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Poste italiane spa • spedizione in abbonamento postale 70% Roma • AUT. MP-AT/C/RM/AUT.14/2008 ISSN 2421-1273 www.poliziapenitenziaria.it ANNO XXVII NUMERO 288 NOVEMBRE 2020 SOCIETÀ GIUSTIZIA & SICUREZZA SPECIALE 15 dicembre 2020: Trentennale del Corpo di Polizia Penitenziaria

15 dicembre 2020: Trentennale del Corpo di Polizia Penitenziaria...Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe [email protected] l Corpo

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242

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www.poliziapenitenziaria.it

ANNO XXVII NUMERO 288 NOVEMBRE 2020

SOCIETÀ GIUSTIZIA & SICUREZZA

SPECIALE

15 dicembre 2020: Trentennale del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020 • 3

Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Direttore responsabile: Donato Capece [email protected] Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis [email protected] Capo redattore: Roberto Martinelli [email protected] Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni Battista de Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme

In copertina: Il libro edito dal DAP sulla Riforma dell’Amministrazione penitenziaria del 15 dicembre 1990

CONTEST FOTOGRAFICO I vincitori di questo mese sono Fabiano ed Elsa CINEMA DIETRO LE SBARRE The Informer - Tre secondi per sopravvivere a cura di G. B. de Blasis CRIMINI E CRIMINALI Oltre ogni ragionevole dubbio: il delitto di Garlasco di Pasquale Salemme MONDO PENITENZIARIO La muta di Portici e la cieca di Sorrento di Francesco Campobasso CUCINA E DINTORNI Plumcacke al cioccolato - di Fulvia Di Cristanziano L’ANGOLO DELLE MERAVIGLIE Matera, la città millenaria scavata nella roccia di Antonio Montuori COME SCRIVEVAMO Il 9 luglio sarà celebrato il Giubileo nelle carceri di Roberto Martinelli

Per ulteriori approfondimenti visita il nostro sito e blog: www.poliziapenitenziaria.it

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo

di Polizia Penitenziaria

Chi vuole ricevere la Rivista al proprio domicilio, può farlo versando un contributo per le spese di spedizione pari a 25,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 35,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il conto cor-rente postale numero 5 4 7 8 9 0 0 3 intestato a: POLIZIA PENITENZIARIA Società Giustizia e Si-curezza Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma, specifi-cando l’indirizzo, completo, dove va recapitata la rivista. Si consiglia di inviare la copia del bollettino pagato alla redazione per velocizzare le operazioni di spedizione.

Edizioni SG&S

EDITORIALE Contratto e FESI, passare dalle parole ai fatti di Donato Capece IL PULPITO Breve storia di una riforma attesa 117 anni di Giovanni Battista de Blasis IL COMMENTO Carceri e Covid-19: amnistia e indulto sono una soluzione? di Roberto Martinelli L’OSSERVATORIO POLITICO Rinnovo contrattuale per il Comparto Sicurezza di Giovanni Battista Durante SPECIALE: TRENTENNALE DEL CORPO Storia della Polizia Penitenziaria Brevi cenni storici sugli Agenti di Custodia CRIMINOLOGIA Criminologia degli effetti dell’informazione sulla violenza: emulazione o catarsi? di Roberto Thomas

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Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 • fax 06.39733669 e-mail: [email protected] web: www.poliziapenitenziaria.it Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi www.mariocaputi.it “l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2020 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati) Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18 luglio 1994 Cod. ISSN: 2421-1273 • ISSN web : 2421-2121 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: Novembre 2020 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

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elle ultime settimane si sono tenuti, tra gli altri, diversi incontri - in video-conferenza - per quanto concerne il rinnovo

contrattuale e la definizione dell’accordo FESI per l’anno 2020. In occasione del rinnovo contrattuale (27 ottobre), il SAPPE ha inteso evidenziare la necessità di incrementare le risorse, assolutamente insufficienti per un contratto dignitoso per gli uomini e le donne delle Forze dell’ordine, in particolare della Polizia Penitenziaria che garantisce l’ordine e la sicurezza nelle carceri e fuori dalle carceri, attraverso le traduzioni, i piantonamenti, il servizio di polizia stradale, il monitoraggio dei detenuti islamici e la lotta alla criminalità organizzata. Le risorse attuali devono essere impiegate per il trattamento fisso tabellare, ed è per questo che abbiamo quindi chiesto al Governo di stanziare ulteriori risorse per la parte accessoria: per poter adeguatamente incrementare le varie indennità per il personale che lavora in sezione, fa i turni festivi, super festivi, notturni. Il 19 novembre, poi, si è tenuto l’incontro per la definizione dell’accordo FESI 2020: preliminarmente ho stigmatizzato, ancora una volta, il fatto che gli incontri per la definizione dell’accordo si caratterizzino per gli eccessivi ed ingiustificati ritardi tali da far sì che, a novembre inoltrato, ancora non è definitivo il FESI dell’anno in corso. Ciò premesso, il SAPPE ha chiesto l’introduzione di una indennità operativa aggiuntiva, così retribuita: turno 24/08 € 7,00 - turno 08/16 € 4,50 - turno 16/08 € 5,50. Ciò per compensare i disagi di coloro che lavorano in particolare “in prima linea” nelle Sezioni detentive e perché è un dato oggettivo che gli eventi critici contro gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria

popolazione detenuta in rivolta. In quei drammatici giorni, dove hanno perso la vita ben 13 ristretti, dove si sono avuti decine e decine di agenti feriti e calcolati danni ai beni dell’Amministrazione penitenziaria per quasi 40 milioni di euro, si è presa piena consapevolezza della criticità e dell’inefficacia dell’intero sistema della sicurezza nelle carceri italiane. Non a caso, è stato chiesto che le assenze legate all’emergenza sanitaria (positività e quarantena) concorrano all’attribuzione della corrispondente indennità prevista nell’abituale e continuativa attività di servizio. Il SAPPE ha quindi chiesto una revisione tale da prevedere un aumento delle somme previste per coloro i quali prestano servizio in sedi disagiate, per il bonus di presenza in servizio e per i Comandanti di reparto e Coordinatori di Nuclei TP, ovviamente a seconda del livello dell’Istituto e della consistenza organica dei Nuclei. In entrambi i consessi, rinnovo contrattuale e Fesi, abbiamo rivendicato con forza che la Polizia Penitenziaria è formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante lavoro credono nella propria professione, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano ogni giorno. Ed è per questo che abbiamo rivendicato, rivendichiamo e rivendicheremo sempre una attenzione anche in termini economici per gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in particolare verso coloro che lavorano “in prima linea” nelle Sezioni detentive. Passare dalle parole ai fatti, dunque, e dare un senso concreto alle dichiarazioni di vicinanza e solidarietà.

Donato Capece Direttore Responsabile

Segretario Generale del Sappe

[email protected]

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sono aumentati in maniera spaventosa. Ogni giorno giungono notizie di aggressioni a donne e uomini del Corpo in servizio negli Istituti penitenziari del Paese, sempre più contusi, feriti, umiliati e vittime di violenza di una parte di popolazione detenuta che non ha alcuna remora a scagliarsi contro chi in carcere rappresenta lo Stato. E il SAPPE ritiene dunque compensare, almeno in parte, tutto ciò prevedendo una nuova indennità operativa.

Ho quindi proposto di individuare uno sdoppiamento di indennità cui destinare la somma di circa 2 milioni di euro stanziata per compensare i servizi ed i disagi connessi in relazione alle recenti e note rivolte di marzo e al Covid-19. La proposta è dunque stata quella di prevedere una indennità di rischio sanitario ed una indennità per eventi critici, sì da distinguere le due fattispecie e sollecitare lo stanziamento di ulteriori fondi, essendo state ed essendo le due previsioni significative sul servizio svolto. Chiara dimostrazione del pericoloso pregiudizio all’ordine e alla sicurezza pubblica, si è avuta con i noti e tragici fatti delle sommosse avvenute nei giorni del marzo scorso in cui 23 istituti, da nord a sud d’Italia, sono stati letteralmente messi a ferro e fuoco dalla

Contratto e FESI, passare dalle parole ai fatti

Nella foto: agente di

Polizia Penitenziaria in una Sezione

etentiva

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Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe [email protected]

l Corpo degli Agenti di Custodia prese i natali dalla Legge n.1404 del 23 giugno 1873, che ha riordi-nato il personale addetto alla custo-

dia degli stabilimenti carcerari di tutti gli Stati pre-unitari. A quei tempi il lavoro dentro le carceri era davvero umiliante e degradante perché il personale si occupava, esclusivamente, di aprire e chiudere cancelli o di sbattere le sbarre, rigorosamente isolato dal resto della società civile. Un lavoro, oltretutto, regolamentato da norme assurde e vessatorie, che offende-vano la dignità umana e professionale degli agenti. Il regolamento carcerario del 1891, ad esempio, permetteva ad un agente di con-trarre matrimonio solamente dopo otto anni di servizio, a condizione che posse-desse un capitale di almeno tremila lire e previa autorizzazione del Ministero dell'In-terno; gli agenti accasermati avevano solo due ore di libera uscita giornaliera ed erano previste un numero praticamente illimitato di infrazioni disciplinari. Inevitabilmente, in una situazione di pro-fondo disagio, iniziarono a levarsi le prime voci di protesta del personale. Già nel 1906 e nel 1908, a Milano e a Roma, gli agenti cominciarono a denun-ciare abusi di potere e soprusi, nonché le rappresaglie dei superiori di ogni genere, provando ad avanzare alcune minime ri-vendicazioni: riduzione dell'orario di lavoro da dodici a otto ore giornaliere ed una giornata di libertà ogni quindici giorni, ma che, purtroppo però, rimasero inascoltate. Le proteste continuarono nel 1913 e nel 1914 nelle carceri di Noto, Roma, Padova, Catania e Fossano, e nacque un comitato segreto degli Agenti di Custodia in Pie-monte e Lombardia che inviò un memo-riale all'allora Ministro dell'Interno Salandra. Dopo la Prima guerra mondiale si comin-

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Breve storia di una riforma attesa 117 anni

ciò anche a sentir parlare di una federa-zione degli Agenti di Custodia, ma an-ch’essa non portò ad alcun risultato. Anzi, le proteste degli agenti provocarono l’intervento del Ministro della Guerra e dell'Autorità di Pubblica Sicurezza che predisposero, addirittura, un'operazione di spionaggio all'interno degli istituti peni-tenziari, inviando degli investigatori che, travestiti da Agenti di Custodia, cercarono di individuare gli elementi più pericolosi per segnalarne, in anticipo, le intenzioni. Nel 1937 arrivò un nuovo Regolamento per il Corpo che, tuttavia, non recepì in alcun modo le richieste e le aspettative del personale. Si pensi, ad esempio, al divieto sancito dall'articolo 183 di prestare servizio nelle carceri esistenti nella provincia di origine propria o della moglie, cautela usata solo per gli Agenti di Custodia e non per il per-sonale civile o per i direttori, ugualmente esposti al pericolo di illecite ingerenze esterne. Nel 1945, dopo la Seconda guerra mon-diale, il Corpo fu addirittura militarizzato. Dopo un certo periodo di calma apparente, negli anni Sessanta, ricominciarono pian piano le lamentele del personale. Nel 1976, nel carcere milanese di San Vit-tore, prese il via un nuovo ciclo di proteste che, a distanza di pochi giorni, furono ri-prese anche in Sicilia dove gli agenti si au-toconsegnarono in carcere. Finalmente, nel 1977 comparve in Parla-mento la prima proposta di legge di ri-forma del Corpo degli Agenti di Custodia. La stessa proposta fu ripresentata nella successiva legislatura (VIII) col titolo “Istituzione del Corpo Nazionale di Vigi-lanza Penitenziaria”. L’atto parlamentare più importante fu, però, il Disegno di Legge 223 presentato in Senato da Ersilia Salvato il 12 ottobre 1983, relatori i senatori Mario Gozzini (padre di una successiva riforma dell’ese-

Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020 • 5

cuzione penale) e Franco Castiglione (che diventerà più tardi Sottosegretario di Stato alla Giustizia). A quel tempo, erano in servizio negli isti-tuti penitenziari circa 18.000 uomini a fronte di una popolazione detenuta di 40.000 unità, ristrette in strutture ina-deguate, fatiscenti e gravemente insuffi-cienti, con solo 26.000 posti disponibili. Una tale situazione costringeva il perso-nale a turni di lavoro massacranti e inac-cettabili (dieci e anche dodici ore al

giorno), con non più di due giornate di ri-poso al mese e ferie spesso dilazionate e, quasi sempre, ridotte. Gli anni Ottanta sono stati, infine, quelli della svolta. Altre cinque proposte di legge approda-rono in Parlamento, presentate da PCI, PSI, FEE ed MSI (praticamente tutto l’arco costituzionale). Dopo qualche anno di discussioni parla-mentari, alla fine, il 17 ottobre del 1990 le proposte furono tutte unificate in un ar-ticolato governativo presentato dall’allora Ministro di Grazia e Giustizia Giuliano Vassalli (AC 4736) che sarà, poi, definiti-vamente approvato il 29 novembre 1990 al Senato. Diventerà la legge 15.12.1990, n. 395 che sarà pubblicata sulla (per noi) storica Gazzetta Ufficiale n. 300 del 27 dicembre 1990. l

Nella foto: Giuliano Vassali, Ministro di Grazia e Giustizia all’epoca della riforma

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el nostro Paese, periodicamente, si torna a parlare di amnistia ed indulto per trovare una soluzione al co-stante sovraffollamento. E’ il solito vizio italico: piuttosto che costruire le nuove

carceri che servono, si fanno uscire un po' di detenuti e, per un po', la situazione torna alla normalità. Nel frattempo, non ci si preoccupa di costruire nuove case di pena e di fare riforme strutturali: dopo pochi mesi, inevitabile, tutto torna come prima e ancora una volta sentiamo parlare di amnistia ed indulto, con buona pace della certezza della pena e della sua effettività.

Eppure, decine e decine sono stati i provvedimenti di clemenza dal Dopoguerra ad oggi. Per citarne uno, l’ultimo provvedi-mento di indulto, era il 2006, interessò oltre 30mila detenuti ma dopo pochi mesi buona parte rientro nelle patrie galere e tutto tornò come prima. Amnistia ed indulto, dunque, sono stati visti più come provve-dimenti svuota-carceri per deflazionare il sovraffollamento delle carceri piuttosto che provvedimenti di clemenza. Questo perché, lo abbiamo detto, le attuali strutture penitenziarie non sono sufficienti. L’attuale Governo sembrava volere trovare una soluzione, nel contesto del Recovery Fund (ossia Fondo di recupero, stru-mento più volte richiesto dall’Italia con l’obiettivo di “arginare l’impatto devastante del coronavirus”, indicando espressa-mente quattro voci del sistema penitenziario nazionale cui de-stinare i fondi europei. Lo ricordò un giornalista sempre attento alle tematiche del-l’esecuzione della pena come Damiano Aliprandi, che ne scrisse

in un articolo apparso a settembre su Il Dubbio nel quale non risparmiò le sue critiche. Il Governo chiese all’Unione Europea 300 milioni di euro per la voce “Architetture per la rieducazione” con questa motiva-zione: «Riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenzia-rio mediante interventi di miglioramento della performance funzionale, in termini di aumento della capacità ricettiva dei complessi penitenziari, di lotta al sovraffollamento e di realiz-zazione di nuove strutture edilizie, sempre più vicine alle ordi-narie strutture urbane, finalizzate all’obiettivo della rieducazione e del reinserimento sociale». Altri 45 milioni sono stati chiesti per i cosiddetti “lavori di pub-blica utilità”, ovvero quelli non pagati e dove i detenuti decidono di lavorare a titolo volontario. La terza voce riguardava la prevenzione antisismica. Con una richiesta di 300 milioni, viene così motivata: «Riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenziario mediante interventi di miglioramento della performance strutturale, in termini di mantenimento della capacità ricettiva dei complessi peniten-ziari, anche in situazioni critiche per la sicurezza e l’ordine pub-blico (ad esempio, eventi sismici rilevanti)». La quarta e ultima voce è presentata con il titolo “Remote Sur-veillance Development”. La richiesta è di 60 milioni e viene spiegato che la risorsa serve per la «riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenzia-rio mediante interventi di miglioramento della performance funzionale, in termini di sicurezza gestionale penitenziaria in-terna e perimetrale. Riqualificazione professionale del perso-nale tecnico e amministrativo interno e di Polizia Penitenziaria, prevedendone un consistente impiego nella manutenzione im-piantistica delle tecnologie informatiche nella sicurezza». In complessivo, dunque, 705 milioni: e la spesa maggiore per i penitenziari riguarda nuovamente il discorso edilizio. Eppure, eccepì Aliprandi nel suo articolo, nel 2019 il ministro della Giustizia ha già dato il via al cosiddetto piano carceri che consisteva nella realizzazione di nuovi penitenziari e riconver-tendo in parte caserme dismesse e immobili di proprietà dello Stato. Il costo? Venti milioni derivanti dalla legge di Bilancio del 2019 e una quota di 10 milioni derivanti dal Fondo per l’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario. Sarà ma, tenuto ovviamente conto che un carcere non si co-struisce dall’oggi al domani e che devo prevedere ogni inter-vento utile affinché esso si attivi – a cominciare dalle assunzioni di personale di Polizia Penitenziaria e di tutte le altre professioni necessarie -, le carceri sono sempre le stesse, so-

Roberto Martinelli Capo Redattore

Segretario Generale Aggiunto del Sappe

[email protected]

Carceri e Covid-19: amnistia e indulto sono una soluzione?N

Nella foto: poliziotti penitenziari con DPI anti contagio

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vraffollate e caotiche. E allora si torna periodi-camente a parlare di amnistia ed indulto, come è avvenuto in que-ste settimane in rela-zione al contagio da Covid che continua a crescere silenziosamente fra le mura delle carceri italiane: i dati forniti periodicamente dal Dipartimento dell’Amministra-zione Penitenziaria (alla data del 19 novembre 2020) segnala un netto aumento dei positivi, distribuiti in 76 istituti peniten-ziari su 190. Parliamo di 827 detenuti: 778 positivi asintomatici in gestione interna, 3 positivi asintomatici nuovi giunti, 24 positivi sinto-matici e 22 positivi in gestione esterna (ospedali). Preoccupa anche il contagio tra il personale: 79 poliziotti po-sitivi sintomatici ed 867 positivi asintomatici, 5 unità delle Funzioni centrali positivi sintomatici e 68 asintomatici, 24 po-sitivi tra medici e sanitari operanti negli istituti penitenziari.

