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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 20- PREPARAZIONI, TRATTAMENTI E RIVESTIMENTI SUPERFICIALI
Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza
autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.
G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
CAPITOLO
20
20 PREPARAZIONI, TRATTAMENTI
E RIVESTIMENTI SUPERFICIALI
Sinossi
a superficie esterna di un qualsiasi componente
costituisce il suo confine con l’ambiente
circostante e, come visto nei capitoli precedenti, può
andare soggetta ad un deterioramento per cause
chimiche (corrosione) o meccaniche (tribologia).
Inoltre, qualsiasi componente deriva da una serie di
processi tecnologici, ciascuno dei quali può anche aver
lasciato delle tracce (bave, irregolarità, residui dei
fluidi di lavorazione) che devono essere rimosse prima
di passare al successivo. Infine, ogni componente deve
possedere caratteristiche superficiali di tipo funzionale
(rugosità, finitura) o estetico (texture, colorazione) che
lo rendano adatto allo scopo per cui è stato progettato e
costruito. Tutte queste caratteristiche e prestazioni
delle superfici possono essere ottenute tramite
operazioni di preparazione superficiale (consistente in
una pulizia effettuata con tecniche chimiche o
meccaniche), di trattamento superficiale (consistente
in una modifica superficiale del pezzo volta a conferire
le proprietà desiderate), effettuato con tecniche
meccaniche, termiche e chimiche, e di rivestimento
superficiale (consistente nell’aggiunta al substrato di
un rivestimento funzionalizzato), ottenuto per mezzo
di processi meccanici, termici, chimici, fisici e
elettrochimici, per non trascurare i rivestimenti
ceramici e organici, la protezione con tessuti e la
verniciatura finale. Di tutto ciò si tratterà nel presente
capitolo.
20.1 Preparazioni superficiali
già stata più volte sottolineata l’importanza delle
superfici, nonché l’influenza esercitata dagli strati di
contaminanti adsorbiti o depositati sulle superfici. Una
superficie pulita può avere effetti sia positivi che negativi:
sebbene una superficie non pulita può ridurre la tendenza
all’attrito adesivo, la pulizia è in genere essenziale al fine
di una corretta effettuazione delle operazioni successive,
quali: rivestimento, verniciatura, incollaggio, saldatura e
brasatura, come pure di un corretto funzionamento delle
parti di un macchinario e della possibilità di
assemblaggio. La pulizia comporta la rimozione da una
superficie dei contaminanti solidi, semi-solidi e liquidi;
essa costituisce una fase importante dei processi di
produzione. Il tipo di processo di pulizia richiesto dipende
dalla natura del lubrificante/refrigerante e del
contaminante da rimuovere. Per esempio, i fluidi a base
acquosa sono più facili e più economici da asportare
rispetto a quelli a base oleosa. I contaminanti possono
consistere in ruggine, bave di lavorazione, trucioli,
lubrificanti liquidi e solidi, residui di pigmenti e vernici,
paste per la lucidatura. Esistono due categorie di processi
di pulizia, meccanici e chimici:
L
È
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 20- PREPARAZIONI, TRATTAMENTI E RIVESTIMENTI SUPERFICIALI
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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 2 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
tecniche meccaniche – esse sono volte alla rimozione
fisica dei contaminanti solidi tramite azione
meccanica. Tali tecniche sono spesso utilizzate anche
per sbavare e/o migliorare la finitura superficiale e
possono consistere in:
Spazzolatura;
sabbiatura, effettuata tramite particelle abrasive
(SiO2, Al2O3, SiC) propulse da un getto di aria
compressa o da una ruota di turbina. Può essere
a secco oppure a umido;
burattatura; costituisce la più comune
operazione di finitura in massa. I pezzi da
trattare vengono introdotti in un buratto, cioè un
cilindro a sezione esagonale/ottagonale rotante
(10-50 rpm) attorno all’asse orizzontale,
assieme a particelle abrasive (corindone,
alumina, carburo di silicio). Il moto dei pezzi e
delle particelle abrasive illustrato in Figura 20.1
ne provoca lo strisciamento reciproco e
consente di effettuare operazioni di sbavatura,
arrotondamento degli spigoli, rimozione delle
scagliature superficiali, satinatura e pulizia.
