalla scuola alessandrina. Gli studi, soprattutto sul versante della filologia, proseguono in Eu-ropa per tutta l’epoca medievale, finché non si incanalano all’inizio dell’età moderna nella disputa tra analisti e unitari, che dura quasi due secoli. Da una parte, gli unitari sono persuasi che i poemi siano opera di un unico poeta; dall’altra parte, gli analisti ritengono che i canti siano attribuibili a due o più autori. In ogni caso, si giunge alle soglie del 1900 senza che si dubiti che i poemi siano nati dalla scrittura2.

Un equivoco della stessa portata interessa gli studi storici, dove l’assenza di altre testimonianze lascia immaginare che le leggende

1 Per un’introduzione ai problemi che interessano i poemi, al livello della composizione ma anche in una prospettiva storico-comparativista, si rimanda a M.I. FINLEY, The World of Odysseus (1956), Penguin, Harmondsworth 1991, trad. it. Il mondo di Odisseo, Laterza, Roma-Bari 1978, ormai un classico, e più di recente a B. PATZEK, Homer und seine Zeit, C.H. Beck oHG, München 2003, trad. it. Omero e il suo tempo, Einaudi, Torino 2004; B.B. POWELL, Homer, Blackwell, Oxford 2004, trad. it. Omero, Il Mulino, Bologna 2006; E. SCHEID-TISSINIER, L’homme grec aux origines de la cité (900-700 av. J.C.), A. Colin, Paris 1999; P. VIDAL-NAQUET, Le monde d’Homère, Perrin, Paris 2000, trad. it. Il mondo di Omero, Donzelli, Roma 2001.

2 Esce dal coro di questa complessa tradizione della critica letteraria l’analisi di Vico. Nel 1730, infatti, Vico aggiunge alla Scienza nuova un terzo libro intitolato Della discoverta del vero Omero (in G.B. VICO, Opere, a cura di P. Rossi, Rizzoli, Milano 1959), in cui intuisce che la composizione dei poemi possa essere interve-nuta in una cultura essenzialmente orale, a opera di molteplici aedi e lungo un arco imprecisabile del tempo.

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Capitolo I 14

greche sull’età degli eroi narrate nei canti riflettano un passato reale. Si ritiene quindi che la guerra di Troia possa essersi davvero svolta e che le descrizioni di almeno parte delle società trasposte nei poemi si riferiscano alle condizioni sociali dell’epoca micenea.

Nel corso del 1900, tuttavia, le maggiori ipotesi maturate su Omero sono destinate alla falsificazione. Intersecandosi le une con le altre, le scoperte archeologiche e quelle della filologia conducono infatti verso teorie del tutto nuove.

Da una parte, con gli scavi di Schliemann nella penisola, quelli di Evans a Creta e il successivo deciframento della Lineare B, si verifica la mancata corrispondenza tra la testimonianza omerica e le informa-zioni su quella che deve essere stata realmente l’età degli eroi, databile tra il XX e il XII sec. a.C., al culmine della potenza di Micene. Gli ele-menti che si incontrano nei poemi riconducibili a quest’epoca sono pochi e in palese contraddizione con altre informazioni e costumi che invece pervadono la composizione3. Così le scoperte archeologiche suggeriscono che, dietro la narrazione delle gesta degli eroi, le società descritte nei poemi possano essere successive e si riferiscano alle co-munità della penisola greca di cultura mista esistite tra il XII e l’VIII sec. a.C. L’ipotesi più accreditata è che durante questo periodo, la Dark Age, la fastosa civiltà di Micene decada in seguito a una grave crisi economica che, con l’impoverimento generale, provoca anche la perdita della scrittura, già in uso presso i Micenei per l’amministrazione dei palazzi4.

3 Per la descrizione delle caratteristiche sociali e materiali di questa epoca si ri-manda a M.I. FINLEY, Early Greece. The Bronze and Archaic Ages, Chatto & Win-dus, London 1970, trad. it. La Grecia dalla preistoria all’età arcaica, Laterza, Roma-Bari 1982; G. PUGLIESE CARATELLI, Il mondo greco dal secondo al primo millennio a.C., in R. Bianchi Bandinelli (a cura di), Storia e civiltà dei Greci, vol. I, Bompiani, Milano 1979.

4 Per una sintesi dei temi che interessano le testimonianze micenee e della possi-bilità che i poemi si riferiscano prevalentemente alle comunità della Dark Age si ri-manda a M.L. WEST, «The Rise of Greek Epic», The Journal of Hellenic Studies, CVIII, 1988; B.B. POWELL, Homer and the Origin of the Greek Alphabet, Cambri-dge 1991; J. BENNET, Homer and the Bronze Age, e S. HOOD, The Bronze Age Con-text of Homer, ambedue in I. Morris, B. Powell (eds.), A New Companion to Homer, Mnemosyne (Suppl.), 163, Leiden-New York-Köln 1997. Cfr. inoltre A. ERCOLANI, Omero, Carocci, Milano 2006, cap. I-II.