Proprio in queste ore è arrivata la notizia della morte del re-sponsabile sanitario del carcere di Secondigliano, il dott. Raf-faele De Iasio, da diversi giorni ricoverato nel reparto Covid dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, che purtroppo allunga a tre il numero dei deceduti per Covid-19 nelle file dell’Amministra-zione Penitenziaria (due erano i poliziotti penitenziari). Proprio in relazione alla situazione di sofferenza e di gestione della pandemia all'interno delle nostre carceri, uno schiera-mento composto da sindacati e associazioni legati alla tutela dei diritti dei detenuti hanno firmato una lettera al Governo e alla Commissione Giustizia di Camera e Senato, per chiedere la riduzione del numero delle persone ristrette (7.000 in più rispetto ai posti letto), la messa in sicurezza di quelle a rischio per garantire una quotidianità decorosa in questa nuova emer-genza pandemica. Le misure che propongono questo vasto ed eterogeneo cartello associazionistico (c’è persino l’associazione partigiani..) ten-dono a ridurre la popolazione detenuta, a mettere in sicurezza

le persone sanitaria-mente a rischio, a ren-dere non rischiosa e piena di senso la vita in carcere attraverso una estensione dell’affida-mento in prova e domi-ciliari, il ricorso ai

domiciliari per chi è ritenuto non pericoloso. Ed ancora, maggiori licenze per i detenuti semiliberi, che ri-schiano con più facilità di introdurre il virus in carcere e che devono essere estese a coloro che lavorano all'esterno dell'isti-tuto, l’estensione dei domiciliari per il residuo della pena e della liberazione per buona condotta. E, ancora, più video-chiamate, più prevenzione dei contagi ed efficienza sanitaria. Ma c’è anche chi, per fronteggiare l’espansione del Covid in carcere, arriva a chiedere una amnistia, come ad esempio i ra-dicali di Rita Bernardini. Personalmente trovo scandaloso che vi siano poliziotti che tra-scorrono la quarantena in Caserma, quasi abbandonati da

tutti… Probabilmente, se fossero stati raccolte le grida di al-larme lanciate dal SAPPE lo scorso gennaio si sarebbe potuto fronteggiare l’emergenza con i quantitativi necessari di DPI. Ed è per questo che rinnoviamo al Ministro della Giustizia Al-fonso Bonafede, anche da queste colonne, l’invito a non ritar-dare ulteriormente gli accertamenti doverosi ai Baschi Azzurri – quali sono i test ematici e quello del tampone – che sono fon-damentali per la sicurezza sociale ma che in alcune Regioni ancora non sono stati fatti. I poliziotti penitenziari sanno bene che la promiscuità nelle celle può favorire la diffusione delle malattie, specie quelle in-fettive. In questo senso, la dotazione al Corpo di Polizia Penitenziaria di 15mila tamponi “rapidi” da parte del Commissario straordi-nario per l’emergenza Covid 19, Domenico Arcuri, è un primo passo positivo, al quale però devono seguire provvedimenti contingenti come la sospensione dei colloqui visivi in luogo di quelli video, dei trasporti dei detenuti e delle visite in Ospedali s

Nelle foto: la situazione cure e vaccini

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esterni se non in presenza di patologie gravi e a rischio della vita. Ed è indispensabile monitorare costantemente la que-stione e predisporre ogni utile intervento a tutela dei poliziotti e degli altri operatori penitenziari. Non credo all’idea salvifica che possono avere amnistie o in-dulti, che ripeto servono a poco se poi non seguono riforme strutturali. Piuttosto, servirebbe un potenziamento dell’im-piego di personale di Polizia Penitenziaria nell’ambito dell’area penale esterna. E’ noto che per il SAPPE è fondamentale potenziare i presidi di polizia sul territorio – anche negli Uffici per l’Esecuzione Penale esterna -, potenziamento assolutamente indispensabile per farsi carico dei controlli sull’esecuzione delle misure al-ternative alla detenzione, delle ammissioni al lavoro all’esterno, degli arresti domiciliari, dei permessi premio, sui trasporti dei detenuti e sul loro piantonamento in ospedale. Ma per farlo, servono nuove assunzioni nel Corpo di Polizia Pe-nitenziaria ed anche nuove e più funzionali strutture detentive. Certo è, come spesso abbiamo evidenziato, che la sicurezza dei cittadini non può essere oggetto di tagli e non può essere messa in condizione di difficoltà se non si assumono gli Agenti

di Polizia Penitenziaria. La questione del sovraffollamento carcerario va affrontata strutturalmente, perché altrimenti si fa pagare agli italiani l’in-capacità dello Stato ad affrontare e risolvere il problema. Non ci si deve nascondere dietro a un dito: ogni volta che viene varato un provvedimento di clemenza una percentuale non ir-rilevante di coloro che vengono rimessi in libertà torna a de-linquere. E se viene meno, definitivamente, la certezza della pena non daremo un futuro al nostro Paese ed alle nuove generazioni in particolare. l

8 • Polizia Penitenziaria n. 286 • SETTEMBRE 2020

Nella foto: la solidarietà della

Polizia Penitenziaria

Ancora una volta il Sappe, prima di tutti, mette a

disposizione dei propri iscritti un nuovo strumento

professionale: l’agenda digitale del poliziotto penitenziario.

Da oggi, infatti, è disponibile su Google play (per Android)

e su App Store (per iPhone) la nuova APP AgendaSappe.

Per scaricarla sul proprio telefonino è sufficiente andare

su uno dei due store sopra indicati e cercare “Agenda

Sappe”.

L’App è gratuita ad uso esclusivo per gli iscritti al Sindacato

Autonomo Polizia Penitenziaria ed è stata sviluppata per

dare al poliziotto penitenziario un comodo supporto per la

memorizzazione e la gestione dei turni di servizio.

Nella descrizione dell’applicazione presente sullo Store, si

troveranno tutte le istruzioni necessarie per scaricarla e

un sintetico manuale d’uso che spiega come utilizzarla.

Guarda il tutorial sul canale video del Sappe su Youtube

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Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020 • 9

Giovanni Battista Durante Segretario Generale Aggiunto del Sappe [email protected]

ei giorni scorsi si sono svolti gli incontri per il rinnovo contrattuale del Comparto Sicurezza, Forze di polizia e

Forze Armate, compreso quello relativo all’area negoziale della dirigenza. Si è trattato del primo incontro al tavolo politico, dove ogni organizzazione ha espresso la propria posizione rispetto alle future trattative. Unanime è stato il dissenso per quanto riguarda le risorse stanziate, assolutamente esigue per le esigenze complessive delle Forze di polizia e delle Forze armate, per poter stipulare un contratto che sia adeguato al lavoro svolto ed ai rischi ad esso connessi. Ci sarebbe bisogno di ulteriori risorse, anche per garantire un trattamento accessorio adeguato, atteso che quelle stanziate, per quanto ci riguarda, dovrebbero essere utilizzate esclusivamente per il trattamento fisso. Oltre al trattamento economico, sono molte le questioni da affrontare nella parte normativa, rimaste senza soluzione nel precedente contratto, a causa dell’imminenza della fine della legislatura che ha costretto tutti ad una accelerazione delle procedure, al fine di poter distribuire le risorse stanziate al personale del Comparto. Per la dirigenza sarà una fase importantissima, direi storica, poiché avrà il suo primo contratto di lavoro, dopo la costituzione dell’area negoziale, avvenuta con il d.lgs n. 95/2017. (Riordino delle carriere). Anche qui le risorse sono assolutamente esigue, ma ci sarà da lavorare molto sulla parte normativa, dove potremo andare ad incidere su diritti e indennità che dovremo istituire ex novo, come per esempio un’indennità di comando e dirigenziale. Sono tante altre le questioni da risolvere nel 2020, come la definizione

vari ruoli del Corpo attraverso un congruo numero di assunzioni. Nel disegno di legge di bilancio 2021 è stato presentato un piano quinquennale per le assunzioni di personale delle forze di polizia 800 unità per il 2021, di cui 200 per la Polizia Penitenziaria, 500 unità per il 2022, di cui 200 per la Polizia Penitenziaria, 1160 per il 2023, di cui 510 per la Polizia Penitenziaria, 1160 per il 2024, di cui 510 per la Polizia Penitenziaria, 915 per il 2015, di cui 515 per la Polizia Penitenziaria. Si tratta di assunzioni straordinarie che vanno ad aggiungersi al turnover. E’ stato anche approvato il regolamento concorsuale per l’assunzione dei funzionari del Corpo, il cui ruolo è carente di oltre 140 unità. Senza l’assunzione dei funzionari diventa anche difficile coprire tutti i posti di funzione, considerato che, a breve, non ci saranno più appartenenti al ruolo dei funzionari con la qualifica di commissario capo. Il riordino delle carriere ha anche previsto nuove insegne di qualifica per le Forze di polizia ad ordinamento civile che la polizia di Stato indossa ormai da più di un anno, per noi, invece, non solo non ci sono le nuove insegne, ma anche le tessere di riconoscimento sono scadute per tanti e per altri la qualifica posseduta non corrisponde a quella scritta nel documento di riconoscimento. Ci sono funzionari che ormai sono diventati dirigenti e assistenti sovrintendenti o ispettori. Infine, ma non per ultimo, il servizio di polizia stradale ancora non decolla ed i verbali fatti vengono annullati. Insomma, Babbo Natale avrà un bel da fare quest’anno.

N

Rinnovo contrattuale per il Comparto sicurezza

dell’accordo quadro, ormai scaduto dal 2004 e che, dopo mesi di lavoro al tavolo tecnico, non trova soluzione. Un aspetto davvero grottesco quello dell’accordo quadro, dove avevamo avviato a soluzione una serie di questioni che erano necessario per una più corretta gestione delle relazioni sindacali e del personale. E’ necessario avviare al più presto le procedure per la revisione del regolamento di servizio, ormai assolutamente inadeguato al nuovo assetto organizzativo dell’amministrazione, soprattutto a seguito dell’istituzione dei ruoli direttivi prima, del ruolo dei funzionari dopo e del riordino delle carriere, con i relativi correttivi, che hanno introdotto nuove qualifiche, con compiti e funzioni diverse per tutto il personale di polizia penitenziaria dei vari ruoli. Bisogna dare piena attuazione, a quanto normativamente previsto, anche per quanto riguarda le funzioni dei dirigenti del Corpo, così come previsto dal riordino delle carriere e dai correttivi al riordino, cominciando proprio dalla definizione dei posti di funzioni, di adeguati criteri di mobilità per tutto il personale dirigenti, compresi criteri certi e trasparenti per l’avanzamento degli appartenenti al ruolo dei funzionari. Ciò potrà dare anche maggiori e più adeguate certezze ai colleghi del ruolo ad esaurimento, molti dei quali penalizzati dalle assegnazioni e dalle funzioni attribuite. Ciò è stato anche causato da una precedente gestione del ruoli direttivi assolutamente inadeguata sia alle esigenze dell’amministrazione, sia alle aspettative dello stesso personale che non è stato adeguatamente valorizzato ed impiegato. E’ necessario adeguare l’organico dei l

Nella foto: le nuove insegne di qualifica dei Funzionari e Dirigenti della Polizia Penitenziaria

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atto di nascita del Corpo di Po-lizia Penitenziaria, è stabilito dalla Regie Patenti del 18 marzo 1817 che approvarono il

“Regolamento della Famiglia di Giustizia modificato”. Le carceri del Regno Sardo furono divise in sette classi, secondo il numero degli organici dei Soldati di giustizia destinati a prestarvi servizio. A capo di ogni Famiglia era posto un ispettore che aveva il compito di control-lare l’operato dei custodi e di visitare le carceri più volte durante la settimana “senza prefissione di giorno”. Con l’Unità d’Italia, tra il 1860 e il 1862, furono emanati cinque regolamenti rela-tivi alle diverse tipologie di stabilimenti carcerari, con altrettanti organici del personale amministrativo e di custodia: bagni penali (R.D. 19 settembre 1860) dipendenti dal Ministero della Marina e di Custodia (con il R.D. 29 novembre 1866 fu sancito il passaggio dal Mini-stero della Marina al Ministero dell’In-terno); carceri giudiziarie (R.D. 27 gennaio 1861, n.4681); case penali (R.D.13 gennaio 1862, n. 413); case di relegazione (28 agosto 1862, n. 813); case di custodia (27 novembre 1862, n. 1018), tutte dipendenti dal Ministero del-l’Interno. Ogni regolamento disciplinava il funzionamento degli istituti e gli orga-nici del personale di custodia e ammini-strativo. Nel 1861, con R.D. del 9 ottobre n. 255, fu istituita la direzione generale delle carceri dipendente dal Ministero dell’In-terno, in sostituzione dell’Ispettorato ge-nerale istituito nel 1849 dal Regno Sardo, al cui vertice era posto un ispet-tore generale. Primo direttore generale delle carceri del Regno d’Italia fu nominato, nel 1861,

Nelle foto: in alto

scudetto della Polizia Penitenziaria

a destra

fregio del Corpo delle Guardie Carcerarie

dal 1872 al 1913

l’avvocato Giuseppe Boschi, già ispettore generale, che vi rimase in carica fino al 1870. L’unificazione del personale sia ammini-strativo che di custodia fu stabilita con il R.D. 10 marzo 1871. Il R.D. dell’8 gen-naio 1872 incorporava il personale pro-veniente dalle carceri pontificie nell’amministrazione generale delle car-ceri. La riorganizzazione e l’unificazione dei di-versi ordinamenti del personale di custo-dia si ebbe con la legge 23 giugno 1873, n. 1404 (serie 2) “Riordinamento del Personale di Custodia delle Carceri e dei Luoghi di Pena”, che emanò il Regola-mento 27 luglio 1873 “Pel corpo delle guardie carcerarie”. Il regolamento stabiliva le nuove qualifiche di capo-guardia, sottocapo e guar-dia e introduceva la denominazione di guar-dia carceraria in luogo di guardiano. Per la prima volta il governo affrontava specificatamente l’ordina-mento del personale di custo-dia delle carceri, materia che fino ad allora era stata affrontata unitamente ai regolamenti generali delle carceri giu-diziarie e case di pena del Regno. L’attri-buzione dello status militare del corpo di custodia comportava che per gli appar-tenenti ad essi venissero sottoposti al codice militare in caso di infrazioni quali diserzione e insubordinazione (art.5) Con il R.D. del 6 luglio 1890 n. 7011 fu emanato l’Ordinamento degli agenti di cu-stodia degli stabilimenti carcerari e dei ri-formatori governativi che istituisce il Corpo degli Agenti di Custodia: Il Corpo degli Agenti di Custodia è istituito per vi-gilare e custodire i detenuti delle Carceri giudiziarie centrali, succursali, manda-mentali; i condannati chiusi negli stabili-

menti penali o lavoranti all’aperto; i mino-renni nei Riformatori governativi. Al per-sonale di custodia può essere, in via eccezionale, affidata la sorveglianza esterna degli Stabilimenti suddetti (art. 1). L’ intervento legislativo di maggiore ri-lievo tra quelli emanati nel periodo ante-cedente la Prima Guerra Mondiale, è il R.D. 24 marzo 1907, n. 150, con cui si approva il nuovo Regolamento per il Corpo degli Agenti di Custodia, che non apporta modifiche sostanziali rispetto al Regolamento del 1890. Con il R.D. 31 dicembre 1922, n. 1718, la Direzione generale delle carceri e dei riformatori viene trasferita, a partire dal 15 gennaio 1923, dal Ministero dell’In-

terno a quello della Giustizia. Con R.D.5 aprile 1928, n. 828 la direzione generale delle car-

ceri e dei riformatori as-sume la nuova denominazione di Dire-zione Generale per gli Isti-tuti di Prevenzione e di Pena.