Figura 20.1 - Schema del moto del materiale all’interno
del buratto
pulizia tramite vibrazione: tecnica assimilabile
alla burattatura, il contenitore però non ruota,
bensì vibra ed i tempi ciclo sono così
abbreviati;
pulizia tramite ultrasuoni: è la combinazione di
una tecnica chimica e meccanica. Le parti da
pulire sono contenute in una soluzione acquosa
alcalina 65-85 °C), agitata da vibrazioni ad alta
frequenza (20-45 kHz). Fenomeni di
cavitazione provocano bolle che, implodendo,
danno luogo a onde d’urto capaci di rimuovere i
contaminanti
pulizia tramite getti di vapore.
tecniche chimiche – di solito sono volte
all’asportazione di contaminanti potenzialmente
reattivi, con l’intento di:
preparare la superficie a successive operazioni
migliorare le condizioni igieniche degli
operatori
migliorare l’aspetto e le prestazioni del pezzo.
Non esiste una tecnica adatta a tutte le circostanze; per
scegliere la tecnica migliore occorre tener conto di:
tipologia dei contaminanti da rimuovere
tipologia del substrato da pulire1
livello di pulizia richiesto
obbiettivo della pulizia
fattori ambientali e di igiene del lavoro
forma e dimensioni dei pezzi da pulire
costo
Le tecniche di pulizia possono basarsi su uno dei seguenti
processi chimici:
soluzione
saponificazione
emulsificazione
dispersione
aggregazione
I più comuni fluidi detergenti (di solito utilizzati assieme a
processi elettrochimici per aumentare l’efficienza) sono:
soluzioni alcaline (composti idro-solubili)
emulsioni (cherosene/olio in acqua)
solventi (idrocarburi clorinati)
vapori caldi di solventi clorinati
miscele di acidi, sali e composti metallici.
Poiché la pulizia di parti discrete di forme complesse può
essere difficile, dovrebbero essere seguite delle linee di
condotta progettuali; ad esempio:
evitare fori ciechi molto profondi;
preferire molti piccoli componenti semplici ad uno
grande e complesso;
prevedere adeguati fori di drenaggio per le parti
che devono essere pulite.
Infine, stante la loro tossicità, va posta grande attenzione
nelle operazioni di immagazzinamento, manipolazione,
uso e smaltimento dei prodotti usati per le operazioni di
pulizia.
20.2 Trattamenti superficiali
opo che una parte è stata prodotta e la sua superficie
pulita e preparata, di solito quest’ultima deve essere
ulteriormente trattata per poter acquisire/migliorare certe
proprietà e caratteristiche, quali:
controllo dell’attrito
1 La sostanza utilizzata per la pulizia non deve reagire con il substrato: ad
esempio l’alluminio è dissolto dalla maggior parte degli acidi e delle
alcali, il magnesio dalle alcali, il rame dagli acidi, gli acciai sono inerti agli alcali, ma vengono attaccati praticamente da tutti gli acidi.
D
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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 3 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
resistenza all’usura
riduzione dell’adesione
compatibilità con la lubrificazione
resistenza alla corrosione
resistenza a fatica
texture e aspetto superficiale
Esistono numerose tecniche adatte ad impartire queste
caratteristiche superficiali, alcune delle quali sono
elencate nella Tabella 20.1:
Tabella 20.1 - Trattamenti superficiali per i principali metalli
Tali tecniche consistono nell’aggiunta al sub-strato di
rivestimenti (cfr. paragrafo seguente) oppure nella
modificazione superficiale del substrato stesso tramite
trattamenti, descritti nel presente paragrafo. Tutto ciò
tramite tecniche meccaniche, termiche o chimiche:
tecniche meccaniche - le più comunemente adottate
sono:
pallinatura; effettuata tramite sfere di acciaio,
vetro o ceramica (diametro 0.125-5mm)
propulsi ad elevata velocità. La pallinatura
porta come conseguenza principale la creazione
di uno stato di deformazione plastica, con la
conseguente induzione di uno stato di sforzo
residuo di compressione fino ad una profondità
di 0.125mm, che migliora la resistenza a fatica;
pallinatura a getto d’acqua; produce il
medesimo effetto della pallinatura tradizionale,
ma utilizza al posto delle sfere solide un getto
d’acqua alla pressione di 400 MPa;
pallinatura Laser; produce lo stesso effetto
della pallinatura tradizionale, ma grazie
all’azione di un Laser a alta energia specifica
(100-300 Jcm-2
). Si ottengono maggiori
profondità di trattamento (fino a 1mm) su leghe
di titanio e di nickel. Essa viene applicata alle
palette dei motori a turbina;
Figura 20.2 - Illustrazione schematica della rullatura di un
raccordo
rullatura; come mostrato in Figura 20.2, consiste
in una operazione di cold working (vedi anche il
capitolo sulle giunzioni discontinue di strutture
metalliche). Si produce una plasticizzazione
superficiale, la quale induce uno stato di sforzo
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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 4 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
residuo di compressione benefico per la fatica.