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I canti di Omero 15

Il punto più interessante in cui si vanno a intersecare queste ipotesi con quelle dei grecisti è la circostanza che nelle comunità della Dark Age la scrittura possa essere stata dimenticata. Da qui in avanti, infatti, se la validità dei poemi omerici come testimonianza storica è condi-zionata all’esame delle modalità della composizione dei poemi, sul fronte opposto si abbandona definitivamente l’idea che i poemi ab-biano avuto origine dalla scrittura, per maturare il convincimento che si tratti di testi composti oralmente.

La cd. svolta oralista è data da Milman Parry, un filologo ameri-cano formatosi alla scuola linguistica francese, con una particolare sensibilità per l’antropologia. Egli ipotizza nel 1929 che la lingua dei poemi omerici si origini dall’improvvisazione orale di canti in esame-tri davanti a un uditorio presente, attraverso una forma di composi-zione tradizionale praticata probabilmente anche da cantori preome-rici. Come i guslar slavi, presso i quali Parry svolge una complessa ri-cerca comparativistica, i compositori dei canti di Omero sarebbero stati capaci di un’improvvisazione poetica basata sulla ripetizione di elementi strutturali utilizzabili nella composizione in modo molteplice sia a livello metrico che semantico. Si tratta di una modalità composi-tiva che si avvale di “formule”, ovvero di una serie di epiteti correlati a determinati nomi ripetuti costantemente nella stessa sede metrica, e di “nessi narrativi”, anch’essi costantemente ripetuti, facilmente individuabili anche nei testi omerici.

La composizione dei poemi si ipotizza essere avvenuta quindi per opera di cantori professionisti che si sarebbero esibiti ripetutamente in performances orali, il cui successo sarebbe stato affidato a una serie di soluzioni compositive in grado di risolvere metricamente il verso e di attenersi ai temi tradizionali senza scarti, consentendo all’artista di mantenere viva l’attenzione dell’uditorio.

Non tutti sono d’accordo sull’originalità della scoperta di Parry e sugli sviluppi più radicali derivati dalla sua scuola5. Vale in ogni caso

5 V. G. CERRI, Breve storia della critica e nuove prospettive, Introduzione a A. Ercolani, op. cit. Quanto agli sviluppi cui si fa riferimento, si tratta in particolare della tesi della dettatura che giustificherebbe come i poemi abbiano potuto conser-vare le caratteristiche della composizione orale sebbene siano stati tramandati in forma scritta. L’ipotesi che i poemi siano un complesso di canti composti oralmente e trasposti in testo scritto sotto dettatura è formulata per primo da Lord, allievo di

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Capitolo I 16

la risonanza che queste ricerche hanno avuto in quegli anni, con l’effetto di rivoluzionare gli studi in materia omerica, sottraendoli ai metodi tradizionali della filologia e della critica letteraria per conse-gnarli a una più ampia visione antropologica, dove lo studio dell’oralità non sarà più scisso da quello della funzione sociale della poesia nelle culture prive di scrittura6.

Nello studio del testo, agli elementi formulari si aggiunge successi-vamente l’individuazione della struttura tematica dei poemi, che prova a spiegare come il materiale epico, così vasto, possa essere stato rite-nuto in gran parte a memoria. E consente l’ulteriore ipotesi di una composizione monumentale dei poemi a opera di uno o due cantori (rispettivamente per l’Iliade e l’Odissea), i quali si sarebbero occupati di integrare parte dei materiali provenuti dalla tradizione e di farli tra-sporre in poemi scritti a partire dalla metà dell’VIII sec. a.C., epoca in cui si presume che la scrittura sia riemersa. Questa idea di una traspo-sizione dei canti in opere monumentali giustificherebbe, d’altra parte, la presenza in ambedue le composizioni di una struttura narrativa so-stenuta da una forte strategia espositiva e da una certa unitarietà di azione, che pure sono caratteristiche innegabili nei poemi7.

Quanto ai tempi della formalizzazione del testo per come lo cono-sciamo, si ipotizza in generale che la redazione dei poemi avvenga tra la metà dell’VIII e il VI sec., ma nulla esclude che sia completata an-che successivamente al VI sec. Non bisogna confondere, infatti, la stabilizzazione della materia del canto (ovvero il complesso dei rac-conti tradizionali), già chiusa verso la fine dell’VIII sec., con i conte-nuti di contesto e la forma della poesia, soggetti a variazione per ef-

Parry in un celebre studio del 1960, cfr. A.B. LORD, The Singer of Tales, Harvard U.P., Cambridge 1960, trad. it. Il cantore di storie, Argo, Bari 2005. Per le critiche a questo studio e alle elaborazioni successive si rimanda a R. JANKO, «The Homeric Poems as Oral Dictated Texts», Classical Quarterly, 48, 1998.

