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Rassegna stampa settimanale n. 19/2015 ____________________________ Dal 4 maggio 2015 Al 10 maggio 2015 A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)

19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

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Page 1: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

Rassegna stampa settimanale n. 19/2015 ____________________________

Dal 4 maggio 2015 Al 10 maggio 2015

A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)

Page 2: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

BANCHE

Page 3: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

6 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 4 MAGGIO 2015

Strategie Ubi, la cooperativa più grande in Italia, capitalizza 6,5 miliardi. Ovvero l’utile netto di quattro mesi di Wells Fargo...

Popolari I nocciolini dei piccoli soci La partita in difesa è già iniziataDa Brescia a Verona, le strategie per costruire nuovi assetti stabili nel capitaleIl rischio con la trasformazione è di divenire facile preda di gruppi molto più grandiDI STEFANO RIGHI

Martedì scorso, 28 apri-le, al Ritz-Carlton ho-tel di St. Louis, Mis-souri – non proprio

una delle centrali finanziarie mon-diali – Wells Fargo, considerata conBank of America, Citigroup e JpMorgan Chase tra le maggiori ban-che degli Stati Uniti, ha tenuto lapropria assemblea annuale. I socidi questa banca, fondata a SanFrancisco nel 1852, hanno licenziatoun bilancio che si riassume in duecifre: ricavi complessivi 84 miliardidi dollari; utile netto 23 miliardi didollari, oltre 20 miliardi di euro.

Victor Massiah, consigliere dele-gato di Ubi, la banca popolare ita-liana con la maggior capitalizzazio-ne sul mercato borsistico, ha richia-mato proprio l’esempio di WellsFargo per illustrare i pericoli che una banca come Ubi dovrà cercaredi limitare nei prossimi mesi, quan-do – probabilmente entro fine anno– in ossequio alla legge, abbando-nerà la forma sociale cooperativaper trasformarsi in società perazioni.

ProporzioniUbi, infatti, capitalizza oggi alla

Borsa di Milano circa 6,5 miliardi dieuro, quanto Wells Fargo realizza

come utile netto in quattro mesi.«Sarebbe un gioco per una bancadi quelle dimensioni – ha dettoMassiah – investire in Italia unaquota dei propri utili annuali». Ilprincipio, applicato alla popolare italiana che gode della più ampia capitalizzazione, può ovviamenteessere riferito anche a tutti gli altrinove istituti di credito, alcuni di benminori dimensioni, che il governoRenzi chiama a mutare la propria

ragione sociale in forza di un piùconsono adeguamento al mercato. A Bergamo, il 25 aprile, in occasio-ne dell’assemblea di Ubi, nessunoha però messo in discussione la tra-sformazione in Spa del gruppo. An-zi, sia il presidente del consiglio di

gestione, FrancoPolotti, che l’omo-logo a capo dellaSorveglianza, An-drea Moltrasio, sisono adoperati perfissare le date di uncalendario che hagià, in questi ultimigiorni, visto mette-re in moto la mac-china organizzati-va, al fine di arriva-re, dopo l’estate,con la strada spia-

nata per presentarsi al voto dell’as-semblea, forti di un principio, che èquello della salvaguardia dell’attua-le struttura di governance duale.

Questo per dire che una marciaindietro, neppure da parte di chipiù lucidamente guarda in avanti, èminimamente considerata realizza-bile. Ed è proprio nel guardareavanti che l’opera di Polotti e Mol-trasio e di tutta la struttura di Ubi,si sta impegnando.

Strutture proprietarieA Ubi e a tutte le altre nove ban-

che popolari serve individuare unastruttura proprietaria nuova, capa-ce prima di tutto di investire nellabanca e conseguentemente di dare

all’istituto una stabilità nel corsodel tempo. Ubi non solo è la piùgrande tra le popolari, ma è anchequella che, grazie al proprio ramobresciano, aveva già al tempo dellaSpa precedente, individuato un

«nocciolo duro», riconducibile adalcune importanti famiglie brescia-ne. Quelle famiglie ci sono ancora ecertamente verranno affiancate daalcuni importanti investitori, ber-gamaschi prima di tutto, ma anchedi altre zone d’interesse della ban-ca. Tra i soci figura anche il fondoSilchester, che ha quasi il 5 per cen-to dell’istituto, ma gli azionisti ita-liani dovrebbero riuscire a mettereassieme una percentuale ben supe-riore (la Fondazione Cr Cuneo hagià il 2,278%).

MovimentiSu questa strada sono chiamati

a muoversi tutti gli altri istituti.Stanno ragionandovi a Verona, do-ve il Banco Popolare oltre a guarda-re a un possibile accordo con la Po-polare di Milano, sta considerando,assieme alle due altre grandi realtàfinanziarie della città, la Cattolica di Assicurazione e la FondazioneCariVerona, una presenza struttu-rata all’interno della banca. Ma an-che a Milano, Vicenza, Montebellu-na, da entrambi i lati della piazza diSondrio, a Bari, ad Arezzo e a Mo-dena. Ma il problema non è di sem-plice soluzione. Le azioni di questedieci banche con la trasformazionein spa, non si peseranno più, sem-

plicemente si conteranno. Le caval-cate ultradecennali di presidenti che accentravano sulla propria fi-gura deleghe mai ricevute, in forzadi una rappresentanza ottenutaabilmente in assemblea, talvolta afronte di una percentuale di pos-sesso azionario da prefisso telefo-nico, sono giunte al termine. La co-siddetta banca del territorio, che aiterritori ha molto dato, adesso deveprendere, ma solo al fine di garan-tire un futuro ancora interconnes-so. Deve prendere in termini dipartecipazione qualificata, di capi-tale, di denaro fresco che serva agarantire un percorso di svilupponel tempo. Le mosconate non sonoall’ordine del giorno, tantomenosaranno gradite. Si cerca altro.

Per tornare a guadagnare, dopo irovesci e le svalutazioni degli ulti-mi tempi, serve pazienza. I signo-rotti del credito locale sono chia-mati a scendere da cavallo e adaprire il portafoglio: le regole sonocambiate. E anche se St. Louis, Mis-souri, dista circa 10 mila chilometridall’Italia è su questa scala che i banchieri ex popolari sono chiama-ti a costruire il futuro dei loro isti-tuti.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

Font

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LE CAPITALIZZAZIONI IN BORSA

Valori in milioni di euro

Ubi

Banco Popolare

Popolare Milano

Bper

Popolare Sondrio

6.500

5.300

4.200

3.600

1.900

1.300

4.477*

3.552*

-----

1.300*

Credito Valtellinese

Popolare Vicenza

Veneto Banca

Popolare Etruria**

Popolare Bari

S. Avaltroni

*Non quotata.Il valore rappresentail prezzo della singola azione moltiplicato per il numero delle azioni in circolazione** La Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio è commissariatae le sue azionisono sospesedalla contrattazionedi Borsa a tempo indeterminato

A Verona, Cattolicae CariVeronastanno studiando il dossier Banco Popolare

1 Lo spot

Abi e Fabi nuovamente d’accordo

S ono andati giù un po’ pesanti, in uno spot televisivoche rappresenta i dipendenti di una banca, tutti, dal

funzionario all’impiegata, come facenti parte di una orga-nizzazione criminale abituata a lavorare con tanto di pas-samontagna in testa, come dei veri banditi, ai danni delcliente di turno. Un attacco sommario e inelegante – an-che il cane del vigilantes si accanisce sulla ventiquattroredel cliente - che ha messo d’accordo la Fabi, il maggiorsindacato dei bancari, e l’Abi. Lando Maria Sileoni, segre-tario della Fabi e Giovanni Sabatini, direttore generaledell’Abi hanno infatti pubblicamente concordato un ricor-so alla Autorità per la Concorrenza e il mercato per fareinterrompere la messa in onda di uno spot che distorce larealtà e offende chi, in banca, lavora seriamente e onesta-mente. Dopo il rinnovo del contratto nazionale, è il secon-do accordo pubblico tra sindacato e Abi, in poco tempo.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

1 Sofferenze

Dalle Bcc500 milioniverso Iccrea

I l futuro del settore delcredito è sempre più in-

tersecato con la soluzionedel problema delle soffe-renze.

Una montagna di creditiirrisolti, che pesano sui bi-lanci degli istituti di creditoa qualsiasi livello e che pre-occupano anche la politica.Appare però estremamentecomplesso immaginare una«Bad Bank» pubblica, so-prattutto evitando il perico-lo di trasformarla in un«aiuto di Stato verso il set-tore» – vietatissimo dallaUe –.

Così le banche devono,almeno nel breve termine,pensare in proprio. Intesa eUnicredit hanno avviato unaattività comune e, per certiversi, rivoluzionaria. Ma an-che le Bcc, le banche di cre-dito cooperativo, non hannoperso tempo e hanno affi-dato a Iccrea Banca un pac-chetto di circa 500 milioni dieuro di Npl (non perfor-ming loans) da collocaresul mercato, anche attraver-so soggetti esterni al mondo

del credito cooperativo, giàprima dell’estate.

I colloqui sono in faseavanzata. Si è predispostoun canovaccio sul quale sicompongono sia prestitichirografari che ipotecari eper i quali si fisserà un ran-ge di prezzo. Starà poi allasingola Bcc creditrice deci-dere se aderire o meno al-l’offerta. Nel complesso, le379 banche di credito coo-perativo operanti in Italia(4.459 sportelli, impieghiper 135,4 miliardi di euro)riunite nella Federcasse pre-sieduta da Alessandro Azzi(nella foto) si stima abbia-no cumulato crediti in soffe-renza - per la maggior parteverso famiglie e piccole im-prese - per circa 15-20 mi-liardi di euro.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Compensi I risultati dell’indagine EY Partner-Luiss. Guido Cutillo: «Un cambiamento che ci allinea alle best practice internazionali»

La paga ridotta (per legge) del presidenteDal Tesoro a Bankitalia: così si è circoscritto il ruolo, portandolo a non essere più esecutivo

L’allineamento alle bestpractice internazionalidelle organizzazioni

aziendali italiane ha portato, inpochi anni e per volontà preci-sa del regolatore, a un ridise-gno della figura del presiden-te.

A delimitare nei confini del-la non operatività il ruolo delpresidente è intervenuto perprimo il Tesoro, quando nel-l’aprile 2014 nominò i nuovivertici aziendali di molte dellegrandi aziende a controllopubblico e, successivamente,la Banca d’Italia per quanto concerne il mondo del credito.Due le norme predisposte davia Nazionale, entrambe con-

tenute nella ormai famosa cir-colare 285 sul Governo socie-tario e alle sue linee applicati-ve. Nei fatti, per le aziendepubbliche e private coinvolte,una vera rivoluzione.

«Dal punto di vista della or-ganizzazione aziendale – diceGuido Cutillo, EY Partner Ta-lent & Reward, che ha realizza-to uno studio sui compensi de-gli amministratori del FtseMib, in collaborazione conl’Osservatorio Luiss executivecompensation e corporate go-vernance – questo cambia-mento di rotta è un bene. L’Ita-lia rappresentava una anoma-lia. Anche sul fronte dei com-pensi. Nel passato il presidente

percepiva compensi anchemolto significativi a fronte dideleghe formalmente non at-tribuite. La sua figura assorbi-va deleghe importanti, che ne-gli anni hanno creato confusio-ne sia al mercato che alle stes-s e a z i e n d e » . I c a s i n o nmancano: «Basta ricordare Te-lecom Italia nella gestione diBernabé, la Carige di Berne-schi, le Generali di Geronzi o,nel pubblico, la Finmeccanicadi Guarguaglini. Al mercato,sebbene negli Stati Uniti tal-volta accade, generalmentenon piace la coincidenza tra lafigura di presidente e di capoazienda. Genera confusione,aumenta la rischiosità del-

l’azienda. Oggi, la best practi-ce individua un presidente nonesecutivo e un amministratoredelegato a cui vanno tutte ledeleghe».

Le nuove norme hanno pro-dotto effetti anche sul frontedei compensi. Addirittura laBanca d’Italia ha stabilito che

«l’ammontare della remunera-zione del presidente (…) è de-terminato ex ante in misuracomunque non superiore allaremunerazione fissa percepitadal vertice dell’organo con fun-zione di gestione (amministra-tore delegato, direttore genera-le)». Una indicazione chiaris-

sima. «Il principio – sottolineaCutillo – è che il presidentesvolgendo un ruolo non esecu-tivo dovrebbe ricevere esclusi-vamente una remunerazionefissa, quando in passato riceve-va fino a diverse centinaia dimigliaia di euro in forma di bo-nus. E anche questa è una ten-denza che si sta diffondendo.Si registrano però degli ecces-si, soprattutto nelle società acontrollo statale, dove gli at-tuali presidenti percepisconocompensi che sono fino a unquarto rispetto a quelli dei loropredecessori. E in alcuni casi,specie in società molto esposteverso l’estero, con importantiruoli di rappresentanza, sareb-be necessaria una linea dimaggior coerenza, una minordiscontinuità». Ma qual è,dunque, il giusto compenso?«Stanno aumentando le re-sponsabilità in capo ai membri

del cda – dice Cutillo– anchedal punto di vista civile e pena-le. Un tempo, il cda aveva unruolo silente, ora non più. E alpresidente è affidato un ruolodi primus inter pares, di guidadel cda. Detto questo, la me-diana dei compensi analizzatidalla nostra ricerca, evidenziaper gli amministratori nonesecutivi, una cifra attorno ai50 mila euro, a cui si aggiungeil compenso per la partecipa-zione ai comitati, che portanoil totale attorno agli 80 milaeuro. Al presidente, invece, do-vrebbe andare una cifra che è4-6 volte quella dell’ammini-stratore non esecutivo, al nettodella partecipazione ai comita-ti». Un cambio di rotta deciso,che colma un’evidente discra-sia con gli altri paesi sul frontedelle presidenze.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Alla guidaVictor Massiahè amministratore delegato di Ubidal 1° dicembre 2008. Iniziò la car-riera in Andersen Consulting nel 1982. Poi, McKin-sey e il Banco Am-brosiano Veneto

Font

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S. A

.

IN CALO Le retribuzioni dei presidenti. Dati in migliaia di euro

1.000

800

600

400

200

02011 2012 2013 2014

Fascia alta Mediana Fascia bassa

ContestatoUn «frame»dello spot

Il riassetto del mondo bancarioLe mosse

Finanza

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6 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 4 MAGGIO 2015

Strategie Ubi, la cooperativa più grande in Italia, capitalizza 6,5 miliardi. Ovvero l’utile netto di quattro mesi di Wells Fargo...

Popolari I nocciolini dei piccoli soci La partita in difesa è già iniziataDa Brescia a Verona, le strategie per costruire nuovi assetti stabili nel capitaleIl rischio con la trasformazione è di divenire facile preda di gruppi molto più grandiDI STEFANO RIGHI

Martedì scorso, 28 apri-le, al Ritz-Carlton ho-tel di St. Louis, Mis-souri – non proprio

una delle centrali finanziarie mon-diali – Wells Fargo, considerata conBank of America, Citigroup e JpMorgan Chase tra le maggiori ban-che degli Stati Uniti, ha tenuto lapropria assemblea annuale. I socidi questa banca, fondata a SanFrancisco nel 1852, hanno licenziatoun bilancio che si riassume in duecifre: ricavi complessivi 84 miliardidi dollari; utile netto 23 miliardi didollari, oltre 20 miliardi di euro.

Victor Massiah, consigliere dele-gato di Ubi, la banca popolare ita-liana con la maggior capitalizzazio-ne sul mercato borsistico, ha richia-mato proprio l’esempio di WellsFargo per illustrare i pericoli che una banca come Ubi dovrà cercaredi limitare nei prossimi mesi, quan-do – probabilmente entro fine anno– in ossequio alla legge, abbando-nerà la forma sociale cooperativaper trasformarsi in società perazioni.

ProporzioniUbi, infatti, capitalizza oggi alla

Borsa di Milano circa 6,5 miliardi dieuro, quanto Wells Fargo realizza

come utile netto in quattro mesi.«Sarebbe un gioco per una bancadi quelle dimensioni – ha dettoMassiah – investire in Italia unaquota dei propri utili annuali». Ilprincipio, applicato alla popolare italiana che gode della più ampia capitalizzazione, può ovviamenteessere riferito anche a tutti gli altrinove istituti di credito, alcuni di benminori dimensioni, che il governoRenzi chiama a mutare la propria

ragione sociale in forza di un piùconsono adeguamento al mercato. A Bergamo, il 25 aprile, in occasio-ne dell’assemblea di Ubi, nessunoha però messo in discussione la tra-sformazione in Spa del gruppo. An-zi, sia il presidente del consiglio di

gestione, FrancoPolotti, che l’omo-logo a capo dellaSorveglianza, An-drea Moltrasio, sisono adoperati perfissare le date di uncalendario che hagià, in questi ultimigiorni, visto mette-re in moto la mac-china organizzati-va, al fine di arriva-re, dopo l’estate,con la strada spia-

nata per presentarsi al voto dell’as-semblea, forti di un principio, che èquello della salvaguardia dell’attua-le struttura di governance duale.

Questo per dire che una marciaindietro, neppure da parte di chipiù lucidamente guarda in avanti, èminimamente considerata realizza-bile. Ed è proprio nel guardareavanti che l’opera di Polotti e Mol-trasio e di tutta la struttura di Ubi,si sta impegnando.

Strutture proprietarieA Ubi e a tutte le altre nove ban-

che popolari serve individuare unastruttura proprietaria nuova, capa-ce prima di tutto di investire nellabanca e conseguentemente di dare

all’istituto una stabilità nel corsodel tempo. Ubi non solo è la piùgrande tra le popolari, ma è anchequella che, grazie al proprio ramobresciano, aveva già al tempo dellaSpa precedente, individuato un

«nocciolo duro», riconducibile adalcune importanti famiglie brescia-ne. Quelle famiglie ci sono ancora ecertamente verranno affiancate daalcuni importanti investitori, ber-gamaschi prima di tutto, ma anchedi altre zone d’interesse della ban-ca. Tra i soci figura anche il fondoSilchester, che ha quasi il 5 per cen-to dell’istituto, ma gli azionisti ita-liani dovrebbero riuscire a mettereassieme una percentuale ben supe-riore (la Fondazione Cr Cuneo hagià il 2,278%).

MovimentiSu questa strada sono chiamati

a muoversi tutti gli altri istituti.Stanno ragionandovi a Verona, do-ve il Banco Popolare oltre a guarda-re a un possibile accordo con la Po-polare di Milano, sta considerando,assieme alle due altre grandi realtàfinanziarie della città, la Cattolica di Assicurazione e la FondazioneCariVerona, una presenza struttu-rata all’interno della banca. Ma an-che a Milano, Vicenza, Montebellu-na, da entrambi i lati della piazza diSondrio, a Bari, ad Arezzo e a Mo-dena. Ma il problema non è di sem-plice soluzione. Le azioni di questedieci banche con la trasformazionein spa, non si peseranno più, sem-

plicemente si conteranno. Le caval-cate ultradecennali di presidenti che accentravano sulla propria fi-gura deleghe mai ricevute, in forzadi una rappresentanza ottenutaabilmente in assemblea, talvolta afronte di una percentuale di pos-sesso azionario da prefisso telefo-nico, sono giunte al termine. La co-siddetta banca del territorio, che aiterritori ha molto dato, adesso deveprendere, ma solo al fine di garan-tire un futuro ancora interconnes-so. Deve prendere in termini dipartecipazione qualificata, di capi-tale, di denaro fresco che serva agarantire un percorso di svilupponel tempo. Le mosconate non sonoall’ordine del giorno, tantomenosaranno gradite. Si cerca altro.

Per tornare a guadagnare, dopo irovesci e le svalutazioni degli ulti-mi tempi, serve pazienza. I signo-rotti del credito locale sono chia-mati a scendere da cavallo e adaprire il portafoglio: le regole sonocambiate. E anche se St. Louis, Mis-souri, dista circa 10 mila chilometridall’Italia è su questa scala che i banchieri ex popolari sono chiama-ti a costruire il futuro dei loro isti-tuti.

@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

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LE CAPITALIZZAZIONI IN BORSA

Valori in milioni di euro

Ubi

Banco Popolare

Popolare Milano

Bper

Popolare Sondrio

6.500

5.300

4.200

3.600

1.900

1.300

4.477*

3.552*

-----

1.300*

Credito Valtellinese

Popolare Vicenza

Veneto Banca

Popolare Etruria**

Popolare Bari

S. Avaltroni

*Non quotata.Il valore rappresentail prezzo della singola azione moltiplicato per il numero delle azioni in circolazione** La Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio è commissariatae le sue azionisono sospesedalla contrattazionedi Borsa a tempo indeterminato

A Verona, Cattolicae CariVeronastanno studiando il dossier Banco Popolare

1 Lo spot

Abi e Fabi nuovamente d’accordo

S ono andati giù un po’ pesanti, in uno spot televisivoche rappresenta i dipendenti di una banca, tutti, dal

funzionario all’impiegata, come facenti parte di una orga-nizzazione criminale abituata a lavorare con tanto di pas-samontagna in testa, come dei veri banditi, ai danni delcliente di turno. Un attacco sommario e inelegante – an-che il cane del vigilantes si accanisce sulla ventiquattroredel cliente - che ha messo d’accordo la Fabi, il maggiorsindacato dei bancari, e l’Abi. Lando Maria Sileoni, segre-tario della Fabi e Giovanni Sabatini, direttore generaledell’Abi hanno infatti pubblicamente concordato un ricor-so alla Autorità per la Concorrenza e il mercato per fareinterrompere la messa in onda di uno spot che distorce larealtà e offende chi, in banca, lavora seriamente e onesta-mente. Dopo il rinnovo del contratto nazionale, è il secon-do accordo pubblico tra sindacato e Abi, in poco tempo.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

1 Sofferenze

Dalle Bcc500 milioniverso Iccrea

I l futuro del settore delcredito è sempre più in-

tersecato con la soluzionedel problema delle soffe-renze.

Una montagna di creditiirrisolti, che pesano sui bi-lanci degli istituti di creditoa qualsiasi livello e che pre-occupano anche la politica.Appare però estremamentecomplesso immaginare una«Bad Bank» pubblica, so-prattutto evitando il perico-lo di trasformarla in un«aiuto di Stato verso il set-tore» – vietatissimo dallaUe –.

Così le banche devono,almeno nel breve termine,pensare in proprio. Intesa eUnicredit hanno avviato unaattività comune e, per certiversi, rivoluzionaria. Ma an-che le Bcc, le banche di cre-dito cooperativo, non hannoperso tempo e hanno affi-dato a Iccrea Banca un pac-chetto di circa 500 milioni dieuro di Npl (non perfor-ming loans) da collocaresul mercato, anche attraver-so soggetti esterni al mondo

del credito cooperativo, giàprima dell’estate.

I colloqui sono in faseavanzata. Si è predispostoun canovaccio sul quale sicompongono sia prestitichirografari che ipotecari eper i quali si fisserà un ran-ge di prezzo. Starà poi allasingola Bcc creditrice deci-dere se aderire o meno al-l’offerta. Nel complesso, le379 banche di credito coo-perativo operanti in Italia(4.459 sportelli, impieghiper 135,4 miliardi di euro)riunite nella Federcasse pre-sieduta da Alessandro Azzi(nella foto) si stima abbia-no cumulato crediti in soffe-renza - per la maggior parteverso famiglie e piccole im-prese - per circa 15-20 mi-liardi di euro.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Compensi I risultati dell’indagine EY Partner-Luiss. Guido Cutillo: «Un cambiamento che ci allinea alle best practice internazionali»

La paga ridotta (per legge) del presidenteDal Tesoro a Bankitalia: così si è circoscritto il ruolo, portandolo a non essere più esecutivo

L’allineamento alle bestpractice internazionalidelle organizzazioni

aziendali italiane ha portato, inpochi anni e per volontà preci-sa del regolatore, a un ridise-gno della figura del presiden-te.

A delimitare nei confini del-la non operatività il ruolo delpresidente è intervenuto perprimo il Tesoro, quando nel-l’aprile 2014 nominò i nuovivertici aziendali di molte dellegrandi aziende a controllopubblico e, successivamente,la Banca d’Italia per quanto concerne il mondo del credito.Due le norme predisposte davia Nazionale, entrambe con-

tenute nella ormai famosa cir-colare 285 sul Governo socie-tario e alle sue linee applicati-ve. Nei fatti, per le aziendepubbliche e private coinvolte,una vera rivoluzione.

«Dal punto di vista della or-ganizzazione aziendale – diceGuido Cutillo, EY Partner Ta-lent & Reward, che ha realizza-to uno studio sui compensi de-gli amministratori del FtseMib, in collaborazione conl’Osservatorio Luiss executivecompensation e corporate go-vernance – questo cambia-mento di rotta è un bene. L’Ita-lia rappresentava una anoma-lia. Anche sul fronte dei com-pensi. Nel passato il presidente

percepiva compensi anchemolto significativi a fronte dideleghe formalmente non at-tribuite. La sua figura assorbi-va deleghe importanti, che ne-gli anni hanno creato confusio-ne sia al mercato che alle stes-s e a z i e n d e » . I c a s i n o nmancano: «Basta ricordare Te-lecom Italia nella gestione diBernabé, la Carige di Berne-schi, le Generali di Geronzi o,nel pubblico, la Finmeccanicadi Guarguaglini. Al mercato,sebbene negli Stati Uniti tal-volta accade, generalmentenon piace la coincidenza tra lafigura di presidente e di capoazienda. Genera confusione,aumenta la rischiosità del-

l’azienda. Oggi, la best practi-ce individua un presidente nonesecutivo e un amministratoredelegato a cui vanno tutte ledeleghe».

Le nuove norme hanno pro-dotto effetti anche sul frontedei compensi. Addirittura laBanca d’Italia ha stabilito che

«l’ammontare della remunera-zione del presidente (…) è de-terminato ex ante in misuracomunque non superiore allaremunerazione fissa percepitadal vertice dell’organo con fun-zione di gestione (amministra-tore delegato, direttore genera-le)». Una indicazione chiaris-

sima. «Il principio – sottolineaCutillo – è che il presidentesvolgendo un ruolo non esecu-tivo dovrebbe ricevere esclusi-vamente una remunerazionefissa, quando in passato riceve-va fino a diverse centinaia dimigliaia di euro in forma di bo-nus. E anche questa è una ten-denza che si sta diffondendo.Si registrano però degli ecces-si, soprattutto nelle società acontrollo statale, dove gli at-tuali presidenti percepisconocompensi che sono fino a unquarto rispetto a quelli dei loropredecessori. E in alcuni casi,specie in società molto esposteverso l’estero, con importantiruoli di rappresentanza, sareb-be necessaria una linea dimaggior coerenza, una minordiscontinuità». Ma qual è,dunque, il giusto compenso?«Stanno aumentando le re-sponsabilità in capo ai membri

del cda – dice Cutillo– anchedal punto di vista civile e pena-le. Un tempo, il cda aveva unruolo silente, ora non più. E alpresidente è affidato un ruolodi primus inter pares, di guidadel cda. Detto questo, la me-diana dei compensi analizzatidalla nostra ricerca, evidenziaper gli amministratori nonesecutivi, una cifra attorno ai50 mila euro, a cui si aggiungeil compenso per la partecipa-zione ai comitati, che portanoil totale attorno agli 80 milaeuro. Al presidente, invece, do-vrebbe andare una cifra che è4-6 volte quella dell’ammini-stratore non esecutivo, al nettodella partecipazione ai comita-ti». Un cambio di rotta deciso,che colma un’evidente discra-sia con gli altri paesi sul frontedelle presidenze.

S. RIG.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Alla guidaVictor Massiahè amministratore delegato di Ubidal 1° dicembre 2008. Iniziò la car-riera in Andersen Consulting nel 1982. Poi, McKin-sey e il Banco Am-brosiano Veneto

Font

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S. A

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IN CALO Le retribuzioni dei presidenti. Dati in migliaia di euro

1.000

800

600

400

200

02011 2012 2013 2014

Fascia alta Mediana Fascia bassa

ContestatoUn «frame»dello spot

Il riassetto del mondo bancarioLe mosse

Finanza

Page 5: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

MF

Numero 086, pag. 2 del 05/05/2015

PRIMO PIANO

La stima di Bankitalia è di maggiori profitti per 300 mln nel 2015 e per 1,4 mld nel 2016

Banche, dal Qe 1,7 miliardi di utiliGli extra-guadagni dipendono dai tassi più bassi e dal calo dell'euro. E gli accantonamenti sui crediti si ridurrebbero di 1,5 miliardi grazie alle minori insolvenze delle imprese

di Francesco Ninfole

Il Quantitative easing della Bce potrebbe far salire i profitti delle banche italiane di «circa 300 milioni nel 2015

e di 1,4 miliardi nel 2016». La stima, elaborata da Banca d'Italia nell'ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria,

è quindi pari a 1,7 miliardi al lordo delle imposte nel biennio. Via Nazionale ha osservato che gli acquisti di

titoli dell'Eurosistema influiscono sulla redditività delle banche

italiane attraverso numerosi canali: la riduzione dei tassi di

interesse, il tasso di cambio dell'euro, i cambiamenti di valore

dei titoli detenuti e l'aumento della domanda di servizi di

intermediazione connesso con il miglioramento del quadro

macroeconomico. L'impatto di questi fattori è stato valutato

ipotizzando una flessione dei tassi a medio e a lungo termine

di circa 85 punti base e un deprezzamento del cambio euro-

dollaro pari all'11,4%. Queste ipotesi hanno tenuto conto

delle esperienze passate delle altre banche centrali in programmi simili.

Secondo le simulazioni di Bankitalia, l'effetto del Qe non sarebbe immediato sul margine di interesse:

quest'ultimo «si ridurrebbe nel 2015 a causa della diminuzione dei tassi a lungo termine, che comporterebbe

una discesa dei tassi attivi non compensata da una riduzione della remunerazione dei depositi, già prossima

allo zero». Dal 2016 invece «l'aumento dei volumi di credito indotto dalla crescita economica contribuirebbe

all'incremento del margine di interesse». Per il momento la crescita dei prestiti non si è manifestata ed è

questa una delle ragioni per cui Bankitalia ha precisato che i risultati delle simulazioni sono caratterizzati da

«ampi margini di incertezza».

Ma non è l'unico elemento che dovrà essere verificato nel tempo: un altro fattore riguarda i ricavi delle

banche, che secondo Bankitalia aumenterebbero nel biennio 2015-16 di circa 400 milioni per effetto

soprattutto dei risultati positivi dell'attività di negoziazione in titoli. «La stima di questa componente è

caratterizzata da una particolare incertezza che riflette la decisione delle banche di vendere o meno i titoli in

portafoglio», ha precisato Via Nazionale.

L'impatto sui bilanci sarà determinato anche dal tipo di portafoglio (di negoziazione o disponibile per la

vendita) in cui le banche avranno inserito i titoli. Nel dettaglio, le plusvalenze potenziali relative ai titoli

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detenuti nel portafoglio Afs (disponibili per la vendita) sono contabilizzate in una riserva del patrimonio netto

contabile e confluiscono negli utili solo in caso di vendita. Al contrario, le variazioni di valore dei titoli nel

trading book vengono iscritte direttamente nel conto economico. L'impatto di quest'ultima componente è

tuttavia «relativamente contenuto»: a fine febbraio i titoli pubblici nel trading book erano circa 30 miliardi (l'8%

del totale), di cui la metà con vita residua superiore a due anni.

Tra gli altri effetti del Qe Bankitalia ha sottolineato che i costi operativi crescerebbero lievemente per

l'aumento dei volumi intermediati. Ma soprattutto gli accantonamenti per svalutazioni su crediti

diminuirebbero di 1,5 miliardi nel biennio, grazie al calo dei tassi di insolvenza delle imprese dovuto sia alla

riduzione degli oneri del debito sia alla crescita del fatturato.

Finora l'Eurosistema ha comprato 95 miliardi di euro di titoli, di cui 15,2 miliardi per quelli italiani. Nell'ultima

settimana considerata (quella fino al 30 aprile) gli acquisti totali sono cresciuti di circa 10 miliardi, il 15% in

meno di quella precedente, secondo i calcoli Barclays. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 086, pag. 4 del 05/05/2015

PRIMO PIANO

Renzi: nelle prossime settimane passaggio in parlamento sugli incagli in banca

Il governo si butta sulle sofferenzeIl premier durante la visita a Piazza Affari: vogliamo trovare strumenti in grado di mettere gli istituti del Paese alla pari con quelli europei. I fondi pensione investono poco in economia e imprese italiane

di Elena Dal Maso

Nelle prossime settimane in Parlamento ci sarà un passaggio sul tema delle sofferenze bancarie. Ad

annunciarlo il premier Matteo Renzi, in occasione dell'incontro di ieri a Piazza Affari con le società quotate.

«Nelle prossime settimane, i passaggi sulle sofferenze bancarie e sugli strumenti tesi a mettere le nostre

banche nelle stesse condizioni di quelle degli altri Paesi troveranno corso e concretizzazione», ha detto

Renzi. «Stiamo negoziando con la Ue e con la Commissione alcune ipotesi di intervento» sul sistema

bancario. «Altre sono pronte per essere realizzate». Rispondendo ad una domanda del presidente del cdg di

Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro che chiedeva delucidazioni

sulle mosse del governo in merito alla possibile costituzione di una

bad-bank nazionale per quanto riguarda i crediti incagliati, il premier

ha detto che risolvere il problema delle sofferenze bancarie «per noi è

una priorità assoluta e fa il paio con la riforma delle popolari che era

stata proposta nel 1998 da Carlo Azeglio Ciampi e da Mario Draghi. Ci

sono voluti 17 anni ma alla fine ce l'abbiamo fatta. Il passo successivo

è portare il sistema regolatorio delle banche e delle sofferenze sempre

più vicino al sistema regolatorio europeo».

Un altro annuncio importante ha riguardato il sistema pensionistico

italiano. In particolare, ha detto il premier, «i fondi pensione italiani hanno un grado di investimento nel nostro

Paese che è tra i più bassi a livello europeo e forse mondiale. Esiste questo tema, come anche quello che

occorre approntare una strategia diversa da quella attuale sui fondi pensione. Ci sta lavorando Padoan, è un

tema caldo».

La visita a Piazza Affari è stata per Renzi anche l'occasione per parlare di capitalismo di relazione. «In un

mondo sempre più globalizzato è un sistema desueto e antico; è un sistema morto che ha prodotto anche

effetti negativi. Credo sia arrivato il momento di mettere la parola fine. Serve un cambio di passo, di

mentalità».

Il presidente del Consiglio ha lanciato un appello agli imprenditori presenti in sala. «Chiedo a voi di aprire le

vostre aziende» agli investitori esteri. «Solo così il Paese diventa grande. Se il capitalismo di relazione è

morto, tocca anche a voi tirare su l'ancora. Il governo non ha intenzione di lasciare sole le aziende,

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continuerà a essere al loro fianco.

Le parole di Renzi sono state apprezzate soprattutto dai banchieri che hanno partecipato all'evento. In

particolare, secondo Federico Ghizzoni, ad di Unicredit, «forse» il capitalismo di relazione «non è morto

completamente, ma sicuramente non rappresenta il futuro. Le relazioni sono sempre importanti ma poi è

importante che cresca il mercato», ha aggiunto. «La stessa globalità ci impone di aprirci, di cercare mercati

nuovi. Le aziende devono crescere, potenziarsi finanziariamente; quindi avere alternative alla struttura

attuale è indispensabile. Penso che questo sia uno dei mezzi per portare avanti l'Italia». Sulla stessa linea

d'onda Gros-Pietro. «Il capitalismo di relazione è una storia molto vecchia, ormai finita», ha detto. «Ciò non

significa che non ci siano problemi anche nel capitalismo di non relazione; ed è proprio di questi problemi che

dobbiamo occuparci: del funzionamento, della trasparenza, della solidità e dell'efficienza dei mercati

finanziari».

Infine, sul fronte delle riforme, accanto al Jobs Act il presidente del Consiglio ha ricordato quella della

Pubblica amministrazione «che è finalizzata a rendere la Pa più snella e più chiara. La riforma è passata il 30

aprile in Senato in prima lettura ed entro l'anno saranno attuati tutti i decreti. Questa riforma segna una

inversione di tendenza e un nuovo rapporto con il cittadino». (riproduzione riservata)

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MF

Numero 086, pag. 4 del 05/05/2015

PRIMO PIANO

Faro Ue sui deferred tax asset. bankitalia: no a distorsioni a favore delle banche

I crediti d'imposta valgono 55 miliardi

di Francesco Ninfole

Le banche italiane hanno attivi per imposte differite (deferred tax asset o Dta) per 55 miliardi secondo Banca

d'Italia, che ha pubblicato per la prima volta il dato riferito ai bilanci di fine 2014 nel rapporto di stabilità

finanziaria. Il valore totale delle Dta è rilevante perché proprio su queste poste di bilancio la Commissione Ue

ha aperto un'indagine informale per sospetti aiuti di Stato. Il problema potrebbe essere in gran parte

archiviato se il governo varerà nuove misure sulle sofferenze (si veda altro articolo in pagina). In ogni caso

Bankitalia, rispondendo indirettamente alla Commissione Ue, ha osservato che «nel confronto con altri

sistemi bancari» le regole sulle Dta «non introducono una distorsione in favore delle banche italiane, semmai

riducono, senza annullarlo del tutto, lo svantaggio fiscale che le colpisce».

La materia è tornata al centro dell'attenzione ieri dopo le parole del premier, Matteo Renzi, che ha assicurato

che la regolamentazione sulle sofferenze per le banche si avvicinerà a quella adottata in Europa. Uno degli

ambiti di maggiore rilievo è quello della deducibilità delle perdite su credito, che oggi gli istituti italiani

possono contabilizzare in cinque anni (addirittura 18 anni fino all'esercizio 2012), mentre quelle della maggior

parte dei Paesi Ue in un solo anno. Questa caratteristica crea imposte differite, che si trasformano in crediti di

imposta in certi casi (per esempio se la banca è in perdita), in modo da essere sempre computabili ai fini

patrimoniali. Proprio su questo punto si è acceso il faro Ue, anche se per Bankitalia si tratta al contrario di

«un forte svantaggio competitivo per le banche italiane». Via Nazionale ha fatto i conti nel dettaglio,

distinguendo anche tra le due diverse tipologie di imposte differite. La prima tipologia include le Dta che sono

in grado di assorbire le perdite e il cui realizzo non dipende dalla redditività futura dell'azienda (a cui si

applica a fini prudenziali una ponderazione del 100%). Rientrano in questa categoria le Dta, come quelle che

derivano da svalutazioni su crediti, per le quali la normativa fiscale prevede la trasformazione in credito di

imposta al verificarsi di determinati eventi (bilancio in perdita, liquidazione o assoggettamento a procedure

concorsuali). La maggior parte delle Dta delle banche italiane (43 miliardi) rientra in questa categoria. La

seconda tipologia, ha spiegato Via Nazionale, comprende invece le Dta che dipendono dalla redditività

futura, vale a dire quelle il cui realizzo deriva dalla capacità di generare redditi imponibili (per esempio quelle

che scaturiscono da perdite da valutazione su esposizioni classificate nel portafoglio di attività disponibili per

la vendita). Soltanto questo tipo di imposte differite viene gradualmente dedotto dal patrimonio di vigilanza,

per la parte che eccede una determinata soglia, a causa della minore capacità di assorbimento delle perdite.

«La normativa fiscale italiana che prevede la trasformazione in credito di imposta delle Dta da rettifiche su

crediti è definita conformemente con la normativa europea» e «non introduce disparità di trattamento tra

settori di attività economica», ha concluso Bankitalia. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 086, pag. 13 del 05/05/2015

MERCATI

In alternativa all'operazione tra eguali prende quota un'ipotesi alternativa

Popolari, piano B per le fusioniI big (oltre 4 mld di capitalizzazione) potrebbero evitare merger troppo penalizzanti e aggregare le realtà piùpiccole, specie se in difficoltà. Il test per il settore saranno le mosse di Bpm e Monte

di Luca Gualtieri

Dopo le vivaci assemblee del mese di aprile nel mondo delle banche popolari è momentaneamente calato il

silenzio. Un silenzio perlopiù di facciata, se è vero che, come confidano fonti finanziarie, l'attività ai vertici

resta molto intensa in vista delle trasformazioni in spa e delle eventuali aggregazioni. Metabolizzata la

decisione del governo Renzi, in queste settimane i banchieri sono impegnati nel

tracciare il percorso più efficace per arrivare all'assemblea straordinaria che nella

seconda metà dell'anno dovrebbe segnare l'abbandono della forma cooperativa e le

eventuale aggregazioni. Proprio su questo secondo aspetto è concentrata l'attenzione

del mercato, che nel risiko del settore fiuta opportunità di guadagno. A differenza di

quanto ipotizzato dopo la presentazione del decreto Renzi-Padoan, la nascita di una

superpopolare potrebbe però non essere la strada maestra seguita dai gruppi quotati

a Piazza Affari. Un'operazione di questo genere presenterebbe un notevole grado di

complessità, proprio perché destinata a mutare nel profondo la governance dei due sposi. La preoccupazione

vale soprattutto per quegli istituti che oggi sono ancora sprovvisti di un zoccolo duro di soci di riferimento e

che, complice anche il fattore dimensionale, rischierebbero di finire in posizione subalterna nella nuova realtà

o, per dirla con qualche banchiere, di «essere fagocitati». Ecco perché, in alternativa alla superpopolare, si

starebbe facendo strada l'ipotesi di concludere più operazioni di dimensioni contenute

e creare così poli composti da istituti medio-piccoli orbitanti attorno a un unico

soggetto aggregante. Una soluzione di questo genere permetterebbe ai quattro-

cinque gruppi medio-grandi (quelli, per intenderci, con una capitalizzazione superiore

ai 4 miliardi di euro) di conservare la propria identità e di assorbire le realtà più

piccole, quotate e non. Se si considera che in Italia oggi ci sono 16 banche

commissariate, alcune delle quali di dimensioni consistenti come la Banca delle

Marche o la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, una strategia di questo genere

potrebbe rivelarsi utile a livello di sistema. C'è poi un'ultima considerazione che potrebbe giocare a favore del

piano B: a differenza di una fusione tra eguali, la costruzione di un polo con più istituti medio-piccoli

permetterebbe di spalmare gli esuberi su un arco temporale più ampio, arginando in tal modo le resistenze

del territorio e dei dipendenti.

Resta da capire se la Vigilanza preferirà una drastica semplificazione del mercato del credito con la

creazione di pochi player oppure se sarà aperta a soluzioni intermedie, almeno in questa fase di transizione

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dalla cooperativa alla spa. Un segnale importante potrebbe poi arrivare dai due dossier più caldi del

momento: Monte dei Paschi e Popolare di Milano. Se nei prossimi mesi le due banche si orientassero verso

merger alla pari (che potrebbero vedere come partner Ubi Banca per Mps e il Banco Popolare per Bpm), il

sistema si orienterebbe verso operazioni di ampie dimensioni. Viceversa potrebbe prevalere una logica di

operazioni medio-piccole che non muterebbe in profondità l'attuale geografia del sistema. Entrambe le strade

restano aperte, anche se la seconda sta conquistando sempre nuovi sostenitori. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 086, pag. 13 del 05/05/2015

MERCATI

Banca Carige, ok Bce all'ingresso di Malacalza

di Claudia Cervini

I grandi azionisti sono in manovra su Banca Carige. Da un lato è arrivato l'ok della Banca Centrale europea

all'acquisto da parte di Malacalza Investimenti del 10,5% del capitale detenuto dalla Fondazione ligure

(l'operazione, come fa sapere la società, sarà perfezionata a giorni). Dall'altro il cda dell'ente si è riunito ieri

per discutere delle modifiche allo statuto ed effettuare alcuni recepimenti da compiere sulla scia della Riforma

Mef-Acri.

Quando l'operazione del passaggio delle quote a Malacalza sarà perfezionata la Fondazione deterrà circa il

2% di Banca Carige e potrà scendere ulteriormente in fase di aumento di capitale fino allo 0,3% (almeno in

base a quanto previsto dal patto di governance siglato con Malacalza). Malacalza Investimenti, grazie

all'autorizzazione appena incassata, diventerà a giorni il primo azionista dell'istituto seguita dai francesi di

Bpce (9,9%), Ubs (4,7%) e Gabriele Volpi che, secondo indiscrezioni, sarebbe arrivato a detenere una quota

di poco superiore al 2%. Sarà questo, dunque, l'assetto di governance con cui Banca Carige si presenterà al

test dell'aumento di capitale per un massimo di 850 milioni di euro previsto tra maggio e l'inizio di giugno.

L'istituto ligure si trova nel mezzo di un'articolata operazione di turnaround condotta dall'amministratore

delegato Piero Montani. Secondo i piani della banca presieduta da Cesare Castelbarco Albani, a fine 2015 è

previsto il raggiungimento di un Cet1 del 12,6 dall'8,7% del 2014, al di sopra quindi del limite minimo

dell'11,5% (da raggiungere entro luglio) imposto dalla Banca Centrale Europea. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 086, pag. 13 del 05/05/2015

MERCATI

Salvataggi bcc, spunta il Fondo Istituzionale

di Claudia Cervini

Gestire le situazioni di crisi aziendale delle banche di credito cooperativo (bcc) più deboli e, soprattutto,

trovare una soluzione per quegli istituti che stanno arrivando al termine del periodo canonico di

amministrazione straordinaria (18 mesi). Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, Federcasse sta

lavorando a un piano anti-crisi che preveda per le banche in amministrazione straordinaria anche l'intervento

del Fondo di Garanzia Istituzionale (Fgi), nato nel 2008 per prevenire le situazioni di crisi e di fatto mai

divenuto operativo. Più in generale, allo studio ci sono meccanismi di intervento su base volontaria e

privatistica che verrebbero affiancati all'attività del Fondo di Garanzia dei Depositanti, che attualmente

interviene sia a livello preventivo sia in caso di crisi conclamata al fine di traghettare le bcc fuori

dall'amministrazione straordinaria. La soluzione è ancora allo studio del board di Federcasse, che tornerà a

riunirsi il 7 maggio per discutere di questo tema e anche dell'autoriforma delle bcc, che, da calendario,

dovrebbe essere pronta prima dell'estate. Perché l'ambizione di investire l'Fgi del ruolo di traghettatore delle

bcc fuori dall'amministrazione straordinaria? In quanto privato e volontario, questo fondo avrebbe un maggior

margine di azione e potrebbe intervenire con risorse più consistenti nelle situazioni di crisi aziendale. Il fondo

sarebbe dotato di risorse finanziarie dalle federazioni e i vincoli cui sarebbe sottoposto sarebbero assai meno

stringenti rispetto ai lacciuoli imposti al Fondo di Garanzia dei Depositanti dalle nuove normative

sovranazionali. Come detto, questa rimane un'ipotesi allo studio, legata al fatto che attualmente ci sono otto

bcc in amministrazione straordinaria e che l'Fgi è rimasto in questi anni una scatola vuota e inutilizzata.

(riproduzione riservata)

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MF

Numero 086, pag. 18 del 05/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Risparmi a rischio con le direttive europee

di Marino Longoni

Le banche sono luoghi sempre meno sicuri per i capitali. Le regole sulla trasparenza e l'obbligo di trasmettere

all'Agenzia delle entrate i dati più importanti hanno fatto venire meno il segreto bancario. Le norme sul

pignoramento presso terzi hanno reso i conti correnti aggredibili dal fisco e dai creditori. E ora c'è pure il

rischio che i risparmiatori possano essere chiamati a rispondere dei debiti dell'istituto di credito. È quanto

prevede la direttiva europea Banking recovery and resolution (2014/59/Ue) entrata in vigore dal primo

gennaio 2014, anche se in Italia gran parte delle norme necessarie al suo recepimento sono contenute in un

decreto legislativo ancora all'esame del parlamento (che prevede peraltro la necessità di ulteriori decreti

attuativi). La novità comunque è abbastanza chiara: lo Stato non interverrà più a salvare le banche in stato

fallimentare. L'ingrato compito toccherà agli azionisti prima, agli obbligazionisti poi; se non fosse sufficiente

interverranno anche i correntisti. Sono fatti salvi solo i conti fino a 100 mila euro. Più o meno quello che è già

successo a Cipro e che succederà tra poco in Austria con una banca in default, la Hypo Alpe Adria. Ne ha

parlato il 22 aprile al senato il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, sottolineando che l'obiettivo

delle nuove regole è quello di sgravare la collettività dall'onere del salvataggio degli istituti di credito.

Il funzionamento è piuttosto semplice: una volta dichiarato il bail-in (per evitare il default della banca), si

bloccano tutte le transazioni sui titoli azionari e obbligazionari, ma anche sui conti correnti, fino a quando non

si definisce il livello di intervento necessario per turare le falle che si sono aperte nei bilanci. Dopo di che si

procede ad annullare i crediti degli azionisti, degli obbligazionisti e infine, se necessario, anche dei correntisti

e titolari di conti deposito, con esclusione dei primi 100 mila euro, che dovrebbero essere coperti da un fondo

interbancario di tutela dei depositi, in via di costituzione. Paura? Non è il caso di allarmarsi in modo

eccessivo: le banche italiane hanno fama di essere tra le meglio patrimonializzate e le più oculate nella

gestione dei propri investimenti. Ma è pur vero che da dati diffusi il 30 aprile risulta che le sofferenze bancarie

sono arrivate a quota 186 miliardi, due in più del mese precedente. Inoltre, se è vero che finora gli istituti di

credito non hanno avuto bisogno di un grande aiuto dello Stato per affrontare la crisi degli ultimi anni, è pur

vero che qualche banca in difficoltà, magari di piccole o medie dimensioni, prima o poi potrebbe pur

spuntare. Inevitabile quindi che i risparmiatori prendano le loro precauzioni: certamente nessuno si metterà a

spulciare i bilanci della propria banca per capire se nascondono pericolose voragine, ma è inevitabile che i

risparmiatori finiranno per privilegiare gli istituti di maggiori dimensioni o comunque quelli ben

patrimonializzati. Conseguenza immediata, per le banche più piccole e meno dotate si annunciano tempi

difficili: facile prevedere una stagione di acquisizioni e fusioni che toglierà dal mercato gli istituti più

problematici. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 05 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LE REAZIONI In Borsa accoglienza calorosa Gros-Pietro: «Il capitalismo di relazione è estinto da tempo» Ghizzoni: «L’importante è aprirsi al mercato»

«Il capitalismo di relazione è morto»

Renzi in Borsa: «Priorità assoluta per il governo una riforma che allinei le banche

al resto d’Europa»

«Il capitalismo di relazione è morto: è un sistema che in Italia ha prodotto effetti negativi ed è arrivata l’ora di mettervi la parola fine». Non ha scelto un pubblico a caso il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per lanciare il proprio messaggio: di fronte a sé aveva ieri mattina molti banchieri e imprenditori che di questo sistema autoreferenziale fatto di «giornali, banche, fondazioni e partiti politici che hanno pensato di andare avanti tutti insieme, discutendo fra di loro» sono stati per lunghi anni protagonisti e che poco prima, al suo ingresso a Piazza Affari, lo avevano applaudito in maniera convinta.Incontrando per la prima volta la comunità finanziaria in Borsa, Renzi ha tenuto fede al suo proposito di cambiare il Paese, anche a costo di essere considerato «tranchant» o addirittura «arrogante o maleducato». Ha citato Gilbert Keith Chesterton ricordando «la democrazia è il governo dei maleducati, l’aristocrazia il governo degli educati male» e ha invitato le imprese, che pure ha riconosciuto essere «tessuto forte e vitale» per il Paese, a «tirare su l’ancora», ad avere il coraggio di aprire ai capitali esterni e anche stranieri per diventare parte di un sistema più ampio: aprirsi a un mondo che «chiede dinamismo e trasparenza», rinunciando a un controllo del 100% «per governare insieme ad altri soci un’azienda più grande».«Questo paese ha un problema di classe dirigente e non soltanto di classe politica», ha ricordato il Premier, invitando gli imprenditori a «cambiare mentalità e consapevolezza» e a «fare la propria parte» per cambiare un sistema che «se non muore, muore l’Italia» e suscitando reazioni contrastate a margine. Se per Gian Maria Gros-Pietro, presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, e per Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italcementi, il capitalismo di relazione è «estinto da parecchio tempo» oppure «un retaggio del passato», l’amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, ha ammesso che il fenomeno non è «completamente morto», anche se «non rappresenta il futuro» e che «l’importante è aprirsi al mercato».Alla platea di amministratori delle società quotate a Piazza Affari e a quelle che studiano per diventarlo attraverso il programma Elite, Renzi non ha risparmiato promesse, soprattutto per le banche. Per il Governo è infatti «priorità assoluta» una riforma normativa che metta il sistema finanziario italiano «nelle stesse condizioni degli altri Paesi». E allo stesso Gros-Pietro, che chiedeva maggiori particolari sulla direzione dell’intervento, Renzi ha replicato (con evidente riferimento alla vicenda della riforma delle popolari) di non volersi esporre in anticipo, prima però di ammettere che «stiamo negoziando con la commissione europea alcune ipotesi di intervento» e soprattutto che «nelle prossime settimane il passaggio sulle sofferenze bancarie e sugli strumenti tesi a mettere il nostro sistema bancario sullo stesso piano degli altri Paesi europei troverà corso».A Piazza Affari il premier non si è però soltanto limitato ad aprire la strada a una possibile via italiana alla «bad bank», ma ha anche delineato un prossimo intervento sui fondi pensione. «In Italia sono numerosissimi e spesso piccoli, in molti casi hanno un grado di investimento nel nostro Paese fra i più bassi a livello europeo, e forse mondiale», ha detto Renzi riallacciandosi a un passo dell’introduzione di Raffaele Jerusalmi nel quale l’amministratore delegato di Borsa italiana aveva ricordato come a Piazza Affari il 95% degli investitori istituzionali siano esteri, mentre nel resto d’Europa la quota dei fondi nazionali sia attorno al 30-35 per cento. «È un tema sul quale sta lavorando il ministro Padoan e sarà un argomento su cui discutere molto nei prossimi mesi, credo che anche il rinnovo dei vertici Covip debba andare in questa direzione», ha ammesso il presidente del Consiglio: obiettivo finale è agevolare l’investimento dell’enorme risparmio degli italiani, cresciuto anche nella fase di crisi.

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© RIPRODUZIONE RISERVATAMaximilian Cellino Borse in

rialzo con l’industria Ancora vendite sui Bund

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PRIMO PIANO 05 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’ALLINEAMENTO

ALL’UE L’ipotesi di un decreto per accorciare a un anno la deducibilità delle perdite sui crediti: il costo stimato è di un miliardo e mezzo

L’INTERVENTO DI

SISTEMA La bad bank favorirebbe gli impieghi e alleggerirebbe le banche dal rischio che la Bce alzi le soglie richieste di capitale

Il dossier. Dalla legge fallimentare alla bad bank

Il governo studia un piano in tre mosse

La riforma della legge fallimentare, citata la settimana scorsa dal ministro Padoan tra le misure in rampa di lancio per agevolare il mercato degli npl, è la più semplice ma non l’unica novità normativa che potrebbe vedere la luce nelle prossime settimane. Sì, perché il piano del governo Renzi prevede altre due mosse, da attuare tutte- e questa è la novità - nell’arco di settimane.La seconda misura, già oggetto di approfondite valutazioni tra il Mef, Palazzo Chigi e Bankitalia, è l’allineamento della disciplina italiana a quella europea su deducibilità delle perdite sui crediti. È tema annoso e costoso: annoso perché l’ultima riforma ha ridotto da 18 a 5 anni il termine nel quale si scaricano le rettifiche sui crediti a rischio, avvicinando l’Italia al resto d’Europa ma non uniformandola, visto che in quasi tutto il continente le perdite si deducono tutte e subito, quindi in un solo anno. Di qui, il paradosso: l’Antitrust Ue potrebbe aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia, perché se è vero che la norma è contestata dalle stesse banche, è anche vero che in parte le aiuta, consentendo loro di portarsi dietro i crediti d’imposta per più anni. Un allineamento con il resto d’Europa, però, sarebbe misura assai costosa per il Fisco: sottrarrebbe entrate per 1,5 miliardi, stando alle prime stime, aprendo così un problema di coperture. Però, il Governo ci crede - si parla di decreto - e consentirebbe di prendere due piccioni con una fava: l’allineamento scongiurerebbe l’intervento Ue e intanto le banche sarebbero stimolate a svalutare ulteriormente le sofferenze, avvicinandole così ai prezzi di mercato.E qui si arriva al terzo punto, la bad bank. Due settimane fa l’incontro tra Padoan e il commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha riaperto la trattativa con Bruxelles, in allerta visto il “pericolo” di aiuti di Stato: secondo quanto si apprende, già la prossima settimana si terrà un nuovo faccia a faccia, durante il quale la delegazione italiana formulerà alcune proposte . Come - non a caso - ha rilevato la Banca d’Italia la settimana scorsa, punto nodale sarà il “prezzo equo” a cui il veicolo acquisterà gli npl dalle banche, che a quel punto dovrebbe beneficiare - sul fronte della domanda - della riforma delle legge fallimentare, e su quello dell’offerta delle nuove svalutazioni operate sulla spinta della deducibilità immediata: trattandosi di operazioni condotte a condizioni di mercato, spiegherà l’Italia, non si può parlare di aiuti di Stato. Anche perché a quel punto lo Stato potrebbe anche non intervenire: il capitale per il veicolo, in grado di essere degnamente remunerato, potrebbe arrivare da investitori specializzati, o - altra ipotesi - dalle Fondazioni. Se il piano è pressoché pronto, il problema resta politico. Cioè convincere l’opinione pubblica della necessità di un intervento che potrebbe essere percepito come a sostegno delle banche. Grandi benefici, è la tesi dell’Esecutivo, potrebbero esserci soprattutto per aziende e famiglie (che vedrebbero riaprirsi i rubinetti del credito), nonché per la redditività del settore - e quindi per gli investitori, grandi e piccoli. Prometeia, nei giorni scorsi, ha stimato che il 2015 dovrebbe essere l’anno del ritorno all’utile per le banche. Ma, viste le grandi incertezze che incombono sul sistema creditizio europeo fresco di vigilanza unica, la festa potrebbe durare poco: «Per le banche italiane stimiamo per il triennio 2015-17 una redditività in crescita, ma ancora modesta e inferiore al costo del capitale», spiega Giuseppe Lusignani, vice presidente della società di consulenza Prometeia. Tradotto: alla lunga, non sono in grado di soddisfare i propri soci. E il problema potrebbe aggravarsi «con le utleriori revisioni regolamentari sia dell’approccio standard sia dei modelli interni per la valutazione dei risk weight sul portafoglio crediti», che potrebbe avere un impatto «compreso tra i 150 e i 200 punti base» per le prime 13 banche italiane, che si vedrebbero assorbiti 15-20 miliardi di capitale, che oggi è in cassa ma domani chissà. Quindi? Unico modo per uscire da quello che si pone come un circolo vizioso è un intervento straordinario, tipo la bad bank: «Che causerebbe una perdita iniziale alle banche con le svalutazioni, ma ne migliorerebbe sensibilmente il profilo di rischio e la redditività futura». Con tutte le

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Carige ai Malacalza, la Bce dà l’ok

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conseguenze sulle valutazioni di Borsa e del regolatore, che potrebbe (finalmente) abbassare l’asticella del patrimonio..@marcoferrando77© RIPRODUZIONE RISERVATAMarco Ferrando

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FINANZA & MERCATI 05 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Banche. Francoforte approva la cessione del 10,5% del capitale - L’Ente studia la partecipazione

all’aumento

Carige ai Malacalza, la Bce dà l’ok

La Fondazione cambia lo statuto: al via taglio dei costi e riduzione dei membri

Mentre il gruppo Malacalza ottiene il via libera per l’acquisto del 10,5% del capitale

di Banca Carige dall’omonima Fondazione, l’Ente mette mano allo statuto e taglia

componenti e compensi per adeguarsi alle nuove direttive del protocollo Mef-Acri.

L’ok della Bce ai Malacalza

Il definitivo via libera all’operazione dei Malacalza è giunto ieri dalla Banca centrale

europea, l’ente che dal 4 novembre scorso vigila sulle 130 principali banche europee.

Francoforte per la prima volta ha esercitato così il potere di avallo rispetto alla

cessione di un pacchetto rilevante, visto che è relativo a una quota superiore al 10%

del capitale. A comunicare l’ok è stato lo stesso gruppo Malacalza Investimenti, che in

una nota ha precisato che «l’operazione di trasferimento delle quote sarà perfezionata

nei prossimi giorni».

L’autorizzazione arriva a stretto giro rispetto a quella, rilasciata a inizio aprile, del

Ministero dell’Economia che consentiva alla Fondazione Carige di ridurre la

partecipazione nella banca conferitaria.

Con il placet giunto ieri, la famiglia Malacalza può insomma diventare primo azionista

della banca ligure. Un risultato atteso dallo scorso marzo, quando il consiglio

d’indirizzo della Fondazione e poi il Cda avevano firmato con la Malacalza

Investimenti Srl un preliminare di acquisto per la cessione del 10,5% delle quote per

un totale di oltre 66,1 milioni di euro (pari a 0,062 per azione).

Le novità in Fondazione

Ieri, intanto, il cda della Fondazione Carige ha approvato una serie di modifiche allo

statuto con cui l’Ente si allinea, per quanto gli compete, agli input introdotti dal

protocollo Mef-Acri, sottoscritto nelle scorse settimane, e dalla Carta delle

Fondazioni. Nel dettaglio, l’intervento più rilevante riguarda il numero dei membri

che siedono negli organi interni: i componenti del Cda della Fondazione scenderanno

dagli attuali 10 a 5, mentre i partecipanti al Consiglio di indirizzo (che rappresenta

tutti gli stakeholder della Fondazione) si assottigliano dagli attuali 26 a 12. Un taglio

energico, con cui l’Ente prevede di risparmiare in maniera significativa sui compensi.

La stima interna alla Fondazione è che la voce per emolumenti (pari a 1,4 milioni nel

2013) venga tagliata in misura ben superiore al 50% a partire dal prossimo anno.

Rispetto ai tempi, la razionalizzazione interna dovrebbe diventare operativa a partire

da aprile 2016, in occasione del rinnovo delle cariche.

Tutte le modifiche apportate allo statuto ieri dal Cda (che comprendono, oltre

all’inserimento del tetto ai compensi e alla revisione dei membri del board, anche

l’impegno a non superare la soglia del 33% del patrimonio verso un unico

investimento o il divieto al ricorso all’indebitamento), finiranno sul tavolo del

Consiglio di indirizzo dell’Ente nel corso delle prossime settimane. Successivamente,

toccherà al Mef dare la definitiva approvazione.

Sullo sfondo, intanto, la Fondazione ragiona sul da farsi rispetto all’aumento di

capitale da 850 milioni di euro, il cui varo è atteso entro luglio. Considerata la

cessione del 10,5% a Malacalza, l’Ente detiene il 2% del capitale della banca, e non è

detto che la direzione sia quella di ridurre ulteriormente la quota. Partecipando pro-

quota all’aumento, l’Ente dovrebbe sborsare circa 17 milioni. Una cifra sostenibile,

considerati i 66 milioni di risorse fresche in arrivo dai Malacalza.

Sul fronte manageriale, infine, rimane in stand-by il processo di eventuale cessione di

Banca Ponti, per cui sono in lizza le offerte di Banca Finnat e Banco Popolare.

«Abbiamo esaminato le offerte e il cda si è riservato gli opportuni approfondimenti.

Non è stata presa alcuna decisione che verrà presa in un consiglio successivo», ha

sottolineato il presidente dell’istituto ligure, Cesare Castelbarco Albani, a margine di

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un evento in borsa.

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Luca Davi

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MF

Numero 087, pag. 4 del 06/05/2015

PRIMO PIANO

Padoan ammette il braccio di ferro con la ue, ma il modello spagnolo è impossibile

Bad bank, si tratta sulle garanzieSi stringe sul dossier sofferenze bancarie: incontri a Bruxelles anche ieri. L'impasse è sulla questione degli aiuti di Stato. In arrivo interventi sulla riscossione dei crediti. No a manovre per il buco-pensioni

di Luisa Leone

Braccio di ferro Roma-Bruxelles sulla bad bank. Messo da parte il modello spagnolo, ovvero la creazione di

un veicolo partecipato dallo Stato, l'Italia sta trattando con la Commissione Ue per ottenere almeno il via

libera a una garanzia pubblica che aiuti il decollo di un mercato che oggi non c'è, quello dei non performing

loans (npl). Questo, in estrema sintesi, il quadro tratteggiato ieri dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan

in un'audizione in Senato. Padoan non ha fatto mistero dello scontro in atto con la

Commissione, sottolineando che anche ieri i tecnici del ministero si trovavano a

Bruxelles per incontri con la direzione Concorrenza nel tentativo di chiudere al più

presto la partita. Come anticipato la scorsa settimana da MF-Milano Finanza, infatti,

siamo ormai agli sgoccioli nelle trattative con la Ue. «Si tratta di creare un mercato

che oggi non c'è, di capire quale sarebbe il prezzo di mercato di questi crediti e a

quel punto chiamare le parti interessate, banche venditrici e investitori interessati

all'acquisto, e chiedere loro se a quel prezzo avrebbero intenzione di scambiarli», ha

sintetizzato il ministro. «Stiamo parlando di 15 centesimi di valore facciale di un

credito che valeva 100. È un prezzo che rappresenta la media delle cifre di cui si

parla».

La prima questione sotto la lente è quindi quella del valore a cui sarebbero ceduti gli npl, la seconda è «un

intervento minimo dello Stato», che presterebbe una garanzia, e si sta discutendo «se questo possa essere

considerato un aiuto di Stato», ha aggiunto il responsabile del Tesoro, augurandosi che i tecnici della

Commissione non si irrigidiscano troppo. D'altronde dal punto di vista di Padoan la soluzione proposta

dall'Italia poggerebbe sulla stessa logica del Piano Juncker: il pubblico si impegna a fornire una garanzia in

più, si assume un rischio che i privati in questo momento non sono pronti a prendersi, per fare in modo di

coinvolgerli. Insomma, il ministro fa fatica a giustificare la posizione rigida della Ue, anche perché il governo

italiano ha giocato a carte scoperte coinvolgendo non solo la responsabile della Concorrenza Margrethe

Vestager ma anche Jonathan Hill, commissario per la Stabilità Finanziaria, e il vicepresidente Valdis

Dombrovskis. E i politici sembrano aver compreso la necessità dell'Italia d'intervenire, perché senza lo

smaltimento dei crediti bancari deteriorati non si potrà davvero archiviare il capitolo crisi. Invece tra i tecnici

l'atteggiamento è ancora «negativo». Ad ogni modo Roma ha margini per avviare autonomamente alcuni

interventi e lo sta facendo lavorando per esempio sulle procedure esecutive fallimentari: «Vogliamo garantire

tempi più rapidi perché gli operatori interessati all'acquisto dei crediti non performing sappiano che i tempi per

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il recupero sarebbero più brevi e certi». A tal fine sono «in fase avanzata di elaborazione gli strumenti

normativi», insomma un decreto è in vista.

Il ministro ieri non ha invece fatto cenno a un'altra misura allo studio per risolvere la questione dei crediti in

sofferenza, ovvero la riduzione da cinque a un anno del periodo per la deducibilità delle perdite sui crediti,

intervento che permetterebbe di chiudere sul nascere anche un altro fronte aperto di recente dall'Europa,

quello delle imposte differite attive presenti nei bilancio delle banche italiane proprio per via dell'impossibilità

di dedurre le perdite in un solo anno. Padoan potrebbe non aver menzionato tale intervento in quanto trovare

le coperture si sta rivelando più difficile del previsto. Peraltro solo pochi giorni fa sul governo è piombata la

tegola della sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato la mancata indicizzazione delle pensioni

sopra i 1.400 euro lordi nel biennio 2012-2013. «Lavoriamo per avere una soluzione rispettosa dei giudici e

che al tempo stesso minimizzi i costi perla finanza pubblica che innegabilmente ci sono», ha detto il ministro,

che ha però escluso il ricorso a una manovra finanziaria ad hoc. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 087, pag. 10 del 06/05/2015

MERCATI

Dalle comunicazioni consob emerge che the summer trust detiene il 2,051%

Carige, Volpi esce allo scopertoIl veicolo in possesso della partecipazione rilevante è riconducibile alla Compania Financiera Lonestar dell'imprenditore ligure. Diventa quinto azionista dopo Malacalza, Bpce, Ubs e l'Ente

di Oscar Bodini MF-DowJones

The Summer Trust, tramite le dichiarazioni rese alla Consob e relative alle quote rilevanti, ha reso noto ieri

mattina di detenere dallo scorso 27 aprile una quota del 2,051% nel capitale di Carige. La partecipazione è

posseduta indirettamente tramite la holding panamense Compania Financiera Lonestar e il trust (di diritto

inglese) risulta riconducibile all'imprenditore ligure Gabriele Volpi, proprietario di Intels. Quest'ultima è una

multinazionale con base in Nigeria, specializzata nel campo della logistica petrolifera

nell'Africa occidentale e con circa 4.500 dipendenti a libro paga, secondo quanto

riporta il sito corporate della società. Volpi era assurto agli onori delle cronache nel

2008, quando aveva salvato dal fallimento lo Spezia Calcio, diventandone poi

presidente onorario. Sempre in ambito sportivo, l'imprenditore risulta anche

proprietario di una delle più note società italiane di pallanuoto, la Pro Recco, fondata

nel 1913 e vincitrice di 28 scudetti (l'ultimo lo scorso anno). In campo finanziario, la

sua Compania Financiera Lonestar si era fatta notare nel marzo dello scorso anno,

quando partecipò al club deal organizzato da Tamburi I.P. per rilevare, in cambio di un assegno da 120

milioni, una partecipazione del 20% nel capitale di Eataly.

L'ingresso di The Summer Trust, che secondo fonti vicine alla vicenda avrebbe dovuto concretizzarsi già in

occasione dell'assemblea dei soci che si è tenuta lo scorso 23 aprile, avviene in un momento cruciale per

l'istituto di credito guidato da Piero Montani, atteso tra maggio e giugno prossimi a un rafforzamento

patrimoniale da 850 milioni di euro che si è reso necessario in seguito agli esiti non favorevoli degli stress

test approntati dalla Bce nel corso dello scorso autunno.