Il Regolamento 30 dicembre 1937, n. 2584, seppure modi-

ficato negli anni successivi per ade-guare le norme contenute al sistema democratico e alla nuova concezione del carcere sancita dalla riforma penitenzia-ria del 1975, è rimasto in vigore fino al 1990. L’appartenenza degli Agenti di Custodia alle Forze Amate dello Stato ed a quelle in servizio di Pubblica Sicurezza fu de-ciso con il primo provvedimento legisla-tivo emanato nel dopoguerra in materia penitenziaria. Il Decreto Lgs.vo Luog.le 21 agosto 1945 attribuiva agli Agenti di Custodia la qualifica di polizia giudiziaria e la soggezione alla giurisdizione mili-tare. Smilitarizzazione, professionalità e sin-dacalizzazione sono stati gli obiettivi che,

Storia della Polizia Penitenziaria

L’Cenni storici

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Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020 • 11

dopo l’approvazione della riforma peni-tenziaria nel 1975, si sono imposti come punti essenziali per adeguare il Corpo alle nuove prospettive della pena. Un carcere in cui la sicurezza e la legalità sono le condizioni per attuare il fine della rieducazione e del reinserimento sociale del condannato. Il 15 dicembre 1990 viene emanata la legge n. 395 che istituisce il Corpo di

Polizia Penitenziaria e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. La Riforma del 1990 ha accolto le esi-genze di cambiamento attraverso la ri-qualificazione, smilitarizzazione e sindacalizzazione, affidando alla Polizia Penitenziaria, oltre ai tradizionali compiti di assicurare la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari, anche la partecipa-zione al trattamento rieducativo. La Ri-forma del 1990 le donne entrano a far parte del Corpo con pari dignità e pro-fessionalità. La Polizia Penitenziaria svolge compiti specialistici, all’interno degli istituti pe-nitenziari e nei servizi esterni, che ne de-finiscono l’identità, la mission e l’unicità. Compiti e Attribuzioni In virtù di quanto stabilito dall'art. 5 della legge 15 dicembre 1990, n. 395, gli ap-partenenti al Corpo di Polizia Penitenzia-ria: 1. assicurano l'esecuzione delle misure privative della libertà personale; 2. garantiscono l'ordine all'interno degli istituti di prevenzione e pena e ne tute-lano la sicurezza; 3. partecipano, anche nell'ambito di gruppi di lavoro, alle atti-vità di osservazione e trattamento riedu-cativo dei detenuti e degli internati; 4.

Nelle foto: la Bandiera del Corpo di Polizia Penitenziaria in alto il frontespizio del libro DAP 1 a sinistra la copertina della Gazzetta Ufficiale riguardante la Legge 15 dicembre 1990

espletano il servizio di traduzione dei de-tenuti e degli internati e il servizio di piantonamento degli stessi in luoghi esterni di cura; 5. concorrono nell'esple-tamento dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e di pubblico soccorso. Gli ap-partenenti alla Polizia Penitenziaria rive-stono le attribuzioni di: Sostituti Ufficiali di Pubblica Sicurezza (limitatamente agli appartenenti ai Ruoli Direttivi e Dirigen-ziali - artt. 6 e 21 D. L.vo 21.05.2000 n. 146)); Agenti di Pubblica Sicurezza (art. 16 Legge 1 aprile 1981 n. 121); Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria (art. 57 c.p.p.); Polizia Stradale (art. 12 lett. "f bis" Codice della Strada). La Bandiera Il D. Lgs.vo Luog.le 21 agosto 1945 n. 508, assegnava al “Corpo degli Agenti di Custodia” la Bandiera Nazionale, in quanto facente “parte delle Forze Armate dello Stato e di quelle in servizio di Pub-blica Sicurezza”.

s

La consegna, con cerimonia solenne, al Battaglione Allievi Sottufficiali degli Agenti di Custodia avvenne Il 12 settem-bre 1949, presso la Scuola Militare di Portici. A seguito della Legge 15 dicembre 1990 n. 395 che istituiva il Corpo di polizia pe-nitenziaria, sciogliendo il Corpo AA.CC., essa è passata al Corpo di Polizia Peni-tenziaria.

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Con il D.P.R. 19 ottobre 1993 n. 435 è stato emanato il Regolamento per la de-terminazione delle caratteristiche della Bandiera del Corpo di Polizia Penitenzia-ria, nonché delle modalità di custodia, spiegamento, trasporto e riparazione e rinnovazione di essa. E’ custodita presso l’Ufficio del Capo del Dipartimento ed è spiegata in occasione di cerimonie solenni. Il Fregio

Ha sostituito dalla metà degli anni 50, il  vecchio fregio  del-l'epoca monarchica raffigurante un'aquila in rilievo di colore ar-gento all'interno di uno scudo con

fondo azzurro e bordato in argento. In basso era presente il mono-

gramma "RI" a lettere affiancate, in ar-gento e rilievo. Sopra lo scudo era presente una stella a cinque punte, ar-gentata ed in rilievo anch'essa. Il fregio attuale rappresenta una torcia con fiamma a due fronde di alloro zi-

grinato. Al centro, sulla torcia è ri-cavato uno scudetto con fondo blu e bordato in argento che porta im-

presse le lettere "RI" sovrapposte anch'esse argentate.

Lo Stemma Araldico (D.P.R. 31 maggio 1999) L'azzurro delle fiamme sull'argento del campo, nel primo, sono i colori tradizio-nali del Corpo. La fiamma rappresenta la speranza del recupero, nella società, della persona in espiazione della pena, compito istituzio-

nale del Corpo (art. 27 Cost.). La fascia diminuita di rosso ricorda il sangue versato dagli uomini del Corpo degli agenti di custodia e dalle vigilatrici penitenziaria - oggi Polizia Penitenziaria - a difesa delle istituzioni democratiche e delle sue Leggi. La pezza onorevole del palato di quattro, nei colori tradizionali, è simbolo di fer-mezza e di stabilità nella missione asse-gnata. Lo stemma è timbrato dalla corona d'oro dei Corpi di polizia ed è circondato da fronde di quercia e di alloro, legate en-trambe da nastro tricolore. I peculiari compiti istituzionali del Corpo sono anche richiamati nel motto: "De-spondere spem munus nostrum" (garan-tire la speranza è il nostro compito), iscritto nella lista d'oro alla base dello stemma.

L’Uniforme L'uniforme è il corredo e l’equipaggia-mento indossati dal poliziotto peniten-ziario per lo svolgimento dei servizi istituzionali, come elemento distintivo della propria professione. Per ogni tipo di uniforme sono presenti varianti stagionali, di servizio e storiche, versioni da uomo e da donna. Le Uniformi in uso alla Polizia Penitenziaria sono sta-bilite dal Decreto del Ministro della Giu-stizia del 10 dicembre 2014.

Nelle foto: sopra

fregi del Corpo

sotto l’Araldico

a destra

Agente in uniforme tattica,

Atleta delle

Fiamme Azzurre

e Logo dell’AS Astrea

Ognuna di esse, abbinata ad altri capi quali maglione a V, farsetto, o corredate da sciarpa azzurra e decorazioni, com-pongono una serie di uniformi derivate per occasioni e situazioni diverse. I Gruppi Sportivi Fino al 1983 lo sport della Polizia Peni-tenziaria è stato legato unicamente alle vicende della rappresentativa calcistica del Corpo, l’AS Astrea, attiva fin dal 1948: con D.M. 25 luglio 1983 viene co-stituito il Gruppo Sportivo delle Fiamme Azzurre, impegnato inizialmente nei soli settori dell’Atletica Leggera e del Penta-thlon Moderno. Nella fase temporale che porta dagli anni ’80 agli anni ‘90 si assiste ad una cre-scita progressiva dei nostri sodalizi spor-tivi, grazie alle Fiamme Azzurre che

riescono ad imporsi in diverse discipline conquistando spazi importanti e prestigio nel movimento olimpico nazionale: ed epocale si rivela anche l’impatto dell’AS Astrea in campo calcistico, primo sog-getto di natura pubblicistica che conqui-sta un posto nelle serie professionistiche della FIGC.

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s

Crescono i trofei nelle bacheche delle nostre sedi e si arricchiscono i palmarés dei Gruppi Sportivi: medaglie e titoli che portano un eccezionale patrimonio in chiave d’immagine per il Corpo di Polizia Penitenziaria e che impongono una strut-tura organizzativa e logistica sempre più professionale, adeguata al livello tecnico degli atleti impegnati sui campi di gara. Il polo impiantistico di Casal del Marmo è il fulcro dell’attività centrale, ma altre strutture sportive nascono sul territorio per valorizzare l’impegno degli organi pe-riferici dell’Amministrazione Penitenzia-ria e contribuiscono a supportare l’attività locale anche sul piano delle ini-ziative promozionali oltre che degli eventi di grande richiamo. Un momento di stallo, legato alle modi-fiche normative sul reclutamento degli ausiliari di leva – all’epoca primo serba-toio dei Gruppi Sportivi della Polizia Pe-nitenziaria – viene prontamente superato grazie ad un provvedimento normativo di portata storica: il Ministero della Giusti-zia e il Dipartimento, con D.P.R. 30 aprile 2002 n. 132, sono le prime Amministra-zioni dello Stato a dotarsi di uno stru-mento legislativo mirato per il reclutamento degli atleti di interesse na-zionale. Nel nuovo millennio, grazie agli sportivi di grande livello agonistico e richiamo mediatico arrivati nelle Fiamme Azzurre ed anche nell’Astrea, i soggetti portaco-lori della Polizia Penitenziaria si propon-gono come un modello organizzativo e traguardo ambito di campioni di portata olimpionica: il contributo dato dai nostri sodalizi alle fortune dello sport azzurro è ormai pienamente atteso e consolidato e l’obiettivo per l’Amministrazione ed il Corpo è quello di farvi fronte con equili-brio nel campo delle risorse finanziarie dedicate e con serena disponibilità verso

un aspetto portante della società italiana contemporanea. La Banda Musicale Formalmente istituita nel 1985 in sosti-tuzione della fanfara, essa ha sede presso la Scuola di Formazione ed Aggiorna-mento del Corpo di Polizia e del perso-nale dell’amministrazione penitenziaria di Portici (NA), ospitata dal famoso Pa-lazzo Valle, già sede delle Guardie del Corpo di Ferdinando IV di Borbone. È costituita da sessanta elementi, tutti appartenenti alla Polizia Penitenziaria, diplomati presso i conservatori di musica italiani. Ogni anno partecipa alla tradizionale e solenne cerimonia dell’Annuale del Corpo, che si svolge a Roma alla pre-senza del Presidente della Repubblica.

Dall’anno di istituzione fino al 2006, la Banda della Polizia Penitenziaria è stata diretta dal maestro Luigi D’addio anno-verando innumerevoli concerti tra cui ri-cordiamo quelli tenuti al Teatro dell’Opera di Roma; all’Auditorium di Santa Cecilia in Roma; Teatro Bellini di Catania; Teatro Regio di Torino; Audito-rium Giuseppe Verdi di Milano; Festival dei due mondi di Spoleto; 140° anniver-sario della riunione del primo Parlamento d’Italia a Torino; ha partecipato, inoltre, alle cerimonie relative ai Campionati

Mondiali di Nuoto, Campionati mondiali di Volley, Campionati Mondiali Militari ed ai World Equestrian Games Dal 2006 al 2009 è stata diretta dal maestro Natale Mario Chillemi esiben-dosi presso il teatro delle Muse di An-cona, il Parco della Musica di Roma ed è stata l’unica banda musicale ad esi-birsi all’interno del Colosseo. Dal 2008 in attuazione del D.P.R n. 276 del 2006 la Banda è diventata “Banda Ministeriale” e dal 2010 è diretta dal maestro Fausto Remini, sotto la cui guida si è esibita in svariati concerti, tra cui: “Roma Capitale” , “Natali di Roma”, “Arena Villa Vitali” di Fermo, “Salone della Giustizia 2010” svoltosi a Rimini, “Salone della Giustizia 2012” svoltosi a Roma ed ha partecipato, inoltre, al Cam-pionato Mondiale delle 6 Nazioni di Rugby del 2010.

Dal maggio 2012 al Maestro Direttore si affianca il Maestro Vice Direttore Fi-lippo Cangiamila. In virtù dell’elevato livello artistico, più volte riconosciuto attraverso l’apprezza-mento manifestato dal pubblico e, so-prattutto, dal giudizio positivo espresso dalla critica, il Complesso Bandistico si esibisce in importanti manifestazioni di carattere nazionale ed internazionale, rappresentando il Corpo e, più in gene-rale, l’intera Amministrazione Peniten-ziaria.

Nelle foto: la Banda del Corpo di Polizia Penitenziaria in alto lo stemma del Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre sullo sfondo dell’impianto di Casal del Marmo a Roma

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Nelle foto: sopra

la Lapide dedicata ai Caduti del Corpo

presso il DAP

a destra San Basilide

Patrono del Corpo di Polizia Penitenziaria

immagini

di medaglie conferite dal Corpo

Da evidenziare la partecipazione di alcuni componenti della Banda Musicale al con-certo internazionale interforze, nell’am-bito del quadro delle iniziative giubilari, innanzi al Pontefice Giovanni Paolo II, te-nutosi presso la sala Nervi in Vaticano, in rappresentanza delle forze di polizia di 149 Nazioni. La Lapide ai Caduti

La preghiera PREGHIERA DEL POLIZIOTTO PENITENZIARIO "Ascolta, o Signore la nostra preghiera. Dacci luce e forza perché possiamo riu-scire a svolgere bene il nostro difficile compito di tutelare la società nell'aiutare chi ha sbagliato per debolezza a ritrovare il senso morale della vita. La Tua parola illumini la nostra vita, il Tuo amore so-stenga la nostra fatica. Benedici, o Si-gnore, la nostra cara Patria, tutti i nostri Reparti, le nostre famiglie e i fratelli che ci sono affidati. Dona la Tua pace a tutti coloro che sono caduti nell'adempimento del proprio dovere. O Vergine Maria, Madre di Dio, ispiraci sentimenti di mi-sericordia verso coloro che soffrono la detenzione, in modo che siano con noi conciliati, e il sentimento fraterno e la necessità del dovere. Prega per noi, o San Basilide, nostro Patrono, così che la Tua testimonianza di fede, passata attra-verso il martirio, sia per noi tutti di ful-gido esempio, di immancabile sostegno e di vero conforto. Amen". PREGHIERA DELL'AGENTE DI CUSTODIA

(anno 1954) "Dal grigiore delle carceri, ove la umanità che ha violato le leggi degli uomini espia le proprie colpe, noi vogliamo, o Signore, che il nostro spirito, superando ogni bar-riera, si avvicini a Te per ricevere fede e costanza nell'adempimento del dovere. Ispiraci, o Madre di Dio, misericordia per coloro che soffrono in modo che siano in noi conciliati il sentimento fraterno e la

necessità del dovere. Dacci, o San Basi-lide, la forza perché mai venga in noi ad affievolirsi l'impegno di servire la società nel nome di Dio e della Patria. Benedici, o Signore, la nostra Patria, i nostri reparti, le nostre famiglie ed i fratelli che ci sono affidati. Questo ti chiediamo, o Signore!". Medaglie e decorazioni conferite dal Corpo • Medaglia al merito di servizio della Polizia Penitenziaria • Medaglia al merito di servizio della Polizia Penitenziaria d'oro o di primo grado (20 anni di servizio) • Medaglia al merito di servizio della Polizia Penitenziaria d'argento

o di secondo grado (15 anni di servi-zio) • Medaglia al merito di servizio della Polizia Penitenziaria di bronzo o di terzo grado (10 anni di servizio) • Croce di anzianità di servizio della Polizia Pe-nitenziaria • Croce di anzianità di servizio della Polizia Pe-nitenziaria d'oro o di primo grado (35 anni di servizio) • Croce di anzianità di servizio della Polizia Pe-nitenziaria d'argento o di secondo grado (30 anni di servizio) • Croce di anzianità di servizio della Polizia Peni-tenziaria di bronzo o di terzo grado (20 anni di servizio) Medaglia al merito di lunga naviga-zione della Polizia penitenziaria • Medaglia al merito di lunga navi-gazione della Polizia penitenziaria d'oro o di primo grado (20 anni di im-barco) • Medaglia al merito di lunga navi-gazione della Polizia Penitenziaria d'argento o di secondo grado (15 anni di imbarco) • Medaglia al merito di lunga navi-gazione della Polizia penitenziaria di bronzo o di terzo grado (10 anni di imbarco) • Medaglia di commiato della Poli-zia penitenziaria • Medaglia di commiato della Poli-zia Penitenziaria Medaglia non portativa (decorazioni istituite dal decreto del Pre-sidente della Repubblica 15 febbraio 1999, n. 82, Regolamento di servizio del Corpo di polizia penitenziaria, in G. U. n. 76 del 1º aprile 1999, S. O. n. 63, in vi-gore dal 16 aprile; regolamentate dal de-creto del Capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, 14 di-cembre 2012, Modifica dei criteri per la concessione dei riconoscimenti per an-zianità di servizio ed al merito di servizio della polizia penitenziaria, nonché le ca-ratteristiche dei segni distintivi e moda-

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Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020 • 15

lità di uso, pubblicato in G. U. n. 301 del 28 dicembre 2012). Distintivo per l'encomio solenne per il ruolo direttivo, dirigenti e commissari coordinatori (assimilati agli ufficiali su-periori) delle forze di polizia italiane  Distintivo dorato per l'encomio solenne per il ruolo direttivo, dirigenti e commis-sari coordinatori (assimilati agli ufficiali superiori) delle forze di polizia italiane  Distintivo argentato per l'encomio so-lenne per ruolo direttivo, commissari (assimilati agli ufficiali inferiori e subal-terni) delle forze di polizia italiane.