6 Il volume di R. FINNEGAN, Oral Poetry: Its Nature, Significance and Social Context, Cambridge U.P., Cambridge 1977 è un classico in tal senso; v. anche L.E. ROSSI, I poemi omerici come testimonianza di poesia orale, in R. Bianchi Bandinelli (a cura di), Storia e civiltà dei Greci, vol. I, Bompiani, Milano 1979.

7 L’ipotesi della composizione monumentale è introdotta da G.S. KIRK, The Songs of Homer, Cambridge U.P., Cambridge 1962. Attualmente risulta abbastanza seguita, sebbene con continue rivisitazioni.

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I canti di Omero 17

fetto delle performances fin quando la scrittura (poco diffusa ancora nel V sec.) non sarà diventata il principale strumento di comunica-zione e di composizione poetica.

A partire dalla fine dell’VIII sec., in altre parole, mentre si sarà pro-ceduto a una progressiva archiviazione in scrittura dell’epica, i canti saranno stati riproposti prevalentemente nelle forme della pubblica-zione e della diffusione orale almeno fino all’età classica. Ipotesi pe-raltro avvalorata dall’esistenza di rapsodi che nel V sec. e successiva-mente continuano a esibirsi attraverso vere e proprie performances, improvvisando sui temi tradizionali che ricombinano secondo le mu-tate esigenze dell’uditorio. L’esistenza di questi interventi, orali in origine ma interessati probabilmente in seguito anche dalla scrittura, è registrata nelle diverse contraddizioni che si incontrano nei poemi, sia al livello della lingua sia al livello della cultura trasposta in usi, co-stumi, tecniche di lavoro e di combattimento, a ulteriore riprova che la composizione omerica si svolge in diversi tempi e in diverse regioni della penisola greca8.

Sullo sfondo del canto delle gesta eroiche, su cui ruotano i temi tradizionali dell’epica, si va compiendo così una narrazione in cui confluiscono testimonianze di diverse realtà storiche, risalenti dalla Dark Age fino alla stabilizzazione del canto, e di epoche successive anche all’età buia, tanto che alla fine risulta poco testimoniata proprio l’epoca micenea, l’unica che per secoli è stata ritenuta speculare ai racconti di Omero. 2. Composizione e funzioni dell’epica

8 La tesi dell’esistenza di contraddizioni anche al livello della struttura episodica

conduce, inoltre, a immaginare una doppia stratigrafia nella composizione omerica, una di tipo linguistico-istituzionale, l’altra di tipo episodico-testuale, dove a episodi e sezioni di composizione più antica si affiancano anche quelli di composizione più recente. In proposito v. G. CERRI, Lo statuto del guerriero morto nel diritto della guerra omerica e la novità del libro XXIV dell’Iliade. Teoria dell’oralità e storia del testo, in Id. (a cura di), Scrivere e recitare. Modelli di trasmissione del testo poetico nell’antichità e nel medioevo, Ateneo, Roma 1986; ID., «Teoria dell’oralità e analisi stratigrafica del testo omerico», Quaderni Urbinati di Cultura Classica, 70, 2002.

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Capitolo I 18

Tra i tanti problemi ancora aperti9, l’aspetto della questione ome-rica su cui è necessario soffermarsi ai fini dei nostri obiettivi di inda-gine è quello del rapporto tra oralità e scrittura rispetto alla composi-zione e alla funzione dei canti.

Una poesia si definisce orale quando l’oralità interessa le condi-zioni essenziali della composizione, della comunicazione e della tra-smissione10. Diversamente, una poesia è aurale quando è un prodotto culturale caratterizzato sia dall’oralità che dalla scrittura. L’auralità è una condizione tipica delle società a cultura mista. In questi contesti, mentre la pubblicazione e la diffusione del prodotto poetico conti-nuano a essere orali, la composizione e la trasmissione del testo pos-sono avvalersi della scrittura.

Riconducendo questi elementi alla poesia omerica, è possibile spe-cificare ora l’ipotesi appena proposta circa la genesi dei poemi.

L’epica omerica manifesta in origine tutte le specificità di un testo orale, essendo caratterizzata da improvvisazione estemporanea (quanto alla composizione), performance (quanto alla comunicazione, pubblicità e diffusione), e tradizionalità (quanto alla trasmissione affi-data alla memoria).