Secondo le comunicazioni delle quote rilevanti sul sito della Consob, principale azionista dell'istituto ligure

risulta essere Fondazione Carige con una quota del 12,5%, destinata tuttavia a ridursi intorno al 2% ora che

è giunto il via libera da parte della Bce per la cessione di un 10,5% alla famiglia Malacalza. Quest'ultima,

secondo quanto dichiarato in più occasioni da Vittorio Malacalza, potrebbe

ulteriormente rafforzare la propria posizione in prossimità dell'aumento di capitale

senza tuttavia superare la soglia d'opa posta al 25%. Alle spalle dell'ente genovese

figurano poi i francesi di Bpce (9,989%) e Ubs, che attraverso i propri fondi

d'investimento controlla il 4,658% complessivo. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 087, pag. 10 del 06/05/2015

MERCATI

Intesa, a ex ceo Cucchiani 1,4 mln di bonus

L'ex consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, riceverà 1,44 milioni in cash e quote azionarie

come «riconoscimento delle componenti differite» della sua remunerazione. Lo comunica la banca,

sottolineando che è stato trovato un accordo definitivo con l'ex ceo, dimessosi a ottobre del 2013. L'intesa,

autorizzata preventivamente dal consiglio di gestione il 16 settembre 2014 con il parere favorevole del

comitato remunerazioni, riconosce a Cucchiani una quota cash di 360 mila euro nei dieci giorni successivi al

perfezionamento dell'accordo e quote azionarie pari a 360 mila euro entro giugno 2015, una quota cash di

180 mila euro e quote azionarie pari a 360 mila euro a giugno 2016, quote azionarie per 180 mila euro a

giugno 2017. L'accordo «non prevede la corresponsione di ulteriori benefici».

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Numero 087, pag. 10 del 06/05/2015

MERCATI

Intesa Casa, c'è l'accordo con i sindacati

di Claudia Cervini

C'è l'intesa tra i sindacati e Intesa Sanpaolo sul contratto del credito da applicare ai lavoratori che

passeranno nella nuova società Intesa Sanpaolo Casa, dedicata all'attività di intermediazione immobiliare.

«Gli organi di vigilanza hanno richiesto l'assoluta separatezza tra l'attività bancaria e quella di

intermediazione immobiliare, sia per i locali che devono essere chiaramente identificati nelle filiali del gruppo

ospitanti, sia per i sistemi informatici», scrivono le organizzazioni sindacali in una nota. I sindacati, grazie

all'accordo siglato il 4 maggio, sono riusciti a evitare l'applicazione del contratto del commercio per i lavoratori

della newco. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 087, pag. 11 del 06/05/2015

MERCATI

Vertici al lavoro all'accordo parasociale che terrà insieme il nocciolo duro

Popolare Emilia prepara il pattoPrime disponibilità soprattutto dai privati, anche se il progetto è aperto anche a fondazioni e fondi Cantiere aperto sullo statuto in vista della trasformazione in spa. Atteso il regolamento Bankit

di Luca Gualtieri

Potrebbe prendere la forma di un patto di sindacato il nocciolo duro di azionisti che si sta costituendo nel

capitale della Banca popolare dell'Emilia Romagna. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, i vertici

dell'istituto modenese guidato da Alessandro Vandelli sarebbero al lavoro per definire la nuova governance

che recepirà la legge Renzi-Padoan sulle popolari. Il cantiere sullo statuto, aperto subito dopo la conversione

del decreto, sarebbe entrato nel vivo all'indomani dell'assemblea di bilancio dello

scorso 18 aprile, in attesa che dalla Banca d'Italia arrivi il regolamento attuativo.

Segno che la banca, tradizionalmente all'avanguardia in materia di governance come

attestano le modifiche statutarie approvate nel 2014, non vuole farsi cogliere

impreparata dal processo di trasformazione che nei prossimi mesi interesserà l'intero

comparto. L'intenzione dichiarata dallo stesso Vandelli sarebbe stabilizzare gli assetti

proprietari della banca, individuando una compagine di azionisti di lungo periodo, che

andrebbe dalle fondazioni ai fondi di investimento, senza dimenticare l'apporto dei

grandi imprenditori da sempre vicini a Bper. In termini percentuali questa pletora di soggetti potrebbe

detenere il 20% del capitale, anche se la soglia dipenderà dalla risposta della compagine sociale. Negli

obiettivi dei vertici, però, non ci sarebbe soltanto una mappatura puntuale dell'azionariato, ma anche la

definizione di obiettivi comuni in termini strategici e gestionali, ossia la messa in atto di quella serie di azioni

di concerto che rientrano nelle prerogative del patto di sindacato. Ecco perché questa potrebbe essere la

forma giuridica del nocciolo duro, una volta definite la

composizione e le finalità della compagine. Si tratterà ad

esempio di stabilire se l'accordo sarà di voto, cioè vincolante

ai fini del voto in assemblea, oppure di blocco, ossia con

l'obbligo per i soci a non dismettere la partecipazione. Questa

seconda forma potrebbe prendere corpo nel caso in cui il

patto fosse composto principalmente da soggetti privati

(imprenditori o grandi famiglie), cioè soggetti con un orizzonte

di investimento di lungo periodo e senza una natura

speculativa. Proprio da questi soggetti, del resto, nelle ultime settimane sarebbero arrivati i primi segnali di

disponibilità. La circostanza non sorprende. Per professionisti dotati di un'ampia riserva di liquidità e con un

business solido alle spalle, investire in una banca popolare quotata come Bper potrebbe essere

un'opportunità preziosa.

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Dal punto di vista borsistico negli ultimi sei mesi il titolo dell'istituto modenese ha guadagnato quasi il 30%,

toccando quota 7,35 euro e stabilizzandosi sui valori del 2011. Il trend non ha soltanto una ragione

speculativa, anche perché negli ultimi mesi Bper ha licenziato un bilancio apprezzato dagli analisti finanziari e

un piano industriale pragmatico che prevede un cost/income al 53,5% entro il 2017. I conti trimestrali (attesi

per martedì prossimo, 12 maggio) potrebbero aumentare ulteriormente l'appeal del titolo, persuadendo i

potenziali soci forti a rompere gli indugi. Al fianco dei privati, comunque, non è esclusa la presenza di altre

categorie di investitori, come le fondazioni Banco di Sardegna o Cassa di Risparmio della Provincia

dell'Aquila, e di qualche fondo. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 087, pag. 11 del 06/05/2015

MERCATI

È più attraente per gli stakeholder e più compatto nel gestire crisi, segnala il gruppo. Ma è scontro con gli altri leader del comparto

Bcc, piano Iccrea per guidare il gruppo unico coop

di Claudia Cervini

Iccrea esce allo scoperto. Il gruppo bancario di secondo livello, che fornisce prodotti e servizi alle banche di

credito cooperativo, prende posizione sul progetto di autoriforma che dovrà essere licenziato entro l'estate

dalla Federazione nazionale presieduta da Alessandro Azzi. E si propone a capo di quello che, nel suo

disegno, dovrà essere un gruppo bancario unico cooperativo. Si può sintetizzare così la linea che lo stesso

gruppo del credito ha messo nero su bianco scrivendo alle banche socie, a

Federcasse, alle Federazioni locali, a Cassa Centrale Banca e a Raffaisen

Landesbasnk. In pratica cioè a tutti gli interlocutori interessati dall'autoriforma

delle Bcc.

Perché un gruppo unico? Perché in questo modo sarebbe più agevole farsi

carico delle banche in difficoltà; perché le banche del territorio

conserverebbero parte dell'autonomia, così come il marchio che testimonia

la loro storia centenaria; perché il ruolo delle Federazioni non verrebbe messo in discussione e, ancora,

perché il gruppo unico sarebbe maggiormente attrattivo per gli stakeholders nazionali e internazionali.

Queste e altre ragioni vengono addotte nella lettera firmata dal consiglio di amministrazione di Iccrea Holding

e consultata da MF-Milano Finanza.

«In questa prospettiva unitaria tutte le situazioni problematiche attuali e prospettiche potranno essere

affrontate e risolte, riuscendo anche a farsi carico delle banche in difficoltà», si legge nel documento. «La

struttura che si andrebbe a costituire garantirebbe una gestione dei rischi efficace con un'interlocuzione

autorevole con le autorità nazionali ed europee». Iccrea illustra anche qualche dettaglio in termini di governo

societario. «I meccanismi di governance dovranno assicurare una modularità dell'attività di direzione e

coordinamento della capogruppo sulle Bcc-Cr sul territorio».

La holding presieduta da Giulio Magagni giustifica anche il proprio ruolo all'interno di questo futuro unico

gruppo bancario coop. «Il nuovo contesto ha richiesto al Gbi (Gruppo Bancario Iccrea, ndr) un'ulteriore

attività di riorganizzazione interna e la definizione di un piano strategico in linea con le esigenze del

mercato». Tale percorso, avviato alla fine della scorsa estate, si è concretizzato a marzo 2015 ed è stato

oggetto di un confronto con la Bce. Il processo di autoriforma è stato capace di dare «ancora più impulso alla

riorganizzazione del gruppo con la convinzione che il credito cooperativo italiano debba potersi sviluppare

organicamente».

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Il disegno illustrato è ben lontano da quello di una capogruppo spa, magari quotata in borsa, cui agli albori

del processo di autoriforma faceva riferimento Bankitalia guardando ad alcuni modelli europei, in particolare a

quello olandese. Ma soprattutto si tratta di una posizione che entrerà in collisione con gli altri soggetti

candidati a svolgere il ruolo di holding a livello nazionale o macro-regionale, come le banche di secondo

livello Cassa Centrale Banca (l'istituto trentino partecipato al 25% da Dz Bank) e Cassa Centrale Raffaisen

(Alto Adige). Ma anche con quelle federazioni e quelle Bcc che ambiscono a un'organizzazione differente:

una su tutte la Bcc di Roma, la banca di credito cooperativo più grande d'Italia, che pensa a una holding ad

hoc per il Centro Italia. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 087, pag. 12 del 06/05/2015

MERCATI

Per l'advisor fonspa quattro scenari in vista dell'aumento di capitale da 3 mld

Mps, ecco le opzioni per l'EnteSottoscrizione integrale dell'operazione, adesione parziale con vendita dei diritti, cessione integrale dei diritti o dismissione della quota prima dell'offerta. Il 12 le Deputazioni. Il test della trimestrale

di Luca Gualtieri

Quattro opzioni per una sola decisione, probabilmente la più delicata che Marcello Clarich prenderà nel ruolo

di presidente della Fondazione Monte dei Paschi. Sarebbero questi gli scenari che nei giorni scorsi l'advisor

Nuovo Credito Fondiario (Fonspa) avrebbe illustrato ai vertici dell'ente che oggi detiene ancora il 2,5% della

banca senese. Si sa che tra qualche settimana l'istituto lancerà un aumento di capitale fino a 3 miliardi, il

secondo in meno di un anno, necessario per colmare il fabbisogno patrimoniale

calcolato dalla Bce e rimborsare in anticipo i Monti bond. Il consorzio di garanzia c'è,

sotto la guida del global coordinator Ubs, ma resta da capire cosa faranno i grandi

soci del Monte, a partire proprio dalla Fondazione. Per l'advisor le strade possibili

sarebbero quattro: l'adesione integrale pro quota (per un esborso complessivo di 75

milioni), la sottoscrizione parziale con cessione di una parte dei diritti di opzione, il

passo indietro con la vendita totale dei diritti e la dismissione della partecipazione

prima dell'avvio dell'offerta. Per il momento le quattro strade restano ugualmente

aperte e sulla scelta dell'ente peseranno articolate considerazioni di carattere strategico, finanziario e politico,

che saranno approfondite nei prossimi giorni. Sembra comunque che i futuri assetti di controllo della banca

non siano destinati a giocare un ruolo rilevante nel processo decisionale in corso. Secondo l'advisor infatti

un'eventuale aggregazione tra Banca Mps e un altro

soggetto, oltre che non scontata, non dovrebbe concretizzarsi

in un orizzonte temporale di breve periodo. Non ci sarebbe

insomma il rischio di un'incursione improvvisa all'indomani

dell'aumento di capitale, con forte effetto diluitivo per gli

attuali azionisti.

Semmai il confronto dialettico in atto in questi giorni

riguarderebbe l'identità e la strategia della Fondazione e il

suo ruolo nell'evoluzione del Sistema Siena. Finora Clarich si è sempre mostrato molto laico sul tema, e non

è un mistero il suo obiettivo di dar vita a un ente culturale dal portafoglio snello e ben diversificato. Il

presidente però dovrà confrontarsi con i desiderata delle due deputazioni e, più in generale, con gli umori

degli enti nominanti. Questi soggetti oggi chiedono ai vertici della Fondazione decisioni collegiali che tutelino

gli interessi del territorio, per evitare strappi e incidenti diplomatici.

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Se insomma il confronto con le istituzioni e la politica sarà decisivo, un altro passaggio essenziale sarà la

presentazione dei conti trimestrali del Monte previsti per venerdì 8 maggio. Se sul fronte della redditività i

risultati segneranno davvero l'inversione di tendenza già fiutata dagli analisti, i sostenitori della sottoscrizione

pro quota avranno nuove frecce al proprio arco. Secondo il consensus degli analisti elaborato da Bloomberg

per esempio la banca dovrebbe registrare un risultato netto positivo per 42,8 milioni contro la perdita di 174

milioni di un anno fa. I nuovi numeri dovrebbero essere sul tavolo delle due deputazioni martedì 12, quando

tra la mattinata e il pomeriggio è atteso un nuovo round di incontri. La decisione sull'aumento andrà presa in

un arco di tempo molto breve, anche perché l'avvio dell'operazione è atteso per la fine del mese. Negli stessi

giorni scadranno le due clausole di lock up che vincolano Btg Pactual al patto: quella sull'intera

partecipazione e quella sul 60% delle nuove azioni sottoscritte in aumento. A Siena insomma tutto è in

trasformazione. (riproduzione riservata)

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FINANZA & MERCATI 06 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’AUDIZIONE AL

SENATO «Non potremo dire di essere completamente fuori dalla crisi fino a quando il problema dei crediti deteriorati sarà stato risolto»

Credito. Contatti avanzati con la Ue: a livello politico c’è accordo, non a livello tecnico -

L’accelerazione dei tempi delle procedure fallimentari

«Presto la soluzione sui crediti dubbi»

Il ministro Padoan: creare un mercato che fissi un prezzo, Stato pronto a

intervenire

ROMA

«Mi auguro che con buona volontà si raggiunga una soluzione con la Dg Ue per la

tutela della concorrenza, perché non esistono i dieci comandamenti degli aiuti di Stato,

non c'é tutto scritto nelle sacre scritture. Sono questioni tecniche che vanno applicate a

operazioni di mercato». Così il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha

riassunto ieri lo stato dell'arte sul capitolo bad bank nel corso della sua audizione

presso la commissione Finanze del Senato. Padoan ha ricordato che sul tema dei

crediti deteriorati, oggi pari a un terzo dello stock degli impieghi bancari, non solo c'è

piena sintonia tra Tesoro e Banca d'Italia ma tutti i soggetti che se ne sono occupati

(Fmi, Ocse, Ue, Bce) ritengono lo smaltimento rapido delle sofferenze fondamentale

per una piena uscita dell'economia italiana dalla crisi.

«Non potremo dire di essere completamente fuori dalla crisi fino a quando il problema

dei crediti deteriorati sarà risolto»: anche perché, osserva il ministro, è «ben noto che

la presenza dei crediti deteriorati indebolisce la capacità di fare credito». Tutti sono

dunque convinti della necessità di far presto. E il Governo, ha riferito, sta spiegando a

Bruxelles che le operazioni allo studio riguardano la macroeconomia e la crescita e

non gli aiuti di Stato. Da parte europea, se a livello politico la questione è chiara e

bene accolta, lo è molto meno a livello tecnico, anche per via di una normativa sugli

aiuti di Stato che dal 2013 è diventata molto più restrittiva. «Dai commissari Ue - ha

riferito il ministro - si comprende bene che in un sistema economico basato sul

credito, come quello italiano, questa è la questione centrale». Di fronte a un

atteggiamento politico molto positivo, però, l'atteggiamento dei tecnici della

Commissione «è assolutamente negativo».

Per il ministro «dobbiamo giocarci questa partita e lo stiamo facendo. Anche oggi (ieri

per chi legge, ndr) dirigenti del Tesoro sono di nuovo a Bruxelles per parlare di queste

cose: lo fanno ogni settimana ed io vorrei anche per un problema di costo delle

missioni che questo processo finisse presto».

Sono due, per il ministro, i binari sui quali si sta lavorando: il primo riguarda la

realizzazione di un mercato nel quale si vendano i crediti deteriorati. «Per ipotesi - ha

spiegato - se abbiamo 15 centesimi di valore facciale di un credito che in origine

valeva 100 e se il mercato non c'è, perché nessun operatore vuole vendere, si tratta di

capire quale dovrebbe essere un prezzo di mercato adeguato. Lo Stato entrerebbe in

questo processo perché occorrerebbe un aiuto minimo, anche sotto forma di garanzia.

Il dibattito - ha proseguito Padoan - è se questo debba essere considerato un aiuto di

Stato. La questione è tecnica e ne stiamo discutendo».

L'altra linea d'intervento riguarda l'accelerazione delle procedure fallimentari, con

misure che il governo vorrebbe adottare e proporre per una rapida approvazione.

«Sono ottimista - ha concluso il ministro - sul fatto che, mettendo insieme le due cose,

si creerà una maggiore disponibilità degli operatori, anche perché una situazione

economica che va migliorando rende più facile liberarsi di questi crediti». In ogni

caso, ha sottolineato resta fuori discussione che «il sistema bancario italiano è solido».

«Se una economia perde in pochi anni 10 punti di Pil – ha aggiunto - il suo sistema

bancario ne risente. Ma il sistema bancario non è in crisi e non c’è un problema

sistemico».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Rossella Bocciarelli

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uguale per tutti

Riforma costituzionale, Renzi apre alla sinistra

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FINANZA & MERCATI 06 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LE GARANZIE Per i prossimi tre anni rimarrà in carica l'attuale cda di Crf, la direzione regionale resterà a Firenze e i livelli occupazionali saranno stabili

Fondazioni. Ceduta l’ultima quota del 10,26% per 182,5 milioni - La fondazione fiorentina resta

socia di Intesa al 3,3% - il presidente Tombari: primo atto del protocollo Acri-Mef

Ente Cr Firenze lascia la Cassa a Intesa

L'Ente Cassa di Risparmio di Firenze esce dalla Cassa e intasca 182,5 milioni, più

altri due (versati sempre da Intesa Sanpaolo) per i progetti sul territorio, la garanzia

che per (almeno) nove anni il marchio storico dell'istituto fiorentino rimarrà in vita e

che la direzione regionale del gruppo resterà in città. L'accordo era nell'aria da mesi,

ma l'annuncio è arrivato solo ieri da parte del presidente, Umberto Tombari, da un

anno al vertice della Fondazione che ha ancora in mano il 3,25% di Ca' de Sass:

«Questo accordo contribuisce ad aumentare il nostro patrimonio e segna una nuova

tappa nel nostro processo di modernizzazione oltre a rafforzare ulteriormente il nostro

impegno sul territorio», ha sottolineato Tombari. Di fatto, quella annunciata ieri è la

prima operazione di dismissione che fa seguito all'accordo sottoscritto tra l'Acri e il

Mef che dà tre anni di tempo alle Fondazioni per portare sotto il 33% del proprio

patrimonio la partecipazione più rilevante, : con la cessione del 10,26% di

CariFirenze, la Fondazione fiorentina non è ancora in regola con il protocollo (i 515

milioni di azioni di Intesa, iscritte a bilancio per complessivi 905 milioni, valgono il

60-70% del patrimonio dell'Ente CariFirenze), ma il termine dei 36 mesi è appena

scattato: «Su Intesa non abbiamo ancora avviato una riflessione», ha precisato

Tombari, che è anche vicepresidente Acri. Certo le scelte sulla quota verranno prese

nell'ambito di un nuovo modello di gestione del patrimonio che sarà affidato – altra

novità di ieri – a Cambridge Associates LLC, advisor indipendente leader mondiale

nel segmento delle Fondazioni: «Come tutte le migliori Fondazioni straniere e in linea

con quelle principali del nostro Paese – ha detto ancora Tombari - dobbiamo avere ora

un patrimonio più equilibrato e non concentrato su un unico asset e, per questo, stiamo

impostando una governance del patrimonio efficiente: abbiamo ora un portafoglio che

ha acquisito una certa consistenza sul quale vogliamo essere aiutati ad individuare i

migliori gestori del mondo». La quota di Carifirenze era a bilancio per 97,8 milioni,

dunque è stata ceduta con plusvalenza. E maggiori ritorni sono attesi anche ora che

quelle risorse potranno essere investite altrove: «A fronte di un rendimento – ha detto

Tombari - delle azioni della Cassa di Risparmio che negli ultimi anni è stato di zero

euro nel 2013 e di circa 230 mila euro nel 2014, riteniamo ragionevole ricavare dalla

gestione dei 182,5 milioni un rendimento tra il 2 e 3%, ovvero tra i 3,5 e i 5 milioni di

euro annui, al netto delle imposte, riuscendo così ad incrementare il sostegno al nostro

territorio del 15/20 per cento. Una cifra di assoluto rispetto, soprattutto in questi

tempi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ma.Fe.

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MF

Numero 088, pag. 12 del 07/05/2015

MERCATI

Gli ex amministratori potrebbero però appellarsi alla presidenza della repubblica

B. Etruria rinuncia a ricorso al Tar

Per rivolgersi al Quirinale contro il commissariamento l'istituto di credito aretino ha tempo fino a giugno. Entro maggio la consegna del rapporto ispettivo di Bankitalia

di Claudia Cervini

Sulla vicenda della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, dall'11 febbraio in amministrazione straordinaria,

sembra calato il silenzio. Gli uomini di Banca d'Italia (i commissari straordinari Riccardo Sora e Antonio

Pironti) sono al lavoro per rimettere in carreggiata l'istituto di credito aretino dopo il commissariamento per

gravi perdite patrimoniali. Secondo quanto ricostruito da MF-Milano Finanza, gli ex amministratori hanno fatto

marcia indietro sul ricorso al Tar contro il commissariamento,

azione che era stata paventata in un primo momento. Il

ricorso al Tribunale amministrativo è stato archiviato

definitivamente e non potrà più essere intrapreso, visto che

sono scaduti i tempi tecnici che ne disciplinano l'avvio. Non

sono scaduti invece i termini per un ricorso straordinario alla

Presidenza della Repubblica, ipotesi ancora al vaglio degli

amministratori coinvolti, che intanto rimangono in attesa di

ricevere i dettagli contenuti nel verbale ispettivo (l'articolata ispezione di Vigilanza si è conclusa il 27

febbraio).

L'ipotesi di un ricorso al Tar era stata forse il frutto di una reazione a caldo, dopo che il consiglio di

amministrazione di Banca Etruria era stato sciolto nel bel mezzo della seduta che stava deliberando sul

bilancio 2014. Ai sensi di legge gli esponenti aziendali hanno facoltà di impugnare il decreto ministeriale di

scioglimento degli organi amministrativi e di controllo che sottopone la banca alla procedura di

amministrazione straordinaria facendo ricorso al Tar competente entro 60 giorni. Più lunghi invece sono i

tempi per avviare un ricorso straordinario da sottoporre alla Presidenza della Repubblica; in questo caso il

termine è di 120 giorni.

L'eventuale ricorso alla Presidenza della Repubblica però andrà valutato con cura, visto che il

commissariamento è avvenuto in base all'articolo 70, comma 1, lettera B del Testo Unico Bancario, ovvero

per gravi perdite del patrimonio. E i numeri, è chiaro, sono incontrovertibili; la banca toscana, allora

presieduta da Lorenzo Rosi, avrebbe chiuso con un rosso di 526 milioni di euro, causato perlopiù da

svalutazioni per 621 milioni di euro. Risultati che hanno portato infine al commissariamento.

Non va dimenticato però che nel verbale del commissariamento di Banca Etruria venivano anche citati

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07/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1984381&access=AB

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l'inerzia del consiglio di amministrazione, il rifiuto dell'opa amichevole avanzata dalla Popolare di Vicenza

(vicenda, quest'ultima, assai controversa) e alcune operazioni che sarebbero state condotte in conflitto

d'interesse.

Ora, come accennato, gli ex amministratori sono in attesa di conoscere i dettagli del verbale ispettivo. La

consegna della parte «rilievi e osservazioni» del rapporto viene effettuata per legge entro 90 giorni dalla

conclusione degli accertamenti, quindi è attesa entro fine maggio. (riproduzione riservata)

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Pagina 2 di 2B. Etruria rinuncia a ricorso al Tar - MilanoFinanza.it

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MF

Numero 088, pag. 12 del 07/05/2015

MERCATI

Il cda di Carim si aumenta i compensi

di Claudia Cervini

Dopo aver chiuso il bilancio con una perdita superiore a 9 milioni di euro (era di 5,9 milioni nel 2013) e in una

fase aziendale delicata in cui sono stati dichiarati circa 60 esuberi, l'assemblea dei soci di Banca Carim

(Cassa di Risparmio di Rimini), oltre a nominare il nuovo consiglio di amministrazione, ha deliberato un

aumento dei compensi dovuti agli amministratori e ai sindaci (nel 2013 pari a 461 mila euro). È questo il grido

d'allarme lanciato dalle organizzazioni sindacali (Fabi, Fiba-Cisl, Cgil-Fisac e Uilca). Come detto per la

piccola banca romagnola si tratta di una fase delicata che prevede anche il ridimensionamento della rete di

sportelli. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 088, pag. 13 del 07/05/2015

MERCATI

La trasformazione dovrebbe partire dopo l'emanazione del regolamento bankit

Veneto Banca pronta per la spaL'istituto potrebbe essere il primo a muoversi con le modifiche allo statuto. Advisor al lavoro sull'aggregazione. Si sgonfia l'ipotesi delle nozze con Bpvi. Al via ispezione Bce sulla governance

di Luca Gualtieri

Se non ci saranno ritardi nell'emanazione del regolamento di Banca d'Italia, Veneto Banca potrebbe essere il

primo istituto cooperativo italiano ad avviare la trasformazione in spa. L'obiettivo del presidente Francesco

Favotto sarebbe infatti far partire l'iter per la modifica dello statuto subito dopo l'arrivo delle disposizioni di Via

Nazionale. A quel punto l'assemblea straordinaria potrebbe essere convocata tra giugno e luglio oppure, se

ci fossero ritardi, immediatamente dopo la pausa estiva. Resta insomma

confermata la volontà di Favotto di muoversi in tempi rapidi, nonostante la

generale battuta d'arresto che, dopo le assemblee di aprile, si sta registrando

nell'intero sistema delle popolari. Una volta avviato l'iter per la trasformazione, sarà

interessante capire se la banca rinnoverà o meno i propri organi direttivi. L'attuale

consiglio di amministrazione è stato nominato solo l'anno scorso e dunque

potrebbe tecnicamente restare in carica anche con la nuova governance.

L'assunzione di nuovi assetti di controllo e, soprattutto, la possibilità di incursioni

da parte di nuovi investitori potrebbero però rendere più conveniente rinnovare

subito l'intero board. L'aspetto, insomma, andrà approfondito con i consulenti legali

della banca, a stretto contatto con le autorità di vigilanza.

Altro tema caldo è quello relativo alla stabilizzazione degli assetti proprietari con la costituzione di patti di

sindacato, come stanno facendo anche altre popolari quotate e non. Nel caso di Veneto Banca, un

coinvolgimento diretto degli imprenditori del territorio sarebbe possibile. Storicamente l'istituto ha solide

relazioni con molti industriali del Triveneto, alcuni dei quali hanno seduto o siedono ancora nel cda. Solo per

fare qualche nome basti ricordare Matteo Zoppas (Acqua San Benedetto), Alessandro Vardanega (Industrie

Cotto Possagno), Pierluigi Bolla (Spumanti Valdo) o Luigi Rossi Luciani (Carel).

Altro tema sul tavolo è quello dell'aggregazione, anche se al momento il lavoro di selezione dell'advisor

Rothschild sarebbe ancora in corso. A lungo l'ipotesi favorita è stata il matrimonio con la Banca popolare di

Vicenza, un'unione che darebbe vita a un polo creditizio del Nord Est. Una business combination sull'asse

Vicenza-Montebelluna avrebbe una logica industriale perché permetterebbe ai due gruppi di realizzare

sinergie di costo e ridare slancio alla redditività. Molti, però, a Montebelluna restano perplessi; da qui l'idea di

sondare anche altre soluzioni. Le piste percorribili sono molte, perché se è vero che Veneto Banca ha alle

spalle un periodo critico, la vigorosa azione di pulizia condotta nell'ultimo esercizio ha rimesso in sesto i conti.

Pagina 1 di 2Veneto Banca pronta per la spa - MilanoFinanza.it

07/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1984385&access=AB

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Non solo. La svalutazione delle azioni (da 39,5 a 30,5 euro) decisa dal cda e approvata dall'ultima assemblea

ha in parte colmato la distanza che esisteva tra il price/book value dell'istituto e quello delle banche quotate in

Piazza Affari. Ecco perché oggi non si può escludere l'aggregazione con una banca del Ftse Mib, a partire

dalla Popolare dell'Emilia Romagna. Un matrimonio tra i due istituti è una vecchia idea del presidente

modenese, Ettore Caselli, che già lo scorso anno avrebbe sondato la praticabilità del progetto. Continua poi a

circolare l'ipotesi di un interesse da parte di un gruppo tedesco non ancora attivo sul mercato italiano, ma

interessato a crescere attraverso operazioni mirate.

Nel frattempo, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, nelle scorse settimane sarebbe iniziata

un'ispezione della Bce sul tema governance, remunerazioni e struttura societaria. La verifica, analoga a

quella avviata in precedenza in altri istituti, potrebbe prolungarsi ancora per qualche tempo. (riproduzione

riservata)

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MF

Numero 088, pag. 13 del 07/05/2015

MERCATI

Incontro decisivo con le banche sul piano

Sansedoni, ok sul debito

di Luca Gualtieri

La Fondazione Mps ha quasi sbrogliato la matassa Sansedoni. Nei giorni scorsi il braccio immobiliare

dell'ente senese ha raggiunto un risultato decisivo nel processo di risanamento della posizione debitoria. La

società presieduta da Luca Bonechi è alle prese con la ristrutturazione di un debito di oltre 200 milioni con un

pool di banche capitanato da Banca Montepaschi che di Sansedoni è anche azionista al 21,8%. Martedì 28

aprile gli istituti creditori avrebbero infatti espresso un primo assenso al nuovo

piano industriale del gruppo che comprenderebbe nuove svalutazioni per

aggiornare i valori immobiliari e la conseguente riduzione del patrimonio. L'ok

formale con qualche piccolo aggiustamento dovrebbe essere ormai questione di

giorni. A quel punto mancherebbe soltanto il via libera da parte dell'asseveratore, a

seguito del quale la società potrà approvare il bilancio 2014. Lo sblocco della

trattativa è stato reso possibile dal nuovo piano industriale che metterebbe sul

piatto una serie di dismissioni, a partire dal prestigioso Palazzo Portinari a Firenze

(ex sede di Banca Toscana), passando poi per il complesso immobiliare della

Whirlpool, detenuto dal fondo Duccio Immobiliare. Una volta chiusa la ristrutturazione e rimessi in sesto i

conti, la Sansedoni potrebbe essere messa ufficialmente in vendita. Al momento non ci sarebbero ancora

offerte ufficiali, ma in via ufficiosa diverse società di intermediazione starebbero raccogliendo informazioni sul

dossier per conto di imprenditori e fondi d'investimento stranieri. Le modalità di acquisto potrebbero essere

sostanzialmente due: offerte mirate per singoli immobili oppure un acquisto in blocco della quota oggi in

mano alla Fondazione.

Nel frattempo, la prossima settimana la Fondazione Mps sarà chiamata a decidere sull'aumento di capitale.

Dopo la presentazione dei conti trimestrali del Monte prevista per venerdì 8 maggio, i nuovi numeri

dovrebbero essere sul tavolo delle due deputazioni martedì 12, quando tra la mattinata e il pomeriggio è

atteso un nuovo round di incontri. La decisione sull'aumento andrà presa in un arco di tempo molto breve,

anche perché l'avvio dell'operazione è atteso per la fine del mese. Negli stessi giorni scadranno le due

clausole di lock up che vincolano Btg Pactual al patto: quella sull'intera partecipazione e quella sul 60% delle

nuove azioni sottoscritte in aumento.

Nei giorni scorsi l'advisor Nuovo Credito Fondiario (Fonspa) avrebbe illustrato ai vertici dell'ente le opzioni sul

tavolo: l'adesione integrale pro quota (per un esborso complessivo di 75 milioni), la sottoscrizione parziale

con cessione di una parte dei diritti di opzione, il passo indietro con la vendita totale dei diritti e la dismissione

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della partecipazione prima dell'avvio dell'offerta. Per il momento le quattro strade restano ugualmente aperte

e sulla scelta dell'ente peseranno articolate considerazioni di carattere strategico, finanziario e politico, che

saranno approfondite nei prossimi giorni. Sembra comunque che i futuri assetti di controllo della banca non

siano destinati a giocare un ruolo rilevante nel processo decisionale in corso. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 088, pag. 14 del 07/05/2015

MERCATI

Azionisti e istituzioni locali fanno quadrato intorno alla forma cooperativa

Banco, Lodi difende la popolareIn prima fila c'è un comitato che riunisce sindaci, la Provincia e la Camera di commercio. Il ruolo della Fondazione. Timore per gli effetti di una fusione con Milano. Anche Verona in manovra

di Luca Gualtieri

Il legame con il territorio di riferimento è una delle cifre distintive delle banche popolari. Oggi la riforma del

settore decisa dal governo Renzi ha rinsaldato questo legame, come dimostra quanto sta accadendo in

queste settimane nella provincia di Lodi, una delle aree più ricche e vivaci su cui insiste il Banco Popolare.

Qui, nel bacino che fino a pochi anni fu quello della Popolare di Lodi, azionisti e

istituzioni hanno avviato una mobilitazione serrata per difendere la forma cooperativa

o, per lo meno, per limitare gli effetti della trasformazione in spa. In prima fila c'è un

comitato che riunisce le principali istituzioni del territorio, dai sindaci dei comuni (a

partire da Simone Uggetti, primo cittadino di Lodi in quota Partito Democratico) al

presidente della Provincia Mauro Soldati (Pd), dal numero uno della Camera di

Commercio, Carlo Gendarini, a Ferruccio Pallavera, direttore del principale organo di

informazione della provincia cioè Il Cittadino, controllato dalla diocesi di Lodi. Il

comitato è insomma espressione delle anime che in passato convivevano nella compagine sociale della

Popolare di Lodi e che, dopo la fusione dell'istituto nella capogruppo nel 2011, si sono ritrovate attorno alla

Fondazione Banca Popolare di Lodi. L'ente, guidato da Duccio Castellotti (che è anche vicepresidente del

Banco), è oggi oggetto di preoccupazione per il territorio che, con la trasformazione in società per azioni alle

porte e la possibile aggregazione, teme di essere scippato dell'ultimo riferimento identitario. Anche se non

viene messo nero su bianco sui documenti ufficiali, la

preoccupazione maggiore è per gli effetti di una possibile fusione tra

il Banco e la Popolare di Milano che gli analisti finanziari danno oggi

per sempre più probabile (si veda contrarian a pagina 18). Anche se

l'istituto di Piazza Meda ha un forte radicamento soltanto nel

capoluogo lombardo, il timore dei soci e delle istituzioni lodigiani è

che un'aggregazione di questo genere, con la costituzione di un

quartier generale su Milano, possa marginalizzarli all'interno del

nuovo gruppo. Più gradita sarebbe insomma un'operazione che

proietti il Banco sul Nordest, come una fusione con la Banca popolare di Vicenza o con Veneto Banca, anche

se questo secondo scenario appare decisamente meno probabile. Si tratta insomma di dialettiche tipiche di

un gruppo sovraregionale in cui le anime locali sono ancora assai radicate. Va peraltro ricordato che Lodi non

è l'unico territorio caldo in questa fase. Come riportato da MF-Milano Finanza il 27 marzo scorso, anche a

Verona gruppi di azionisti riuniti in comitati starebbero lavorando a un ricorso contro la legge Renzi-Padoan.

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Territorio e partecipazione, insomma, resteranno la cifra distintiva delle popolari ancora per qualche tempo,

almeno fino alla trasformazione in spa. (riproduzione riservata)

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PRIMA PAGINA 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Banche. Le mosse di Biasi che punta al polo veneto e guarda alle Marche - Le mire di Cassa Padova

Fondazioni, un miliardo da investire nelle

Popolari

CariVerona studia l’ingresso nel Banco e in Pop. Vicenza

La data segnata in rosso sull’agenda è quella del 5 giugno prossimo, giorno in cui

UniCredit pagherà il dividendo sul bilancio 2014, ritoccato (al rialzo) a 12 centesimi

per azione, richiedibili sottoforma di azioni o di denaro contante. Prima di allora in

teoria non conviene vendere, e Fondazione CariVerona - che di UniCredit è socia al

3,45% - quasi sicuramente manterrà le posizioni. Poi, è probabile, inizieranno le

manovre. Che di qui ai prossimi tre anni potrebbero portare l’ente presieduto da Paolo

Biasi a investire fino a un miliardo nelle banche destinate a uscire dal giro di valzer

innescato dalla riforma delle Popolari approvata a fine marzo.

Quali? Banco Popolare e Popolare di Vicenza su tutte (senza dimenticare Banca

Marche), come è già emerso nelle settimane scorse, ma il quadro è in rapida

evoluzione e potrebbe veder coinvolti anche altri soggetti, da Veneto Banca a Bpm

(che di qui a breve potrebbero convolare a nozze con le altre due popolari con sede in

regione) fino a Fondazione Cassa Padova e Rovigo, che - in virtù dell’accordo Acri e

Mef firmato due settimane fa - si vedrà costretta a disfarsi di circa un terzo della sua

partecipazione in Intesa Sanpaolo, incassando mezzo miliardo di risorse fresche da

investire altrove.

Continua pagina 31 Marco Ferrando

Continua da pagina 29 Il pallino, però, ce l’avrà in mano CariVerona. Che potrebbe

agire in fretta. Non è un caso che l’ente sia stato il più sollecito a recepire l’accordo

Acri-Mef che impone di ridurre al 33% la concentrazione del patrimonio in un solo

asset (che nel caso di CariVerona è UniCredit): il 22 aprile la firma a Roma,

quarantott’ore dopo la riunione del Consiglio generale della Fondazione che ha

emendato lo statuto e inviato la bozza al Mef. Ora l’ente ha un anno di tempo per

comunicare sempre a Via XX Settembre il proprio programma di dismissioni, ma

secondo i bene informati non si perderà tempo: obiettivo dell’ente sarebbe quello di

mettere nero su bianco come e quanto si vuole diversificare entro la fine dell’estate,

cioè prima della scadenza del mandato di Paolo Biasi (con il resto del consiglio), che

non è rinnovabile.

«Se verrà richiesto di accompagnare le trasformazioni delle banche popolari, per

garantire una stabilità dell’azionariato verso questo obiettivo, CariVerona esaminerà

con disponibilità i dossier mettendo in campo all’occorrenza le risorse necessarie», ha

dichiarato il vicepresidente Giovanni Sala nel corso dell’assemblea del Banco

Popolare dell’11 aprile. Parole inequivocabili, per di più pronunciate da uno dei

candidati più accreditati per la successione a Biasi. E le munizioni, a Verona,

potrebbero essere importanti: conti alla mano, del 3,45% di UniCredit - che vale circa

la metà del patrimonio - l’ente scaligero dovrà cedere almeno l’1%, intascando così

370 milioni;?ma l’interesse sulla banca, dove l’ente per la prima volta non avrà alcun

rappresentante all’interno del nuovo board che sarà eletto la settimana prossima, è in

via di graduale raffreddamento, e non è escluso che l’alleggerimento possa essere di

portata maggiore. Se poi si somma la liquidità che fa capo all’ente e altri investimenti

agevolmente smobilizzabili, ecco che si arriva alla cifra tonda di un miliardo. Che

potrebbe finire nel Banco Popolare, ma anche nella Popolare di Vicenza, che rientra

pienamente nella “giurisdizione” dell’ente:?entrambi gli istituti sono sulla via della

trasformazione in Spa e quindi alla ricerca di soci fedeli con cui costituire un nocciolo

duro con funzioni anti-scalata. Con il suo miliardo in tasca, CariVerona sa di poter

giocare nel ruolo di play maker, e - non ultimo - di ipotecare qualche posto di rilievo

nelle cabine di regia delle banche che verranno. Il risiko è un’opportunità, ma presenta

incognite che potrebbero complicare lo schema: è così che un eventuale fusione del

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Banco con Bpm potrebbe annacquare il dna veneto (e quindi l’interesse di Biasi e

compagni) della nascente maxi-popolare, mentre il dialogo tra advisor sull’asse

Vicenza-Montebelluna potrebbe rendere più difficile (e costoso)?un ingresso nella

banca guidata da Gianni Zonin nel caso in cui diventasse promessa sposa di Veneto

Banca. A meno che non si possa fare di necessità virtù:?cioè sfruttare il risiko per

costruire un’unica banca veneta unendo Verona, Vicenza e Montebelluna; ipotesi

affascinante politicamente, in cui la Fondazione con il suo miliardo potrebbe avere un

ruolo decisivo, ma tra le banche d’affari si ricorda che matrimoni a tre non se ne sono

mai visti.

Infine, i padovani. Opposti per modo di fare e pensare rispetto a Verona, il caso vuole

che con la riforma si trovino in una situazione analoga: la Fondazione Cariparo, dopo

aver incassato 370 milioni dalla cessione dello 0,9% di Intesa Sanpaolo, di qui ai

prossimi tre anni - sulla carta - ne intascherà altri 500 dalla vendita di un altro 1 per

cento. Un altro miliardo, o poco meno, cui andrà trovata una destinazione.

L’intenzione del presidente, Antonio Finotti, è quella di muoversi lontano dalle

banche; ma non è detto che l’interesse non possa crescere nel caso in cui ci sia da

costruire un progetto di statura regionale (e non solo). Anche perché nella città

scaligera ricordano che nel lungo percorso di Finotti c’è stata anche la direzione

generale della Cassa di risparmio di Verona: vecchi legami da recuperare - magari -

per nuovi progetti.

.@marcoferrando77

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Marco Ferrando

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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FINANZA & MERCATI 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Banche. Il ministro Padoan: nessuno scontro con l'Unione europea

«Soluzione sui crediti entro l’estate»

Le misure del governo per risolvere il problema dell’elevato stock di crediti deteriorati

detenuti dalle banche italiane, i non performing loans (npl), arriveranno «sicuramente

prima dell’estate» ha assicurato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ieri

ha voluto allontanare l’immagine di uno «scontro» in atto sui tavoli tecnici aperti a

Bruxelles. «Noi siamo pronti, una volta avuta la luce verde dalla Dg concorrenza

europea le misure saranno varate» ha detto Padoan precisando che sulla band bank

non c’è uno scontro con l’Ue: «In alcuni casi - ha tenuto a sottolineare - c’è una

diversità di vedute sulla presenza o meno di aiuti di base, ma sono fiducioso che

troveremo un accordo». A stretto giro la reazione della Commissione, tramite la

portavoce del commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager.

Continua pagina 31

Continua da pagina 29 «La Commissione Ue - ha fatto sapere - è in stretto e

costruttivo contatto con le autorità italiane sulla riforma del settore bancario e ha

condiviso con loro gli elementi tecnici che devono essere tenuti presente quando viene

istituita una “bad bank” in linea con le regole Ue». La portavoce ha poi aggiunto che

la Commissione si fa forte della sua esperienza «nella definizione delle misure per gli

asset bancari deteriorati attuate in altri Stati membri per aiutare le autorità italiane a

individuare la strada più appropriata per fronteggiare» la situazione.

Il confronto dunque va avanti, dopo l’incontro di due settimane fa tra Padoan e la

Vestager. La delegazione italiana dovrebbe presentare nuove proposte già la prossima

settimane (come scritto sul Sole 24Ore di martedì 5 maggio).

Il punto nodale sarà il “prezzo equo” a cui il veicolo acquisterà gli npl dalle banche,

che a quel punto dovrebbe beneficiare - sul fronte della domanda - della riforma delle

legge fallimentare, e su quello dell'offerta delle nuove svalutazioni operate sulla spinta

della deducibilità immediata: trattandosi di operazioni condotte a condizioni di

mercato, spiegherà l'Italia, non si potrà parlare di aiuti di Stato. Anche perché a quel

punto lo Stato potrebbe anche non intervenire: il capitale per il veicolo, in grado di

essere degnamente remunerato, potrebbe arrivare da investitori specializzati, o - altra

ipotesi - dalle Fondazioni.

Se il piano è pressoché pronto, il problema resta politico. Cioè convincere l’opinione

pubblica della necessità di un intervento che potrebbe essere percepito come a

sostegno delle banche. Grandi benefici, è la tesi dell’Esecutivo, potrebbero esserci

soprattutto per aziende e famiglie (che vedrebbero riaprirsi i rubinetti del credito),

nonché per la redditività del settore - e quindi per gli investitori, grandi e piccoli.

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D.Col.

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inviate le proposte italiane: valgono 40 miliardi di euro

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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FINANZA & MERCATI 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL PERCORSO Il recepimento dell’accordo Acri-Mef diventa requisito per restare nell’associazione, da cui usciranno le casse A giugno il congresso a Lucca

Fondazioni. L’assemblea ha deciso di prolungare di un anno il mandato degli organi - Si riapre il

dossier per il coinvolgimento degli enti nella bad bank

L’Acri conferma il vertice per attuare la

riforma

L’accordo tra l’Acri e il Mef, firmato due settimane fa dal presidente Giuseppe

Guzzetti e dal ministro Pier Carlo Padoan, avrà bisogno di un anno per essere attuato.

Così ieri l’assemblea dell’associazione - su proposta del comitato preparatorio

coordinato da Marco Cammelli - ha deciso all’unanimità di prolungare di un anno il

mandato degli organi, formalmente in scadenza: conferma dunque per Guzzetti, il

consiglio e il comitato di presidenza, che avranno il compito di curare il lungo

processo di recepimento dell’accordo negli statuti delle 85 Fondazioni, che diventerà

condizione essenziale per rimanere soci Acri. Nel corso dei prossimi mesi, secondo

quanto risulta a Il Sole 24 Ore, l’associazione farà anche ordine al suo interno: tra i

129 soci figurano ancora 37 banche, che - sempre per via della riforma - non saranno

più in grado di soddisfare i requisiti per la permanenza in Acri: di qui la decisione di

studiare un percorso di uscita, con relativa liquidazione di quanto spetta loro visto il

contributo in fase di costituzione.

Dopo aver superato, compatta, la prova dell’autoriforma e archiviata l’assemblea, per

l’Acri il prossimo appuntamento di rilievo sarà il congresso di Lucca, il 18 e 19

giugno a Lucca. Al centro, tutti i temi che stanno a cuore al mondo delle Fondazioni,

dalla riforma stessa fino all’inasprimento del carico fiscale («complessivamente,

dunque, si è passati dai 100 milioni di carico complessivo nel 2011 ai 340 stimati per

il 2014, che arriveranno a 360 nel 2015», ricorda una nota diffusa ieri) ma anche alle

crescenti sinergie: «Nel corso del 2014 le Fondazioni di origine bancaria hanno anche

confermato la propria capacità di muoversi in sinergia fra loro, con il coordinamento

dell’Acri, continuando a proporre e a realizzare progetti congiunti», sottolinea ancora

la nota di ieri, citando l’iniziativa Fondazioni for Africa Burkina Faso, la Fondazione

con il Sud e i cantieri di housing sociale realizzati insieme al fondo nazionale Fia, il

progetto Ager finalizzato allo sviluppo del settore agroalimentare. Un elenco cui

presto potrebbe aggiungersi un nuovo dossier, di grossa portata: è il progetto della bad

bank, che nelle intenzioni del Governo potrebbe vedere proprio le Fondazioni tra i

potenziali investitori. L’ipotesi, messa a fuoco nei mesi scorsi, sarebbe tornata

d’attualità nei giorni scorsi vista l’accelerazione imposta dall’Esecutivo:?l’interesse da

parte degli enti, però, rimane più che tiepido, soprattutto a valle di una riforma pensata

per diversificare il rischio dal settore bancario. Decisivo, nel caso, sarà il rendimento

offerto all’investimento e le garanzie a copertura.

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Ma.Fe.

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MF

Numero 089, pag. 2 del 08/05/2015

PRIMO PIANO

Gli altri paesi hanno sostenuto le banche prima della vigilanza unica della bce

Abi: perso tempo sulla bad bankIl presidente Patuelli si lamenta per le lunghissime discussioni su un veicolo di smobilizzo delle sofferenze. Una stretta sui titoli di Stato? Finirebbe per deprimere ulteriormente l'economia

di Danilo Caselli MF DowJones

Per la bad bank versione italiana si è perso tempo utile e prezioso, mentre sarebbe stato molto facile negli

anni passati costituirla e gestirla. Invece adesso, con l'introduzione della supervisione della Bce, diventa tutto

più difficile. È questo il concetto espresso ieri dal presidente dell'Abi Antonio Patuelli nel corso di un

seminario organizzato a Roma dall'associazione bancaria. «Perché», si è domandato Patuelli, «in altri Stati si

fa, mentre da noi no?». Per il presidente dell'Abi la risposta «va data in termini giuridici: gli altri Stati prima del

4 novembre 2014, data in cui è

subentrato lo spartiacque della

supervisione della Bce, hanno fatto

operazioni a sostegno delle proprie

banche. Mentre in Italia ci si

infiammava sulle discussioni politiche

intorno alla rivalutazione delle quote

di Bankitalia da parte delle banche, gli

altri Paesi sono andati avanti dando

finanziamenti a fondo perduto a

banche nazionali e, in alcuni casi, addirittura anche a banche non nazionali». Così oggi, fa notare Patuelli,

«invece di andare avanti a spron battuto sulla costituzione di una bad bank, i governi debbono interpellare

l'Unione Europea affinché non si configurino aiuti di Stato».

Per quanto riguarda invece un'ulteriore manovra restrittiva sui parametri di capitale che potrebbe essere

introdotta se l'Europa dovesse modificare il sistema di computo dei titoli di Stato in portafoglio nelle banche

italiane, l'Abi si è allineata a Bankitalia (si veda MF-Milano Finanza di ieri) e si è detta contraria. «Se le

banche dovranno cambiare approccio», ha sostenuto Patuelli, «allora dovranno dotarsi di ulteriore

generazione di capitale e questo finirà per deprimere ulteriormente l'economia». Il presidente dell'Abi ha poi

specificato che «per le banche i titoli di Stato sono liquidità da impiegare a vista, sono una garanzia di

liquidità che bisogna avere e che deve essere convertita al bisogno il giorno stesso».

Infine, in contrasto con la linea del premier Matteo Renzi che ha portato a rivoluzionare il sistema delle

popolari («ci sono troppi banchieri e poco credito»), Patuelli ha sottolineato che non è vero che in Italia ci

sono troppe banche, perché non è dal numero di banche che si valuta un sistema bancario. Per sostenerlo

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Patuelli ha utilizzato una citazione di Luigi Einaudi: «La valutazione delle banche non avviene per numero ma

per la qualità. La qualità oggi viene prima del numero di banche e della dimensione ed è per questo che la

valutazione del capitale Cet1 ha soppiantato il numero degli sportelli».

Negli ultimi anni, in seguito alla lunga e grave crisi, «la fiducia nella finanza è stata severamente

danneggiata», ha intanto osservato il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ieri a Parigi per un

convegno Ocse, precisando che i danni «potranno essere riparati soltanto attraverso la messa a punto di una

combinazione di strumenti, sviluppati all'interno di una cornice coerente». Questo elemento è «una pre-

condizione fondamentale per un efficiente funzionamento del sistema finanziario. Che, a sua volta, è un

requisito essenziale per consentire alle aziende che meglio possono trarre vantaggio dalla finanza di

esprimere il loro pieno potenziale», ha aggiunto.

Infine va segnalato che nell'ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi è stato inserito il decreto

legislativo sull'attuazione della direttiva Crd4, che introduce i requisiti di Basilea 3. (riproduzione riservata)

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Numero 089, pag. 8 del 08/05/2015

MERCATI

La prossima settimana si chiuderà la due diligence. poi trattativa in esclusiva

Al rush finale la cessione di IcbpiPrevisto incontro informale a Milano martedì 12. In lizza tre cordate: Bain-Advent-Clessidra, Cvc-Permira e Cinven-Bc Partners. Offerte vicine ai 2 miliardi. Oggi l'assemblea dell'istituto

di Luca Gualtieri

Procede speditamente l'iter per la cessione dell'Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane (Icbpi), la

storica banca di secondo livello della categoria presieduta da Giovanni De Censi. Secondo quanto risulta a

MF-Milano Finanza, la fase di due diligence dovrebbe concludersi all'inizio della prossima settimana e un

incontro informale per fare il punto sulla questione è atteso per martedì prossimo a Milano. A fine mese

dovrebbe invece partire la trattativa in esclusiva, che potrebbe concludersi entro

luglio con il closing definitivo della cessione. Proprio ieri i vertici del Credito

Valtellinese (principale azionista di Icbpi con il 20,4%) avrebbero incontrato l'advisor

Mediobanca per definire alcuni dettagli dell'operazione. Alla riunione hanno preso

parte il presidente De Censi e l'amministratore delegato Miro Fiordi, che all'uscita ha

glissato: «Abbiamo bevuto un caffè e un buon caffè richiede riservatezza». Alla due

diligence hanno preso parte tre cordate di fondi di private equity, ossia Bain-Advent-

Clessidra, Cvc-Permira e Cinven-Bc Partners (escluso invece Hellman & Friedman),

che avrebbero messo sul piatto poco meno di 2 miliardi per il 100% della società.

Una volta conclusa la cessione, le popolari dovrebbero rientrare nel capitale dell'Istituto con una quota di

minoranza compresa tra il 10 e il 15%. Tale mossa (che, secondo alcune fonti, sarebbe stata suggerita dalla

Banca d'Italia) permetterebbe insomma agli istituti di non recidere definitivamente il legame con l'istituto

conservando una partecipazione simbolica.

Oggi intanto a Milano si terrà l'assemblea annuale di Icbpi, con ogni probabilità l'ultima con l'attuale assetto di

controllo. I soci dovrebbero approvare il bilancio 2014, sul quale ha certamente influito la performance di

CartaSi, principale asset del gruppo. L'appuntamento sarà probabilmente anche occasione per approfondire

le tematiche del momento, a partire dal processo di trasformazione in spa delle dieci principali popolari

italiane. Concluso il primo round di assemblee, la maggior parte delle cooperative interessate dovrebbe

convocare nuovamente i soci tra settembre e ottobre. Il passaggio appare insomma decisamente più celere

rispetto alla scadenza naturale, fissata dalla legge per la primavera 2016. L'obiettivo sarebbe presentare ai

soci un pacchetto unico che comprenda le modifiche statutarie (con l'eventuale tetto al diritto di voto o, in

alternativa, forme di voto maggiorato da concordare con la Vigilanza) e le operazioni di consolidamento, a

partire dalle fusioni. Al momento comunque pende ancora qualche incognita, a partire dalla pubblicazione del

il regolamento attuativo della Banca d'Italia che ancora manca all'appello. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 089, pag. 9 del 08/05/2015

MERCATI

Primi contatti tra gli azionisti storici per dare vita a uno zoccolo stabile

In Bpm prove di intesa tra i sociDipendenti e pensionati sondano Lonardi e potrebbero bussare a Mincione, che oggi detiene oltre il 5%. Intanto la Uilca apre il cantiere per dare vita a una fondazione

di Luca Gualtieri

Di pienamente condiviso al momento c'è solo l'appoggio alle strategie del consigliere delegato Giuseppe

Castagna che, nell'ultimo anno e mezzo, ha traghettato la Popolare di Milano attraverso prove difficili

facendone il gioiellino del sistema bancario italiano. Per il resto, perfino in questi mesi di profonde

trasformazioni, le molte anime di Piazza Meda offrono ancora quell'immagine frastagliata che è sempre stata

la loro cifra distintiva. Eppure, mentre il consiglio di gestione sta pilotando la banca verso gli appuntamenti

futuri, nella compagine sociale si colgono i primi tentativi di dar vita ad assetti più

stabili che possano competere con i noccioli duri delle altre grandi popolari. Da

questo punto di vista, si sa, Bpm rappresenta un'eccezione tra le cooperative

bancarie. Se altrove imprese, grandi famiglie e fondazioni detengono robusti

pacchetti di titoli, in Piazza Meda dominano da un lato i grandi fondi internazionali e

dall'altro il tipico azionariato retail. L'uscita dal capitale del Crédit Mutuel ha privato la

banca di un socio di lungo corso, mentre la Fondazione Cr Alessandria ha ormai

soltanto un trascurabile 0,36%. Oggi sono pochi i soggetti che potrebbero contribuire

alla nascita di uno zoccolo duro e tra questi ci sono dipendenti ed ex dipendenti.

Complessivamente, però, questa categoria detiene appena il 3-4% della banca, una

quota determinante con il voto capitario, ma quasi ininfluente in una società per

azioni. Ecco perché in queste ultime settimane si sarebbero infittiti i contatti tra l'aggregato dipendenti e le

altre anime della banca, nel tentativo di capire se vi siano le condizioni per costruire alleanze. Da un lato ci

sono i soci non dipendenti capitanati da Piero Lonardi che, proprio nell'ultima assemblea, hanno presentato

un documento programmatico insieme ai pensionati dall'associazione Il Patto. La convergenza tra Lonardi e

gli interni è inedita e potrebbe essere foriera di nuovi interessanti sviluppi, nonostante le differenze di vedute

dei due gruppi di soci. E c'è poi Raffaele Mincione, primo azionista di Bpm al 5,73%. Dal suo ingresso nel

capitale, il titolo Bpm ha quasi quadruplicato il proprio valore e probabilmente il finanziere italo-britannico è

restio a dismettere la quota. Sebbene finora Mincione abbia preferito mantenere un profilo bassissimo, nei

prossimi mesi il suo peso potrebbe essere determinante. Ecco perché in queste settimane diverse categorie

di soci starebbero cercando di incontrarlo per cercare di costruire progetti comuni. Non è chiaro cosa

risponderà Mincione ma certamente, se si alleasse con dipendenti, pensionati e qualche altro socio rilevante,

in Bpm potrebbe vedere la luce un nocciolo duro vicino al 10% del capitale. Nel frattempo, il primo

mattoncino sta provando a metterlo la Uilca. La sigla sindacale guidata da Massimo Masi ha costituito un

comitato per lo studio della partecipazione dei dipendenti soci delle popolari. Il comitato sarà presieduto dal

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senatore Giorgio Benvenuto e sarà costituito da Graziano Tarantini (presidente Banca Akros), Stefano

Fassina (deputato Pd), Michele Zefferino (ex consigliere della Bpm) e Claudio Casaletti (ex direttore

marketing di Bpm). L'idea allo studio sarebbe dar vita a un contenitore, nella forma di cooperativa o

fondazione, che sia socialmente utile ai dipendenti e che al contempo partecipi alla governance e

probabilmente anche all'azionariato della futura spa. L'iniziativa è rivolta all'intero sistema, ma non c'è dubbio

che calzerebbe a pennello per Piazza Meda. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 089, pag. 11 del 08/05/2015

MERCATI

Al vaglio della fondazione le ragioni che hanno determinato il dissesto

Ente Carige alla resa dei contiLa due diligence sulla ex gestione è in corso e il dossier dovrebbe approdare sul tavolo del board dopo l'aumento. Nel caso di irregolarità l'azione di responsabilità si fa più concreta. Oggi firma con Malacalza di Claudia Cervini

Il giorno che segna l'ingresso di Vittorio Malacalza in Banca Carige è arrivato. Oggi Malacalza Investimenti

(partecipata dai fratelli Davide e Mattia Malacalza al 48% ciascuno, mentre il padre Vittorio detiene una quota

del 4%) sottoscriverà con la Fondazione il contratto per l'acquisto del 10,5% del pacchetto azionario per 66,2

milioni. Questa poteva essere una giornata di festa per l'ente: l'operazione permetterebbe infatti all'istituzione

presieduta da Paolo Momigliano di tornare a fare il proprio lavoro di fondazione e di

occuparsi più di territorio e meno di finanza, pur mantenendo un consigliere di

amministrazione nella banca, grazie all'alleanza di governance con Malacalza. Ma il

successo dell'accordo raggiunto con l'imprenditore dell'acciaio è oscurato dallo spettro

della liquidazione. Un'extrema ratio che probabilmente non si concretizzerà visto che,

secondo quanto riferito da fonti, l'ente confida fortemente in una mano tesa da parte

del Mef, al quale la stessa Fondazione Carige si è rivolta in via straordinaria, per

ricevere l'autorizzazione a effettuare un'operazione contabile che le permetta di

ricostituire il patrimonio (attualmente in rosso di 126 milioni) e non affondare. In sostanza, l'istituzione ligure

vorrebbe utilizzare parte dei 200 milioni di accantonamenti che, in anni di prosperità, aveva messo da parte in

un fondo proprio destinato alle erogazioni, per portare il patrimonio in attivo. Se l'ente, come probabile,

riuscirà a spuntarla si farà più concreta, secondo quanto riferito da fonti

qualificate, l'avvio di un'azione di responsabilità nei confronti della

precedente gestione. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza la due

diligence in merito è ancora in corso e si attendono le risultanze. Il dossier

dovrebbe arrivare sul tavolo del consiglio di amministrazione dopo

l'aumento di capitale, il cui lancio è atteso tra la fine di maggio e giugno,

per poi approdare al consiglio di gestione per l'imprimatur definitivo

(sempre che la due diligence riconosca che ci sono gli estremi a

procedere). Di certo il rischio, seppur blando, di andare in liquidazione ha

riacceso gli animi e acuito le critiche in merito alla gestione targata Flavio

Repetto, sfiduciato nel 2013 dopo aver ricevuto forti contestazioni in merito alla gestione del patrimonio

dell'ente.

Mentre rimane in attesa di ricevere il via libera del Mef per poter avviare l'operazione contabile, la fondazione

oggi si occuperà, come detto, di firmare il contratto con Malacalza Investimenti, in forza del quale si diluirà

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intorno al 2% (Unicredit è stato sole advisor della famiglia Malacalza e l'operazione è stata curata dal senior

banker Davide Mereghetti). Vista la situazione patrimoniale della Fondazione si nutrono dubbi sull'apporto

pro-quota (circa 17 milioni) all'aumento fino a 850 milioni e garantito da un pool di istituti capitanato da

Mediobanca. Si stima quindi che la fondazione in sede di aumento scenderà in un range compreso tra lo

0,5% e l'1%. Il patto di governance con Malacalza le permette una diluizione fino allo 0,3%. (riproduzione

riservata)

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FINANZA & MERCATI 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

PPP

Carige, alla firma l’affondo dei Malacalza

A due mesi dall’accordo e a pochi giorni dal via libera della Banca Centrale europea,

secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore è prevista per oggi l’ultima firma tra la

Fondazione Carige e la famiglia Malacalza, affiancata da UniCredit con il senior

banker Davide Mereghetti, per la cessione del 10,5% della banca alla vigilia di un

nuovo aumento da 850 milioni. Un’operazione, quella tra la holding e la Fondazione,

per certi aspetti da primato visto che Francoforte per la prima volta ha esercitato il

potere di avallo rispetto alla cessione di un pacchetto rilevante, dal momento che è

relativo a una quota superiore al 10% del capitale. La partecipazione passa così alla

holding della famiglia genovese, che oggi si trova a pagare al prezzo pattuito di 66,1

milioni una quota che a Piazza Affari ne vale più di 75 (anche se tra i fattori che hanno

innescato l’apprezzamento c'è proprio l'annunciato ingresso dei Malacalza). (R.Fi.)

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PRIMA PAGINA 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL NUOVO SOCIO

Carige, Malacalza investirà 90 milioni

nell'aumentoVittorio Malacalza impegnerà oltre 150 milioni su Banca Carige: 66 appena sborsati

più altri 90 circa con i quali, come (neo) primo azionista di Banca Carige, coprirà per

la propria quota la ricapitalizzazione dell'istituto. Lo ha sottolineato l'imprenditore

ligure che da ieri, attraverso la Malacalza Investimenti, è l'azionista di punta

dell'istituto di credito genovese.

Si è infatti conclusa, intorno alle 13 di ieri, l'operazione con la quale si è dato

esecuzione all'accordo, firmato l'1 marzo scorso, che disponeva (al prezzo di 66,19

milioni, pari a 0,062 euro per azione) il passaggio, alla società di Malacalza, del

10,5% della banca controllato dalla Fondazione Carige. L'imprenditore e l'ente guidato

da Paolo Momigliano hanno anche sottoscritto, contestualmente al trasferimento della

partecipazione, un patto parasociale che consentirà alla fondazione (se resterà in

possesso di una numero di azioni Carige compreso tra lo 0,5 e il 2%) di designare un

consigliere di amministrazione di Carige. Attualmente l'ente controlla il 2% del

capitale sociale dell'istituto di credito. Per affrontare l'aumento di capitale da 850

milioni che l'assemblea di Carige ha approvato da pochi giorni, «investiremo circa 90

milioni», ha detto Malacalza al termine del closing di ieri; e con i 66 milioni appena

versati, ha aggiunto, «andiamo oltre i 150». A chi gli chiedeva se fosse soddisfatto di

aver chiuso l'operazione, Malacalza ha risposto: «la soddisfazione è lavorare. E' tutta

lì.

Adesso devo andare in banca, mi aspettano». Il neoazionista di Carige, infatti, ha

concluso la mattinata a pranzo con il presidente di Carige, Cesare Castelbarco Albani.

Sempre ieri l'ad della banca, Piero Luigi Montani ha spiegato che nel prossimo cda di

Carige (12 maggio) non si affronterà la definizione dei termini dell'aumento di

capitale:

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Raoul de Forcade

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Carige, ok all’aumento di capitale da 850 milioni

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FINANZA & MERCATI 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Banche. Risultato netto di 72,6 milioni - Aggiornato il piano: profitti per 880 milioni nel 2018

Mps, primo trimestre in utile dopo tre anni di

conti in rosso

L’a.d. Viola: «Un risultato che apre a nuove opportunità»

Dopo due anni e 9 mesi ininterrotti di conti in rosso, Banca Monte dei Paschi ritrova

l’utile. E lo fa di slancio, superando le attese degli analisti. Il primo trimestre dell’anno

si è chiuso con un utile netto di 72,6 milioni di euro, più del doppio del consensus di

mercato (pari a 27 milioni secondo Reuters).

Un risultato «ottenuto in un contesto di nuove e più severe regole europee», ha tenuto

a sottolineare ieri l’amministratore delegato della banca senese, Fabrizio Viola, e che

«conferma che il nostro piano industriale produce i primi effetti positivi». Ma per

Viola «questo risultato» va forse interpretato anche per quello che può segnalare in

prospettiva. Perchè «apre nuove opportunità e, guardando avanti, ci dà ancora maggior

determinazione nel continuare l’attività di rafforzamento della banca».

Forse è ancora presto per dire nello specifico quali siano queste «nuove opportunità».

Certo è che, come si legge nella nota della banca, tra le «opzioni strategiche» di Mps

vi é la «valutazione di opportunità di M&A (fusioni e acquisizioni, ndr) che

consentano di anticipare il raggiungimento degli obiettivi di redditività futuri».

Insomma, da Siena arriva una chiara indicazione: quella di voler prendere parte al

risiko bancario che il sistema bancario italiano, il secondo più frammentato dopo

quello tedesco, attende da tempo.

Sotto il profilo dei risultati operativi, il Cda di Banca Mps ha approvato ieri risultati in

crescita su molte delle principali voci del conto economico. Le commissioni nette

sono salite del 9,3% a 443 milioni di euro. Il margine di interesse, pur in una fase di

tassi rasoterra, è stabile a 612 milioni (+0,2% rispetto al trimestre precedente). In

flessione invece risultano i costi, che scendono dell’11,1% sul trimestre precedente, a

653 milioni di euro. Sul fronte delle rettifiche, la banca ha effettuato svalutazioni per

ulteriori 468 milioni, dopo la maxi-rettifica da 7,8 miliardi nel 2014.

Buoni i riscontri sul fronte patrimoniale. La raccolta diretta è cresciuta a 132 miliardi

(+4,2%), mentre gli impieghi sono aumentati del 2,9%, a quota 123 miliardi. Continua

invece la strategia di ottimizzazione del portafoglio titoli di Stato in portafoglio

(Available for sale), calato a 17 miliardi dai 19 miliardi di fine 2014.

Dal punto di vista strategico, la Banca ieri ha anche approvato un aggiornamento del

piano industriale. Mentre sono stati «sostanzialmente confermati gli obiettivi e le

principali leve di azioni», la banca ha rinviato i target dal 2017 al 2018, prevedendo un

utile di 880 milioni al termine del piano. Lo slittamento è da ricollegare alle

«perduranti criticità dello scenario economico» e ai nuovi target patrimoniali imposti

da Bce (il Cet 1 ratio è fissato pari al 10,2%, mentre la banca calcola un Cet 1

transitional del 10,9% comprensivo dell’aumento di capitale da 3 miliardi).

Confermato il programma pluriennale di cessione di portafogli, per un ammontare pari

a circa 5,5 miliardi, da realizzare tra il 2015 e il 2018, di cui 2 miliardi nel 2015.

«Sono estremamente soddisfatto per il risultato, esprimo grande apprezzamento per il

management e per l’abnegazione con la quale ha lavorato”, ha detto il presidente di

Mps, Alessandro Profumo. Per il manager «quanto fatto è la base per ulteriori passi

che è bene fare per remunerare gli azionisti che hanno avuto fiducia in noi».