Onorificenze concesse alla Bandiera del Corpo La Bandiera del Corpo di Polizia peni-tenziaria è decorata delle seguenti ono-rificenze (aggiornamento al dicembre 2018): Croce di Cavaliere dell'Ordine militare d'Italia «Il Corpo degli Agenti di Custodia, quale forza mili-tare dello Stato e parte inte-grante delle Forze Armate, si dedicava al proprio compito con alto senso del dovere, costante abnegazione, spiccata professio-nalità e perizia. Nella secolare attività attraverso il sacrificio di numerosi caduti, dava un notevole contributo di sangue in difesa delle Istituzioni

(al Corpo degli Agenti di Custodia)» — Roma, decreto del Presi-dente della Repubblica 21 ottobre 1989 Medaglia d'oro al valor civile «In due secoli di storia italiana gli opera-tori del Corpo della Polizia Penitenziaria si sono resi protagonisti, con sacrificio personale e collettivo anche a rischio della propria incolumità, di numerose

azioni con le quali hanno fronteggiato, in periodi di esasperato sovraffollamento, situazioni di criticità e tensioni, operando sempre nel rispetto dei principi costitu-zionali e garantendo la sicurezza e le con-dizioni per la realizzazione di interventi di miglioramento delle condizioni detentive. Negli ultimi anni, inoltre, il personale ha dato prova di elevata professionalità nel contrasto del fenomeno della radicalizza-

zione, in un contesto della gestione della popolazione detenuta sempre più complessa per l'estrema etero-geneità di etnie e di culture. I nu-merosi caduti e i decorati sono il

segno tangibile dell'instancabile e generoso impegno profuso dagli uo-mini e dalle donne del Corpo che, oggi come ieri, suscitano l'ammirata grati-

tudine e la riconoscenza della Na-zione tutta. 18 marzo 1817 - 18 marzo 2017» — Roma, decreto del Presidente

della Repubblica 7 aprile 2017

Medaglia d'argento al valor civile «Il Corpo degli Agenti di Cu-stodia, proteso da un secolo

a svolgere i fini istituzionali, si è prodigato con incondizionata de-

dizione ed incorruttibile fede per assicu-rare l'ordine e la sicurezza negli Istituti di pena, sedando azioni di rivolta con-dotte, talora, da organizzazioni della cri-minalità politica e comune. L'abnegazione dimostrata, l'aiuto dato alle operazioni di soccorso in occasione di calamità natu-rali, il tributo di sangue offerto nella lotta contro la delinquenza organizzata e con-tro il terrorismo, specialmente nel pe-riodo dal 1961 al 1981, hanno contribuito a rafforzare la fiducia nelle Istituzioni della Repubblica (al Corpo degli Agenti di Custodia)» — Roma, decreto del Presidente della Repubblica 19 ottobre 1982 Medaglia d'oro al merito civile «Il Corpo della Polizia Penitenziaria, consapevole della qualità del proprio impegno istituzionale, nel corso della sua gloriosa storia ha saputo superare mo-menti difficili e situazioni di emergenza del recente passato. Senza risparmiare le energie, il coraggio, la dedizione e il sacrificio anche estremo, il suo personale con passione, professionalità e senso del dovere ha svolto e svolge un ruolo fonda-mentale nel sistema penitenziario, nella lotta alla criminalità organizzata ed ever-siva, partecipando, altresì, all'opera di soccorso delle popolazioni colpite da ca-lamità naturali. Sul fronte internazionale ha cooperato alle attività poste in essere dalle Nazioni Unite per il mantenimento della pace in Kosovo. L'espletamento del servizio con elevata professionalità, spi-rito di sacrificio e attaccamento al do-vere hanno arricchito la tradizione del valore e dell'efficienza del Corpo, susci-tando l'ammirazione e la riconoscenza della Nazione tutta. 1990-2006» — Roma, decreto del Presidente della Repubblica 27 settembre 2006 s

Nelle foto: Onori alla Bandiera del Corpo di Polizia Penitenziaria e le onorificenze alla Bandiera

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16 • Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020

Medaglia d'oro al merito della Redenzione Sociale «Nel corso di un secolo di storia, pur nella diversità degli ordinamenti che nel tempo ne hanno indirizzato e disciplinato la funzione, il personale del Corpo degli Agenti di Custodia, con indefettibile senso del dovere, per intimo convinci-mento e con grande umanità, ha operato ed opera nella nobile azione, diretta alla rieducazione ed al reinserimento sociale di tutti coloro che nel carcere espiano la pena, contribuendo in maniera determi-nante alla realizzazione delle finalità pri-marie della istituzione penitenziaria. (al Corpo degli Agenti di Custodia)» — Roma, decreto ministeriale 3 agosto 1989.

Attestato e medaglia di bronzo dorata di eccellenza di I classe di pubblica benemerenza del Dipartimento della

Protezione civile

«Per i servizi prestati in occasione del-l’emergenza sismica del 6 aprile 2009 (Terremoto in Abruzzo)» —  Roma, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 ottobre 2010. Servizi e Specialità Addetto detenuti minorenni; Armaiolo e capo armaiolo; Servizio cinofili; Gruppo Operativo Mobile; Informatico; Istruttore di tiro;

Matricolista; Nucleo Investigativo Centrale; Ruoli tecnici - Laboratorio DNA; Servizio a cavallo; Servizio di Polizia Stradale; Servizio navale; Servizio traduzioni e piantonamenti USPEV. Le diverse Uniformi Uniforme Ordinaria Invernale Maschile; Uniforme Ordina Invernale Femminile; Uniforme Ordinaria Estiva Maschile; Uniforme Ordinaria Estiva Femminile; Uniforme Ordinaria Invernale Funzionari e Dirigenti; Uniforme Ordinaria Estiva Funzionari e Dirigenti; Uniforme di Servizio Invernale; Uniforme per Servizi Armati Invernali;

Nelle foto: sopra

la medaglia al merito della Redenzione

Sociale

sotto le nuove insegne

di qualifica del Corpo di

Polizia Penitenziaria

TRENTENNALE CORPO

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Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020 • 17

Uniforme di Servizio Estiva; Uniforme per Servizi Armati Estiva; Uniforme di Servizio Estiva Ridotta; Uniforme per Servizi Armati Estiva Ridotta; Uniforme Operativa; Uniforme Operativa Ridotta; Uniforme Operativa per Servizi di O.P.; Uniforme Cinofili;

Uniforme Servizio Navale; Uniforme per Servizi Ippomontati; Uniforme per Servizi Motomontati; Uniforme per Servizi d'Onore Funzionari e Dirigenti; Uniforme per Servizi d'Onore Ruoli non Direttivi; Uniforme per Servizi di Parata Funzionari e Dirigenti;

Uniforme per Servizi di Parata Ispettori e Sovrintendenti Capo; Uniforme per Servizi di Parata Agenti/Assistenti e Sovrintendenti; Uniforme per Servizi di Rappresentanza Grande Uniforme Funzionari e Dirigenti; Uniforme da Cerimonia; Uniforme da Sera e Società; Uniformi Storiche.

Brevi cenni storici sul Corpo degli Agenti di Custodia Il Corpo degli Agenti di Custodia è stato un corpo militare del  Regno d'Italia  e poi della  Repubblica Italiana  attivo dal 1890 al 1990 con il compito di mantenere in sicurezza le carceri italiane. Il Corpo, originariamente ad ordinamento civile, dipendeva dal Ministero dell'interno, ma nel 1922 la competenza passò al Ministero della giustizia. Militarizzato nel 1945, fu soppresso nel 1990 e riformato nel Corpo di Polizia Pe-nitenziaria, ripristinando il precedente ordi-namento civile. Il Corpo delle Guardie Carcerarie, istituto con il regolamento del 1873, fu riformato dal Regio Decreto del 6 luglio 1890, n. 7011, il quale istituì il Corpo degli Agenti di Custodia. L'intervento legislativo di maggiore rilievo tra quelli emanati nel periodo antecedente la prima guerra mondiale è il regio decreto del 24 marzo 1907, n. 150, con cui si appro-vava il Nuovo Regolamento per il Corpo degli Agenti di Custodia. Nessuna modifica so-stanziale fu apportata al Regolamento del 1890. Gli anni successivi alla prima guerra mon-diale non registrarono alcun provvedimento di rilievo nel settore penitenziario. In questo modo, destavano grande preoccupazione l'agitazione degli Agenti di Custodia che, nonostante i tentativi di migliorarne le condizioni econo-miche e lavorative messi in atto negli anni precedenti, avevano validi motivi per avanzare rivendicazioni. La circolare 5 febbraio 1922, a firma del direttore generale Spano, stabilì l'impiego degli Agenti secondo le loro attitudini, l'organico fu distinto in cinque categorie: • generici • infermieri • scritturali • sorveglianti di minorenni • mestieranti Una nuova Riforma del Corpo degli Agenti di Custodia fu ema-nata con il Regio Decreto del 19 febbraio 1922 n. 393, ma an-cora una volta con scarsi risultati sul piano del miglioramento

della condizione dei detenuti. Nel 1922 fu stabilito il passaggio della Direzione Generale delle Carceri e dei Riformatori dal Ministero dell'interno al Mi-nistero di Grazia e Giustizia. La motivazione ufficiale di questo passaggio fu stabilita in base al principio che «nessun mini-stero può avere competenza per regolare e vigilare l'esecu-zione delle sentenze di condanna, massime nei riguardi delle pene carcerarie, meglio di quello della giustizia, preposto al-l'amministrazione della medesima».  Con il Regio Decreto del 5 aprile 1928, n. 828 la Direzione

Generale delle Carceri e dei Riformatori as-sume la nuova denominazione di Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e di Pena. Il Regolamento 30 dicembre 1937, n. 2584, seppure modificato negli anni suc-cessivi per adeguare le norme contenute al sistema democratico e alla nuova conce-zione del carcere sancita dalla riforma pe-nitenziaria del 1975, è rimasto in vigore fino al 1990. Il Regolamento del 1937 assegnava al Corpo il compito di assicurare l'ordine e la disciplina negli stabilimenti di pena (art.1), con un generico riferimento ai fini tratta-mentali per il riadattamento sociale dei de-tenuti: “Gli agenti... debbono aver presente

che i mezzi di coazione nell'esecuzione mirano nello stesso tempo a punire e a riadattare il condannato alla vita sociale”. Con la smilitarizzazione del 1990 e fu sciolto e riformato nel Corpo di Polizia Penitenziaria, a ordinamento civile. Nell'anno della Riforma il personale di custodia era costituito da 15.280 unità, quanto il nove per cento della popolazione detenuta. Lo stato critico degli stabilimenti penitenziari e le esigenze di custodia determinate dai numerosi detenuti adibiti ai lavori all'aperto, rendevano insufficiente l'organico degli agenti di custodia, le cui condizioni di lavoro continuavano ad essere massacranti e insufficientemente retribuite, a queste difficoltà si aggiungeva il rigido sistema di disciplina cui era sottoposto il personale, tutti aspetti critici che avevano inevitabilmente riflessi negativi sul funzionamento dell'intero sistema peni-tenziario.

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Nella foto: immagine di un Agente di Custodia in servizio di sentinella tratta da una copertina de “La Domenica del Cor-riere“

Fonte: sito ufficiale poliziapenitenziaria. gov.it

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18 • Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020

uotidianamente siamo invasi da una martellante comunicazione relativa alla commissione di atti violenti: dall’uccisione di arre-

stati di colore da parte della polizia sta-tunitense alle scorribande di giovanissimi in branco spesso di efferata e gratuita violenza.

Il caso del povero Willy - la cui foto del suo viso buono e dolcemente sorridente è impressa nel mio come in tutti i cuori degli italiani – ucciso, dopo essere stato massacrato di botte, da quattro violenti e squallidi energumeni, senza alcun mo-tivo, se non quello di aver cercato di mettere pace in una rissa fra giovani , ad Artena il 5 settembre 2020, ha de-stato la sincera emozione, il pianto, le manifestazioni di solidarietà e lo sdegno di tutta la nazione, tanto che, giusta-mente, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha concesso , alla sua memoria, la medaglia d’oro al valor ci-vile. C’è da interrogarsi sulle motivazioni che hanno indotto gli aggressori ad impie-gare una così cieca violenza sulla povera vittima. Al di là delle singole cause psicologiche e sociologiche che determinano alla

commissione del crimine violento, limi-terò la mia ricerca, partendo da questo terribile caso di cronaca nera, ad una in-dagine generale sulla violenza quale de-rivata, anche, da un possibile effetto emulativo di azioni criminali contenute nella visione delle loro immagini attinte dai mass media.

I numerosi studi psicologici sull’impatto della visione di scene di violenza (me-diante i giornali - in particolare i fumetti “neri” -, la televisione - con le sue crime fiction series: CSI, NCIS, “Criminal Mind” ecc. -, il cinema - ad esempio il film “Gomorra” - , i videogiochi e i social con il loro tam tam globale delle scene di violenza del branco pubblicate sulle stories di Instagram), non sono giunti ad un risultato univoco sul potenziale ri-schio di emulazione effettuata da coloro che hanno visto tali scene, ovvero, all’op-posto, di catarsi, e cioè lo sdegno morale che causa siffatta visione, cagionando una specie di purificazione del fatto vio-lento. Infatti, da un lato, si sostiene che il ve-dere immagini contenenti azioni intrise di violenza può indurre un senso di ri-provazione etica e di catarsi purifica-trice a tal punto da costituire un argine

sicuro contro la sperimentazione delle medesime riprovevoli azioni da parte di coloro che le hanno viste. Dall’altro, vi è la tesi opposta che, so-prattutto per le personalità che si tro-vano già in una condizione debole come i minorenni, è possibile subire il fascino della violenza appresa e realizzarla per imitazione nella realtà. A riprova della prima tesi si cita l’esem-pio delle generazioni che hanno subito la violenza e il terrore della seconda guerra mondiale, e che ne sono risultate fortificate nel carattere, resistendo ai gravissimi patimenti subiti dalla guerra. In particolare per i minori, nati nell’im-mediato dopoguerra, si citano anche i giochi dei bambini, improntati alla guerra appena finita, con l’uso di armi di latta tagliente (spade, pugnali ecc.) e fuciletti ad aria compressa che spara-vano piccoli proiettili di gomma (cosid-detti gommini), assai pericolosi per l’integrità fisica della persona . Di più si ricordano, sempre a favore della prima tesi, i film dell’epoca che ri-producevano, nelle loro trame, le terribili vicende belliche, ovvero i popolari film westerns pieni di pistolettate ed ucci-sioni. Certamente ciò che rendeva innocuo (se non addirittura educativo) per i mi-nori la visione di tali film stava nel fatto che la violenza trasmessa nelle imma-gini, non era generalmente una pura crudeltà in sé e per sé, per il gusto di es-sere violenti, ma era per lo più ispirata al canone del suo uso per far trionfare il bene sul male, la legge sul crimine, come, ad esempio, i film western dove il cattivo - fosse il pistolero rapinatore di banche, o il crudele pellerossa scoten-natore dei poveri bianchi, denominati “visi pallidi” - finiva per morire, ovvero i film di guerra - dall’antica Roma a quelli di “cappa e spada”, per finire ai

Roberto Thomas già Magistrato minorile

Direttore del Corso di perfezionamento in Criminologia minorile,

Psicologia giuridica e sociale presso

LUMSA Università di Roma [email protected]

Q

Criminologia degli effetti dell’informazione sulla violenza: emulazione o catarsi?