Dalla fine dell’VIII al VI sec. a.C., quando la riemersione della scrittura permette l’inizio di una trascrizione in poemi, la progressiva archiviazione scritta dei canti non provoca cambiamenti nelle origina-rie modalità di comunicazione e diffusione, ma si limita ad accompa-gnare alla trasmissione mnemonica anche quella documentale. Il pas-saggio dalla cultura orale a quella basata sulla scrittura non è facil-

9 Il campo di ricerca è tanto affascinante quanto inesauribile, come giustamente

conclude nel suo volume R. DI DONATO, Esperienza di Omero, Nistri-Lischi, Pisa 1999. Per i temi del dibattito classico si rimanda a I. MCAUSLAN, P. WALCOT (eds.), Homer, Oxford U.P., Oxford 1998, aggiornati nei saggi raccolti da I. MORRIS, B. POWELL (eds.), A New Companion to Homer, Mnemosyne (Suppl.), 163, Leiden-New York-Köln 1997. Un utile repertorio bibliografico in costante aggiornamento è http://w3.u-grenoble3.fr/homerica/; mentre le recensioni dei lavori più importanti degli ultimi anni sono in http://www.rhul.ac.uk/Classics/resources/bmcrhomer.html.

10 B. GENTILI, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V sec., Feltrinelli, Milano 2006 (ed. aggiornata); dello stesso autore, v. anche Oralità e scrittura in Grecia, in M. Vegetti (a cura di), Oralità, scrittura, spettacolo, Bollati Boringhieri, Torino 1983.

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I canti di Omero 19

mente ricostruibile, tanto più che la scrittura nasce come uno stru-mento di archiviazione di dati, e anche dopo aver mutato la funzione originaria resta in ogni caso patrimonio delle élites aristocratiche per svariati secoli.

L’ipotesi più ragionevole è quella che immagina la composizione dei poemi omerici in un contesto culturale misto di oralità e scrittura, ovvero aurale, dove i cantori, aedi in origine e in seguito rapsodi nell’epoca classica e successive, continuano a improvvisare i canti dei poemi, ricomponendoli in parte a ogni performance, anche mentre la scrittura va affermandosi.

La composizione, la pubblicazione e la trasmissione dei poemi sa-rebbero caratterizzate, in definitiva, da una condizione di oralità se non assoluta, quanto meno primaria, dove la probalità che le perfor-mances avvengano progressivamente in un contesto di cultura aurale permette di giustificare la presenza nel testo di interventi compositivi anche scritti11.

Il momento della performance compositiva diventa, così, fonda-mentale per comprendere come prosegue la formalizzazione del testo omerico fino alla versione finale consegnata alla tradizione e per indi-viduare le diverse strutture sociali che vi sono rappresentate.

Il fatto che la composizione avvenga attraverso una performance improvvisata implica, innanzi tutto un rapporto diretto di influenza re-ciproca tra poeta e uditorio. Per mantenere viva l’attenzione, l’autore deve proporre una narrazione riconoscibile dallo spettatore che ha pre-cise aspettative nei suoi confronti. Presupposto di questa conoscibilità è il racconto di episodi e personaggi già noti, che deve essere però im-provvisato e comunicato secondo le strutture simboliche proprie della cultura attuale al poeta e al suo pubblico.

Vale a dire che nella recitazione dei canti si mescolano sia i temi tradizionali sia gli elementi contestuali della performance, con l’effetto di arricchire la narrazione di contenuti nuovi che si riversano successivamente nel patrimonio culturale della memoria comune.

11 Sulla composizione prevalentemente orale dei poemi, cfr. A. ERCOLANI, op.

cit., p. 64; sull’auralità del contesto culturale e della ricezione dei canti, v. S. NANNINI, Omero e il suo pubblico, Ateneo, Roma 1986, p. 20, e i relativi riferimenti bibliografici.

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Si tratta di un circuito circolare ben rappresentato dalla funzione attribuita al canto negli stessi poemi, ovvero quella di collegare pas-sato, presente e futuro, mantenendo salda la tradizione, pur integran-dola di quelle porzioni di simbolico necessarie a colmare le quote di indeterminatezza che si verificano all’interno dell’universo culturale e giuridico della comunità12.

Lo si comprende riflettendo sulle tecniche di memorizzazione uti-lizzate dai cantori, che mostrano come gli strumenti impiegati nella conservazione e nella trasmissione siano adeguati anche per la compo-sizione e per l’apprendimento dei canti da parte dell’uditorio13.