La tecnica può essere applicata a tutti i metalli,
su superfici piane, cilindriche, coniche, sui
raggi di raccordo di alberi e componenti
idraulici,
indurimento esplosivo; provoca l’aumento di
durezza superficiale tramite una pressione di
contatto di 35 GPa, prodotta dalla detonazione
di esplosivo posto in prossimità della
superficie.
tecniche termiche – le superfici possono essere trattate
termicamente per migliorarne le caratteristiche
d’attrito e di resistenza all’usura, indentazione,
erosione, abrasione e corrosione. I trattamenti termici
superficiali sono efficaci per gli acciai a basso tenore
di carbonio e raggiungono il loro scopo tramite
l’aggiunta solo nello strato superficiale di elementi
quali il carbonio, l’azoto o il boro. Il cuore del metallo
può così mantenere inalterate le proprie caratteristiche.
Tra l’altro, solitamente, i trattamenti termici
superficiali inducono stati di sforzo residui di
compressione, benefici riguardo alla resistenza a
fatica. I principali trattamenti termici superficiali,
elencati in Tabella 20.2 assieme alle procedure e alle
applicazioni, sono:
cementazione (carburizing)
carbo-nitrurazione (carbo-nitriding)
cianizzazione (cyaniding)
nitrurazione (nitriding)
boronizzazione2 (boronizing)
tempra superf. alla fiamma (flame hardening)
tempra sup. per induzione (induction
hardening)
tempra superf. Laser (Laser hardening) (LB)
tempra sup. per resistenza a alta frequenza (HF)
tempra superf. per electron beam (EB)
I primi cinque trattamenti vengono effettuati su acciai
a basso contenuto di carbonio in atmosfere ricche di
uno dei componenti che devono essere adsorbiti
superficialmente (forma solida, liquida o gassosa),
mentre gli ultimi cinque vengono effettuati su acciai
con un sufficiente contenuto di carbonio per essere
efficacemente temprati: in tal caso occorre solo gestire
selettivamente la storia temporale della temperatura,
nei modi in breve descritti di seguito:
tempra superficiale alla fiamma: è una tecnica
semplice e versatile, altamente automatizzabile
2 Molto simile anche la cromizzazione (chromizing), che si effettua a
temperature più alte e per tempi più lunghi, ma produce uno strato di
0.025-0.05mm resistente all’usura, alla corrosione ed alla temperatura.
e controllabile, in cui il pezzo viene riscaldato
superficialmente da torce alimentate da acetilene
C2H2 o propano C3H8, poi temprato. Si ottengono
indurimenti sino alla profondità di circa 2.5mm;
tempra superficiale per induzione: il componente,
che deve essere elettricamente conduttivo, viene
riscaldato da correnti elettromagnetiche generate
da una induttanza (cfr. Figura 20.3) e poi temprato.
La corrente è alternata e ad alta frequenza;
tempra superficiale Laser: un raggio Laser a alta
potenza viene guidato sulla superficie del pezzo
secondo un percorso prestabilito: esso provoca un
subitaneo riscaldamento ed altrettanto rapido
raffreddamento grazie alla conduttività termica;
tempra superficiale per resistenza: una zona
circoscritta del manufatto viene riscaldata grazie
alla vicinanza di una resistenza ad alta frequenza
(400 kHz) e poi temprata grazie alla conduttività
termica. Si possono ottenere durezze fino a 60
HRC, fino ad una profondità di 0.6-0.7mm;
tempra superficiale per electron beam: una zona
molto localizzata del manufatto viene riscaldata per
mezzo di un cannone elettronico ad elevata potenza
e poi temprata grazie alla conducibilità termica. Il
processo deve venir eseguito in vuoto (svantaggio),
ma in tal modo non si producono fenomeni di
ossidazione superficiale (vantaggio).