Nelle foto: sopra

un arresto della polizia statunitense

a destra

duello in un film western

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film ambientati nelle due guerre mon-diali – ove i difensori della patria trion-favano sempre. In altre parole era di norma una violenza educativa, esercitata per la difesa dei più deboli, e della Patria (uno dei tre va-lori fondamentali dell'epoca, insieme a Dio e alla Famiglia) in pericolo, che si poteva, anzi si doveva, imitare. In questo senso lo psichiatra-crimino-logo prof. Vincenzo Maria Mastronardi sottolinea : “La violenza è parte del lato oscuro della natura umana e raccon-tarla risponde al compito mimetico della narrazione.Ma il racconto può anche assumere un valore catartico, di messa in forma delle pulsioni negative in una cornice narrativa che le inquadri in un disegno più ampio, indagando ad esempio le motivazioni psicologiche profonde dei comportamenti dei prota-gonisti, le radici sociali e storiche delle loro azioni. E’ così che un contenuto po-tenzialmente negativo trova la sua giu-stificazione e legittimazione nella forma del racconto.” (1) Attualmente, invece, la violenza tra-smessa dai film cosiddetti d'azione, dalle già ricordate serie di fictions crime te-levisive e cinematografiche, dai cartoni animati giapponesi , e soprattutto dai vi-deogiochi e da quella condivisa in rete attraverso i social, è spesso una violenza in sé, per il gusto sadico della forza cat-tiva che sovrasta i buoni, certamente di-seducativa soprattutto per gli adolescenti e le persone più fragili, e pertanto al dilemma prospettato in pre-cedenza (catarsi o emulazione), mi pare, purtroppo, che si debba rispondere che, in molti casi, sussista un concreto rischio emulativo, anche se non la cer-tezza assoluta, pur considerando che at-tualmente il maggior pericolo di imitazione derivi dall'uso della comuni-cazione che avviene direttamente attra-verso il mezzo informatico, autogestito dai diretti fruitori, in una rete globale mediante i social, in cui, spesso, non c’è un “buono” o un “cattivo” , ma solo un dilagare prepotente di gratuita violenza, soprattutto quella compiuta in gruppo, amplificandola a tal punto fino a mitiz-zarla come “eroica” . Che la comunicazione possa influenzare

Nella foto: Willy Monteiro

delle azioni violente, soprattutto nelle persone psicologicamente più fragili, viene dimostrato , ad esempio, nel caso concreto del fenomeno dei sassi lanciati dai cavalcavia da gruppi prevalente-mente composti da minorenni annoiati e frustrati, sulle automobili di passaggio, che coinvolse l’intero nostro Paese, ca-gionando anche dei morti, diversi anni fa. In quel periodo, giornali e telegior-nali, quasi quotidianamente, stamparono i loro “bollettini di guerra” sul precitato fenomeno, con grandissimo risalto me-diatico, cagionandone una diffusione pe-ricolosissima fra i più giovani, a livello di imitazione e stimolandone l’ebbrezza della trasgressione. Dopo che i mass media, finalmente, ces-sarono di dare una smodata rilevanza a tale “gioco” pericoloso (grazie anche al sistema di autoregolamentazione della stampa, previsto nella Carta di Treviso del 5 ottobre del 1990, con l’intento di disciplinare i rapporti fra infanzia ed in-formazione, salvaguardando il diritto di cronaca, però contemperandolo con la responsabilità del rispetto dei diritti e dell’immagine dei minori, cui deve es-sere sempre garantito un serio anoni-mato, per evitare qualsiasi curiosità ingiustificata nei loro confronti; Carta aggiornata il 30 marzo 2006 con la sua estensione all’uso dei mezzi di comuni-cazione digitale da parte dei minori) e, altresì, al fatto che le autorità eressero delle alte reti di protezione su moltissimi cavalcavia, il tragico fenomeno ludico è praticamente scomparso nel nostro Paese. Da quanto detto, salva sempre la libertà d’informazione , espressione di quella di pensiero, prevista dall’art. 21, primo comma, della Carta Costituzionale, che, al secondo comma, prevede che “la stampa non può essere soggetta ad au-torizzazione o censure.”, occorre riba-dire il rischio che una eccessiva sottolineatura a ripetizione, da parte dei mezzi d’informazione, delle notizie di violenza , possa essere recepita in senso abnorme, soprattutto da parte dei più giovani, che li induce a soddisfare il pro-prio senso di inquinato egocentrismo , soffrendo una specie di frustrazione, qualora non li imitassero (se l’hanno

fatto loro e sono diventati “famosi”, per-ché non posso farlo anche io ?), e a con-durli alla commissione di comporta- menti di simili atti violenti. In tal senso gioca non solo l’imitazione in sé dell’atto violento, ma anche l’in-quietante desiderio di mostrarlo in pub-blico, attraverso i social, rispondendo, purtroppo, a quel “(dis)valore” attual-mente predominante nelle nostre gio-vani generazioni dell’apparenza che , in ogni campo, è diventata di fatto un vero e proprio inquietante dovere che ha so-stituito, in molti casi, quello fondamen-tale di solidarietà richiesto espressa- mente nell’art. 2 della Costituzione, se-condo cui “La Repubblica riconosce e

garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri in-derogabili di solidarietà politica, econo-mica e sociale.” Esiste però una sicura eccezione a quanto sopra scritto, e cioè quando la ri-petizione comunicativa della notizia vio-lenta è accompagnata, parallelamente, dalla comunicazione, ancor più massic-cia, di una campagna di sdegno corale per l’autore della violenza: ciò è quanto accaduto per il precitato caso del po-vero Willy. Invero il contrappeso morale di condanna che si è elevato unanime-mente dall’intero Paese sui social , for-malizzato anche a livello ufficiale dai massimi organi politici, quale il presi-dente del Consiglio Giuseppe Conte, ha realizzato un fortissimo argine ad ogni possibile inquietante imitazione di una s

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tale spregevole e vigliacca azione. Di più si deve sottolineare che gli effetti negativi, potenzialmente emulativi, ven-gono in gran parte compensati e “purifi-cati” quando soprattutto i più giovani vivono in un contesto familiare educativo adeguato ed affettuoso, insieme ad una rete scolastica e sociale accogliente e gratificante. Mentre la loro solitudine affettiva per una disgregazione familiare sociale e, soprattutto, l’isolato contatto quotidiano, spesso di molte ore, con la navigazione

in rete globale, li può indurre ad entrare nell’ambito della sindrome del dark computer che conduce alla sottocultura informatica criminale, ove regina cam-peggia la violenza cieca e immotivata e modelli stereotipati di falsi eroi da imi-tare. (2) Da qui sorge l’assoluta necessità che, fin dalla prima infanzia, la famiglia, la scuola e le istituzioni sociali pubbliche e private operino un programma di educa-zione all’uso responsabile degli stru-menti informatici , a volte pericolosi “chatto formatori” delle persone più fra-gili e disagiate della nostra collettività nazionale. (1) Vincenzo Maria Mastronardi “La stra-tegia della comunicazione umana” Franco Angeli, Milano, 2008 . (2) Per un approfondimento del concetto di sindrome del dark web e di sottocul-tura informatica criminale si veda Ro-berto Thomas “Criminologia minorile. Un approccio sostenibile” Giuffrè Francis Lefebvre , Milano 2020 pagg. 168 e se-guenti.

Nella foto: dark web

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Partecipa alla gara. Invia una foto

Le foto degli altri partecipanti sono state registrate nell’archivio foto, ognuna nella categoria scelta dall’utente che l’ha inviata. Intanto è in fase di con-clusione la gara per il mese di novembre 2020 e a breve inizierà quella di dicembre 2020. Invia le tue foto e condividile con i tuoi amici. Ricorda che è possibile votare una volta al giorno per ogni foto. Cosa aspetti? Regolamento completo su: www.poliziapenitenziaria.it

Si è conclusa la gara del mese di settembre 2020 con la vittoria di Fabiano ed Elsa che con la loro foto hanno raccolto 2.432 like.“Un legame indissolubile che lega un Uomo ad una divisa, un amore indistruttibile che lega un padre ad una figlia”

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A questo punto, Pete è costretto a farsi rinchiudere nel carcere di massima sicurezza di Bale Hill, dove è stato incaricato dal Generale di gestire il traffico di droga dall’interno della prigione. Uscire da lì non sarà affatto facile. Di Stefano, oltre ad essere un bravo sceneggiatore, offre una buona prova alla regia con un film ricco di ritmo e di tensione, con una lunghissima parte girata all’interno di un penitenziario.

Nelle foto: la locandina e alcune scene del film

ispirato al romanzo svedese Tre secondi, di Anders Roslund, Börge Hellström, il film The informer, tre secondi per

sopravvivere. Il romanzo racconta la storia di un poliziotto svedese infiltrato da anni nella malavita, che tenta di sventare un traffico di stupefacenti dall’Europa dell’est facendosi rinchiudere in un carcere di massima sicurezza. Il regista Andrea Di Stefano trasporta la storia nella città di New York e trasforma il poliziotto svedese in un infiltrato dell’FBI nella mafia polacca. Tuttavia, lo spostamento della location, pur segnando una svolta nella trama, cambia l’obiettivo finale ma non lo svolgimento degli eventi. Il protagonista, Pete Koslow, è un ex soldato con già un passato in carcere. Infiltrato come corriere della droga, ha il compito di incastrare Il Generale, lo spietato mafioso a capo del cartello. Purtroppo, durante l'operazione qualcosa va storto e un poliziotto del dipartimento di New York rimane ucciso. Per questo delitto la polizia di New York comincerà ad indagare su Koslow, principale sospettato.

Regia: : Andrea Di Stefano Soggetto: tratto dal romanzo Tre sekunder (2009) di Anders Roslund e Börge Hellström Sceneggiatura: Andrea Di Stefano, Rowan Joffe, Matt Cook Fotografia: Daniel Katz Montaggio: Job ter Burg Musiche: Brooke Blair, Will Blair Scenografia: Mark Scruton Costumi: Molly Emma Rowe Effetti speciali: Danny Hargreaves, Nicholas Hurst Produzione: Thefyzz, Thunder Road Pictures, Imagination Park Entertainment, Maddem Films Distribuzione: Adler Entertainment Personaggi e interpreti: Pete Koslow: Joel Kinnaman Wilcox: Rosamund Pike Montgomery: Clive Owen Grens: Common Sofia Hoffman: Ana de Armas Klimek: Eugene Lipinski Cat: Ruth Bradley Anna Koslow: Karma Meyer Slewitt: Sam Spruell Genere: Drammatico, Poliziesco Durata: 113 minuti, Origine: Regno Unito, 2019

a cura di Giovanni Battista de Blasis [email protected]

The Informer Tre secondi per sopravivere

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arlasco è una ridente cittadina in provincia di Pavia soprannomi-nata, sin dagli anni ‘60, La Las Vegas della Lomellina per l’alta

concentrazione di locali di divertimento. Oggi, purtroppo, la cittadina è associata all’efferato delitto di una giovane ragazza di 26 anni. Chiara Poggi, dopo essersi laureata a pieni voti in Economia, lavorava come sta-gista presso uno studio commerciale di Milano. Era fidanzata, da circa quattro anni, con Alberto Stasi, di due anni più piccolo di lei, studente di Economia alla Bocconi di Milano, in procinto di ultimare la tesi di laurea.

La sera del 12 agosto del 2007, Chiara e Alberto trascorrono la serata insieme a casa di lei e verso l’una, dopo aver man-giato una pizza, il ragazzo lascia l’abita-zione. La ragazza in quel periodo era sola nella villetta di famiglia, perchè i genitori e il fratello erano in vacanza. Il giorno successivo Alberto, come tutte le mattine, fa uno squillo sul cellulare della ragazza - era il loro modo di darsi il buongiorno - e si mette a studiare per ul-timare la sua tesi di laurea. Successiva-mente, tra mezzogiorno e l’una e trenta, la richiama altre quattro volte, sia sul cel-lulare che sul telefono di casa, senza ot-tenere risposta. Preoccupato, si reca a casa della ragazza

Nelle foto: sopra

Alberto Stasi accompagnato

al processo

a destra Chiara Poggi

e, dopo aver scavalcato il cancello di ac-cesso dell’abitazione ed essere entrato in casa, la trova riversa a terra sulle scale della cantina. Verso le 13:50 Alberto Stasi telefona al 118: “Mi serve un’ambulanza in via Gio-vanni Pascoli 29 a Garlasco è una via senza uscita la trova subito” riferisce una voce maschile all’operatore e poi, ancora “credo che abbiano ucciso una persona ma non son sicuro, forse è viva” … “adesso sono andato dai Carabinieri, c’è sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra”. Alla domanda dell’operatore se fosse una sua parente, risponde “è la mia fidanzata ed ha 26 anni”.

Il ragazzo al momento in cui chiude la te-lefonata dal suo cellulare si trova già al-l’interno della caserma dei Carabinieri di Garlasco, che dista poco più di 600 metri dalla casa della ragazza, per riferire quanto ha appena visto. Due carabinieri escono dalla Stazione a piedi ed entrano nell’abitazione della fa-miglia Poggi, dopo aver scavalcato il can-cello pedonale e avere aperto la porta d’ingresso socchiusa. In prossimità delle scale che conducono al piano superiore trovano chiazze di sangue, una in partico-lare molto estesa. Altre macchie emati-che sono sparse sulla parete adiacente. Davanti alla scala che conduce al vano della cantina trovano un'altra estesa

chiazza di sangue ed una ciocca di ca-pelli. La porta di accesso alle scale della cantina è aperta e la luce è accesa. In fondo alle scale rinvengono il corpo di Chiara Poggi, in posizione prona, con la testa appoggiata al muro ed i piedi rivolti verso l'accesso alla scala del piano terra. Intorno alla ragazza, che non dava segni di vita, c’era una grande quantità di san-gue e, al momento del ritrovamento, in-dossava indumenti estivi da notte. In salotto la televisione era ancora accessa e le persiane della casa ancora chiuse. L’autopsia viene effettuata il successivo 16 agosto e stabilisce la morte della ra-gazza tra le ore 10:00 e le ore 12:00 del 13 agosto. La causa della morte, sempre in sede di esame autoptico, viene stabilita per "grossolane lesioni cranio-encefaliche di natura contusiva riscontrate sul cada-vere. In modo particolare quelle relative alla lesione nella regione parieto-occipi-tale sinistra, in grado di causare un de-cesso pressoché immediato". Vennero riscontrate anche altre lesioni. Iniziate subito le indagini, nella villetta dei Poggi vengono trovate innumerevoli tracce. Ci sono quelle dei familiari di Chiara, quelle di un falegname che qual-che settimana prima del delitto aveva fatto dei lavori nella villetta. E ci sono tante tracce dei carabinieri intervenuti nell’immediatezza del ritrovamento del corpo. Inoltre, grazie alle testimoniaze di due donne, gli inquirenti apprendono della presenza, la mattina del ritrovamento del corpo, di una bicicletta nera da donna, appoggiata sul muro dell'abitazione di Chiara, vicino al cancello pedonale. In particolare una delle due testimoni ram-mentò di essere giunta a casa di sua fi-glia, la cui abitazione confinava con quella della famiglia Poggi, intorno alle ore 9:10 e di aver notato la bicicletta che, però, non vide più alle10:20 quando uscì

Pasquale Salemme Segretario Nazionale

del Sappe [email protected]

Oltre ogni ragionevole dubbio: il delitto di GarlascoG

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nuovamente in strada. Nella villetta, qualche giorno dopo, arriva-rono anche i carabinieri del RIS di Parma che rinvengono tre impronte di scarpa da ginnastica intrisa di sangue e resti ema-tici nelle tubature della doccia. Nel frattempo Alberto Stasi, che la mat-tina del 13 agosto, prima di recarsi a casa della ragazza, era stato a studiare, presso la propria abitazione, al computer per ul-timare la sua tesi di laurea, viene inda-gato. I carabinieri, su mandato della Procura, perquisiscono l’abitazione della famiglia Stasi sequestrando una bicicletta e il suo computer. I tecnici, successivamente, nell’esaminare il disco rigido del computer portatile del ragazzo, si imbattono in una serie di file definiti pedo-pornografici: 7064 immagini e 542 filmati pornogra-fici, 21 immagini e 7 filmati pedo-porno-grafici Gli inquirenti, inoltre, trovano 89 imma-gini degli amici e di Alberto in perizoma,

foto di Chiara a Londra e foto della bian-cheria intima, dei piedi e delle scarpe di estranee incontrate per strada, alcune delle stesse scattate da Alberto con il te-lefonino pochi secondi dopo aver fotogra-fato la fidanzata nella capitale inglese. Il 20 agosto 2007, Stasi viene indagato ufficialmente per omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà. Nei riguardi dello Stasi pesano i dubbi di un’impronta abnorme riscontrata sulla scena del cri-mine, un profilo psicologico soggettivo aggravato dalla presenza di materiale pe-dopornografico e l’ombra oscura dell’av-vistamento di una bicicletta da donna non reperita in sede di perquisizione (in uso al giovane).