Il mezzo originario e più diffuso tra i cantori, attraverso cui poter conservare la composizione e tornare a trasmetterla oralmente, è in-fatti la ritenzione mnemonica: un’arte che gli aedi si tramandano di generazione in generazione, nell’ambito della stessa famiglia e in se-guito in seno a vere e proprie scuole. L’apprendimento mnemonico si realizza con l’uso ripetuto di un determinato ritmo, oppure di somi-glianze tematiche: elementi di un linguaggio tradizionale in cui la pa-rola o intere frasi si ritualizzano, collocandosi in un ordine fisso che mantengono a ogni ripetizione14. La ripetizione continua dei versi, ac-compagnata secondo la testimonianza omerica anche dalla musica che agevola il processo di memorizzazione, sortisce poi l’effetto di impri-mere in chi ascolta ciò che si narra, garantendo, con la diffusione di si-gnificati e regole comuni, anche il mantenimento dell’identità collet-tiva e il costante rinnovamento delle strutture simboliche preposte agli

12 V. FARENGA, «Narrative and Community in Dark Age Greece: A Cognitive

and Communicative Approach to Early Greek Citizenship», Arethusa, 31, 1998. 13 Il tema è ampiamente trattato, tra tanti, v. J. GOULD, Myth, Ritual, Memory,

and Exchange. Essays in Greek Literature and Culture, Oxford U.P., Oxford 2001; R. SCODEL, Listening to Homer. Tradition, Narrative, and Audience, The University of Michigan Press, Ann Arbor 2002.

14 E.A. HAVELOCK, The Muse Learns to Write. Reflections on Orality and Liter-acy from Antiquity to Present, Yale U.P., New Haven-London 1986, trad. it. La musa impara a scrivere. Riflessioni sull’oralità e l’alfabetismo dall’antichità a oggi, Laterza, Roma-Bari 2005.

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equilibri dell’universo culturale a cui si riferiscono le comunità in cui hanno luogo le performances degli aedi15.

I racconti narrati nei poemi funzionano in altre parole come un’“enciclopedia del comportamento” sia per il fatto di essere struttu-rati in modo da contenere regole, usi, stili di vita e altre informazioni relative alle società a cui i poemi sono rivolti, sia per la funzione di esortare il pubblico ad attenersi a quegli stessi codici16.

Distinguendo nella lingua omerica tra una “grammatica analitico-formale”, che si svolge al livello della sintassi, e una “grammatica an-tropologica”, che attiene al piano simbolico della lingua tenuto conto dell’impiego che ne fanno gli utenti, Havelock sostiene infatti che nella composizione dei canti entri in gioco in modo preponderante questa seconda forma di grammatica.

Di conseguenza, imprimendosi nei versi, la grammatica antropolo-gica renderebbe i racconti un vero e proprio reportage sociale, a cui poter attingere per individuare tanto il comportamento adottato se-condo regole condivise in una determinata situazione, quanto le strut-ture di specifiche relazioni sociali, di istituzioni e delle loro funzioni.

La particolare qualità didattica dei poemi omerici si giustifiche-rebbe, poi, per il fatto che nella grammatica antropologica vadano a immagazzinarsi anche direttive finalizzate alla guida e al controllo del comportamento stesso. Si tratterebbe di un insieme di precetti ipotetici di carattere etico, identificabili nel loro insieme sia come “giustizia” – sebbene nel senso che è proprio delle culture orali, dove prevale il ca-rattere pragmatico della morale e la giustizia si riferisce semplice-

15 Performance, oralità, società tradizionale e memorabilità sono una sola cosa con “la narrazione” sostiene A. ALONI, Cantare glorie di eroi. Comunicazione e performance poetica nella Grecia arcaica, Scriptorium, Torino 1998.

16 Questa tesi di Havelock, in E.A. HAVELOCK, J.P. HERSHBELL (eds.), Communication Arts in the Ancient World, Hastings, New York 1978, trad. it. Arte e comunicazione nel mondo antico, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 4, è anticipata in buona misura da quella di Murray, il quale introduce il concetto di “libro tradizio-nale”: strumento pedagogico primario per molte culture, che per questa funzione, come ricorda Cerri, viene conservato attraverso i secoli ma anche ristrutturato e am-pliato senza posa affinché possa svolgere efficacemente il proprio compito col pas-sare del tempo. Cfr. G. MURRAY, The Rise of Greek Epic, Oxford U.P., Oxford 1934, trad. it. Le origini dell’epica greca, Sansoni, Firenze 1964 e G. CERRI, Breve storia della critica e nuove prospettive, cit., pp. 24-5.

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mente a una pluralità di regole per le singole azioni17 – sia più in gene-rale come indicazioni valoriali e normative, finalizzate alla realizza-zione della solidarietà al livello comunitario, intesa come bene co-mune18.

In conclusione, l’epica svolgerebbe efficacemente una funzione di carattere giuridico, sia immagazzinando e ritrasmettendo moltissime informazioni utili a diversi livelli della vita, sia fornendo modelli di comportamento e indicazioni di valori. Il processo narrativo che attra-versa i poemi si presterebbe ulteriormente a operare una continua re-golarizzazione situazionale, utile a colmare le quote di indetermina-tezza presenti nell’ordine sociale, offrendo combinazioni narrative ef-ficaci per il mantenimento di equilibri identitari e propri della convi-venza19.