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Luca Davi

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COVER STORY 09 MAGGIO 2015Plus

INTERVISTA

«Regole comuni, benefici per tutti»

Fabio GalliDirettore generale Assogestioni

«Un quadro omogeneo di regole consente agli operatori, ma anche agli investitori, di cogliere una serie di benefici». Esordisce così Fabio Galli, direttore generale di Assogestioni, all’indomani del via libera che la Consob ha dato alle linee guida sulla disciplina degli incentivi per le società di gestione elaborate dall’associazione dei gestori. «La validazione della Consob rappresenta il pieno riconoscimento del lavoro portato avanti in ambito associativo. Già con il recepimento di Mifid1 abbiamo anticipato a livello nazionale quella che sarà la prossima evoluzione della normativa europea, applicando tali norme anche alla gestione collettiva, ovvero ai fondi comuni, e con le nostre linee guida definiamo un quadro applicativo concreto». Quali benefici avrà l’investitore? L’impostazione di dare a tutta l’industria del risparmio gestito una normativa uniforme consentirà all’investitore di avere maggiore chiarezza. Sarà quindi più facile investire con consapevolezza e apprendere le logiche con cui vengono gestiti i risparmi: per esempio conoscere con esattezza il prezzo dei vari servizi che riceve, dalla gestione alla consulenza, in un contesto di maggior trasparenza per chi desidera approfondire questi dettagli. E per gli operatori? La certezza delle regole e la convergenza verso un’impostazione comune abbassano i costi organizzativi e consentono alle società di agire in maniera uniforme e trarre i vantaggi di poter lavorare in maniera programmatica e ordinata. Ai lavori ha partecipato anche la Consob?

L’authority ha avuto il grande merito di riconoscere questo processo di autoregolamentazione che arriva dal basso. La Consob ha fatto le sue osservazioni e, su alcune tematiche, ha chiesto approfondimenti, ma ha lasciato agli operatori la possibilità di lavorare sulla regolamentazione in forma propositiva con la propria esperienza e senso di responsabilità. Adesso gli intermediari possono di muoversi fin da subito con delle certezze in più sulle regole a cui devono attenersi, in un contesto coerente con la futura regolamentazione europea. Ma l’approvazione definitiva della Mifid2 potrà portare a degli aggiustamenti.

L’autoregolamentazione, come la regolamentazione, è sempre un cantiere aperto. È possibile che quando Mifid2 sarà approvata con i suoi aspetti di dettaglio le nostre Linee guida avranno bisogno di qualche ritocco. Il nostro documento si nutre del dibattito che c’è a livello europeo, come associazione e anche alcuni nostri associati fanno parte dei comitati delle authority e associazioni europee. A livello europeo è chiara la volontà di spingere verso la stessa direzione tutti coloro che operano nel mondo del risparmio. Assogestioni è sempre stata tra i fautori di un terreno di gioco livellato, in cui tutti i prodotti d’investimento siano trattati in modo omogeneo. Anche le Direttive sull’intermediazione assicurativa e la direttiva Prips, sui prodotti d’investimento al dettaglio preassemblati, vanno nella direzione di offrire un quadro omogeneo e coerente per tutti i prodotti d’investimento, sia di tipo finanziario sia di tipo assicurativo, tenuto conto che ci sono delle specificità che vanno comprese. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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COVER STORY 09 MAGGIO 2015Plus

Mal di budget, sportellisti in trincea

Le pressioni commerciali esasperano i dipendenti Le azioni BpVi acquistate dai

clienti nonostante l’inadeguatezza ex Mifid

Il legame tra campagne commerciali delle banche — e di BancoPosta — e

collocamento di prodotti e servizi finanziari e di investimento, con i relativi budget

periodici (per prodotto, campagna, obiettivo) al cui raggiungimento gli istituti

riconoscono premi o altri benefit ai dipendenti, è uno dei temi che Plus24 segue sin dal

2006. Da un lato i bancari lamentano il peso crescente — anche in termini di stress

lavoro-correlato — delle “pressioni” alle quali sono sottoposti, dall’altro il tema del

collocamento dei prodotti finanziari, dei conflitti di interesse, dei limiti e della

trasparenza è regolato da norme comunitarie (direttiva Mifid, recepita in Italia a

novembre 2007) e regolamenti attuativi nazionali (Consob). Proprio su questi temi i

dipendenti, tramite i sindacati, hanno iniziato da oltre un decennio un confronto con

gli istituti. Nonostante il varo di regole deontologiche, protocolli aziendali o di gruppo

e codici di comportamento nei vari gruppi e istituti di credito, che dedicano al tema

anche percorsi di formazione per i dipendenti, le prassi commerciali però a volte

travalicano i limiti. Puntuale termometro di queste tensioni sono i comunicati sindacali

dei diversi istituti, che segnalano i periodi in cui le “pressioni commerciali” si fanno

più frenetiche.

Esemplare è la continuità con cui il tema delle pressioni commerciali è stato segnalato

dai sindacati interni alle banche non quotate, in particolare da quelli di Banca popolare

di Vicenza e di VenetoBanca. Nel gruppo della Popolare vicentina, nell’ultimo

quinquennio il tema dell’esasperazione dei bancari per la spinta al raggiungimento dei

budget, delle risposte dell’azienda e delle trattative tra le parti per trovare regole in

materia è stato toccato in una quindicina di comunicati. Nel caso di VenetoBanca, dal

2013 al 2014 la questione è stata toccata dalle note dei sindacati di gruppo una mezza

dozzina di volte. Come Plus24 ha spiegato il 25 aprile scorso, dopo il taglio del 23%

del valore delle azioni delle rispettive banche, i sindacati di BpVi e di VenetoBanca

hanno raccolto i timori dei dipendenti per i rischi di vertenze avviate dalla clientela sul

collocamento e la negoziazione dei titoli — illiquidi e non quotati — dei propri

istituti. Il 20 aprile i coordinamenti di BpVi di DirCredito, Fabi, Fiba/Cisl e Fisac/Cgil

hanno chiesto che i dipendenti siano «manlevati da ogni eventuale responsabilità

attribuibile a prassi commerciali — più o meno discutibili — definite unilateralmente

dall’azienda».

A quali prassi “più o meno discutibili” si riferiscono i sindacati di BpVi? Plus24 nei

giorni scorsi ha potuto visionare documenti di investitori delle province di Treviso e

Verona che negli anni scorsi hanno acquistato azioni della Popolare di Vicenza.

Dall’esame della documentazione, della profilatura di rischio ex Mifid e della

tempistica degli investimenti, emergono alcune peculiarità. Nel caso della

sottoscrizione di azioni (non quotate e illiquide) BpVi, nel 2009 un risparmiatore

settantenne che non superava la valutazione di adeguatezza in base alla profilatura

Mifid «chiedeva» di uscire dall’ambito della prestazione di servizi di consulenza. In

base agli orari dei documenti, solo tre minuti e 25 secondi dopo aver saputo di non

aver superato il test di profilatura Mifid, lo stesso investitore dichiarava di «prendere

atto delle indicazioni riportate» e dava comunque «espresso incarico alla banca di

eseguire l’operazione» di sottoscrizione di azioni dell’aumento di capitale per quasi

13mila euro (ne aveva già in portafoglio per decine di migliaia di euro). In un altro

caso, durante l’aumento di capitale a luglio 2014 un cliente prendeva atto «dell’esito

negativo della valutazione di adeguatezza dell’investimento (per obiettivo di

investimento ed esperienza, ndr) già disposto mediante adesione all’offerta», passava

in regime di “execution only” e dichiarava «di voler confermare la già formalizzata

adesione all’offerta». Acquistava così 100 azioni BpVi a 62,5 euro l’una tramite un

finanziamento quinquennale erogato da BpVi — previsto dal prospetto — con un lock

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up di pari durata. Le azioni oggi valgono il 23% in meno ma le rate da pagare

dureranno, come la non rivendibilità dei titoli, per altri quattro anni.

Su prassi e politiche commerciali, come su altri temi (compreso il bond convertibile),

Plus24 ha contattato BpVi. Questa la risposta della banca: «Una buona parte delle

informazioni richieste ci risulta essere già ampiamente disponibile al pubblico.

Considerato il breve tempo a disposizione, ci scusiamo ma non possiamo aggiungere

altro».

[email protected]

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nicola Borzi

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COVER STORY 09 MAGGIO 2015Plus

Le compagnie virano verso le unit linked

Anche gli agenti sono sempre più incentivati a proporre soluzioni legate ai mercati

Al bando le rivalutabili

Proibito vendere solo polizze rivalutabili. È il mantra dei piani di incentivazione degli agenti delle principali compagnie assicurative. Così anche gli agenti, tradizionalmente prudenti, devono, loro malgrado, aumentare il rischio dei portafogli vita. Vita che, dopo un 2014 record (+30% rispetto al 2013), sta continuando a raccogliere copiosi premi: da inizio anno la nuova produzione individuale Ania segna un +27% rispetto ai primi tre mesi 2015, con 33 miliardi di flusso. Va detto che, nel ramo, la parte del leone la fanno ancora le banche (61,7%), ma anche i promotori stanno puntando pesantemente sulle polizze, in particolare sul ramo III (unit linked), come emerge nella statistica in pagina del 2014.Anche a livello di sistema nel mese di marzo i pf hanno rappresentato ben il 24% della nuova produzione totale (con quasi 2,5 miliardi di raccolta). Ma anche gli agenti si stanno rimboccando le maniche con un aumento del 40% dei volumi rispetto al marzo 2014.La raccolta di sistema, probabilmente anche a causa dell’incentivazioni delle reti unita allo scarso rendimento dei titoli di stato e alle buone performance dei prodotti legati ai mercati, appare sempre più incentrata verso le unit linked che nel mese di marzo hanno rappresentato il 38% della nuova produzione, con un boom rispetto al 2014 del 148%; mentre le tradizionali ramo I, le polizze rivalutabili (cavallo di battaglia negli scorsi anni) stanno iniziando lentamente a perdere quota: a marzo si registra un -7,3%. Proporre le rivalutabili non conviene più da tempo ai gruppi assicurativi: le polizze tradizionali con garanzia del capitale e talvolta di un rendimento minimo, ai livelli di tasso attuali, rischiano di fare perdere le compagnie. Inoltre Solvency II scoraggia il loro utilizzo per l’antieconomicità della riserve richieste per il ramo I. Così le “mandanti” stanno cambiando marcia. Ecco che nei piani di incentivazione degli agenti le compagnie stanno facendo sempre più pressione sulle reti affinché puntino su polizze legate a fondi e con rischio aperto per il cliente. Si incentiva il ramo III (polizze unit) ma soprattutto contratti multiramo o ibridi (che mixano polizze tradizionali rivalutabili con polizze unit), premiando le profilature più aggressive. È il caso del documento del piano di incentivazione 2015 del gruppo Allianz in cui si «valorizza l’offerta di prodotti le cui prestazioni principali sono direttamente collegate a Oicr o fondi interni». Oltre ad avere aumentato gli obiettivi proprio su questo tipo di prodotti, si applicano moltiplicatori sui flussi di entrata Vita molto più elevati sulla nuova produzione raccolta per esempio su prodotti (Pip e polizze che puntano su contratti unit linked). Resta naturalmente l’attenzione alle polizze di puro rischio e alle miste (a vita intera o a premi annui ricorrenti). Anche alla base dell’incentivazione di Generali Italia c’è la polizza Valore Futuro, che prevede una componente di investimento sul ramo I e una componente legata all’andamento dei mercati (ramo III). «Non è in atto una virata decisa verso mercati più volatili, ma piuttosto una leggera sterzata realizzata anche per fare conseguire dei risultati più interessanti ai clienti stessi, viste le basse prospettive di rendimento delle rivalutabili in questo contesto di tassi», spiega Vincenzo Cirasola, presidente Anapa e del gruppo Agenti Generali.Come in tutti i settori della vendita, non ci sono solo incentivi monetari ma anche viaggi. Proprio 70 agenti di Allianz sono reduci da un viaggio in India e Nepal, conclusosi una settimana prima del terribile terremoto. Naturalmente non sono gli unici: tutte le compagnie utilizzano gli incentive. Di questo ne sono consci i risparmiatori? Insomma i sistemi di incentivazione sono trasversali a tutti i settori della finanza ed è bene che si presidi a tutti i livelli sull’adeguatezza della soluzione assicurativa in relazione ai bisogni del cliente. Ma questo onere viene lasciato proprio agli agenti. La congruità del prodotto con il profilo dell’investitore è concetto che

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rischia di essere subordinato, purtroppo, alla logica del rappel (sovraprovvigione al raggiungimento di obiettivi predeterminati produttivi e tecnici), specie in alcuni periodi dell’anno, quando sta per scadere il termine della gara-obbiettivo. «Anche lo stesso concetto di retention (conservazione) di numero di polizze e di premi è contrario alla logica del confronto concorrenziale e rischia di compromettere il plurimandato o la pluriofferta, in regime di collaborazione tra intermediari», spiega Michele Languino, responsabile Sna rapporti con Ivass. Non è dello stesso parere Cirasola. «Anche l’agente plurimandatario è soggetto alla logica dei rappel (non solo di una ma di più compagnie)», spiega il presidente Anapa.© RIPRODUZIONE RISERVATAFederica Pezzatti

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la Repubblica SABATO 9 MAGGIO 2015

TITOLI DI STATO RENDIMENTO

TITOLO PR. RIF € TITOLO PR. RIF €

PRINCIPALI TITOLI DEL MERCATO AZIONARIO BORSE EUROPEE

BORSE INTERNAZIONALI

I MIGLIORI

IERI

MEDIOBANCA ................................................8,960 4,19MEDIOLANUM................................................7,895 3,07MONCLER......................................................16,490 4,50MONTE PASCHI SI..........................................0,592 -1,33PIRELLI & C.....................................................15,430 0,19POP.EMILIA ROMAGNA...............................7,885 -0,06PRYSMIAN.....................................................19,840 2,22RCS MEDIAGROUP ........................................1,186 1,37SAIPEM...........................................................12,240 1,49SNAM.................................................................4,736 3,68STMICROELECTR............................................7,000 0,86TELECOM IT .....................................................1,060 2,02TENARIS .........................................................13,450 0,22TERNA ...............................................................4,218 2,38TOD’S..............................................................84,400 1,81UBI BANCA.......................................................7,200 -0,35UNICREDIT.......................................................6,540 1,16UNIPOLSAI.......................................................2,500 3,82WORLD DUTY FREE ....................................10,050 0,20YOOX ..............................................................28,660 5,06

PAESE/INDICE 08-05 VAR.%

AMSTERDAM (AEX) ....................................490,79 +2,51BRUXELLES-BEL 20 ..................................3652,87 +1,89FRANCOFORTE (XET DAX)..................11709,73 +2,65FTSE EUROTRACK 100 ............................3186,01 +2,91LONDRA (FTSE 100).................................7046,82 +2,32MADRID IBEX35 .....................................11424,70 +2,19OSLO TOP 25 ................................................586,56 +1,13PARIGI (CAC 40) ........................................5090,39 +2,48VIENNA (ATX) ............................................2653,23 +1,45ZURIGO (SMI).............................................9093,33 +2,48

PAESE/INDICE 08-05 VAR.%

DJ STOXX EURO...........................................375,02 +2,36HONG KONG HS.....................................27577,34 +1,05JOHANNESBURG...................................46342,42 +0,83NEW YORK (S&P 500) ..............................2115,96 +1,34NEW YORK (DJ IND.) .............................18189,04 +1,49NASDAQ COMP. .......................................5003,55 +1,17SINGAPORE ST ..........................................3453,88 +0,61SYDNEY (ALL ORDS)................................5635,38 -0,17TOKIO (NIKKEI) .......................................19379,19 +0,45

YOOX...................................................................5,06MONCLER ..........................................................4,50MEDIOBANCA ..................................................4,19ENEL.....................................................................4,09UNIPOLSAI.........................................................3,82

BTP (10 ANNI..................................1,67%SPREAD SUL BUND.............................112

08 MAGGIO MATTINO SERAORO MILANO (EURO/GR.) 34,30 34,33ORO LONDRA (USD/ONCIA) 1.185,25 1.186,00ARGENTO MILANO (EURO/KG.) - 492,81PLATINO MILANO (EURO/GR.) - 34,19PALLADIO MILANO (EURO/GR.) - 23,9408 MAGGIO DENARO LETTERASTERLINA (V.C) 245,26 284,11STERLINA (N.C) 253,25 295,36STERLINA (POST.74) 253,25 295,36KRUGERRAND 1.007,11 1.127,08MARENGO ITALIANO 189,98 218,98

CORONA DK ...................................................7,4639 +0,003CORONA N......................................................8,3815 +0,648CORONA S.......................................................9,2945 -0,006DOLLARO AUS...............................................1,4181 -0,035DOLLARO CDN ..............................................1,3581 -0,469DOLLARO USA...............................................1,1221 -0,743FRANCO CH ....................................................1,0385 +0,406STERLINA UK ..................................................0,7280 -1,953YEN J ............................................................134,9000 +0,134

FTSE MIB Var.%

A2A.....................................................................1,062 1,63ANSALDO STS.................................................9,485 -0,21ATLANTIA......................................................23,620 0,38AUTOGRILL......................................................8,870 1,95AZIMUT ..........................................................28,170 -BANCA GENERALI.......................................32,390 2,21BANCO POPOLARE.....................................14,440 0,70BCA POP.MILANO..........................................0,927 1,53BUZZI UNICEM.............................................14,490 1,68CAMPARI ..........................................................7,170 2,65CNH INDUSTRIAL...........................................7,745 1,71ENEL...................................................................4,226 4,09ENEL GREEN PW.............................................1,780 1,71ENI....................................................................17,230 2,74EXOR ...............................................................42,360 1,49FCA-FIAT CHRYSLER AUT. ........................13,500 3,21FERRAGAMO ................................................29,040 2,54FINMECCANICA...........................................11,380 1,61GENERALI ......................................................17,610 0,51INTESA SANPAOLO.......................................3,146 2,34LUXOTTICA...................................................59,900 3,45MEDIASET ........................................................4,616 2,03

FTSE MIB..........................23312,43 (+2,06%)FTSE IT ALL .....................24881,28 (+2,01%)FTSE IT STAR ..................24937,40 (+2,07%)FTSE IT MID ....................33039,36 (+1,65%)COMIT .................................1269,90 (+2,25%)FUTURE ............................22939 (+2,20%)

I PEGGIORI

MONTE PASCHI SI. .........................................-1,33UBI BANCA .......................................................-0,35ANSALDO STS .................................................-0,21POP.EMILIA ROMAGNA ...............................-0,06PIRELLI & C. ........................................................0,19

VALUTE

ORO E MONETE AUREE

FTSE MIB Var.%

L’ANTICIPAZIONE

Ieri su Repubblica,l’anticipazione del pianoimmobiliare delgruppo TelecomItalia da 300 milioni di euro.L’operazione riguardasia Roma, dove nascerà lacittadella Tim, che la sedediMilano

SU REPUBBLICA

Il governo insiste sulle sofferenze bancarietre mosse per aggirare le obiezioni UeFEDERICO FUBINI

ROMA.la fase in cui il governo cer-cava di convincere Bruxelles sulsuo primo progetto per le bancheè passata. Il premier Matteo Ren-zi ne aveva parlato con Jean-Claude Juncker, il presidentedella Commissione europea. Ilministro dell’Economia Pier Car-lo Padoan ha visitato il commis-sario alla Concorrenza Mar-grethe Vestager. Entrambi han-no raccolto comprensione, manessun vero progresso: una «badbank» che compri i portafogli dicrediti deteriorati dalle banche,godendo di garanzie dello Statosulle proprie eventuali perdite,viene vista a Bruxelles come unmeccanismo di aiuto di Stato. E inbase alla legislazione europea invigore da qualche mese, ogni sus-sidio pubblico impone a una ban-ca di varare un piano di ristruttu-razione o imporre perdite ai cre-ditori. Non basta semplicementerimuovere i manager incapaci,come da ieri la Banca d’Italia puòlegalmente decidere di fare.

Parte da questo stallo l’ultimotentativo del governo: aggirarel’ostacolo con un progetto alter-nativo. Anziché una «bad bank»con un peso prevalente dello Sta-to nell’incoraggiare le banche aliberarsi dei crediti inesigibili, unmeccanismo che si affidi un po’ dipiù al mercato. Non c’è moltotempo. Lo ha ricordato proprioquesta settimana la Commissio-ne europea nelle previsioni di pri-mavera: «In certi Paesi, l’alto li-vello delle sofferenze può impe-dire la trasmissione delle politi-che della Banca centrale europeain credito all’economia». I siste-mi bancari carichi di crediti ine-sigibili si stanno dimostrandolenti nel trasformare l’attivismo

dell’Eurotower in sostegno allaripresa. E in Italia le sofferenzelorde ormai sfiorano i 190 miliar-di di euro.

Di qui il tentativo in corso daparte del governo di aggirare i pa-letti posti da Bruxelles, con unaproposta in tre punti: aiutare lebanche a dedurre fiscalmente leperdite su credito in tempi rapi-di, rendere più veloci e meno di-struttive le gestioni dei fallimen-ti d’impresa e il passaggio al cre-ditore dei beni pignorato, e fissa-re un prezzo «di mercato» per legaranzie pubbliche in caso di per-dite da parte della «bad bank».

Il primo aspetto è destinato adavere un impatto profondo sui bi-lanci delle banche e dello Stato. Ilgoverno accetterebbe che gli isti-tuti possano svalutare le perditesui prestiti finiti in insolvenza inun solo anno (come ovunque inEuropa) e non più in cinque anni,come accade oggi (erano 18 annifino al 2012). Vista la montagnadi sofferenze, le somme in giocosono colossali: sono circa 8 mi-liardi di entrate fiscali in meno dasubito. Per evitare che esploda ildeficit pubblico, le banche accet-

tano di anticipare il versamentodelle imposte stimato per il bien-nio futuro. Per loro è un esborsoche non entra nei saldi del contoeconomico dell’anno, ma solo unflusso di cassa. Il governo invecericeverebbe le entrate che per-

mettono di tenere il deficit sottocontrollo. Resta da vedere se an-che Eurostat, l’agenzia statisticadella Commissione Ue, la vedrànello stesso modo.

Se la proposta funziona, le ban-che sarebbero incoraggiate a

svalutare in tempi brevi i creditideteriorati che hanno in portafo-glio. In più, si riassorbirebbero icrediti fiscali sul futuro («Defer-red tax assets») determinati dal-le lunghe svalutazioni plurien-nali: per quel sistema Bruxelles

sospetta un ricorso ad aiuti di Sta-to.

Anche sul pignoramento deibeni dei debitori insolventi sonopronte novità. Oggi servono cir-ca sette anni di complesse causegiudiziarie per entrare in posses-so di un bene posto a garanzia diun prestito. Nel nuovo sistema, ilgoverno permetterebbe a pro-fessionisti come notai o commer-cialisti di eseguire i pignoramen-ti e i passaggi di proprietà se leparti non si mettono d’accordo intempi brevi. Il Tribunale servi-rebbe solo in caso di ricorsi daparte del debitore o del creditore.

Infine si lavorando anche sullegaranzie, se la «bad bank» checompra le sofferenze dagli istitu-ti dovesse registrare perdite. Po-ter godere di quelle garanzie po-trebbe avere un costo significati-vo, come l’acquisto di una poliz-za. Certo il tempo è quasi scadu-to: su questo fronte l’Italia devetrovare una soluzione, prima cheil sostegno della Bce vada spre-cato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Deduzioni fiscali delleperdite, pignoramentirapidi e un prezzo per legaranzie pubbliche

LE MISURE

Il ministerodell’Economia,dove si stastudiandol’intervento sullesofferenzebancarie dopo leobiezioniavanzate dallaCommissioneeuropea

I CONTI

Atlantia, salgono i ricavima il riacquisto di titolipesa sull’utile di gruppo

IL CASO

Quotidiani a giorni alternila Fieg chiede all’Agcomdi dire “no” alle Poste

MILANO. Il gruppo Atlantia hachiuso il primo trimestre con unutile consolidato di 32 milioni indiminuzione di 92 milioni di eurorispetto all'analogo periodo del2014, essenzialmente per l'impat-to una tantum sul trimestre delleoperazioni di riacquisto di obbli-gazioni di Atlantia e Adr. Su baseomogenea, si legge in una nota,l'utile del primo trimestre di com-petenza del gruppo risulta pari a153 milioni di euro (+38 milioni dieuro rispetto all'omologo periododel 2014). I ricavi sono stati pari a1.134 Milioni, in aumento del 2%rispetto al primo trimestre 2014.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ROMA.No alla consegna a gior-ni alterni. Gli editori della Fiegbocciano la proposta contenu-ta nel piano industriale dellePoste che vorrebbero - in 5.296Comuni sul totale di 8.000 - re-capitare la corrispondenza agiorni alterni, quotidiani inabbonamento compresi.«L’Agcom dica no - hanno det-to in una audizione presso l’Au-torità - la proposta è inaccetta-bile. Rappresenta una paleseviolazione dei diritti di cittadi-nanza e del diritto all’informa-zione». Per Maurizio Costa,presidente Fieg, «la proposta èancora più grave se si conside-ra che in molti degli oltre 5 mi-la comuni interessati il recapi-to postale costituisce l’unicomezzo di accesso alla stampa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Non sono più presidente diEataly — ha rivelato OscarFarinetti a Radio 24 —fanno tutto i miei figli. Misono autorottamato”

FARINETTI LASCIAEATALY AI FIGLI

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la Repubblica 29SABATO 9 MAGGIO 2015ECONOMIA

PER SAPERNE DI PIÙ

www.mediobanca.itwww.mps.itLe aziende

Mps in utile dopo tre annirisultato netto di 73 milioni

I CONTI/SUPERATE LE STIME DEGLI ANALISTI. ATTESI 880 MILIONI NEL 2018

MILANO.Dopo undici trimestri consecu-tivi di risultati in rosso, Mps ritorna al-l’utile nel primo scorcio 2015, battendole stime degli analisti: risultato netto po-sitivo per quasi 73 milioni, contro unaperdita di 174 di un anno prima. Il ritor-no alla redditività parte da un risultatooperativo lordo di 614 milioni di euro(375 nel quarto trimestre 2014) grazieanche a commissioni nette pari a 443milioni di euro (9,3% rispetto all’ultimotrimestre 2014), un aumento degli im-pieghi (+2,9% sull’ultimo trimestre2014) e una raccolta diretta salita del4,2% (sempre rispetto a tre mesi pri-ma). Le rettifiche nette di valore per de-terioramento di crediti si sono attestatea circa 468 milioni di euro, in linea con ilivelli dello scorso anno. In calo il Cet1(l’indicatore di solidità patrimoniale),all’8,1% rispetto all’8,7% del dicembrescorso. La banca ha anche informato diuna verifica dell’autorità di vigilanza suparti delle esposizioni creditizie esclusedalla precedente verifica.

«Il ritorno all'utile, ottenuto in un con-testo di nuove e più severe regole euro-pee, conferma che il nostro piano indu-striale produce i primi effetti positivi»,ha detto l’ad Fabrizio Viola mentre il pre-sidente Alessandro Profumo si è detto«estremamente soddisfatto per il risul-tato» che rappresenta «la base per ulte-riori passi per remunerare gli azionisti».

Il cda che ieri ha approvato i conti haanche aggiornato il Piano industriale,confermando gli obiettivi intermedi macon un allungamento dei tempi al 2018.Per quella data il Monte conta di arriva-re ad un utile netto di 880 milioni, un Roedi circa l’8%, un costo del credito di 106punti base (ora è a 152) e un Cet1 al 12%.Ben più ravvicinate sono comunque lescadenze che attendono il Monte, a par-tire dall’aumento di capitale da 3 mi-liardi, che prevede il contestuale rim-

borso dei Monti bond. La banca ha con-fermato che tra le opzioni strategiche cisono le «valutazioni di opportunità diM&A» che «consentano di anticipare ilraggiungimento degli obiettivi di reddi-tività futuri».

Inoltre, per rispettare la richiesta Bcedi ridurre l'esposizione sul prodottostrutturato Alexandria entro il prossi-mo 26 luglio, il Monte sta studiando tut-te le modalità possibili, compresa la pos-sibilità di chiudere anticipatamente «intutto o in parte» il contratto con la con-troparte Nomura. La banca ha avviatoun confronto con Francoforte per la me-todologia di calcolo dell'esposizione neiconfronti di Nomura che, a seguito del-l’aumento di capitale, «potrebbe ripor-tare l'esposizione all'interno dei limitiregolamentari».

(vi.p.)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Mediobanca e Unipolfanno il pieno di profittie guardano alle PopolariNagel: “Via da Pirelli e Telecom, nel 2016 cediamo il 3% Generali”Cimbri: “Redditività non replicabile, aggregazioni per la Banca”

VITTORIA PULEDDA

MILANO.Un occhio al risiko dellebanche popolari, un altro ai con-ti, per Mediobanca e per il grup-po Unipol; e tutte e due a razzo inBorsa, grazie ai risultati trime-strali: +4,19% Piazzetta Cuccia,+3,25% Unipol e +3,82% Uni-polSai.

Mediobanca ha chiuso il terzotrimestre dell’esercizio 2014-2015 con un utile netto di 205milioni (il miglior risultato tri-mestrale da 5 anni) rispetto ai90,6 milioni di un anno fa men-tre nei primi 9 mesi ha registra-to un utile netto di 466 milioni(+18%) grazie ai ricavi dell’atti-vità bancaria (retail, invest-ment banking e trading). In caloinvece il contributo di Generalinei 9 mesi: 134 milioni contro i174 di un anno fa. Ma su GeneraliAlberto Nagel - ad di Medioban-

ca - si è detto molto fiducioso sulpiano strategico che la compa-gnia presenterà il 27 maggio:«Ci aspettiamo un miglioramen-to del titolo, a valle della presen-tazione», ha detto, conferman-do la possibilità, per il 3% del-l’assicurazione da dismettere,di uno scambio con asset banca-ri. I tempi previsti, per benefi-ciare del possibile rialzo delleazioni Generali, sono gennaio-giugno 2016. Per Rcs invece, lavendita della quota «dipende so-

lo dai valori di Borsa», mentreper Pirelli e Telecom le stime so-no per luglio-settembre 2015.Infine le banche popolari: «Me-diobanca è impegnata a dare unmano nel consolidamento».

Ma alle popolari guarda an-che Carlo Cimbri, numero unodel gruppo Unipol: «Osserviamocon grande attenzione quelloche potrà avvenire nel panora-ma bancario italiano, un gruppoassicurativo delle dimensioni diUnipol può essere un azionista

utile nell’ambito dei processi diaggregazione». Per Unipol ban-ca, comunque, «non cerchiamoaggregazioni a tutti i costi» masolo se diventa «un’opportunitàin grado di creare valore».

Il gruppo Unipol ha chiuso ilprimo trimestre dell’anno conun utile netto consolidato di 321milioni (+136%) e una raccoltadiretta assicurativa in calo dello0,8% al netto dalla cessione delramo d’azienda ad Allianz. Uni-polSai invece ha chiuso con un

utile netto consolidato a 310 mi-lioni (+66,6%) mentre il combi-ned ratio è salito a 96,1% dal92,8% di un anno fa. La compa-gnia bolognese ha effettuato neltrimestre forti vendite di titoli diStato, con plusvalenze per circa450 milioni e una redditività delportafoglio investimentidell’8%. «Non continueremo suquesti livelli, questa redditivitànon è replicabile», ha spiegatol’ad.

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MONTE PASCHI

Il presidente diMps AlessandroProfumo el’ad FabrizioViola

Enel, guadagni sue la Borsa apprezzaIn vendita Slovacchiae l’eolico portoghese

LA TRIMESTRALE

MILANO. Sempre più vicinada parte del gruppo Enel levendita della controllata inSlovacchia. Nel giorno dellapresentazione dei conti delprimo trimestre, in lineacon le attese degli analisti,l'ex monopolista haconfermato il piano didismissioni previsto, il cuiasset economicamente piùinteressante èrappresentato daSlovenske Elektrarne e acui ora si aggiungonoanche i parchi eolici delPortogallo. Quando Enelcomprò Enel l’aziendaslovacca dal governo diBreslavia pagò 840 milioniper il 66 per cento delcapitale del gruppodell'Europa dell'est. Ma lacrisi del settore elettrico inEuropa ha costretto Enel arettificarne il valore, per cuila vendita avverrà a valoriinferiori. La trimestrale, nelsuo complesso, è piaciuta almercato, con l'utile nettoordinario del gruppo è paria 810 milioni (+7,3%). Ititoli hanno guadagnato il4,09 per cento, raffrontatoal più 2 per cento dell'indicedelle blue chip.

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La compagnia bologneseha venduto titoli di Statorealizzando un beneficiodi 450 milioni di euro

ADDIO SALOTTI

Mediobancaconferma la sua

strategia didisimpegno dai

grandi gruppiitaliani: Telecom,

Pirelli, Generali

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Mps in utile dopo tre annirisultato netto di 73 milioni

I CONTI/SUPERATE LE STIME DEGLI ANALISTI. ATTESI 880 MILIONI NEL 2018

MILANO.Dopo undici trimestri consecu-tivi di risultati in rosso, Mps ritorna al-l’utile nel primo scorcio 2015, battendole stime degli analisti: risultato netto po-sitivo per quasi 73 milioni, contro unaperdita di 174 di un anno prima. Il ritor-no alla redditività parte da un risultatooperativo lordo di 614 milioni di euro(375 nel quarto trimestre 2014) grazieanche a commissioni nette pari a 443milioni di euro (9,3% rispetto all’ultimotrimestre 2014), un aumento degli im-pieghi (+2,9% sull’ultimo trimestre2014) e una raccolta diretta salita del4,2% (sempre rispetto a tre mesi pri-ma). Le rettifiche nette di valore per de-terioramento di crediti si sono attestatea circa 468 milioni di euro, in linea con ilivelli dello scorso anno. In calo il Cet1(l’indicatore di solidità patrimoniale),all’8,1% rispetto all’8,7% del dicembrescorso. La banca ha anche informato diuna verifica dell’autorità di vigilanza suparti delle esposizioni creditizie esclusedalla precedente verifica.

«Il ritorno all'utile, ottenuto in un con-testo di nuove e più severe regole euro-pee, conferma che il nostro piano indu-striale produce i primi effetti positivi»,ha detto l’ad Fabrizio Viola mentre il pre-sidente Alessandro Profumo si è detto«estremamente soddisfatto per il risul-tato» che rappresenta «la base per ulte-riori passi per remunerare gli azionisti».

Il cda che ieri ha approvato i conti haanche aggiornato il Piano industriale,confermando gli obiettivi intermedi macon un allungamento dei tempi al 2018.Per quella data il Monte conta di arriva-re ad un utile netto di 880 milioni, un Roedi circa l’8%, un costo del credito di 106punti base (ora è a 152) e un Cet1 al 12%.Ben più ravvicinate sono comunque lescadenze che attendono il Monte, a par-tire dall’aumento di capitale da 3 mi-liardi, che prevede il contestuale rim-

borso dei Monti bond. La banca ha con-fermato che tra le opzioni strategiche cisono le «valutazioni di opportunità diM&A» che «consentano di anticipare ilraggiungimento degli obiettivi di reddi-tività futuri».

Inoltre, per rispettare la richiesta Bcedi ridurre l'esposizione sul prodottostrutturato Alexandria entro il prossi-mo 26 luglio, il Monte sta studiando tut-te le modalità possibili, compresa la pos-sibilità di chiudere anticipatamente «intutto o in parte» il contratto con la con-troparte Nomura. La banca ha avviatoun confronto con Francoforte per la me-todologia di calcolo dell'esposizione neiconfronti di Nomura che, a seguito del-l’aumento di capitale, «potrebbe ripor-tare l'esposizione all'interno dei limitiregolamentari».

(vi.p.)

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Mediobanca e Unipolfanno il pieno di profittie guardano alle PopolariNagel: “Via da Pirelli e Telecom, nel 2016 cediamo il 3% Generali”Cimbri: “Redditività non replicabile, aggregazioni per la Banca”

VITTORIA PULEDDA

MILANO.Un occhio al risiko dellebanche popolari, un altro ai con-ti, per Mediobanca e per il grup-po Unipol; e tutte e due a razzo inBorsa, grazie ai risultati trime-strali: +4,19% Piazzetta Cuccia,+3,25% Unipol e +3,82% Uni-polSai.

Mediobanca ha chiuso il terzotrimestre dell’esercizio 2014-2015 con un utile netto di 205milioni (il miglior risultato tri-mestrale da 5 anni) rispetto ai90,6 milioni di un anno fa men-tre nei primi 9 mesi ha registra-to un utile netto di 466 milioni(+18%) grazie ai ricavi dell’atti-vità bancaria (retail, invest-ment banking e trading). In caloinvece il contributo di Generalinei 9 mesi: 134 milioni contro i174 di un anno fa. Ma su GeneraliAlberto Nagel - ad di Medioban-

ca - si è detto molto fiducioso sulpiano strategico che la compa-gnia presenterà il 27 maggio:«Ci aspettiamo un miglioramen-to del titolo, a valle della presen-tazione», ha detto, conferman-do la possibilità, per il 3% del-l’assicurazione da dismettere,di uno scambio con asset banca-ri. I tempi previsti, per benefi-ciare del possibile rialzo delleazioni Generali, sono gennaio-giugno 2016. Per Rcs invece, lavendita della quota «dipende so-

lo dai valori di Borsa», mentreper Pirelli e Telecom le stime so-no per luglio-settembre 2015.Infine le banche popolari: «Me-diobanca è impegnata a dare unmano nel consolidamento».

Ma alle popolari guarda an-che Carlo Cimbri, numero unodel gruppo Unipol: «Osserviamocon grande attenzione quelloche potrà avvenire nel panora-ma bancario italiano, un gruppoassicurativo delle dimensioni diUnipol può essere un azionista

utile nell’ambito dei processi diaggregazione». Per Unipol ban-ca, comunque, «non cerchiamoaggregazioni a tutti i costi» masolo se diventa «un’opportunitàin grado di creare valore».

Il gruppo Unipol ha chiuso ilprimo trimestre dell’anno conun utile netto consolidato di 321milioni (+136%) e una raccoltadiretta assicurativa in calo dello0,8% al netto dalla cessione delramo d’azienda ad Allianz. Uni-polSai invece ha chiuso con un

utile netto consolidato a 310 mi-lioni (+66,6%) mentre il combi-ned ratio è salito a 96,1% dal92,8% di un anno fa. La compa-gnia bolognese ha effettuato neltrimestre forti vendite di titoli diStato, con plusvalenze per circa450 milioni e una redditività delportafoglio investimentidell’8%. «Non continueremo suquesti livelli, questa redditivitànon è replicabile», ha spiegatol’ad.

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MONTE PASCHI

Il presidente diMps AlessandroProfumo el’ad FabrizioViola

Enel, guadagni sue la Borsa apprezzaIn vendita Slovacchiae l’eolico portoghese

LA TRIMESTRALE

MILANO. Sempre più vicinada parte del gruppo Enel levendita della controllata inSlovacchia. Nel giorno dellapresentazione dei conti delprimo trimestre, in lineacon le attese degli analisti,l'ex monopolista haconfermato il piano didismissioni previsto, il cuiasset economicamente piùinteressante èrappresentato daSlovenske Elektrarne e acui ora si aggiungonoanche i parchi eolici delPortogallo. Quando Enelcomprò Enel l’aziendaslovacca dal governo diBreslavia pagò 840 milioniper il 66 per cento delcapitale del gruppodell'Europa dell'est. Ma lacrisi del settore elettrico inEuropa ha costretto Enel arettificarne il valore, per cuila vendita avverrà a valoriinferiori. La trimestrale, nelsuo complesso, è piaciuta almercato, con l'utile nettoordinario del gruppo è paria 810 milioni (+7,3%). Ititoli hanno guadagnato il4,09 per cento, raffrontatoal più 2 per cento dell'indicedelle blue chip.

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La compagnia bologneseha venduto titoli di Statorealizzando un beneficiodi 450 milioni di euro

ADDIO SALOTTI

Mediobancaconferma la sua

strategia didisimpegno dai

grandi gruppiitaliani: Telecom,

Pirelli, Generali

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PRIMO PIANO 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL NODO DEI RICAVI Il ritorno al profitto è più

l’effetto delle minori rettifiche sui prestiti malati che di una ripresa dei ricavi che resteranno piatti

Banche, 2015 in utile ma resta il nodo «bad

bank»

Decisivo il minor impatto dei crediti deteriorati, che si confermano una zavorra da

350 miliardi sui conti

C’è aria di svolta per il sistema bancario italiano. E le prime avvisaglie si vedranno già settimana prossima con le trimestrali che verranno diffuse. Il cambio di passo, quasi una cesura, è con il passato travagliato della crisi. Per la prima volta dopo 4 anni - in cui il sistema nel suo complesso ha cumulato perdite dal 2011 al 2014 per la cifra record di oltre 48 miliardi di euro – il 2015 vedrà tornare i profitti. Ne è convinta la società di consulenza Prometeia che stima utili aggregati per l’universo bancario per circa 3,8 miliardi. Ma non è solo Prometeia a segnalare il riavvio di un ciclo. Anche gli economisti del Cer, il Centro Europa Ricerche, stimano profitti per le banche quest’anno nell’ordine dei 2 miliardi. E il consenso di mercato prevede profitti netti per le prime 5 banche quotate italiane attorno ai 6 miliardi. Il ritorno ai profitti si accompagna all’uscita dell’Italia dalla lunga recessione post-crisi Lehman. Ma se dà un po’di sollievo ai banchieri, non lascia troppo spazio ai festeggiamenti. Il ritorno degli utili non è infatti figlio di una rinnovata crescita dei ricavi (che sarebbe un segno evidente di ritrovata salute), ma in realtà del minor peso delle perdite sui crediti malati. Che restano comunque una zavorra possente in pancia alle banche. Lo spiega bene Lea Zicchino di Prometeia, che prevede un’accelerazione del monte utili da 3,8 miliardi a 21,5 miliardi nel triennio 2015-2017 con un Roe (un ritorno sul capitale) al 3,7% al 2017. «Il contributo a un Roe che passerà da negativo (-3%) al +3,7% nel triennio sarà dovuto solo per l’1% alla parte ricavi e per oltre il 6% alle minori rettifiche su sofferenze e incagli». Nel modello di Prometeia infatti le perdite sui crediti passeranno dai 99 miliardi cumulati dal 2011 al 2014 ai 51 miliardi attesi nei prossimi tre anni. Come si vede si dimezzano le svalutazioni sui prestiti malati, ma la cifra resta importante e dice tuttora che sofferenze e incagli restano il grande Tallone d’Achille del sistema bancario italiano. E anche a fine 2017 finiranno, secondo Prometeia per pesare per oltre il 44% sul risultato di gestione. Ancora tanto, senza dimenticare che anche con un Roe al 4%, il gap con il costo del capitale non si colmerà. Luci quindi, con un quadriennio di pesante crisi che viene lasciato alle spalle, ma ancora molte ombre. È vero che il flusso di nuove sofferenze e incagli sta diminuendo, ma lo stock dei crediti deteriorati come ricorda Banca d’Italia resta elevatissimo. A fine del 2014 i prestiti deteriorati erano di 350 miliardi, il 17,7% degli impieghi complessivi. Un sesto dei crediti concessi è malato e suscettibile di nuovi accantonamenti nei prossimi anni. Conferma il ritorno ai profitti anche Carlo Milani del Cer che in un rapporto di prossima pubblicazione stima utili aggregati per 2 miliardi quest’anno per salire a 13 miliardi nel 2017. «Saranno le minori rettifiche sui crediti a restituire un po’ di profittabilità che resta però bassa. Non dimentichiamo che le grandi pulizie sono state fatte nel 2014 in occasione degli stress test e quindi il 2015 vedrà un peso minore. Ma il margine d’interesse tenderà a restare piatto dati i tassi bassissimi e i volumi che cresceranno poco, compensato da maggiori ricavi da servizi, commissioni dal risparmio gestito e gestione finanziaria. Tanto che complessivamente anche negli anni bui della crisi il margine d’intermediazione ha di fatto tenuto. Ma le svalutazioni sui crediti saliti a ritmi esplosivi hanno fatto tutta la differenza». Il tema dei prestiti sofferenti resta il nodo difficile, tuttora ancora da sciogliere e riporta al centro della scena il tema della bad bank. Milani dà un giudizio severo: «Arriviamo tardi, troppo tardi e male. Altri paesi dalla Spagna, all’Irlanda, alla Grecia sono stati più rapidi e ora che la normativa sugli aiuti di Stato si è fatta più severa, l’Italia arriva buon ultima e con pastoie normative assai più rigide e quindi spazi di

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manovra limitati». Ma una bad bank è quanto mai necessaria per sgravare la zavorra di sofferenze e incagli che limita nuovo credito e appesantisce i bilanci. Certo è che per evitare infrazioni e non pesare sul bilancio pubblico, la bad bank dovrebbe comprare a prezzi di mercato. Ed è proprio qui il tasto dolente. Il mercato non c’è, bloccato dal divario tra domanda e offerta con una forbice sempre troppo ampia. Tanto per dare un’idea Bankitalia rileva che la compravendita di sofferenze è stata di soli 7 miliardi nel biennio 2013-2014. Una briciola nel mare magnum dei quasi 200 miliardi di sofferenze che stanno in pancia alle banche italiane. Il nodo è infatti il valore. Le banche hanno già svalutato in media del 50% i prezzi delle loro sofferenze. Per evitare nuove perdite le banche dovrebbero vendere appunto a 50 le loro sofferenze, ma i compratori non vanno oltre 20. I tempi di recupero sono talmente lunghi e aleatori che il possibile compratore per garantirsi un margine di profitto offre prezzi molti bassi. «La bad bank serve proprio a questo in realtà – dice Zicchino -. A costituire un floor per i prezzi che consenta di creare un mercato che non c’è». E Milani avverte su un altro punto. «Ora che gli utili faticosamente e blandamente tornano non si sprechi l’occasione. Non si riavvii un ciclo ricco di dividendi. Gli utili devono restare in banca a rafforzare il capitale per permettere nuovo credito». Con buona pace di Fondazioni e azionisti. E questo è l’altro dilemma. Tornare a remunerare i soci o usare i profitti per tenere alto il capitale e liberare spazio per nuovo credito? Si vedrà se oltre agli utili torneranno i prestiti.© RIPRODUZIONE RISERVATAFabio Pavesi

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PRIMO PIANO 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

.

Cade l’alibi per la crisi del credito

Con le misure annunciate nei giorni scorsi, il sistema bancario italiano può finalmente

mettersi alle spalle la crisi più grave del dopoguerra, che dal 2008 al 2014 ha

aumentato il fardello dei crediti deteriorati di oltre 220 miliardi, portandolo al 17,7 per

cento dei prestiti. Sono in un certo senso le riforme necessarie per far sì che i colpi del

“bazooka” del Quantitative easing della Bce vadano a segno e si trasformino in credito

all’economia.

Continua pagina 5 di Marco Onado

Continua da pagina 1 Il che significa che da oggi non ci sono più alibi per giustificare

il protrarsi di un credit crunch che alla fine di febbraio risultava ancora consistente, sia

pure in attenuazione: -2 per cento in ragione d’anno per la generalità del settore

manifatturiero e -3,3 per le piccole imprese. La storia delle crisi finanziarie come

quella del Giappone o dei paesi nordici insegna che quando i crediti di dubbia qualità

continuano a pesare sui bilanci bancari, l’offerta di nuovo credito risulta frenata: non

solo la risorsa più scarsa, che è il capitale regolamentare, viene assorbito in misura

eccessiva dall’eredità del passato, ma aumentano anche i costi di raccolta perché il

mercato richiede un compenso per la maggiore incertezza sulla robustezza futura delle

banche. Anche recenti ricerche della Banca d’Italia confermano che gli intermediari

che registrano un elevato deterioramento della qualita? del credito restringono l’offerta

di fondi e aumentano i tassi di interesse.Il deterioramento del credito è però destinato a

perdurare: se tutte le previsioni dicono che il punto peggiore è stato raggiunto nel

2014, è anche vero che il fenomeno è destinato a rimanere su livelli sempre elevati

rispetto al passato. Una recente stima Abi-Cerved prevede nel 2016 per tutte le classi

di credito alle imprese percentuali di ingresso in sofferenza che vanno dall’1,3 per

cento per le grandi imprese al 3,2 per le micro, cioè valori sostanzialmente doppi del

2007. Il Governo ha deciso di intervenire sui tre elementi principali che possono

indurre le banche a rinviare alle calende greche il momento dell’accertamento delle

perdite: gli ostacoli fiscali, quelli connessi al sistema legale e infine la mancanza di un

organismo che accentri la gestione dei crediti deteriorati.

Sui primi due fronti, l’Italia presenta elementi che oggettivamente penalizzano le

banche e dunque il sistema imprenditoriale. Il problema fiscale è noto e deriva dal

fatto che l’orologio del fisco è gravemente in ritardo rispetto a quello del mercato. Ma

quelli legali non sono da meno. Nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria del

Fondo monetario un grafico dimostra la stretta correlazione fra il processo di pulizia

dei bilanci bancari e la qualità del sistema legale di ciascun paese e l’Italia è, non

sorprendentemente, il fanalino di coda. In particolare, i tempi di recupero dei crediti e

delle procedure di insolvenza sono molto più lunghi rispetto alla media Ue, oltre che

molto variabili tra le diverse regioni e, all’interno di ciascuna di esse, tra i diversi

tribunali.

Ancora più importante è la possibilità che finalmente si apre per attivare un mercato

“di sistema” per la cessione di partite deteriorate, irrobustendo un flusso finora

marginale a livello complessivo (7 miliardi nel biennio 2013-2014). Si tratta della

tanto attesa bad bank, brutto termine per definire una società specializzata

nell’acquisire crediti deteriorati e nel gestirli al meglio. Come hanno dimostrato le

esperienze di crisi passate, ma anche i casi recenti di Irlanda e Spagna, i vantaggi sono

cospicui: si riducono i costi di gestione, si superano le difficoltà collegate alla

mancanza di know-how da parte delle banche più piccole, si aumenta la trasparenza

dei prezzi di cessione, un elemento essenziale in un mercato dei prestiti frammentato

in molte piccole partite e facilmente preda di procedure non corrette nei confronti dei

debitori, quando non addirittura illegali. Una gestione accentrata non può che portare

vantaggi. Non a caso la Banca d’Italia stima che nei paesi europei che hanno

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intrapreso la via della bad bank, a questa faccia capo circa il 40 per cento delle

transazioni di crediti deteriorati.

Da oggi dunque è lecito attendersi che le banche italiane riprendano ad erogare credito

al settore produttivo, sia per l’attività corrente sia per gli investimenti, caduti in Italia

assai più della media europea. Ma il problema finanziario per le imprese non è solo

quantitativo. Certo è importante che si prevedano flussi di credito bancario alle

imprese positivi (Prometeia stima per il 2015-16 una crescita di oltre 40 miliardi,

contro una riduzione di 64 nel biennio precedente), ma se si vuole davvero recuperare

il ritardo che abbiamo accumulato rispetto agli altri paesi, occorre sfruttare a pieno

questa fase di svolta per superare i problemi strutturali delle nostre imprese e in

particolare superare la carenza cronica di capitale di rischio e di strumenti alternativi

al credito bancario.

La Commissione europea con un recente Libro verde ha aperto un dibattito sulle

misure necessarie per realizzare entro il 2019 un mercato europeo dei capitali più

ampio e diversificato e in particolare per favorire le emissioni di titoli da parte delle

imprese, anche medie e piccole. Perché questo obiettivo non rimanga – come è già

accaduto tante volte – una pia illusione occorrerà una grande capacità delle banche di

sviluppare nuovi strumenti e nuovi servizi, soprattutto quelli che aiutano le imprese a

realizzare processi di innovazione e di ristrutturazione. Che, da sempre, sono il sale

del rapporto banca-impresa e della capacità della prima di sostenere i processi di

crescita di lungo periodo della seconda, come hanno fatto nel passato uomini della

tempra dei Beneduce e dei Mattioli. «Ritorno al futuro» era un film per molti versi

istruttivo: forse anche per i banchieri italiani di oggi.

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Marco

Onado

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PRIMA PAGINA 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

PRIORITÀ ALL’AUMENTODall’estero ancora

nessun interesse formale, lo Stato al 4% non sarà un problema

IL CASO ALEXANDRIA A Nomura abbiamo chiesto un risarcimento

danni per un miliardo, pronti a tutelare i soci

INTERVISTA FABRIZIO VIOLA AMMINISTRATORE DELEGATO BANCA MPS

«Mps più forte per trattare la fusione»Ritorno all’utile senza plusvalenze - «Alleanza con una Popolare? Industrialmente

interessante»

«Il ritorno all'utile di Mps dopo dodici trimestri consecutivi di perdita è il segnale che

la svolta gestionale della banca sta portando risultati concreti anche a livello

reddituale. Ora ci prepariamo con all'aumento di capitale da 3 miliardi, che tra l'altro

servirà a rimborsare definitivamente l'ultima quota di Monti-bond. Conti in utile e

rafforzamento patrimoniale ci pongono in posizione di maggiore forza per trattare poi

l'aggregazione con altre banche italiane o estere». L'amministratore delegato di Banca

Mps Fabrizio Viola, per la prima volta, apre all'ipotesi di aggregazione con una delle

grande banche popolari italiane che si dovranno trasformare in Spa perchè

«industrialmente interessante».

Partiamo dai conti, finalmente in utile. Il ritorno alla redditività può considerarsi definitivo?Il ritorno alla profittabilità è di rilievo soprattutto se si tiene conto del contesto di tassi

a zero e di un'economia che non è ancora entrata in fase di ripresa significativa.

Aggiungo che la redditività attuale va comparata con una banca che, rispetto al 2011,

ha ridotto l'attivo di 50 miliardi dopo le azioni di deleverage e derisking che abbiamo

attuato negli utlimi anni.

Si tratta di un utile sostenibile nel tempo? E quanto è dovuto a poste straordinarie o alle favorevoli condizioni di mercato indotte dal Qe della Bce?Il dato che più mi rende soddisfatto è che l'utile deriva in gran parte dalla gestione

caratteristica della banca. Il taglio dei costi, che proseguirà come abbiamo indicato

nell'aggiornamento del piano, ci mette in condizione di aumentare la redditività con la

ripresa dei ricavi. I dati indicano chiaramente che il costo della raccolta è sceso in

modo significativo, così come le rettifiche su crediti. La profonda revisione

organizzativa e l’importante rafforzamento manageriale avviati da metà 2014 sulla

gestione dei crediti anomali, con la creazione di un'unità interna dedicata, è destinata a

dare grandi risultati.

La plusvalenza realizzata sulla cessione a Poste della quota in Anima Holding quando sarà contabilizzata?Nel secondo trimestre e, in parte, nel terzo trimestre secondo gli accordi stipulati con

Poste. Nel primo trimestre, l'unica voce non ordinaria riguarda i ricavi ottenuti dalla

ottimizzazione del portafoglio titoli di Stato.

Perchè avete deciso di aggiornare il piano industriale e finanziario?L'aggiustamento era dovuto per una serie di motivi. Con lo Srep, la Bce ci ha

assegnato un livello minimo di Cet1 del 10,2%. In più abbiamo aumentato il livello

dell'aumento di capitale a 3 miliardi e deciso di rimborsare subito i residui Monti bond

che era invece previsto in più tranche entro il 2017. Inoltre il vecchio piano, che pure

era basato su previsioni macro all'epoca prudenziali, deve fare i conti con livelli di Pil

e di tassi più bassi di ogni previsione.

Quali sono gli elementi chiave del nuovo piano?Il primo è l'ulteriore miglioramento della produttività commerciale con la rivisitazione

del modello distributivo, che abbiamo chiamato Mps 20.20. Il successo della banca

multicanale Widiba mi fa dire che l'ambizione è di «widibizzare» il Monte Paschi.

Meno filiali tradizionali, riarticolazione basata su filiali-hub e filiali satellite leggere. E

meno filiali in generale, pensando alle nuove tecnologie: già ne abbiamo chiuse 550,

ne ridurremo il numero di altre 350 entro il 2018.

Il piano ha come orizzonte il 2018. Ma la Bce vi ha sollecitato a procedere a un'aggregazione. O esiste ancora una prospettiva di procedere stand alone?Il piano serve a rendere la banca più solida dal punto di vista patrimoniale e

finanziario, più competitiva ed in grado di remunerare adeguatamente il proprio

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capitale. Tutto ciò consentirà alla banca di partecipare in modo attivo al processo di

consolidamento che, sono convinto, interesserà l'intero sistema bancario nazionale. A

questo riguardo ritengo un’aggregazione un'opzione industriale da realizzare per

allineare più velocemente la redditività del capitale al suo costo, attraverso la

realizzazione di rilevanti sinergie di costo.

Intesa Sanpaolo e UniCredit hanno già fatto sapere di non essere disponibili a nuove aggregazioni in Italia. Restano le grandi Popolari che a breve dovranno trasformarsi in Spa. È un'ipotesi percorribile?La trasformazione in Spa delle Popolari rende un'eventuale percorso di aggregazione

più facile. Dal punto di vista industriale, l'aggregazione tra Mps e una grande popolare

fa molto senso. Lo dico anche perchè, da manager che ha vissuto gran parte della

propria esperienza professionale nel mondo delle banche popolari, ho trovato nel

Monte una banca che ha un fortissimo radicamento territoriale. Culturalmente, la

combinazione sarebbe efficace.

Per ora i vostri advisor non hanno avuto interessi da parte di banche estere?Il lavoro degli advisor è stato finora di valutare a tavolino le diverse opzioni possibili.

Non c'è stata alcuna manifestazione di interesse formalmente formulata. La nostra

priorità è realizzare con successo l'operazione di aumento di capitale. Successivamente

valuteremo senza perdere di vista il nostro obiettivo di proseguire nel percorso di

rilancio della banca che tutti coloro che lavorano in banca, a tutti i livelli, vogliono

fortemente.

Quando partirà l'aumento di capitale?Contiamo di partire a fine maggio per chiudere l'operazione entro giugno. Ma i tempi

dipendono dalla Bce, che deve dare il suo via libera.

Dal 1° luglio, per effetto del pagamento in azioni delle cedole dei Monti-bond, lo Stato diventerà azionista di Mps con il 4%. È una quota che in qualche modo potrà condizionare la futura alleanza in Italia o all'estero?Non lo vedo come un elemento di complicazione. Il Ministero dell'Economia ha già

detto di considerare la quota puramente finanziaria e di non avere intenzione di

svolgere alcun ruolo strategico.

Con la fine dell'aumento, il presidente Alessandro Profumo ha preannunciato la sua uscita. In cda avete già affrontato il nodo successione?Mi dispiace sia dal punto di vista professionale che personale. Abbiamo lavorato

benissimo in questi tre anni. Premesso che è una decisione in capo agli azionisti, il

mio auspicio è di poter avere un presidente che non mi faccia rimpiangere Profumo.

È possibile che con la banca giapponese Nomura, con cui i vecchi vertici avevano costruito il derivato Alexandria, troviate una transazione sull'indennizzo a vostro favore già prima dell'aumento di capitale? Bce vi ha imposto di chiudere entro il 26 luglio. Stabilire una data prestabilita vi penalizza?Certamente non ci aiuta, ma la Bce ha anche detto che il termine può essere prorogato

se esistono valide motivazioni legali. Ricordo che la Procura di Milano ha chiesto il

rinvio a giudizio di ex manager Nomura per quella operazione. E che noi abbiamo

avanzato una richiesta di risarcimento danni di un miliardo. Come già avvenuto nel

caso dell'operazione Santorini, una transazione ha senso solo a certi livelli. Intendiamo

fortemente vedere riconosciuti le ragioni della banca e di conseguenza dei suoi

azionisti che è stata pesantemente danneggiata nel passato.

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Alessandro Graziani

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMA PAGINA 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LA SUCCESSIONE Tra i possibili candidati nel

ruolo di capo azienda, si ipotizza anche Divo Gronchi: per lui si tratterebbe di un ritorno

nella banca

Popolare di Vicenza. Le voci sullo strappo

Bpvi, ipotesi dimissioni del dg Samuele Sorato

al consiglio di martedìUscita imminente per il direttore generale (e amministratore delegato da pochi mesi)

della Banca Popolare di Vicenza, Samuele Sorato. Le dimissioni del manager, secondo

quanto si apprende, finiranno sul tavolo del Cda che si riunirà dopodomani. Dalla

banca non filtrano conferme, ma l’impressione è che il passo indietro del manager sia

altamente probabile. D’altronde, sarebbe stato lo stesso Sorato a manifestare

l’intenzione di lasciare l’incarico, forse anche per contrasti crescenti con il presidente

Gianni Zonin, facendo così intendere che si tratterebbe di dimissioni irrevocabili.

La situazione è in rapida evoluzione, tanto che già si parla di successori e il nome più

ricorrente, secondo quanto riportato già ieri da alcuni giornali del vicentino, sarebbe

Divo Gronchi, già consigliere delegato della banca fino al 2011, quando lasciò il

timone operativo allo stesso Sorato, dopo tre anni di collaborazione. Per Gronchi,

banchiere stimato dalla Vigilanza e oggi direttore generale della Cassa di risparmio di

San Miniato, sarebbe il terzo rientro a Vicenza, ma secondo quanto si apprende nessun

contatto formale sarebbe stato avviato negli ultimi giorni.

Un dato è certo, e cioè che le partite aperte per la banca sono molte. Prima tra tutte,

l’attuazione della riforma del governo Renzi che prevede la trasformazione delle

grandi popolari in Spa, che la banca ha già dichiarato di voler portare in tempi brevi

all’attenzione dei soci (nei prossimi giorni sono attesi i regolamenti Bankitalia). Ma a

Vicenza ci sono molti fronti aperti anche con la Vigilanza: da un lato la Bce, che dopo

aver richiesto alla banca imponenti rettifiche sui crediti nel bilancio 2014, chiuso in

rosso per 758,5 milioni, ha avviato due diverse ispezioni; la prima, scattata a fine

febbraio, per valutare la gestione del rischio del portafoglio finanziario, sarebbe tuttora

in corso e ad essa se ne sarebbe aggiunta una seconda, sempre sulla gestione del

rischio, nel mese di aprile. Poi c’è il pressing della Consob, che a sua volta nelle

settimane scorse avrebbe avviato un’ispezione relativa al trattamento delle azioni, alle

procedure per la determinazione del loro valore (tagliato da 62,5 a 48 euro nel corso

dell’ultima assemblea, tra le proteste dei soci) e ai meccanismi che hanno regolato

acquisti e vendite in passato. Verifiche, queste, che potrebbero aver contribuito alla

scelta delle dimissioni di Sorato, a neanche tre mesi dalla “promozione” a consigliere

delegato.

Altri due fronti caldi sono quello sindacale, visto che la banca ha appena presentato un

piano industriale che vede 200 esuberi e la chiusura di 160 filiali, e quello dell’M&A:

per superare meglio questa fase complessa, la banca, come buona parte delle altre

popolari, sta valutando l’ipotesi di una fusione e al momento la soluzione più agevole

sarebbe quella di un’integrazione con Veneto Banca, vicina e a sua volta non quotata.

.@marcoferrando77

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Marco Ferrando

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Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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Economia

Corriere Economia

di Marco Sabella

A Piazza Affari pioggia di cedole Caccia ai migliori rendimenti

U na somma pari a 14,7miliardi sta per riversarsi sui

risparmiatori che investono a Piazza Affari. A tanto ammontano gli utili societari che verranno distribuiti agli azionisti tra maggio e giugno, nella campagna di stacco dividendi. Una somma imponente, che corrisponde a un rendimento medio (dividend yield) dell’intera borsa milanese del 3,15%, nettamente superiore al Btp trentennale, la cui cedola non raggiunge il 3%, e al decennale, che venerdì scorso ha chiuso poco sotto l’1,7%. Attualmente sono circa 20 le quotate in Piazza Affari che superano la soglia di un rendimento del 3%. Tra queste UnipolSai, un dividend yield del 7,4%, Eni (6,6%) e Snam (5,5%).

«Corriere Economia», in edicola domani con il «Corriere della Sera», analizza pregi e limiti del criterio di un alto dividendo nella selezione dei titoli azionari. Perché in questo momento Piazza Affari, nonostante la correzione delle ultime due settimane, continua a viaggiare con il vento in poppa e da gennaio registra un rialzo che ha raggiunto il 22%. Le azioni italiane, dopo uno storno di circa il 5% per l’incertezza sulla nuova crisi del debito greco e sull’improvviso aumento dei rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza, hanno ripreso a marciare a pieno ritmo. Ancora alla fine della scorsa settimana, dopo il voto in Gran Bretagna e i dati Usa sul lavoro, le borse europee hanno registrato un rialzo di oltre il 2%. Secondo i gestori, la crescita potrebbe ancora continuare, a patto che i segnali di ripresa dell’economia vengano confermati e che i tassi Usa subiscano un rialzo controllato e senza strappi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

DAL NOSTRO INVIATO

VICENZA La crisi del settimo an-no è scoppiata all’improvviso.Samuele Sorato, alla guida del-le Banca Popolare di Vicenzadal 2008, è pronto a dimettersi.Lo farà martedì, nelle mani delpresidente Gianni Zonin, in oc-casione di una riunione delconsiglio di amministrazionegià convocata. Ragioni di natu-ra personale sono alla base del-la motivazione che circola conmaggior insistenza. Ma in cittàci credono in pochi. Prendonocorpo invece le differenti visio-ni sul futuro della banca, avvia-ta con altre nove popolari a tra-sformarsi in Spa per effettodella riforma voluta dal gover-no Renzi, che pongono Soratoda una parte e Zonin dall’altra.Posizioni inconciliabili, soprat-tutto sulla scelta del partner,visto che l’atteso matrimoniocon Veneto Banca, punto di sin-tesi dei due, non è mai arrivatoalle pubblicazioni.

A meno di un mese dall’as-semblea dell’11 aprile, che havisto i vertici dell’istituto forte-mente contestati dai soci — acausa del taglio del valore delleazioni da 62 a 48 euro e del se-condo bilancio consecutivo inrosso, stavolta per 758 milioni dopo i 33 dell’anno precedente— Vicenza scopre la «sua»banca ancora più debole di co-me era apparsa negli ultimimesi. Il disorientamento è evi-dente. I proclami del presiden-te Zonin — ieri pomeriggio im-pegnato in una riunione — chesolo lo scorso anno dipingevala Vicenza come polo aggrega-tore nel mondo delle popolari,sembrano lontanissimi. La re-altà è ben diversa — il consiglioha delega per un nuovo au-mento da un miliardo — e larottura con Sorato alimenta idubbi sul futuro dell’istituto.

Sono state infatti appena co-municate alle organizzazionisindacali le linee guida di un

piano industriale che prevede la chiusura di 150 filiali delle654 attuali, 60 filiali aperte soloal mattino e 200 esuberi tra i5.500 dipendenti, in una ipote-si «stand alone». Numeri tuttida rivedere in caso di una pro-babile fusione.

Soprattutto sembra pesarel’indagine della Consob, cheproprio domani terrà il suo in-contro annuale con il mercatofinanziario all’Expo di Milano.Sotto la lente della commissio-ne guidata da Giuseppe Vegasle modalità con cui si sono rea-lizzate le due ultime operazionidi aumento di capitale e la fis-sazione del prezzo delle azioniche, come per tutte le popolarinon quotate, continua ad avve-nire con perizie di parte in unmercato fortemente illiquido.

Vicenza, la popolare piùgrande tra le non quotate, di-viene quindi il paradigma di unintero sistema. Zonin, che gui-da l’istituto dal 1996, ha già an-nunciato che non sarà lui a pre-siedere la banca quando — en-tro l’anno — verrà trasformatain spa. Ma è indubbio che nedeterminerà i destini. Il consi-

glio di amministrazione, dal-l’ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio, vice-presidente come Marino Bre-ganze, alla new entry MatteoMarzotto, fino agli imprendito-ri locali Roberto Zuccato, Giu-seppe Zigliotto e Nicola Togna-na, è tutto dalla sua parte. Enon potrebbe essere diversa-mente, visto quanto è cresciutala banca sotto la sua presiden-za.

Ma la separazione ormai cer-ta da Sorato, a soli tre mesi dal-la sua nomina ad amministra-tore delegato, con il ventilatoritorno a Vicenza, per la terzavolta, di Divo Gronchi, apre aun futuro più complesso diquanto già non sia.

Domani, o al più tardi marte-dì prima della riunione del cda,fissata per le 15, è previsto ilprossimo incontro tra Zonin eSorato. Ma più che per avvici-nare le parti, servirà per defini-re i dettagli di una separazioneche sarà, secondo copione,«consensuale» e «priva di at-triti».

Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

La vicenda

� La Popolare

di Vicenza è

uno degli

istituti passati

sotto la

vigilanza unica

della Bce e tra

le 10 popolari

maggiori che

dovranno

trasformarsi in

banche spa

� La popolare

vicentina ha

tentato di

proporsi come

aggregatore

nel futuro risiko

bancario. Le

mire, respinte,

sono state

verso Veneto

Banca

I numeri della Popolare di Vicenza

Proventi operativi

Oneri operativi

Risultato della gestione operativa

Rettifiche di valore

Risultato netto

Raccolta totale

Raccolta diretta

Raccolta indiretta

1.077,4 milioni

-669,1 milioni

408,3 milioni

-1.151,3 milioni

-497,1 milioni

49,5 miliardi

28,6 miliardi

20,9 miliardi

-0,7%

+1,8%

-4,4%

+153,3%

n.c.*

+2,5%

-2,0%

+9,4%

d’Arco*non confrontabile. Nel 2013 la perdita è stata di 32,2 milioni di euro

Bilancio 2014(dati in euro)

Variazionesul 2013

Livello di patrimonio (CET 1 ratio)

10,16%Numerosportelli

654

5.515 unità

Personale

di Fabrizio Massaro

Mps rivede l’utilema a Siena torna la BceSotto la lente un quarto dei crediti

� Il caso

L a Bce non smette diguardare da vicino ilMontepaschi.