Il 24 settembre 2007 Alberto Stasi viene arrestato, per la presenza di DNA della vittima sui pedali della bicicletta con cui si sarebbe allontanato dopo l’omicidio. Tuttavia, il successivo 28 settembre viene scarcerato dal GIP di Vigevano per insufficienza di prove. Il 20 dicembre del 2007, Stasi viene ac-cusato anche di detenzione e divulgazione di material pedo-pornografico, ritrovato nel suo computer. Il 27 marzo del 2008 Alberto Stasi si lau-rea con 110 e lode in Economia alla Boc-coni  di Milano con una tesi dal titolo “Profili tecnici e normativi nella tassa-zione delle imprese di assicurazione” che dedica “A Chiara, che qualcuno ha voluto togliermi troppo presto”. Il 3 novembre 2008, Alberto Stasi viene rinviato a giudizio e, nel marzo del 2009, viene chiesto dai suoi avvocati il rito ab-breviato. L’impianto accusatorio si fonda sostan-zialmente sulle tracce di sangue del gio-vane sul barattolo di sapone liquido nella villetta – segno che Stasi si sia lavato le mani dopo l’omicidio -, la dimensioni della falcate che Alberto avrebbe dovuto fare per non sporcarsi le scarpe di sangue e in ultimo le migliaia di foto pornografiche rinvenute nel suo PC, che potrebbero co-stituire un valido movente. Il 9 aprile 2009 inizia il processo a Vige-vano e l’accusa chiede 30 anni per Stasi, ma a dicembre il ragazzo viene assolto per insufficienza di prove. In appello, il 7 dicembre 2011, davanti alla Corte d’Assise d’Appello con giudici po-polari e processo spostato a Milano una nuova assoluzione di Alberto Stasi “per non aver commesso il fatto”. Ciò nonostante, al processo d'appello bis il 17 dicembre 2014, in seguito alla nuova perizia computerizzata sulla camminata e ad alcune incongruenze nel racconto, e pur in assenza di riscontri nei nuovi test del DNA, Stasi viene ritenuto colpevole e condannato a ventiquattro anni di reclu-sione (pena poi ridotta a 16 anni grazie al rito abbreviato) per omicidio volontario, con l'esclusione però delle aggravanti della crudeltà e della premeditazione. Il 12 dicembre 2015 la Corte di Cassa-zione ha confermato la sentenza-bis della

Corte d'Appello di Milano e condannato in via definitiva Alberto Stasi a 16 anni di re-clusione. In particolare, la colpevolezza di Alberto Stasi è stata riscontrata: • nel fatto che Chiara Poggi è stata uccisa da una persona conosciuta, arrivata da sola in bicicletta, che ella stessa ha fatto entrare in casa. • nel fatto che, fidanzato della vittima, in rapporto di confidenza con lei, conosci-tore della sua casa e delle sue abitudini, possessore di più di una bicicletta da donna, compatibile con la "macrodescri-zione" fattane dalle testimoni, ha fornito un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine nella "finestra temporale" compa-tibile con la commissione dell'omicidio; • nel fatto che ha reso un racconto incon-gruo, illogico e falso, quanto al ritrova-mento del corpo senza vita della fidanzata; • nel fatto che non ha mai menzionato, tra le biciclette in suo possesso, proprio la bi-

cicletta nera da donna collegata sin dal primo momento al delitto e corrispon-dente alla "macrodescrizione" fattane dalle testimoni; • nel fatto che sul dispenser del sapone li-quido, utilizzato dall'aggressore per la-varsi le mani dopo il delitto, sono state trovate soltanto le impronte dell'anulare destro di Alberto Stasi, che lo individuano come l'ultimo soggetto a maneggiare quel dispenser; • nel fatto che sui pedali della sua bici-cletta è stata rinvenuta una copiosa quan-tità di DNA di Chiara Poggi; • nel fatto che l'assassino era un uomo che calzava scarpe n. 42 stesso numero e stessa marca delle sue. (1)

Nelle foto: sopra la scena del crimine a sinistra Alberto Stasi

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Qualcosa dentro di me mi portava a de-viare dalla traccia, avvertivo forte l’esi-genza di scrivere a qualcuno ciò che mi amareggiava, lo facevo in quel tema, forse meritavo il classico due, ma avevo trovato chi invece era andata oltre ed amava i miei scritti improntati alla ri-cerca di una purezza che era giusto non disattendere... ed erano voti alti, altis-simi, anche per un genuino come quel Francesco Campobasso, ragazzotto che ha sempre creduto che l’amicizia, la cor-

rettezza, la lealtà, fossero baluardi appar-tenenti a tutti. Barattare il tema della guerra delle isole Falkland con l’aereo che svolazza nel cielo tinto d’azzurro a portare speranza e amore, mi rendeva felice. Ma Francesco prenderà coscienza che tutto ciò non si avvererà mai. Ed è così che l’articolo della settimana pone la sua attenzione sulle magagne che attorniano i nostri tempi. Lo farò ancorandolo al nostro mondo, quello del nostro Corpo, di un organismo chiamato alla correttezza quale organo Istituzionale ma che per l’inconsistenza

a ragazzino, figlio della mia Montesarchio, quando mi im-battevo nelle nefandezze dello scibile umano, mi rinchiudevo

in me stesso alla ricerca di quei perché, spesso isolandomi per le strade antiche dei borghi del paese, incrociando la sto-ria, i volti dei nonni, di una generazione (la terza) che poteva aiutarmi a com-prendere le dinamiche di un tempo che ostacolava i principi della lealtà, onestà, altruismo e meritocrazia.

Da sempre amante della penna, della let-teratura italiana, contavo i giorni per mettere nero su bianco le mie emozioni quando veniva annunciato il tema di ita-liano. E nella fatidica giornata violavo spesso quella che era la traccia del tema, an-dando spesso e volutamente fuori guida, facendo comunque sorgere nella mia storica ed amata prof. Luisa Schipani una vera e propria adulazione che si sciori-nava nei giorni a seguire in approfondi-menti e confronti tesi ad immaginare un mondo celestiale che mai avrebbe visto i suoi natali.

La muta di Portici e la cieca di Sorrento

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Tali molteplici elementi, di sicura valenza indiziaria e valutati globalmente sono stati ritenuti convergenti verso la re-sponsabilità dell'imputato per l'omicidio della fidanzata. Ciascun indizio, secondo la Suprema Corte, risulta integrarsi perfettamente con gli altri come tessere di un mosaico che hanno contribuito a creare un qua-dro d'insieme convergente verso la col-pevolezza di Alberto Stasi, oltre ogni ragionevole dubbio. (2) Alberto Stasi sta scontando la sua pena nella Casa di Reclusione di Mi-lano Bollate. Alla prossima... (1) Cassazione penale, sez. V, sentenza n. 25799/2016; (2) il delitto di garlasco, in Wikipedia.

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uesto libro raccoglie tutti gli articoli pubblicati sulla Rivista mensile Polizia Penitenziaria SG&S, nella rubrica Crimini e criminali. La mia passione per il fenomeno criminale mi

spinse, anni orsono, a proporre al direttore della Rivista, Gianni de Blasis, di curare una rubrica ad hoc – da chiamare appunto Crimini e criminali – nella quale raccontare e commentare la storia dei crimini più efferati e dei criminali più famosi assurti a protagonisti della cronaca nera. Col passare del tempo, dopo tantissimi argomenti trattati, ho ricevuto molti complimenti ed attestazioni di stima da amici e colleghi e ho anche avuto l’onore di essere citato in opere di terzi. Tutto ciò mi ha convinto, dunque, a raccogliere in volume gli oltre cento articoli pubblicati. Gli articoli trattano il fenomeno criminale in tutte le sue sfaccettature, spaziando dai serial killer alle bande criminali, dalle stragi ai tanti delitti assurti agli onori della cronaca, compresi anche quelli dimenticati o rimasti irrisolti.

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Nelle foto: manifesti dei film richiamati dal titolo dell’articolo

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stanti, al punto di arrivare ad intaccare la fiducia in noi stessi, soprattutto se ab-biamo investito molto in quel rapporto. Certo, a tutti capita prima o poi di fidarsi della persona sbagliata, ma dobbiamo essere in grado di prendere le distanze e non dare loro l’opportunità di ferirci ul-teriormente. In questo anche quei comandanti che in-ducono il personale ad avere fiducia in loro stessi, per poi dimostrarsi ambigui, falsi e tendenziosi. Vertici di un istituto che manifestano il rispetto della Legge uguale per tutti salvo poi fare figli e fi-gliastri. Ed in questo ecco fare capolino anche la figura dell’ipocrita. Può sem-brare una giustificazione ma non lo è: chi sente la necessità di indossare maschere su maschere con chi gli sta intorno è evi-dentemente qualcuno che ha seri pro-blemi di relazione con se stesso e di conseguenza anche con gli altri. Tocca sempre ricercare l’autenticità nelle persone, di quelle che non hanno bi-sogno di nascondersi dietro un compor-tamento finto e costruito e non cercano in alcun modo di usare “trucchi” o false parole di apprezzamento solo per com-piacere qualcuno. Sono queste persone che devono dimo-strare di essere sensibili verso il pros-simo, non di ingannarlo approfittando del loro ruolo apicale, evitando di tradire la fiducia altrui. L’ipocrita è un manipolatore dei senti-menti e del rispetto altrui, è uno che si mette la maschera del vincente per ot-tenere un vantaggio da non condividere. C’è chi ostenta continuamente regole ineccepibili, ma in realtà non agisce mai secondo quelle regole morali. Per esempio, una persona può eviden-ziare l’importanza di aiutare gli altri, ma quando arriva il momento di tendere la mano si volta dall’altra parte. Personalmente ho sempre preso le di-stanze in maniera energica quando mi sono imbattuto in queste persone, fiero ed orgoglioso di averlo fatto. Mai mi sono inchinato al potere o al ruolo di chi in quel momento vantava una po-sizione ed un contesto di livello supe-riore. E mi sono sempre schierato dalla parte del più debole quando il falso e l’ipocrita miravano come loro prede per-

di alcuni suoi attori è costretto spesso a ripiegare le sue velleità mal figurando all’esterno e agli occhi del nostro glorioso popolo. Il titolo trae origine da un proverbio che era solito menzionare un glorioso com-pianto maresciallo (di cui mi limiterò a citarne il solo nome di battesimo, o me-glio ancora, nome e magnificenza “il grande Antonio”) di un comando della Polizia Municipale di un paese dell’inter-land napoletano, quando si trovava di-nanzi a persone che non volevano nè sentire e né vedere. La muta di Portici e la cieca di Sorrento, spiegando come sia del tutto inutile par-lare a chi non ha interesse ad ascoltare quello che diciamo e quindi non ci presta alcuna attenzione.. Partiamo dai piani alti, dai vertici dei ruoli apicali, in coloro che, almeno in par-tenza, dovrebbero dimostrare di essere super partes, arbitri e non guastatori, corretti con tutti ed in grado di ricevere la stima dei tanti se non della collettività. E, ahimè, tanti blasonati graduati, co-mandanti, generali, direttori, dirigenti, politici (vabbé qui ci si scioria), hanno fatto della falsità il loro pedigree, tanto da perdere il controllo del loro ruolo e di un reparto, di un popolo, di estimatori, decretando il loro fallimento. Che cos’è la falsità? Mi riconduco a una bellissima citazione di Luigi Pirandello “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontre-rai tante maschere e pochi volti”. In questo trovo concordare che la carat-teristica che si apprezza maggiormente in una persona è la “sincerità” che pone la persona falsa in un contesto che dige-risce poco e male il binomio divisa/co-mando/gestione. La sincerità per me è la qualità che più ricerchiamo nelle persone che vogliamo al nostro fianco. Ma la realtà è che siamo circondati da troppa ipocrisia: le persone false e ipocrite esistono, inutile negarlo. Nel mio percorso professionale, ho più volte smascherato gente falsa e priva di qualità che ritenevano di avere. E quando esce il vero volto di chi credevamo fosse un nostro amico, un ottimo comandante, una persona seria, la delusione e il senso di tradimento sono risultati essere deva-

sone in buona fede. Ed ho sempre prefe-rito salvare ed esaltare valori quali la le-altà e l’importanza di dire la verità. C’è chi ama mettere in evidenza il suo lato perbenista, ma applica un atteggia-mento molto diverso quando viene coin-volto direttamente. Mi viene in mente il classico esempio di chi si arrabbia tanto quando un condu-cente non rispetta un passaggio pedo-nale, ma quando lo fà lui, tira in ballo molte scuse per spiegare perché non si è fermato. E’ la classica persona che vede la pagliuzza nell’occhio del vicino, ma non la trave nel suo. In mezzo agli amici e ai colleghi, pur-troppo a volte si nascondono anche i falsi amici e colleghi, quindi dobbiamo fare sempre molta attenzione.

È molto difficile riconoscerli SUBITO, anche perché l’ipocrita riesce a masche-rarsi davvero molto bene, tanto bene che a volte potremmo dubitare del nostro giudizio. I suoi “alti” standard morali lo portano sempre a puntare il dito contro qualcuno, al punto di umiliare pubblica-mente quella persona. Se una persona che riteniamo nostra amica parla e sparla dei nostri amici o conoscenti, viene da chiedersi come par-lerà di noi… Ed oggi, con un pizzico di esperienza alla soglia dei miei 51 anni, posso battezzare con certezza che chi sparla lo farà sempre, in una sorta di gi- s

Francesco Campobasso Segretario Nazionale del Sappe [email protected]

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rotondo... e quando lo fanno anche per-sone che rivestono ruoli apicali, allora ti rendi conto immediatamente che per-sone hai davanti a te... e cresce lo scon-forto. Se la sua lingua può essere così spietata e tagliente, prima o poi taglierà anche noi, basta che giriamo la schiena. Tutto appare come un’abile strategia per concentrare l’attenzione sull’altro per non mettere in evidenza le sue discre-panze o comportamenti. L’ipocrita tende a non vedere né sentire ciò che non ama vedere e sentire, assu-

mendo, come nel proverbio, una posi-zione travalicante che si pone solitamente a metà strada tra il narcisi-smo e la superiorità intellettuale (tutt’al-tro da dimostrare). Il suo livello di arroganza porta a sentirsi inferiori, im-maturi o non abbastanza buoni. E’ la classica persona che non esita a rimproverare una qualsiasi delle nostre azioni, parole o atteggiamenti. Ed al falso, all’ipocrita, spesso è quasi tutto concesso. Norme e regolamenti esistono, ma solo per gli altri. La persona falsa è convinta di essere al di sopra delle legge sempli-cemente perché a suo avviso ha un senso innato del diritto e della morale. Può circuire, assumere atteggiamenti, incutere malessere, lo farà perché con-vinto di essere il forte indissolubile che tutto può. L’ipocrita non riconosce quasi mai i suoi errori, anche di fronte all’evidenza. Non chiederà mai scusa né ammetterà la sua responsabilità, anzi, ricorrerà continua-mente a delle scuse per giustificarsi.

Nella foto: Madre Teresa

di Calcutta

Per l’ipocrita, le circostanze sono sempre un fattore attenuante, e gli errori non di-pendono mai da lui/lei. L’ipocrita si sveglia, si fa bello per uscire al mondo e guadagnare confidenza, sim-patia, gratificazione…ma cosa c’è di male in questo? A tutti piace guadagnare la considerazione e il rispetto degli altri! Vero, ma la considerazione e il rispetto vanno guadagnati per ciò che si è dav-vero. Quindi, il modo migliore per com-battere l’ipocrisia è essere autentici. Non ci serve soddisfare le aspettative

degli altri e nemmeno trasformarci in moralisti. Come dicono i saggi... “Vivi e lascia vivere”. E tutto questo và di pari passo con la ver-gogna che nasce dalla valutazione della propria inadeguatezza: l’individuo mette in discussione il ‘come sono’, questo fa sì che ci siano pochissime possibilità di porre rimedio a quello che si considera l’errore. La difficoltà principale infatti ri-siede nel fatto che la vergogna è il frutto di uno stato interno del sé e non il pro-dotto di un conflitto esterno, cosicché essa va a minare l’integrità del sé e delle proprie capacità. Nel costrutto della vergogna c’è la cre-denza di essere una persona non degna di stima. L’essere umano, quindi, valuta se stesso in termini negativi e diviene estrema-mente attento ai segnali degli altri che possono convalidare questa idea. Ma è pur sempre un’operazione difficile da compiere, dove ogni individuo ha una teoria relativa ad un proprio sé ideale. E quello che colpisce non è tanto l’inade-

guatezza ma l’arroganza di chi non ha la misura dei propri limiti e pretende inca-richi per i quali non è attrezzato, pen-sando di poter far fessi gli interlocutori. In tutto questo l’ignoranza, che definisce il quadro dell’articolo. Non è tanto l’ignoranza, è la prosopopea dell’ignoranza. Se l’ignoranza diventa un vanto, una vanagloria, se l’ignoranza di-venta prepotente, autoritaria, istituzio-nale, se la competenza e i meriti specifici diventano inutili, superflui, non ricono-sciuti, anzi mortificati, azzerati, ignorati, giudicati alla stregua di un vezzo, di un capriccio, di un diletto autoreferenziale da secchione, da professorino, da artista, se l’ignoranza diventa autorità costituita, potere gestionante, che non riconosce il valore e la sostanza individuale di una persona, equiparandola a tutte le altre se non nell’atto del suo servile inginocchia-mento, ecco che l’ignoranza, da condi-zione legittima, diventa arrogante violenza anche se non spezza le mani, di-venta illogica sopraffazione, dispotismo, cieco predominio. Ecco che poi non vogliono (ma, forse, non sono in grado) di sentire e vedere, pro-prio come la muta di Portici e la cieca di Sorrento. Mi piace concludere questo mio articolo con una bellissima poesia di Madre Te-resa di Calcutta: “L’uomo è irragionevole, illogico, egocen-trico NON IMPORTA, AMALO Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici NON IMPORTA, FA’ IL BENE Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici NON IMPORTA, REALIZZALI Il bene che fai verrà domani dimenticato NON IMPORTA, FA’ IL BENE L’onestà e la sincerità ti rendono vulne-rabile NON IMPORTA, SII FRANCO ED ONESTO Quello che per anni hai costruito può es-sere distrutto in un attimo NON IMPORTA, COSTRUISCI Se aiuti la gente, se ne risentirà NON IMPORTA, AIUTALA Da’ al mondo il meglio di te, e ti prende-ranno a calci NON IMPORTA, DA’ IL MEGLIO DI TE”. l

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Fulvia Di Cristanziano Assistente Capo Coord. di Polizia Penitenziaria [email protected]

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onostante siano passati anni, ancora ricordo il gelido pome-riggio in cui ideai questa ricetta. Era il 31 dicembre ed ero andata

a raccogliere le arance amare dato che erano all’apice della loro maturazione. Tanto fu il freddo preso da non riuscirmi a scaldare, così decisi di accendere il forno e realizzare questo plumcake dal cuore soffice che da tempo mi ronzava in mente. Imburrate e infarinate uno stampo 25 x 15 cm, portate il forno a una temperatura di 170° C. Lavorate, usando una spatola, il burro morbido con lo zucchero, aggiungere le uova, il latte, l’estratto di vaniglia, unite lo yogurt solo quando l’impasto avrà rag-giunto un bel colore bianco, mescolate bene. Incorporate infine il pizzico di sale, la fa-rina setacciata con il lievito e la fecola, lavorate fino ad ottenere un composto omogeneo, solo ora aggiungere il cioc-colato a pezzi distribuendo gli ingredienti in maniera uniforme. PREPARAZIONE E COTTURA Versate tutto nello stampo preparato in precedenza. Fondere 2 cucchiai di burro in un pento-lino, immergeteci una spatola, infilatela poi nel centro dell’impasto fino in fondo come a disegnare un solco, questo trucco vi consentirà la formazione della classica spaccatura centrale (eseguire due, tre volte). Cuocere per 40 minuti in modalità ven-tilata, proseguire gli altri 15 minuti su statica. In questo caso, come sempre, vi sconsi-glio l’uso delle gocce di cioccolato, so bene che esse sono molto pratiche da utilizzare, ma non conferiscono al plum-cake la stessa intensità di una tavoletta spezzata al momento, inoltre perché ot-

Nelle foto: Plumcake al cioccolato

tenere un dolce buono quando, invece, prestando attenzione a piccoli partico-lari, possiamo mangiarne uno eccezio-

nale? Il segreto è nella cura dei dettagli, e que-sto è uno di quelli fondamentali.