Gli artisti di quest’arte della combinazione sono i cantori: gli aedi, e più tardi i rapsodi, corrispondenti dei guslar slavi le cui perfoman-ces hanno illuminato gli studi sulla composizione omerica. Sono gli aedi stessi a dare memoria di sé, raccontandosi nella loro realtà attra-verso la poesia, nel modo più efficace e complesso, denunciando le condizioni in cui vivono, spesso difficili, ma anche ribadendo le speci-ficità e l’importanza vitale del loro compito, come avremo modo di vedere da qui a poco. 3. Poesia e memoria

Considerate le particolari circostanze della composizione orale, il problema di comprendere quali testimonianze conservino i poemi si sposta sensibilmente dall’esigenza di indagare nei canti un riscontro

17 E.A. HAVELOCK, The Greek Concept of Justice. From its Shadow in Homer to Its Substance in Plato, Harvard U.P., Cambridge1978, trad. it. Dike. La nascita della coscienza, Laterza, Roma-Bari 1983.

18 L’attenzione al bene comune è presente in Omero. La solidarietà al livello co-munitario è il fine di tutte le indicazioni valoriali e normative presenti nei poemi. Così A. FOUCHARD, «Homère et le bon ordre politique», Gaia, 7, 2003.

19 Le storie tramandate dall’epica sarebbero in definitiva molto prossime a quelle che altrove abbiamo definito come racconti giuridici. Cfr. M.P. MITTICA, Raccon-tando il possibile. Eschilo e le narrazioni giuridiche, Giuffré, Milano 2006.

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effettivo delle società storicamente collocabili tra il XII e l’VIII sec. a.C., o successive, per osservare piuttosto in essi l’espressione com-plessa di una memoria, la quale identifica quella cultura che governa la vita delle comunità in cui i cantori svolgono la propria arte.

La poesia di Omero è memoria e, diversamente dalla storia, non può essere valutata in termini di attendibilità, di ordine temporale o di coerenza concettuale. Esiste grazie alla ripetizione di storie che, nello svolgere la funzione più manifesta dell’intrattenimento, perpetuano le strutture culturali che provvedono alla sopravvivenza delle comunità tradizionali, e inavvertitamente si rinnova per rispondere alle esigenze comunicative della performance.

La memoria si nutre di oralità e di leggende, di miti. È ricordo contro l’oblio imposto dalle procedure selettive della storia. Vive di un tempo che sfugge alle trincee delle cronologie, fatto di ripetizioni che le consentono di perpetuarsi e di mutare costantemente. Anche per questo il metodo storico non riesce a misurarne l’ordine.

I racconti che si sono riversati nelle due composizioni monumentali dell’Iliade e dell’Odissea sono canti che poeti senza nome ripropon-gono, attingendo a un patrimonio di conoscenze tramandato tradizio-nalmente, per un pubblico che non ha ancora altra memoria, ma che attraverso queste narrazioni può strutturare e conservare la propria identità, sopravvivere e innovarsi.

Le caratteristiche della composizione orale offrono, in altre parole, la possibilità di comprendere secondo una più ampia prospettiva an-tropologica come la memoria possa sia svolgere la sua funzione di tra-smissione culturale, facendo uso delle tecniche narrative, sia introiet-tare quegli elementi di novità che vanno arricchendo il proprio patri-monio simbolico.

Al di là delle esigenze puramente pragmatiche di sopravvivenza e di ordine giuridico delle comunità, l’epica provvede inoltre alla ripro-posizione degli archetipi che sono all’origine del legame sociale e dell’ambiguità a questo intrinseca, nonché a restituire il senso del li-mite che è proprio della vita dei mortali. Sarebbe ingenuo leggere nei poemi soltanto un reportage sociale. I racconti degli aedi si nutrono del nucleo più originario di materiali mitici che portano in sé l’inquietudine di verità non conoscibili, che gli uomini devono sapere di non poter penetrare. L’epica offre tante scene quante sono le possi-

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bilità con o senza soluzione. I mortali descritti dai cantori omerici sono nostalgici di un’età degli eroi che non esiste più. Né è possibile osservare il mondo senza dubbi, ambiguità o meschinità, o privo di violenza, tranne che nell’utopia, un racconto tra altri dell’Odissea. In questo senso è forse più opportuno comprendere la funzione educativa che è stata attribuita ai poemi sin dall’antichità.

Nella narrazione omerica si riversano quindi tutti gli elementi che interessano l’esistenza degli spettatori a cui si rivolgono: dalle regole pratiche per costruire una zattera, al senso del proprio status e delle gerarchie sociali; dalla soggezione agli dèi, che è misura della condi-zione mortale, alla valutazione dell’intelligenza umana; fino alla pos-sibile saggezza degli uomini nel trattamento di una violenza inesauri-bile.