Nonostante la verifica dei bilanci di fine ottobre e la verifica successiva («Srep»)sulla sostenibilità prospettica della banca (sfavorevole al Monte dei Paschi) gli ispettori di Francoforte si sono di nuovo presentati a Siena nelle ultime settimane e hanno messo sotto la lente praticamente un quarto degli impieghi (il 23%) e l’8% dei prestiti deteriorati. Sono stati verificati il portafoglio immobiliare residenziale per 29,8 miliardi e i portafogli «Institutional» (1,7 miliardi), «Project Finance» (1,8 miliardi) e Shipping (1,3 miliardi) che erano rimasti fuori dal comprehensive assessment del 2014. Le risultanze della Bce — spiega Mps nella nota sui conti trimestrali — sono state illustrate al consiglio solo in maniera preliminare. Finora l’effetto è di circa 41 milioni su 35 miliardi di impieghi, che non si sa ancora che effetto avranno nel bilancio anche se «non sono attesi impatti contabili significativi». Attenzione, però: la valutazione è stata fatta con i criteri in vigore a fine 2014: «La ricalibrazione dei parametri», avverte Mps, «potrebbe comportare, coeteris paribus, un incremento delle rettifiche statistiche». Comunque ormai non c’è praticamente più niente da controllare: «Si può complessivamente affermare che è stata analizzata, a più riprese e con modalità diverse, la maggior parte del portafoglio crediti in bonis e la pressoché totalità dei crediti in default». L’attenzione dell’istituto guidato da Fabrizio Viola è ora spostata sulla chiusura del derivato Alexandria con Nomura — ultima pesante incognita sui conti —, sull’accelerazione nel recupero dei crediti deteriorati e, dal punto di vista strategico, verso l’aggregazione chiesta dalla Bce. Mps ha dalla sua il ritorno all’utile per 72,6 milioni dopo 2 anni e 9 mesi: una base per convincere il mercato a sottoscrivere 3 miliardi di aumento di capitale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

BanchieriIn alto il

presidente della

Pop Vicenza

Gianni Zonin,

77 anni e, sotto,

il consigliere

delegato

Samuele

Sorato, 54 anni

Exor verso la cessione di Cushman negli UsaTpg Capital potrebbe rilevare il gruppo di servizi immobiliari per 2 miliardi. Accordo a giorni

L’indiscrezione è arrivata intarda serata: Tpg Capital, il fon-do Usa di private equity, sareb-be in trattative per acquistareCushman & Wakefield, una del-le maggiori società al mondonei servizi immobiliari. L’offer-ta sarebbe di 2 miliardi di dolla-ri, scrive Bloomberg, secondola quale Tpg Capital sarebbe intrattative avanzate con Exor, laholding del gruppo Agnelli chedetiene l’81% di Cushman. L’ac-cordo potrebbe essere annun-ciato la prossima settimana.

L’intenzione di vendere ilgruppo rilevato nel 2007 erastata confermata direttamentedal presidente John Elkann:«Abbiamo già avuto moltissi-me manifestazioni di interesse.

Avremo le idee più chiare tra fi-ne aprile e inizio maggio e sia-mo fiduciosi di poter chiuderel’operazione entro quel termi-ne». Ieri sera Exor non ha com-mentato le indiscrezioni sul-l’offerta di Texas Pacific Group.

Goldman Sachs e MorganStanley sono state incaricate diraccogliere le manifestazioni diinteresse e nei mesi scorsi si era parlato di offerte della con-glomerata cinese Fosun e dellaaustraliana United Global Capi-tal. Tpg, il fondo americanofondato nel 1992 punterebbe aunire Cushman & Wakefieldcon Dtz Group dando vita a uncolosso dell’immobiliare in grado di competere con CbreGroup e Jones Lang LaSalle, ri-

spettivamente prima e secondaazienda al mondo.

Se le cifre saranno confer-mate, la vendita di Cushman &Wakefield potrebbe eguagliareil record dell’operazione Sgs,ceduta da Exor nel 2013 per 2miliardi di euro con un guada-gno netto di 1,5 miliardi. Pro-prio in questi giorni Exor lavo-ra anche all’offerta da 6,4 mi-liardi, in contanti, per la com-pagnia di riassicurazionePartner Re. Martedì il consigliodovrebbe discutere l’operazio-ne e potrebbe valutare un rilan-cio dopo un primo stop da par-te dei vertici della compagniaUsa.

Corinna De Cesare© RIPRODUZIONE RISERVATA

La holding

� Exor,

la holding

della famiglia

Agnelli guidata

da John

Elkann,

detiene l’81%

di Cushman

& Wakefield

10,1miliardi di euro

il valore netto

degli

investimenti di

Exor

51,3per cento La

quota della

famiglia Agnelli

dentro la

holding Exor

Popolare Vicenza, ribaltone al verticeIl ceo Sorato verso l’uscita. Le distanze con Zonin sulla spaPotrebbe rientrare Gronchi. Consob indaga sugli aumenti

Banche

di Stefano Righi

Page 81: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

Economia

Corriere Economia

di Marco Sabella

A Piazza Affari pioggia di cedole Caccia ai migliori rendimenti

U na somma pari a 14,7miliardi sta per riversarsi sui

risparmiatori che investono a Piazza Affari. A tanto ammontano gli utili societari che verranno distribuiti agli azionisti tra maggio e giugno, nella campagna di stacco dividendi. Una somma imponente, che corrisponde a un rendimento medio (dividend yield) dell’intera borsa milanese del 3,15%, nettamente superiore al Btp trentennale, la cui cedola non raggiunge il 3%, e al decennale, che venerdì scorso ha chiuso poco sotto l’1,7%. Attualmente sono circa 20 le quotate in Piazza Affari che superano la soglia di un rendimento del 3%. Tra queste UnipolSai, un dividend yield del 7,4%, Eni (6,6%) e Snam (5,5%).

«Corriere Economia», in edicola domani con il «Corriere della Sera», analizza pregi e limiti del criterio di un alto dividendo nella selezione dei titoli azionari. Perché in questo momento Piazza Affari, nonostante la correzione delle ultime due settimane, continua a viaggiare con il vento in poppa e da gennaio registra un rialzo che ha raggiunto il 22%. Le azioni italiane, dopo uno storno di circa il 5% per l’incertezza sulla nuova crisi del debito greco e sull’improvviso aumento dei rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza, hanno ripreso a marciare a pieno ritmo. Ancora alla fine della scorsa settimana, dopo il voto in Gran Bretagna e i dati Usa sul lavoro, le borse europee hanno registrato un rialzo di oltre il 2%. Secondo i gestori, la crescita potrebbe ancora continuare, a patto che i segnali di ripresa dell’economia vengano confermati e che i tassi Usa subiscano un rialzo controllato e senza strappi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

DAL NOSTRO INVIATO

VICENZA La crisi del settimo an-no è scoppiata all’improvviso.Samuele Sorato, alla guida del-le Banca Popolare di Vicenzadal 2008, è pronto a dimettersi.Lo farà martedì, nelle mani delpresidente Gianni Zonin, in oc-casione di una riunione delconsiglio di amministrazionegià convocata. Ragioni di natu-ra personale sono alla base del-la motivazione che circola conmaggior insistenza. Ma in cittàci credono in pochi. Prendonocorpo invece le differenti visio-ni sul futuro della banca, avvia-ta con altre nove popolari a tra-sformarsi in Spa per effettodella riforma voluta dal gover-no Renzi, che pongono Soratoda una parte e Zonin dall’altra.Posizioni inconciliabili, soprat-tutto sulla scelta del partner,visto che l’atteso matrimoniocon Veneto Banca, punto di sin-tesi dei due, non è mai arrivatoalle pubblicazioni.

A meno di un mese dall’as-semblea dell’11 aprile, che havisto i vertici dell’istituto forte-mente contestati dai soci — acausa del taglio del valore delleazioni da 62 a 48 euro e del se-condo bilancio consecutivo inrosso, stavolta per 758 milioni dopo i 33 dell’anno precedente— Vicenza scopre la «sua»banca ancora più debole di co-me era apparsa negli ultimimesi. Il disorientamento è evi-dente. I proclami del presiden-te Zonin — ieri pomeriggio im-pegnato in una riunione — chesolo lo scorso anno dipingevala Vicenza come polo aggrega-tore nel mondo delle popolari,sembrano lontanissimi. La re-altà è ben diversa — il consiglioha delega per un nuovo au-mento da un miliardo — e larottura con Sorato alimenta idubbi sul futuro dell’istituto.

Sono state infatti appena co-municate alle organizzazionisindacali le linee guida di un

piano industriale che prevede la chiusura di 150 filiali delle654 attuali, 60 filiali aperte soloal mattino e 200 esuberi tra i5.500 dipendenti, in una ipote-si «stand alone». Numeri tuttida rivedere in caso di una pro-babile fusione.

Soprattutto sembra pesarel’indagine della Consob, cheproprio domani terrà il suo in-contro annuale con il mercatofinanziario all’Expo di Milano.Sotto la lente della commissio-ne guidata da Giuseppe Vegasle modalità con cui si sono rea-lizzate le due ultime operazionidi aumento di capitale e la fis-sazione del prezzo delle azioniche, come per tutte le popolarinon quotate, continua ad avve-nire con perizie di parte in unmercato fortemente illiquido.

Vicenza, la popolare piùgrande tra le non quotate, di-viene quindi il paradigma di unintero sistema. Zonin, che gui-da l’istituto dal 1996, ha già an-nunciato che non sarà lui a pre-siedere la banca quando — en-tro l’anno — verrà trasformatain spa. Ma è indubbio che nedeterminerà i destini. Il consi-

glio di amministrazione, dal-l’ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio, vice-presidente come Marino Bre-ganze, alla new entry MatteoMarzotto, fino agli imprendito-ri locali Roberto Zuccato, Giu-seppe Zigliotto e Nicola Togna-na, è tutto dalla sua parte. Enon potrebbe essere diversa-mente, visto quanto è cresciutala banca sotto la sua presiden-za.

Ma la separazione ormai cer-ta da Sorato, a soli tre mesi dal-la sua nomina ad amministra-tore delegato, con il ventilatoritorno a Vicenza, per la terzavolta, di Divo Gronchi, apre aun futuro più complesso diquanto già non sia.

Domani, o al più tardi marte-dì prima della riunione del cda,fissata per le 15, è previsto ilprossimo incontro tra Zonin eSorato. Ma più che per avvici-nare le parti, servirà per defini-re i dettagli di una separazioneche sarà, secondo copione,«consensuale» e «priva di at-triti».

Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA

La vicenda

� La Popolare

di Vicenza è

uno degli

istituti passati

sotto la

vigilanza unica

della Bce e tra

le 10 popolari

maggiori che

dovranno

trasformarsi in

banche spa

� La popolare

vicentina ha

tentato di

proporsi come

aggregatore

nel futuro risiko

bancario. Le

mire, respinte,

sono state

verso Veneto

Banca

I numeri della Popolare di Vicenza

Proventi operativi

Oneri operativi

Risultato della gestione operativa

Rettifiche di valore

Risultato netto

Raccolta totale

Raccolta diretta

Raccolta indiretta

1.077,4 milioni

-669,1 milioni

408,3 milioni

-1.151,3 milioni

-497,1 milioni

49,5 miliardi

28,6 miliardi

20,9 miliardi

-0,7%

+1,8%

-4,4%

+153,3%

n.c.*

+2,5%

-2,0%

+9,4%

d’Arco*non confrontabile. Nel 2013 la perdita è stata di 32,2 milioni di euro

Bilancio 2014(dati in euro)

Variazionesul 2013

Livello di patrimonio (CET 1 ratio)

10,16%Numerosportelli

654

5.515 unità

Personale

di Fabrizio Massaro

Mps rivede l’utilema a Siena torna la BceSotto la lente un quarto dei crediti

� Il caso

L a Bce non smette diguardare da vicino ilMontepaschi.

Nonostante la verifica dei bilanci di fine ottobre e la verifica successiva («Srep»)sulla sostenibilità prospettica della banca (sfavorevole al Monte dei Paschi) gli ispettori di Francoforte si sono di nuovo presentati a Siena nelle ultime settimane e hanno messo sotto la lente praticamente un quarto degli impieghi (il 23%) e l’8% dei prestiti deteriorati. Sono stati verificati il portafoglio immobiliare residenziale per 29,8 miliardi e i portafogli «Institutional» (1,7 miliardi), «Project Finance» (1,8 miliardi) e Shipping (1,3 miliardi) che erano rimasti fuori dal comprehensive assessment del 2014. Le risultanze della Bce — spiega Mps nella nota sui conti trimestrali — sono state illustrate al consiglio solo in maniera preliminare. Finora l’effetto è di circa 41 milioni su 35 miliardi di impieghi, che non si sa ancora che effetto avranno nel bilancio anche se «non sono attesi impatti contabili significativi». Attenzione, però: la valutazione è stata fatta con i criteri in vigore a fine 2014: «La ricalibrazione dei parametri», avverte Mps, «potrebbe comportare, coeteris paribus, un incremento delle rettifiche statistiche». Comunque ormai non c’è praticamente più niente da controllare: «Si può complessivamente affermare che è stata analizzata, a più riprese e con modalità diverse, la maggior parte del portafoglio crediti in bonis e la pressoché totalità dei crediti in default». L’attenzione dell’istituto guidato da Fabrizio Viola è ora spostata sulla chiusura del derivato Alexandria con Nomura — ultima pesante incognita sui conti —, sull’accelerazione nel recupero dei crediti deteriorati e, dal punto di vista strategico, verso l’aggregazione chiesta dalla Bce. Mps ha dalla sua il ritorno all’utile per 72,6 milioni dopo 2 anni e 9 mesi: una base per convincere il mercato a sottoscrivere 3 miliardi di aumento di capitale.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

BanchieriIn alto il

presidente della

Pop Vicenza

Gianni Zonin,

77 anni e, sotto,

il consigliere

delegato

Samuele

Sorato, 54 anni

Exor verso la cessione di Cushman negli UsaTpg Capital potrebbe rilevare il gruppo di servizi immobiliari per 2 miliardi. Accordo a giorni

L’indiscrezione è arrivata intarda serata: Tpg Capital, il fon-do Usa di private equity, sareb-be in trattative per acquistareCushman & Wakefield, una del-le maggiori società al mondonei servizi immobiliari. L’offer-ta sarebbe di 2 miliardi di dolla-ri, scrive Bloomberg, secondola quale Tpg Capital sarebbe intrattative avanzate con Exor, laholding del gruppo Agnelli chedetiene l’81% di Cushman. L’ac-cordo potrebbe essere annun-ciato la prossima settimana.

L’intenzione di vendere ilgruppo rilevato nel 2007 erastata confermata direttamentedal presidente John Elkann:«Abbiamo già avuto moltissi-me manifestazioni di interesse.

Avremo le idee più chiare tra fi-ne aprile e inizio maggio e sia-mo fiduciosi di poter chiuderel’operazione entro quel termi-ne». Ieri sera Exor non ha com-mentato le indiscrezioni sul-l’offerta di Texas Pacific Group.

Goldman Sachs e MorganStanley sono state incaricate diraccogliere le manifestazioni diinteresse e nei mesi scorsi si era parlato di offerte della con-glomerata cinese Fosun e dellaaustraliana United Global Capi-tal. Tpg, il fondo americanofondato nel 1992 punterebbe aunire Cushman & Wakefieldcon Dtz Group dando vita a uncolosso dell’immobiliare in grado di competere con CbreGroup e Jones Lang LaSalle, ri-

spettivamente prima e secondaazienda al mondo.

Se le cifre saranno confer-mate, la vendita di Cushman &Wakefield potrebbe eguagliareil record dell’operazione Sgs,ceduta da Exor nel 2013 per 2miliardi di euro con un guada-gno netto di 1,5 miliardi. Pro-prio in questi giorni Exor lavo-ra anche all’offerta da 6,4 mi-liardi, in contanti, per la com-pagnia di riassicurazionePartner Re. Martedì il consigliodovrebbe discutere l’operazio-ne e potrebbe valutare un rilan-cio dopo un primo stop da par-te dei vertici della compagniaUsa.

Corinna De Cesare© RIPRODUZIONE RISERVATA

La holding

� Exor,

la holding

della famiglia

Agnelli guidata

da John

Elkann,

detiene l’81%

di Cushman

& Wakefield

10,1miliardi di euro

il valore netto

degli

investimenti di

Exor

51,3per cento La

quota della

famiglia Agnelli

dentro la

holding Exor

Popolare Vicenza, ribaltone al verticeIl ceo Sorato verso l’uscita. Le distanze con Zonin sulla spaPotrebbe rientrare Gronchi. Consob indaga sugli aumenti

Banche

di Stefano Righi

Page 82: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

la Repubblica

20

DOMENICA 10 MAGGIO 2015

EconomiaFINANZA&MERCATI

CONTATTI

[email protected]

Niente rincari Irpef in 13 RegioniLazio, Liguria e Piemonte: aliquote su

LO STUDIO DELLA CGIA

ROMA. Buone notizie in materia di tasse, tranne che per iresidente in Lazio, Liguria e Piemonte. Nel 2015 la grandemaggioranza delle Regioni italiane ha deciso di nonaumentare l’addizionale regionale Irpef. Rispetto allo scorsoanno, in 13 Regioni la situazione è rimasta inalterata, in 2 lealiquote sono addirittura diminuite e in altre 3 il ritocco è statoleggerissimo. Solo in 3 Regioni — Lazio, Liguria e Piemonte —gli aumenti sono abbastanza consistenti, soprattutto per icontribuenti con redditi che superano i 35.000 euro. L’analisi èstata effettuata dalla Cgia. L’anno di riferimento di questaelaborazione è quello di competenza e pertanto, il pagamentoeffettivo avverrà l’anno successivo: nello specifico, l’importodelle addizionali regionali Irpef del 2014 viene versatoquest’anno e quello di competenza per l’anno in corso nel2016. «Va segnalato — osserva Giuseppe Bortolussi, segretarioCgia — che la quasi totalità delle Regioni, nonostante i taglidecisi dalla legge di Stabilità, ha scelto di non aumentarel’aliquota fino al livello massimo, opzione che è stata sfruttatasolo dal Piemonte, per i redditi oltre i 75.000 euro, e dal Lazio».

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MILANO. Al consiglio diamministrazione della BancaPopolare di Vicenza (Bpvi) dimartedì si metteranno le cartesul tavolo. E si capirà seeffettivamente - come sembra agiudicare dalle voci - l’attualeconsigliere delegato e direttoregenerale, Samuele Sorato, faràun passo indietro, o se invece lacrisi ai vertici della bancavicentina si ricomporrà. Se l’adsi dimetterà, al suo postopotrebbe tornare a Vicenza unavecchia conoscenza di Bpvi: ilbanchiere Divo Gronchi, classe1939. Di certo la possibile uscitadal gruppo di Sorato destasorpresa. Tanto per cominciareperché il banchiere, classe1960, era stato nominato adsoltanto a febbraio, mentre giàdal 2008 ricopriva la carica di dge dal 2002 quella di vice dg.Insomma, Sorato lavorava daanni nella banca e i suoi rapporticon un capo carismatico eaccentratore come il presidenteGianni Zonin erano bencollaudati. Eppure c’è chi ha

parlato di una fratturainsanabile proprio con Zonin,sebbene sembri che la decisionedi chiamarsi fuori l’abbia presaSorato, che avrebbe già firmatola sua lettera di dimissioni. La possibile uscita suscitastupore anche per l’attuale fasedelicata che la banca attraversa.Dopo avere passato, in autunno,i test della Bce per il rotto dellacuffia, le autorità di vigilanzacontinuano a marcare strettoBpvi. Da inizio anno, la Bce haavviato due ispezioni, mentre èin corso quella di Consob (chepare abbia anche inviato unquestionario ai soci), focalizzatatra l’altro sulla recenteriduzione del prezzo delle azioninon quotate, da 62,5 a 48 euro.Intanto a marzo, dopo nuovesvalutazioni, l’istituto è statocostretto ad aumentare leperdite del 2014 a 758,5 milionidai 497 precedentementeindicati. Sullo sfondo, lacomplessa trasformazione insocietà per azioni e la possibilitàdi convolare a nozze con un altroistituto, magari la concorrenteVeneto Banca. Ciononostante,Sorato aveva messo a punto unpiano industriale «improntatoall’autonomia». Che prevede lachiusura di 150 filiali e 200esuberi ed è stato presentato aisindacati venerdì. Ma a parlarecon loro non c’era Sorato.

Popolare Vicenzascossone al verticeVoci di dimissionidell’ad SoratoMartedì la verità

IL PUNTO

CARLOTTA SCOZZARI

C’è chi parla di frattura insanabilecon il presidente ZoninSpunta l’ipotesi Divo Gronchi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

AL TIMONE

SamueleSorato èconsiglieredelegato edirettoregeneraledella Bpvi

ROBERTO PETRINI

ROMA. La mina delle sentenzedella Corte costituzionale suiconti pubblici rischia di esplo-dere ancora. Mentre i tecnicidel Tesoro e di Palazzo Chigistanno faticosamente tentan-do di individuare una soluzioneal buco di oltre 17 miliardi perla restituzione delle mancateindicizzazioni ai pensionati, al-tri rischi si profilano all’oriz-zonte. Anche in questo casostanno venendo al pettine i no-di delle scelte di finanza pub-blica fatte durante la crisi e laCorte è chiama da decidere suinumerosi ricorsi. In prima li-nea, per importanza, c’è quellodel 23 giugno: tra poco più di unmese la Consulta sarà chiama-ta a stabilire se il blocco deglistipendi del pubblico impiego,valutato in 5 anni di 12 miliar-di, è più o meno legittimo. LaCorte si è già espressa su que-sto tema in passato: allora boc-ciò i ricorsi spiegando che l’e-mergenza economica potevagiustificare i sacrifici, ma «perun tempo limitato». Ora sonopassati altri due anni, nuovi ri-corsi sono giunti sul tavolo del-la Corte, e dunque il «tempo li-mitato» potrebbe essere rite-nuto trascorso e la sentenza po-trebbe imporre la restituzione.

La partita non finisce quiperché nei prossimi giorni laCorte sarà chiamata a deciderese l’aggio dell’8 per cento chie-sto da Equitalia sulle somme ri-scosse a ruolo sia legittimo omeno (costo 2-3 miliardi). Si at-tende anche un nuovo pronun-ciamento sulle pensioni: si trat-ta di quelle veramente d’oro,oltre 14 volte il minimo, circa90 mila euro, sulle quali il go-verno Letta ha reintrodotto il

contributo di solidarietà.Dopo le polemiche si comin-

ciano a tirare le somme. L’ideaè quella di Padoan di «minimiz-zare» i costi rispettando nelcontempo Consulta e Bruxel-les. Quadratura non facile cherichiede la scelta, peraltro im-plicitamente prevista dallaCorte, di tutelare i redditi piùbassi dall’inflazione o di preve-dere una restituzione per fa-

sce. Le ipotesi sul tavolo vannodunque dalla fissazione di unasoglia oltre la quale non si re-stituisce nulla (potrebbe esse-re cinque volte il minimo, cioècirca 2.300 euro), acconten-tando così circa la metà degli ol-tre 5 milioni aventi diritto, al-l’altra opzione che prevede unaindicizzazione per «scaglioni»:piena sotto i 1.400 euro, e via avia sempre più ridotta al salire

dell’assegno (da tre a quattrovolte il minimo il 95% fino al50% da 5 a 6 volte il minimo).In entrambe le soluzioni gli ar-retrati potrebbero essere resti-tuiti a rate ai pensionati.

La soluzione «parziale» scel-ta dal governo, con relative gra-dazioni, è imposta dall’equili-brio del bilancio pubblico e dal-le regole europee. Sebbene laCommissione abbia fatto capi-re che non vuole tenere il fiatosul collo dell’Italia sulla granaprevidenziale, il percorso dirientro del deficit nominale (ilfamoso 3%) è a rischio. L’inte-ro ammontare del “pacchetto”previdenziale da restituire - ar-retrati più nuovi assegni total-mente all’intera platea - è di cir-ca 17 miliardi. Di questi, 8,7 so-no gli arretrati della mancataindicizzazione 2012-2013 e2014-2015 (primi cinque me-si) dove l’indicizzazione va in-tegrata: il calcolo va rifatto conuna base più alta e bisogna ve-rificare i consuntivi dei tassid’inflazione. Per i sette mesi

del 2015 che abbiamo di fron-te, con la sentenza esecutiva, inuovi assegni dovranno porta-re con sé tutti i calcoli integra-tivi: il costo è di 1,9 miliardi. Aregime, 2016-2017, il costosarà di 3,4 miliardi all’anno.

La cifra critica è rappresen-tata dagli 8,7 miliardi di arre-trati e l’1,9 dell’incremento de-gli assegni per quest’anno. Sitratta di 10,6 miliardi che por-terebbero il deficit nominaledel 2015, attualmente al 2,5%tendenziale (2,6 come obietti-vo) intorno al 3%. Mentre il de-ficit strutturale, che è al nettodelle una tantum quali sono gliarretrati, risentirebbe soloparzialmente dell’effetto-Con-sulta e non sarebbe ostacolatopiù di tanto il cammino verso ilpareggio di bilancio. L’opzionepotrebbe essere di ricorrere inparte al deficit, in parte a nuo-ve coperture e in parte alla mi-nore spesa per interessi dello0,1% del Pil già messa in bilan-cio per quest’anno.

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Equitalia e stipendi statalimine da 15 miliardi sui continuovo bivio alla ConsultaDopo la sentenza sulle pensioni la Corte Costituzionale deve decideresull’aggio dell’8% per la riscossione e sul blocco degli aumenti nella Pa

INDICIZZAZIONE

ART. 36 COSTITUZIONE

L’articolo 36 dellaCostituzione della Repubblicaprevede che illavoratore abbia unaretribuzione proporzionataalla quantità e alla qualità delsuo lavoro e in ogni casosufficiente ad assicurare a sé ealla famiglia una esistenzalibera e dignitosa. Prevededunque un costanteadeguamento deltrattamento pensionistico allaretribuzione

L’ART. 38

L’articolo 38 dellaCostituzione della Repubblicastabilisce che i lavoratorihanno diritto adavere assicurati mezziadeguati alle loro esigenze divita in caso di infortunio,malattia, invalidità e vecchiaia,disoccupazione volontaria. Ildettato costituzionaleprevede che a questi compitiprovvedano organi e istitutipredisposti e integrati dalloStato

PAREGGIO CONTI

ART. 81

L’articolo 81 dellaCostituzione è statomodificato nel 2012 conl’introduzione del pareggio dibilancio, previstoopzionalmente dal Trattatosul Fiscal Compact. Secondo ilnuovo articoloall'indebitamento èconsentito solo in circostanzeeccezionali e previaautorizzazione delle Camereadottata a maggioranzaassoluta

1,3 mldEUROTOWER SALATA

I costi di realizzazione dellanuova sede Bce a Francofortesono saliti da 850 milioni a1,3 miliardi. Lo ha ammesso ilpresidente Mario Draghi

PROVINCIA DI SIENA SETTORE SERVIZI PER L’IMPIEGO E POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO

AVVISO PER MANIFESTAZIONE DI INTERESSE PER

PARTECIPAZIONE A PROCEDURA RISTRETTA

Il Settore Servizi per l’Impiego e Politiche Attive del Lavoro intende

acquisire manifestazioni di interesse per l’affidamento della realizzazione

di SERVIZI DI YOUTH CORNER, per la durata di 4 mesi, da esperire

con le modalita della procedura di cui all’art. 27 del D. Lgs. n.163/06.

La manifestazione d’interesse alla partecipazione alla procedura ristretta

dovra pervenire entro e non oltre le ore 13 del giorno 18/05/2015 presso

il Settore Servizi per l’Impiego e Politiche Attive del Lavoro, Via

Massetana 106 – 53100 Siena. Importo a base di gara soggetto a ribasso:

81.165,50, compresa IVA al 22%.

Criterio di aggiudicazione: offerta economicamente piu’ vantaggiosa ai sensi

dell’art.83 del D.Lgs. n. 163/2006. L’Avviso integrale e pubblicato sul sito

della Provincia di Siena www.provincia.siena.it e sul portale

www.impiego.provincia.siena.it nella Sezione tematica “Bandi”.

IL DIRIGENTEDr.ssa SIMONETTA CANNONI

Pier Carlo Padoan

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ASSICURAZIONI

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MF

Numero 086, pag. 12 del 05/05/2015

MERCATI

Il budget sarà impiegato in sviluppo informatico e nel potenziamento del welfare

Reale Mutua, 70 mln per crescereIl neo direttore generale Filippone: altri 20 milioni saranno destinati al lancio del nuovo marchio unico per tutte le società del gruppo. La Spagna resterà centrale ma guardiamo anche altri mercati

di Anna Messia

Una staffetta generazionale in totale continuità manageriale, che allo stesso tempo ha però l'obiettivo di

proseguire il profondo cambiamento strategico avviato da Reale Mutua già negli ultimi anni. Così Luca

Filippone, 48 anni, nuovo direttore generale della prima mutua italiana, definisce la sua nomina alla guida

della compagnia. Dal primo maggio il manager, già vicedirettore generale della compagnia, ha preso il posto

di Luigi Lana, che dal 2007 era alla guida del gruppo e che resterà ad della

partecipata Italiana Assicurazioni, oltre che consigliere di società controllate. Si

tratta comunque di un riassetto importante, che avviene in un momento in cui il

gruppo presieduto da Iti Mihalich è impegnato in piani di crescita e di sviluppo che

comporteranno investimenti complessivi di 90 milioni e l'ulteriore espansione

internazionale del gruppo, in cerca di un terzo mercato dopo Italia e Spagna.

Domanda. Dottor Filippone, quali sono gli investimenti che avete in programma e

a cosa serviranno?

Risposta. La nostra compagnia ha 187 anni di storia ma in questi anni non ha mai

smesso di guardarsi intorno e di ammodernarsi, mantenendo la rete agenzia come punto centrale del piano

di crescita. Abbiamo un budget di 70 milioni per sviluppare progetti strategici che passano per lo sviluppo

informatico e digitale, oltre che per il potenziamento del gruppo nel mondo del welfare, dove pensiamo di

poter crescere molto. Oltre a questo ci sono altri 20 milioni che saranno utilizzati per il lancio del nuovo

marchio che abbiamo presentato oggi (ieri per chi legge, ndr). Un nuovo brand che sarà utilizzato da tutte le

nove società della compagnia e che arriva dalla consapevolezza che Reale Mutua è ormai un gruppo, in cui

le partecipate operano in sinergia, dall'Italia alla Spagna, con forti legami con il territorio ma anche in un'ottica

internazionale.

D. A proposito di sviluppo internazionale, continuerete a crescere in Spagna?

R. Il mercato iberico è arrivato a rappresentare il 25% dei 3,8 miliardi di fatturato complessivo di Reale

Mutua. Siamo il secondo gruppo assicurativo italiano per internazionalizzazione. Abbiamo un'importante rete

di agenti e tra l'altro siamo partner del Bbva per alcuni prodotti Danni. In Spagna ci sono ancora spazi di

crescita profittevoli ma guardiamo anche ad altri mercati.

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D. Quali e con quale orizzonte temporale?

R. Potremmo porre le basi quest'anno per uno sbarco da realizzare magari l'anno prossimo. Intanto abbiamo

lanciato Reale Ites, la piattaforma informatica utilizzata già da Italia e Spagna, che potrebbe facilitare

l'integrazione di altre realtà. La scelta è tra mercati europei, più vicini a noi ma che hanno il difetto di essere

più maturi, o in alternativa mercati con maggiori tassi di crescita, che sono però per forza di cose più rischiosi.

Tra i secondi potremmo guardare al Sudamerica, che è un mercato per alcuni versi simile a quello spagnolo

che potrebbe far da trampolino. Mentre in Europa, oltre all'Est, potremo guardare la Francia, dove le

compagnie organizzate in forma di mutua hanno uno spazio importante nel Paese.

D. Parlando di mutua, quali sono i vantaggi che pensate di riconoscere ai vostri soci?

R. Quest'anno, a valere sul bilancio 2014 chiuso con un utile consolidato di 172,7 milioni, stiamo

riconoscendo benefici di mutualità complessivi di 10,5 milioni, non solo per i soci di Reale Mutua, ma anche a

vantaggio dei clienti delle altre società del gruppo, come le partecipate spagnole o Italiana Assicurazioni,

anche se sono spa. Negli ultimi nove anni abbiamo riconosciuto un totale di 72 milioni e ovviamente contiamo

di aumentarli l'anno prossimo. Il 2015 è partito bene con il Danni che continua a mantenere ritmi di crescita

dell'anno passato, nonostante la contrazione del resto del mercato, mentre nel Vita, dopo il boom del 2014, è

in atto un riposizionare ti dalla gestioni separate, a causa dello scenario dei bassi tassi d'interesse.

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FINANZA & MERCATI 05 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LA FORMA

MUTUALISTICA

Mihalich: «Da 187 anni è la nostra forza e non è in discussione» Quest’anno in distribuzione benefici per 10,6 milioni

Assicurazioni. Presentato il nuovo brand unico di gruppo - Il neo dg Filippone: «Aspettiamo il

partner giusto»

Reale pronta all’M&A, ma resterà mutuaReale Mutua assicurazioni cambia logo e diventa Reale Group. Compare l’inglese, a

conferma dei piani di crescita (soprattutto all’estero) e scompare il riferimento alla

mutualità, ma solo perché dentro al gruppo ci sono realtà con forme diverse e non

perché si intenda cambiare pelle: «Da 187 anni è la nostra forza, e non è in

discussione», ha tagliato corto ieri il presidente, Iti Mihalich, al termine della

presentazione del nuovo logo di gruppo.

Questione di forma, che però si accompagna a diversi passaggi di sostanza: la

successione tra il direttore generale Luigi Lana e Luca Filippone, nei fatti operativa da

ieri, la riorganizzazione del gruppo attraverso un piano che prevede 70 milioni di

investimenti (dei quali 20 supporteranno il cambio di brand e di conseguenza del

profilo del gruppo) e il rinnovato impegno in un piano di crescita per linee esterne

dettato «dall’ambizione di poter entrare in altri mercati», come ha detto ieri Filippone,

che era vice direttore generale dal 2007.

Una 'R' gialla stilizzata su fondo blu sarà il segno comune e distintivo sotto il quale

opereranno le 9 imprese del gruppo in Italia e in Spagna. Perché «già oggi siamo il

secondo gruppo assicurativo italiano per attività all’estero», come ha sottolineato

Filippone, ricordando che il 25% dei ricavi arriva dalla Spagna. Reduce da un bilancio

approvato la scorsa settimana che vede utile quasi raddoppiato a 172,7 milioni, 3,7

miliardi di raccolta premi (+7,1%) e un combined ratio pari al 91%, il gruppo guarda a

nuove opportunità di crescita:«Non ci facciamo prendere dallo spasimo della crescita

internazionale», dice ancora Filippone, «aspettiamo di trovare il partner giusto ma

intanto ci prepariamo al meglio».

Un dato è certo: chiunque sia, non porterà il gruppo a mettere in discussione la forma

mutualistica: «Grazie alla forma mutualistica abbiamo sempre mantenuto la nostra

autonomia e indipendenza, e in questi anni non abbiamo mai chiesto neanche un euro

a nessuno», ha ribadito Mihalich. Anzi, semmai a Torino lo sforzo è quello di

estendere i benefici mutualistici anche ai clienti di società del gruppo che hanno una

forma diversa; per la cronaca, sul bilancio 2014 sono previsti 10,6 milioni di benefici

di mutualità, di cui oltre la metà - 6 milioni - verrà dirottata sul ramo danni.

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Ma.Fe.

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gioca in assemblea

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PRIMA PAGINA 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Regole. Il decreto sarà varato dal Cdm: inizialmente la competenza era dell’Ivass

Resta alla Consob la vigilanza sui prodotti

finanziari-assicurativi

Restano in capo alla Consob i poteri di vigilanza sui prodotti finanziario-assicurativi.

Nello schema di decreto legislativo, che recepisce la direttiva Ue “Solvency II” e che è

atteso sul tavolo del Consiglio dei ministri per il varo definitivo - forse già oggi, al più

tardi domani -, il controllo su questi prodotti dall’elevato profilo di rischio è stato

restituito all’Authority presieduta da Giuseppe Vegas dopo che l’esecutivo ha recepito

i pareri espressi dalle commissioni parlamentari competenti, obbligatori ma non

vincolanti.

Nel provvedimento uscito da Palazzo Chigi il 10 febbraio scorso, in sede di esame

prelimanre, la vigilanza, finora esercitata dalla Consob, era stata infatti assegnata

all’Ivass (che vigila sul mercato assicurativo italiano).

Celestina Dominelli pagina 33

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Resta in capo a Consob la vigilanza sui prodotti assicurativi complessi

La Finanziaria resta blindata

Buona la prima (e anche la seconda) per la Consob

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FINANZA & MERCATI 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

I RISULTATI L’utile di UnipolSai balza a 310 milioni spinto dalla vendita di titoli governativi italiani: in valore assoluto restano però a 27,7 miliardi

Polizze. Cimbri: un azionista come noi può essere utile

Unipol si candida

per il risiko Popolari

«Un gruppo assicurativo di queste dimensioni può essere un’azionista utile

nell’ambito del processo di aggregazioni tra banche popolari». Con queste parole

Carlo Cimbri, ceo di Unipol e di UnipolSai, ha candidato la compagnia di Bologna ad

essere attore del prossimo riassetto societario che interesserà il mondo bancario. Un

ruolo, evidentemente, che potrebbe maturare all’interno di un processo di

valorizzazione di Unipol Banca, istituto «risistemato», e per il quale si sta

considerando, senza nulla di concreto allo stato, un futuro diverso. Magari in asse con

Bper, come questo stesso giornale ha raccontato il 3 aprile scorso. Di certo, ha però

sottolineato Cimbri, la priorità è assicurare una «corretta valutazione» dell’asset e, in

questo senso, fondamentali «saranno i piani industriali» dei potenziali soggetti

aggregatori.

Continua pagina 21 Laura Galvagni

Continua da pagina 19 Se questa è la strategia in tema bancario, sul fronte

assicurativo, business centrale della compagnia, il ceo ha rimarcato che resta fermo

l’attuale piano industriale fino a scadenza, ossia fino a fine anno. Solo allora e con il

nuovo cda in carica, già a giugno però verrà nominato il nuovo amministratore

delegato, verranno ridefinite le linee guida. Di conseguenza, per il 2015 farà fede la

politica di pay out a suo tempo definita e pari 60-70% dei profitti.

Il mercato ha maturato particolare interesse per la cedola dopo la diffusione dei

risultati del primo trimestre chiusi con un vero e proprio balzo dell’utile. UnipolSai ha

infatti registrato profitti per 310 milioni, contro i 186 milioni dell’anno precedente

mentre Unipol Gruppo ha chiuso con un risultato positivo di 312 milioni dai 132

milioni del primo scorcio del 2014. Un’ascesa, ha spiegato Cimbri, «fortemente

influenzata dalla contabilizzazione di plusvalenze da realizzo sul portafoglio titoli»

legate a «una ridefinizione dell’asset allocation in merito alla composizione

portafoglio e in particolare dei titoli di stato». In sostanza, Unipol ha ridotto

l’esposizione verso i governativi italiani. In realtà, lo ha fatto solo in misura

percentuale. Lo scorso anno a marzo gli investimenti erano pari a 46,1 miliardi, ora

sono 51,6 miliardi (5 miliardi in più legati alla maggiore raccolta nel vita e alla

rivalutazione degli investimenti). Di questi circa 27,7 miliardi sono in titoli di Stato

del Paese, la stessa somma di un anno fa. Con una differenza, però, evidentemente

Unipol è passato alla cassa su quei titoli ad alto rendimento che sul piano del prezzo

avevano già corso parecchio per reinvestire in altri titoli governativi italiani. L’esito

della manovra è stata una somma di plusvalenze che ha incrementato sensibilmente i

profitti. «Gli effetti si sono scaricati in gran parte nei primi mesi dell’anno e hanno

portato la redditività del portafoglio di investimenti a valori non convenzionali, vicini

all’8%. Non continueremo però su questi livelli, questa redditività non è replicabile»,

ha detto l’amministratore delegato, indicando in circa «450 milioni» le plusvalenze

realizzate nel trimestre. Dai dati contabili resi noti, per UnipolSai i proventi da

strumenti finanziari ammontano a 432 milioni contro i 128 milioni del primo trimestre

2014. Non a caso il risultato ante imposte di UnipolSai è stato di 470 milioni contro i

323 dell’anno precedente. Sul fronte industriale, la raccolta diretta assicurativa si è

attestata a 3.742 milioni di euro in discesa del 4,1% al netto della cessione del ramo

d’azienda ad Allianz. In particolare, nel danni la raccolta è stata di 1.801 milioni

(-5,6% sempre al netto di Allianz) mentre nel vita è stata di 1.941 milioni (-2,7%). Sul

fronte della reddittività nel settore danni il combined ratio del primo trimestre è

risultato pari al 96,1% contro il 94,1% dell’anno scorso. In merito alla dinamica

dell’indicatore, Cimbri ha spiegato che non vede ragioni per modificare l’indicazione

del 95% di combined ratio per fine anno prevista a piano. Complice il fatto, ha

CORRELATI

Unipol si candida per il risiko delle Popolari

Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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sottolineato, che ad appesantire l’andamento tecnico del trimestre sono state

inondazioni in Toscana a marzo che hanno aggiunto un paio di punti al combined

ratio. Quanto al margine di solvibilità, il Solvency I a fine marzo era pari al 170%. E,

in vista di Solvency II, la nuova normativa che verrà introdotta a fine anno, il ceo ha

assicurato che dal prossimo trimestre verranno fornite le prime indicazioni.

Infine, Cimbri ha dato qualche indicazione anche sul comparto immobiliare. Il

manager ha ricordato che la compagnia «è in fase avanzata con la Regione Toscana

per il Centro Oncologico Fiorentino» e, «auspicabilmente entro quest’anno, il

processo dovrebbe concludersi». Sul fronte Atahotel, dopo un lungo processo di

ristrutturazione, è atteso un contributo positivo per la fine dell’esercizio e lo stesso

vale per le Tenute del Cerro. Per Marina di Loano, invece, Unipol lavora «a contenere

l’impatto economico e trovare una posizione più adeguata rispetto al portafoglio di

investimenti di una compagnia assicurativa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Laura Galvagni

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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BANCA D ’ITALIA

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PRIMA PAGINA 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

GLI ALTRI POTERI

Assegnata alla Vigilanza anche la possibilità di fissare gli odg dei consigli, stabilire i tetti degli stipendi e vietare le cedole

REGOLE. ?RECEPITA CON DECRETO LEGISLATIVO LA DIRETTIVA CRD4:?VIA NAZIONALE POTRÀ FAR DECADERE CONSIGLIERI E DIRIGENTI SE C’È «PREGIUDIZIO PER LA BANCA»

Bankitalia potrà rimuovere i banchieriI poteri di intervento di Banca d’Italia sulle banche di rilevanza nazionale si allargano. E, così come accade a livello europeo per la Bce, che monitora le banche maggiori, diventano sempre più pervasivi. La novità fondamentale è che d’ora in poi Bankitalia avrà il potere di rimuovere i vertici delle banche di dimensioni medio-piccole, circa 500 istituti (soprattutto Bcc) che non rientrano sotto la vigilanza di Francoforte. Una misura invocata da tempo dalla Vigilanza, e su cui l’Italia arriva in ritardo rispetto alle indicazioni europee. Fino a ieri, il nostro paese non aveva infatti ancora recepito la direttiva 2013/36/Ue, meglio conosciuta come Crd4 (la scadenza era il 1 gennaio 2014). Con il decreto legislativo sugli enti creditizi approvato dal Consiglio dei ministri, il Governo colma questa lacuna - per cui era stata avviata anche una procedura d’infrazione - e dà nuova forza alla vigilanza prudenziale di Bankitalia. Nel dettaglio, a Palazzo Koch viene assegnato il potere di rimuovere «uno o più esponenti aziendali» delle banche quando la loro permanenza in carica sia di «pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca». Introdotta anche la possibilità per Banca d’Italia di disporre la rimozione dell’intero board, quale misura alternativa alla gestione provvisoria e all’amministrazione della banca (il cosiddetto potere di removal) come peraltro raccomandato dal Fondo monetario internazionale. Non solo: il decreto assegna alla Vigilanza anche poteri intermedi come la facoltà di fissare l’ordine del giorno dei Cda; proporre l’assunzione di determinate decisioni societarie; procedere alla convocazione degli organi collegiali; fissare limiti all’importo totale della parte variabile delle remunerazioni interne; vietare determinate operazioni o di distribuire utili. A essere inasprite sono anche le sanzioni, che arrivano fino a 5 milioni e vengono applicate non solo alle persone fisiche ma anche agli stessi intermediari, ai quali potrà essere inflitta una multa fino al 10% del fatturato. Il potere di rimozione riguarda peraltro anche gli organi di Sim, Sgr, Sicav, Sicaf. Il decreto riforma anche la disciplina dei requisiti dei manager e dei partecipanti al capitale e integra «i requisiti oggettivi di onorabilità e di professionalità» con «criteri di competenza e correttezza». In applicazione del principio in base al quale gli esponenti debbono dedicare un tempo adeguato all’espletamento del proprio incarico, é prevista anche «una disciplina dei limiti al cumulo degli incarichi».Nel provvedimento vengono introdotti infine anche i meccanismi per la segnalazione di eventuali violazioni normative, sia all’interno dell’ente sia verso l’autorità di vigilanza, da parte del personale delle banche, il cosiddetto “whistleblowing”. E così pure viene riformata la disciplina delle sanzioni amministrative: viene sancito il passaggio a un sistema che sanzionerà in primo luogo l’ente e «solo sulla base di presupposti individuati nel decreto legislativo» anche l’esponente aziendale o la persona fisica responsabile della [email protected]© RIPRODUZIONE RISERVATALuca Davi

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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CASSA DEPOSITI E PRESTITI

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MF

Numero 089, pag. 3 del 08/05/2015

PRIMO PIANO

Sarà la dotazione della spa per la patrimonializzazione delle aziende in crisi

Fondo Salvaimprese da 2 miliardiDalla Cdp e da altri enti pubblici, che godranno di una garanzia statale di copertura sino al 20% delle perdite,arriveranno 1,5 miliardi. La differenza a carico di banche e fondi. Presto il bando internazionale

di Stefania Peveraro

È in attesa di firma il decreto attuativo dell'articolo 7 dell'Investment Compact che vara il cosiddetto Fondo

Salvaimprese, la cui dotazione, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, sarà a regime di 2 miliardi di

euro. La spa promossa dal governo per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese italiane in

temporanee difficoltà patrimoniali e finanziarie, ma con buone prospettive industriali ed economiche, infatti,

sarà sostenuta inizialmente con capitali pubblici di Cassa Depositi e Prestiti e di altri enti (per esempio circola

il nome dell'Inail). Ci saranno poi altri 250 milioni che saranno investiti nelle principali quattro-cinque banche

italiane, che metteranno sul piatto i loro crediti verso le aziende in questione. Gli

ultimi 250 milioni saranno messi a disposizione da investitori specializzati e cioè

da fondi cosiddetti di turnaround.

Al momento la ricerca degli investitori è ancora in fase informale. Soltanto dopo

la firma del decreto, infatti, gli advisor del governo, Vitale&Associati e il top

manager Andrea Guerra, si attiveranno nella gestione di una gara pubblica

formale, che sarà preceduta dalla pubblicazione di un bando internazionale. «Ci

stiamo concentrando sulla definizione di una società che opera secondo i

principi di economicità e convenienza propri degli operatori privati di mercato»,

aveva detto a fine marzo Claudio De Vincenti, l'allora viceministro allo Sviluppo

Economico (oggi nuovo sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, al posto di Graziano Delrio),

in occasione del suo intervento al convegno annuale di Aifi (Associazione Italiana del Private Equity e del

Venture Capital), aggiungendo: «Stiamo mettendo anche a punto i dettagli della garanzia statale che potrà

essere richiesta dagli azionisti in possesso di particolari categorie di azioni». Secondo quanto risulta a MF-

Milano Finanza, la garanzia statale sulla quale si è trovato un accordo è la copertura fino al 20% delle perdite

eventualmente sofferte dagli investitori di emanazione pubblica.

Quanto ai potenziali soggetti interessati a concorrere, tra i private equity esteri si fanno i nomi di Kkr,

Cerberus e Apollo Management, mentre tra gli italiani l'unico operatore attivo è Orlando Italy, guidato da

Enrico Ceccato, Andrea Nappa e Paolo Scarlatti.

Quest'ultimo ha appena lanciato la raccolta del secondo fondo con un target di 150-200 milioni, in linea con il

fondo precedente, oggi totalmente investito. Nel momento in cui dovesse essere selezionato per partecipare

Pagina 1 di 2Fondo Salvaimprese da 2 miliardi - MilanoFinanza.it

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al Fondo Salvaimprese, Orlando girerebbe sulla nuova iniziativa i capitali raccolti per questo nuovo fondo.

Orlando potrebbe essere particolarmente gradito alle banche italiane, visto che per le sue ultime operazioni

ha proposto agli istituti finanziatori una soluzione particolarmente innovativa in tema di write-off

(cancellazione) dei crediti.

A parità di condizioni, infatti, il write-off richiesto alle banche in cambio dell'investimento di nuovo equity da

parte del fondo per il rilancio delle aziende da acquisire a rischio di fallimento è stato più basso di quanto di

norma si sarebbe visto in operazioni simili. E questo perché Orlando ha chiesto e ottenuto dalle banche che il

proprio equity avesse una seniority superiore rispetto al debito bancario e che quindi venisse remunerato

prima. Una soluzione simile è stata per esempio adottata nel caso della ristrutturazione del debito delle

profumerie Limone e in quello di Fnac. (riproduzione riservata)

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Pagina 2 di 2Fondo Salvaimprese da 2 miliardi - MilanoFinanza.it

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UNIONE EUROPEA

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CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 4 MAGGIO 2015 7

Volti Tre economisti e un politico: chi dovrà accordarsi con l’ex troika. Entro l’estate Atene deve rimborsare 11 miliardi, ma in cassa ne ha 4,5

Grecia Quatto moschettieri per l’operazione salvataggioCommissariato Varoufakis, ora si tenta la carta della sobrietà e delle riforme concordate. I rapporti con DraghiDI FABRIZIO GORIA

Sono quattro i negoziatoriche devono salvare la Gre-cia: Euclid Tsakalotos,Nikos Theocarakis, Geor-

ge Chouliarakis e Yannis Draga-sakis. Tre economisti puri e unpolitico con formazione economi-ca per evitare il secondo fallimen-to sovrano del Paese in tre anni.

Il loro compito è riuscire dove ilministro delle Finanze Yanis Va-roufakis ha per ora fallito, ovveropresentare una lista di riforme alBrussels group, la vecchia troikacomposta da Fondo monetario in-ternazionale (Fmi), Banca centra-le europea (Bce) e CommissioneUe, con l’aggiunta dello Europeanstability mechanism (Esm). Ladata chiave è oggi, quando i credi-tori internazionali inizieranno avalutare i progressi di Atene con iquattro moschettieri ellenici.

John Nash, il matematico padredella moderna teoria dei giochi,studiata per anni da Varoufakis,scrisse che «l’equilibrio c’è quan-do nessuno riesce a migliorare inmaniera unilaterale il propriocomportamento. Per cambiare,occorre agire insieme». Un con-cetto che però non sembra chiaroal titolare del dicastero finanzia-rio ellenico. Il suo commissaria-mento de facto, si dice nei corridoidella Commissione Ue, è fruttodell’atteggiamento radicale di Va-roufakis, che non mostra segni diapertura verso il Brussels group.

Lungo corsoLa figura più importante del

quartetto è Dragasakis, il vice pri-mo ministro nel governo guidatoda Alexis Tsipras. Nato a Creta nel1947, è un politico di lungo corso,essendo in Parlamento dal 1989.Ha studiato all’Università di Ate-ne, dove si è laureato in un corsodi Economia e Politica, e si è per-fezionato nel Regno Unito. All’in-terno dei palazzi europei è consi-derato un politico «corretto epragmatico». Buoni sono i rap-porti con il presidente dell’Euro-gruppo Jeroen Dijsselbloem e conil numero uno della Bce MarioDraghi. Durante l’ultimo verticedei ministri finanziari della zona

euro, in cui Varoufakis fu definitodai colleghi «un dilettante», Dra-gasakis ha tentato di riportare lacalma. Secondo fonti della Com-missione Ue, è stato lui a fare damediatore fra il ministro greco egli altri.

ConsigliereDello stesso tenore di Draga-

sakis è Tsakalotos, già vice mini-

stro alle Relazioni economiche in-ternazionali del governo Tsipras.In pratica, colui che assisteva e consigliava Varoufakis nei verticieuropei e non solo. Nato nel 1960a Rotterdam, nei Paesi Bassi, haeffettuato a lungo ricerca all’este-ro. Laurea e dottorato in Econo-mia a Oxford, poi ha insegnato al-l’Università di Kent, per poi torna-re in patria, all’Università di Ate-ne. Nonostante abbia pocaesperienza politica — è stato elet-to in Parlamento nel 2012 -—hasaputo ricavarsi un ruolo crucialenelle negoziazioni degli ultimimesi. Dice di lui uno degli sherpadel Fmi: «È consapevole dei rischiche corre la Grecia se non ci saràun accordo entro il 30 giugno, e siè sempre dimostrato collaborati-vo, senza preconcetti o pregiudizi.Sa che il bene del Paese e dei suoicittadini viene prima delle posi-zioni oltranziste». In pratica, unavelata critica all’approccio di Va-roufakis, considerato dai policy-maker europei troppo dogmatico.

FinanzaE poi c’è Theocarakis, nomina-

to Segretario generale per la poli-tica fiscale da Tsipras. Originariodi Atene, l’economista 59enne cheha studiato a Cambridge e inse-gna Economia politica all’univer-sità della capitale, condivide lostesso pensiero economico di Va-roufakis. Ma a differenza di que-st’ultimo, Theocarakis è consape-vole che un cambiamento di ver-

so, dall’austerity a misure per lacrescita, è possibile solo all’inter-no di un programma di salvatag-gio concordato con il Brussels group. Uomo mite e riflessivo, piùa suo agio lontano dai riflettori, secondo alcuni dei presenti all’ul-

timo Eurogruppo di Riga ha pre-so in modo netto le distanze daVaroufakis, ricordandogli quanto fosse poca la liquidità nelle cassedell’erario ellenico. Del resto, cosìè. Secondo i calcoli di Barclays, tramaggio e agosto la Grecia deverimborsare ai creditori prestitiper circa 11 miliardi di euro, a cuivanno aggiunti circa 1,5 miliardimensili per il pagamento di salaripubblici e pensioni. E nelle cassedel Tesoro, secondo le stime diBloomberg, ci sono poco più di4,5 miliardi di euro.

PragmatismoInfine, c’è l’ultimo componente

del quartetto, cioè Chouliarakis,l’economista più europeista delgruppo. Attualmente è un lectu-rer all’Università di Manchester, posizione ricoperta dopo una lau-rea in Economia all’Università di Atene, un master all’Università diLondra e un dottorato, sempre inEconomia, a Warwick. Il suo cam-po d’azione principale è l’intera-zione fra la macroeconomia e ilmercato del lavoro, ma non solo.Chouliarakis è da un decennio ap-passionato dell’analisi delle unio-ni monetarie e delle politiche eu-ropee di integrazione economica.A differenza di molti suoi colleghinon considera l’euro un errorestorico, ma è sicuro che una for-ma migliore dell’attuale sia possi-bile. Una forma che comprendaanche la Grecia, ovviamente.

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L’ODISSEA ESTIVAIl doloroso calendariodi restituzione dei crediti

MAGGIO

1miliardo

GIUGNO

1,7miliardi

LUGLIO

4,7miliardi

AGOSTO

3,6miliardi

TOTALE

11miliardi

Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis

s.F.

I nuovi esponenti contrari a Grexit, ma le trattativenon saranno facili

1 Sulla scena

EsecutivoYannisDragasakis, è il vice primo ministro nel governo di Alexis Tsipras

AccordiNikos Theocarakis, Segretario generale per la politica fi-scale

ConsigliEuclid Tsakalotos, assisteva Varoufakis nei vertici europei

Esm Jeroen Dijsselbloem presidente del consiglio dei governatori dell’Esm

La crisi del debitoI personaggi

Primo piano

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PRIMO PIANO 05 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

POSSIBILE LO

SQUILIBRIO La sentenza della Consulta apre le porte a un ammanco tra lo 0,3 e lo 0,6% del Pil che rischia di portare il deficit allo sforamento del 3%

Commissione Ue. Oggi le stime di primavera: crescita dell’1,4% nel 2016

Bruxelles avverte: qualsiasi buco di bilancio va

compensato

BRUXELLES

La recente sentenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto invalida la scelta

dell’allora Governo Monti di abolire l’indicizzazione di alcune pensioni, ha

bruscamente creato nuova incertezza sul futuro dei conti pubblici italiani, proprio

mentre negli ultimi mesi l’immagine dell’Italia qui a Bruxelles si era rasserenata. La

vicenda giunge mentre la Commissione europea sta finalizzando nuove e attese

raccomandazioni-Paese, previste a metà mese.

Ufficialmente la Commissione europea ha preferito non commentare la sentenza della

Corte costituzionale, rinviando qualsiasi presa di posizione a oggi, quando l’esecutivo

comunitario pubblicherà nuove previsioni economiche per il 2015-2017.

Privatamente, esponenti comunitari sottolineavano ieri che qualsiasi buco di bilancio

va compensato. La decisione della Corte apre le porte a un ammanco tra i 5 e i 10

miliardi di euro, pari allo 0,3-0,6% del prodotto interno lordo.

«Da un punto di vista tecnico, la risposta della Commissione è chiara: nel caso

bisogna ripianare il buco cercando risorse altrove. In una ottica politica, la partita è

aperta», spiegava ieri un alto responsabile europeo. Il nodo è politico non solo perché

il tema è delicato, ma perché la stessa Commissione rischia di essere in ambasce.

Tradizionalmente, Bruxelles e Francoforte hanno sempre dato battaglia contro

l’indicizzazione all’inflazione di pensioni e salari.

In questo senso, la sentenza pone la stessa Commissione in una posizione difficile. La

decisione giudiziaria giunge peraltro in un contesto economico ancora molto incerto e

mentre il margine di manovra del governo italiano sul fronte dei conti pubblici è

limitato. Nel 2014, il deficit è stato pari al 3% del Pil. Per quest’anno sia Roma che

Bruxelles prevedono un disavanzo del 2,6% del Pil, al netto dell’impatto della

sentenza costituzionale (la nuova stima dell’esecutivo comunitario è attesa per oggi).

C’è evidentemente il rischio che la messa in pratica della sentenza provochi uno

sforamento del tetto del 3% del Pil, con tutte le conseguenze in termini di procedura di

deficit eccessivo, di valutazione degli investimenti cofinanziati dall’Unione, e di

calcolo dell’aggiustamento minimo strutturale. Secondo le voci raccolte qui a

Bruxelles – in attesa di conferma, anche alla luce della decisione costituzionale –

l’esecutivo comunitario prevederebbe per l’anno prossimo un deficit del 2,0% del Pil.

Sempre nel 2016, Bruxelles stimerebbe una crescita dell’1,4% e un tasso di

disoccupazione del 12,4% (rispetto all’1,3 e al 12,6% stimati in febbraio). «In

generale l’impressione è che in Europa la ripresa di queste ultime settimane sia

determinata da fattori congiunturali più che da elementi strutturali», spiega un

responsabile europeo. Tornando all’andamento dei conti, Bruxelles ha deciso a inizio

anno di non imporre ulteriori misure di riduzione del debito pubblico italiano in

cambio di riforme economiche.

«Nella sostanza – continua il responsabile europeo – nelle sue prossime

raccomandazioni-Paese la Commissione noterà in Italia uno scostamento tra la

verbosità della classe politica e la realtà delle riforme economiche, ma dirà che il

Paese sta andando nella giusta direzione. Non dovrebbe esserci un inasprimento dei

toni». Nel mirino di Bruxelles saranno il mercato del lavoro, il sistema processuale e

soprattutto il settore bancario, oberato da sofferenze e ormai diventato una urgente

riforma strutturale a sé stante.

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Beda Romano

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PRIMO PIANO 05 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’ANALISI

Ora si riapre con la Ue la partita della

flessibilitàLa tegola che si è abbattuta sui conti pubblici in seguito alla sentenza della Consulta,

che ha dichiarato illegittime le norme del decreto salva Italia del governo Monti in

materia di blocco della perequazione per le pensioni superiori a tre volte il minimo

Inps, impone la revisione dei target di finanza pubblica appena trasmessi con il Def

alla Commissione europea. Si tratta di un impatto calcolabile in circa 12 miliardi. Alla

ricerca della soluzione tecnica e della copertura, il governo prova per ora a prendere

tempo, con l’occhio rivolto a Bruxelles, dove si gioca gran parte della partita.

Richieste di chiarimenti sono in arrivo da Bruxelles, proprio a ridosso delle nuove

stime che verranno diffuse oggi. Si istruisce la pratica, e la soluzione verrà affidata

con ogni probabilità a un provvedimento ponte che di fatto passerà la palla alla

prossima legge di stabilità. Sono con ciò compromessi gli spazi di manovra che il

governo sta faticosamente costruendo, per spuntare margini di flessibilità grazie alle

riforme già varate? Non necessariamente, anche se la partita indubbiamente si

complica. Svanisce il “tesoretto” ma si possono utilizzare margini sul deficit 2015

(che salirebbe al 2,8% rispetto a un “tendenziale” del 2,5%), fermo restando che la

copertura (qualsiasi siano le modalità di restituzione delle somme, che pare verranno

spalmate in diverse rate) va garantita a regime. Sulla carta, se il deficit nominale non

supererà il tetto massimo del 3%, si potranno invocare comunque i margini di

flessibilità previsti dal cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità. In questo

caso, non più il prolungato effetto della recessione, ma il “dividendo” da riforme, che

negli auspici del governo consentirebbe di utilizzare uno spazio pari allo 0,4% del Pil

(6,4 miliardi) nel percorso di riduzione del deficit strutturale.

La soluzione che il governo individuerà per la tegola-pensioni non potrà che prevedere

il peggioramento dei saldi per gli esercizi coinvolti dal blocco, dunque il 2012 e 2013,

ma gli effetti di trascinamento pesano anche sul 2014 e gli anni a venire. Poiché da tre

anni ci si muove sul filo del 3%, il rischio è notevole. Ecco perché si ragiona su

meccanismi “mirati” di restituzione, nel complesso intreccio tra gli spazi che la

sentenza della Consulta lascia teoricamente aperti (limitando ad esempio il blocco alle

fasce di reddito da pensione più alte) e la disciplina di bilancio europea.

Gli spazi negoziali vi sono, dunque, e non pare al momento compromesso il beneficio

atteso dal “quantitavite easing” sia sul fronte dei tassi, che su quello potenziale della

crescita e del deprezzamento del cambio. Il crinale però è ora decisamente più stretto

rispetto a pochi giorni fa, e tutto lascia immaginare che la prossima legge di stabilità

(che già ipoteca 10 miliardi attesi dalla spending review) sarà chiamata a sanare

diverse (e non proprio secondarie) partite contabili.

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Dino

Pesole

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PRIMO PIANO 06 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

APPUNTAMENTO

ALLA BCE Il nuovo team di negoziatori ha incontrato Draghi, in attesa oggi della decisione della Banca centrale sui finanziamenti di emergenza

Sempre più lontana l’intesa con la Grecia

Il governo Tsipras accusa Ue e Fmi: lo stallo è a causa delle spaccature tra di voi

FRANCOFORTEScendono in campo i nuovi negoziatori della Grecia, che ieri pomeriggio hanno fatto tappa a Francoforte dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, mentre si fa strada la convinzione che neanche all’Eurogruppo di lunedì prossimo si arriverà a un accordo sul programma economico di Atene, che possa sbloccare i fondi ancora pendenti, circa 7,2 miliardi di euro.Il vice primo ministro greco, Yanis Dragasakis, è arrivato nel tardo pomeriggio di ieri alla Bce, accompagnato dal viceministro degli Esteri, Euclidis Tsakalotos. È il nuovo team designato dal premier Alexis Tsipras, dopo che l’irritazione dei creditori internazionali con il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, accusato di mancanza di concretezza nel negoziato e di rivolgersi agli interlocutori con l’aria di chi sta impartendo una lezione, aveva raggiunto il punto di rottura. A quanto risulta, lo stesso Draghi, che pure aveva stabilito un rapporto con Tsipras già mesi prima che fosse eletto, ha condiviso la difficoltà di procedere nella trattativa, i cui tempi e margini di manovra si fanno sempre più stretti, con un team a guida Varoufakis, peraltro non ufficialmente esonerato.L’incontro con il presidente della Bce era cruciale per il Governo di Atene, in quanto dall’istituzione di Francoforte dipende l’assenso al continuo finanziamento delle banche greche attraverso l’Ela, lo sportello di emergenza della Banca centrale nazionale. Oggi stesso, il consiglio della Bce rivedrà l’ammontare dell’Ela, che ha ormai raggiunto 77 miliardi di euro, ma che dipende, come Draghi avrà ricordato anche ieri ai suoi interlocutori, dal fatto che le banche rimangano solvibili e abbiano il collaterale da presentare in garanzia. A quest’ultimo proposito, appare altamente improbabile che la Bce decida oggi di alzare lo scarto di garanzia, il cosiddetto haircut, sul collaterale greco, in quanto questo significherebbe di fatto uno strangolamento del sistema bancario e sarebbe l’anticamera dell’uscita della Grecia dall’euro. Una decisione che Draghi non vuole certamente prendere da solo, e soprattutto non ora che sono ancora in corso le trattative fra Atene e i suoi creditori, secondo fonti Bce. Anche sulla rimozione del tetto dei 3,5 miliardi di euro di buoni del Tesoro greci che le banche possono usare come collaterale, tetto imposto per evitare che venga aggirato il divieto di finanziamento monetario del Governo, è improbabile una decisione prima che ci siano sviluppi nella trattativa. Difficilmente però i negoziati arriveranno a un punto di svolta lunedì a Bruxelles. Lo hanno ammesso ieri sia Varoufakis (che in mattinata ha incontrato a Parigi il ministro francese Michel Sapin, ieri sera il commissario europeo Pierre Moscovici, oggi sarà a Roma e nei prossimi giorni a Madrid) sia il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. Nonostante i progressi degli ultimi giorni, riconosciuti da tutti, viene ritenuto improbabile che un programma definito sia pronto in tempo per l’Eurogruppo. Tuttavia, Sapin ha sostenuto che «un buon compromesso è possibile». Dall’inizio della vicenda, la Francia ha cercato di tenere una linea più conciliante nei confronti di Atene, rispetto ad altri partner europei. Quel che ci si può attendere lunedì, secondo diverse fonti coinvolte nel negoziato, è al più un attestato dei recenti progressi. Una fonte del governo di Atene ha attribuito ieri l’impasse alla spaccatura tra i creditori internazionali, osservando che è impossibile un accordo quando il Fondo monetario insiste su riforma delle pensioni e del lavoro, mentre la Commissione europea esige il rispetto degli obiettivi di bilancio.Contraddizioni alla luce delle quali, secondo la fonte, il governo greco avrebbe deciso di non legiferare sulle riforme in mancanza di un accordo. Ue e Fmi dovrebbero coordinare meglio richieste e messaggi, ha detto la fonte. Resta da vedere come la Grecia farà fronte agli impegni più imminenti, compresi gli oltre 900 milioni di euro dovuti all’Fmi martedì prossimo. Tsipras ha parlato in queste ore, oltre che con il cancelliere tedesco Angela Merkel, anche con il direttore dell’Fmi,

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Torna l'avversione

Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore

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Christine Lagarde, dopo che sono uscite indiscrezioni di stampa secondo cui il capo del dipartimento europeo Paul Thomsen avrebbe indicato la necessità di una nuova ristrutturazione del debito greco, oggi quasi interamente in mano a creditori pubblici, e avrebbe chiarito che solo se i creditori europei accettassero di svalutare parte dei propri crediti, l’Fmi sarebbe disponibile a sborsare la propria quota di aiuti. Fonti del Fondo hanno però specificato che in realtà Thomsen aveva solo sottolineato il peggioramento della sostenibilità del debito greco. In una nota, l’Fmi ha poi chiarito che Thomsen aveva messo in evidenza il compromesso che servirebbe nella fase attuale: quanto più le misure e gli obiettivi concordati si allontanano dagli impegni del 2012, tanto maggiore sarà la necessità di finanziamenti aggiuntivi e di una riduzione del debito, per renderlo sostenibile. © RIPRODUZIONE RISERVATAAlessandro Merli

al rischio, tagliate stime Pil Usa

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 06 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL QUADRO

GENERALE Bruxelles prende atto della ripresa nella zona euro, ma sottolinea che dipende da fattori di breve termine come il cambio e il prezzo del greggio

Le previsioni di primavera. Riviste al ribasso le stime sulla crescita, al rialzo quelle sul deficit e

soprattutto sul debito, al 180,2% del Pil quest’anno

La Commissione boccia i conti di Atene

BRUXELLES

Nuove stime economiche sul futuro della Grecia, pubblicate ieri dalla Commissione

europea, hanno confermato quanto le trattative in corso con i creditori internazionali

siano difficili, e quanto un accordo su nuovi aiuti finanziari sia urgente. Le previsioni

sull’evoluzione dei conti pubblici sono particolarmente pessimistiche, tanto che è

tornata in auge la possibilità di una ristrutturazione del debito greco, proprio mentre la

zona euro nel suo insieme è in graduale ripresa.

Secondo l’esecutivo comunitario, la crescita quest’anno in Grecia sarà di appena lo

0,5% (rispetto al 2,5% stimato in febbraio). Il debito pubblico aumenterà al 180,2% del

prodotto interno lordo, dieci punti percentuali in più rispetto a quanto previsto appena

tre mesi fa. Il deficit pubblico sarà del 2,1% quest’anno e del 2,2% l’anno prossimo,

mentre appena nel febbraio scorso la Commissione europea prevedeva addirittura degli

attivi di bilancio, rispettivamente dell’1,1 e dell’1,6% del Pil.

Le nuove stime giungono dopo che notizie di stampa hanno sottolineato l’angoscia del

Fondo monetario internazionale per il nuovo degrado del bilancio greco (si veda Il Sole

24 Ore di ieri). Atene e i suoi creditori stanno negoziando nuove misure economiche di

modernizzazione dell’economia che devono servire alla Grecia per strappare nuovi

aiuti finanziari per 7,2 miliardi di euro. Le trattative hanno subito una accelerazione,

ma un accordo definitivo non è vicino.

In una conferenza stampa, il commissario agli Affari monetari Pierre Moscovici ha

spiegato che la revisione al ribasso delle previsioni è stata «inevitabile». Si legge nel

rapporto pubblicato dalla Commissione europea: «Lo slancio positivo è stato spezzato

dalle incertezze dopo l’annuncio di elezioni anticipate in dicembre». In questo

contesto, «l’assenza attuale di chiarezza» sulla politica del governo nei confronti dei

creditori internazionali «sta facendo peggiorare la situazione».