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CUCINA DINTORNI

Plumcake al cioccolato

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PLUMCAKE AL CIOCCOLATO Ingredienti: 200 gr farina 0 70 gr fecola mais 200 gr zucchero semolato 125 gr burro temperatura ambiente 125 gr yogurt bianco temp. ambiente 100 gr uova temperatura ambiente 50 gr latte temperatura ambiente 100 gr cioccolato a scaglie 1 cucchiaino estratto di vaniglia un pizzico sale 1 bustina lievito per dolci 2 cucchiai burro per la guarnizione

LA RICETTA

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Antonio Montuori [email protected]

atera si trova nella parte orientale della regione Basili-cata a  401 m s.l.m. Sorge sulla continuazione dell'alto-

piano delle Murge e la fossa Bradanica, solcata dal fiume Bradano che scorre nella profonda fossa naturale che deli-mita i due antichi rioni della città: Sasso Barisano e Sasso Caveoso.

I due rioni costituiscono la parte antica della città, essi si distendono in due pic-cole valli, leggermente sottoposte ri-spetto ai territori circostanti, separate tra loro dallo sperone roccioso della Ci-vita. Il Sasso  Barisano, girato a  nord-ovest sull'orlo della rupe, fulcro della città vecchia, è il più ricco di portali scol-piti che ne nascondono il suo cuore sot-terraneo. Il Sasso Caveoso, invece guarda a sud, ubicato in una lama più ampia e corta, assume vagamente la forma di una cavea teatrale. Al centro la Civita, spe-rone roccioso che separa i due Sassi, sulla cui sommità si trovano la Catte-drale ed i palazzi nobiliari. Insieme for-mano l'antico nucleo urbano di Matera, e proprio per la peculiarità e l'unicità del suo centro storico nel 1993, Matera fu dichiarata dall'UNESCO patrimonio mon-diale dell’umanità. Giovan Battista Paci-chelli, abate e storico del Vaticano, nel 1681 appena tornato a Roma da un fati-

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Matera, la città millenaria scavata nella roccia

Nelle foto: vedute di Matera

giogo feudale. Questo meccanismo si protrasse sino al 1496, quando il conte Tramontano, che vantava crediti nei con-fronti dell'Erario reale, chiese ed ottenne dal re di Napoli la contea di Matera. Il conte appena ottenuta la bolla feudale, subito commissionò la costruzione di un imponente castello, proprio sulla collina dominante la città.

Da chiarire che la scelta del luogo, non fu per la difesa della città stessa, ma per un oppressivo controllo feudale dei ter-reni circostanti. Ma, ahimè, l’opera ri-sultò essere troppo onerosa, tanto che con il passare del tempo il conte si riempì di debiti, per far fronte ai quali, il nobile Tramontano tassava sempre più la popolazione con gravose imposte, ren-dendosi sempre più inviso ai materani. Fu così che alcuni cittadini, stanchi dei continui soprusi, si riunirono nascosti dietro un masso, che da allora fu chia-mato “u pizzon' du mal consigghj”, cioè "la pietra del mal consiglio", ed organiz-zarono l'assassinio del "tiranno". La mattina del 29 dicembre 1514, infatti, il nobile, appena uscito dalla cattedrale, fu assassinato in una via laterale della stessa, che successivamente fu chia-mata in modo eloquente "Via del Ri-scatto" e il castello restò a lungo abbandonato e ovviamente incompiuto. Nel periodo risorgimentale invece, a

cosissimo viaggio in Terra di Lucania racconterà di Matera così: «La città è di aspetto curiosissimo, viene situata in tre valli profonde nelle quali, con artificio, sulla pietra nativa e asciutta, seggono le chiese sopra le case e quelle pendono sotto a queste, confondendo i vivi e i morti.» Il ritrovamento di diversi oggetti risalenti all’età paleolitica nelle grotte sparse lungo le Gravine materane, sono la testi-monianza che le origini di Matera sono molto remote. Non a caso, l’emblema della città è un bue con le spighe di grano, simbolo tipico della Magna Grecia che lascia appunto intendere le sue pro-babili origini greche, o se non altro, fa ri-ferimento all'accoglienza data da Matera ai profughi metapontini, dopo la distru-zione della loro città da parte di Annibale. Dell’epoca romana non vi sono molte tracce in quanto l’intera zona fu solo un centro di passaggio ed approvvigiona-mento. A partire dall’ VIII sec, il territorio mate-rano fu teatro di una notevole immigra-zione di monaci benedettini e bizantini, che si stabilirono lungo le grotte della Gravina trasformandole in chiese rupe-stri (se ne contano ben 140). I secoli che seguirono, fra continue carestie e disa-strosi terremoti, furono ulteriormente caratterizzati da lunghe ed aspre lotte fra i popoli che si sono succeduti: Lon-gobardi, Saraceni e Bizantini, lotte che portarono ad opera delle truppe di Ludo-vico II, alla sua completa distruzione. Due secoli occorsero a Matera per risor-gere, sino diventare una fiorente città, così ricca che a lungo riuscì a rimanere città Regia, cioè dipendente diretta-mente dalla Corona reale. Questa indipendenza, curiosamente, era garantita dai periodici riscatti che pa-gava per restare città libera ad auto-nomo reggimento, liberandosi di fatto dal

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causa delle promesse non mantenute sulla redistribuzione delle terre dema-niali, il comitato prodittatoriale lucano fomentato oltremodo dai legittimisti, co-minciò a diffondere un forte malessere con il nascente governo nazionale, cre-ando di fatto il primo sintomo di ribel-lione che precedette il  brigantaggio postunitario in tutte le regioni dell’ex regno duesiciliano. Va detto che i Sassi sono stati un inse-diamento urbano derivante dalle varie forme di civilizzazione succedutesi nel tempo, da quelle preistoriche, sino all'ha-bitat della “Civita” di matrice normanno-sveva, con le sue fortificazioni ed espansioni rinascimentali, per continuare poi con le sistemazioni urbane barocche

ed infine dal degrado igienico-sociale che si venne a verificare dalla seconda metà dell’800 sino alla prima metà del 900. Va ricordato inoltre, che Matera il 21 set-tembre del 1943, anticipando di qualche giorno le epiche 4 giornate di Napoli, fu la prima città d’Italia ad insorgere contro l'oppressione esercitata dall'occupa-zione nazista, per la quale nel 1966 il Mi-nistro delle Difesa, Luigi Gui, decorò il gonfalone della città con una medaglia d’argento al valor militare. Nella stessa giornata fu posta una lapide con la se-guente iscrizione: «Matera prima città del Mezzogiorno insorta in armi contro il nazifascismo addita l'epico sacrificio del 21 settembre 1943 alle generazioni pre-senti e future perché ricordino e sap-piano con pari dignità e fermezza difendere la libertà e la dignità della co-scienza contro tutte le prevaricazioni e le offese» . La questione dei Sassi di Matera e del suo degrado igienico-sanitario fu solle-

digi di efficienza. Le umili e arcaiche tec-niche, dimenticate dagli stessi abitanti, oggi acquistano un fascino ed un valore un tempo inimmaginabile. Tanto è meraviglioso questo lembo di ter-ritorio, che nel 2004 l’attore e regista hollywoodiano Mel Gibson, scelse proprio l’incantevole scenario dei Sassi e degli ampi panorami della Basilicata, per gi-rare il film colossal: “The Passion” (La passione di Cristo) interpretato da Jim Caviezel e Monica Bellucci. Il film girato interamente in latino e in aramaico, mostrò in modo molto sugge-stivo, le ultime ore della vita di Gesù. Va evidenziato oltretutto, che quando si pensa di visitare Matera, oltre alle sue sorprendenti eccezionalità, non si può

fare a meno di prendere in considera-zione di potere assistere all’interpreta-zione del sensazionale presepe vivente, organizzato da diversi decenni oramai, proprio in questo incantevole scenario. Scenario che per la sua confor-mazione naturale e l’unicità del paesag-gio, ricorda tantissimo il territorio originario della Natività. La grandezza di questo evento è davvero strabiliante, basti pensare che il percorso completo è di circa 5 Km, dove è possi-bile ammirare un numero enorme di scene animate da  oltre 300 attori, la maggior parte dei quali veri professioni-sti, mentre i ruoli delle comparse ven-gono affidati a persone appassionate a questo magico evento. Ogni singolo aspetto è quindi curato nei minimi dettagli, in modo da offrire agli avventori della manifestazione di immer-gersi fino in fondo nella realtà vissuta in Galilea oltre 2000 anni fa. Buon Natale a tutti...

Nelle foto: in alto Castello Tramontano sopra e al centro il presepe vivente a sinistra il regista Mel Gibson durante l lavorazione del film The Passion

l

vata in Parlamento solo nel 1948 grazie al profuso impegno da parte di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. Nel 1952, finalmente una legge nazionale stabilì lo sgombero dei Sassi e la costruzione di nuovi quartieri residenziali che sviluppa-rono la città nuova nella quale conflui-rono i 15.000 abitanti dei Sassi. Ma bisognerà aspettare sino al 1986 per avere una legge che finanziò il recupero degli antichi rioni materani, ormai degra-dati da oltre trent'anni di abbandono. Oltre ai Sassi e alle innumerevoli grotte

rupestri, va ricordata un’altra caratteri-stica peculiare di questa strabiliante città: il sistema di raccolta delle acque con le sue relative cisterne. Di fatto, i Sassi si trovano a circa 150 metri dal livello del torrente, mentre le colline d'argilla che li circondano risul-tano essere troppo lontane per assicu-rare l'approvvigionamento idrico, pertanto la scelta di questo sito, sebbene abbia garantito un'estrema sicurezza al-l'abitato, ha comportato ai suoi abitanti enormi difficoltà nell'approvvigionamento delle acque. Gli antichi abitanti hanno sfruttato ma-gistralmente a proprio vantaggio la fria-bilità della roccia e le pendenze per realizzare un complesso sistema di cana-lizzazione delle acque, condotte in una diffusa rete di cisterne. Matera non a caso risulta essere uno dei più antichi e meglio conservati esempi di bio-architet-tura al mondo. Strutture apparentemente semplici e rudimentali si rivelarono pro-

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degli ebrei dall'Egitto; al necessario ri-poso degli uomini e degli animali. Esso non esprime, però, la fine della creazione, ma il suo fine: ne è la salvezza, il disve-lamento, la contemplazione e la gioia. L'anno sabatico è il settimo di una serie di anni (una settimana di anni), e con il sabato è legato da evidenti analogie: è

l'anno della "remissione", nel quale dove-vano essere sospesi i lavori dei campi, onde si garantiva anche il riposo agli ani-mali e agli uomini. Le norme più interes-santi riguardavano gli uomini e i loro rap- porti: i prodotti che comunque proveni-vano dai campi dovevano essere lasciati ai poveri; era richiesta la liberazione degli schiavi ebrei; tutti i debiti fra ebrei erano considerati saldati. L'anno del giu-bileo è il settimo di sette anni sabatici (una settimana di settimane di anni). Il nome viene dall'ebraico "jobhel", "corno di montone" con il quale i sacerdoti, alla fine dell'ultimo anno di ogni ciclo di sette anni sabatici, annunciavano l'inizio del dell'anno cinquantesimo, giubilare: - "Di-chiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giu-bileo, ognuno di voi tornerà nella sua pro-

l Giubileo del 2000 è da ritenersi, sino a oggi, il più grande: perché coincide con la fine del millennio, solennizza venti secoli (dalla na-

scita di Cristo, "unico salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre" ed è pure il primo Giubileo celebrato a cavallo di due millenni della storia del Cristianesimo.

Per una chiara e sufficiente compren-sione del significato del Giubileo occorre prendere le mosse dalla Bibbia e più pre-cisamente dall'istituzione del Sabato, degli Anni Sabatici e quindi del Giubileo, avente una finalità prevalentemente so-ciale, ma giustificata da motivazioni teo-logiche. L'istituzione del Giubileo nella Cristianità trova fondamento nella tradizione del-l'Antico Testamento, riconducendo a una concezione assai caratteristica, che in-treccia le istituzioni del sabato, dell'anno sabatico, del Giubileo. Alla base sta il ritmo settenario: dei giorni, degli anni e dei gruppi di sette anni. Il sabato, settimo di una serie di giorni, è il giorno del riposo e del culto. Le ragioni addotte come fondamento della sua istituzione lo riferiscono alla conclusione della Creazione; all'uscita

9 luglio 2000: il Giubileo nelle carceri di Roberto Martinelli

prietà e nella sua famiglia" (Levitico 25, 10); - "Il cinquantesimo anno sarà per Voi un giubileo; non farete semina, né mieti-

tura di quanto i campi produrranno da sé, né farete vendemmia delle vigne non po-tate poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro, potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi .." (Levitico 25, i 1). Le terre dunque rimanevano incolte; ognuno rientrava in possesso del suo pa-trimonio, i campi e le case che erano stati alienati tornavano al primitivo pro-prietario. Il testo esplicito per il Giubileo si ha solo nella "Legge di Santità" del Le-vitico (Ibid. 25, 8 — 55). Evento indub-biamente unico, tra gli appuntamenti e le preghiere con il Santo Padre, è quello di domenica 9 luglio 2000 (XIV domenica del tempo ordinario), giorno in cui sono state programmate le celebrazioni giubi-lari nelle carceri. Molto attivo, già da tempo, il gruppo operativo per il Giubileo nelle carceri costituito dall'Ispettorato Generale dei Cappellani che, coordinato

30 • Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020

I

a cura di Giovanni Battista

de Blasis [email protected]

Più di venticinque anni di pubblicazioni

hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria -

Società Giustizia & Sicurezza

la dignità di qualificata fonte

storica, oltre quella di autorevole voce di

opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo

ruolo ci ha convinto dell’opportunità di

introdurre una rubrica - Come Scrivevamo -

che contenga una copia anastatica di un articolo di

particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro.

A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di

riprodurre la copertina, l’indice e la

vignetta del numero originale della Rivista

nel quale fu pubblicato.