Questa capacità di portare con sé i nuclei archetipici del mito, rende, allo stesso tempo, la composizione omerica un patrimonio non esclusivo della cultura greca antica. I poemi custodiscono la memoria delle origini dell’Occidente, che non cessa di riproporsi come essenza delle strutture portanti dei sistemi sociali della modernità e degli stessi percorsi identitari dell’uomo contemporaneo. Omero è un testo poe-tico fuori dalla storia, ma intimamente presente nello svolgersi del tempo storico.

Il nostro universo di analisi può dunque essere racchiuso in unico documento. Poiché il testo omerico, fatto di passato e di memoria, di racconti e di incessanti ritorni, è una delle più autentiche tra le nostre realtà.

È doveroso precisare, sin da ora, che lo studio dei canti omerici pro-posto si occuperà principalmente dell’Odissea, facendo riferimento all’Iliade solo per i necessari collegamenti. Pur provenendo dallo stesso substrato culturale e avendo caratteristiche strutturali comuni dal punto di vista compositivo, nella forma finale con cui ci sono pervenuti, i poemi sono riferibili più in generale a due forme dell’epica distinte, “eroica” e “domestica”20, in quanto attingono dal ciclo troiano due se-

20 La distinzione è consolidata in letteratura, tra altri, v. R.B. RUTHERFORD,

«From the Iliad to the Odyssey», Bulletin of the Institute of Classical Studies, 38, 1991-1993.

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rie di racconti, l’una incentrata sull’assedio di Troia e l’altra sui ritorni (nostoi)21.

I canti iliadici rispecchiano un conducimento della vita societaria condizionato dallo stato eccezionale della guerra, dove il racconto della violenza si esprime secondo lo schema più evidente dei conflitti tra comunità diverse, e il giudizio sulle qualità umane si misura prevalen-temente mediante il modello dell’eroe guerriero. La violenza che si esprime attraverso la guerra è contrasto con-diviso, come nell’Iliade non si manca di sottolineare con grande raffinatezza le volte in cui re-stituisce la perfetta mimesi tra i nemici. Tuttavia si tratta pur sempre di una condivisione non mediabile e volta alla fine, poiché richiede vin-citori e vinti.

L’Odissea presenta al contrario un complesso di temi che permet-tono in modo maggiormente diretto la comprensione sia della vita ordi-naria delle comunità trasposte nei canti e dell’etica degli attori omerici, sia dei conflitti che insorgono all’interno della comunità, più complessi e rivelatori dei meccanismi di mediazione della violenza, più interes-santi in definitiva per lo studio delle strutture archetipiche della solida-rietà sociale. 4. I racconti dell’Odissea

Alla fine della guerra di Troia, gli Achei vincitori ritornano alle loro terre carichi di ricchezze. Non tutti però ritrovano la via, e ai no-stoi spetterà raccontarne le peripezie.

Trascorsi venti anni di esilio, Atena decide d’accordo con Zeus di porre fine alla sofferenza di Odisseo, da sempre il suo protetto, e di pilotare il suo difficile ritorno. Giunto alla corte dei Feaci, ai quali è stato assegnato l’ultimo destino di riaccompagnarlo a casa, il protago-nista racconta di innumerevoli sofferenze, di viaggi avventurosi e di come sarebbe stato costretto a vivere nell’isola di Ogigia, finché la ninfa Calipso l’avrebbe lasciato libero.

21 Sul ciclo troiano e i poemi omerici, si rinvia alle osservazioni di A. ERCOLANI,

op. cit., p. 113 ss.

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Il corpo di questi racconti interessa quasi otto libri dell’intera com-posizione, dal V al XIII, e sono quelli più attraenti poiché investono in certa misura la sfera del fantastico. Tuttavia non sono da considerare soltanto come delle favole volte all’intrattenimento. Chi li raccoglie tutti in un unico lungo racconto di Odisseo presso la corte dei Feaci ha un disegno preciso da compiere.

Nella descrizione tramandata dagli aedi, l’isola di Scheria è il luogo della felicità sociale. I Feaci sono soltanto uomini, ma possiedono quella saggezza che è l’unica a poter garantire la pace in perpetuo. Non sono coinvolti in guerre e non hanno conflitti tra loro che non possano essere risolti. Le regole di vita e della politica comunitaria sono quelle di qualunque altra società, ma qui sono rispettate senza al-cuna inquietudine. La violenza è stata completamente ritualizzata. Una società equilibrata, dunque, e tuttavia isolata rispetto allo spazio e al tempo, il cui futuro non può essere segnato se non da una profezia, che si compirà proprio attraverso il contatto inevitabile con Odisseo e veicolerà la loro fine.

A questa corte idealtipica, il protagonista del poema, rappresentato come pari dei Feaci e aedo egli stesso, racconta dei suoi viaggi trac-ciando un modello di società che va divenendo diametralmente oppo-sto a quello di Scheria, per culminare nella descrizione del modo di vita dei Ciclopi. Costoro sono inospitali, non hanno leggi comuni poi-ché non conoscono alcuna forma di convivenza comunitaria, e sono violenti oltremisura.