Dinanzi al degrado dei conti pubblici, il Fondo rischia di chiedere misure ancora più

impegnative o addirittura una nuova ristrutturazione del debito pubblico, una ipotesi

che aleggia fin dal 2012, ma che i partner europei (per ora) non vogliono prendere in

considerazione. Interpellato dalla stampa, Moscovici ha respinto l’idea di discutere un

taglio del debito greco fin tanto che non c’è un accordo su un programma di riforme

che sia «coerente e dettagliato».

Più in generale, Bruxelles nel suo rapporto prende atto della ripresa nella zona euro, ma

ammette che a sostenere «un modesto recupero ciclico» sono «fattori di breve

termine». Tra questi il calo del cambio dell’euro, la diminuzione del prezzo del

petrolio, la politica monetaria accomodante. In questo contesto, il vice presidente della

Commissione europea Valdis Dombrovskis ha esortato i Paesi a modernizzare le loro

economie per far sì che la ripresa si riveli «sostenibile».

Nella sua conferenza stampa di ieri, Moscovici si è voluto più ottimista (o meno

realista?). Ha parlato di «vera ripresa ciclica». E ha aggiunto: «La primavera

economica è qui». A livello di unione monetaria, Bruxelles prevede una crescita

dell’1,5% nel 2015 (rispetto all’1,3% previsto in febbraio) e dell’1,9% nel 2016.

Secondo l’esecutivo comunitario, «l’incertezza sulle prospettive economiche rimane

elevata», ma i rischi sono «bilanciati».

Il quadro macroeconomico nella zona euro rimane comunque variegato, con alcuni

Paesi in una situazione migliore di altri, sia sul fronte della disoccupazione che su

quello dei conti pubblici. Da segnalare che la Francia, nel mirino di Bruxelles, sta

risanando i conti pubblici. La Commissione ha rivisto al ribasso le stime di deficit (al

3,8% del Pil nel 2015, rispetto un precedente 4,1%). Sempre nel 2015, la Germania in

compenso dovrebbe registrare un attivo di bilancio dello 0,6% del Pil.

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Beda Romano

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PRIMO PIANO 06 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

EFFETTO CONSULTA

Probabile si decida di far lievitare il deficit del 2015 intorno al 2,8%: una dote solo iniziale per sanare gli effetti della sentenza

In arrivo il no della Ue al reverse charge

Il governo valuta misure per evitare l’aumento delle accise - Padoan: sulle

pensioni lavoriamo a una soluzione, nessuna manovra

Con le nuove previsioni macroeconomiche diffuse ieri dalla Commissione europea sta anche per arrivare la più che probabile bocciatura alla norma contenuta nella legge di stabilità, che estende il meccanismo del reverse charge alla grande distribuzione. Una notizia non inattesa che però sarebbe parzialmente compensata dal via libera all’altra misura, anch’essa contenuta nel pacchetto antievasione (che nel totale vale 3,3 miliardi) relativa allo split payment. Il problema è che, con la bocciatura del reverse charge esteso alla grande distribuzione scatterebbe in automatico dal prossimo 1° luglio l’aumento delle accise per circa 700 milioni. Eventualità che fonti di governo si dicono pronte a scongiurare, e tra le ipotesi più accreditate ritorna in campo l’utilizzo parziale del cosiddetto “tesoretto”. In sostanza, si farebbe fronte attraverso il margine di maggior deficit quale emerge (come attesta il Def) dalla differenza tra il deficit tendenziale e quello programmatico (dal 2,5 al 2,6%). Si tratta di 1,6 miliardi che potrebbero servire proprio ad evitare l’aumento delle accise dal 1° luglio, mantenendo al tempo stesso un ulteriore margine per cominciare a individuare la copertura per sanare gli effetti della sentenza della Consulta. È probabile che si decida al tempo stesso di far lievitare ulteriormente il deficit del 2015 nei dintorni del 2,8 per cento. In sostanza, depurata dalla copertura necessaria ad evitare l’aumento delle accise, si tratterebbe di una “dote” di circa 4 miliardi. Copertura iniziale, perché l’impatto a regime della sentenza con cui la Corte costituzionale ha bocciato il blocco della perequazione automatica per le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo Inps (circa 1.405 euro lordi al mese) è ben più corposo. Calcoli precisi ancora non ve ne sono, ma si ragiona su una cifra che si attesta attorno ai 9 miliardi, scontando l’effetto in termini di maggior gettito Irpef connesso alla restituzione delle somme ai circa 6 milioni di pensionati coinvolti dal blocco. Il resto della copertura potrebbe essere individuato attraverso una diversa modulazione del blocco, che sarebbe limitato ai redditi più alti, e da ulteriori interventi sulla spesa corrente. Per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan il governo è al lavoro e «quanto prima» definirà un quadro quantitativo. «La Commissione Ue, con cui siamo in contatto continuo in questa e altre occasioni, si chiede come ci chiediamo noi quale sia l’impatto sui conti pubblici e sul rispetto delle regole, ma le regole saranno rispettate». Nessuna manovra correttiva all’orizzonte, assicura. Se questo è lo scenario, di certo reso più complesso dalla sentenza della Consulta, non mancano alcuni elementi di forza, che pongono i conti pubblici su un sentiero di sostanziale stabilità. In primis, per far fronte al gap che storicamente si è verificato negli ultimi anni con Bruxelles tra le previsioni macro “a politiche invariate” e quelle a “legislazione vigente”, sono stati appostati con la legge di stabilità stanziamenti già incorporati nei tendenziali di finanza pubblica per spese che comunque vanno previste nel corso dei singoli esercizi. È il caso degli stanziamenti per le missioni internazionali, il 5 per mille e la social card, e di tutte quelle spese qualificate come indifferibili al cui finanziamento si provvedeva prima della legge di stabilità del 2015 anno per anno. L’altro elemento di relativa tranquillità nello scenario dei conti pubblici è costituito dalle stime aggiornate sul versante della spesa per interessi. Alla luce dei più recenti andamenti dello spread e dei tassi, incorporando anche l’effetto del quantitative easing sui tassi, si calcola un minor esborso di circa 4 miliardi sia nel 2015 che nel 2016. È questo il vero “tesoretto” potenziale (Grecia permettendo come mostra la giornata di ieri) per contenere il deficit del 2015 e 2016 entro i target programmati, nonostante la tegola-pensioni. Infine, a parziale garanzia anch’essa della tenuta dei conti pubblici, si può annoverare una linea che fonti governative definiscono “prudenziale” per quel che riguarda le stime di crescita. Per il 2015, l’aspettativa è che si possa raggiungere lo 0,7%, più o meno la stessa previsione di

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Bruxelles (0,6%), mentre per il 2016 le stime convergono (1,4%). © RIPRODUZIONE RISERVATADino Pesole

verso il no della Ue

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PRIMO PIANO 06 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Le previsioni Ue. Il monito di Moscovici, Bruxelles pronta a una trattativa - Per il 2015 graduale ripresa, balzo dell’export ma alto debito

«L’Italia dica come compensare le pensioni»

BRUXELLESÈ un quadro italiano in chiaroscuro quello tratteggiato ieri dalla Commissione europea nelle sue ultime previsioni economiche. L’esecutivo comunitario prevede una «graduale ripresa», un balzo dell’export, un aumento dell’occupazione (in presenza di una disoccupazione sempre elevata). Quanto all’impatto della recente sentenza della Corte costituzionale sul sistema pensionistico e quindi sui conti pubblici, Bruxelles sembra aperta a una trattativa con il governo italiano.Sul fronte del bilancio, la situazione al netto di alcune incertezze dovrebbe migliorare, secondo la Commissione europea. Il deficit pubblico dovrebbe essere del 2,6% del prodotto interno lordo quest’anno e del 2,0% l’anno prossimo (rispetto al 3,0% del 2014). «Rischi a queste previsioni di bilancio sono legati a possibili ulteriori misure espansive annunciate nel programma di stabilità per il 2015 ma non ancora specificate», avverte però l’esecutivo comunitario nel suo rapporto.Il riferimento è alla possibilità che dal bilancio del 2015 emerga un surplus (un cosiddetto tesoretto), che il governo ha già detto potrebbe voler usare per aiutare l’economia. In questa fase, Bruxelles si è dimostrata pronta ad alleviare gli impegni di risanamento, ma vuole comunque che l’Italia prosegua nello sforzo di risanamento. «L’elevato debito è la principale sfida dell’Italia», ha detto il commissario agli affari monetari Pierre Moscovici.A pesare sulle stime è anche la sentenza della Corte costituzionale che ha considerato invalida la scelta del governo Monti di abolire l’indicizzazione di alcune pensioni. Se applicata pienamente, la sentenza potrebbe provocare un buco nel bilancio di circa 10 miliardi di euro. L’Italia è a rischio di sfondare nuovamente la soglia di un disavanzo del 3,0% del Pil. «Ci vorranno ancora giorni per valutare diversi scenari (…). Poi ne parleremo anche con la Commissione», spiega un funzionario italiano.Su questo fronte, lo stesso Moscovici ha precisato che l’atteso aumento dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) è stato incorporato nelle stime della Commissione europea. Quanto alla sentenza costituzionale, ha aggiunto: «Sappiamo che le autorità italiane stanno valutando la questione (...). Spetterà a loro capire come intendono o come bisognerebbe compensare le perdite per assicurare che l’Italia resti nel percorso di miglioramento» dei conti pubblici secondo le regole europee.Dietro alla presa di posizione di prammatica si nasconde in parte imbarazzo, se è vero che in questi anni la Commissione ha sempre criticato l’indicizzazione all’inflazione. Ciò detto, c’è il rischio che la messa in pratica della sentenza provochi uno sforamento del tetto del 3,0% del Pil, con tutte le conseguenze in termini di procedura di deficit eccessivo, di valutazione degli investimenti cofinanziati dall’Unione, e di calcolo dell’aggiustamento minimo strutturale. Nei fatti, Moscovici ha lasciato la porta aperta a un negoziato tra Roma e Bruxelles (si veda il Sole 24 Ore di ieri).L’esito delle trattative dipenderà dal modo in cui Roma affronterà la questione, ma anche dal suo impegno sul fronte delle riforme economiche. Se in questi anni la Commissione ha chiuso (in parte) gli occhi sull’andamento delle finanze statali, è anche perché in cambio ha strappato all’Italia misure di modernizzazione dell’economia. Nelle mani dell’esecutivo comunitario, la vicenda pensionistica può diventare un nuovo strumento per continuare a pungolare il paese al fianco. Secondo Bruxelles, la crescita italiana sarà dello 0,6% nel 2015 e dell’1,4% nel 2016. Il tasso di disoccupazione rimarrà elevato, ma calerà nei due anni al 12,4%, rispetto al 12,7% del 2014. L’occupazione salirà dello 0,6% nel 2015 e dello 0,8% nel 2016. Le esportazioni cresceranno del 3,8% quest’anno e del 4,9% l’anno prossimo. Il costo reale per unità di lavoro scenderà dello 0,1% nel 2015 e dell’1,5% nel 2016. La produttività del lavoro sarà stabile quest’anno, ma crescerà l’anno prossimo dello 0,6%.

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MF

Numero 088, pag. 4 del 07/05/2015

PRIMO PIANO

La campana suona per tutti, non solo per il governo diAtene

di Angelo De Mattia

Qualche settimana fa poteva sembrare impossibile che si arrivasse all'Eurogruppo dell'11 maggio e anche

quella riunione si concludesse con un nulla di fatto sulla questione Grecia. Purtroppo sin d'ora si dà per

scontato, da entrambe le parti, Grecia e Bruxelles, che bisognerà pensare a successive sedute, a partire da

giugno, per sperare in una soluzione (se ci si arriverà indenni) di questo gravissimo problema. Anche lunedì

prossimo, dunque, la seduta sarà interlocutoria. Ma il giorno successivo Atene dovrà rimborsare al Fmi circa

750 milioni di euro che, qualche tempo fa, il governo greco (che ieri ha comunque restituito al Fmi una

tranche di 200 milioni) pensava di potere rimborsare concludendo l'accordo con le istituzioni creditrici e

potendo così riscuotere, in tutto o in parte, il nuovo prestito di 7,2 miliardi. Ora, se non si concorderà una

dilazione, bisognerà ricercare soluzioni alternative, non potendo la Grecia, che ora starebbe progettando una

tassa speciale per le 500 famiglie più ricche, esporsi al gravissimo rischio di un default per il mancato

rimborso. Così, per le opposte resistenze, ci si sta incamminando verso una situazione dai rischi ancora più

evidenti, mentre sembra che la gravità del momento non sia avvertita. Addirittura trapelano notizie, poi in

parte smentite, che non possono che accelerare la corsa verso l'orlo del burrone, come quella secondo cui il

Fmi vorrebbe una nuova ristrutturazione del debito ellenico. Per quanto il ministro delle Finanze, Yanis

Varoufakis, che non è stato esautorato dal premier Alexis Tsipras, come molti giornali si erano affrettati a

comunicare, e che ieri si è incontrato a Roma con Pier Carlo Padoan, preveda che quella dell'11 maggio sarà

una seduta in cui si registreranno ulteriori progressi nelle trattative con i creditori, lo scoglio degli interventi sui

trattamenti pensionistici e sulle misure di carattere sociale-umanitario appare ancora insuperabile. Non si può

disconoscere che il governo greco abbia fatto passi avanti rispetto alle posizioni, per esempio, di febbraio;

ma questi non sono stati considerati da parte delle istituzioni creditrici, che hanno continuato a contestare

vaghezza e genericità degli impegni. Né si è voluto valutare, da parte di queste stesse istituzioni, il fatto che

la terapia propinata alla Grecia si è rivelata inadeguata o, quanto meno, ha dato risultati molto limitati, che

imporrebbero di rimeditare la filosofia delle politiche suggerite o imposte. Ma ciò che stupisce, e mostra i

grandi limiti del funzionamento degli organi della zona euro e dell'Ue, è che già siamo passati attraverso le

lungaggini dei rinvii, delle procrastinazioni, delle attese non si sa bene di quale evento, in una condizione

quasi di torpore e di inanità, e abbiamo potuto verificare in corpore vili i danni che queste condotte hanno

provocato moltiplicando, innanzitutto, gli oneri del risanamento; ma ciò, a distanza di tempo,

paradossalmente non appare ancora sufficiente a un rinsavimento, mentre in tal modo ci si candida, se si fa

la storia a partire dal momento della deflagrazione della crisi greca, a un bis o, addirittura, a un ter in idem.

Sempre più, dunque, questa vicenda, prima ancora della capacità del governo Tsipras di arrivare a una

soluzione, è l'ennesimo banco di prova della capacità dell'Europa e dell'architettura costruita con la moneta

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unica di affrontare e risolvere la prima seria crisi sopravvenuta dopo l'introduzione dell'euro. Un fallimento

nell'assolvere a questo compito provocherebbe una catastrofe, non solo e non tanto per l'effetto contagio,

non solo e non tanto perché l'uscita della Grecia dalla moneta unica costituirebbe un precedente che

stimolerebbe l'effetto imitazione, ma innanzitutto perché sancirebbe l'inadeguatezza dell'impalcatura che si è

costruita a fronteggiare casi di crisi, per di più in un Paese il cui pil rappresenta il 2 per cento di quello

europeo. Sarebbe chiara la miopia delle classi dirigenti europee; sarebbe evidente il ruolo negativo che la

Germania, con l'irremovibilità da un'ortodossia economica fallimentare in Grecia, svolge in un'area nella

quale sarebbe ammissibile una leadership, sì, ma illuminata e capace di guardare al futuro in un'ottica meno

egoisticamente nazionale. Ma sarebbe chiaro anche il danno dell'insostenibile divaricazione tra Fmi e

Commissione Ue, organismi che, entrambi, appaiono concentrati sulla gretta difesa di interessi di parte.

Stupisce, soprattutto, che, al punto in cui siamo arrivati, non siano i massimi esponenti politici europei a

scendere in cambio per realizzare un'intesa che non può non essere innanzitutto politica e, magari, limitata,

ma che dia il segnale che dopo circa quattro mesi di trattative un approdo sia pure circoscritto venga

raggiunto. Anche per imprimere così la spinta per compiere altri passi, avendo comunque alle spalle una

parziale intesa. La campana suona per tutti, non solo per il governo ellenico. Sarebbe un dramma se l'Ue e

l'Eurozona ne prendessero coscienza solo a disastro avvenuti. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 088, pag. 18 del 07/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Bene ridurre i rischi, ma gli Stati non possono trattare le banche come dei polli da spennare

di Roberto Ruozi

Le banche italiane hanno i loro problemi, dovuti in primo luogo all'incapacità di produrre redditi interessanti

per gli investitori e di aumentare il patrimonio tramite l'autofinanziamento; in secondo luogo, all'evoluzione

della regolamentazione, che si va facendo sempre più aggressiva e che – a parità di altre condizioni – rende

difficile il miglioramento della redditività.

Questi due fenomeni non sono affatto esclusivi dell'Italia, visto che affliggono le banche di molti altri Paesi,

dove sono anzi esasperati specie per la dimensione delle banche in essi localizzate, mediamente molto

superiore a quella delle banche italiane. La loro conoscenza può quindi essere utile non solo in termini

assoluti, ma anche perché ciò che accade all'estero rappresenta un punto di riferimento anche per i fatti di

casa nostra.

Inizierò raccontando la decisione di General Electric di cedere GE Capital, il braccio finanziaria i cui risultati

rappresentavano nel 2000 il 51% del reddito globale del Gruppo. GE Capital è una della quattro non-bank

americane dichiarate a rischio sistemico e quindi sottoposte a una vigilanza particolare, simile a quella

bancaria. Anche per il progressivo accentuarsi dei vincoli di vigilanza la redditività di GE Capital è

progressivamente scesa in termini assoluti e relativi. Nel 2014 il suo contributo al risultato del gruppo è così

calato al 28%. Nel contempo si è accentuata la diversificazione delle attività industriali di General Electric,

articolata oggi su energia, acqua, aviazione, petrolio, gas, sanità e trasporti. L'aumento della presenza in

questi settori è stato proprio motivato dalla perdita di redditività del settore finanziario. La Borsa e più in

generale gli investitori credono sempre meno nella finanza, e quindi penalizzano l'attuale struttura di GE, che

procederà perciò alla dismissione delle attività finanziarie, mantenendo solo quelle strettamente legate allo

sviluppo del comparto industriale classico, come il leasing aeronautico e il finanziamento dell'energia. In

sintesi, regolamentazione troppo vincolante e conseguente bassa redditività delle attività suddette sono

all'origine della decisione di GE.

Il secondo esempio interessante e istruttivo è quello di Hsbc e di Standard Bank, le due più grandi banche

britanniche, le quali hanno annunciato di voler trasferire all'estero le rispettive sedi legali. I due gruppi, già

protagonisti di vicende negative molto importanti, comprese le multe ricevute per violazioni di diverse leggi in

vari Paesi, hanno già provveduto a forti ristrutturazioni miranti a una migliore governabilità. Si pensi che Hsbc

fra il 2010 e il 2014 ha ridotto da 307 mila a 266 mila il numero dei dipendenti e da 87 a 73 il numero dei

Paesi in cui opera.

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Le motivazioni della svolta strategica dei due gruppi britannici sono essenzialmente due: a) l'incredibile

aumento della pressione fiscale sulle banche, che potrebbe accentuarsi dopo le prossime elezioni politiche;

b) le difficoltà applicative e i costi imposti dalle nuove norme sulla separazione fra le attività retail e quelle di

investimento. Si pensi che tali costi annui sono stimati per il sistema britannico in 4,4 miliardi di sterline. Ai

due fenomeni accennati si aggiunga che le banche inglesi non possono beneficiare dei massicci interventi

delle banche centrali utilizzati dai concorrenti dell'Ume e degli Usa, e questo le penalizza sul piano

competitivo. Nel complesso, ad evidenza, Hsbc e Standard Bank hanno visto i rispettivi redditi calare ancor di

più al di sotto dei livelli che nel passato avevano interessato gli investitori.

I due esempi dimostrano, da un lato, che le autorità politiche e monetarie continuano a considerare le banche

come polli da spennare per sanare le finanze pubbliche, ritenendo peraltro che i loro rischi siano eccessivi, e

quindi vadano vigilati sempre più strettamente. Questo a prescindere dall'effettiva efficacia dei controlli nel

raggiungimento degli obiettivi loro assegnati, e comunque a prescindere dai loro costi e dalle conseguenze

che tutto ciò produce sui conti economici. Va da sé che tale comportamento dimostra una scarsa conoscenza

della situazione delle banche e penalizza molto la loro capacità di sostenere lo sviluppo economico e sociale

dei territori in cui operano. Che le banche cerchino di ribellarsi – seppure in modi diversi, come sono quelli

prima esaminati – mi sembra perciò più che legittimo, anche se le conseguenti reazioni possono essere

negative per i Paesi in cui sono nate e cresciute e da cui si sentono in qualche modo tradite. (riproduzione

riservata)

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PRIMA PAGINA 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

GRECIA-EUROPA

La scommessa spericolata degli stregoni

ateniesi

A questo punto non basterà nemmeno trasformare Varoufakis in Ifigenia e sacrificarlo come la figlia di

Agamennone, per calmare gli dei. Non ci sarà l’accordo atteso per i prossimi giorni, perché il confronto tra Atene e

i partner europei si è di nuovo inasprito. Fino alle ultime ore il parlamento greco ha approvato leggi di spesa

pubblica in violazione degli accordi europei che richiederebbero la consultazione preliminare dei creditori. Ora,

spiega uno dei protagonisti delle trattative, i creditori chiedono ad Atene di accettare almeno una delle tre riforme

richieste: pensioni, lavoro o fisco. Poi si potrebbero liberare i fondi e fare programmi di maggior respiro. Ma Atene

risponde con aumenti di spesa e di tasse e con argomenti conflittuali che pongono la sovranità politica greca molto

sopra i diritti degli altri cittadini europei. I margini di salvezza ci sono ancora solo fino a giugno-luglio. Se per

allora non prevarrà il buon senso, assisteremo dunque a una delle crisi più stupide della storia umana.

Nonostante un’economia fragilissima, il governo Tsipras ha intrapreso il negoziato con spirito conflittuale e con

l’hybris di chi rischia il tutto per tutto. Raccogliendo fondi da ogni cassa pubblica, rinviando le spese per gli

ospedali e per investimenti già avviati, ha reso un fallimento negoziale ancora più costoso per la società greca. A

questo punto nemmeno i fondi decurtati degli ammortizzatori sociali sarebbero in grado di attutire il colpo. Ma lo

ha reso temibile anche per i creditori.

Le cifre dimostrano che la scommessa è stata spericolata. La revisione in corso sui conti pubblici greci - che forse

nessuno conosce veramente - è nell’ordine di grandezza di quella che tra ottobre e dicembre 2009 precipitò l’euro

area in una crisi interminabile. Il surplus primario del 2015 previsto al 4,8% sta diventando un deficit. Il debito

pubblico è tornato a salire e l’intera architettura di salvataggio greco è in bilico. Gli accordi di fine 2012

prevedevano una traiettoria in discesa del debito fino al 110% del Pil nel 2022. Per questo ora si torna a trattare su

un taglio a danno dei creditori, chiamati a pagare politiche a cui si opponevano.

Continua pagina 10 Carlo Bastasin

Continua da pagina 1 L o scontro politico tocca corde così profonde che i capi di governo da tempo hanno creduto

di raffreddarlo spostando l’intera trattativa sul tavolo dei ministri delle Finanze. Alla fine di maggio, con l’idea di

risolvere un argomento politico attraverso la tecnica finanziaria, le istituzioni europee avranno di fatto sospeso il

versamento ad Atene di 10 miliardi di euro. Tenendo conto del fabbisogno, Atene avrà accumulato un buco

superiore all’8% del Pil prima dell’estate. Un problema enorme che rende giugno-luglio lo spartiacque della

vicenda greca. Il paradosso è che superato il 2015 gli oneri del debito greco sarebbero molto bassi per molti anni.

Ma mantenere a livello tecnico questa trattativa non ha fatto diminuire le tensioni: ci sono Paesi a reddito più basso

di quello greco che non intendono tassare i propri contribuenti per finanziare Atene. Lo scontro tra sovranità si è

accentuato in assenza di una mediazione politica europea al più alto livello. Un accordo all’Ecofin che eviti esiti

traumatici non sembra quindi vicino senza cedimenti da parte del governo greco.

Per spavento o per saggezza, da Atene arriva qualche segnale di cambiamento. Al primo incontro con Merkel,

Tsipras aveva convinto Berlino di essere pronto a lasciare l’euro. Ora, né lui né Euclid Tsakalotos, che ha assunto

alcune delle competenze di Varoufakis, usano più la minaccia di abbandono della moneta unica. Essendo membro

di Syriza, Tsakalotos è in grado di mediare tra radicali e moderati nel partito-coalizione e ha preso atto che la

grande maggioranza dei greci vede nell’euro un simbolo di identità occidentale a cui non vuole rinunciare. Tanto

più in una fase di rinnovata tensione con la Turchia e di grave instabilità nel Mediterraneo.

Nel 2013 la Grecia aveva ricevuto aiuti dall’Ue per il 4,7% del suo Pil. Sette volte più di quanto era stato dato a

ognuno degli altri quattro Paesi sotto assistenza. Anche per questo, alcuni consiglieri esperti e conosciuti a

Bruxelles sono stati recuperati dal governo. Gli ultimi tecnici coinvolti nel team negoziale sono in sintonia con il

moderato vice premier Dragasakis. Inoltre, per la prima volta dal cambio di governo la Banca di Grecia è rientrata

nel negoziato. Fu il governatore greco a proporre lo scambio tra riforme “europee” e un allungamento delle

scadenze e un taglio degli spread che riportassero il debito sulla traiettoria concordata. Il taglio del net present

value del debito dunque arriverà, su questo non c’è una guerra tra l’Fmi e la Commissione europea. Ma solo dopo

l’approvazione del piano di riforme per quanto minimalista.

Nel frattempo tutti stanno sottovalutando la fuga dei depositi dalle banche greche, che alcuni indicatori segnalano

in ripresa. A Francoforte si calcola che le banche greche abbiano ancora una decina di miliardi in titoli che possano

essere usati come collaterale per ottenere liquidità dalla Bce. I tempi sono quindi stretti. Tutto converge a rendere

giugno-luglio il momento della verità. E la sensazione è che tutti gli apprendisti stregoni, non solo ad Atene, stiano

cominciando a spaventarsi.

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Carlo Bastasin

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PRIMO PIANO 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

BAILOUT RINNEGATO

Ad Atene via libera alla legge che smantella le riforme della pubblica amministrazione decise dal governo precedente in cambio di aiuti

Dalla Bce nuova boccata d’ossigeno ad Atene

L’Eurotower concede liquidità d’emergenza mentre il Parlamento greco vota

13mila riassunzioni

La Banca centrale europea ha acconsentito ieri all’aumento di 2 miliardi di euro della liquidità di emergenza concessa alla banche greche, per dar tempo al negoziato politico sul programma di Atene, anche se si è avuta la conferma ufficiale che lunedì prossimo non ci sarà alcun accordo finale alla riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles. «Sono stati fatti progressi - ha detto a Parigi il presidente del gruppo dei ministri finanziari della zona euro, l’olandese Jeroen Dijsselbloem – e ho ricevuto relazioni positive» dalle riunioni tecniche, ma «molte questioni restano da risolvere». È possibile che l’11 maggio l’Eurogruppo decida di emettere un comunicato in cui illustra i progressi compiuti, lasciando aperta la porta a una successiva intesa, che dovrebbe sbloccare i 7,2 miliardi di euro ancora non sborsati dai creditori internazionali in base al programma precedente.A Francoforte il consiglio della Bce, come ogni settimana, ha approvato la concessione di liquidità di emergenza alle banche greche, che viene realizzata dalla Banca centrale nazionale attraverso lo sportello Ela, autorizzando un aumento di 2 miliardi di euro a 78,9 miliardi. Il consiglio ha discusso anche la possibile imposizione di scarti di garanzia più severi, dato il deterioramento della situazione greca, ma ha voluto evitare di interferire con il negoziato in corso a Bruxelles, e assumersi la responsabilità di assoggettare Atene a un'ulteriore restrizione che potrebbe essere interpretata come la premessa per l’uscita della Grecia dall’euro. La questione dei cosiddetti haircut verrà rivista la settimana prossima e, con ogni probabilità, affrontata più direttamente alla riunione del consiglio del 20 maggio, soprattutto qualora la trattativa dovesse fallire.Martedì il presidente della Bce, Mario Draghi, aveva incontrato il vice primo ministro greco Yannis Dragasakis, cui il premier Alexis Tsipras ha affidato l’incarico di negoziare con i creditori internazionali, vista la contrapposizione creata con gli interlocutori dal ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. Dopo l’incontro con Draghi, Dragasakis ha sostenuto in un tweet che «le prospettive di un accordo sono realistiche» se tutti faranno la propria parte.Ieri, però, le tre istituzioni che trattano con Atene hanno dovuto con un comunicato congiunto replicare a una presa di posizione del Governo greco secondo cui il negoziato non procede a causa delle divisioni fra le istituzioni stesse. «Condividiamo - hanno scritto in una nota Commissione europea, Fondo monetario e Bce – lo stesso obiettivo di aiutare la Grecia a ottenere la stabilità finanziaria e la crescita». Atene intanto ha rimborsato ieri 200 milioni di euro al Fondo monetario. Altri 750 sono dovuti la prossima settimana all’indomani dell’incontro dell'Eurogruppo. Intanto il Parlamento greco ha adottato l’altro ieri un progetto di legge che punta a «riparare alle ingiustizie» nell’amministrazione pubblica e che prevede il reintegro di circa 4mila funzionari licenziati sulla scia delle misure di austerità imposte negli ultimi anni dagli accordi con i creditori internazionali e l’assunzione per la prima volta di altre migliaia di dipendenti pubblici per un totale di circa 13mila unità.Il progetto di legge intitolato «Democratizzazione dell’amministrazione, lotta contro la burocrazia e correzione delle ingiustizie» è stato votato da 157 deputati della coalizione della sinistra radicale di Syriza e del piccolo partito nazionalista di destra «Greci indipendenti» su 254 parlamentari presenti. La Camera unica greca è composta da 300 parlamentari. La legge prevede la riassunzione di migliaia di agenti di polizia municipale, bidelli, impiegati pubblici e insegnanti di istituti tecnici che erano stati messi in aspettativa poi licenziati in tronco, senza il processo di valutazione che era stato promesso. La norma permette anche l’integrazione di 9.000 persone che avevano ottenuto in teoria posti nella pubblica amministrazione greca tramite concorso, ma poi erano incappati nel «congelamento delle assunzioni» nel settore pubblico.

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Viene inoltre vietata la precettazione durante gli scioperi, vengono «instaurate convenzioni collettive» e «accelerate le procedure di assunzione del personale stagionale». L’opposizione di Nea Dimokratia e del Pasok ha votato contro e l’ex ministro conservatore dell’Amministrazione, Kyriakos Mitsotakis, un peso massimo nel mondo politico greco, ha accusato il governo di puntare solamente ad aumentare i ranghi dei funzionari pubblici. Mitsotakis ha ricordato che tra il 2009, all’inizio della crisi del debito in Grecia, e la fine del 2014, la spesa per salari degli statali è stata ridotta da 24 miliardi di euro a 15,7 miliardi. La legge votata l’altro ieri di iniziativa governativa era una promessa elettorale dell’esecutivo di Alexis Tsipras, e non mancherà di creare nuovi attriti con la ex troika.© RIPRODUZIONE RISERVATAVittorio Da RoldAlessandro Merli

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PRIMO PIANO 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

SPESA

PENSIONISTICA «Visto l’alto livello della spesa pubblica per pensioni la sua sostenibilità a lungo termine resta una priorità per l’Italia»

GLI?INTERVENTI

Ribadita l’esigenza di migliorare le infrastrutture, il mercato del lavoro, il sistema processuale e la riforma del sistema bancario

Bruxelles. Monitor sugli squilibri macroeconomici

La Ue: «L’Italia rispetti il patto sul bilancio»

Ora le raccomandazioni

bruxelles

Archiviate le stime economiche di primavera, pubblicate martedì scorso, la

Commissione europea sta finalizzando le nuove raccomandazioni-paese, attese per la

metà del mese. Nel mirino saranno i paesi che in questi ultimi tempi hanno trascinato i

piedi nel modernizzare le loro economie, come la Francia. Quanto all’Italia, l’Esecutivo

comunitario metterà l’accento su alcuni nodi; tra questi il settore bancario, il cui

riassetto è ritenuto alla stregua di una riforma strutturale.

Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, le nuove raccomandazioni-paese - che

dovranno essere fatte proprie dai ministri delle Finanze in una prossima riunione

dell’Ecofin - rifletteranno il cambio di clima nei confronti dell’Italia. «La Commissione

è consapevole dello sfasamento tra la verbosità della classe politica e l’adozione di

riforme economiche, ma vede anche un paese che sta cercando di fare sforzi nella giusta

direzione» spiega un responsabile europeo.

L’Esercizio delle raccomandazioni-paese è pensato per sua natura come a un pungolo

nel fianco del paese, tanto più che il quadro italiano è sempre in chiaroscuro. Da un lato,

i governi che si sono susseguiti in questi ultimi anni hanno adottato misure per rendere,

per esempio, più flessibile il mercato del lavoro; dall'altro il paese continua ad avere un

debito molto elevato, anche se (finora) è riuscito a mantenere il proprio deficit pubblico

sotto al 3,0% del prodotto interno lordo.

Per quanto riguarda l’Italia, le raccomandazioni-paese dovrebbero concentrarsi

sull’urgenza di risanare il bilancio; sull’importanza di migliorare le infrastrutture; sulla

necessità di rendere sempre più flessibile e inclusivo il mercato del lavoro; sull’esigenza

di modernizzare il sistema processuale troppo lento, soprattutto in campo civile; e

sull'esigenza di riformare il sistema bancario. «Ormai consideriamo quest’ultima una

riforma strutturale», spiega il responsabile europeo.

A Bruxelles, prevale l'impressione che il sistema creditizio in Italia manchi di una

propria logica. In Germania, la suddivisione tra banche pubbliche, banche popolari e

banche private è stata criticata perché troppo legata alla mano statale, ma bene o male

ha una sua ragion d’essere. Lo stesso vale per la Francia, che ha perseguito la strada dei

giganti nazionali. In Italia, il sistema è ritenuto troppo spezzettato, poco armonico,

oberato per di più da sofferenze bancarie.

Proprio in questi settimane, il governo sta negoziando con la Commissione la nascita di

una bad bank in cui riversare i crediti deteriorati. Nel contempo, Bruxelles sta valutando

se crediti d’imposta ritenuti dalla legge italiana fonte di capitale siano da considerare

illegittimi aiuti di Stato. I due dossier sono diversi, ma nella sostanza sono legati.

Bruxelles e Roma stanno cercando un terreno comune, e in questo senso, le

raccomandazioni rifletteranno per molti versi gli stessi impegni del governo italiano.

Le raccomandazioni andranno lette ricordando che il paese è oggetto di un monitoraggio

particolare a causa di squilibri macroeconomici eccessivi, legati a debito elevato e bassa

competitività. Peraltro, l’evoluzione dei conti pubblici è tornato ad essere incerta dopo

che la Corte costituzionale ha ritenuto invalida la scelta di abolire l’indicizzazione

all’inflazione di alcune pensioni. Bruxelles è pronta a negoziare con Roma l’eventuale

impatto sul bilancio, ma non vuole sforamenti del criterio di Maastricht.

Ieri ancora un esponente comunitario ha avvertito che «la sostenibilità a lungo termine

delle finanze pubbliche deve rimanere una priorità per l’Italia, anche visto l’alto livello

della spesa pubblica per le pensioni». Ha aggiunto il funzionario: «La Commissione

aspetta la decisione del governo su come attuare la sentenza e valuterà l’impatto sulle

finanze pubbliche sulla base di tale decisione, ma questo non deve influenzare

l’impegno dell’Italia di rispettare i criteri del Patto di Stabilità e Crescita».

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Beda Romano

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Def: Pil allo 0,7%, conti in pari nel 2017

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MF

Numero 089, pag. 4 del 08/05/2015

PRIMO PIANO

Il presidente Dijsselbloem: l'alleggerimento del debito non è un argomento tabù

L'Eurogruppo apre alla GreciaVaroufakis è sicuro: entro due settimane si troverà un accordo. Il commissario Ue Moscovici: le posizioni sono sempre più vicine. Intanto Tsipras telefona a Putin per il gasdotto russo-turco

di Marcello Bussi

«La discussione su un alleggerimento del debito non è un tabù», anche se potrà avvenire solo una volta

completato il secondo piano di salvataggio della Grecia. Lo ha dichiarato il presidente dell'Eurogruppo Jeroen

Dijsselbloem in un'intervista a Le Monde, aggiungendo che «la sola cosa impossibile politicamente è una

riduzione del valore nominale del debito». Ciò significa che la ristrutturazione dovrebbe prevedere un taglio

dei tassi di interesse o un allungamento delle scadenze e non un haircut.

A pochi giorni dall'Eurogruppo di lunedì prossimo, quindi, Dijsselbloem ha aperto la

porta alle richieste della Grecia. E anche del Fondo Monetario Internazionale (Fmi),

che, secondo indiscrezioni smentite in modo blando dall'istituto guidato da Christine

Lagarde, nell'ultimo Eurogruppo a Riga aveva chiesto con forza di ristrutturare il

debito ellenico, altrimenti non avrebbe pagato la parte di sua spettanza della tranche

da 7,2 miliardi di finanziamenti ancora da erogare alla Grecia da parte dell'ex Troika.

Sempre ieri il commissario europeo agli Affari Economici e Monetari Pierre Moscovici si è mostrato ottimista

sull'andamento dei colloqui in seno al gruppo di Bruxelles e ha sottolineato che «stiamo discutendo per

arrivare a progressi sostanziali».

Le posizioni di Grecia e istituzioni internazionali sono «sempre più vicine» e il «linguaggio è comune», ha

detto Moscovici, che aveva al suo fianco il collega greco Yanis Varoufakis. Quest'ultimo ha assicurato:

«Siamo molto più vicini a un accordo

e non ho dubbi che arriveremo a una

convergenza in breve tempo. Non ho

dubbi sul fatto che il risultato sarà un

successo, dopo che saranno state

tentate tutte le altre alternative», ha

aggiunto ironicamente Varoufakis. Le

alternative cui ha fatto riferimento il

ministro greco sono quelle evocate da

Dijsselbloem nell'intervista al

quotidiano francese, quando ha dichiarato che «da un punto di vista politico c'è una sola scadenza ed è

quella di giugno, quando il secondo piano di aiuti si concluderà, ma ci potrebbe essere anche un'altra

Pagina 1 di 2L'Eurogruppo apre alla Grecia - MilanoFinanza.it

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scadenza se i problemi di liquidità di Atene dovessero intensificarsi», cosa che potrebbe «accelerare» i

negoziati fra creditori e debitori. Si è trattato insomma di un modo per ricordare al governo guidato da Alexis

Tsipras che la Grecia sta in piedi grazie alla liquidità di emergenza fornita dalla Bce al sistema bancario

ellenico. Il presidente dell'Eurogruppo sta quindi usando il bastone e la carota, come sempre accade quando

le trattative si avvicinano al momento cruciale.

Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble ha intanto annunciato in conferenza stampa che

parteciperà a un incontro bilaterale con il suo omologo greco Varoufakis prima della riunione dell'Eurogruppo

di lunedì. È la prova definitiva che Varoufakis non è stato emarginato nel corso delle trattative per

compiacere il ministro tedesco, al punto che quest'ultimo sarà costretto a incontrarlo a tu per tu. Schaeuble

ha ribadito di non aspettarsi una svolta concreta dal vertice: «Nessuno dovrebbe attendersi risultati

spettacolari, non è nell'ordine del possibile», ha detto.

Quanto alla possibilità che la Grecia riceva aiuti economici dalla Russia, il ministro tedesco ha affermato con

una certa ironia che «sarebbe meraviglioso», ma ha aggiunto di dubitare che Mosca possa fornire ad Atene

finanziamenti sufficienti. In ogni caso ieri il presidente russo Vladimir Putin ha confermato in un colloquio

telefonico con Tsipras la disponibilità della Russia a esaminare la possibilità di concedere finanziamenti alle

società greche private e statali che parteciperanno alla costruzione del troncone greco del Turkish Stream, il

futuro gasdotto russo-turco che sarà operativo entro dicembre 2016. Un assist del Cremlino a Tsipras, quindi.

Mentre la Bce è tornata a fare la voce grossa tramite Yves Mersch, membro del Consiglio direttivo, il quale ha

ricordato che il trattato istitutivo dell'Ue «dice che la circolazione dei capitali è libera, ma possono essere

autorizzate misure eccezionali» e un controllo dei flussi aiuterebbe la Grecia a stabilizzare la sua situazione

economica. Ma in serata Varoufakis ha dichiarato che l'accordo fra la Grecia e le istituzioni coinvolte nel

programma di aiuti internazionali sarà raggiunto «certamente entro le prossime due settimane». (riproduzione

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PRIMO PIANO 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

DOPPIA QUESTIONE

Trovata la soluzione per il pregresso, l’effetto sul 2016-2017 andrebbe coperto con la legge di stabilità

L’ANALISI

Strada stretta per rispettare gli impegni con

l’Europa

Per convenzione europea, il costo delle sentenze che producono oneri per la finanza pubblica (relativamente al pregresso) pesa per buona parte sull’esercizio in cui viene disposta la cancellazione della norma contestata. Dunque la conseguenza immediata della decisione della Consulta in merito al blocco della perequazione disposta nel 2012 e 2013 dal governo Monti per trattamenti superiori a tre volte il minimo Inps, è che il deficit 2015 rischia di scivolare pericolosamente al di sopra del tetto massimo del 3 per cento. Si parte da un “tendenziale” del 2,5%, e nella fondata previsione che l’impatto della sentenza si collochi attorno agli 8,7 miliardi per sanare gli arretrati 2012-2013 e 2014 il nuovo target passerebbe al 3-3,1% del Pil, inserendo nel conteggio anche la quota di 1,9 miliardi che grava sul 2015. Il tutto nell’ipotesi che il governo decida di finanziare in deficit le somme da restituire a circa 6 milioni di pensionati. Strada teoricamente possibile, ma non priva di rischi, come ammette implicitamente il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan quando fa sapere che il primo obiettivo del governo è “minimizzare” gli effetti della sentenza sulla finanza pubblica. Qualsiasi altra spesa imprevista o un minor gettito andrebbero a quel punto compensati con misure aggiuntive. È il caso dell’imminente stop di Bruxelles all’estensione del «reverse charge» alla grande distribuzione. Il Mef è al lavoro per evitare che dal 1° luglio scatti la clausola di salvaguardia sotto forma di aumento delle accise per 700 milioni. È chiaro che se tutti gli spazi in termini di maggior deficit possibile (comunque entro la soglia del 3%) fossero ipotecati per rimborsare i pensionati, quella minore entrata andrebbe coperta con pari tagli alla spesa o contestuali incrementi del prelievo fiscale. La strada è stretta, una decisione va adottata rapidamente e prende corpo l’ipotesi di dimezzare l’impatto per il 2015 riducendo al 50% il flusso di indicizzazione da restituire. La Commissione europea attende informazioni dettagliate già per l’inizio della prossima settimana (lunedì è in programma la riunione dell’Eurogruppo), così da poterle incorporare nelle raccomandazioni che verranno diffuse tra mercoledì e giovedi. Si cerca la soluzione nelle pieghe del dispositivo della sentenza con l’occhio rivolto ai margini offerti dalla disciplina di bilancio europea. L’eventuale ricorso a emissioni di titoli di Stato (ipotesi remota) scaricherebbe del resto il costo dell’operazione direttamente sul debito, vanificando però con il conseguente aumento della spesa per interessi il “dividendo” atteso dal calo dei tassi e dello spread. Strada che pare peraltro preclusa dagli impegni che lo stesso governo ha appena assunto per rispettare la «regola del debito». Dal 132,5% del 2015 (che per la Commissione Ue sarà invece al 133,1%)si dovrà scendere al 130,9% nel 2016 e al 127,4% nel 2017.Se qualificata come «una tantum», la maggiore spesa riferita al 2015 peserebbe peraltro sul deficit nominale e non sul saldo strutturale, salvaguardando con ciò formalmente il percorso verso l’«obiettivo di medio termine», in direzione del pareggio di bilancio e aprendo la strada a un via libera da parte della Commissione europea. L’eventuale restituzione a rate rientra nelle opzioni che Bruxelles affida, come pare opportuno che sia, alla discrezionalità delle scelte proprie dei singoli paesi.Risolta in tal modo con un complesso esercizio tecnico-contabile la questione del pregresso, il finanziamento degli ulteriori effetti della sentenza per il biennio 2016-2017 (altri 7 miliardi) andrebbe affidato alla prossima legge di stabilità. Nel mezzo vi è l’appuntamento con l’assestamento di bilancio di fine giugno, che dovrà recepire gli effetti dell’operazione per l’anno in corso, e l’aggiornamento delle stime di finanza pubblica da predisporre per metà settembre.Come si vede, la questione è complessa, la soluzione tutt’altro che semplice. Se si considera che con la legge di stabilità sono già “prenotati” 10 miliardi della «spending review» per evitare l’aumento dell’Iva e delle accise dal 1° gennaio 2016,

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l’interrogativo è come si riuscirà a finanziare quest’altra ingente spesa.© RIPRODUZIONE RISERVATADinoPesole

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PRIMO PIANO 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

L’ALTRO FRONTE La Russia si dice pronta a finanziare le società greche coinvolte nella possibile estensione del gasdotto Turkish Stream

Crisi ellenica. Secondo il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem, «la discussione sulla riduzione

del debito di Atene non è più tabù»: si avvicina la possibilità che gli Stati del Vecchio continente

rinuncino agli interessi sui prestiti

Grecia, l’Europa apre alla ristrutturazione

«soft»

L'eventualità di una ristrutturazione del debito ellenico da 320 miliardi di euro, non più

a carico degli investitori privati ma degli Stati, e quindi dei contribuenti, è sempre più

concreta. Lo sostiene il presidente dell'Eurogruppo, l’olandese Jeroem Dijsselbloem,

intervistato su Le Monde. «La discussione sulla riduzione del debito della Grecia - dice

Dijsselbloem al giornale parigino - non è un tabù. La sola cosa che è politicamente

impossibile è la cancellazione del suo valore nominale (320 miliardi di euro). Tuttavia

la discussione sul debito sarà tenuta solo quando il secondo programma sarà

completato».

C'è dunque una cauta apertura di principio degli europei sulla posizione dell'Fmi, che

sarebbe favorevole ad una riduzione del debito greco (haircut), oggi al 180,2% del Pil

secondo le stime della Commissione europea. Una frase che sembra voler chiarire che

non ci sono dissensi tra i creditori. In realtà Dijsselbloem resta fedele all'ipotesi di

ristrutturazione attraverso l’allungamento delle scadenze e/o la riduzione degli

interessi, non l'haircut, cioè il taglio del valore nominale del debito, come avvenne nel

2012, quando gli investitori dovettero accettare una riduzione in termini reali superiore

al 70% e il debito venne cancellato di 107 miliardi di euro con un semplice tratto di

penna.

In realtà la Grecia ha già ottenuto condizioni di favore sui 240 miliardi di prestiti

ottenuti da Ue e Fmi. Nell'Eurogruppo del 27 novembre 2012 fu infatti deciso un

allungamento delle scadenze e sconti sugli interessi sul debito. In particolare si decise

«un abbassamento di 100 punti base del tasso di interesse a carico della Grecia sui

prestiti concessi nel quadro del Loan Facility della Grecia» e «una proroga delle

scadenze dei prestiti bilaterali e dell'Efsf (il fondo salva-Stati europeo) di 15 anni ed un

differimento dei pagamenti di interessi della Grecia sui prestiti dell'EFSF di 10 anni».

«Politicamente parlando - ha precisato parlando della Grecia Dijsselbloem - la sola

deadline è quella di fine giugno, quando terminerà il secondo piano di salvataggio, ma

potrebbe anche esserci una scadenza se i problemi di liquidità diventassero troppo

importanti per Atene». Dijesselbloem esclude infine ogni discussione sulla possibilità

di concedere alla Grecia un alleggerimento del peso del debito, prima del

completamento del secondo piano.

Intanto il governo greco ha intenzione di «ripagare tutti i creditori e in particolare il

Fondo monetario internazionale»: lo ha assicurato a Bruxelles, in un intervento a porte

chiuse, il ministro delle Finanze greco Yannis Varoufakis. La settimana prossima,

martedì 12, c’è un'importante scadenza per 750 milioni di euro nei confronti del Fmi

che se non dovesse essere ripagata farebbe scattare le procedure di default dopo un

periodo di grazia di 30 giorni.

Un accordo fra la Grecia e le istituzioni (Ue, Fmi, Bce e fondo salvastati Efsf) per

sbloccare l'ultima tranche di aiuti da 7,2 miliardi è questione «di giorni o settimane», ha

precisato il ministro greco Varoufakis a Bruxelles durante un pranzo a porte chiuse a

margine del Business Europe Forum

Sulla stessa lunghezza d’onda si è collocato il commissario Ue Pierre Moscovici,

secondo cui le posizioni «sono molto più vicine» di prima. Moscovici si riferiva alle

discussioni tra creditori e autorità elleniche aggiungendo di «sperare» in progressi

verso un accordo e di «aspettarsi», appunto, dei passi avanti nella riunione

dell'Eurogruppo lunedì prossimo a Bruxelles.

Il Cremlino intanto dopo una telefonata tra il presidente russo Vladimir Putin e il

premier greco Alexis Tsipras svoltasi ieri, ha reso noto di essere pronto a provvedere al

finanziamento delle società greche coinvolte nella prevista estensione del Turkish

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stream, il gasdotto russo destinato a portare energia in Tuchia e in Grecia.

Si tratta di un ridimensionamento delle offerte di aiuti da parte di Mosca rispetto alle

iniziali proposte di anticipazioni di crediti sui futuri incassi per il passaggio del gas.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Vittorio Da Rold

la ristrutturazione del debito non è più un tabù

Ue e Fmi generosi Ad Atene il doppio dei fondi previsti

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL?«BUCO»

PREVIDENZIALE

L’Europa non pone scadenze per ricevere informazioni ma nelle raccomandazioni in arrivo sottolineerà l’esigenza di «compensare» la spesa

Il confronto con Bruxelles. Probabile l’ok al Def con l’aggiustamento dei conti pubblici dello 0,1%

del Pil nel 2016

Ue: sentenza non peserà sulle raccomandazioni

Padoan: misure nel rispetto dei vincoli europeiBRUXELLES

La sentenza della Corte costituzionale, che ha reso invalida la decisione di abolire

l'indicizzazione all'inflazione di alcune pensioni minaccia il futuro dei conti pubblici

italiani. Il rischio è che senza eventuali correzioni i costi possano riportare il deficit

italiano vicino o sopra al 3% del prodotto interno lordo. In questo momento, la

Commissione europea sembra volere sospendere il giudizio, aspettando le scelte

italiane, pur mantenendo alta la guardia alla luce dell'elevato debito pubblico.

Rispondendo ieri alle domande dei giornalisti, una portavoce dell'esecutivo

comunitario ha spiegato che non ci sono precise scadenze perché il governo italiano

notifichi a Bruxelles le misure con cui intende attuare la sentenza della Consulta sulle

pensioni. «Non sono a conoscenza di scadenze precise», ha detto Annika Breidhardt.

«Abbiamo ricevuto entro i termini (il 30 aprile, ndr) il programma di riforme del

governo e tutto quello che vi è incluso sarà tenuto in considerazione» nelle prossime

raccomandazioni-Paese.

«Sta al governo italiano – ha aggiunto la signora Breidhardt - attuare la sentenza della

Corte costituzionale» in modo da rispettare il Patto di stabilità e di crescita. Il

pacchetto di raccomandazioni-Paese, previsto a metà mese, avrà due parti. Un primo

capitolo includerà i suggerimenti di politica economica di Bruxelles. Il secondo

capitolo conterrà invece una valutazione del Documento economico e finanziario

(Def) presentato da Roma, e in particolare degli obiettivi di bilancio del governo.

Sul primo fronte, le raccomandazioni si concentreranno sul mercato del lavoro, le

infrastrutture, il processo civile, il risanamento dei conti pubblici, le misure

istituzionali, il sistema bancario (oberato da sofferenze). «Siamo contenti del fatto che

l'Italia voglia mettere mano all'assetto creditizio, ma il cammino è ancora lungo»,

spiega un responsabile europeo (si veda Il Sole/24 Ore di giovedì). Sul secondo

versante, la Commissione dovrà dire se accetta o meno gli obiettivi di Roma.

Il Def prevede per il 2016 un aggiustamento dei conti pubblici dello 0,1% del Pil

(0,25% nel 2015), rispetto a regole europee che prevedrebbero in teoria un taglio del

deficit strutturale dello 0,25-0,5%, alla luce dell'elevato debito pubblico italiano. Il

governo punta a una riduzione limitata del deficit strutturale, ricordando le nuove

linee-guida sulla flessibilità di bilancio che sanciscono la possibilità di ridurre

l'impegno in un contesto di crisi economica e in presenza di riforme significative.

Qui a Bruxelles il piano di riforme italiano è considerato credibile, tanto che – salvo

sorprese - è probabile il benestare all'obiettivo di bilancio del governo, in cambio di un

monitoraggio costante dell'azione dell'esecutivo. D'altro canto, già a metà aprile, il

vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis aveva detto: per l'Italia «c'è la

possibilità di usare la clausola delle riforme nel 2016». In questo contesto, la

Commissione si sta interrogando su come reagire alla sentenza della Corte

costituzionale.

Ieri prevaleva l'idea di sottolineare nelle raccomandazioni l'esigenza di compensare

eventuali costi, ma senza richieste particolari. D'altro canto, in questo modo la

Commissione responsabilizza lo stesso governo e prende per buoni i suoi obiettivi di

deficit (2,6% nel 2015, 1,8% nel 2016). Nel caso Roma debba sostenere nuovi costi a

causa della sentenza, a Bruxelles si guarderà al rispetto del taglio del deficit

strutturale, oltre che naturalmente al non superamento del limite del 3%.

Più in generale, le raccomandazioni rifletteranno da un lato il desiderio da parte di

Roma e di Bruxelles di trovare un terreno condiviso sulle misure da adottare per

modernizzare l'economia; e dall'altro serviranno a toccare con mano lo scambio tra

riforme più incisive dell'economia e risanamento più morbido del bilancio. L'elevato

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debito pubblico rimane comunque uno squilibrio eccessivo e una fonte di

preoccupazione per la Commissione, che intende mantenere la guardia alta su questo

fronte.

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Beda Romano

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PRIMO PIANO 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL TRATTATO CON

GLI USA «Non è possibile che l’Ue balbetti sul Ttip: non chiuderlo è un gigantesco autogol per il nostro continente»

State of the Union. Renzi: ma non basta, c’è tanto da fare

«La flessibilità non è più un tabù in Europa»Firenze

«Ora che l’Italia non è più la malata d’Europa deve prendere per mano l’Europa e

arricchirla con la sua bellezza, con la storia della sua arte». Ogni volta che Matteo

Renzi parla dallo splendido Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio cede un po’

alla retorica del “bello” che l’Italia ha insegnato al mondo. Eppure, sottolinea subito il

premier guardando anche alle polemiche interne, c’è da essere orgogliosi a un anno

dall’ultima edizione di The State of the Union: la flessibilità non è più un tabù in

Europa, un «risultato importante» ottenuto «anche grazie al semestre di presidenza

italiana della Ue».

«Non si voleva mettere quella parola, flessibilità, nel documento della Commissione –

ricorda –. Eravamo in due contro 26, i valorosi compagni di Malta non mi fecero

mancare il loro sostegno». Ma c’è ancora tanto da fare ora che l’accento è stato messo

anche sulla crescita e non solo sulla stabilità. «Io dico che non basta, l’Europa è un po’

come l’alunno dalle grandi doti e potenzialità che non si applica abbastanza». Renzi

ricorda gli obiettivi di Lisbona all’inizio del Millennio. E con lo sguardo di tre lustri

dopo non si può non notare che «il continente Europa cresce meno di tutti»: l’aumento

del Pil è minimo rispetto a quello degli Usa, e la disoccupazione giovanile cresce

proprio mentre negli Usa diminuisce. L’Europa deve innovare, insomma, e non

limitarsi a «gestire più o meno bene le emergenze, che siano finanziarie o relative

all’immigrazione». Insomma «c’è bisogno di Europa nel mondo» e l’Unione deve

«osare di più» e «tornare da protagonista nel dibattito mondiale». A partire dal

Trattato commerciale con gli Usa: «Non è possibile che l’Europa balbetti sul Ttip: non

chiuderlo è un gigantesco autogol per il nostro continente».

L’Italia invece i compiti a casa li ha fatti e continua a farli, rivendica Renzi. Non

tralasciando qualche frecciatina contro il fronte interno e la vecchia guardia del

centrosinistra tornata alla ribalta con le critiche all’Italicum appena approvato e alle

riforme istituzionali in via di approvazione. «Io dico che se l’Italia avesse fatto la

riforma del lavoro nel 2004 come in Germania invece che nel 2014 adesso

parleremmo di altri dati sull’occupazione. E se le riforme istituzionali e la legge

elettorale, che finalmente dà all’Italia stabilità dopo il record di 63 governi in 60 anni,

le avessero fatte all’epoca, oggi il Paese sarebbe diverso e più forte». Altro che fretta,

come Renzi ha poi modo di rimarcare in giornata nel suo tour elettorale tra Aosta e

Genova: «Noi siamo persone normali che a fronte di un dibattito pluridecennale hanno

detto a loro stessi e alla politica “sarà il caso di fare le cose che abbiamo promesso

tutti insieme di fare?”. Le nostre riforme non le abbiamo partorite di notte, di nascosto,

ma sono riforme di cui si parla da anni». Ma ora, conclude Renzi, quella pagina di

ritardi «è chiusa». Ora bisogna ridare ambizione alla politica europea. A mancare, su

molti fronti dei Ventotto, sono appunto forza e volontà politica, come hanno ribadito

nei giorni scorsi sempre da The State of the Union Giorgio Napolitano e Romano

Prodi. «Dopo aver fatto l’Unione europea ed esserci dati gli strumenti dobbiamo fare

gli europei», ha detto l’Alto Rappresentante Ue per la politica estera Federica

Mogherini parafrasando Massimo D’Azeglio.

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Emilia Patta

Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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MONDO 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

NEGOZIATI DIFFICILI

Atene si mostra ottimista su un accordo con i creditori, ma il documento consegnato ai partner non conterrebbe le riforme promesse

Crisi greca. «Non prevista l’uscita di Stati»

Draghi rassicura: l’euro è irreversibileL’irreversibilità dell’euro è un aspetto fondante dei Trattati con cui è stata creata la

valuta condivisa. E «l’uscita di uno Stato membro dell’euro non è prevista dai

trattati». Nuova secca presa di posizione del presidente della Bce ,Mario Draghi,

contro le speculazioni su una possibile Grexit, ovvero una fuoriuscita della Grecia

dall’euro.

Un messaggio forte e chiaro affidato a una lettera formale di risposta ad una

interpellanza di vari europarlamentari, datata 7 maggio.

«Non intendo prestarmi a speculazioni sugli scenari descritti nella vostra lettera -

afferma Draghi -. Lasciatemi sottolineare che l’irreversibilità dell’euro ha fatto parte

dell’architettura dell’Unione europea fin dal Trattato di Maastricht». E «come ho

affermato ripetutamente - conclude il capo della Bce - anche nel Parlamento europeo,

il ritiro di uno Stato membro dall’euro non è previsto dai trattati».

Intanto, in vista dell’Eurogruppo di lunedì è scoppiata una polemica a distanza tra

Bruxelles e il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. «Il piano presentato dal

ministro Varoufakis all’Eurogruppo diverge molto da quanto è stato finora discusso a

livello tecnico nei giorni scorsi e sottolinea come Varoufakis continui a ostacolare i

progressi verso un accordo finanziario tra Atene e creditori», ha detto una fonte Ue al

Wall Street Journal, spiegando lo stato dei negoziati greci in vista dell’Eurogruppo,

che si preannuncia non conclusivo per la soluzione della crisi del debito ellenico.

Il documento del governo Tsipras di 36 pagine, di cui il Wsj ha ottenuto copia, è

intitolato “La ripresa greca”, ma soprattutto non contiene le riforme promesse a livello

di discussioni tecniche a Bruxelles. «Non ci sono praticamente connessioni tra quanto

scritto nel report greco consegnato al gruppo di Bruxelles e i negoziati in corso», ha

raccontato la fonte europea al quotidiano americano.

Intanto ad Atene il primo ministro, Alexis Tsipras, è ottimista sulla chiusura di un

accordo con i creditori istituzionali (Ue, Bce e Fmi) che consenta di riprendere i

finanziamenti necessari ad Atene per uscire dall’attuale crisi di liquidità. «Sono

fiducioso che presto ci sarà un lieto fine e, nonostante le difficoltà, porteremo a

termine un’intesa che sarà presto conclusa in Europa», ha dichiarato Tsipras

intervenendo in Parlamento, «il governo greco sta facendo tutto quello che deve per

raggiungere un accordo onesto e vantaggioso per tutti con i nostri partner».

Fonti vicine alla trattativa, sentite dalla Reuters, smorzano però l’ottimismo

manifestato ieri dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, e dal

commissario Ue, Pierre Moscovici, affermando che ci sono ancora forti distanze su

punti quali le riforme delle pensioni e del mercato del lavoro, su cui Atene resiste.

Intanto l’economia greca manda segnali preoccupanti: i prezzi al consumo ad aprile

sono scesi del 2,1% su base annua.

Da ultimo va segnalato che gli Usa stanno facendo pressioni sulla Grecia affinché

resista ai progetti energetici proposti dalla Russia. Un rappresentante del dipartimento

di Stato, scrive il New York Times, sta cercando di convincere Atene ad abbracciare

un progetto appoggiato dall’Occidente e che collegherebbe l’Europa alle scorte di gas

naturale dell’Azerbaijan in sostituzione di quello russo.

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Vittorio Da Rold

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esclude (solo un po') Varoufakis

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PRIMO PIANO 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

.

Fiducia e riforme per l’Europa

L’Europa sta uscendo dal periodo di acuta recessione ma non sta entrando nella fase di una crescita adeguata al recupero dei danni della crisi e alla valorizzaione delle proprie notevoli potenzialità. Questa è anche la conclusione del ministro Pier Carlo Padoan che, in una conferenza ai «Lincei», ha lucidamente esposto le critiche costruttive di un europeista alla governance della Ue e della Unione monetaria.Continua pagina 2 di Alberto Quadrio Curzio

Continua da pagina 1 La sua è una linea pro-attiva tesa a riposizionare l’Italia da Paese che “deve fare i compiti a casa” a Paese che chiede anche alla Ue e alla Uem (nonché i Paesi “virtuosi”) di fare la loro parte. Che si debba crescere di più lo dicono i recenti dati della Commisione europea. Si prefigura per la Uem, entro il 2016, una crescita del Pil che si avvicinerà al 2%, con prezzi verso dinamiche fisiologiche(1,5%) e un calo del tasso di disoccupazione verso il 10,5%. Poco per recuperare i danni della crisi (si pensi alla differenza di 8,6 punti percentuali di crescita del Pil tra Usa e Uem tra il 2007 e il 2014) e per utilizzare le attuali condizioni favorevoli (Qe, prezzi del petrolio) che non potranno durare a lungo. Per individuare gli acceleratori della crescita noi riteniamo che si debba anzitutto imparare dagli errori passati e dall’altro fare le riforme sistemiche nella governance Uem alla quale ci riferiremo in prevalenza. Gli errori passati. La storia dei 10 anni (1999-2008) dell’euro pre-crisi dice che non sono state fatte adeguate riforme sistemiche della Uem per dare alla stessa un governo della politica economica. L’attenzione si è troppo concentrata sulle politiche fiscali e di bilancio dei singoli Paesi, con particolare riferimento a quelli con alti deficit e debiti pubblici, trascurando invece altri squilibri tra cui quelli di Paesi con forti avanzi commerciali. La convergenza dei tassi di interesse sui titoli di Stato è stato l’anestetico che ha rallentato le riforme sia nei Paesi più deboli sia nella Uem per orientarli agli investimenti e alla crescita. Aspetto quest'ultimo che si continua a sottovalutare. Il “miracolo” dell’euro (cioè di una moneta senza istituzioni sovrane e senza una politica economica) sembrava poter produrre una serie di effetti positivi che richiedevano, come unica condizione di successo, il controllo dei bilanci pubblici. Per queste ragioni, la crisi si è accentuata nella Uem rivelando da un lato l’assenza di strumenti europei per contrastarla (salvo quelli ex post della Bce)e dall’altro la diversità dei Paesi membri dimostrata platealmente dal divaricarsi dei tassi di interesse sui titoli di Stato.Si è detto allora che la Uem era come un “aereo che veniva riparato in volo”. Tra le “riparazioni” vi è il fiscal compact (firmato nel 2012 e in vigore dal 2013) che, sbagliato nella sostanza perché fortemente recessivo, diventava “virtuoso” nel messaggio ai mercati quale dichiarazione che i debiti sovrani dei Paesi devianti sarebbe stati riportati sotto controllo. La Uem ha così vissuto su un paradosso. Quello di correggere un errore aggravando l’errore che veniva però percepito dai mercati come una scelta virtuosa. Non miracoli ma riforme della Uem. L’euro non si sarebbe probabilmente salvato se non ci fosse stata la Bce. Adesso corriamo però il rischio di credere in un altro miracolo: quello che la Bce riesca con il Qe e con l’Unione bancaria a mettere in sicurezza i debiti pubblici e a rilanciare la crescita economica, gli investimenti e l’occupazione. La Bce ci offre una occasione di breve-medio periodo (con vari pericoli di lungo periodo) per innovare nel metodo e nel merito di governo della Uem (e della Ue) senza dimenticare che alcune innovazioni sono già state fatte. Sul metodo va rilevato l’utilizzo di trattati internazionali per varare il “fiscal compact” e il Fondo Esm. È un chiaro riconoscimento che i processi per cambiare i Trattati europei sono troppo lenti per fronteggiare le emergenze. Con questi due trattati internazionali si è accentuata la natura intergovernativa della Uem.Il che non è sbagliato specie se poi si converge nelle “cooperazioni rafforzate”. È la direzione del Rapporto del 2012 “Verso

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un'autentica Unione economia e monetaria” elaborato dai “quattro presidenti”: di Commissione europea, Consiglio europeo, Bce ed Eurogruppo. A giugno dovrebbe esserne presentato un aggiornamento che, speriamo, sia una svolta netta. Certo sarà una cartina di tornasole sulla direzione di marcia della Uem. Sul merito va rilevato che alcune riforme sistemiche sono già impostate: quella sulla flessibilità nella convergenza agli obiettivi del fiscal compact in base ad accordi contrattuali tra la Commissione europea e gli Stati membri che attuano riforme strutturali; quella sul completamento del mercato interno dei capitali, dell’energia, del digitale, dell’innovazione; quella del Fondo Esm; quella per il rilancio degli investimenti con il Piano Juncker. Sono strategie importanti che talvolta non utilizzano il loro potenziale e talaltra procedono con esasperante lentezza giustificata spesso come inevitabile perché gli Stati membri non fanno le riforme strutturali. È un approccio sbagliato perchè le riforme nei singoli Stati e quelle sistemiche della Uem (e della Ue) devono andare di pari passo. Una conclusione. Ritornando al ministro Padoan, netta è la sua affermazione che il progresso verso una vera Uem richiede una mutualizzazione crescente delle risorse, sull’esempio di quanto avviene con la Bce e l’Unione bancaria. Concordiamo pienamente con lui che al circolo vizioso, manifestatosi durante la crisi,di «diffidenza-frammentazione» va sostituito quello virtuoso di «fiducia-mutualizzazione».È una presa di posizione che merita un sentito apprezzamento. Speriamo che attecchisca anche in Europa. Alberto Quadrio Curzio

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PRIMO PIANO 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

BERLINO?NON?CEDE

Il ministro tedesco Wolfgang Schaeuble ha affermato: «L’esperienza dimostra che un Paese all'improvviso può andare in bancarotta»

Grexit. Siryza spera che il referendum britannico riduca la pressione sulla Grecia

Atene «punta» su Londra per ammorbidire

Bruxelles

Può sembrare incredibile ma la sinistra radicale greca di Syriza, pur avendo tifato alla

vigilia del voto britannico per il Labour di Miliband, ora sostiene la politica anti-

europea di David Cameron, che appena insediato al numero 10 di Downing Street, ha

ribadito la sua volontà di tenere un referendum popolare sulla permanenza nella Ue di

Londra.

Il sostegno greco per il conservatore Cameron è strumentale perché, secondo la

sinistra di Syriza, la forte pressione inglese su Bruxelles costringerà la Commissione

europea di Jean-Claude Juncker ad ammorbidire i toni con Atene nei difficili negoziati

in corso sul debito se non vorrà avere troppi fronti aperti e troppo forze centrifughe in

azione.

Comunque, dopo i primi cento giorni di governo Tsipras i conti di Atene continuano a

peggiorare in mancanza dell’ultima tranche da 7,2 miliardi di euro del piano di aiuti

congelato da agosto scorso: la stessa Commissione ha previsto nell’ultimo Rapporto

economico di primavera un balzo al 180,2% di debito pubblico rispetto al Pil, una

crescita appena allo 0,5% nel 2015 e una più sostenuta al 2,6% nel 2016. Male

quest’anno anche l’inflazione a quota -1,5% e la disoccupazione che ha raggiunto il

25,6%, record dell’eurozona. Atene ha centralizzato tutte le riserve liquide degli enti

pubblici greci e ha smesso di pagare i fornitori. L’anno scorso l’ex governo Samaras

aveva sborsato nei primi tre mesi dell’anno ben 600 milioni di euro per i pagamenti di

forniture alla pubblica ammnistrazione: quest’anno il ministro delle Finanze greco,

Yanis Varoufakis, nello stesso peridodo ne ha messi sul piatto appena 43 milioni per

la stessa voce. Una scelta da “economia di guerra”, che ha gelato la timida ripresa dei

consumi interni che si era vista a Natale e che ha però permesso di pagare i debiti ai

creditori internazionali, le pensioni e gli stipendi.