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dall'instancabile Monsignor Giorgio Ca-niato, ha trasmesso a tutti gli ispettorati del mondo, tra le altre, una dettagliata lettera, in cui si comunica anche che "lo stesso Pontefice si recherà probabil-mente in un carcere romano", intesa a "prevedere che ogni Vescovo o un suo rappresentante, spiritualmente accom-pagnato dalla comunità, si rechi in un carcere della propria Diocesi per cele-brarvi il Giubileo". L'indirizzo del gruppo operativo per il Giu-bileo nelle carceri è: Mons. Giorgio Ca-niato Ispettorato Generale dei Cappellani, Via Arenula, 70 - 00186 —Roma (tel. 06-68801211). L’ISPETTORATO DEI CAPPELLANI Credo sia interessante qui richiamare un po' di storia dell'Ispettorato Generale dei Cappellani. Fino al 1947 i cappellani delle carceri d'Italia non avevano un loro di-retto superiore ecclesiastico cui fare capo e da cui ricevere direttive. Una tale lacuna fu avvertita specialmente durante la guerra 1940-45 quando si trovarono ad affrontare grossi problemi di compor-tamento e di assistenza. L'iniziativa di porre all'attenzione delle autorità reli-giose e civili un tale problema partì dal cappellano delle carceri Le Nuove di To-rino, padre Ruggero Cipolla, il quale du-rante l'ultimo periodo bellico si trovò davanti a svariate e pesanti difficoltà, so-prattutto per l'assistenza ai molti dete-nuti politici. Fu in quel periodo di tempo che accompagnò e confortò fino al-l'estremo supplizio 72 condannati a morte. Prospettò il problema all'Arcive-scovo di Torino, il Cardinale Maurilio Fos-sati, pregandolo di patrocinare come prima cosa un convegno nazionale dei cappellani delle carceri italiane. La pro-posta della istituzione di un Cappellano Capo, avanzata e caldeggiata in quella sede da Mons. Baldelli e da tutti i conve-gnisti, fu accolta dal Ministero di Grazia e Giustizia, rappresentato costantemente alle sedute al Palazzo della Cancelleria da alti funzionari dell'Amministrazione Penitenziaria e, alla conclusione, dall'al-lora Ministro Grassi. Non potendo tutta-via il Ministero istituire il ruolo di una nuova figura giuri-dica, che è di compe-tenza del Parlamento, per allora fu deciso

il conferimento dell'incarico di Ispettore con un decreto ministeriale nell'ambito del già esistente organico dei cappellani delle carceri (legge n. 1758 del 30-10-1942). Così primo Ispettore fu nominato Mons. Giovanni Cazzaniga, fino ad allora cappellano del carcere "San Vittore" di Milano, che iniziò le sue nuove mansioni nel febbraio 1948, con ufficio prima presso la sede centrale in piazza Cairoli nella Pontificia Commissione Assistenza, che mise a disposizione i locali e le strut-ture; e poi in via Giulia 52, in locali mini-steriali, al quarto piano. A Mons. Cazzaniga successero Mons. Francesco Pieri e Mons. Roberto Ronca, appoggiati amministrativamente al carcere romano di Regina Coeli quali semplici cappellani. Con la legge 5 marzo 1963, n. 323, si ar-riva finalmente all'istituzione di un posto di Ispettore fuori dell'organico dei cap-pellani. Primo Ispettore Generale fu Mons. Giovanni Cazzaniga, già cappel-lano di San Vittore a Milano in carica dal 1948 al 1955. Gli successero Mons. Francesco Pieri (contemporaneamente anche Vescovo di Orvieto, in carica dal 21 luglio 1956 al 15 maggio 1961, data della sua improvvisa morte ad Acquapen-dente durante una cerimonia religiosa), Mons. Roberto Ronca (Arcivescovo tito-lare di Lepanto e già prelato di Pompei, in carica dal 5 febbraio 1962 al 31 marzo 1976), Mons. Cesare Curioni (già cappel-lano del carcere San Vittore di Milano dal 1 febbraio 1948, in carica dal 1 aprile 1976 al 12 gennaio 1996 quando im-provvisamente morì nella sua casa di

Asso) e Monsignor Giorgio Caniato (già cappellano del carcere San Vittore di Mi-lano dal 1 luglio 1955 e contemporanea-mente dal 1959 al 1973 cappellano dell'istituto per i minorenni Cesare Bec-carla di Milano, nominato il 9 dicembre 1996 ed entrato in servizio il 15 gennaio 1997, tuttora in carica). L'Ispettorato Generale dei Cappellani, dal mese di lu-glio 1997, ha come proprio organo di stampa il periodico bimestrale "La Pasto-rale del Penitenziario". La normativa relativa alla religione e alle pratiche di culto negli Istituti di Preven-zione e Pena si compone della Legge 26 luglio 1975, n. 354 (OP) - art 15 e art. 26 -, del DPR 29 aprile 1976, n. 431 (Regolamento di esecuzione) -art. 55 e art. 10 - e della Legge 4 marzo 1982, n. 68, (Trattamento giuridico ed economico dei Cappellani degli istituti di preven-zione e pena).

Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020 • 31

Nelle foto: a fianco la vignetta del numero di giugno 2000 sotto il sommario dello stesso numero nell’altra pagina la copertina del numero di giugno 2000 e una veduta di Piazza San Pietro con la Basilica

l

PERCHE’ IL COLLEGA DEL GOM E’ COSI’

TRISTE?

PARE CHE SIA STATO INCARICATO DI UNA MISSIONE TALMENTE SEGRETA...

... CHE ALL’UGAP NON GLI HANNO NEMMENO DETTO DI COSA SI TRATTA!!

CHE VUOL DIRE BUROCRAZIA?

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i legge d’un fiato, per quanto è coinvolgente, questo bel libro di Francesco Cascini, edito da Tipo-grafia Helvetica e accompagnato

da una prefazione di Carla Del Ponte. Ca-scini è persona “a noi nota”: magistrato

dal 1995, ha prestato ser-vizio presso la Procura della Repubblica di Napoli e la Direzione Distrettuale Antimafia. Al Dipartimento dell’Amministrazione Pe-nitenziaria è stato diret-tore dell’Ufficio per l’attività ispettiva e del controllo e poi Vice Capo Dipartimento. Successiva-mente nominato Vice Capo di Gabinetto del Mi-nistro della Giustizia, è stato quindi Capo del Di-partimento per la Giustizia Minorile e di Comunità. Attualmente svolge le fun-zioni di pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Roma. Il libro mi è piaciuto molto: è contemporaneamente romanzo e testimonianza ed è il racconto, fatto da un figlio di papà, un ra-gazzo di una famiglia bene che diverrà in seguito ma-gistrato antimafia dell’in-fanzia tra i bassi napoletani di un gruppo di ragazzini molto vicini ad ambienti camorristi. E’ un racconto di formazione e un grido d’allarme, una ri-cognizione nell’ambiente grigio della camorra, vista con gli occhi di chi è cre-sciuto troppo in fretta. Il

giudice dovrà fare i conti con il proprio passato e con le scelte fatte quando si ri-troverà a ricercare l’infanzia perduta nello sguardo di chi a differenza sua non ha mai davvero avuto possibilità di scegliere. Attraverso il gioco del pallone, Francesco conosce Gennaro “recchia e puorco”, Pa-squale “a banana”, Antonio “o’ sicc”, Gig-gin “o’ zuopp” e soprattutto il capo del gruppo Tonino “o’ cinese” (figlio di un de-linquente rinchiuso nel carcere di Poggio-reale) ch,e per ragioni non del tutto chiare, aveva una simpatia per il nuovo venuto, te-nendolo sotto la propria ala protettrice. Partite di calcio che diventa-vano sempre più violente e nelle quali emerge il ruolo del leader. Crescono, nel tempo, i ragazzini dei vicoli, con un destino segnato: droga, delinquenza, camorra. E dunque non c’è più posto per un “figlio di papà”. Ma per Francesco rimase la con-sapevolezza che in fondo “lui avrebbe ca-pito, che sapesse perfettamente chi ero e dove abitavo. Forse anche lui in fondo sa-peva che la nostra amicizia sarebbe stata impossibile”. Ma il destino, si sa, percorre strade imper-scrutabili: Cascini ritrovò il cinese in un carcere di massima sicurezza. Il magi-strato andò a rileggersi gli incarti del pro-cesso che lo aveva condannato all’ergastolo, voleva sapere…; si chiedeva se l’amico di un tempo lontanissimo fosse diventato quello che temeva. “Avevo sperato in una ragione per giusti-ficare quella sensazione così netta d’ingiu-stizia che avvertivo, ma era tale solo nella mia testa”. Sì, il cinese era diventato un camorrista e un assassino. Forse tutto era già scritto in quelle parole che trent’anni prima gli disse l’amico: “Per campare nei vicoli devi tenere la cazzimma. Se ti fai mettere e pier in capa dal primo stronzo che arriva non tieni futuro. Nun te pensa nisciun, si nu scemo qualunque. In miez a via nun ci sta nient a fa’, si te miett paura nu riesc a campà”.

uso intensivo degli strumenti di videosorveglianza da parte delle forze di polizia impone precise ri-flessioni in materia di tutela dei

dati personali alla luce sia del regola-mento UE 2016/679 (G.D.P.R.) che della poco conosciuta direttiva UE 2016/680, recepita in Italia con il D.Lgs. 51/2018. È proprio partendo dall’analisi della norma sovranazionale sulla privacy che è stato possibile ricostruire il quadro normativo di riferimento per tutti gli altri attori inte-ressati ad approfondire i nuovi scenari della videosorveglianza urbana integrata. In particolare, l’operatività delle forze di polizia locale e dello Stato è fortemente condizionata da queste disposizioni che ri-chiedono un governo sempre molto at-tento delle procedure e l’individuazione di precisi profili di responsabilità. Lo scopo di questo manuale è quello di inquadrare operativamente l’uso corretto dei vari si-stemi di videosorveglianza e di analizzare le questioni giuridiche connesse al tratta-mento dei dati personali.

anno 2019 è stato foriero di grande produzione legislativa in materia di diritto penale sostan-ziale e processuale. Pertanto,

Maggioli Editore ha ritenuto di apprestare un commentario sugli ultimi due provve-dimenti, “decreto sicurezza-bis” e “codice rosso”, per rispondere, nell’immediatezza, alle esigenze, innanzitutto di praticità, degli operatori del diritto in materia pe-nale. Il decreto legge 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modifiche nella legge 8 agosto 2019, n. 77, reca nuove ipotesi di esclusione della particolare tenuità del fatto, una serie di modifiche a presidio del regolare e pacifico svolgimento delle ma-nifestazioni pubbliche, l’aumento di pena per i delitti di oltraggio, alcune modifiche ai reati da stadio e alle disposizioni a tu-tela dell’ordine pubblico; sono, poi, previ-

a cura di Erremme

[email protected]

S

Francesco Cascini IL GIUDICE E IL CAMORRISTA. Figli della strada, figli di papà Tipografia HELVETICA Edizioni pagg. 172 - euro 18,00

L’

Stefano Manzelli, Gianluca Sivieri, Laura Biarella VIDEOSORVEGLIANZA E ATTIVITA’ DI POLIZIA MAGGIOLI Edizioni pagg. 194 - euro 32,00

L’

Fabio Piccioni CODICE ROSSO E DECRETO SICUREZZA BIS. Le novità penali e processuali MAGGIOLI Edizioni pagg. 196 - euro 30,00

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ste modifiche in materia di arresto in fla-granza, anche differita, di fermo di indi-ziato di delitto e di operazioni di polizia sotto copertura; vengono, infine, rimodu-lati il D.A.SPO. e l’ordine di allontana-mento. La legge 19 luglio 2019, n. 69 propone l’ennesima novella al codice penale e, con-seguentemente, a quello processuale. Da un lato, ulteriori inasprimenti sanzio-natori e, dall’altro, introduzione di 4 nuovi reati in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Puntuali ed esaustive, infine, anche le modifiche apportate all’ordinamento penitenziario.

he Poppy and the Lily, il papavero ed il giglio, sono simboli che rap-presentano la memoria storica delle due comunità nordirlandesi.

La comunità nazionalista irlandese e quella unionista scoto-ulsteriana sono in costante lotta tra di loro da quando la co-lonizzazione dell’Ulster ha avuto inizio (al-l’incirca 400 anni fa). Questa polveriera etnica, ben pressata al-l’interno dei confini dello stato nordirlan-dese, è esplosa in tutta la sua violenza al termine degli anni '60, ma si trascinava già dalla fine del XIX secolo. Le divisioni culturali, presenti nell'Irlanda del Nord e propagatesi nel resto del Regno Unito, si riflettono in tutti i campi della vita sociale della comunità nazionalista irlandese ed unionista scoto-ulsteriana. Il calcio non fa eccezione ma, anzi, essendo un fortissimo catalizzatore sociale, è termometro ed amplificatore delle tensioni etniche pre-senti nell’Ulster. The Poppy and the Lily racconta di come il calcio nordirlandese rifletta la situazione politico-sociale nelle tormentate sei con-tee del nord d’Irlanda e non solo. Un viaggio tra le strade di Belfast e tra i suoi mosaici di quartieri divisi tra l’arancio ed il verde.

uova edizione per la monumen-tale Opera di Maggioli editore, da anni uno dei punti di riferimento certi e validi in materia di Codice

della strada. Molti gli aggiornamenti inter-venuti rispetto alla precedente edizione: Codice della strada • Legge 27 dicembre 2019, n. 160 – Legge di bilancio 2020 (rif. artt. 23, 27, 50 c.d.s.) • D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 conv. in L. 19 dicembre 2019, n. 157 – De-creto fiscale (modifica legge 1° ottobre 2018, n. 117, rif. art. 172 c.d.s.) • D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, conv. in L. 11 feb-braio 2019, n. 12 – Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la p.a. (art. 26 c.d.s.). • Legge 29 maggio 2017, n. 98 – Docu-mento unico di circolazione (rif. artt. 93 ss. c.d.s., in vigore dal 1° gennaio 2020) Patente di guida • D.M. 2 dicembre 2019 – Dematerializzazione del certificato me-dico attestante l’idoneità psicofisica dei conducenti di veicoli a motore. Integrazioni al codice della strada • D.M. 2 ottobre 2019, n. 122 – Regola-mento di attuazione dell’art. 172 c.d.s. in materia di dispositivi antiabbandono di bambini di età inferiore a quattro anni Veicoli e dispositivi speciali • D.M. 4 giugno 2019 – Sperimentazione della circolazione su strada di dispositivi per la micro mobilità elettrica Regolamento di esecuzione • D.P.R. 28 marzo 2019, n. 54 - Regola-mento recante modifica dell’art. 331 reg. c.d.s. concernente i certificati attestanti l’idoneità psicofisica dei conducenti di vei-coli a motore.

a richiesta di profili preparati profes-sionalmente sulla gestione dei con-tenuti digitali è in costante crescita e sempre più viene considerata una

competenza indispensabile. DCM dà rispo-sta a questa esigenza e rappresenta il mezzo ideale per apprendere teorie e tec-niche del settore. La terza edizione si pro-pone di farlo ancor di più. L’autore ha completamente rivisto e aggiornato il vo-lume con le novità, gli strumenti e le nuove funzionalità per rispondere pienamente anche alle più recenti esigenze del mercato. Il giornalismo non è morto e non morirà, al-meno finché ci saranno notizie e storie da raccontare, e finché ci sarà un pubblico. Ma è innegabile che siamo tutti alla ricerca di nuovi modelli per aggirare la crisi. In questo senso il digitale offre enormi opportunità che vanno analiz-zate, studiate, capite e messe in pratica. E bisogna farlo se-guendo due stelle polari: l’at-tenzione per il lettore e quella per i contenuti. In quest’ot-tica, seo, social, membership, paywall, newsletter, instant messaging, metriche, non sono più semplicemente pa-role di moda, ma diventano strumenti organici che vanno a comporre nuove e fonda-mentali competenze che non possono mancare al giornali-sta di oggi e di domani: la ca-pacità di gestione dei contenuti digitali (digital con-tent management). Il testo è una guida contemporanea, teorica e pratica, pensata per il giornalista e per il comuni-catore o per gruppi di questi che vogliano acquisire nuove competenze, sia per metterle al servizio di grandi testate, gruppi editoriali e società, sia per intraprendere proprie strade indipendenti, con uno sguardo all’autoimprendito-rialità. Enrico Marchetto e Si-mone Righini sono due fra gli interpreti più interessanti del panorama digitale in Italia. Il loro contributo su Social e SEO arricchisce questo testo delle loro visioni, preziose, originali e imprescindibili.

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di Mario Caputi e Giovanni Battista

de Blasis © 1992-2020

[email protected]

Il mondo dell’appuntato Caputo

34 • Polizia Penitenziaria n. 288 • NOVEMBRE 2020

CAPUTO COSA NE PENSI DELLA RIFORMA? QUALE RIFORMA?

TRENT’ANNI DOPO...

1991

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Il libro è diviso in tre parti: Diventare Agente della Polizia Penitenziaria: compiti e organizzazione del Corpo di Polizia Penitenziaria; la figura e il ruolo dell'Agente; come si svolge il concorso Prova d'esame: tutte le materie previste dalla prova scritta (Lingua e letteratura italiana, Storia, Educazione Civica, Geografia, Matematica, Scienze) con cinque simulazioni. Test di personalità: come affrontare i test attitudinali, i test della personalità e il colloquio psico-attitudinale

MANUALE PER LA PREPARAZIONE A TUTTE LE PROVE D’ESAME DEL CONCORSO PER 976 ALLIEVI AGENTI DEL CORPO DI POLIZIA PENITENZIARIA INDETTO DAL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (Gazzetta Ufficiale n.80 del 13 ottobre 2020) EdiSES - pagg. 792 - euro 26,00 (disponibile anche in ebook)

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