Nell’economia dei valori rappresentati dagli aedi, la società e il ca-rattere dei Feaci sono espressione dei modelli positivi a cui tendere, mentre i Ciclopi incarnano la degenerazione delle qualità degli uomini e delle loro possibili forme di convivenza. Possono essere interpretati quindi come due idealtipi di comunità collocati agli estremi opposti di una scala di valori, che vanno dall’estrema negatività all’utopia, aventi la funzione di fornire a coloro che svolgono le performances, i modelli a cui riferirsi nel descrivere le qualità dei personaggi e giudicare le azioni e i comportamenti che vanno raccontando.

I primi quattro libri del poema interessano la situazione presente a Itaca e i viaggi di Telemaco alla ricerca del padre. Nell’isola di Itaca, l’assenza del sovrano ha creato una situazione complicatissima. Sicuri della morte di Odisseo, i molti pretendenti alla mano di Penelope si

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fanno avanti, e quando si stancano dell’attesa ingiustificabile a cui li costringe la regina, raggirandoli, invadono il palazzo reale e obbligano la famiglia del re a un’ospitalità forzata, finché una scelta non venga fatta.

Quando Atena decide di far tornare Odisseo a casa, Telemaco, il fi-glio, pare avere già l’età necessaria per prendere le redini della situa-zione. Guidato dalla stessa dea, egli parte alla ricerca di notizie sul conto del padre; deve, infatti, sincerarsi del suo ritorno o della sua morte per acquistare la propria libertà decisionale e tentare di porre fine ai danni provocati dai pretendenti e dall’ostinazione della madre. Si reca, così, dai principi alleati tornati da Troia già da tempo22.

Questa parte del poema è quella che maggiormente si può ricon-durre a una rappresentazione realistica delle comunità degli uomini vi-sitate dagli aedi. Con Itaca sono rappresentati anche i regni di Pilo e Lacedemone (Sparta), dove si può vivere in pace se i mortali osser-vano saggezza, ma non per questo si tratta di convivenze aliene dal conflitto, soprattutto laddove finisca con il prevalere la tracotanza. Sono società che conoscono forme di ritualizzazione della violenza, ma in cui non sono mai cessate le lotte per il potere, dove l’avidità di gloria e di ricchezza conduce a rivalità e competizioni spesso luttuose. Ed è probabile che siano proprio questi uomini quelli a cui gli aedi in-dirizzano i valori di Scheria.

Dal XIII libro fino al XIV, invece, si narra del rientro di Odisseo e del figlio a Itaca in funzione della vendetta che si compie sui preten-denti.

22 Si pensa che originariamente la storia di Telemaco fosse indipendente dall’Odissea; nella Telemachia, infatti, si ripetono essenzialmente i temi della ven-detta arcaica, del viaggio e del ritorno dell’eroe, tipici della narrazione del ciclo dei nostoi. Il sostanziale parallelismo tra le vicende di Odisseo e quelle di suo figlio, nonché la genesi di questo ipotetico gruppo di canti, resta, però, un problema ancora per molti versi irrisolto. Nell’ambito dello studio sulla struttura del poema odissiaco, in questa sede si concorda tendenzialmente con la tesi di S. West. Rinvenendo, in-fatti, un profondo collegamento tra la Telemachia e il resto dei canti, si conclude con l’autrice per l’ipotesi di un recupero non casuale di questi versi da parte del siste-matore dell’Odissea, anzi: sembrerebbe proprio la Telemachia a fare delle avventure di Odisseo il nucleo centrale del poema, e andrebbe considerata, per questo, come parte integrante dell’opera finale pervenutaci. Cfr. S. WEST, Introduzione ai libri I/IV dell’Odissea, in Odissea, trad. di A. Privitera, Mondadori, Milano 1981.

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Come certamente si ricorderà, travestito da mendicante, Odisseo si reca in un primo tempo alla capanna di Eumeo, il famoso guardiano dei porci che è tra i pochi servitori rimastigli fedeli, al fine di verifi-care lo stato reale della situazione che lo attende. Si fa riconoscere solo da Telemaco, giunto anch’egli alla capanna del servo sotto la guida di Atena. Successivamente, il protagonista torna a palazzo mantenendo le sembianze di mendicante e, mentre misura l’eccesso di cui si sono resi colpevoli i pretendenti, organizza indisturbato il suo piano. Il racconto raggiunge l’acme quando Penelope comanda la gara dell’arco, durante cui Odisseo svelerà il suo ritorno dando inizio alla strage. A vendetta compiuta, il poema si conclude con la stipulazione dei patti di pace tra il protagonista e i familiari degli uccisi, grazie an-cora una volta all’intervento degli dèi, che si rivelano come gli unici a poter reintegrare la solidarietà comunitaria.