L’ipotesi della Grexit continua ad aleggiare su Atene. Il premier greco, Alexis Tsipras,

ha detto venerdì in Parlamento che «non c’è più alcun problema tecnico per il

raggiungimento di un accordo sul debito con i creditori, c’è solo una questione di

volontà politica». Bruxelles ha ribattuto che invece ci sono ancora dei problemi

squistamente tecnici.

Berlino intanto ha fatto balenare l’idea di un default greco. «L’esperienza dimostra

che un Paese all’improvviso può andare in bancarotta ma per un politico non sarebbe

saggio dire se la Germania è preparata o meno a questa eventualità». Così il sibillino

ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, in un’anticipazione di

un’intervista al giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung, Fas, che

sarà pubblicata oggi. Il ministro ha sottolineato che «Berlino farà tutto il possibile per

tenere la Grecia nell’eurozona», aggiungendo di «non prevedere» un accordo con

Atene su nuove misure all’Eurogruppo di lunedì.

Gli Stati Uniti sono preoccupati delle discussioni di Atene con Mosca per un accordo

sulla possibilità di far proseguire un gasdotto russo-turco fino in territorio greco.

Washington sostiene il Tap, il Trans-Adriatic Pipeline, che dovrebbe trasportare gas

dell’Azerbaijan via Turchia, Grecia, Albania fino in Italia.

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Vittorio Da Rold

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d’accordo niente riforme»

Borse in rialzo con l’industria Ancora vendite sui Bund

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PRIMA PAGINA 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LE «DUE ITALIE» Per limare le differenze occorre ripartire dal capitale umano unendo tradizione e contemporaneità

MICROCOSMI LE TRACCE E I SOGGETTI

La neofabbrica tra Nord tedesco e Sud greco

In un recente microcosmo ho sostenuto che il capitale territoriale del grande Nord

italico vale quello tedesco. Gli stessi parametri, applicati al grande Sud, ne fanno uno

spazio del Paese che si avvicina alla Grecia.

Lungi da me l’idea di riproporre la questione settentrionale, come piacerebbe a

qualcuno politicamente e populisticamente interessato. Chiudevo infatti sostenendo

che la geografia territoriale fatta di copresenza di territori alla tedesca e territori

perduti della Repubblica alla greca, fanno sì che oggi la questione meridionale sia

diventata questione europea. Il vice presidente di Confindustria Alessandro Laterza

con delega alle politiche regionali e al Mezzogiorno, mi ha scritto osservando che più

che al divario occorre riflettere sul perché «le due Italie sono una in funzione

dell’altra, se non si va oltre la cultura della rendita al Nord e dell’immobilismo al

Sud». Sempre seguendo lo schema del dualismo territoriale, se i simboli e gli eventi

hanno un significato, mi ha colpito anche come è stato celebrato il I Maggio. Imprese

e governo a Nord celebrando la buona riuscita dell’Expo, i sindacati a Sud a Pozzallo

nella frontiera mediterranea dell’Europa dell’indifferenza, e il “concertone” a Roma

per i giovani desideranti e a rischio di Neet. Se anche il I Maggio va così, mi son

detto, ha ragione Laterza.

Occorre mettersi in mezzo tra le due Italie. Questione più grande di un microcosmo.

Che provo ad affrontare con segni di speranza partendo dalla Sicilia e da un comune

amico mio e di Alessandro, Antonio Calabrò, nato a Patti nel 1950. Nel suo diario

pubblico di emigrante di successo (Cuore di cactus, Sellerio editore) ci ricorda che

«non si emigra mai. Se non altro, non si emigra da se stessi», monito per chi

sentendosi tedesco vorrebbe abbandonare i greci emigrando dall’essere italiano. Nel

suo ultimo libro “La morale del tornio” (Ube) l’emigrante di successo, oggi

consigliere delegato della Fondazione Pirelli, responsabile del gruppo cultura di

Confindustria, membro della presidenza di Assolombarda…, ha scritto, osservando e

indicando la metamorfosi del fare impresa a Nord, un manuale sociopolitico in cui, in

sintonia con le osservazioni di Laterza, sostiene che la cultura di impresa per lo

sviluppo e non quella «di un certificato di una banca d’affari», possono portare il

sistema Paese in Europa. Anche se la prima parte del saggio pare la conferma del

dualismo maligno: i numeri ci dicono che Italia-Germania sono il cuore industriale

d’Europa, le imprese della Baviera e del Baden Wurttemberg hanno livelli di

integrazione profonda con Piemonte, Lombardia, Triveneto ed Emilia. Tra le prime 23

province manifatturiere europee, 10 sono dell’Italia del Nord e 13 tedesche. Metodo

tedesco e creatività italiana qui funzionano. Ma poi Calabrò va oltre la fotografia dei

numeri e scava nella metamorfosi dell’impresa e del suo ruolo “politico” di attore del

cambiamento. Sostenendo con Edmondo Berselli «dopo l’imbroglio liberista il ritorno

di un mercato orientato alla società».

In punta di penna cita Amartya Sen e lo sviluppo sostenibile, Federico Caffé, ricordato

dal Governatore Visco, che «fu sempre dalla parte dei deboli, critico esplicito delle

idealizzazioni del mercato e sostenitore di un ruolo attivo dello Stato per rimediare

alle diseconomie. Guardava al lavoro non solo come occupazione ma anche come

realizzazione della persona». Cita Baudrillard critico con «la modernità in cui non

smettiamo di accumulare». Sintesi alte che auspicano un ruolo neokeynesiano del

mettersi in mezzo al dualismo maligno e una logica di mercato che fa «meno e

meglio». Meno accumulo da rendita finanziaria e far meglio impresa, sostiene

Calabrò. Tesi radicale che lo porta a sfiorare e citare il Manifesto convivialista degli

studiosi antiutilitaristi citando Alain Caillé «lottiamo contro due abiezioni: quella della

miseria e quella della ricchezza illimitata». Così sostiene che occorre guardare più al

Bes (benessere equo e sostenibile), sottraendosi alla dittatura del Pil. Realizzando

un’impresa in grado di incorporare nuovi paradigmi di produzione e di consumo.

Facendo così del paradigma della green economy una teoria del capitalismo che

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incorpora il concetto del limite, come vado sostenendo da tempo. Attraverso

l’industria medium tech, fatta di innovazione e qualità che da noi sta nell’evoluzione

delle nostre medie imprese che partendo dalle radici industriali ed artigiane del

capitalismo molecolare e dell’evoluzione dei distretti innervano il Centro Nord,

corrono lungo la dorsale adriatica sino in Puglia e a macchia di leopardo resistono

come traccia di speranza nel Mezzogiorno. Ove più che altrove occorre rilanciare una

cultura delle neofabbriche che partendo dal capitale umano dei tanti giovani orientati

alle nuove tecnologie, quelli che io chiamo smanettoni, siano immessi al lavoro «per

rilanciare in dimensione high tech i mestieri artigiani della meccanica,

dell’abbigliamento, dell’alimentare,…».

Sostiene Calabrò che solo tenendo assieme tradizione e contemporaneità si possono

trovare sintesi originali di memoria e futuro, ipotesi di culture di impresa legate al

sapere fare, e al costruire ricchezza. Ma per diffondere in orizzontale la cultura della

neofabbrica occorre anche cambiare la cultura manageriale di chi sta ai vertici. Meno

manuali aziendali e organizzativi e più letteratura, sembra dire Calabrò nei capitoli

finali in cui rilancia l’appello per un nuovo umanesimo firmato da Alberto Asor Rosa,

Roberto Esposito ed Ernesto Galli della Loggia, sulla rivista Il Mulino. Nel chiudere il

libro sostiene il tenere assieme «la civiltà delle macchine e musica in fabbrica».

Riecheggiano temi olivettiani che, tornando a noi e al dualismo maligno di un’Italia

un po’ tedesca e un po’ greca, mi ricorda il tentativo di Adriano Olivetti di portare ai

tempi del fordismo l’Olivetti a Pozzuoli. Ma anche i tentativi che ho praticato con

Giuseppe De Rita ai tempi del postfordismo con i patti territoriali al Sud per

diffondere i distretti industriali, sino ad arrivare all’oggi in cui il tema è quello del Re-

made in Italy rivitalizzando il capitale territoriale. Il libro di Calabrò è un’eterotopia

del possibile. Che fa ben sperare, se ai vertici di Confindustria a Sud e in

Assolombarda a Nord ci sono persone come Alessandro Laterza e l’emigrante di

successo Antonio Calabrò.

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#

Corriere della Sera Domenica 10 Maggio 2015 5

L’intervista

di Ivo Caizzi

«Dietro le aperture da Bruxellesc’è la nuova linea di Merkel»Tajani: Berlino ha posto fine all’isolamento di Italia, Spagna e Malta

Migranti, il richiamo di Mattarella all’EuropaIl capo dello Stato: ci vuole meno egoismo. Mogherini: una vergogna che ci si svegli solo di fronte ai mortiIl presidente della Commissione Juncker e il meccanismo delle quote di profughi in tutti i Paesi membri

Primo piano L’emergenza sbarchi

DAL NOSTRO INVIATO

BRUXELLES «Le aperture dell’Uesull’emergenza immigrazionenel Mediterraneo nasconoquando la cancelliera tedesca Angela Merkel è diventata pos-sibilista sulla condivisione eu-ropea degli interventi e si è al-lontanata dall’opposizione ri-gida di altri Paesi membri del-l’Est e del Nord».

Il vicepresidente dell’Euro-parlamento ed ex commissarioUe, Antonio Tajani, di Forza Ita-lia, dice di averlo constatato davicepresidente del suo euro-partito Ppe, dove la cancellieraè il leader incontrastato. «Ilcambiamento del governo te-desco sull’immigrazione c’è, lofece capire il presidente deglieurodeputati del Ppe, il tede-sco Manfred Weber, nel suo

viaggio in Italia — aggiungeTajani —. La conferma è arriva-ta dalla delegazione tedesca nel vertice del gruppo del Ppe aMilano il 22 e 23 aprile scorsi.Non avrebbe assunto quellanuova posizione senza una in-dicazione della Merkel, che haposto fine all’isolamento di Ita-lia, Malta e Spagna su questotema a livello Ue».

Perché a Berlino non sotto-valutano più l’emergenza mi-granti nel Mediterraneo?

«In Germania hanno capitoche non è più un problema diricerca di una vita migliore inEuropa. Dall’Africa e dal MedioOriente si scappa da guerre,lotte tribali, persecuzioni reli-giose, oltre che dalla fame edalla miseria. Se non si inter-viene, il problema diventeràpiù grave e costoso. Nel 2013 la

Germania ha accolto circa 100mila profughi. Quest’anno te-me l’arrivo di ben 400 mila. Ipolitici tedeschi appaiono pre-occupati dalle reazioni deglielettori».

Anche stavolta l’Ue ha ini-ziato a muoversi dopo unagrave crisi – le centinaia dimigranti morti nel Mediter-raneo — e solo quando lo hadeciso la cancelliera...

«È facile criticarla per il suostrapotere. Ma Merkel arriva aisummit Ue che ha letto le cartee conosce bene gli argomenti.Quali premier fanno lo stesso?Può piacere o no, ma se non in-terviene lei l’Europa in genereresta ferma».

Dopo il via libera di Berli-no, si è mosso anche il presi-dente lussemburghese dellaCommissione Jean-Claude

Juncker, designato a Bruxel-les dal Ppe grazie alla cancel-liera...

«L’immigrazione non deveessere una questione di partiti.Nell’Europarlamento la mag-gioranza di centrodestra e dicentrosinistra ha richiesto in-terventi Ue nel Mediterraneo,nei Paesi d’origine dei migran-ti, le quote di ripartizione deiprofughi nei Paesi membri,azioni contro i trafficanti di es-seri umani. Juncker in Aula ciha garantito una Agenda della Commissione adeguata, checonsidererà anche la ripartizio-ne degli immigrati tra gli Statimembri nonostante la rigidaopposizione di Paesi dell’Est edel Nord Europa, tra cui spiccail Regno Unito».

Sull’immigrazione il pre-mier Renzi, dopo i primi in-

successi a Bruxelles, sta riu-scendo a far considerare eu-ropei i problemi finora tratta-ti come principalmente osolo dell’Italia?

«Purtroppo è saltato l’accor-do tra Berlusconi e la Libia conla caduta di Gheddafi, che nonera un modello di democrazia,ma garantiva l’ordine e il con-trollo della costa da dove orapartono i barconi pieni di clan-destini. In seguito i governiMonti, Letta e Renzi mi sonoapparsi tutti troppo timidi sul-le politiche di immigrazionenazionali ed europee. Bisogna-va intervenire e investire di piùnei Paesi d’origine, come erastato fatto in passato con l’Al-bania. Con Gheddafi, primadella sua caduta, discutevamodi un contributo Ue di 3,5 mi-liardi, di cui 500 milioni a cari-co dell’Italia».

Cosa altro l’Italia e l’Ue do-vrebbero fare?

«Sviluppare il dialogo inter-religioso con i capi religiosi deiPaesi di origine dei migranti.Tanti cristiani, se non rischias-sero la vita a causa di estremistie terroristi islamici, non fini-rebbero nelle mani dei traffi-canti per scappare in Europa».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

�Ormai la Germaniaha capito che se non si interviene il problema si aggraverà

Strapotere della cancelliera? Si può criticare ma senza di lei siamo fermi

Chi è

� Antonio

Tajani, 61 anni,

vicepresidente

del Parlamento

europeo

e membro

del Partito

popolare

europeo (Ppe)

� È stato

commissario

europeo

per i trasporti

nel 2008-2010

I numeri

� Il Presidente

dell’Europar-

lamento Martin

Schultz ha

detto ieri che

oltre la metà

dei rifugiati

viene accolta

da Italia, Svezia

e Germania. «Il

90% si dirige in

nove Paesi»

� Sono stati

33.831

i migranti

sbarcati in Italia

dal 1° gennaio

di quest’anno

al 4 maggio.

Nello stesso

periodo del

2014 gli arrivi

erano stati

29.501. I dati

del Viminale

parlano

di un trend

in crescita

di circa il 15%

� Nel 2014

le persone

sbarcate sono

state circa 170

mila, quasi

il quadruplo

rispetto

a quelle

registrate nel

2013, anno in

cui gli arrivi di

migranti sono

stati poco

meno di 43

mila. Circa 80

mila persone

si trovano

nei Centri

di accoglienza

italiani

MILANO «È una vergogna chel’Europa si svegli solo di fronteai morti», dice l’Alto rappre-sentante Affari esteri dell’Unio-ne Europea Federica Mogheri-ni: e gli oltre mille liceali venutiad ascoltarla nell’Audituriumdell’Expo applaudono. «Senzauna maggiore solidarietà tra gliStati membri — aggiunge ac-canto a lei il presidente dell’Eu-roparlamento Martin Schulz —il problema dei rifugiati nonpotrà essere risolto»: e i ragazziapplaudono di nuovo. «Ci vuo-le meno egoismo», sintetizzada Roma il presidente SergioMattarella. Questo mentre ilpresidente della Commissioneeuropea, Jean-Claude Juncker,aveva già detto agli europarla-mentari: «Ne ho abbastanza diparole, proporrò una ricolloca-zione» dei migranti «in tuttal’Unione». Con un «sistema diquote», aveva precisato.

Così a 70 anni dalla fine dellaSeconda guerra mondiale e a65 dalla dichiarazione di Ro-bert Schumann che il 9 maggio

1950 aprì la strada all’integra-zione europea, celebrata iericon la Festa dell’Europa, ildramma dei migranti e le sfidesu fame e lavoro hanno inne-scato in una misura mai toccatafinora una serie di moniti del-l’Europa non solo a se stessama ai governi dei Paesi che lacompongono. Da parte dei suoimassimi rappresentanti.

I primi sono stati appunto al-l’Expo di Milano, dove nell’Eu-rope Day di ieri si inaugurava ilPadiglione Ue, Schulz e Mo-gherini. «Da oltre vent’anni in Europa — esordisce il presi-dente dell’Europarlamento —si discute di immigrazione, gliimmigrati sono sempre di piùma la politica è ferma. La colpanon è dell’Europa ma dei go-verni degli Stati membri, chenon vogliono assumersi re-sponsabilità. Manca il senso disolidarietà. Metà dei rifugiativiene accolta da Italia, Svezia eGermania, il 90 per cento si di-rige complessivamente in novePaesi. Ma gli Stati membri sono

28 e le responsabilità devonodividerle. Pensare di farcela dasoli è da perdenti. Quindi ai cit-tadini europei dico: non chie-detevi che cosa fa l’Europa perl’immigrazione, ma che cosasta facendo il vostro governo. Equello italiano sta già facendomoltissimo».

L’Alto rappresentante non-ché vicepresidente della Com-missione Ue Mogherini in ef-fetti rivendica la «risposta co-mune» data con la «decisionedi triplicare la missione Tritonquando fino a una settimana fasembrava impossibile anchesolo mantenerla». Determi-

menti», ma che «mercoledì avremo un testo finale».

Anche il capo dello Stato,Sergio Mattarella, nella sua di-chiarazione in memoria diSchumann parla di solidarietàe dice che «ci vuole meno egoi-smo per dare ai nostri giovanieuropei una prospettiva di la-voro», ma anche «meno egoi-smo per affrontare in modopositivo il dramma delle mi-grazioni» e «meno egoismoper svolgere un ruolo efficacedi pace in Africa e nel MedioOriente».

Sullo stesso tema anche ladichiarazione congiunta deipresidenti emeriti Carlo Aze-glio Ciampi e Giorgio Napolita-no: «L’Europa, per crescereeconomicamente e progrediresocialmente, non ha altra stra-da che quella di una semprepiù stretta integrazione. E diuna sempre più stretta unionein senso politico tra i suoi Statie i suoi popoli».

Paolo Foschini© RIPRODUZIONE RISERVATA

nanti, dice, saranno i prossimiappuntamenti: a cominciare daquello di domani quando sarà«a New York per informare ilConsiglio di Sicurezza del-l’Onu» sul traffico dei migrantinel Mediterraneo.

Il ministro degli Esteri italia-no, Paolo Gentiloni, dopo uncolloquio a Mosca con il suoomologo Sergej Lavrov diceche su questo anche la Russiasarebbe disposta a collaborare.E Mogherini, ancora, dirigen-dosi al padiglione di Save theChildren: «Ci auguriamo chel’agenda per l’immigrazioneche presenteremo mercoledì aBruxelles con la Commissioneeuropea e poi la riunione deiministri degli Esteri e della Di-fesa di lunedì 18 maggio possa-no prendere decisioni impor-tanti».

La portavoce di Juncker, Na-tasha Bertaud, dice che «il pre-sidente crede fortemente» inun «meccanismo doppio diquote». E precisa che «ci saran-no ancora riunioni e cambia-

�Ciampi e NapolitanoPer crescere e progredire sia economicamente sia socialmente non c’è altra strada che l’integrazione

64,8Mila

i richiedenti

asilo in Italia

nel 2014

secondo il

«rapporto

annuale 2015»

del Centro

Astalli (servizio

dei gesuiti ai

rifugiati). Un

aumento del

143% rispetto

al 2013. Tra

le nazionalità

che hanno

presentato

più domande

figura il Mali

Pubblico e privatoFederica Mogherini, Alto rappresentante Ue per gli

affari esteri e la politica di sicurezza, ieri

all’inaugurazione del padiglione dell’Unione

europea con (alla sua sinistra) Martin Schulz,

presidente del Parlamento Ue, e (alle spalle) Diana

Bracco, presidente di Expo 2015. Sopra Federica

Mogherini con la figlia tra i padiglioni

dell’esposizione universale di Milano (Fotogramma)

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VARIE

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PRIMA PAGINA 04 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

BENE TUTTA

L’EUROPA Grazie alla politica di stimolo varata dalla Bce il Vecchio continente oggi è la meta preferita per gli investimenti stranieri

Competitività/1. L’ottimismo è legato alle aspettative sul Jobs Act e sulle riforme della giustizia e

della Pubblica amministrazione

Capitali esteri, l’Italia rialza la testa

Dal 20° al 12° posto nella classifica A.T.Kearney dei Paesi più attrattivi per gli

investitori

Per gli investitori internazionali l’Italia ha rialzato la testa: da ventesima nella

classifica 2014 dei Paesi più attrattivi al mondo quest’anno scala otto posizioni e si

aggiudica il 12° posto. Meglio della Svizzera, dell’Olanda e anche della dinamica

Singapore. Un assist al governo Renzi e alle sue dichiarate intenzioni di voler riportare

gli investimenti nel Paese. E anche un ottimo biglietto da visita tra i padiglioni di

un’Expo fresca di inaugurazione.

La buona notizia porta la firma di A.T.Kearney, che ha appena pubblicato la 15esima

edizione del suo Fdi Confidence Index, l’indice che misura quanto un Paese è nelle

priorità dichiarate degli investitori internazionali per l’anno in corso. «E pensare che

dal 2007 al 2013 l’Italia è stata addirittura fuori dalla classifica dei primi 25 Paesi

mondiali», ricorda Marco Andreassi, partner di A.T. Kearney. Invece quest’anno, in

Europa, meglio di noi hanno fatto solo la Gran Bretagna, la Germania e la Francia.

Eppure qui da noi la ripresa è lontana, la disoccupazione elevata, la fiducia interna ai

minimi. Che cosa ci ha resi così competitivi, agli occhi degli stranieri? «Certamente -

spiega Andreassi - beneficiamo del sentiment positivo che gli investitori mostrano

verso l’Europa in generale, grazie anche alle politiche di stimolo della Banca centrale

europea con il Qe. Ma c’è anche attesa per le nostre capacità di ripresa economica e

per le riforme del governo».

Al primo posto, tra le novità italiane viste di buon occhio dagli investitori

internazionali, Andreassi non ha dubbi a mettere il Jobs Act: «C’è grande attesa per la

flessibilità che dovrebbe derivare dalla riforma del mercato del lavoro». Gli occhi dei

capitali stranieri sono puntati anche su altre riforme in pista: quella della Pa, per

esempio, e quella della giustizia. Tutti elementi essenziali che entrano in gioco quando

un investimento diventa operativo in un Paese.

L’ottimismo nei nostri confronti deriva anche dagli ultimi investimenti stranieri

effettivamente realizzati nel Paese. Ethiad in Alitalia, i fondi del Qatar e del Kuwait,

lo shopping cinese su Pirelli: tutte manifestazioni di interesse che non dovrebbero

rimanere fenomeni isolati. Anche le missioni italiane all’estero hanno un peso: si

legge nel rapporto A.T.Kearney che l’Italia ha adottato una politica «molto

aggressiva» per richiamare ulteriori investimenti, in particolare nei confronti della

Cina, a partire dal viaggio del premier Matteo Renzi a Pechino nel giugno scorso.

Quasi ininfluente, invece, il peso di Expo nelle aspettative degli investitori

internazionali: «Il comparto alimentare e quello della moda - spiega Andreassi - l’anno

scorso hanno ricevuto attenzioni marginali da parte dei capitali esteri, che invece si

sono concentrati su farmaceutica, servizi finanziari, reti energetiche, tlc. Gli stessi

settori su cui presumibilmente anche quest’anno proseguirà l’interesse».

Il premier Renzi, dunque, ha una grande responsabilità: se fallisce nel portare a

termine tutte le riforme promesse, le aspettative internazionali andranno presto deluse

e l’Italia scenderà nella classifica dei Paesi più attraenti. «Diciamo che ha un bonus di

un anno: in teoria - spiega Andreassi - in assenza di scandali gravi, una delusione sulle

aspettative generate dalle riforme non dovrebbe ripercuotersi subito sulla classifica

2016». Piuttosto, ci sono dei fattori che la comunità internazionale considera

determinanti nella scelta di un investimento, e sui quali invece l’Italia non sta

intervenendo affatto: «Penso al tema della corruzione - ammette Andreassi -, che nella

graduatoria degli investitori è il secondo fattore più importante. Ma anche allo

sviluppo dei trasporti e della banda larga e alle politiche industriali sugli incentivi agli

investimenti». Tutti aspetti su cui l’Italia, appunto, latita.

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Allargando l’orizzonte, le buone notizie del 2015, secondo A.T.Kearney, sono

soprattutto due. La prima è che entro l’anno prossimo due terzi degli investitori

mondiali pensano di tornare ai livelli pre-crisi in termini di investimenti diretti

all’estero. La seconda è che il livello di interesse per l’Europa è senza precedenti. Ben

15 Paesi sono nelle prime 25 posizioni della classifica. Alimentata in parte dalla

decisione della Bce di passare da una politica di austerità a una di stimolo attraverso il

Quantitative easing, la quota di Paesi europei nelle posizioni top 25 dell’Indice è

passata in un solo anno dal 40 al 60 per cento. Oltre all’Italia, gli exploit migliori sono

quelli della Gran Bretagna, terza in classifica, in ascesa da tre anni, e la Germania, in

quinta posizione.

Per il terzo anno di fila gli Stati Uniti si aggiudicano la medaglia di più attrattivi al

mondo: quasi un intervistato su due è pronto a scommettere su un’ulteriore crescita

economica del Paese.

La Cina, infine, si piazza ancora una volta seconda, premiata dal suo percorso di

transizione verso un’economia guidata sempre più dai consumi interni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Micaela Cappellini

passando per sanità e grande distribuzione: ecco i posti della settimana

Anche il New York Times celebra la Juventus campione d’Italia

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NORME E TRIBUTI 04 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

IL CRITERIO Per definire gli indennizzi da licenziamento illegittimo bisogna tenere conto di tutto il periodo di impiego nell’attività appaltata

Affidamento di servizi. Il decreto legislativo 23/2015 detta le regole su come si calcola l’anzianità

del dipendente

Con l’appalto cambiano le tutele

L’azienda subentrata a partire dal 7 marzo può applicare il regime del Jobs act

In caso di cambio di appalto, il computo dell’anzianità di servizio del lavoratore che

passa alle dipendenze dell’azienda subentrante, dovrà tenere conto di tutto il periodo

di impiego nell’attività appaltata. Lo precisa l’articolo 7 del Dlgs 23/2015 sul contratto

a tutele crescenti, per il calcolo delle indennità e degli importi dovuti al lavoratore

illegittimamente licenziato da un’impresa alla quale sia stato trasferito nell’ambito

della successione di appalti. Ma vediamo meglio che cosa prevede la nuova norma e

quali sono le sue conseguenze.

I lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 con contratto a tempo indeterminato saranno

soggetti al regime delle «tutele crescenti» in caso di licenziamento accertato come

illegittimo dal giudice del lavoro (lo spartiacque è infatti la data di entrata in vigore

del Dlgs 23/2015). Salvi i casi di reintegra previsti per i licenziamenti discriminatori,

nulli o perché intimati in forma orale, ovvero quando sia accertata l’insussistenza del

fatto materiale contestato al lavoratore nel licenziamento disciplinare, se è accertato

che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per

giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il dipendente avrà diritto a un

indennizzo di due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del

Tfr per ogni anno di anzianità aziendale, in misura comunque non inferiore a quattro e

non superiore a 24 mensilità.

Nelle aziende fino a 15 dipendenti, il licenziamento illegittimo è sanzionato con

un’indennità pari alla metà delle mensilità dovute per le grandi aziende, con un

massimo di sei mensilità.

Se il recesso del datore è intimato senza aver rispettato l’obbligo di mettere per iscritto

la motivazione, ovvero la procedura disciplinare prevista dall’articolo 7 della legge

300/70, la norma prevede un’indennità pari a una mensilità per ogni anno di anzianità

aziendale in misura non inferiore a due e non superiore a 12.

Ma che cosa succede in caso di licenziamento accertato come illegittimo del

lavoratore a seguito del cambio di appalto? Come si calcola l’anzianità di servizio? Si

tiene conto o no dell’anzianità pregressa? In base a quanto stabilito esplicitamente dal

Dlgs 23/2015, l’anzianità e il calcolo delle indennità risarcitorie dovranno tenere conto

di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’appalto.

Ad esempio, se un lavoratore è licenziato (illegittimamente) dopo un anno dal

subentro del nuovo datore di lavoro, ma lavorava sull’appalto già da due anni,

quest’ultimo periodo, per effetto dell’articolo 7 del Dlgs 23/2015, si aggiungerà al

precedente ai fini del calcolo delle indennità previste dal contratto a tutele crescenti.

Questa disposizione potrà comportare qualche difficoltà applicativa soprattutto nel

caso in cui il lavoratore sia stato utilizzato (magari anche contemporaneamente) su più

appalti per effetto di specifiche esigenze produttive.

La norma modifica, di fatto, anche il regime di tutela in caso di licenziamento

illegittimo. Salvo diversa previsione contrattuale, nel caso in cui un’azienda subentri

nell’appalto a partire dal 7 marzo 2015, i lavoratori già assunti al momento dell’entrata

in vigore della legge e trasferiti all’azienda subentrante perderanno il regime di tutela

pregresso (ad esempio ex articolo 18 dello statuto dei lavoratori) per essere sottoposti

alla nuova normativa sul contratto a tutele crescenti, tenuto conto che il cambio di

appalto comporta comunque una nuova assunzione.

L’articolo 7 del Dlgs 23/2015 nella sua formulazione letterale, desta però qualche

dubbio interpretativo. Nella norma non è richiamato espressamente, infatti, l’articolo 9

del decreto, che riguarda il regime di tutela per i lavoratori delle piccole imprese.

Ci si chiede, dunque, se lo stesso trattamento giuridico sul calcolo delle indennità e

degli importi dovuti al lavoratore in caso di licenziamento per cambio appalto si

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applichi anche alle imprese che hanno un organico fino a 15 dipendenti. Sarebbe

opportuno un chiarimento ministeriale, per evitare possibili discrasie interpretative a

livello giurisprudenziale, con disarmonie di calcolo tra a aziende in funzione della loro

dimensione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pagina a cura di

Daniele Colombo

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore del Lunedì

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NORME E TRIBUTI 04 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì

Le regole nei settori. Alcuni contratti nazionali stabiliscono un obbligo di inserimento ex novo degli

addetti per l’impresa subentrante

Il Ccnl può prevedere la riassunzioneIl cambio di appalto comporta il trasferimento del rapporto di lavoro all’azienda

subentrante solo se questo è espressamente previsto dal contratto collettivo applicato.

La materia della successione negli appalti tra imprese e della sorte dei rapporti di

lavoro coinvolti, infatti, trova la propria disciplina nell’ambito della contrattazione

collettiva, non essendo la materia regolata in maniera organica dalla legge. La

successione dell’impresa nell’appalto trova la sua regolamentazione nell’articolo 29,

comma 3 del decreto legislativo 276/2003: questa norma si limita ad affermare che la

successione di un’impresa nell’appalto non costituisce trasferimento di azienda,

perché non si verifica un vera e propria cessione di un complesso di beni organizzato

al nuovo appaltatore. Ne consegue che il passaggio di lavoratori nel cambio di appalto

non comporta l’applicazione dell’articolo 2112 del Codice civile, né opera il regime di

solidarietà previsto dallo stesso articolo.

Una normativa di tutela dei lavoratori coinvolti nella successione di imprese negli

appalti, ad esempio, è contenuta nel Ccnl del turismo (articoli 332 e seguenti), nel

Ccnl multiservizi (articolo 4) e nel Ccnl igiene ambientale (articolo 6), che prevedono

una risoluzione dei rapporti di lavoro da parte dell’impresa cedente e un obbligo di

assunzione ex novo da parte dell’impresa subentrante senza alcun periodo di prova per

i dipendenti neoassunti.

L’automatismo riguarda prevalentemente le figure operaie, occupate nell’appalto, non

estendendosi, invece, al personale impiegatizio e di staff. Nello specifico, il Ccnl

igiene ambientale e il Ccnl multiservizi estendono il meccanismo ai dipendenti in

organico nell’appalto, mentre il Ccnl turismo prevede la facoltà di esclusione di coloro

che svolgono funzioni di coordinamento e controllo ovvero dei lavoratori di concetto.

Inoltre, mentre il Ccnl multiservizi prevede l’obbligo di «mantenimento dei livelli

occupazionali», il Ccnl turismo obbliga l’impresa subentrante a mantenere le

pregresse condizioni economiche. Il Ccnl igiene ambientale, invece, prevede che in

tutti i casi di cessazione di appalto di servizi e di conseguente aggiudicazione

dell’appalto a un’azienda diversa, i rapporti di lavoro con la prima azienda vengano a

cessare, con subentro della nuova appaltatrice nella gestione dei rapporti, se impiegati

nei 240 giorni precedenti l’inizio della nuova gestione.

I contratti citati prevedono anche specifiche procedure di preventiva consultazione

sindacale in occasione del cambio di appalto. Proprio nell’ambito di queste procedure,

il sindacato potrebbe chiedere che ai lavoratori “trasferiti” siano garantite per via

contrattuale norme di tutela più favorevoli rispetto a quelle previste dall’ordinamento

e dal contratto nazionale.

Le garanzie del contratto collettivo nazionale, ove previste, tuttavia, rischiano di non

essere efficaci. Avendo il contratto efficacia soggettiva limitata, infatti, le clausole che

garantiscono la continuità del rapporto risultano opponibili all’impresa subentrante

solo se anche questa applica lo stesso o un altro contratto collettivo che contempli un

obbligo analogo.

Conseguentemente, l’obbligo di assunzione scatta solo se l’impresa è vincolata per

affiliazione sindacale ovvero per recepimento espresso o tacito del contratto collettivo.

Diversamente, qualora l’impresa subentrante applichi un contratto collettivo privo di

una regolamentazione specifica sul cambio di appalto, non è obbligata ad assumere i

dipendenti licenziati dall’impresa “uscente”.

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Il dipendente delle partecipata non può assumere la carica di revisore del Comune titolare della partecipazione

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CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 4 MAGGIO 2015 3

IMPRESE & FINANZAIl personaggio

Uomini, storiee strategie

Fonte: elaborazione Università Bocconi per Corriere Economia su dati di Ministero Economia e Finanze (Mef), Cdp, F2i, Fondo Italiano d'Investimento (Fii), Borsa Italiana, siti web delle società

... e attraverso chi

Fii

F2i

Finmeccanica

Mef

Mef, Cdp

Cdp

Mef

Rai

Eni

Eni, Cdp Reti

Stm holding

Enel

Enel, Cdp,Cdp Reti

Veicoli della partecipazione pubblica

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Ppar

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1 Protagonisti

Eni Il ceo Claudio De Scalzi.La quota pubblica «pura», diretta e indiretta, è del 25% e vale 14,5 miliardi

Finmeccanica Il capo azienda Mauro Moretti. Laquota pubblica «pura» è del 30%, vale 1,8 miliardi

Enel Francesco Starace, amministratore delegato. Lo Stato possiede il 25%, quota che vale 9,9 miliardi

Dossier Dalle Popolari alla Spa salva imprese, dall’Ilva alla banda ultralarga. Sul tavolo del super consulente anche la Bad bank

I piani di Guerra Tutto entro ottobreCinque mesi per completare il lavoro a fianco del premier Matteo Renzi. Poi tornerà al settore privato Il suo modello? Seguire le logiche di mercato. Lo Stato dev’essere un «facilitatore». I progetti per le Poste DI DANIELA POLIZZI

Un anno vissuto traPalazzo Chigi e i ta-voli più caldi chehanno coinvolto il

ministero dello Sviluppo eco-nomico e il Tesoro. Da settem-bre dell’anno scorso, quandoha abbandonato il ponte di co-mando di Luxottica, al primoottobre, quando AndreaGuerra lascerà l’incarico rice-vuto direttamente da MatteoRenzi di consulente strategicodel Premier per ritornare a fa-re il manager. In pratica Guer-ra ha il ruolo di un suggeritoredietro le quinte ma in realtà ècoinvolto in prima persona neinegoziati sui temi chiave, sulmodello di quanto avvienenelle amministrazioni ameri-cane. Non è un teorico o uneconomista. È un top managerdell’industria privata chiama-to a utilizzare i principi che laguidano come chiave di lettu-ra. E applicarli nel momentodelle scelte. Guerra ha comeriferimento il mercato e le suedinamiche, convinto che, se siapplicano le sue regole, si vanella direzione giusta. Lo Sta-to, anche attraverso le parteci-pazioni, deve avere un ruolo disostegno, indirizzo, certo maidi market maker. Piuttosto,quello di facilitatore di unatransizione.

BancheIl punto d’arrivo è ancora il

mercato, la chiave per moder-nizzare il Paese. E questo, intutti i dossier su cui è statochiamato a fornire una consu-lenza. A partire dalla riformadelle popolari e la loro trasfor-mazione in spa. Agli occhi di

molti, una vera spallata, aquelli degli operatori un’ini-ziativa coraggiosa che gli ad-detti ai lavori, cioè il mercato,chiedevano da tempo. Lo stru-mento forte del decreto leggeha fatto saltare il tappo con-sentendo l’avvio di un proces-so di aggregazione tra banchepopolari, un settore che era ri-masto fuori dai grandi conso-lidamenti proprio a causa diun sistema cooperativo moltofarraginoso. La stortura del voto capitario nell’ambito disocietà quotate in Borsa era— secondo Guerra e Renzi, af-fiancati da altri consulenti —un’anomalia da abolire al piùpresto. Per la modernizzazio-ne del Paese. Ma anche per lasua credibilità nei confrontidei mercati e degli investitoriistituzionali esteri, soprattuttoanglosassoni, che tanto pesohanno avuto nell’Ipo di RaiWay che l’anno scorso, assie-me a Fincantieri, si è confron-tata con le logiche del merca-to. Lo Stato, insomma, ha ilcompito di sbloccare le partiteche imbrigliano l’economia.

Altro dossier significativo èla Società per azioni destinataal turnaround delle aziendeappesantite, spesso completa-mente inchiodate, dai debiti.Un’iniziativa che vuole suggel-lare l’alleanza tra pubblico (at-traverso Cassa depositi e pre-

stiti) e capitali privati. Il pri-mo sottoscrive fino a circa 600milioni ed è l’«anchor inve-stor», l’azionista promotore,come avviene nel private equi-ty.

La guida ai privatiIl progetto è incardinato su

un modello privatistico. Conun rendimento annuo sul ca-pitale (Irr) del 15% che non èquello dei fondi speculativi(circa il 25%) ma ci si avvici-na. Le regole di mercato sonogarantite dalla governance.Nel board i privati peserannoper i tre quinti. Ci sarà un co-mitato strategico e uno per gliinvestimenti. A questa archi-tettura sarà affidata anche l’Il-va, il polo siderurgico in am-ministrazione straordinaria.

Ma qui la spa non si farà cari-co dei debiti, né fornirà liqui-dità. Gestirà l’Ilva come ramod’azienda. L’orizzonte sonocinque anni per rilanciarla evenderla. Al limite allestendoun ancoraggio che ne preservil’italianità.

D’altronde se non ci sonogovernance e regole privatisti-che non si potrà passare allafase due. Arriverà in un paiodi settimane e sarà gestita dal-l’advisor Vitale & co con la sol-lecitazione a rivolta agli inve-stitori. Dalle casse di previ-denza ai fondi pensione italia-ni e l’Inail, a Kkr, Cerberus,ifondi cinesi e del Qatar. Segui-rà a ruota la firma da partedella presidenza del consigliodel Dpcm sulla garanzia delloStato riservata ai sottoscritto-

ri, che potrà essere concessafino a coprire l’80% dell’inve-stimento. E poiché la garanziaè onerosa, questa categoria disoci avrà un rendimento piùstabile ma più basso. Sono icosiddetti «soci pazienti». Iprivati avranno più rischio e

ritorni più elevati. Con lo stes-so approccio, Guerra è ancheuno dei fautori della nascitadella Bad bank perché le sof-ferenze bancarie sono un fre-no a una ripresa più incisiva.Non segue le privatizzazioni inprima persona ma crede che

la strada imboccata sia quellagiusta. Anche per Le Poste. Iltetto al possesso azionario trail 3 e il 5% è da vedere comeun’opportunità per aprire leporte a molti investitori. Con il60% che resta in capo al Teso-ro, il controllo è blindato.

C’è poi la partita della rete abanda ultralarga, la più com-plessa. La prima forse che rap-presenta forti complessità an-che per Guerra, convinto chetutti gli attori devono parteci-pare al progetto, un altro car-dine per la modernizzazionedel Paese: la Cdp e il suo brac-cio Fsi, socio in Metroweb, Vo-dafone. Ma soprattutto è con-vinto che il mondo pubblico,non possa lasciare fuori dallapartita Telecom Italia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Occorre sbloccare l’economia nell’interessedel Paese

Suggeritore AndreaGuerra, «ceo» di Luxottica per dieci anni, oggi è il su-perconsulen-te delPremier Renzinelle vicende industrialipiù delicate

Classique Chronométrie 7727Breguet, creatore.

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Page 144: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

ROBERTO MANIA

la Repubblica4 LUNEDÌ 4 MAGGIO 2015ECONOMIA

PER SAPERNE DI PIÙ

www.cgil.itwww.lavoro.gov.itL’intervista

“La riforma non vaprivilegia i più ricchie divide i precaririnviando le assunzioni”

LE PENSIONI

I PARTITI

Le risorseperrimborsarei pensionatisi possonotrovaresubitovarando unapatrimoniale

Impegnarmiper unanuovasinistra?È un erroreconfonderei ruoli mac’è bisognodi sinistra

AL VERTICE

Susanna Camusso, è segretariogenerale della Cgildal novembre 2010

Susanna Camusso. Il segretario Cgil contro la legge sulla scuola

“Le risorse vanno a chi primeggia. A Scampia o allo Zen di Palermo cosa succederà?

Il Jobs Act non sta dando effetti perché mancano gli investimenti, soprattutto pubblici”

CAMUSSO, ma non è paradossale uno

sciopero della scuola contro una

riforma che prevede 100 mila as-

sunzioni di precari?

«Ma secondo lei — risponde il se-gretario generale della Cgil — un sin-dacato può scioperare contro delle as-sunzioni? La verità è che il governonon è in condizioni di farle per l’iniziodell’anno. E ha posto criteri assai di-scutibili che dividono in modo arbi-trario i precari».

Non è che protestate contro una leg-

ge che vi ha tagliato fuori, che ha

ignorato il tradizionale potere di ve-

to dei sindacati?

«Francamente mi paiono argo-menti vecchi e strumentali. Le cosesono assai più serie. Questa è unariforma che lede il diritto costituzio-nale della libertà di insegnamento,che affida a un singolo, il dirigentescolastico come si chiama oggi il pre-side, la totale discrezionalità su chidebba insegnare o meno. Non è quel-lo che prevede la nostra Carta Costi-tuzionale».

Lei pensa che sia una riforma di im-

pianto autoritario?

«Emerge una scuola che non ha piùuna funzione di carattere generale,che non punta più a formare cittadinicon spirito critico. È una scuola elita-ria, non di tutti. Le risorse che ci sono,peraltro scarse, vanno a chi primeg-gia e delle scuole di Scampìa o delloZen di Palermo che ne facciamo?».

Eppure la competizione tra istituti

scolastici può accrescere la qualità

dell’offerta formativa. Non crede

che possa essere un vantaggio per

le famiglie?

«Guardi, io penso che la scuola deb-ba essere migliorata. Nella nostra Co-stituzione la scuola vuol dire il dirittoallo studio. Bene, nella riforma nonc’è traccia di questo. Non c’è una vi-sione del futuro della scuola, non c’ènulla per combattere la dispersionescolastica nel Paese che detiene il re-cord di giovani Neet, che cioè non la-vorano, non studiano, non si forma-no. Alla fine accederanno alla scuolacoloro che appartengono a famiglieche se lo possono permettere».

Abbiamo il record dei Neet e quello

dei giovani disoccupati. Secondo lei

perché nonostante il Jobs Act, il su-

peramento dell’articolo 18, lo sgra-

vio contributivo per le nuove assun-

zioni, le aziende non assumono?

«Perché non ci sono investimenti apartire da quelli pubblici. Perché nonbasta dire a un imprenditore: ti ho tol-to l’articolo 18, ti ho fatto gli sconti,ora pensaci tu. Non funziona così. Gliincentivi senza vincoli si traducononella sola sostituzione di contratti.Serve una politica industriale che in-dirizzi e sostenga la crescita e l’occu-pazione».

Si passa dai contratti a termine a

quelli a tempo indeterminato. Non

è positivo?

«Certo che lo è. Ma siamo nel terre-no di Monsieur Lapalisse. Se non si po-ne come obiettivo quello della pienaoccupazione richiamato autorevol-mente dal Presidente Mattarella,non ci sarà alcun cambiamento di ver-

so».La manovra sugli sgravi contributi-

vi ci è costata circa 10 miliardi. Il go-

verno ne dovrà recuperare quasi al-

trettanti per fronteggiare gli effet-

ti cumulati della sentenza della

Consulta sul mancato adeguamen-

to delle pensioni. La Cgil ha esulta-

to dopo la sentenza. Ora si devono

trovare le risorse. Come?

«La Corte si era già pronunciata insenso negativo su soluzioni che colpi-vano solo parte dei pensionati. Il go-verno è in grave ritardo e ora è indi-spensabile sedersi intorno ad un ta-volo per cambiare la legge Forneroche non funziona per mille motivi».

D’accordo, le risorse dove le pren-

derebbe?

«Ora i diritti delle persone vannogarantiti e le risorse, come abbiamopiù volte detto, ci sono o si possonotrovare. Questa potrebbe anche es-sere l’occasione per rivedere i criteridi una effettiva progressività del si-stema fiscale e per contrastare seria-mente l’evasione».

Facendo pagare ai ricchi? È la vo-

stra proposta della patrimoniale?

«Senza rinunciare alla riformacomplessiva del fisco, la patrimonia-le sulla grandi ricchezze ha un’effica-cia immediata».

Come giudica la legge elettorale su

cui la Camera esprimerà la fiducia?

«Non mi convince essendo tuttapiegata al principio della governabi-lità. È una legge che surrettiziamen-te porta al premierato senza che sia-no stati previsti i necessari contrap-pesi. Dissi al congresso della Cgil cheeravamo di fronte ad una torsione delsistema democratico. Non ho cam-biato idea».

“Il sindacato visita la sinistra tutti i

giorni del calendario”, ha scritto

Eugenio Scalfari nell’editoriale di

domenica. Lei che sinistra visita?

«La sinistra che visito è quella chetenta di recuperare alcune parole e al-cuni valori: uguaglianza, ricostruzio-ne dei diritti sociali, povertà non co-me colpa, disoccupazione non comevergogna. La sinistra che vuole un al-tro Paese».

Sta dicendo che non è nel Pd, parti-

to che lei ha annunciato non vote-

rebbe, che trova questa sinistra?

«C’è anche nel Pd. È che oggi sonosempre di meno i luoghi della parte-cipazione democratica, ma non è ve-ro che i cittadini non vogliano parte-cipare. L’iniziativa di oggi (ieri, ndr)di Milano ne è la riprova».

E cosa pensa di coloro che invece

hanno devastato Milano?

«Si è trattato di violenza pura e gra-tuita che non può avere alcuna giu-stificazione politica».

Ma lei si impegnerebbe a dar vita a

una nuova sinistra?

«La mia è un’altra funzione. Sareb-be un errore confondere i ruoli, ma so-no convinta che ci sia un grande biso-gno di sinistra».

Ci vorrebbe un altro partito di sini-

stra?

«Ci vorrebbe un partito di sinistra».In autunno ci sarà la conferenza di

organizzazione della Cgil anche per

fissare le nuove regole per l’elezio-

ne dei gruppi dirigenti. Come sarà

scelto il suo successore?

«Siamo ben coscienti che dobbia-mo cambiare. La contrattazione nonpuò limitare a tutelare chi è già orga-nizzato, dobbiamo includere tutto ilmondo del lavoro. Sarà la nostra rifor-ma strutturale all’interno della qualeci saranno le nuove regole per sele-zionare i dirigenti. Il prossimo segre-tario della Cgil sarà eletto da un orga-nismo nel quale la presenza dei dele-gati dei posti di lavoro sarà superiorea quella degli apparati. E sono certache queste modalità renderanno pro-tagoniste le nuove generazioni».

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la Repubblica 9LUNEDÌ 4 MAGGIO 2015ECONOMIA

PER SAPERNE DI PIÙ

www.inps.itwww.mef.gov.itLa previdenza

FEDERICO FUBINI

ROMA.Non è la prima volta e nonsarà l’ultima. Logica del diritto,sostenibilità economica e convi-venza europea sono già entratein conflitto prima e lo faranno dinuovo. In questo l’Italia non è so-la, anche le se prime stime incommissione bilancio della Ca-mera rivelano un problema, al-l’apparenza, insolubile: secon-do calcoli ancora da conferma-re, sarebbe fra gli 11 e i 13 mi-liardi l’aggravio per lo Stato del-la bocciatura in Corte costitu-zionale del decreto sullepensioni di dicembre 2011.

Ciò che per la legge sembraovvio, per il bilancio pubblico èquasi impossibile e per l’area eu-ro è qualcosa di già vissuto inpassato. Un anno e mezzo fa laCorte costituzionale portoghe-se bloccò alcune misure del pia-no di salvataggio del Paese. InGermania nel febbraio 2014 igiudici posti a tutela della Leggefondamentale fecero capire che

la Banca centrale europea era inconflitto l’ordinamento tede-sco. E venerdì scorso la Consultadi Roma ha annullato una nor-ma approvata a larga maggio-ranza in parlamento per per-mettere all’Italia di rispettareun trattato sottoscritto dal Pae-se: quello sulla partecipazioneall’euro e il rispetto delle sue re-gole. Il governo del dicembre2011, guidato da Mario Monti,congelò per due anni gli scatti sututte le pensioni dai 1450 euroin su in modo da ridurre il defi-cit, rendere il debito più sosteni-bile, garantire la continuità de-gli impegni dello Stato.

Oggi gli equilibri del Paese so-no più stabili di tre anni e mezzofa. Ma il conflitto fra interpreta-zione della Costituzione italia-

na, regole europee e risorse è piùacuto che mai. Lo è al tal puntoche, in ambienti del governo,sta emergendo una tentazione:chiedere un rinvio del caso allaCorte di giustizia europea, perchiarire se la sentenza dellaConsulta italiana sia coerentecon gli impegni di bilancio fir-mati a Bruxelles. Il nuovo Patto

di stabilità (il “Six Pack” e il“Two Pack”) sono inclusi nelTrattato, dunque hanno rangocostituzionale e il diritto euro-peo fa premio su quello naziona-le. Il governo italiano potrebbechiedere alla Corte di Lussem-burgo se la sentenza dei giudicidi Roma sia compatibile con es-si.

In realtà è difficile che alla fi-ne il governo prenda questastrada. Sarebbe la prima voltache un premier si rivolge allagiustizia europea contro la suastessa Corte costituzionale eprobabilmente Matteo Renzivorrà evitare una mossa così de-stabilizzante. Più agevole perPalazzo Chigi e il ministero del-

l’Economia cercare di attenua-re e circoscrivere, per ora, l’im-patto dei rimborsi richiesti. Inpassato la Corte aveva indicatoche un blocco temporaneo degliadeguamenti all’inflazione del-le pensioni almeno otto volte so-pra il minimo (da circa 4.000 eu-ro in avanti) non viola Costitu-zione. Per gli assegni più alti èverosimile che per ora non scat-ti alcun pagamento, ma i rispar-mi sarebbero poca cosa rispettoall’ammanco di bilancio apertodalla sentenza.

Secondo i giudici la pensioneè salario differito, dunque ridur-la equivale a espropriare quan-to l’ex lavoratore ha accantona-to. Poco importa alla Consulta,in termini legali, che nella prati-ca molti di quei benefici sianomolto sopra ai contributi effetti-vamente versati. Quei pensio-nati si sono ritirati con il sistemaretributivo, cioè con versamen-ti parametrati agli ultimi salarie non ai veri contributi.

In sostanza, la logica econo-

mica racconta una storia diver-sa da quella del diritto. Nel 2014l’Italia aveva il livello di spesa so-ciale più alto dell’Ocse, il clubdelle 33 democrazie avanzate,ad eccezione di Francia, Finlan-dia, Belgio e Danimarca. Eppurequesto Paese ha la struttura diwelfare più inefficace e distortad’Europa. La spesa per le fami-glie resta fra le più basse, mal-grado il collasso delle nascite inquesti anni. Gli assegni contro lacrescente povertà, in proporzio-ne, risultano superiori solo aquelli di Messico, Grecia e Tur-chia. Appena il 5% del welfareitaliano è distribuito sulla basedi valutazioni dei bisogni realidelle famiglie, il resto viene di-vorato quasi tutto dalle pensio-ni. Grazie alla Consulta questosquilibrio sarà ancora più stri-dente da ora in poi. Tanto che igiudici costituzionali potrebbe-ro ottenere un risultato che nonavevano previsto: indurre unaripensamento della previdenzain nome di un welfare più mo-derno dopo le prossime elezioni.Prima o poi, con questa o un’al-tra legge, si terranno.

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Consulta sulle pensioni, conto a 13 miliardiIl governo studia come ridurre l’impatto della sentenza della Corte costituzionale escludendo comunque gli assegni più ricchiMa la decisione apre un conflitto tra le leggi italiane e i trattati europei, un confronto che potrebbe finire alla Corte di Lussemburgo

Il riequilibrio del bilanciopuò innescare unripensamento dell’interosistema di welfare

Fino a 499,99

Dati 2013

7.868.357 33,7 30.185 11,1

500,00-999,99 7.546.573 32,4 61.977 22,7

1.000,00-1.499,99 3.190.229 13,7 47.220 17,3

1500,00-1.999,99 2.264.614 9,7 46.391 17,0

2.000,00-2.999,99 1.762.941 7,6 50.438 18,5

3.000,00-4.999,99 515.339 2,2 22.683 8,3

5.000,00-9.999,99 165.689 0,7 12.521 4,6

10.000,00 e più 8.536 - 1.331 0,5

Totale 23.322.278 100,0 272.746 100,0

Pensioni per classe di importo mensile anno 2013 Importo annuo delle pensioni in % sul Pil

Classe di importomensile (euro)

Numeri %sui trattamenti

Costo complessivoin milioni di euro

%sulla spesa

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

12,0%

11,5%

11,0%

10,5%

10,0%

9,5%

9,0%

I NUMERI

13 mld GLI EFFETTI

L’effetto dellasentenza della CorteCostituzionale suiconti potrebbe salire a11/13 miliardi

6 mln GLI INTERESSATI

Il blocco delleindicizzazioni deciso dal governoMonti riguarda 6 milioni di persone

500 euro IL RIMBORSO

Il governo dovràdecidere come equando restituire. Siipotizza un rimborsodi 500 euro in 2 anni

1.400 L’ASSEGNO

Sono interessati alrimborso tutti ipensionati con unassegno superiore ai1.400 euro

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NORME E TRIBUTI 05 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Jobs act. I presupposti del recesso per giustificato motivo oggettivo non sono cambiati con il

contratto a tutele crescenti

Licenziamenti economici con repêchageAlla luce della nuova disciplina indennitaria prevista dal Dlgs 23/15 sul contratto a

tutele crescenti, il requisito del repechage potrebbe essere destinato a essere superato e

non più ricompreso tra gli elementi da valutare in sede di verifica della legittimità del

licenziamento per giustificato motivo oggettivo (si veda «Il Sole 24 Ore» del 22

aprile).

La tesi che è stata accreditata è quella per cui, venuta meno la sanzione della

reintegrazione sul posto di lavoro del dipendente licenziato illegittimamente per

giustificato motivo oggettivo, sarebbe caduto anche l’obbligo del datore di lavoro di

verificare l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre posizioni della struttura

aziendale. In quest’ottica, è stato affermato che la verifica sulla ricollocabilità del

lavoratore sia direttamente correlata alla tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18

dello Statuto, nella versione pre e post Riforma Fornero, quale effetto della

declaratoria d’invalidità del licenziamento intimato per ragioni inerenti all’attività

produttiva o all’organizzazione del lavoro.

La tesi è merita sicuramente una riflessione, ma probabilmente travalica lo spirito che

ha animato la riforma del contratto a tutele crescenti. Il Dlgs 23/15 ha notevolmente

inciso, tra l’altro, proprio sugli effetti sanzionatori che possono derivare in presenza di

un licenziamento economico ingiustificato, eliminando per i nuovi contratti di lavoro a

tempo indeterminato la reintegrazione in servizio, ma non è intervenuta sui

presupposti sostanziali del giustificato motivo oggettivo di recesso.

Costituisce, infatti, indirizzo consolidato quello per cui la fattispecie del giustificato

motivo oggettivo di licenziamento si realizza in presenza di tre elementi essenziali, la

cui contemporanea ricorrenza è condizione imprescindibile per ritenere la validità

della misura espulsiva:

l’effettività delle ragioni aziendali che hanno indotto l’impresa a decidere per la

soppressione del posto di lavoro;

la diretta riconducibilità delle ragioni aziendali alla posizione occupata dal lavoratore

destinatario del provvedimento espulsivo;

la prova dell’inevitabilità del licenziamento, nel senso che il lavoratore non deve poter

essere adibito ad altre mansioni della struttura aziendale.

Un recente indirizzo della giurisprudenza ha, peraltro, allargato il perimetro di

quest’ultima verifica, ritenendo che l’impossibilità di ricollocare aliunde il lavoratore

vada riferita non solo alle mansioni equivalenti, ma anche a quelle inferiori

compatibili.

Da questi approdi della giurisprudenza emerge che il requisito del repechage sia parte

integrante del giustificato motivo oggettivo di licenziamento e non possa essere

trasferito, viceversa, sul piano degli effetti che, in base all’articolo 18 dello Statuto,

vecchia e nuova versione, derivano dal giudizio di invalidità del licenziamento.

Il tentativo di ridurre l’area di illegittimità del licenziamento economico, sottraendolo

da ogni legame con il requisito del repechage, non appare del tutto convincente

proprio sotto questo profilo, perché non è con riferimento alla sanzione reintegratoria

che è stato elaborato e concepito l’obbligo di verificare la possibilità di un diverso

reimpiego del lavoratore nel perimetro aziendale, bensì in stretta relazione alle

condizioni sostanziali della fattispecie.

A ulteriore conforto di questa conclusione, è utile osservare che il requisito del

repechage è stato utilizzato anche con riferimento ai licenziamenti economici adottati

nelle imprese minori cui, alla luce dei più ridotti livelli occupazionali, non si è mai

applicata la tutela della reintegrazione.

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Giuseppe Bulgarini d’Elci

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Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 087, pag. 4 del 06/05/2015

PRIMO PIANO

Padoan ha ragione, ma ci vogliono fatti e non soloparole

di Angelo De Mattia

Secondo Pier Carlo Padoan il sistema bancario è solido, ma comunque «si potrà sostenere che siamo fuori

della crisi solo quando sarà stato risolto il problema delle sofferenze delle banche», che ora si avviano verso i

190 miliardi complessivamente. A questo proposito, il ministro ha precisato che la normativa sugli aiuti di

Stato – «che non è uno dei dieci Comandamenti», ha soggiunto ironicamente - rappresenta il principale

ostacolo alla soluzione di tale problema. Il Tesoro sta lavorando al progetto per la pulitura dei bilanci bancari,

attraverso l'alienazione delle sofferenze, insieme con Banca d'Italia e Ue. Ora, poiché il ministro non è solo

uno stimato accademico, ma il titolare di un dicastero, è necessario capire come egli giudichi l'applicazione

della predetta normativa, se non rilevi un'abnormità nell'estensione della sua applicazione anche al caso

dell'istituzione di una bad bank od organismo similare, se le opposizioni di Bruxelles siano rivolte anche alla

deduzione fiscale delle perdite per le banche, il periodo della cui ammissibilità verrebbe ridotto da 5 a un

anno. Insomma, conosciuto il pensiero del ministro sulla sistemazione delle sofferenze, ora bisogna avere

ragguagli sull'azione, visto che è da oltre un anno che questo problema è in discussione, almeno da quanto il

governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, lo sollevò nel corso dell'intervento al congresso Assiom-Forex

di Roma nel 2014. Per il ministero ora vale il principio «res, non verba».

Lo stesso si dica per le giuste considerazioni di Padoan sulla richiesta agli istituti di dotazioni aggiuntive di

capitale. Quest'ultimo, ha detto il ministro, deve essere adeguato per fronteggiare eventuali shock e di buona

qualità per consentire investimenti profittevoli; ma, per passare da condizioni di capitale sotto stress a

condizioni rafforzate, occorre gradualità, da modulare secondo l'andamento dell'economia in generale, che

ora esce non senza sforzi dalla crisi. È una risposta netta agli indirizzi che provengono da più parti - dalla

Commissione, dall'Eba, dalla Vigilanza centralizzata, da organismi internazionali - che sembra conoscano il

solo strumento del continuo aumento delle dotazioni di capitale, con una visione cortissima, da burocrati che

vogliono essere sicuri che non si verifichino casi corresponsabilizzanti di crisi aziendali e non si accorgono

che alla perfezione dell'operazione fa seguito il decesso del paziente: fuor di metafora, la riduzione, nel breve

termine, delle possibilità di finanziare famiglie e imprese da parte delle banche. Ma, allora, che si fa? Il

governo ha il dovere di sviluppare su quest'altra delicata questione una specifica iniziativa. Non può limitarsi

alla mera denuncia dell'inescusabile errore. È lecito attendersi che, a questo punto, si agisca. (riproduzione

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MF

Numero 087, pag. 18 del 06/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Tra sanità integrativa e fondi pensione è possibile ottenere sinergie. Eccone alcune

di Lucio Sironi

In Italia sono all'opera più di 330 tra Fondi, Casse di previdenza e Mutue sanitarie, delle quali si sa molto ma

senza che vi sia una cornice regolamentare che ne inquadri finalità e modalità operative. Allo stesso tempo,

non esistono statistiche ufficiali di settore perché al momento la normativa stabilisce che i dati comunicati

all'Anagrafe del ministero della Salute, alla quale questi enti sono iscritti, siano destinati a un uso interno,

oltre che della sola Anagrafe tributaria. Un lavoro forse lungo, probabilmente accidentato, ma evidentemente

necessario, che ci si accinge ad avviare. Il nodo regolamentare, compreso il non trascurabile aspetto tuttora

indefinito della vigilanza (al quale si dovrà cominciare a metter mano al più presto nelle sedi istituzionali, ma

tenendo conto delle esperienze dei vari addetti ai lavori), è tra l'altro uno dei temi affrontati in un recente

congresso dal titolo «Sanità integrativa e previdenza, analisi delle differenze» organizzato a Capri dalla

società di consulenza Valore (www.valoresrl.it), specializzata nell'ottimizzazione dei processi di Casse e

strutture sanitarie e Fondi pensione, al quale sono intervenuti i principali fondi sanitari, casse di previdenza e

fondi pensione per discutere se e quali sinergie possono sussistere tra la sanità integrativa e la previdenza

complementare. Come ha spiegato Stefano Ronchi, managing partner di Valore, molti interessi si stanno

sviluppando attorno ai fondi sanitari perché in un contesto di congiuntura economica che limita le risorse a

disposizione delle famiglie, mentre la spesa sanitaria è in costante crescita, i fondi e le mutue sanitarie

permettono di coprire una consistente porzione della spesa che il sistema pubblico lascia scoperta. Per

cogliere i punti di convergenza tra i diversi sistemi, sono state messe a fuoco le possibili interazioni tra la

sanità integrativa e la previdenza complementare.

Prendendo le mosse da un'analisi del funzionamento delle casse sanitarie e dei fondi pensione e cioè gli

scopi sociali, i modelli organizzativi e gestionali e le politiche di investimento, si sono cimentati sul tema oltre

un centinaio di addetti ai lavori in rappresentanza di circa 40 enti. Hanno ragionato sulle possibili sinergie tra i

due mondi Alberto Oliveti, presidente dell'Enpam (medici), il più grande ente previdenziale privato, Anna

Trovò, presidente di Cometa, il maggiore fondo pensione italiano, oltre ai direttori di due rappresentativi fondi

sanitari, cioè Claudio Giammatteo di Faschim (chimici) e Giuseppe Marabotto di Fasdac (dirigenti aziende di

commercio). Presenza fondamentale quella di Roberto Scrivo, capo segreteria tecnica del ministero della

Salute, a conferma dell'attenzione con cui si guarda al tema, che tra l'altro ha sottolineato il ruolo della sanità

integrativa in una prospettiva di combinazione con le risorse pubbliche nella lotta alle malattie che richiedono

terapie onerose come l'Hiv o l'epatite C.

A nessuno sfugge il fatto che fondi pensione e casse sanitarie si rivolgono ad ambiti di intervento diversi e

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non sovrapponibili, con tempi di erogazione delle prestazioni differenti: i primi accumulano risorse per

corrispondere prestazioni future, mentre i secondi le raccolgono per erogare prestazioni nel presente. Anche i

modelli di investimento sono profondamente distanti, pur caratterizzati dall'esigenza comune di investire con

prudenza le risorse raccolte e tenendo conto del profilo di sviluppo delle passività. Le casse sanitarie tuttavia

devono impiegare i limitati avanzi di bilancio nella prospettiva di copertura di squilibri finanziari di breve

periodo, mentre i fondi pensione, che dispongono di risorse finanziarie più consistenti, investono a fronte di

debiti assunti nella prospettiva di pagare in futuro adeguate pensioni.

Ci sono spazi di sinergia tra strutture così differenti? In alcuni casi sì, per esempio nell'attività di

comunicazione e acculturamento verso iscritti e assistiti. Mentre sul fronte degli investimenti un punto di

possibile convergenza sono quelli nelle infrastrutture sanitarie quali le rsa (residenze per anziani) e le ra

(residenze assistite), che rappresentano per i fondi pensioni un'asset class coerente con il profilo temporale e

di rischio e nello stesso tempo, per Casse e Mutue, una rete di erogazione di prestazioni assistenziali in linea

con i dettami normativi sulle prestazioni vincolate. E al riguardo ha fatto bene Fulvio Conti, senior advisor di

Macquarie, uno dei maggiori gestori di fondi infrastrutturali al mondo, a sottolineare il duplice ruolo sociale e

di sviluppo economico che fondi pensione e casse sanitarie svolgono attraverso l'interazione con il sistema

delle infrastrutture. Resta, ben evidente, la necessità di tenere acceso un faro sull'evoluzione di questo

settore. E nuovi appuntamenti non mancheranno, anche a stretto giro. Per esempio, per migliorare il grado di

conoscenza e di sistematizzazione dell'articolato mondo delle casse e mutue sanitarie la stessa società

Valore ha avviato lo scorso anno un osservatorio i cui primi risultati saranno presentati a giugno in un

convegno che si terrà al Campus Bio-Medico a Roma. (riproduzione riservata)

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MF

Numero 088, pag. 4 del 07/05/2015

PRIMO PIANO

Buco pensioni, il governo stringe: soluzione entro la prossima settimana

di Mauro Romano

I sindacati sono sul piede di guerra e l'Europa fa già la voce grossa; anche per questo il governo conta di

chiudere al più presto la questione relativa all'indicizzazione delle pensioni. Ancora ieri fonti dell'esecutivo

spiegavano che le soluzioni sul tavolo sono molte, dalla possibile rateizzazione degli importi dovuti alla

progressività nella rivalutazione degli assegni, ma non è stata presa ancora una decisione definitiva, alla

quale si conta di arrivare entro l'inizio della prossima settimana. Non solo perché le pressioni sono molte, ma

anche perché, per evitare valanghe di ricorsi e class action, entro la fine di maggio dovrebbe essere varato

quantomeno un decreto sospensivo. La partita però è delicatissima. I calcoli ormai sarebbero stati ultimati e,

come temuto, il conto finale della sentenza della Corte Costituzionale che la settimana scorsa ha giudicato

incostituzionale il mancato adeguamento all'inflazione (nel biennio 2013-2014) delle pensioni tre volte

superiori al minimo (circa 1.400 euro lordi al mese) supererebbe i 10 miliardi di euro. O almeno tanto lo Stato

dovrebbe sborsare se l'indicizzazione piena venisse applicata a tutti i pensionati che hanno visto i loro

trattamenti fermi nel periodo sotto la lente della Consulta. Tuttavia pare che questa soluzione sia già stata

scartata dall'esecutivo, che si starebbe concentrando su come modulare gli adeguamenti in base a fasce di

reddito. «È impensabile restituire le pensioni di molte volte superiori alla minima», ha detto ieri Enrico Zanetti,

segretario di Scelta Civica e sottosegretario del ministero dell'Economia. Mentre il titolare del Tesoro, Pier

Carlo Padoan, si è limitato a dichiarare: «Stiamo pensando a misure che minimizzino l'impatto sui conti

pubblici ma rispetteremo la sentenza della Consulta». Ad ogni modo, per quanto possa essere meno salato,

il conto andrà pagato e, a parte il presunto tesoretto da 1,6 miliardi di euro che dovrebbe derivare dalla

differenza tra il deficit nominale e quello tendenziale per il 2015, le risorse dovranno essere trovate in qualche

modo. Per questo qualcuno ha iniziato a parlare anche di un possibile contributo di solidarietà sulle pensioni

più elevate, certamente molto più ricche dei 1.400 euro lordi al mese colpiti nel 2012-2013 dallo stop alle

indicizzazioni. Ma, al di là della impopolarità del provvedimento, anche una simile manovra sarebbe a rischio

ricorsi. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LE MISURE Il Governo pronto a modulare la restituzione sulla base di fasce di reddito. In alternativa sulla base dell’importo degli assegni

Pensioni, rimborsi sotto il 50%

Padoan: minimizzare i costi nel rispetto della Consulta - La Corte: sentenza

autoapplicativa senza bisogno di ricorso

ROMARiduzione di oltre il 50% del “flusso” di indicizzazione da restituire ai pensionati potenzialmente beneficiari. È questo l’obiettivo mai dichiarato del Governo per recepire alla lettera la pronuncia della Consulta e, allo stesso tempo, ridurre al minimo l’impatto sui conti pubblici. A parlare apertamente di «restituzione impossibile per tutti», seppure a titolo personale, è stato il sottosegretario Enrico Zanetti. Anche se Palazzo Chigi, al termine di una lunga e movimentata giornata è stato costretto a ribadire che la linea ufficiale del Governo è quella espressa dal ministro Pier Carlo Padoan e ribadita ieri dallo stesso responsabile dell’Economia: «Stiamo pensando intensamente sia agli aspetti istituzionali che di finanza pubblica. Pensiamo a misure che minimizzino l’impatto sui conti pubblici, nel pieno rispetto della Corte». Proprio da fonti vicine alla Consulta in serata è poi arrivata la precisazione che, senza il varo di nuove misure del Governo, la sentenza vale di per sé erga omnes ed è immediatamente applicativa. Per ottenere il rimborso delle somme non percepite in termini di indicizzazione - spiegano fonti vicine alla Corte - si deve fare una semplice domanda all’Inps e non serve alcun ricorso perché dopo la sentenza la restituzione è un obbligo da parte dello Stato.La partita resta dunque intricata e apertissima. Il Governo fa comunque sapere che tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima si troverà il modo di rispondere alla pronuncia della Consulta. Un’indicazione chiara che avrà tra i suoi primi destinatari Bruxelles. Che nelle consuete raccomandazioni attese per la metà della prossima settimana terrà conto anche della questione-Consulta e delle modalità con cui palazzo Chigi intenderà risolverla.Quanto alle misure operative, l’intenzione dell’Esecutivo sarebbe quella di varare un apposito decreto legge a inizio giugno. Ma la precisazione della Consulta potrebbe indurre a un’accelerazione dei tempi. I tecnici stanno ancora lavorando. L’idea che si stava facendo strada fino a ieri era di rimborsare meno della metà dell’indicizzazione complessiva ai pensionati potenzialmente interessati. E l’ipotesi più gettonata era quella di modulare i rimborsi facendo leva su un meccanismo graduale collegato, per gli assegni superiori oltre 3 volte il minimo, al reddito complessivo del singolo pensionato o a fasce di reddito. Con un nodo ancora da sciogliere: il ricorso o meno a un tetto temporaneo per gli assegni superiori a 8 volte o 6 volte il minimo (per i quali non ci sarebbe alcuna perequazione arretrata) sulla falsariga del dispositivo attivato nel 2014 dall’Esecutivo Letta. Una delle opzioni alternative prevedeva una calibratura sulla base degli importi degli assegni delle pensioni anche in questo caso con la variante “per fasce”. Una conferma indiretta era arrivata dal sottosegretario Zanetti: una restituzione alle pensioni più alte «sarebbe immorale. Occorre farlo per le fasce più basse» ricorrendo a una «graduazione». Questa operazione consentirebbe di ridurre l’impatto sui conti pubblici. Che con l’applicazione della sentenza sui pensionati interessati è stato quantificato dai tecnici del Mef in oltre 17 miliardi lordi: 8,7 miliardi per gli anni 2012, 2013 e 2014 (quando il blocco dell’indicizzazione fu ammorbidito dall’esecutivo Letta); 1,9 miliardi per il 2015 e 3,5 miliardi l’anno per il biennio 2016-2017. L’intervento del Governo dovrebbe essere coperto, almeno in parte, azionando la leva del deficit. Ma se Bruxelles lo richiedesse, l’Esecutivo sarebbe pronto ad anticipare una parte della “spending” da 10 miliardi prevista per il 2016. Quanto al ricalcolo in chiave contributiva delle pensioni alte e prevalentemente “retributive”, sarà valutato al momento della stesura della prossima legge di stabilità.Il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, torna a riproporre «un anticipo dell’assestamento bilancio» e sottolinea: «È una questione di

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metodo contabile, occorre dividere passato, presente e futuro». Il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ap), invita il Governo a non provare a risolvere la questione con norme anticostituzionali, soprattutto per l’eventuale ricalcolo delle prestazioni in essere con metodi diversi a seconda delle fasce di reddito. Forza Italia chiede l’applicazione integrale della sentenza. E Matteo Salvini minaccia: «Occupiamo il Tesoro se il Governo non ridà i soldi». Dalla Uil arriva una stima sugli effetti della restituzione delle somme dovute: un rimborso minimo di 2.540 euro a chi ha una pensione di 1.500 euro lordi.© RIPRODUZIONE RISERVATADavide ColomboMarco Rogari

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PRIMO PIANO 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LA RIFORMA

PESENTI «È stata un successo. Ha prodotto i risultati che ci attendevamo». Il 28 maggio assemblea pubblica di Confindustria all’Expo

«Nuove regole per la contrattazione»

Squinzi: con la riforma Pesenti Confindustria esce dal passato e costruisce una

nuova strada

roma«È una giornata speciale. Confindustria ha appena compiuto 105 anni e ora l’assemblea definisce la governance per futuro». Giorgio Squinzi ha esordito così ieri pomeriggio davanti alla platea di oltre mille delegati, arrivati a Roma per l’assemblea privata della confederazione. Un riferimento immediato alla Riforma Pesenti, che «è stata un successo, il rinnovamento interno ha prodotto i risultati che ci attendevamo» e che ha rivisto il modello organizzativo di Confindustria, voluta da Squinzi appena arrivato alla presidenza. A fronte di un «immobilismo che ha paralizzato il paese» con un «certo, giustificato orgoglio» il presidente di Confindustria ha sottolineato la scelta di voler «uscire dal passato» con nuove regole e «costruire una strada nuova».Uno sguardo al proprio interno, quindi, prima di tracciare i risultati raggiunti nei tre anni di presidenza, dal pagamento dei debiti della Pa «56 miliardi stanziati, 40 già pagati, operazione che va completata», al taglio dell’Irap, cioè 5,6 miliardi che si aggiungono ai 2 varati dai governi precedenti, al Jobs act, «un percorso che va portato a termine». Il governo, ha ammesso Squinzi, ha avviato un «ambizioso processo di riforme strutturali», a partire da quelle costituzionali. Bisogna andare avanti. E dalle imprese arriverà un continuo pressing: «In questi ultimi dodici mesi della mia presidenza Confindustria continuerà nella sua azione decisa a favore del processo di riforme». Ed ha aggiunto: «Non ci stancheremo di sollecitare il governo e le istituzioni europee in modo propositivo, ma anche critico e costruttivo, affinché sostengano una forte politica per gli investimenti», perché solo rilanciandoli si potrà ricominciare a crescere a ritmi sostenuti.«Abbiamo davanti sfide importanti: alcune le abbiamo vinte, diversi pericoli li abbiamo evitati, ma tanti cantieri sono aperti e con esito incerto», ha detto Squinzi. L’obiettivo è «rilanciare il paese e risollevarlo definitivamente dalla più grave crisi economica della sua storia».Un compito spetta anche alle industrie: «Innovare l’organizzazione del lavoro». Tocca a noi farlo, ha detto il presidente di Confindustria, per recuperare produttività e competitività. E quindi «servono regole radicalmente nuove della contrattazione collettiva». Un messaggio al sindacato: «Bisogna rivedere il modello contrattuale per assicurare la certezza dei costi, la non sovrapponibilità dei livelli di contrattazione e legare strettamente le retribuzioni alla produttività». Un impegno «importante» che «consentirà di portare un progresso nelle storia delle relazioni industriali». Nei prossimi mesi, quindi, si cercherà di rilanciare il dialogo con il sindacato. Un dialogo nel quale Squinzi ha creduto sin dall’inizio della presidenza come strumento per modernizzare il paese e che ha portato all’accordo storico sulla rappresentanza. Ma che ultimamente, ha aggiunto, si è affievolito, «non certo per nostra responsabilità».Da Cisl e Uil sono arrivate risposte positive. «La Cisl è pronta, è il ruolo responsabile delle parti sociali che devono saper regolare il mondo del lavoro e concorrere allo sviluppo», ha detto il segretario generale Annamaria Furlan. «Abbiamo già presentato due mesi fa una piattaforma, siamo contenti che ci possa essere un seguito, il 2015 deve essere l’anno dei contratti», ha detto il numero uno della Uil, Carmelo Barbagallo. Mentre il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, fa il «tifo perché le parti lavorino bene».Il decreto Poletti e il Jobs act sono state due riforme di «rilevanza strategica», ha sottolineato Squinzi, che hanno recepito alcune proposte di Confindustria su contratti a tempo determinato, licenziamenti, revisione delle forme contrattuali. È stato anche grazie alle sollecitazioni di Confindustria che si è avviata la riforma del sistema fiscale. Squinzi è tornato sulla battaglia fatta sulla tassazione dei macchinari imbullonati e più in generale sugli immobili d’impresa, «che ha assunto connotazioni

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paradossali». Ha sottolineato anche il lavoro fatto sulla riforma della scuola, sulla difesa della cultura industriale e sul rispetto della libertà di fare impresa, citando come esempio il disegno di legge sui reati ambientali che nella formulazione originaria avrebbe portato alla criminalizzazione dell’attività d’impresa. Tra i risultati raggiunti, Squinzi ha citato la decontribuzione per i neo assunti a tempo indeterminato, 1,6 miliardi per il 2015, e 1 miliardo di riduzione dei premi Inail, interventi sugli oneri sociali che dovranno essere rafforzati e resi strutturali. E poi ancora la moratoria per i debiti delle imprese, la nuova Sabatini, il credito di imposta per la ricerca «insufficiente ma è un primo passo», il piano del governo per il made in Italy. Un cantiere da completare: «Il superamento del bicameralismo perfetto e la revisione del Titolo V, la riforma della Pa, una volta portate a termine, contribuiranno a rendere il paese più efficiente e competitivo». Un contributo importante per la ripresa verrà dall’Expo, sui cui Confindustria «ha scelto di metterci la faccia». E proprio all’Expo si terrà l’assemblea pubblica di Confindustria, il 28 maggio.© RIPRODUZIONE RISERVATANicoletta Picchio

presidente di tutti». Il numero uno di Mapei succede a Emma Marcegaglia

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IMPRESA & TERRITORI 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IN BREVE

commercio

Auchan, sciopero

il 9 maggio

Una procedura di licenziamento collettivo per 1.426 lavoratori su tutto il territorio

nazionale, la disdetta della contrattazione integrativa aziendale. Sono queste le ultime

decisioni di Auchan che hanno spinto Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, a

proclamare lo sciopero per il 9 maggio. «Un atto gravissimo e senza precedenti»,

commenta Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams Cgil. Sono dieci le

regioni interessate dalla procedura; solo nel Mezzogiorno sono stati dichiarati circa

700 esuberi, di cui circa 270 negli ipermercati della Sicilia, più di 200 in Campania,

150 in Puglia e quasi 100 tra Abruzzo e Sardegna. Coinvolti anche diversi punti

vendita del Nord Italia dove i lavoratori colpiti dalla procedura sono più di 500, tra

Veneto, Piemonte e Lombardia, regione nella quale i licenziamenti annunciati da

Auchan sono più di 300.

CREDITO

Romani segretario generale di First

Giulio Romani è stato eletto ieri segretario generale aggiunto di First (nato dalla

fusione di Fiba Cisl e Dircredito) e Maurizio Arena segretario generale aggiunto.

L’elezione è avvenuta ieri nel primo consiglio generale del nuovo sindacato che

raccoglie e rappresenta tutti i lavoratori. «Diventa realtà un progetto, ambizioso ma al

tempo stesso lungimirante», dice Romani.

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NORME E TRIBUTI 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IL PRESUPPOSTO

Prelievi di solidarietà o blocchi della perequazione devono avere finalità precise e non generiche esigenze di natura finanziaria

Previdenza. L’orientamento della Corte costituzionale

Sulle pensioni va bilanciata la spesa con

l’adeguatezza

La riforma del sistema pensionistico (Dl 201/2011 cosiddetto decreto salva Italia) è

finalizzata alla realizzazione dell’(arduo) obiettivo del contenimento della spesa

pensionistica in base a delle misure che si concentrano, essenzialmente, nei vari

commi di cui si compone l'articolo 24.

Tra le diverse misure assume particolare rilievo il comma 25 che “blocca”, per il

biennio 2012–13, nella misura del 100%, la perequazione dei trattamenti pensionistici

secondo il meccanismo a suo tempo previsto dall’articolo 34, comma 1, della legge

448/1998 (quindi ricomprendendo nel calcolo del trattamento da trattamento

pensionistico da “congelare”, oltre alla pensione di previdenza obbligatoria, anche e

solo quella di previdenza integrativa), qualora tali trattamenti superino tre volte il

trattamento minimo Inps.

La norma è stata oggetto di censura di costituzionalità e la Corte costituzionale, con la

sentenza 70 del 10 marzo 2015 ha ritenuto fondata la questione, con riferimento agli

articoli 3, 36 comma 1, e 38 comma 2 della Costituzione, dichiarando illegittimo il

comma 25, articolo 24, del Dl 201/2011.

La decisione della Consulta si fonda su di un’articolata motivazione, basata sul

raffronto tra le caratteristiche impresse alla misura sottoposta al proprio vaglio e quelle

delle norme relative al blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici emanate

nel tempo e uscite indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.

In particolare, l’illegittimità della norma viene ad essere basata sia sul carattere non

temporaneo della significativa misura assunta nella norma esaminata – che,

estendendo al biennio la mancata perequazione del trattamento pensionistico superiore

al limite individuato dalla norma stessa, non ha i tratti della provvisorietà, come

proprio delle misure analoghe assunte dalle norme precedenti e successive in materia,

che prevedono la durata annuale del blocco – sia sulla considerazione che la misura in

analisi incide sui trattamenti pensionistici complessivamente intesi, operando il blocco

integrale della perequazione sulle pensioni di importo superiore ad 1.217 euro netti,

laddove la normativa in materia, anteriore e successiva alla norma scrutinata, incide

sulle fasce di trattamento (si confronti, in particolare, la legge 388/2000), non

colpendo i trattamenti pensionistici di importo meno elevato.

Inoltre, osserva la Corte, a giustificazione della misura perequativa, la norma invoca,

troppo genericamente, la «contingente situazione finanziaria»: il diritto a una

prestazione previdenziale adeguata viene, così, irragionevolmente sacrificato per

salvaguardare esigenze finanziarie che il legislatore non individua né, tantomeno,

specifica nel dettaglio.

La Consulta fa riferimento alla propria precedente sentenza 316/2010, avente a

oggetto l’articolo 1, comma 19, della legge 247/2007, con cui era stata disposta la

sospensione del meccanismo perequativo per l’anno 2008 in riferimento ai trattamenti

pensionistici di importo superiore a otto volte il minimo Inps che, nel dichiarare

legittima la norma scrutinata, aveva posto un “monito” al legislatore.

La misura era stata ritenuta legittima per una serie di criteri, tra cui: a) la

meritevolezza dell’obiettivo perseguito, di concorso al riequilibrio finanziario delle

conseguenze indotte (allora) dal correttivo al cosiddetto “scalone”; b) la marginalità

della misura rispetto al profilo dell’adeguatezza delle prestazioni, specie in ragione

della consistenza dei trattamenti colpiti, ricavandosi da ciò l’attenzione della Corte alle

diverse esigenze di tutela dei trattamenti di minor importo; c) la discrezionalità

riconosciuta al legislatore nella determinazione dei trattamenti pensionistici, nella

ricerca di valori contrapposti, anche in relazione alle esigenze di bilancio.

Peraltro la sentenza 316/2010, appunto a mo’ di monito, aveva anche sottolineato che

«la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo (l’adeguamento), esporrebbe

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Equilibrio difficile fra spesa e adeguatezza

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il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e

proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non

essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della

moneta».

La pronuncia 70/2015 della Corte costituzionale, pertanto, si colloca o meglio porta a

compimento la tendenza evolutiva della giurisprudenza della Consulta in materia di

disciplina del blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici, come espressa in

specie nella sentenza 316/2010, da attuare, secondo la Corte, bilanciando l’interesse

fondamentale del contenimento della spesa pensionistica con quello dell’adeguatezza

della prestazione pensionistica, perché solo in tal modo può trovare attuazione

l’articolo 38, comma 2, della Costituzione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Maria Paola Gentili

del trattamento

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NORME E TRIBUTI 07 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

MOBILITÀ

ORIZZONTALE Nella nuova norma sempre consentita anche l’attribuzione di incarichi

dello stesso livello contrattuale

Jobs act. Lo schema di decreto che riforma l’articolo 2103 del Codice prevede lo spostamento a

mansione inferiore anche senza consenso

Demansionamento senza nullità

Datore libero di agire se si modificano gli assetti aziendali o se previsto dal Ccnl

La disciplina del mutamento di mansioni riveste un ruolo di primo piano tra le materie

che il Governo si è proposto di riformare con l’approvazione degli schemi di decreto

elaborati in attuazione della legge delega. Per comprenderne la portata delle modifiche

annunciate occorre riepilogare brevemente la disciplina.

La norma di riferimento (articolo 2103 del Codice civile), vige secondo la

formulazione introdotta nel 1970 dallo Statuto dei lavoratori, ed è d’impostazione

fortemente garantista. La norma esclude in modo categorico che il datore di lavoro

possa adibire il lavoratore a mansioni inferiori e si fonda su tre precetti. Il primo è che

il datore deve adibire il lavoratore alle mansioni per cui è stato assunto o alle ultime

effettivamente svolte (o “equivalenti”), o a quelle superiori successivamente acquisite,

senza alcuna riduzione della retribuzione. Il secondo è che l’assegnazione del

lavoratore a mansioni superiori diviene definitiva dopo un periodo massimo di tre

mesi (salvo che l’assegnazione non avvenga per sostituzione di lavoratori assenti o

che il contratto collettivo non preveda un periodo più breve). Il terzo è che ogni patto

contrario è colpito da nullità. L'estrema rigidità della norma ha con il tempo favorito la

proliferazione di una nutrita giurisprudenza in merito alle varie voci di danno

risarcibili al lavoratore in caso di violazione del divieto.

Più recentemente, nonostante il poco spazio lasciato dalla lettera della norma

all’interpretazione, l’orientamento dei giudici è arrivato a consentire che

l’assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori fosse lecita, purché con il consenso

dell’interessato, qualora fosse l’unica alternativa al licenziamento. Si è così stilata una

sorta di graduatoria dei diritti fondamentali del lavoratore (nella specie: il diritto al

lavoro prevale sul diritto alle mansioni e alla retribuzione).

Ebbene, lo schema di Dlgs sul riordino delle tipologie contrattuali (all’esame del

Parlamento) si propone di riformare in profondità il senso e lo spirito dell’articolo

2103. Salvo eventuali modifiche, infatti, la nuova formulazione consentirà in primo

luogo l’adibizione del lavoratore a mansioni «riconducibili allo stesso livello di

inquadramento delle ultime effettivamente svolte». Con ciò, si intende superare

l’obbligatorietà, nella cosiddetta mobilità orizzontale, della equivalenza delle

mansioni, secondo la quale, al fine di escludere l’illecito demansionamento, occorre

verificare l’effettiva “parità” sostanziale delle mansioni attribuite rispetto a quelle

precedenti (ad esempio in termini di grado di responsabilità ricoperto, prospettive di

carriera eccetera). Sicché anche l’attribuzione di mansioni appartenenti al medesimo

livello contrattuale previsto dal contratto collettivo, che sino a oggi poteva costituire

un demansionamento, in futuro sarà sempre consentita.

Forse ancora più dirompente è poi l’introduzione, al comma successivo, di una vera e

propria facoltà datoriale di attuare lecitamente e unilateralmente veri e propri

demansionamenti fino a oggi vietati. Il “nuovo” secondo comma, infatti, se approvato

nella formulazione proposta, prevederà la possibilità per il datore di lavoro di

assegnare al lavoratore mansioni appartenenti al «livello di inquadramento inferiore»

senza bisogno del consenso dell’interessato in ipotesi di modifica degli assetti

organizzativi dell’azienda che incidano sulla posizione lavorativa del lavoratore, oltre

che nelle ulteriori ipotesi eventualmente previste dai contratti collettivi. Rimarrà

comunque fermo il principio di irriducibilità della retribuzione, salvo che per quegli

elementi retributivi riconosciuti in funzione di particolari modalità di svolgimento

delle mansioni precedentemente assegnate. Al riguardo, al di là di indennità di

funzione e istituti simili, per i quali non sembra esservi spazio di dubbio, ci si chiede

se nella definizione debbano rientrare anche piani premiali previsti solo per

determinate categorie di soggetti in funzione della loro posizione organizzativa. Il

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nuovo testo, poi, consoliderà la giurisprudenza formatasi sui patti di demansionamento

facendo espressamente salva la possibilità per datori di lavoro e lavoratori di stipulare

accordi individuali nelle cosiddette sedi protette (ossia Dtl, sedi sindacali o giudiziali),

che prevedano l’assegnazione di mansioni corrispondenti a un livello di

inquadramento inferiore con relativa riduzione della retribuzione, a condizione che ciò

avvenga nell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro,

all’acquisizione di una diversa professionalità ovvero al miglioramento delle

condizioni di vita. Il nuovo articolo 2103 del Codice civile, infine, prevedrà tempi più

lunghi per la maturazione del diritto al livello superiore, aumentando da tre a sei mesi

il lasso temporale necessario, escludendo tutti i casi di sostituzione di altri colleghi

(anche non assenti) e facendo comunque salva la diversa volontà dell’interessato (oggi

irrilevante).

Fatta questa breve disamina, si può concludere che, in netta contrapposizione con il

passato, la nuova norma sembra orientata, se confermata nell’attuale formulazione, a

consentire ai datori di lavoro di agire in modo assai più flessibile sull'organizzazione

del lavoro, senza i vincoli e i rischi previsti dalla legislazione (quasi) previgente. In

questo senso, il demansionamento, sino ad oggi vietato senza il consenso del

lavoratore, non solo si prepara a godere di piena liceità, ma potrà essere annoverato tra

gli strumenti organizzativi a disposizione del datore di lavoro nella realizzazione

dell’impresa.

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Alberto De Luca

Stefania Raviele

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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MF

Numero 089, pag. 3 del 08/05/2015

PRIMO PIANO

La Capital Market Union può funzionare se anche i regimi di ristrutturazione aziendale saranno armonizzati. Le proposte dell'Afme

Fallimenti, ci vuole una legge unica per l'Europa

di Stefania Peveraro

Mentre in Italia si lavora a una nuova riforma della legge fallimentare, in Europa si lavora per

un'armonizzazione delle normative nazionali in materia, ritenuta uno dei pilastri sui quali si andrà a reggere il

progetto di Capital Markets Union.

Non a caso, spiega a MF-Milano Finanza Paul McGhee, direttore strategico di Afme (Association for

Financial Markets in Europe), «un recente sondaggio tra i principali asset manager globali condotto da Afme

insieme a Boston Consulting Group ha rivelato che le differenze che esistono oggi tra i regimi fallimentari in

Europa, e in particolare in tema di ristrutturazione del debito, creano incertezze e aumentano i costi per gli

investitori, scoraggiano investimenti cross-border e spesso, in caso di default, portano alla liquidazione delle

aziende invece che a un più costruttivo tentativo di ristrutturazione aziendale». E se c'è incertezza su questo

fronte, sottolinea McGhee, «c'è incertezza anche a monte. Difficile parlare di

aumentare le fonti di funding per le imprese oltre il credito bancario, se poi in

caso di default ci sono mille modi di trattare i crediti. Gli investitori si

scoraggiano e vanno da un'altra parte». E McGhee è stato in Italia nei giorni

scorsi proprio per parlare di strumenti di finanziamento al Funding & Capital

Markets Forum 2015 organizzato da Anbi.

Lo scorso marzo l'Afme ha scritto una lettera alla Commissione Ue, che

evidenzia una serie di aree che andrebbero toccate da una normativa comune». Tra queste, in primo luogo,

la possibilità per i creditori di proporre un piano di ristrutturazione. Parecchie giurisdizioni, Italia compresa,

non permettono ai creditori di proporre un proprio piano di ristrutturazione o di fare una controproposta a

quello avanzato dal debitore. Se un debitore non è obbligato a mettere ai voti un piano proposto dai creditori,

questi ultimi devono approvare quello del debitore o mandare in liquidazione la società. Un altro punto

interessante è quello relativo alla cosiddetta finanza ponte, cioè alla finanza che viene erogata alle aziende

che si trovino in procedura fallimentare. In Europa è raro trovare normative fallimentari che assegnino priorità

alla finanza ponte e di conseguenza non esiste un mercato che fornisca finanza alle aziende in distress. Ciò

significa che queste aziende devono fare affidamento soltanto sui creditori attuali per ottenere finanziamenti

temporanei ulteriori. Afme suggerisce che i processi supervisionati dai tribunali non prevedano restrizioni

regolamentari all'erogazione di finanza ponte e che ci sia uno status di priorità automatica per la nuova

finanza. (riproduzione riservata)

Pagina 1 di 2Fallimenti, ci vuole una legge unica per l'Europa - MilanoFinanza.it

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MF

Numero 089, pag. 18 del 08/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Un'Agenzia delle Entrate internazionale e più efficiente può far bene a tutto il Paese

di Paolo Tognolo*

La direzione centrale Affari Internazionali dell'Agenzia delle Entrate sta lavorando seriamente con le imprese

multinazionali che intendono adottare un approccio serio e trasparente con il Fisco italiano nel rispetto delle

disposizioni internazionali. In questo senso il nostro Paese è all'avanguardia rispetto ad altre giurisdizioni

dell'Europa continentale e in materia il team dell'Agenzia ha saputo costruire una grande reputazione nei

contesti istituzionali esteri. Una fiscalità certa e trasparente gioverebbe a tutto il sistema Paese, soprattutto ai

fini della capacità di attrarre le grandi multinazionali, e permetterebbe anche di prevenire fenomeni di

evasione fiscale. Non dimentichiamoci che la principale preoccupazione dei gruppi multinazionali è la

mancanza di certezze sulla normativa tributaria italiana, che porta con sé il rischio concreto di pagare due

volte le imposte sullo stesso reddito, incorrendo in fenomeni di doppia imposizione. In proposito alcune

semplici modifiche, in realtà urgenti e necessarie, potrebbero dare grandi benefici.

Il team dedicato dell'Agenzia è di recente cresciuto di numero ma ha ancora dimensioni ridottissime a fronte

di un numero delle pratiche in costante aumento. Un ulteriore potenziamento di questo ufficio è quindi

assolutamente necessario e non più rinviabile, viste anche le nuove importanti competenze (stabili

organizzazioni e Patent box) dell'ufficio.

Tanto l'attività istruttoria relativa alle procedure di Apa (Advance Pricing Agreements) unilaterale (il cosiddetto

Ruling internazionale) quanto quella relativa alle procedure di Apa bilaterale richiedono anche un'attività di

analisi che deve essere svolta presso le imprese e un'attività ricorrente di monitoraggio delle transazioni

concordate, una volta raggiunto l'accordo. In aggiunta, le Apa bilaterali comportano anche la partecipazione a

più riunioni con le autorità fiscali estere competenti. Stanti le previsioni di crescita esponenziale di tali istanze,

tutta questa attività rischia di diventare, oltre che ingestibile da parte di un manipolo di eroi, anche

particolarmente onerosa per l'Agenzia. Per ovviare all'inevitabile aumento dei costi di tale funzione, la quale

non avendo obiettivi di gettito immediato non genera introiti, basterebbe richiedere alle società istanti il

versamento di una commissione fissa per l'attivazione di ciascuna pratica (sia essa un Ruling internazionale

o un Apa bilaterale). Questa procedura comporterebbe un triplice beneficio: da un lato finanzierebbe l'attività

dell'ufficio, dall'altro darebbe un ulteriore segnale forte ai gruppi multinazionali esteri circa la serietà e

l'impegno dell'Agenzia delle Entrate in tal senso. Infine, potrebbe anche dissuadere il contribuente che

approccia questo percorso in modo leggero. Ricordo che l'Irs, negli Stati Uniti, richiede al contribuente una

commissione per l'avvio di una procedura di Apa bilaterale.

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Stessa considerazione può essere fatta anche per le procedure internazionali amichevoli quali le Mutual

Agreement Procedure e le Convenzioni Arbitrali dell'Unione Europea, gestite dal Dipartimento delle Finanze.

Anche in questo caso la competenza delle persone coinvolte è indiscussa; purtroppo, però, esiste ancora

una separazione dei ruoli tra dipartimento delle Finanze (deputato a gestire formalmente le pratiche di Map e

Convenzioni Arbitrali) e l'Agenzia delle Entrate, incaricata di predisporre i position paper, ovvero la posizione

tecnica dell'Italia. Questa separazione non giova alla soluzione delle procedure; testimonianza è che al

momento quelle in corso sono diverse centinaia. In altri Paesi, si prenda come esempio la Francia, è stata

recentemente portata a termine una riorganizzazione volta ad aggregare le due attività e questo ha

consentito una accelerazione dei tempi di completamento delle pratiche.

L'ufficio Affari internazionali sta lavorando molto bene con il fine di far rispettare le regole internazionali e non

far scappare le multinazionali dal nostro Paese, svolgendo, di fatto, anche un compito sociale in quanto

mantenere e/o attrarre in Italia le multinazionali significa garantire un livello occupazionale e/o incrementarlo.

Purtroppo, per ragioni di gettito, i vari organi deputati alle attività di verifica si spingono talvolta anche in

senso opposto, portando a termine attività di accertamento molte volte pretestuose che danneggiano

l'immagine del Paese Italia all'estero. Sarebbe necessario ripensare all'organizzazione delle attività di

verifica, in base a indirizzi comuni e condivisi, e introdurre regole di apprezzamento e valutazione basata solo

e unicamente sui risultati ottenuti (cioè gli importi incassati) e non solo su quelli meramente accertati.

(riproduzione riservata)

* studio tributario Tognolo

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MF

Numero 089, pag. 18 del 08/05/2015

COMMENTI & ANALISI

Cancellare i debiti pubblici? Ci si sta pensando

di Carlo Pelanda

Fantafinanza, ma non tanto. In numero crescente ricercatori e think-tank occidentali, per il momento a porte

chiuse, stanno disegnando scenari in cui si contempla la possibilità che le banche centrali cancellino i debiti

sovrani, assorbendoli. Tale ipotesi assume rilevanza strategica da parecchi punti di vista.

Partiamo da quello della stabilità finanziaria globale: nella gran parte dei casi i debiti pubblici, in particolare

nelle democrazie, non potranno essere rimborsati a condizioni continue. Quelle discontinue finora disponibili

negli arsenali della politica economica hanno tutte impatti negativi, come gli eccessi di inflazione in caso di

ripetuti allentamenti monetari fatti nel tentativo di contenere il costo del debito, oppure deflazioni

destabilizzanti da drenaggio fiscale. Si sente la necessità di concepire un modo positivo di assicurare

discontinuità. Anche perché le soluzioni volte alla sterilizzazione nazionale del debito, come quelle adottate in

Giappone, potrebbero avere il solo effetto di differire nel tempo l'implosione. Sul piano della geopolitica

economica, il peso del debito mette le nazioni del capitalismo democratico in svantaggio prospettico nei

confronti di quelle del capitalismo autoritario, per lo più emergenti e gravate da un minore fardello di debito

pubblico.

Quanto alla ripresa del processo di sviluppo delle economie mature, è evidente la necessità di una loro

massiccia ricapitalizzazione, attraverso gli investimenti, in modo da rilanciare il modello del capitalismo di

massa. Un'azione incompatibile con la necessità di rimborsare i debiti pubblici. Realismo dell'opzione di

cancellazione dei debiti: non sono stati ancora saturati i potenziali di innovazione permessi dalla nascita delle

monete fiduciarie (dopo la sospensione della convertibilità del dollaro, nel 1971) in combinazione con

l'evoluzione di potenti strumenti, sia di distruzione di moneta che di creazione di masse monetarie multiple,

dirette e indirette.

In sintesi, l'evoluzione della tecnologia monetaria potrebbe permettere di annullare i debiti senza impatti

traumatici. In tal senso appare giustificata, ed eccitante, la ricerca delle modalità tecniche grazie alle quali

uno stampatore di denaro possa comprare tutti i titoli di un debito sovrano senza destabilizzare la moneta e/o

il sistema economico di riferimento. Probabilmente, è la mia ipotesi, l'operazione sarebbe fattibile in

occasione della conversioni di una vecchia moneta in una nuova e alla condizione di imporre alla politica il

vincolo del pareggio di bilancio, affinché la cancellazione del debito non scateni nuova e smisurata

indisciplina. Tale considerazione porta a fantasticare la creazione del «credit» come futura nuova moneta di

un'alleanza globale delle democrazie, in sostituzione di dollaro, euro, yen, ecc, con in più il premio della

cancellazione dei debiti pregressi per ciascuna nazione. Penso sia ora di aprire le porte delle stanze in cui si

simula questo scenario. (riproduzione riservata)

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PRIMO PIANO 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

I PARERI Barbera: possibile un mix di rivalutazione assegni sopra 3 volte il minimo con incremento del contributo di solidarietà Treu: ammissibili le rate

I costituzionalisti. La soluzione legislativa dovrebbe realizzare l’effetto «solidaristico» auspicato

dalla Corte

Rimborsi dilazionati e proporzionali, ok dei

giuristiDiluire gli effetti del rimborso nel tempo modulando al contempo il valore dello stesso

in modo inversamente proporzionale all’importo delle pensioni. La strada che il

governo sta valutando per dare seguito alla sentenza 70/2015 della Corte

costituzionale supera il vaglio dei giuristi. Di certo c’è che, come già precisato dal

presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick nei giorni scorsi,

non c’è alcun giudice di fronte a cui si possano impugnare le sentenze della Consulta

e, dall’altra parte, tali decisioni devono essere rispettate.

Per quest’ultimo motivo, il costituzionalista Augusto Barbera esclude la possibilità

che si possa porre rimedio a posteriori a uno dei punti contestati dalla Consulta e cioè

la genericità della motivazione che ha portato al blocco della perequazione nel 2012-

2013. «Se ciò fosse possibile - spiega - la Corte costituzionale sarebbe ridotta al livello

di un Tar. Infatti se i tribunali amministrativi ritengono un provvedimento

sufficientemente motivato si può intervenire di nuovo riadottando e motivando. Ma

non oso pensare che la Corte sia ridotta a questo». Secondo il costituzionalista

potrebbe invece essere percorsa la strada che prevede la rivalutazione delle pensioni

superiori a tre volte il minimo e al contempo un incremento del contributo di

solidarietà introdotto dal governo Letta sulle pensioni più alte perché in questo modo

si realizzerebbe anche quell’effetto solidaristico auspicato dalla Corte. Operazione che

dovrebbe essere compiuta con una legge.

A fronte della censura per aver colpito anche le pensioni di importo meno elevato,

anche il giurista ed ex ministro del Lavoro Tiziano Treu ritiene ammissibile «la

restituzione completa della perequazione per i livelli più bassi prevedendo un

intervento graduato per quelli più elevati». Possibile ipotizzare inoltre una

rateizzazioni dei rimborsi per far fronte alle esigenze di gestione della liquidità.

Tuttavia «i soldi necessari, pochi o tanti che siano anche in prospettiva futura,

andrebbero reperiti all’interno del sistema previdenziale, togliendo a chi percepisce di

più per dare ai più poveri, evitando di caricare ulteriormente il peso delle pensioni sui

giovani».

Il presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, ammettendo la

«dilazione nel tempo del rimborso e la gradualità dello stesso in base all’importo della

dimensione del trattamento pensionistico» ritiene difficile ipotizzare, come è stato

fatto, «l’utilizzo di soluzioni straordinarie come il ricorso ai Bot perché

determinerebbe meccanismi complicati ed effetti meno utili per i trattamenti più

bassi». L’azione del Governo, peraltro, deve tener conto dei principi ribaditi dalla

Consulta, in particolare quello che «la perequazione automatica dei trattamenti

pensionistici è diretta a garantire nel tempo adeguatezza e sufficienza del trattamento

perciò ci possono essere limitazioni» ma purché ragionevoli e non in contrasto con il

principio di adeguatezza.

Peraltro, in caso di gradualità del rimborso, spetta al governo individuare la soglia

sotto la quale riconoscere la perequazione piena. La Corte, infatti, ha criticato

l’intervento perché ha inciso sulle pensioni di importo contenuto, ma non ha indicato

la soglia da rispettare per il futuro.

Lavorare sull’asse del tempo per dare seguito alla sentenza della consulta è soluzione

condivisa dal costituzionalista Francesco Clementi, che evidenzia però l’apertura di un

fronte europeo di cui i giudici sembrano non aver tenuto conto. «Si rischia un dilemma

con doppia incostituzionalità: se rispettiamo completamente la sentenza domani

mattina non solo il Def andrebbe rifatto ma avremmo problemi a rispettare i vincoli di

bilancio e gli accordi presi con l’Unione europea. Se invece non seguissimo quanto

indicato dalla Corte saremmo nell’incostituzionalità più evidente. Il dilemma è molto

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serio perché nei fatti pone Governo e Parlamento da una parte o la Corte dall’altra

fuori dal vincolo della sovranità condivisa con l’Ue che l’Italia a scelto». A questo

riguardo si potrebbe chiedere un parere non vincolante alla Corte di giustizia europea

che ponga la questione all’ordine del giorno, perché sentenze di questo tipo mettono a

rischio il senso dello stare insieme. Ora, comunque, il governo «non può che eseguire

la sentenza ma nei modi, nelle forme e nei tempi più convenienti per rispettare i

vincoli europei» utilizzando un decreto legge in modo da impedire ricorsi di fronte al

giudice da parte dei pensionati interessati al rimborso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Matteo Prioschi

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

MECCANISMO ALLO?

STUDIO Possibile che gli importi da restituire ai pensionati vengano rateizzati in più anni Esclusa invece l’ipotesi di utilizzare i BoT

Pensioni, rimborsi per fasce e con tetto

In alternativa restituzione limitata alla quota di assegno sotto i 1.405 euro -

Vertice Renzi-Padoan

ROMAUn arretrato in configurazione una tantum nel 2015. Ma senza precludere la possibilità di rimborsarlo anche in più anni ai pensionati rimasti “congelati” nel 2012 e 2013 dalla riforma Monti-Fornero. Con un nuovo meccanismo progressivo basato sulle fasce di reddito da pensione, magari con un tetto tra i 3.500 e 5mila euro oltre il quale la perequazione non verrebbe restituita. Sarebbe questo l’ultimo schema su cui sta lavorando il Governo per dare una soluzione al nodo-indicizzazioni dopo la pronuncia della Consulta. Anche se non mancano ancora le alternative, come quella di rimborsare l’indicizzazione per ogni assegno solo per la quota inferiore alle tre volte il minimo, confermando il blocco per la parte altra del trattamento. In ogni caso la sentenza è da considerare immediatamente applicabile, come ha precisato ieri il presidente della Corte costituzionale, Alessandro Criscuolo. Il tutto mentre proseguiva la bagarre. Con i sindacati sul piede di guerra per chiedere la tempestiva applicazione della sentenza, i consumatori che si dichiarano pronti alla class action e a denunciare l’Inps e l’opposizione all’attacco, Lega in testa.Sul dossier pensioni e sul confronto in atto con la Ue si è svolto ieri sera un lungo incontro a Palazzo Chigi tra il premier, Matteo Renzi, e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Entro lunedì a Bruxelles sarà inviata una comunicazione sulla strategia che il Governo intende seguire per risolvere la questione ma probabilmente senza misure di dettaglio. Un’anticipazione che potrebbe arrivare in coincidenza con l’Eurogruppo e comunque prima delle Raccomandazioni della Commissione Ue, attese per il 13 maggio.Sul piano operativo al momento le opzioni possibili sono due: un anticipo dell’assestamento di bilancio a giugno con il contemporaneo varo di un decreto sul rimborso degli arretrati; in caso contrario l’Esecutivo ricorrerebbe a un provvedimento urgente in chiave sospensiva da varare al più tardi all’inizio del prossimo mese subito dopo la tornata elettorale. L’assestamento di bilancio diventerebbe in ogni caso il pilastro dell’operazione evitando, come aveva già dichiarato il ministro Padoan, una manovra. La gestione in versione una tantum dell’arretrato, se accolta dalla Ue, consentirebbe al Governo di non avere ricadute sul deficit strutturale grazie all’utilizzo della clausola di salvaguardia per le circostanze eccezionali. Resterebbe il problema del deficit nominale previsto per quest’anno al 2,6% del Pil e che inevitabilmente crescerebbe. Ma con un dimezzamento (o forse più) del flusso di rimborsi da restituire (non più di 4-4,5 miliardi lordi anziché gli 8,7 previsti per il biennio 2012-2013) il deficit rimarrebbe comunque abbondantemente al di sotto del limite del 3 per cento. È invece stata recisamente esclusa l’ipotesi, circolata nei giorni scorsi, di rimborsare le indicizzazioni perdute utilizzando i BoT. Per il calcolo del rimborso potrebbe essere utilizzata la griglia prevista dalla legge di stabilità 2014 (Esecutivo Letta) e che parte dal 100% fino a 3 volte il minimo per scendere al 45% oltre le sei volte il minimo ma con un tetto collocato più in alto, e oltre il quale il rimborso non arriverebbe. Ipotesi che fa infuriare le opposizioni, a partire dal leader della Lega, Matteo Salvini, che si dice pronto «da martedì a occupare il Tesoro», contro uno Stato «ladro che ha derubato 6 milioni di persone». La linea del tetto ai rimborsi trova invece più di un consenso all’interno della maggioranza. Insiste a sostenerla il sottosegretario Enrico Zanetti, che ribadisce come «il rimborso a tutti sarebbe una follia». E propone, a sua volta, una soglia di 5mila euro giocando sul deficit per reperire le risorse.I meccanismi di distinzione per fasce di reddito potrebbero essere diversi. Così come i criteri di calcolo del rimborso nei casi di pensionati oltre certe soglie che siano beneficiari di più prestazioni. In questo caso potrebbero scattare perequazioni più

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Page 170: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

leggere. Sulle indicizzazioni future, sapendo che il sistema di calcolo attuale scade a fine 2016, le decisioni verranno prese con la legge di stabilità. Per il Governo c’è comunque un punto fermo: la soluzione dovrà essere equa e sostenibile.© RIPRODUZIONE RISERVATADavide ColomboMarco Rogari

l’impatto sui conti

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMO PIANO 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

DOMANDA?INTERNA

La ripresa sarà lenta Anche Confcommercio lancia l’allarme sui consumi sostanzialmente invariati a marzo su febbraio

L’Istat: finito un triennio di recessione

Rivisto in aumento allo 0,7% il Pil 2015 grazie alla domanda estera, ma la crescita

resta debole

ROMAL’ultimo triennio di recessione s’è chiuso ma la crescita resta debole ed è destinata a consolidarsi solo nel prossimo biennio. L’Istat ritocca di due decimi di punto le sue previsioni sul Pil reale di quest’anno e le allinea al quadro programmatico contenuto nel Documento di economia e finanza (Def) varato il 10 aprile dal Governo. Dunque una variazione in positivo dello 0,7% quest’anno, dell’1,2 il venturo (1,4% secondo il Governo) e dell’1,3 nel 2017 (1,5%). È una crescita debole, come detto, perché anche se è di un decimo superiore alle stime di due giorni fa della Commissione Ue è pur sempre meno della metà di quella che quest’anno dovrebbe realizzare l’intera area euro (+1,6%) e meno di un terzo di quella stimata per l’insieme dei Paesi avanzati (+2,2 quest’anno, +2,4% nel 2016). Secondo l’Istat l’uscita dal tunnel della non crescita sarà guidato quest’anno più dalla domanda estera netta (+0,4%) che non dai consumi interni, mentre nel biennio prossimo questi due driver del ciclo s’invertiranno: l’apporto della domanda interna sarà più forte (+0,8 e +1,1 punti percentuali) mentre il conseguente aumento delle importazioni favorirà una diminuzione del contributo della domanda estera netta nel 2017. In particolare si rafforzerà la spesa delle famiglie (+0,5% quest’anno, +0,7 e +0,9% nel biennio a seguire) e ripartiranno gli investimenti: +1,2% quest’anno, soprattutto grazie al «miglioramento delle condizioni di accesso al credito e alle aspettative associate a una ripresa della dinamica produttiva». Il processo di accumulazione del capitale è poi previsto riprendere a ritmi sostenuti nel 2016 (+2,5%) e con maggior intensità nel 2017 (+2,8%). Sempre ieri da Confcommercio è invece giunta una segnalazione di maggiore incertezza sui consumi che, a marzo, hanno registrato una variazione nulla rispetto a febbraio ed un +0,4% tendenziale mostrando una stabilizzazione in termini di media mobile a tre mesi. Quest’anno l’istituto di statistica prevede anche un consolidamento, sia pur moderato, del mercato del lavoro: +0,6% l’occupazione calcolata come unità di lavoro e un tasso di disoccupazione che s’attesta al 12,5% alla fine dell’anno, un periodo entro il quale dovrebbe proseguire l’alleggerimento della cassa integrazione in corso da oltre un anno. Nel successivo biennio, con il rafforzarsi dell’attività economica, l’occupazione è poi prevista evolvere ulteriormente (rispettivamente +0,9% e +1,0%), mentre il tasso di disoccupazione si piegherà tra il 12 e l’11,4%. Buona parte delle previsioni fanno naturalmente conto nella tenuta del quadro internazionale, oltre che sull’effetto del programma di riforme strutturali impostato dal Governo. Conterà la tenuta del livello di prezzi del petrolio nel triennio a venire, il livello del cambio euro/dollaro e, naturalmente, la portata effettiva del Qe in pieno corso e che potrebbe proseguire oltre il settembre 2016 se il target dell’inflazione core non tornerà vicino al 2% (mentre nelle previsioni Istat il deflattore del Pil nazionale si collocherebbe tra lo 0,8 e lo 0,9%).A questo proposito Istat parla di incertezze e propone un esercizio sugli scenari alternativi che potrebbero determinarsi in caso di un più favorevole accesso al credito da parte di famiglie o imprese o di più sfavorevole equilibrio di cambio euro/dollaro.Nella prima circostanza, se si ritornasse ai livelli di fiducia pre-crisi delle imprese, il miglior credito potrebbe rafforzare la spesa per investimenti (+0,8% quest’anno, +0,6% il prossimo e + 0,4% nel 2017) con un effetto cumulato positivo per un decimo di punto sul Pil per ogni anno di previsione. Nello scenario sfavorevole, ipotizzato con un apprezzamento del tasso di cambio euro/dollaro del 2% nel 2015 che poi resta piatto nel ’16 e ’17, si determinerebbe invece un calo di 0,2 punti del Pil quest’anno e dello 0,1% nel 2016, mentre nel 2017 l’effetto si annullerebbe. Anche il tasso di disoccupazione cambierebbe in questo caso:?sarebbe peggiore di 0,1 punti percentuali

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in ciascun periodo del biennio 2016-2017. © RIPRODUZIONE RISERVATADavide Colombo

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IMPRESA & TERRITORI 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

IN BREVE

AMMORTIZZATORI

Cassa in deroga,

arrivano 478 milioni

Al via lo stanziamento di oltre 478 milioni di euro

per il pagamento degli ammortizzatori in deroga. Lo specifica una nota del ministero

del Lavoro,

in cui si legge che con la firma del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan,

«diventa operativo il decreto interministeriale, già firmato dal ministro

del Lavoro, Giuliano Poletti, che stabilisce la ripartizione delle risorse

da destinare alle singole regioni per il pagamento delle somme ancora

dovute ai titolari dei trattamenti di Cig e mobilità in deroga, per il periodo fino al 31

dicembre 2014».

La somma complessiva, «posta a carico del Fondo Sociale per l’Occupazione e la

Formazione, è di 478 milioni e 763.551 euro».

La nota sottolinea inoltre come questo provvedimento sia stato adottato «con circa tre

mesi di anticipo rispetto

a quello dello scorso anno» con la stessa

finalità riferita però

al 2013.

BANCHE POPOLARI

Uilca, un comitato per dipendenti soci

Un comitato scientifico per studiare forma di partecipazione dei dipendenti soci delle

banche popolari. A lanciarlo il segretario generale della Uilca, Massimo Masi per il

quale il valore delle banche popolari può essere

meglio tutelato dalla presenza nei board dei rappresentanti dei lavoratori.

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COMMENTI E INCHIESTE 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

CONTESTO E SVILUPPO

Strategia fiscale, ultima chiamata

La situazione di crisi economica ha evidenziato la necessità di ripristinare una visione strategica della politica fiscale del nostro Paese (cosa che manca da decenni). Ora il contestuale verificarsi di condizioni economiche favorevoli (l’indebolimento dell’euro, la riduzione dei tassi di interesse dovuta al quantitive easing e la riduzione del prezzo del petrolio) apre uno spiraglio perché il nostro Paese possa efficacemente adottare una strategia fiscale di medio lungo termine. Per fare pianificazione strategica bisogna prima definire un obiettivo e poi indentificare le azioni che consentono di perseguirlo. Gli obiettivi da porsi in questo momento sono almeno tre: riformare il contesto (contesto); attrarre investimenti da parte delle imprese (sviluppo); ridurre l’evasione di massa (legalità diffusa).Contesto. La modifica del contesto strutturale è condizione sine qua non perché si possano attuare efficacemente interventi normativi in tema di sviluppo e legalità diffusa. Le priorità di intervento in tal senso sono quattro.Presidio internazionale. L’Italia ha sempre sottostimato l’importanza di presidiare adeguatamente i ruoli più rilevanti negli organi europei e nelle principali organizzazioni internazionali (a esempio, l’Ocse). In uno scenario sempre più regolato a livello globale dobbiamo essere partecipi del cambiamento in atto, influenzandolo proattivamente e non, invece, subirlo sistematicamente a vantaggio di altri Paesi. Norme chiare coerenti e certe. Prima di intervenire con leggi nuove è necessario rivedere in modo sistematico la normativa esistente. Il nostro Paese, a differenza dei Paesi più avanzati, non ha un codice tributario. La normativa fiscale è dispersa in migliaia di provvedimenti caratterizzati da un linguaggio spesso poco chiaro e incoerente (non a caso sono 600mila i ricorsi giacenti presso le commissioni tributarie nel 2014). Appare quindi evidente l’esigenza di un profondo processo di analisi, revisione e sistematizzazione del corpo normativo esistente finalizzato alla creazione del codice tributario unico che sia caratterizzato da un contenuto chiaro e coerente.Continua pagina 25 Stefano Simontacchi Continua da pagina 1 Questo passo è imprescindibile se si vuole dare veramente inizio a una nuova era nel rapporto tra cittadini, imprese e fisco.Riforma dell’agenzia delle Entrate. La politica fiscale deve mirare a un orizzonte di medio-lungo periodo garantendo stabilità, credibilità e certezza del diritto. Oltre alla revisione delle norme, diventa centrale il ruolo che si intende attribuire all'amministrazione finanziaria (agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza) e la natura che si vuole dare al rapporto tra questa e il contribuente, che deve fondarsi sulla reciproca collaborazione e fiducia. L’agenzia delle Entrate è già oggi, formalmente, il punto di contatto tra il sistema tributario e i contribuenti, ma il rapporto deve evolvere definitivamente in direzione di una partnership con cittadini e imprese che operano in Italia, attraverso una funzione di supervisione consultiva nell'adempimento tributario, proseguendo nel percorso intrapreso mediante l'istituto del ruling internazionale e il regime di adempimento collaborativo. L'agenzia ha già dimostrato di sapere svolgere efficacemente questo ruolo, ma affinché possa completare questo percorso bisogna rimuovere due rilevanti ostacoli. Innanzitutto, la politica non può porre all'Agenzia obiettivi di recupero di evasione fiscale. Quest’anno l’obiettivo di incasso derivante dalla lotta all'evasione fiscale è aumentato a 15 miliardi di euro. È inevitabile che questo condizioni l’operato dell’Agenzia, traducendosi nell’applicazione di misure di contrasto all'evasione di tipo esclusivamente repressivo e non preventivo. Una politica fiscale di tipo repressivo obbliga l’Amministrazione ad adottare indirizzi operativi che inaspriscono ulteriormente l’attività di accertamento, con una conseguente crescita del contenzioso fiscale e della percezione di incertezza che scoraggia gli investimenti nazionali ed esteri.In secondo luogo, serve un intervento urgente per garantire una gestione efficiente e meritocratica dell'Agenzia: i ruoli dirigenziali devono essere assunti da figure che oltre a

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essere tecnicamente preparate devono avere una attitudine al cambiamento sopra descritto nel rapporto fisco-contribuente. La recente sentenza della Corte Costituzionale rischia di avere l'effetto di privare l’Agenzia di alcune delle figure più qualificate, così inficiando un percorso di cambiamento che è stato intrapreso e che non possiamo permetterci di ricominciare da zero.Riforma giustizia tributaria. Altro elemento fondamentale è rappresentato dalla necessità di effettuare un intervento migliorativo sulla giustizia tributaria, finalizzato, tra l'altro, alla riduzione dei tempi del contenzioso fiscale (9 anni per un giudizio definitivo contro i 3 anni dell’Olanda) e a garantire la specializzazione dei giudici tributari che ne possa favorire un percorso di crescita e valorizzazione. Sviluppo. La strategia fiscale in tema di sviluppo deve essere funzionale alla politica industriale del Paese che deve identificare le aree prioritarie di intervento. Il conseguimento di tale obiettivo presuppone un processo di semplificazione e innovazione della normativa fiscale (bisogna avere più coraggio nella competizione globale) al fine di renderla più idonea alle esigenze di investitori italiani e stranieri, favorendo anche il processo di internazionalizzazione del nostro Paese. A titolo meramente esemplificativo si segnalano quattro aree di intervento.Nell’attuale economia della conoscenza, la competitività e la creazione del valore delle imprese sono per lo più riconducibili ai beni immateriali. Se si vuole recuperare competitività, diventa dunque fondamentale incentivare la creazione e la localizzazione in Italia di tali beni. A questo fine il patent box è determinante ma parimenti importante è alzare le soglie del credito di imposta per le attività di ricerca e sviluppo, nonché prevedere ulteriori incentivi.I gruppi multinazionali sono organizzazioni complesse che prevedono hub/cluster di riferimento. L’Italia deve competere per ottenere la localizzazione in Italia di tali centri direzionali, operando su più livelli: reddito di impresa, reddito delle persone fisiche e passive income. Non bisogna ovviamente dimenticare tutte le norme non fiscali che in modo sistemico vanno coordinate per conseguire tale obiettivo (a esempio, il sistema dei visti per gli expatriates e il rilancio della ricerca universitaria).Per quanto attiene le Pmi, ha senso prevedere un pacchetto di procedure semplificate e di incentivi alle aggregazioni. Si potrebbe anche studiare una soluzione di progressività della tassazione del reddito di impresa già adottata da altri paesi.È comprovato da svariate analisi economiche come l'Africa rappresenterà l'area del mondo a più forte sviluppo nei prossimi decenni. Non a caso, tutte le maggiori multinazionali hanno allo studio strategie di penetrazione di tale mercato.Questa è forse l'ultima occasione per l'Italia per svolgere un ruolo di leadership nel contesto economico globale. I paesi dell'Europa del Sud - e l'Italia in particolare - hanno infatti un indubbio vantaggio competitivo rispetto ad altri paesi del mondo, da ricondursi a rapporti politico-culturali che affondano le radici nel passato. Ciò vale sia per i paesi dell'area del Mediterraneo (oggi con problemi socio-politici importanti) sia per i paesi dell'area Sub-Sahariana.L'Italia ha l'occasione di sfruttare tale vantaggio e deve farlo non solo sviluppando il più possibile le relazioni commerciali con i paesi africani, ma soprattutto puntando a diventare l'hub preferenziale per gli investimenti esteri in Africa. Ciò ci consentirebbe di attirare risorse nel nostro paese e probabilmente anche di competere con altri Paesi come Regno Unito e Paesi Bassi per diventare anche hub per l'Europa. In particolare un'opportunità strategica sarebbe riuscire a diventare l'hub degli investimenti cinesi in Africa (intervenendo, tra l'altro, sulla convenzione bilaterale Italia-Cina).Legalità diffusa. I dati ufficiali stimano l’economia sommersa (non quella illegale) in oltre 250 miliardi di euro con un gettito evaso di oltre 100 miliardi di euro. Le stime dicono che una grande maggioranza dell'evasione (e quindi del recupero da effettuare) sia ascrivibile a lavoratori autonomi e piccole imprese. E' solo riportando la legalità diffusa a questo livello che si possono recuperare efficacemente e velocemente risorse per il sistema, al fine di abbassare il livello impositivo.Il patto con i cittadini deve prevedere quale contraltare a un fisco riformato e “user friendly”, senso civico e legalità. Da un lato vanno inasprite le sanzioni per chi evade e dall'altro vanno concesse deduzioni e detrazioni sulla maggioranza delle spese (così forzando l'emersione del reddito del prestatore).Infine, siamo il fanalino di coda nel ranking dei Paesi che utilizzano moneta elettronica. È necessaria una ulteriore stretta all'utilizzo del contante, riducendo la soglia massima ed eliminando le banconote di taglio superiore ai 50 euro. Se entro un periodo prefissato i pagamenti elettronici fossero ancora marginali, non resterebbe che prendere

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provvedimenti più drastici.© RIPRODUZIONE RISERVATAStefano Simontacchi

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NORME E TRIBUTI 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Corte dei conti. Il Comune ha diritto a dati puntuali sulla riscossione

Equitalia condannata per il rendiconto

lacunoso

La Corte dei conti ha condannato Equitalia al pagamento di 12.091.283 euro – oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali – a favore di un Comune, in relazione ai danni prodotti all’Ente nella gestione del servizio di riscossione coattiva di tributi (sentenza n. 255/2015 del 6 maggio 2015, Sezione giurisdizionale per il Lazio).Con la medesima decisione, la Corte ha anche sollecitato la Procura a valutare ulteriori ipotesi di sussistenza di danni per il disservizio. La vicenda prende le mosse dalla convenzione che un Comune laziale ha stipulato con Equitalia Spa nel 2008, affidando a quest’ultima la gestione del servizio di riscossione coattiva dei tributi comunali, delle multe e delle tariffe per il servizio idrico. Nel corso della convenzione, sorge un fitto scambio epistolare tra l’Amministrazione e il concessionario in ordine alle modalità del servizio. L’Ente lamenta il mancato e puntuale riscontro, per tutti i ruoli affidati, delle quote ritenute inesigibili, nonché l’estrema esiguità degli importi effettivamente riscossi. Il Comune denuncia, in buona sostanza, la totale assenza di chiarezza nella condotta del gestore e la mancata partecipazione di documenti che giustifichino l’inesigibilità dei crediti, rilevando una violazione dell’obbligo di rendicontazione a carico della società di riscossione. Permanendo l’insoddisfazione del Comune a fronte dei chiarimenti ottenuti, l’Ente chiama in giudizio il soggetto concessionario, che viene appunto condannato.Accertata la legittimazione ad agire del Comune, la Sezione Lazio riconosce la fondatezza delle pretese, poiché «colui (…) che si obbliga a gestire il servizio di riscossione (e per tale fatto riveste la qualifica di agente contabile) deve dare “legale discarico” delle somme che non può versare nelle casse dell’Ente affidante; e questa dimostrazione non può che essere fornita attraverso la produzione documentale delle cause che hanno impedito la materiale riscossione di quanto dovuto dal debitore erariale». Di qui il riconoscimento del danno arrecato alle casse comunali per la mancata riscossione di tributi, quale frutto dell’inadempimento contrattuale in capo al soggetto concessionario. È il caso di rilevare che questa sentenza potrebbe aprire la strada ad ulteriori ricorsi.© RIPRODUZIONE RISERVATAMichele Nico

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NORME E TRIBUTI 08 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

ATTIVITÀ FUORI

SEDE La possibilità di operare in luoghi diversi dall’azienda sposta il controllo sul conseguimento degli obiettivi

Contratti. Istituto ancora poco utilizzato

Con lo smart working il risultato è al centro del

rapporto di lavoroIn questi ultimi tempi si sta parlando molto di smart working. Anche in Italia molte

aziende - soprattutto multinazionali - lo hanno già adottato. In sintesi, si tratta di

concedere ai propri dipendenti di poter lavorare da casa o da luoghi diversi dall’ufficio

per un periodo variabile all’interno del mese (da qualche giorno sino a periodi anche

più lunghi).

Negli Stati Uniti, come sempre avviene per le novità, si tratta di un metodo di lavoro

già affermato, quasi una regola in molte aziende della silicon valley, ma non solo.

Ma perché in Italia non è una realtà ancora così diffusa ? Quali sono i problemi ?

Il problema è semplice: con lo smart working le aziende , in particolare i manager e i

responsabili, devono rinunciare ad una prerogativa ormai classica del rapporto di

lavoro: il controllo diretto della prestazione di lavoro dei collaboratori diretti. Ed è qui

che le risorse umane incontrano spesso difficoltà a volte insormontabili.

E ciò perché con lo smart working viene meno il rispetto dell’orario di lavoro e

l’obbligo di lavorare in un certo luogo (l’ufficio, il reparto, etc.) dove si è

costantemente sottoposti al controllo della prestazione di lavoro in cambio – però -

della fiducia che l’azienda ripone nei dei propri dipendenti (non più controllati

dall’occhio del controllore..) nel raggiungimento del risultato della prestazione, e ciò

indipendentemente dal luogo e dal tempo impiegato ad ottenerlo.

Una cosa di non poco conto.

Si tratta di un cambio quasi epocale per la nostra cultura aziendale: che dal controllo

sulla prestazione ritorna al controllo del risultato della attività.

Ma le aziende sono pronte a questo passaggio ? difficile a dirsi. Ma questa è

certamente la sfida vincente: quella di lavorare per risultati, includendo (meglio,

rimettendo) il risultato all’interno del contratto di lavoro, dello scambio

lavoro/retribuzione, concetto questo ahimè troppo spesso dimenticato.

Ed infatti siamo ormai abituati (errore) a considerare il contratto di lavoro un contratto

dove l’azienda “compra” delle ore/lavoro del proprio dipendente, anziché un risultato

atteso derivante dalla prestazione lavorativa svolta con la ordinaria diligenza dovuta

rispetto alla attività richiesta (e allo status di quel collaboratore).

Abbiamo confuso il divisore mensile previsto dai contratti collettivi nazionali (le

famose 160/170 ore ad esempio) per l’oggetto vero del contratto di lavoro, da qui la

necessità imprescindibile del controllo diretto della prestazione/attività del

collaboratore ad opera dei superiori.

Nulla di più sbagliato. basterebbe ricordare come in passato esistesse anche il cottimo,

dove il dipendente veniva pagato a “pezzo” e pertanto proprio a risultato.

Orbene oggi non si tratta ovviamente di rimettere il cottimo nel contratto di lavoro - in

particolare nelle più moderne settore dei servizi avanzati – bensì di riportare il

risultato, e conseguentemente il rendimento , al centro del contratto di lavoro.

Ebbene, lo smart working potrebbe proprio essere la via giusta per cogliere questa

opportunità: delle imprese e dei lavoratori, pronti a “giocarsi la sfida” del rendimento

per liberarsi dalle catene dell’obbligo di un orario di lavoro e di un ufficio che troppo

spesso viene criticato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Luca Failla

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PRIMO PIANO 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Per le pensioni alte mini-rimborso

Tecnici al lavoro: si valuta anche la gradualità senza tetto - Martedì il Governo

riferisce al Senato

ROMAUn mini-rimborso, graduale e scaglionato, anche per le pensioni più elevate. È questa l’ultima delle ipotesi sul tavolo dei tecnici del Governo che non abbandonano il dossier bollente aperto con la sentenza della Corte costituzionale nel giorno in cui, da Bruxelles, arriva un segnale di apertura verso soluzioni non immediate. Gli interventi allo studio dovranno essere calibrati per tenere conto dei rilievi della Consulta con un’attenzione massima all’impatto sui conti. Con la nuova “legislazione vigente” post sentenza, ovvero applicando integralmente il verdetto, il costo sarebbe pari a oltre un punto di Pil (17,6 miliardi lordi) mentre le prime ipotesi di correzione oscillano tra lo 0,25 e lo 0,3% del Pil, ovvero 4-5 miliardi che si scaricherebbero sul deficit nominale del 2015. Un aggregato che non potrà comunque andare oltre il 2,8-2,9% (è al 2,5% nei tendenziali del Def). Opzione ribadita indirettamente dal ministro Pier Carlo Padoan, che ieri ha confermato come il governo sta lavorando «nel rispetto dei termini della sentenza, a misure che abbiano un impatto minimo sulla finanza pubblica e rispettino gli obblighi europei». La base di partenza dovrebbe essere l’attuale schema di deindicizzazione introdotto dal Governo Letta nel 2014 (da zero a tre volte il minimo, il 100%; da tre a quattro volte il 95%; da 4 a 5 volte il 75%; da 5 a 6 volte il 50%; da 6 volte il blocco nel 2014 e il 45% per il 2015 e il 2016). Una sua applicazione retrodatata al 2012 con ricalibrature delle soglie attuali potrebbe consentire l’operazione di rimborso di massa con risparmi notevoli. Le variabili sono diverse:?si possono abbassare o elevare le soglie di rivalutazione degli assegni, oppure togliere il tetto sulle più elevate o, ancora, confermarlo ma solo per un termine preciso. Il tutto con una robusta motivazione sia sul profilo equitativo dell’intervento sia sulla sua sostenibilità finanziaria, come la sentenza esige. Nel caso di decalage stretto (senza tetto) i rimborsi per gli assegno oltre sei volte il minimo (circa 3mila euro lordi) diventerebbero simbolici. Contemporaneamente potrebbe salire l’asticella dei rimborsi pieni (indicizzazione al 100% dell’assegno) che dalle 3 volte il minimo (1.480 euro) potrebbero passare ad esempio a 3,5 volte il minimo (circa 1.700 euro). Nella “terra di mezzo” scatterebbe una riduzione delle “quote-Letta” in forma rivisitata. L’iter decisionale è stretto, anche perché pende la spada di Damocle dei possibili decreti ingiuntivi che potrebbero essere presentati già nei prossimi giorni da pensionati per esigere il rimborso immediato e integrale di un credito certo, liquido ed immediatamente esigibile, grazie alla sentenza. A palazzo Chigi si continuerebbe a preferire il varo delle misure la prima settimana di giugno, subito dopo la tornata elettorale. Ma nello stesso Governo c’è chi continua a pensare che sarebbe il caso di muoversi prima con il varo di un decreto sospensivo entro maggio. A chiarire la situazione potrebbe essere martedì lo stesso Governo, chiamato riferire in Senato sull’intera vicenda. Non dovrebbe essere Pier Carlo Padoan a spiegare le mosse future visto il suo impegno a Bruxelles per l’Ecofin. Lo stesso ministro non dovrebbe fare il punto definitivo con i suoi tecnici prima di lunedì 18 maggio, vista l’agenda internazionale. Intanto dalle forze politiche e sindacali cresce il pressing per fare presto. «Vi sono le condizioni per adempiere alla sentenza della Consulta con oneri contenuti rispettando soprattutto la giurisprudenza costituzionale che non vuole lesioni strutturali dei diritti acquisiti» ha dichiarato Maurizio Sacconi (Ap), mentre il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo, ha chiesto nuovamente l’applicazione immediata della sentenza. A invitare il Governo a una soluzione condivisa con i sindacati è stato Cesare Damiano (Pd), secondo il quale bisogna evitare gli errori del vecchio Esecutivo dei tecnici,

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mentre da Forza Italia, con Renato Brunetta, arriva la richiesta di una applicazione immediata della sentenza, una posizione in linea con quelle di Lega e Fratelli d’Italia. © RIPRODUZIONE RISERVATADavide ColomboMarco Rogari

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PRIMO PIANO 09 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

LA?COSTITUZIONE La Carta va tutelata come un tutto unitario evitando che alcuni diritti diventino «tiranno»

.

Emergenza economica: la Consulta ci ripensi

Le vicende che hanno accompagnato la decisione della Corte costituzionale sul blocco della rivalutazione delle pensioni (la sentenza n.70 del 2015) sono numerose e complesse. Non è la singola questione che viene in considerazione ma la funzione stessa della Corte e i limiti che tale funzione incontra. Il che non è di poco conto. C’è, innanzi tutto, la preoccupazione del governo perché deve reperire i fondi per la restituzione della parte di pensione non corrisposta. A cui si lega la preoccupazione di tutti per l’andamento dell’economia. Continua pagina 5 Colombo, Romano, Rogari, Trovati pagina 5 Enrico De Mita Continua da pagina 1 C’è il richiamo davvero preoccupante e puntuale dell'Europa: «La Commissione sta aspettando la decisione del governo italiano per applicare la sentenza della Corte Costituzionale e ne valuterà l’impatto che non dovrebbe avere effetti sull’impegno dell’Italia nell’ambito del patto di stabilità. La sostenibilità di lungo periodo delle finanza pubbliche italiane dovrebbe restare nelle priorità». Il che non può aver altro senso che un invito al governo italiano a neutralizzare gli effetti della sentenza. Qui il problema è più grosso del tema specifico perché si tratta di stabilire l’impatto della Comunità europea sulla vita delle istituzioni italiane. Il governo dichiara «Stiamo pensando a misure che minimizzino l’impatto sui conti pubblici nel pieno rispetto della Corte», pensando di spalmare il rimborso nel tempo e modulando il valore dello stesso in modo inversamente proporzionale all’importo delle pensioni.C’è, ancora, la difficile situazione della Corte che per la prima volta è costretta a smentire dichiarazioni che non ha fatto (sentenza e autoapplicativa senza bisogno di ricorso). Con un comunicato stampa ufficiale la Corte ha precisato che dalla pubblicazione della sentenza gli interessati possono adottare le iniziative che ritengono necessarie e gli organi politici debbano adottare i provvedimenti conseguenti nella forma costituzionalmente corrente. Il punto è che la Corte deve forse ripensare la propria giurisprudenza secondo la quale «neppure l’emergenza economica giustifica la violazione di principi e delle norme costituzionali (223/2012; 241/2012)».La decisione sulle pensioni (che richiederà un’analisi più ampia) si fonda tutta sui principi costituzionali a tutela dei lavoratori. La particolare protezione per il lavoratore non deve sussistere soltanto al momento del collocamento al riposo ma «va costantemente assicurata anche nel prosieguo in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta». L’articolo 36 della Costituzione richiede un costante adeguamento del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del trattamento attivo. È un principio consolidato che va dal 1979 in poi e la coerenza con la propria giurisprudenza è un punto fermo della nostra Corte Costituzionale. Il criterio di ragionevolezza circoscrive la discrezionalità del legislatore e vincola le sue scelte all’adozione di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali.Ma ci sono altri principi nella Costituzione con i quali vanno coordinati quelli relativi alla tutela dei lavoratori. C’è da chiedersi se la decisione della Corte violi l’equilibrio di bilancio posto dall’articolo 81 della Costituzione. Come ha detto altre volte la Corte, la Costituzione va tutelata come un tutto unitario sicchè bisogna evitare che alcuni diritti diventino “tiranno” nei confronti di situazioni giuridiche tutelate costituzionalmente. Quando c’è conflitto fra i principi costituzionali vanno sacrificati quelli meno rilevanti. Ora, secondo la Corte, non risulta una violazione dell’equilibrio di bilancio: «La disposizione concernente l'azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nell'articolo 25 comma 24 del Dl del 2011, si limita a richiamare genericamente la contingente situazione finanziaria, senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento,

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nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi. Anche in sede di conversione non è dato riscontrare alcuna documentazione circa le attese maggiori entrate».In questo senso, la Corte non è stata disinvolta rispetto alle esigenze dell’equilibrio di bilancio. Va ricordato l'articolo 5 della legge costituzionale 1/2002 che alla lettera f) prevede l’«attribuzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia, di un organismo indipendente al quale sono attribuiti compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di osservazione delle regole di bilancio». L'articolo 5 regola dettagliatamente i criteri che debbono essere osservati che escludono che la verifica di bilancio possa ridursi alla sola considerazione della entità di una spesa.Non esistono argomenti per ridurre le pensioni da restituire se non introducendo correttivi che non alterino la sostanza dei rimborsi.Ma il problema resta per il futuro. Bisognerebbe introdurre anche in Italia la prassi della Germania delle sentenze a termine: la Corte avverte il governo che esiste una situazione di incostituzionalità di una disposizione di legge in materia di spese o in materia di imposte e lo invita a provvedere entro un determinato tempo. Decorso tale termine, senza che il governo abbia provveduto, la Corte dichiara l’incostituzionalità.© RIPRODUZIONE RISERVATAEnricoDe Mita

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#

8 Sabato 9 Maggio 2015 Corriere della Sera

Primo piano La previdenza

Sentenza pensioni, il governo a caccia di fondiAddio tesoretto, via XX Settembre vuole le coperture per garantire i rimborsi senza nuovo deficitTra le ipotesi rispunta un contributo di solidarietà sugli assegni più ricchi. L’Inps prende tempo

Le opzioni

� Rimborsare

tutte le somme

a tutti avrebbe

un costo, al

netto delle

tasse che

tornebbero allo

Stato, di 14,5

miliardi di euro

� Per limitare il

costo

dell’operazione

che potrà

essere

finanziata solo

in parte con il

deficit, il

governo sta

studiando

diverse opzioni,

che non si

escludono fra

loro

� Il rimborso

sarà fatto per

scaglioni,

ridando di più

alle pensioni

più basse e di

meno a quelle

più alte. Sarà

esteso, con

percentuali più

basse, il

correttivo già

introdotto dal

governo Letta

� Al di sopra di

una certa

soglia (3.500 o

4 mila euro

lordi al mese)

non ci sarà

alcun rimborso.

Per gli assegni

ancora più alti

(oltre i 5 mila

euro lordi) c’è

l’ipotesi di un

nuovo

contributo di

solidarietà

� Bruxelles ha

già fatto sapere

che il caso

pensioni non

avrà effetti

sulle

raccomanda-

zioni che la

prossima

settimana

saranno

presentate

per ogni Paese

membro

della Ue

La platea dei pensionati

d’Arco

3.190.229

2.264.614

1.762.941

515.339

165.689

8.536

30.185

47.220

46.391

50.438

22.683

12.521

1.331

Gi assegni per classe di importo mensile (anno 2013)

Classe di importomensile (euro)

Fino a 499,99

500-999,99

1.000-1.499,99

1500-1.999,99

2.000-2.999,99

3.000-4.999,99

5.000-9.999,99

10.000 e più

TOTALE

Numero Importo complessivo

23.322.278 272.746

7.868.357

7.546.573 61.977

Fonte: Inps-Istat

ROMA Non solo la divisione perscaglioni, e cioè restituire dipiù a chi ha una pensione piùbassa per poi ridurre l’importodel rimborso mano a mano chel’assegno diventa più ricco.Non solo una soglia massima(3.500 o 4 mila euro lordi almese) oltre la quale potrebbenon esserci alcuna restituzio-ne. Ma fra le diverse ipotesi allostudio per limitare il costo del-l’operazione rimborso degli ar-retrati, dopo la sentenza dellaCorte costituzionale che habocciato il blocco della rivalu-tazione delle pensioni decisodal governo Monti, c’è ancheun contributo di solidarietà. Unprelievo aggiuntivo che potreb-be essere applicato agli assegnipiù alti, quelli al di sopra dei 5mila euro lordi al mese, natu-ralmente tutti calcolati con ilpiù vantaggioso metodo retri-butivo, cioè facendo la mediadegli ultimi stipendi. Con unadurata a termine e un gettito dadestinare proprio alle pensionipiù basse, sia per i rimborsi delpassato sia per la rivalutazionefutura, in modo da evitare nuo-ve bocciature della Corte. Ilsentiero è stretto, del resto.

Al netto dei soldi che torne-rebbero indietro sotto forma ditasse, rimborsare tutto a tutticosterebbe 14,5 miliardi di eu-ro. Con nuovo deficit si posso-no coprire al massimo 8 miliar-

di di euro, altrimenti si superala soglia del 3% nel rapporto fradeficit e Prodotto interno lor-do. Ma il ministero dell’Econo-mia si vuole tenere ben lontanodal livello di guardia, usando ilminimo possibile la leva deldeficit.

Una buona parte dei soldideve venire per forza da altrecoperture, e da solo il «tesoret-

to» da 1,6 miliardi non basta.Bisogna pescare dallo stesso si-stema pensionistico, senza ri-dare tutto a tutti e limandoqualcosa per il futuro. C’è an-che chi spinge in direzione op-posta, però, sostenendo che lamaggior parte delle risorse de-ve venire dal deficit, bordeg-giando il limite del 3%. Ma èchiaro che qualcuno dovrà pa-

gare. Anche se Bruxelles ha fat-to sapere che il caso pensioninon avrà ricadute sulle racco-mandazioni che la prossimasettimana saranno presentateper ogni Paese membro, il go-verno italiano è tentato di rin-viare l’annuncio della soluzio-ne definitiva a dopo il voto del-le Regionali di fine mese. Sem-b r a t r a m o n t a t a , i n ve ce ,l’ipotesi di un decreto tampo-ne, per stoppare i ricorsi che invarie forme stanno già arrivan-do. L’Inps ha diffuso a tutti i suoi uffici una comunicazioneinterna per dire di attendere leindicazioni da parte del gover-no. Prendere tempo, insomma,in caso di richieste di rimborsoo di chiarimenti. Ma la base simuove. Morena Piccini — pre-sidente dell’Inca, il patronatodella Cgil, con oltre 3 milioni dipratiche l’anno — invita a non«fare allarmismi». Ma dice an-che che la sua struttura è pron-ta ad aiutare i pensionati chevogliono chiedere la «ricostitu-zione dell’importo della pen-sione aggiornato a quanto do-vuto dopo la sentenza dellaCorte». Si chiama «domandaamministrativa», una semplicemail mandata all’Inps tramite ilpatronato o direttamente dalpensionato se ha il codice pin.

Lorenzo Salvialorenzosalvia

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L a Consulta appare consapevole del difficileequilibrio tra risorse disponibili e dirittisociali nel momento in cui conferma la

sua primaria attenzione alla stabilità della nazione. Essa ha ritenuto illegittimo l’intervento sulle pensioni non in sé ma per le sue modalità. È bene ricordare che quando il Governo Prodi, per compensare la controriforma dello «scalone» Maroni, tagliò per un anno ma con effetti permanenti la perequazione sulle pensioni di importo superiore ad otto volte il minimo, la Consulta bocciò i ricorsi. La Corte ha però voluto confermare un caveat a coloro che vorrebbero prendere a calci i diritti acquisiti, aggravando il clima di incertezza del futuro che frena i consumi delle famiglie italiane. Evitiamo «liste di proscrizione» dei pensionati — come se il 90% dei trattamenti erogati fossero «profitti di regime» — il cui assegno è calcolato con il metodo retributivo secondo le norme introdotte nel 1969. Fu allora compiuta la scelta di assicurare un trattamento equipollente alla retribuzione

media percepitanell’ultimoperiodo dellavita attiva con loscopo di evitareun drasticopeggioramentodel reddito.Neppure lariforma Dini-Treu del 1995volle modificarecompletamentetaleimpostazione.Solo ora ècomparsa l’idea

di rideterminare con il calcolo contributivo i trattamenti medi e alti liquidati con il metodo retributivo quando il loro importo non è — oltre una opinabile soglia — «giustificato» dai versamenti effettuati. I sostenitori di questa tesi partono dal presupposto che il sistema retributivo abbia in sé una «rendita di posizione» non meritevole di tutela. Ma se così è, perché il «crucifige» dovrebbe agire solo su una parte delle pensioni? Non è, poi, il modello contributivo che di per sé penalizzerà le pensioni dei giovani ma il loro instabile percorso di vita lavorativa. Come non è vero che tutti i vantaggi stiano nel retributivo e tutti gli svantaggi nel contributivo. Nel primo sistema, infatti, i lavoratori effettuano i versamenti sull’intera retribuzione percepita, ma il rendimento è pari al 2% per ogni anno fino a 45 mila euro di reddito. Per le quote eccedenti l’aliquota è decrescente. Nel retributivo, inoltre, la pensione è sottoposta ad un tetto massimo di 40 anni per cui negli anni eccedenti si pagano contributi senza vantaggio. Nel regime contributivo, invece, dovranno contare tutti i versamenti effettuati e il montante accreditato viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione più elevato. I lavoratori con retribuzioni maggiori, inoltre, versano i contributi soltanto su di un massimale di circa 100mila euro l’anno. La giurisprudenza costituzionale indica comunque una difesa tendenziale, ma non assoluta, dei diritti acquisiti. Il che consente interventi purché limitati nel tempo e solidali, non tali da produrre per persone prossime a pensione o già pensionate una modifica strutturale del Patto con lo Stato. Irragionevole perché non darebbe a queste persone il tempo per rimediarvi operosamente.

Giuliano CazzolaMaurizio Sacconi

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La Lettera

La tentazione(sbagliata)del ricalcolo

�Percorso instabileIn prospettiva non sarà solo il modello contributivo a penalizzare le pensioni dei giovani ma anche il loro instabile percorso di vita lavorativa

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Corriere della Sera Sabato 9 Maggio 2015 PRIMO PIANO 9

Palazzo Chigi e il verdetto«Un danno per il Paese»L’irritazione di Renzi per l’assenza di comunicazione dalla Consulta

Settegiorni

SEGUE DALLA PRIMA

Sono molte le ragioni chehanno indotto il premier a que-sto convincimento. Certo si èinfuriato per l’assenza di eti-chetta istituzionale della Corte,che ha violato il patto di colla-borazione tra organi dello Sta-to, tenendo il governo all’oscu-ro del verdetto, e suscitando aPalazzo Chigi molti interrogati-vi estranei alle logiche giuri-sprudenziali. E non c’è dubbioche l’emergenza economicaprovocata dalla sentenza sia unfattore rilevante.

Ma non il più importante,secondo il leader del Pd. A suogiudizio infatti la vicenda ri-schia di produrre un grave ef-fetto, un processo cioè di «de-responsabilizzazione in chi go-verna», perché di qui in avantiverrebbe offerto un alibi aquanti — in futuro — decides-sero di «scaricare» sui loro suc-

cessori eventuali falle di gestio-ne: «Tanto la Corte sentenzieràfra qualche anno...».

L’anno che verrà per Renzi ègià arrivato, tocca a lui oggisobbarcarsi l’eredità di sceltealtrui, vittima di una sorta dicontrappasso della storia, se èvero che si presentò al Paese eai partner dell’Unione dicendo«basta con i tecnici, che hannoprovocato tanti danni in Italia ein Europa». Se il taglio dellepensioni sia stato un danno, unerrore, o più semplicementeuna scelta dettata dall’emer-genza, ora poco importa, ilpunto è che i cocci sono i suoi.

Anche se gli resta un dubbioche somiglia tanto a una pole-mica: «Ci fosse stato qualcunodella minoranza del mio parti-to, in questi giorni, che avessedetto qualcosa... No che nonl’hanno detta, allora — da Ber-sani a Letta — tutti votarono afavore del provvedimento di

Monti». Lui che ha scommessosul «ritorno al primato dellapolitica» è gioco forza costrettoa pagare la cambiale che gli im-pone di cambiare corso. E nonsarà facile.

Perché Renzi finora aveva in-terpretato un unico ruolo. Ve-stendosi da rottamatore, rifor-matore, innovatore, al dunqueaveva offerto al Paese sempre lostesso, identico profilo: nellasua narrazione era il «buono»che si proponeva di cambiare ilsistema politico con l’Italicume la riforma del Senato, che sidistingueva per misure di equi-tà fiscale con gli ottanta euro, che puntava al rilancio dellascuola con centomila nuovi as-sunti.

Adesso,per effetto di unasentenza della Consulta, glitoccherà la parte del «cattivo»,a cui spetterà decidere quanti(e quanto) riceveranno ciò chela Corte stabilisce essere un lo-

ro diritto. Proverà a fare di ne-cessità virtù, già sta pensandoalla controffensiva mediaticaper limitare i danni. Ma è con-sapevole che saranno molti gliscontenti, e che forse il suoprovvedimento finirà di nuovosotto la lente di osservazionedei giudici costituzionali.

È questa l’altra metà del«danno», stavolta alla sua im-magine e al suo modo di pro-porsi all’opinione pubblica:perché sa che toccare le pen-sioni significa disorientare icittadini, provocare un abbas-samento del livello di affidabi-lità dello Stato, innescare unmeccanismo di sfiducia e d’in-certezza per il futuro. Tutto ilcontrario di quanto si è propo-sto di fare da un anno a questaparte, con le dosi massicce diottimismo che non ha maismesso di somministrare.

Perciò entra periodicamentein frizione con l’Istat. È vero,

l’altro giorno il report dell’Isti-tuto di statistica lo ha soddi-sfatto, anche se si trattava solodi una previsione del futuro.Ma ancora nel recente passato,appena due Consigli dei mini-stri fa, Renzi si è lasciato anda-re all’ennesima sortita contro-pelo: «L’Istat deve pubblicare idati? Va bene, pubblichi questidati. Ma su come darli occorreuna comunicazione condivisacon il governo». Ad alleati ecompagni di partito, ricordaqualcuno per questa sua aller-gia verso gli organismi indi-pendenti: dalla magistratura,alla Commissione europea, fi-no alla Corte Costituzionale...

Renzi il «buono» e Renzi il«cattivo». Lo sdoppiamento èinevitabile, anche se il premier— nel suo negoziato con Bru-xelles — sta tentando di ca-muffarsi nel suo nuovo ruolo,mirando a posticipare il varodel provvedimento sulle pen-sioni dopo le urne delle Regio-nali, per evitare emorragie nelconsenso. Tuttavia è consape-vole che il tema impatterà sullacampagna elettorale, sa che gliavversari alzeranno il livellodella polemica, ed è alla ricercadi una strategia di comunica-zione che sia più efficace diquella che «non ha funziona-to» per la riforma della scuola.L’eredità pesa.

Francesco Verderami© RIPRODUZIONE RISERVATA

Che cosa cambia per i pensionati?La soglia dei 1.400 euro e le possibili restituzioni gradualiLa decisione dei giudici dovrà essere applicare automaticamente

La Consulta ha bocciato il blocco

degli adeguamenti all’inflazione

degli assegni previdenziali,

imposto negli anni 2012 e 2013

da un provvedimento deciso del

governo allora guidato da Mario

Monti. Il blocco era stato calcolato

in base alle fasce di reddito

La sentenzadella Consulta

I punti

Indirettamente sono coinvolti

anche gli anni 2014 e 2015 perché

il recupero degli importi su 2012 e

2013 comporta anche un effetto a

cascata di ricalcolo nei due anni

successivi. In totale sono 5,1

milioni i pensionati colpiti dal

blocco degli adeguamenti

Effetti per 5,1 milionidi pensionati

Dopo la sentenza della Corte

Costituzionale, tra le ipotesi allo

studio del governo c’è un rimborso

a seconda delle fasce di reddito:

totale sotto un certo livello, quindi

a salire parziale, per poi arrivare a

una restituzione nulla sopra una

determinata soglia

Le ipotesi allo studioper i rimborsi

Con un deficit previsto quest’anno

al 2,5% del Prodotto interno lordo,

la ricostituzione di tutte le pensioni

congelate, che costerebbe 14

miliardi di euro, farebbe sforare il

tetto europeo del 3% del deficit,

determinando l’apertura di una

nuova procedura di infrazione

Ripagare tutticosterebbe 14 miliardi

Quanti e quali sono ipensionati interessati?

Tutte le rendite che alla datadel 31 dicembre 2011 erano inpagamento con un importo su-periore a 1.403 euro lorde (1.200euro al netto delle tasse), ossiail triplo del trattamento mini-mo di allora. Le pensioni gestitedall’Inps alla data del primogennaio 2015, con esclusione diquelle di tipo assistenziale (in-validità civili e pensioni sociali),sono circa 14 milioni e 300 mila.Di queste, 5 milioni e mezzo,grosso modo, registrano un im-porto superiore a 1.500 euro. Ec-coli, dunque, gli assegni inte-ressati alla recente sentenzadella Corte Costituzionale cheha dichiarato illegittimo il con-gelamento dell’indicizzazione.Le pensioni oltre i 1.403 euro, loricordiamo, sono state bloccatedalla riforma Fornero, e per bendue anni non sono state ade-guate al caro vita. Il blocco del2012 e del 2013, inoltre, ha com-portato una perdita che si riper-cuote per decenni e sterilizza glieffetti moltiplicativi degli ade-guamenti (niente aumenti sugliadeguamenti). Nel biennio2014-2015 invece l’adeguamentoè stato calcolato sull’intero im-porto, con una percentuale del100%, ma solo per tutti quelliche hanno un assegno fino a trevolte il minimo, mentre è dimi-nuito per le altre categorie d’im-porto dallo 0,95% fino allo0,40% (quest’anno con l’infla-zione 2014 allo 0,2%, l’adegua-mento praticamente non c’èstato). Senza tener conto chedal 1992 tutte le rendite non so-no più agganciate agli aumenticontrattuali dei lavoratori in at-tività, come avveniva una volta.Ma solo all’inflazione (e in mo-do parziale). In vent’anni, perfarla breve, gli assegni Inps han-no visto praticamente evapora-re il loro potere d’acquisto.

A quanto ammonta il“buco” nei conti pubbli-ci?

È la guerra delle cifre. In un

primo momento, l’Avvocatura dello Stato aveva stimato il valo-re del blocco in 4,8 miliardi dieuro. Ma questa somma an-drebbe più che raddoppiata,perché l’adeguamento all’infla-zione resta incorporato nellapensione e quindi si trascina negli anni successivi. Bisogne-rebbe rimborsare quindi ancheper il 2014 e 2015. Inoltre, an-

drebbe prevista una maggiorespesa per gli anni prossimi, do-vuta al ricalcolo delle pensionistesse e al fatto che i futuri ade-guamenti all’inflazione avver-ranno su un importo pensioni-stico maggiore. Le organizza-zioni sindacali stimano che lamancata indicizzazione, ha sot-tratto ai pensionati ben 9,7 mi-liardi, pari ad una perdita media

pro-capite di circa 1.800 euro. E icalcoli fatti a tavolino (Inps eMinistero dell’Economia) dico-no che la sentenza costituziona-le costerebbe non solo 10 mi-liardi di euro per chiudere iconti con il passato. Ma anche 5miliardi l’anno da qui in avanti.Un peso non sostenibile, ancheconsiderando che quei 5 miliar-di sono lordi e quindi in parte

tornerebbero indietro allo Statosotto forma di tasse. Sono co-munque troppi. Da qui l’idea diintrodurre diversi scaglioni dirimborso, restituendo ad alcunitutto, ad altri solo una parte, adaltri niente (i soliti pensionati“d’oro”, ossia coloro che godo-no di un assegno lordo di 3 milaeuro, poco più di 2 mila euronetti in tasca). Il meccanismo,però, sarà più complesso diquello immaginato all’inizio.

Cosa fare per farsi rim-borsare?

A seguito della pubblicazione(lo scorso 30 aprile) della sen-tenza della Corte Costituzionalen. 70/2015, con cui è stata di-chiarata l’illegittimità costitu-zionale della cristallizzazionedella perequazione automatica,la norma che la prevedeva (l’ar-ticolo 24, comma 25, della legge214/2011) ha cessato di avere ef-ficacia, con effetto retroattivo,dal giorno successivo (ossia dal1° maggio). Questo è quantostabilisce la stessa Costituzione(in base all’articolo 136). Il letto-re deve scusarci per il tecnici-smo utilizzato, ma era necessa-rio per inquadrare meglio laquestione. Ebbene, data l’auto-maticità degli effetti della pro-nuncia della Consulta, nonsembra dunque consentito cheun possibile provvedimento (siparla di un decreto legge) ap-provato oggi, possa incidere re-troattivamente su un diritto giàentrato nel patrimonio dei pen-sionati interessati. Non servequindi presentare alcun ricorsoall’Inps. Anche se le maggioriorganizzazioni sindacali sistanno attrezzando per operareda intermediari, se non altroper sollecitare l’ente a fare infretta. In proposito, l’Inps hagià fatto sapere che eventualidomande di ricostituzione (diricalcolo) della pensione nonpotranno essere accolte, finoall’adozione di specifiche ini-ziative legislative.

Domenico Comegna© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il caso di un ex agente immobiliare di Pordenone

«Il rimborso? Ci rinuncio, che sia di buon esempio per i politici»

ROMA È ricco di famiglia? «No, non mi posso lamentare ma ho sempre vissuto del mio lavoro». Allora ha vinto al Gratta e Vinci? «Per carità, mai comprato uno». Luciano Bortolus, 71 anni, ex agente immobiliare di Pordenone, prende una pensione di 2.123 euro netti al mese. E se l’Inps dovesse ridargli gli arretrati lui direbbe no, grazie.Perché?«Per dare una lezione alla politica. Mi vergogno quando leggo che gli ex consiglieri regionali

hanno fatto ricorso contro il taglio dei vitalizi. Cominciamo noi a dare il buon esempio, saranno costretti a seguirci».Ma almeno una parte di quei soldi le spetta.«Lo so ma se la famiglia è in difficoltà, tutti devono dare una mano. A condizione che i soldi risparmiati dallo Stato non diventino un alibi per non tagliare gli sprechi che ancora ci sono. Che dice, sono l’unico a pensarla così?».

L. Sal.© RIPRODUZIONE RISERVATA

1.800euro

La perdita media

pro-capite

dal 2011

per i pensionati

1.403eurol’importo lordo

oltre il quale

scattava il blocco

dell’indicizzazione

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�Il danno peggiore? Si rischia di deresponsa-bilizzare chi governa se un esecutivo può scaricare sul successivo le falle di bilancio

�Ci fosse qualcuno della minoranza Dem che dica qualcosa in questi giorni...Ma da Bersani a Letta erano tutti a favoredi Monti...

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Corriere della Sera Sabato 9 Maggio 2015 POLITICA 15

�Spiace che la leader della Cgil abbia perso l’occasione di sostenere una donnaAltre volte aveva dimostrato una diversa sensibilità

Renzi attacca D’Alema e i «ribelli»:c’è una sinistra a cui piace perdereA Genova con Paita. La replica alle accuse dell’ex premier sul calo di iscritti

DAL NOSTRO INVIATO

GENOVA Che botte, ragazzi.«Questo è il terreno della parti-ta tra la sinistra che coltiva ildesiderio di perdere da solacontro quella che preferiscevincere insieme». Sarà che laLiguria è ormai il ring sul qualevoleranno i primi sganassoni,elezioni regionali che all’im-provviso hanno assunto il valo-re di una prova di laboratorioper verificare lo spazio di unapossibile esistenza in vita oltreil Pd. Comunque Matteo Renzici va pesante con la fronda diLuca Pastorino, deputato euro-peo uscito dal gruppo ancoraprima del suo mentore PippoCivati per creare una lista che numeri alla mano complica dimolto la vita al Partito demo-cratico. «C’è chi vuole cambia-re le cose e chi invece si accon-tenta di perdere e far perdere»dice, quasi un invito maschera-to al voto utile.

Ai Magazzini del Cotone nelporto antico di Genova ci sonodiversi tipi di sinistra. Il serviziod’ordine è fornito dai camalli

della Compagnia unica, armadia quattro ante con jeans sdruci-to e giubbotto di pelle inneg-giante al compianto padre no-bile Paride Batini che amava de-finirsi come l’ultimo stalinista,la cui figlia corre però con unalista tutta sua, a sinistra del-l’ipersinistra. In platea si fa no-tare la grisaglia leggermentepiù riformista di Vittorio Mala-calza, fresco primo azionista diCarige, il più lesto ad abbraccia-re e baciare la candidata del Pdal suo ingresso in sala, seguito

da Aldo Spinelli, storico signo-re della terminalistica portualee altri pezzi di potere ligure.

Quando si abbassano le luci,la prima a parlare è Paita, por-tatrice di una candidatura sof-ferta e di una determinazioneche la sta portando a una cam-pagna elettorale molto vivace,poco incline ai compromessi.A lei tocca la bastonatura degliavversari esterni, a cominciaredal centrodestra e da GiovanniToti, descritto come un candi-dato riluttante, desideroso di

tornare presto alle sue compar-sate nei talk show. «L’idea chelui possa battermi spaventa voima soprattutto lui».

Al fronte interno ci pensa in-vece il presidente del Consi-glio, che mette insieme vecchie nuovi concorrenti usando co-me argomenti a sostegno dellesue tesi anche la disfatta laburi-sta in Inghilterra. MassimoD’Alema, che a mezzo stampaaveva alzato il dito citando il ca-lo di iscritti nel Pd diventa cosìun campione dei «nostalgicidel 25 per cento, quelli che sta-vano bene quando si perdeva,quelli che hanno avuto la lorooccasione e l’hanno persa».L’analisi renziana del voto nelRegno Unito, molto pro domosua, gioca molto sulla sceltadel Miliband sbagliato. I laburi-sti avevano David, pupillo diTony Blair, e Ed «molto radica-le, capace di diventare segreta-rio con l’aiuto della burocraziadi partito». Scegliendo l’ultimohanno messo fine all’esperien-za del blairismo. Morale a futu-ra memoria della favola albio-nica: «Quando la sinistra sce-

glie di non giocare la partita delriformismo, può vincere qual-che congresso ma perderàsempre le elezioni».

Londra chiama Bogliasco,paese del quale il reprobo Pa-storino è sindaco. «Lo è diven-tato con i voti del Pd, così comeè diventato eurodeputato, poiha scelto di lasciare il partitosenza per altro dimettersi dalledue cariche. Facendo così rap-presenta lo spot migliore dellasinistra che vuole perdere sem-pre e comunque». Renzi evitadi dirlo, ma oltre al rimpiantoper la terza via, elezioni inglesie liguri hanno in comune an-che un numero. «Si è parlato dideriva autoritaria a propositodella nostra riforma elettorale,ma guardate l’Inghilterra doveoggi col 36% dei voti i conserva-tori hanno la maggioranza as-soluta. Con la nostra riformainvece saremmo andati al bal-lottaggio».

Con la legge elettorale ligu-re, invece, quella è la percen-tuale richiesta per avere il pre-mio di maggioranza necessarioa governare. Se non ci arrivi, seicostretto ad alleanze che avreb-bero il sapore della resa allaminaccia da sinistra oppurequello del compromesso inodor di patto del Nazareno chedarebbe vento alle vele di Civatie dintorni, non solo in Liguria.La posta in gioco è questa. Agiudicare dalle carezze rifilate al convitato di pietra Pastorino,in Liguria non si gioca una par-tita da poco.

Marco Imarisio© RIPRODUZIONE RISERVATA

E Speranza rilancia nel partito

Pd, lascia anche l’eurodeputata SchleinRoberto Speranza alla prova della leadership. L’ex capogruppo del Pd, che si è dimesso quando Renzi ha posto la fiducia sull’Italicum, ha lanciato ieri da Cosenza una proposta contro la povertà, per il reddito minimo garantito. Nel Pd dopo Pippo Civati lascia anche l’eurodeputata Elly Schlein. Speranza invece resta e lo dice davanti a un migliaio di persone: «La scelta giusta è rimanere nel Pd e battersi affinché il partito resti un grande soggetto di centrosinistra e non diventi quel partito dove c’è dentro tutto e il contrario di tutto».

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�È un campione dei nostalgici del 25% quelli che hanno perso l’occasione

Verso le urne Moretti: Camusso tafazzistaLa scheda bianca in Venetoè come un invito a votare Zaia

di Massimo Rebotti

MILANO «Classico esempio diquella sinistra tafazzista, che sifa male da sola». AlessandraMoretti, candidata del centro-sinistra a governatore del Vene-to, dice di «non essere stupita»dall’affondo, due giorni fa aMestre, della leader cgil Susan-na Camusso che a una platea didelegati sindacali ha detto:«Capisco l’imbarazzo e le diffi-coltà che tanti di voi hanno difronte alle Regionali. Piuttostoche non votare però, meglioannullare la scheda».

È stato «fuoco amico»?«Una cosa dev’essere chiara.

Chi invita a votare scheda bian-ca in Veneto è come se dicessedi votare per Luca Zaia, il gover-natore leghista che ha abban-donato al loro destino i lavora-tori e le imprese della regione.

Chi dice queste cose è la stessasinistra che ha fatto cadere ilgoverno Prodi e ha consentito aBerlusconi di governare pervent’anni».

Susanna Camusso però è laleader del più grande sinda-cato italiano. Non è preoccu-pata per la sua campagna?

«No. Questo è un vecchiomodo di fare politica, di chivuol farsi sempre male. È quel-la sinistra allergica a governare.E pensare che noi, in Veneto,abbiamo costruito un centrosi-nistra ampio, c’è Sel, ci sono iVerdi, anche un pezzo di Rifon-dazione comunista. E poi tra icandidati nelle liste in mio so-stegno c’è l’ex segretario dellaCgil di Padova. Penso che i piùamareggiati per l’uscita di Ca-musso siano proprio gli iscritti

veneti al suo sindacato».La Cgil è molto dura con il

governo. A Mestre il segreta-rio ha detto che Renzi favori-sce solo le imprese. Lei è fini-ta in mezzo a questo scontro?

«Sa quanti posti di lavoro hacreato il Jobs act del governoRenzi nel primo trimestre del2015 in Veneto? Quasi 35 mila.Che Camusso chiedesse a ungiovane che prima aveva uncontratto a progetto e ora ha uncontratto a tempo indetermi-

nato, se pensa anche lui che ilgoverno favorisce le imprese.Se diventerò presidente farò unaltro Jobs act, per il Veneto, cherafforzi ulteriormente le indi-cazioni dell’esecutivo».

Forse è anche per questoche la Cgil non la sostiene.

«C’è una parte del sindacatoche si rende conto che un rin-novamento è necessario. Non ivertici».

Sta pensando che questointervento di Camusso, alla fi-ne, le farà guadagnare voti?

«La verità è che le battaglie sivincono tutte insieme, oltre glisteccati ideologici. E le criticheche ho ricevuto sono ideologi-che, i veneti capiranno».

Sul sito di Alessandra Moret-ti campeggia il numero dei co-muni visitati finora durante la

campagna elettorale: ieri era aquota 519: «Qualche mese fa questa sfida sembrava impos-sibile, ora è apertissima».

Per la verità qualche giornofa Renzi ha detto: «Alle Regio-nali finisce 6 a 1» e l’ipotesi disconfitta era proprio in Vene-to.

«Conosco Matteo Renzi, nonlascia niente a nessuno. E iocon lui. Ho abbandonato l’eu-roparlamento per giocarmiquesta partita. E i miei avversa-ri ora hanno paura».

In suo sostegno oggi arrivail ministro Boschi.

«È una donna che stimo, lasento molto vicina. Il messag-gio che voglio lanciare è checon me alla guida della Regio-ne la relazione con il governosarà molto forte, per risponde-re alle esigenze del Veneto. Quiil centrosinistra ha un’occasio-ne storica: strappare una regio-ne considerata “impossibile”. Epoi, alla guida della coalizionec’è una donna».

Anche Camusso è donna.«Infatti, spiace che abbia

perso l’occasione di sostenereuna donna. In altre circostanzeaveva dimostrato una diversasensibilità».

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«Il rinnovamento»«Nel sindacato una parte si rende conto che un rinnovamento serve. I vertici no»

Chi è

� Alessandra

Moretti, 41

anni, è la

candidata del

centrosinistra

alle Regionali in

Veneto

� È stata

deputata ed

eurodeputata:

ha lasciato

Strasburgo per

le Regionali

Sul palco

Il presidente

del Consiglio

Matteo Renzi,

40 anni, con

Raffaella Paita,

40, candidata

del Pd alle

Regionali

in Liguria:

il premier

e segretario

dem ieri era

a Genova per

un’iniziativa

a sostegno

di Paita

(Ansa)

Miliband? Quando si sceglie di non giocare la partita del riformismo le elezioni si perdono

Page 187: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

la Repubblica 17SABATO 9 MAGGIO 2015L’INTERVISTA

PER SAPERNE DI PIÙ

www.cortecostituzionale.itwww.governo.it

ROMA. La sentenza sulle pensioni? «Molti pro-blemi». La spaccatura della Corte? «Brutto se-gno». Costituzione tra equilibrio di bilancio egiustizia sociale? «Difficile ma necessario distri-carsi». Ne parliamo con Gustavo Zagrebelsky.

Che cosa l’ha colpita di più, professore,

nella sentenza della Corte sul blocco degli

adeguamenti pensionistici?

«Più il metodo che il contenuto della decisio-ne».

Iniziamo dal contenuto.

«Noi non sediamo alla Corte. Possiamo averele nostre opinioni private, ma solo la Corte è abi-litata a dire ciò che è e ciò che non è conforme al-la Costituzione. Come opinione privata, miconforta che dal principio dell’equilibrio di bi-lancio non si sia dedotto automaticamente un la-sciapassare al libero arbitrio della politica nellostabilire a chi farne pagare il prezzo. Il legislato-re deve sempre e comunque tenere conto del-l’uguaglianza della giustizia, tanto più in quan-to siano in questione diritti previsti a salvaguar-dia dei ceti più deboli».

Non sta dicendo una cosa ovvia?

«Non mi pare. Nel dibattito politico, l’appelloai conti, e ai conti conformi alle richieste del-l’Europa e della finanza internazionale, rischia-va di diventare la super norma costituzionale».

Quindi lei approva incondizionatamente

la decisione?

«Non mi spingo fino a questo punto».C’erano altri modi per conciliare finanza

e diritti?

«Probabilmente sì. Gli strumenti della Cortesono tanti. Spetta ora al legislatore esplorare lesoluzioni per tutelare le fasce sociali più deboli eal contempo evitare il collasso finanziario».

Questo significa che il seguito della sen-

tenza non è automatico?

«Infatti. La Corte si è limitata — e non potevafare diversamente — a dichiarare incostituzio-nale la norma della legge Fornero. Ma non haescluso — né avrebbe potuto farlo — che inter-venti diversi sull’adeguamento automatico del-le pensioni siano possibili, purché nel rispettodei principi di giustizia stabiliti dalla Costituzio-ne. Questa potrebbe essere l’occasione per un di-scorso generale di giustizia nell’ambito dei trat-tamenti pensionistici delle diverse categorie».

Scusi, ma i “tormenti” del governo su co-

me adeguarsi alla sentenza, su come re-

stituire i soldi e se restituirli tutti, dimo-

strano che la soluzione non è poi così faci-

le.

«È ovvio che sia difficile. La Corte ha aperto laprospettiva di un risarcimento integrale ma, co-me ho detto, questo non è automatico. Il legisla-tore, nel rispetto dei diritti essenziali, che ri-guardano soprattutto gli indigenti, può farescelte. È chiaro che queste scelte, rispetto alquadro prospettato dalla Corte, scontenteran-no qualcuno. Tanto più in quanto per coprire i co-sti della sentenza si intenda toccare in pejus po-sizioni pensionistiche privilegiate».

Dal contenuto della sentenza al metodo.

La Corte si è spaccata sei contro sei, e ha

vinto il fronte della bocciatura solo grazie

al voto decisivo del presidente Criscuolo.

In questa procedura vede delle anoma-

lie?

«Certo non violazioni di norme giuridiche. Ma

Zagrebelsky sulle pensioni“Sorpreso dal metodo, ma la conformità alle richiestedell’Europa rischiava di diventare una super-normacostituzionale. Ora tocca al legislatore mediaretra la tenuta dei conti e la salvaguardia deidiritti dei pensionati, specie i ceti deboli”

“Dalla Corte scelta difficilema l’equilibrio di bilancionon può essere lasciapassareall’arbitrio della politica”

LIANA MILELLA

GustavoZagrebelsky

Brutto segnoLe grandi

decisioni nonsi prendono

attraversomaggioranze

risicateServiva più

prudenza percostruire

il consenso

SPACCATURA

La sentenzanon escludemeccanismidiversi dalla

rivalutazioneautomatica

Si apra undiscorso

sulla giustiziadei trattamenti

pensionistici

GIUSTIZIA

non di sole norme vivono i giudici, tanto più i giu-dici supremi. Alle norme deve affiancarsi la pru-denza...».

... proprio da lei arriva un invito del gene-

re?

«Prudenza non vuol dire timidezza o paura.Mi spiego con due esempi storici. Il primo ri-guarda la sentenza della Corte suprema degliUsa nel celeberrimo caso Brown del 1954 che po-se fine alla discriminazione razziale nelle scuo-le. Nelle sue memorie il giudice Felix Frankfur-ter racconta che il presidente della Corte EarlWarren, desiderando su una causa così impor-tante l’unanimità dei giudici, tirò per le lunghefino a ottenere quello che desiderava. “Per le lun-ghe” significò attendere il decesso dell’unicogiudice dissenziente, il giudice Vincon. A quelpunto l’unanimità era fatta e la sentenza nonpoté essere delegittimata come fosse stata unascelta politica di parte. Sono infatti le assembleeparlamentari che decidono a maggioranza».

Curioso esempio aspettare il decesso. E

l’altro?

«Questo riguarda la Corte italiana. In una cau-sa in materia penitenziaria il giudice relatoreaveva proposto una soluzione molto innovativa,dalle conseguenze difficilmente prevedibili. Il

presidente era dalla sua parte. La Corte, comenel nostro caso, si era spaccata in due, ma pro-prio col voto del presidente sarebbe passata lasoluzione proposta dal relatore. A quel puntoche cosa accadde? Il relatore stesso ritirò la suaproposta, che pure era sul punto di passare, inbase alla considerazione che le grandi decisionicostituzionali non possono essere prese con risi-cate maggioranze».

Begli esempi. Ma cosa ci dicono se rap-

portati al caso delle pensioni? Che la Cor-

te doveva cercare comunque una mag-

gioranza più ampia su una faccenda così

delicata?

«Significa, in generale, che mentre nelle as-semblee parlamentari la divisione maggioran-za-minoranza è fisiologica, negli organi giudi-canti deve considerarsi l’extrema ratio. Prima digiungere al voto che divide, prudenza vuole cheogni sforzo, dandosi il tempo necessario, debbaessere fatto per costruire il consenso più ampiopossibile».

Ciò implica che si debba scendere a com-

promessi?

«Compromesso non è necessariamente unabrutta parola. Soprattutto si deve tener contoche, nelle grandi cause costituzionali, sono in

questione più esigenze che devono rendersicompatibili tra di loro. È ciò che, nel linguaggiodei giuristi, si chiama bilanciamento. Nel casonostro, il bilanciamento riguardava diritti so-ciali ed esigenze di finanza pubblica. È ovvia laconclusione: quando si bilancia ciascuna delleparti deve rinunciare ad ottenere tutto in ma-niera tale che l’altra parte ottenga qualcosa.Questo modo di procedere è quello conforme al-la Costituzione che noi abbiamo, una Costitu-zione in cui deve convivere una pluralità di prin-cipi».

Quale poteva essere il compromesso?

«La Corte dispone di numerosi strumenti permodulare gli effetti delle sue decisioni. Spetta al-la sua saggezza dire quali, non alla mia».

La sentenza potrebbe astrattamente co-

stare una ventina di miliardi allo Stato. La

Corte se ne doveva far carico?

«Piaccia o non piaccia, l’articolo 81 della Co-stituzione che impone il principio dell’equilibriodi bilancio, induce a rispondere di sì. Ma spettaal legislatore distribuire il peso di questo equili-brio tra le categorie sociali in maniera conformeal principio di giustizia sociale. L’equilibrio di bi-lancio non può essere usato ciecamente».

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GIUDICI

I giudici della CorteCostituzionale si sono divisi

sulla sentenza che habocciato una norma della

riforma delle pensioni

ROBERTO PETRINI

ROMA. La Commissione europea tiene la guardia alta ma,per ora, non alza la voce con l’Italia: la questione previden-ziale non influenzerà le “Raccomandazioni” di mercoledìprossimo. Ieri il ministro delle finanze olandese e presiden-te dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, in visita a Roma do-ve ha incontrato il collega Pier Carlo Padoan, ha adottato to-ni diplomatici: «Sono fiducioso che il governo italiano pren-derà le misure giuste», ha detto. Contatti informali tra Ro-ma e Bruxelles, per risolvere la “grana”del rimborso delle indicizzazioni impostodalla sentenza della Corte costituzionale,sono in corso e dalla Commissione non sistressano i toni: «Aspettiamo una deciso-ne dell’Italia, non c’è una scadenza preci-sa», hanno fatto sapere ieri fonti del por-tafoglio degli Affari monetari, anche seresta aperto il tema cruciale della com-pensazione o copertura delle nuove spesepensionistiche che si dovranno sostenere fin da quest’anno.

La linea del ministro dell’Economia Padoan non cambia:«Stiamo lavorando per minimizzare l’impatto sui conti, ri-spetteremo i vincoli europei e la sentenza della Corte», hadetto nel corso della conferenza stampa tenuta a Roma. Lapartita del governo, stretto tra due fuochi, tuttavia non è fa-cile: la Corte ha stabilito l’illegittimità del blocco delle indi-cizzazioni oltre i 1.446 euro lordi, ha fatto capire che il pro-

blema più grosso sono i redditi più bassi e ha fatto emergeretra le righe l’esempio della scalettatura delle indicizzazioniadottata dal governo Letta operativa dallo scorso anno. LaCorte ha fatto capire che il governo potrà intervenire, ancheretroattivamente, ma rispettando il dettato costituzionale.

L’Europa non porrà il problema la prossima settimana mala questione è sul tavolo. L’Inps e la Ragioneria dello Statostanno facendo i conti puntuali che potrebbero limare un po’i numeri e da un totale di 19 miliardi si potrebbe scendere a17 miliardi perché rispetto alle previsioni del 2011, con l’e-

levamento dell’età pensionabile, il nu-mero dei pensionati potrebbe essersi ri-dotto di un po’. La sostanza tuttavia noncambia: l’arretrato 2012-2013 vale 8,7miliardi (considerando arretrati anche iprimi 5 mesi di quest’anno); il 2015 (set-te mesi) vale 1,9 miliardi; il 2016 e 2017varrebbero 3,4 miliardi all’anno (tutto allordo Irpef che rientra); successivamentesi entrerebbe nel regime Letta con indi-

cizzazioni scaglionata secondo fasce di reddito e il problemasi esaurirebbe. Gli arretrati sono una tantum (e dunque noninfluenzeranno il percorso verso il pareggio di bilancio,Mto), ma insieme ai sette mesi del 2015 fanno 10,6 miliardiche porterebbero a sforare il tetto nominale del 3 per centodel deficit-Pil. Insostenibile: dunque si lavora alla restituzio-ne parziale, per scaglioni e rateizzata.

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La Ue non ci mette fretta sul buco previdenzialeIL CASO/GLI EFFETTI DELLA SENTENZA NON INFLUENZERANNO LE RACCOMANDAZIONI DELLA COMMISSIONE

LA COMMISSIONE

Il presidentedella CommissioneUe Jean-ClaudeJuncker

Dijsselbloem incontraPadoan: “Il governoitaliano prenderà lemisure giuste”

FOTO:ANSA

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PRIMO PIANO 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Gradualità anche sulla base dei contributi versati e non solo sull’importo degli assegni

Subito una norma procedurale per dare all’Inps due mesi di tempo per fare i conteggi

INTERVISTA ENRICO ZANETTI SOTTOSEGRETARIO ALL’ECONOMIA (SC)

«Per baby pensioni e assegni alti stessi sacrifici

sui rimborsi»Le baby pensioni non possono essere tutelate più di altre. Alla luce della sentenza della Consulta, i baby pensionati «non possono sottrarsi a sacrifici» chiesti ad altri pensionati magari con assegni più robusti, ma con un percorso contributivo molto più lungo. Il sottosegretario all’Economia e leader di Scelta civica, Enrico Zanetti, lo dice a chiare lettere rilanciando la sua proposta sulla «gradalità» da modellare sia sugli importi dei trattamenti che sull’anzianità contributiva con «un tetto di fatto» e 5mila euro. Zanetti incalza anche Matteo Renzi sulle riforme economiche che «davvero servono al Paese», dal fisco alle partecipate, e chiede al premier di procedere con «la stessa determinazione» mostrata sull’Italicum.Sottosegretario, la sentenza della Consulta se applicata integralmente

impatterebbe sui conti pubblici per circa 1 punto di Pil, in che modo può essere

resa compatibile con l’attuale quadro di finanza pubblica?

Il punto di equilibrio compete al ministro Padoan anche sulla base di un’interlocuzione politica con le forze di maggioranza. Sul 2015 abbiamo uno spazio di deficit pari allo 0,5% del Pil che equivale a 8 miliardi. L’alternativa, puramente teorica, sarebbe sforare la soglia del 3% o agire con compensazioni, ma sicuramente per noi non c’è alcun intervento che possa essere finanziato con un aumento delle tasse.Che cosa risponde a chi considera impraticabile la sua proposta di un tetto per i

rimborsi sugli assegni superiori a 5mila euro?

Ribadisco che il ricorso alla proporzionalità è in linea con la sentenza e l’adozione di questo criterio può portare a un tetto di fatto: oltre una certa soglia si esaurirebbero i rimborsi. Noi come Scelta civica abbiamo fatto riferimento a una nostra proposta che prevede un tetto a 5mila euro. Ma, ad esempio, la stessa Consulta in passato non ha bocciato il tetto di 8 volte il minimo, ovvero sopra i 3.500 euro.Sacrifici modulati ma soprattutto per le pensioni più alte, dunque.

La sostenibilità del sistema previdenziale è stata assicurata con gli interventi varati negli ultimi anni che hanno interessato tutti: i futuri pensionati, under 60 di oggi, che hanno rinunciato al più vantaggioso sistema retributivo; i quasi pensionandi che si sono visti improvvisamente spostare in alto l’asticella dell’uscita verso la pensione. Non può quindi apparire strano aver chiesto qualche sacrificio anche ai già pensionati, bisogna però farlo salvaguardando maggiormente chi si trova in una reale situazione disagiata.Le restituzione piena del dovuto fino a quale fascia di pensioni andrebbe

garantita?

Per noi, la gradazione va fatta non solo sulla base dell’importo della pensione percepita ma anche degli anni di contributi versati. È un’opzione da verificare sul piano tecnico.Sta dicendo che sarebbe giusto non adeguare le baby pensioni?

Dico che non sarebbe affatto giusto penalizzare maggiormente un pensionato con un assegno di 3mila euro e 40 anni di contributi rispetto a un altro pensionato con un assegno anche di 1.500 euro ma però ha versato contributi per soli 18 anni.Il Governo sembra orientato a varare un decreto non prima dell’inizio di giugno.

Non rischia di essere troppo tardi per evitare un’eventuale valanga di ricorsi?

La sentenza della Consulta è immediatamente applicabile ma offre anche al Governo la facoltà di adottare nuovi interventi. La soluzione migliore, per noi, sarebbe una norma procedurale che dia un paio di mesi all’Inps per fare i conteggi necessari per valutare un intervento anche, come dicevamo, sulla base degli anni di effettiva contribuzione di ciascuno.C’è anche da turare la falla contabile del reverse charge su cui incombe il no di

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Bruxelles?

Su reverse charge e split payment, fortemente voluti da alcuni, mi limito a dire che è la dimostrazione che le magie non esistono. Siamo convinti che in futuro ci sarà maggiore attenzione alle nostre proposte che non a quelle di chi ha sponsorizzato queste cose.Ma con margini di manovra che rispetto al Def di aprile sono destinati a diventare

più stretti non c’è il rischio che le clausole di salvaguardia non vengano sterilizzate?

Disinnescare completamente tutte le clausole di salvaguardia è una priorità assoluta. L’Iva non può aumentare e non aumenterà. Per Scelta civica la strada da percorrere resta quella di una riduzione della pressione fiscale gestendo gli interventi sempre all’insegna dell’equità.Tra le questioni aperte c’è anche quella delle riforme costituzionali. Dopo quanto

accaduto sull’Italicum la partita al Senato non si annuncia in discesa...

È una partita legata soprattutto ai problemi interni del Pd. Quanto ai possibili correttivi sulle riforme costituzionali per noi la priorità non è agire sull’elettività dei senatori ma sulle regole dell’elezione dei cosiddetti contrappesi costituzionali, ovvero presidente della Repubblica, Corte costituzionale e Csm.Questa è la sola richiesta che rivolge a Renzi?

La richiesta di Scelta civica a Renzi è di usare la stessa determinazione mostrata con l’Italicum contro i frenatori della sinistra del suo partito per far approvare nel più breve tempo possibile le riforme economiche, quelle che davvero servono al Paese per agganciare la ripresa. Al Senato l’alchimia è complessa, ma alla Camera i numeri sull’Italicum dicono che, se c’è il nostro sostegno, i provvedimenti passano anche con la sinistra Pd di traverso.Quali sono le riforme economiche più urgenti?

Le nostre proposte sono già sul tavolo del premier: riforma del fisco, delle partecipate e della giustizia civile e una sempre maggiore trasparenza nella pubblica amministrazione.© RIPRODUZIONE RISERVATAMarco Rogari

Padoan: obiettivo ridurre le tasse

Pensioni da rivalutare, rimborsi per fasce e con tetto

Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore

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PRIMA PAGINA 10 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore

Enti locali. Per il sindacato stipendi a rischio - L’esecutivo smentisce

Province, scontro Governo-Cgil

I fondi 2015 di Città metropolitane e Province sono calibrati su non più di 30mila

dipendenti, ma le persone in organico negli enti di area vasta sono ancora 48mila

perché la macchina dei trasferimenti a Comuni, Regioni è Stato non si è ancora

avviata. Si basa su questi dati l’allarme lanciato ieri dalla Cgil, secondo cui gli

stipendi dei dipendenti provinciali sarebbero “a rischio a partire dal prossimo mese di

giugno”. Allarme subito respinto dal Governo: il ministro della Pubblica

amministrazione, Marianna Madia, ha parlato di «allarme assolutamente infondato»,

mentre il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, ha assicurato la

garanzia per i redditi di tutti i lavoratori provinciali.

La situazione sul territorio è diversa da ente a ente, ma per tradurre in pratica le tutele

fin qui ribadite in più occasioni dagli esponenti del Governo occorre un’accelerazione

drastica del sistema della mobilità, che sarebbe dovuto partire già da mesi. La

manovra da un miliardo di euro introdotta dalla legge di stabilità, che ha trovato la

propria distribuzione definitiva solo giovedì scorso con l’ultimo accordo fra Governo

e amministratori locali, è stata calcolata sull’idea che le Province svolgano solo le

funzioni loro assegnate dalla riforma Delrio, ma al momento così non è per ritardi

accumulati sia dal Governo sia dalle Regioni. Nel 2014 stipendi e contributi dei

dipendenti provinciali sono costati in tutto 1,9 miliardi, mentre quest’anno gli enti di

area vasta dovrebbero fare tutto, servizi compresi, con 2,4 miliardi; solo le funzioni

generali, cioè la macchina amministrativa, costa in media 1,2 miliardi l’anno, ma per

il 2015 gli enti dovrebbero cavarsela con 400 milioni.

Per centrare l’obiettivo posto dalla legge di stabilità, occorrerebbe che le Province si

alleggerissero davvero del 50% delle proprie spese di personale e delle funzioni che

secondo la riforma Delrio non devono più svolgere, ma finora tutto è rimasto

pressoché fermo.

La prova del nove arriva dal portale della mobilità che il Governo ha avviato nelle

scorse settimane e che dovrebbe ospitare gli elenchi del personale in soprannumero, da

trasferire ad altri enti: finora sono pochissime le Province che hanno indicato gli

esuberi, anche perché la nuova geografia delle competenze non è stata attuata dalle

Regioni. Anche in Toscana, prima ad approvare la propria legge attuativa della

riforma, gli elenchi del personale da spostare vanno essere ultimati. Lo stesso Bressa

nelle settimane scorse ha avviato una serie di confronti bilaterali con le Regioni, nel

tentativo di superare le resistenze, ma va ricordato che sette Regioni vanno al voto a

fine maggio e, tranne la Toscana e poche altre eccezioni, difficilmente riusciranno a

ultimare tutto prima dell’autunno.

Anche a livello centrale, la procedura ha incontrato parecchi ostacoli. Il decreto con le

tabelle di equiparazione, essenziale per disciplinare la mobilità fra i diversi comparti

pubblici e quindi a spostare la quota di personale che deve finire allo Stato, non è

ancora arrivato al traguardo. Giovedì scorso ha ottenuto il via libera degli

amministratori locali, con una serie di osservazioni sulle garanzie di mantenimento di

tutto il trattamento economico che secondo i sindacati sarebbe a rischio; il ministro

della Pa Marianna Madia ha detto che le osservazioni saranno “valutate”, ma in ogni

caso dovrà poi essere la Corte dei conti a dire l’ultima parola sulla registrazione del

provvedimento.

Ieri la Madia, nel rispondere alla Cgil, ha aggiunto che «nessuno perde stipendi e tutti

continueranno ad avere un lavoro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gianni Trovati

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la Repubblica

20

DOMENICA 10 MAGGIO 2015

EconomiaFINANZA&MERCATI

CONTATTI

[email protected]

Niente rincari Irpef in 13 RegioniLazio, Liguria e Piemonte: aliquote su

LO STUDIO DELLA CGIA

ROMA. Buone notizie in materia di tasse, tranne che per iresidente in Lazio, Liguria e Piemonte. Nel 2015 la grandemaggioranza delle Regioni italiane ha deciso di nonaumentare l’addizionale regionale Irpef. Rispetto allo scorsoanno, in 13 Regioni la situazione è rimasta inalterata, in 2 lealiquote sono addirittura diminuite e in altre 3 il ritocco è statoleggerissimo. Solo in 3 Regioni — Lazio, Liguria e Piemonte —gli aumenti sono abbastanza consistenti, soprattutto per icontribuenti con redditi che superano i 35.000 euro. L’analisi èstata effettuata dalla Cgia. L’anno di riferimento di questaelaborazione è quello di competenza e pertanto, il pagamentoeffettivo avverrà l’anno successivo: nello specifico, l’importodelle addizionali regionali Irpef del 2014 viene versatoquest’anno e quello di competenza per l’anno in corso nel2016. «Va segnalato — osserva Giuseppe Bortolussi, segretarioCgia — che la quasi totalità delle Regioni, nonostante i taglidecisi dalla legge di Stabilità, ha scelto di non aumentarel’aliquota fino al livello massimo, opzione che è stata sfruttatasolo dal Piemonte, per i redditi oltre i 75.000 euro, e dal Lazio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

MILANO. Al consiglio diamministrazione della BancaPopolare di Vicenza (Bpvi) dimartedì si metteranno le cartesul tavolo. E si capirà seeffettivamente - come sembra agiudicare dalle voci - l’attualeconsigliere delegato e direttoregenerale, Samuele Sorato, faràun passo indietro, o se invece lacrisi ai vertici della bancavicentina si ricomporrà. Se l’adsi dimetterà, al suo postopotrebbe tornare a Vicenza unavecchia conoscenza di Bpvi: ilbanchiere Divo Gronchi, classe1939. Di certo la possibile uscitadal gruppo di Sorato destasorpresa. Tanto per cominciareperché il banchiere, classe1960, era stato nominato adsoltanto a febbraio, mentre giàdal 2008 ricopriva la carica di dge dal 2002 quella di vice dg.Insomma, Sorato lavorava daanni nella banca e i suoi rapporticon un capo carismatico eaccentratore come il presidenteGianni Zonin erano bencollaudati. Eppure c’è chi ha

parlato di una fratturainsanabile proprio con Zonin,sebbene sembri che la decisionedi chiamarsi fuori l’abbia presaSorato, che avrebbe già firmatola sua lettera di dimissioni. La possibile uscita suscitastupore anche per l’attuale fasedelicata che la banca attraversa.Dopo avere passato, in autunno,i test della Bce per il rotto dellacuffia, le autorità di vigilanzacontinuano a marcare strettoBpvi. Da inizio anno, la Bce haavviato due ispezioni, mentre èin corso quella di Consob (chepare abbia anche inviato unquestionario ai soci), focalizzatatra l’altro sulla recenteriduzione del prezzo delle azioninon quotate, da 62,5 a 48 euro.Intanto a marzo, dopo nuovesvalutazioni, l’istituto è statocostretto ad aumentare leperdite del 2014 a 758,5 milionidai 497 precedentementeindicati. Sullo sfondo, lacomplessa trasformazione insocietà per azioni e la possibilitàdi convolare a nozze con un altroistituto, magari la concorrenteVeneto Banca. Ciononostante,Sorato aveva messo a punto unpiano industriale «improntatoall’autonomia». Che prevede lachiusura di 150 filiali e 200esuberi ed è stato presentato aisindacati venerdì. Ma a parlarecon loro non c’era Sorato.

Popolare Vicenzascossone al verticeVoci di dimissionidell’ad SoratoMartedì la verità

IL PUNTO

CARLOTTA SCOZZARI

C’è chi parla di frattura insanabilecon il presidente ZoninSpunta l’ipotesi Divo Gronchi

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AL TIMONE

SamueleSorato èconsiglieredelegato edirettoregeneraledella Bpvi

ROBERTO PETRINI

ROMA. La mina delle sentenzedella Corte costituzionale suiconti pubblici rischia di esplo-dere ancora. Mentre i tecnicidel Tesoro e di Palazzo Chigistanno faticosamente tentan-do di individuare una soluzioneal buco di oltre 17 miliardi perla restituzione delle mancateindicizzazioni ai pensionati, al-tri rischi si profilano all’oriz-zonte. Anche in questo casostanno venendo al pettine i no-di delle scelte di finanza pub-blica fatte durante la crisi e laCorte è chiama da decidere suinumerosi ricorsi. In prima li-nea, per importanza, c’è quellodel 23 giugno: tra poco più di unmese la Consulta sarà chiama-ta a stabilire se il blocco deglistipendi del pubblico impiego,valutato in 5 anni di 12 miliar-di, è più o meno legittimo. LaCorte si è già espressa su que-sto tema in passato: allora boc-ciò i ricorsi spiegando che l’e-mergenza economica potevagiustificare i sacrifici, ma «perun tempo limitato». Ora sonopassati altri due anni, nuovi ri-corsi sono giunti sul tavolo del-la Corte, e dunque il «tempo li-mitato» potrebbe essere rite-nuto trascorso e la sentenza po-trebbe imporre la restituzione.

La partita non finisce quiperché nei prossimi giorni laCorte sarà chiamata a deciderese l’aggio dell’8 per cento chie-sto da Equitalia sulle somme ri-scosse a ruolo sia legittimo omeno (costo 2-3 miliardi). Si at-tende anche un nuovo pronun-ciamento sulle pensioni: si trat-ta di quelle veramente d’oro,oltre 14 volte il minimo, circa90 mila euro, sulle quali il go-verno Letta ha reintrodotto il

contributo di solidarietà.Dopo le polemiche si comin-

ciano a tirare le somme. L’ideaè quella di Padoan di «minimiz-zare» i costi rispettando nelcontempo Consulta e Bruxel-les. Quadratura non facile cherichiede la scelta, peraltro im-plicitamente prevista dallaCorte, di tutelare i redditi piùbassi dall’inflazione o di preve-dere una restituzione per fa-

sce. Le ipotesi sul tavolo vannodunque dalla fissazione di unasoglia oltre la quale non si re-stituisce nulla (potrebbe esse-re cinque volte il minimo, cioècirca 2.300 euro), acconten-tando così circa la metà degli ol-tre 5 milioni aventi diritto, al-l’altra opzione che prevede unaindicizzazione per «scaglioni»:piena sotto i 1.400 euro, e via avia sempre più ridotta al salire

dell’assegno (da tre a quattrovolte il minimo il 95% fino al50% da 5 a 6 volte il minimo).In entrambe le soluzioni gli ar-retrati potrebbero essere resti-tuiti a rate ai pensionati.

La soluzione «parziale» scel-ta dal governo, con relative gra-dazioni, è imposta dall’equili-brio del bilancio pubblico e dal-le regole europee. Sebbene laCommissione abbia fatto capi-re che non vuole tenere il fiatosul collo dell’Italia sulla granaprevidenziale, il percorso dirientro del deficit nominale (ilfamoso 3%) è a rischio. L’inte-ro ammontare del “pacchetto”previdenziale da restituire - ar-retrati più nuovi assegni total-mente all’intera platea - è di cir-ca 17 miliardi. Di questi, 8,7 so-no gli arretrati della mancataindicizzazione 2012-2013 e2014-2015 (primi cinque me-si) dove l’indicizzazione va in-tegrata: il calcolo va rifatto conuna base più alta e bisogna ve-rificare i consuntivi dei tassid’inflazione. Per i sette mesi

del 2015 che abbiamo di fron-te, con la sentenza esecutiva, inuovi assegni dovranno porta-re con sé tutti i calcoli integra-tivi: il costo è di 1,9 miliardi. Aregime, 2016-2017, il costosarà di 3,4 miliardi all’anno.

La cifra critica è rappresen-tata dagli 8,7 miliardi di arre-trati e l’1,9 dell’incremento de-gli assegni per quest’anno. Sitratta di 10,6 miliardi che por-terebbero il deficit nominaledel 2015, attualmente al 2,5%tendenziale (2,6 come obietti-vo) intorno al 3%. Mentre il de-ficit strutturale, che è al nettodelle una tantum quali sono gliarretrati, risentirebbe soloparzialmente dell’effetto-Con-sulta e non sarebbe ostacolatopiù di tanto il cammino verso ilpareggio di bilancio. L’opzionepotrebbe essere di ricorrere inparte al deficit, in parte a nuo-ve coperture e in parte alla mi-nore spesa per interessi dello0,1% del Pil già messa in bilan-cio per quest’anno.

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Equitalia e stipendi statalimine da 15 miliardi sui continuovo bivio alla ConsultaDopo la sentenza sulle pensioni la Corte Costituzionale deve decideresull’aggio dell’8% per la riscossione e sul blocco degli aumenti nella Pa

INDICIZZAZIONE

ART. 36 COSTITUZIONE

L’articolo 36 dellaCostituzione della Repubblicaprevede che illavoratore abbia unaretribuzione proporzionataalla quantità e alla qualità delsuo lavoro e in ogni casosufficiente ad assicurare a sé ealla famiglia una esistenzalibera e dignitosa. Prevededunque un costanteadeguamento deltrattamento pensionistico allaretribuzione

L’ART. 38

L’articolo 38 dellaCostituzione della Repubblicastabilisce che i lavoratorihanno diritto adavere assicurati mezziadeguati alle loro esigenze divita in caso di infortunio,malattia, invalidità e vecchiaia,disoccupazione volontaria. Ildettato costituzionaleprevede che a questi compitiprovvedano organi e istitutipredisposti e integrati dalloStato

PAREGGIO CONTI

ART. 81

L’articolo 81 dellaCostituzione è statomodificato nel 2012 conl’introduzione del pareggio dibilancio, previstoopzionalmente dal Trattatosul Fiscal Compact. Secondo ilnuovo articoloall'indebitamento èconsentito solo in circostanzeeccezionali e previaautorizzazione delle Camereadottata a maggioranzaassoluta

1,3 mldEUROTOWER SALATA

I costi di realizzazione dellanuova sede Bce a Francofortesono saliti da 850 milioni a1,3 miliardi. Lo ha ammesso ilpresidente Mario Draghi

PROVINCIA DI SIENA SETTORE SERVIZI PER L’IMPIEGO E POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO

AVVISO PER MANIFESTAZIONE DI INTERESSE PER

PARTECIPAZIONE A PROCEDURA RISTRETTA

Il Settore Servizi per l’Impiego e Politiche Attive del Lavoro intende

acquisire manifestazioni di interesse per l’affidamento della realizzazione

di SERVIZI DI YOUTH CORNER, per la durata di 4 mesi, da esperire

con le modalita della procedura di cui all’art. 27 del D. Lgs. n.163/06.

La manifestazione d’interesse alla partecipazione alla procedura ristretta

dovra pervenire entro e non oltre le ore 13 del giorno 18/05/2015 presso

il Settore Servizi per l’Impiego e Politiche Attive del Lavoro, Via

Massetana 106 – 53100 Siena. Importo a base di gara soggetto a ribasso:

81.165,50, compresa IVA al 22%.

Criterio di aggiudicazione: offerta economicamente piu’ vantaggiosa ai sensi

dell’art.83 del D.Lgs. n. 163/2006. L’Avviso integrale e pubblicato sul sito

della Provincia di Siena www.provincia.siena.it e sul portale

www.impiego.provincia.siena.it nella Sezione tematica “Bandi”.

IL DIRIGENTEDr.ssa SIMONETTA CANNONI

Pier Carlo Padoan

Page 192: 19 15 rassegna stampa fisac dal 4 mag al 10 mag

la Repubblica DOMENICA 10 MAGGIO 2015

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AUCHAN, SCIOPERO CONTRO I TAGLILAVORATORI NELLE PIAZZE D’ITALIA

Proteste nelle piazze italiane dei lavoratori Auchan in sciopero contro iltaglio di circa 1.500 dipendenti: 270 in Sicilia, 200 in Campania, 150 inPuglia, 100 tra Abruzzo e Sardegna, 100 in Lazio e Marche e 500 traPiemonte, Lombardia e Veneto. Sostegno da Camusso e Barbagallo

LA CINESE ALIBABA ENTRA IN ZUILLYHA COMPRATO IL 9% PER 56 MILIONI

Il colosso cinese Alibaba ha acquistato il 9 per cento della società Usa die-commerce Zuilly per 56 milioni di dollari. È quanto emerge dalleinformazioni inviate alla Sec. Alibaba conferma quindi l’interesse per ilmercato dei consumatori statunitensi

Buste paga Province, scontro Cgil-governoIl sindacato: “Da giugno sono a rischio”. Il ministro Madia: “Falso. Nessuno perderà lo stipendio e il lavoro”

LUISA GRION

ROMA.Riforma delle Province: èdi nuovo scontro fra sindacato egoverno. Secondo la Cgil, infat-ti, nel tiro incrociato dei ritardinell’attuazione delle legge edella puntualità dei tagli alle ri-sorse rischiano di andarci dimezzo i dipendenti, che già dagiugno potrebbero restare sen-za stipendio. Un allarme cheMarianna Madia, ministro del-la Pubblica amministrazionesmentisce: «E’ infondato - hadetto - nessuno perderà lo sti-pendio e il lavoro».

Dietro le preoccupazioni delsindacato, in realtà, c’è una sca-denza reale: dalla fine di maggioscatteranno i tagli ai trasferi-menti stabiliti dalla legge di Sta-bilità a carico di città metropoli-tane e Province. Si tratta di unmiliardo di euro per il 2015, dueper il 2016 e tre per il 2017. «Inmolte Province non ci sarannopiù soldi per pagare i dipenden-ti e nel frattempo non si è prov-veduto a ricollocare gli esuberi,un’operazione che doveva par-tire a inizio anno» avverte Mi-

chele Gentile, responsabile deisettori pubblici della Cgil, rife-rendosi ai 20 mila dipendentidelle Province che, grazie allariforma Delrio, dovrebbero pas-sare - assieme ad un pacchettodi funzioni - a Regioni e comuni.

Non se ne è fatto niente: solo unpugno di Regioni ha varato leleggi necessarie e i provvedi-menti attuativi per applicarle.Le altre sono tutte in ritardo.

Ma per Angelo Rughetti, sot-tosegretario alla Pubblica am-

ministrazione, il rischio suglistipendi è inesistente. «L’inter-pretazione della Cgil è avventa-ta e irresponsabile - commenta- la legge, pur se fra molte com-plessità sta andando avanti ecomunque sia, il taglio di un mi-

liardo è compatibile con i servi-zi richiesti e non avrà alcuna im-plicazione sugli stipendi. LeProvince hanno i soldi per paga-re e se, in questa fase di interre-gno dovesse sorgere qualchedifficoltà, hanno anche i mezziper porvi rimedio». Il governo,precisa Rughetti, ha varato due

provvedimenti per tamponarele eventuali emergenze. «Il rin-vio del pagamento delle rate deimutui per tutto il 2015 e la pos-sibilità di conferire ad un Fondoimmobiliare ad hoc la proprietàdi beni dati in affitto allo Stato,ricavandone in cambio liqui-dità immediata». «Ma non ve nesarà bisogno - assicura - i dipen-denti sono garantiti». Caso aparte, ammette, è però quellodelle Province con bilanci disse-stati (Vibo Valentia, dove già

gli stipendi non si pagano, eBiella).

Il guaio, ribatte la Cgil, staproprio nel fatto che - grazie agliimminenti tagli - quei dissestipotrebbero velocemente au-mentare. «Anche il governo enon solo le Regioni è responsa-bile dei ritardi - precisa FedericoBozzanca, segretario nazionaledella Funzione Pubblica per ilsindacato guidato da SusannaCamusso - perchè non ha ancoradeciso niente riguardo al futurodei Centri per l’impiego e dellapolizia provinciale». In questocontesto, commenta Bozzanca,il taglio del miliardo di euro a fi-ne maggio «È un intervento agamba tesa che sta già produ-cendo effetti sui servizi. Se il go-verno ci convocasse, invece diaccusarci di voler boicottare lariforma, potremmo parlare an-che di questo: del fatto che nonci sono soldi per provvedere allamanutenzione delle strade edelle scuole, che quest’annohanno avuto problemi anche apagare il gasolio per il riscalda-mento».

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Già problemi però perVibo Valentia e BiellaRughetti: “Interpretazioniavventate”

Susanna Camusso e Marianna Madia