A conclusione di questo paragrafo, nel quale sono stati
descritti i trattamenti termici atti a migliorare le proprietà
superficiali degli acciai, va citata la decarburazione, che è
un processo superficiale indesiderato che comporta la
perdita di carbonio superficiale e quindi la riduzione della
durezza. La decarburazione avviene in conseguenza di
trattamenti termici complessivi del pezzo in un’atmosfera
ricca di ossigeno, che si lega con il carbonio, e lo asporta.
Per evitare questa decarburazione, tali trattamenti vanno
eseguiti nel vuoto oppure in atmosfera di gas inerte.
tecniche chimiche – in questi processi la superficie di un
substrato è modificata tramite l’inglobamento chimico di
atomi di diversa natura, che ne alterano le caratteristiche:
diffusione: i processi di cementazione, carbo-nitrurazione,
cianizzazione, boronizzazione e nitrurazione, descritti nel
paragrafo precedente, fanno tutti parte di questa categoria,
cui vanno aggiunti l’alluminizzazione (calorizzazione), la
cromizzazione e la silicizzazione, i quali sono in grado di
conferire resistenza alla corrosione ad alta temperatura. I
processi vengono condotti mettendo a contatto in un forno
i manufatti da trattare con polveri o soluzioni del materiale
che si vuol diffondere sulla superficie. Quest’ultimo è
presente nel substrato in una percentuale che va
rapidamente riducendosi allontanandosi dalla superficie,
come mostrato in Figura 20.4.
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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 5 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
Tabella 20.2 - Tavola sinottica dei trattamenti termici superficiali
Figura 20.3 - Schema del sistema di tempra per
induzione
Figura 20.4 - Andamento percentuale dell’elemento diffuso
in funzione della profondità nel substrato
ion implantation: rappresenta un’alternativa alla
diffusione quando questa non è conveniente a
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causa della troppo alta temperatura necessaria.
La ion implantation consiste nell’inglobamento
in un substrato di atomi di diversa natura
tramite un fascio ad alta energia di particelle
ionizzate. Come mostra la Figura 20.5, lo strato
modificato dalla ion implantation è molto più
sottile e con distribuzione diversa rispetto a
quella derivante dalla diffusione. La tecnica
presenta però anche dei vantaggi, quale: a) la
bassa temperatura di processo, b) controllabilità
e riproducibilità della quantità di ioni
impiantati, c) possibilità di superare i limiti di
solubilità senza fenomeni di precipitazione, d)
nessuna discontinuità tra strato superficiale e
substrato, e) nessun problema di gestione di
sostanze reflue nocive/pericolose.
Figura 20.5 - Andamento percentuale dell’elemento
inglobato tramite ion implantation in funzione della
profondità nel substrato
20.3 Rivestimenti superficiali
er migliorare le caratteristiche superficiali di un
manufatto finito, oltre a modificare la
microstruttura selettivamente, tramite le tecniche
illustrate nel paragrafo precedente, è anche possibile
aggiungere al substrato uno strato superficiale
funzionalizzato, con tecniche di natura meccanica,
termica, chimica, fisica ed elettrochimica:
tecniche meccaniche – in questi casi, lo strato viene
riportato sul substrato per mezzo di azioni meccaniche,
come per esempio la pressione (co-laminazione)
oppure la successione di micro-urti (placcatura):
placcatura, nella quale le lamiere metalliche
vengono rivestite (tramite un processo di co-
laminazione) con uno strato sottile di materiale
resistente alla corrosione. L’esempio tipico
nelle costruzioni aerospaziali può essere
rappresentato dall’ALCLAD3, costituito da una
lamiera di lega d’alluminio prestante
meccanicamente, rivestita con uno strato (di
spessore < 10% del totale) con funzioni di
protezione anodica;
placcatura meccanica, nella quale le parti da
rivestire, la polvere metallica di rivestimento (di
granulometria 5m) e sfere di vetro (diametro
2.5mm) sono burattate assieme, in modo che la
polvere, costituita da un metallo duttile, si
trasferisca sulla superficie dei pezzi sotto forma di
uno strato sottile (0.005-0.025mm) e aderente.
Usualmente si placcano le leghe ferrose, l’ottone e
il bronzo con cadmio, stagno, piombo e zinco; in
quest’ultimo caso si parla di galvanizzazione
meccanica, fino a spessori di 0.075mm;
tecniche termiche – questi metodi fanno uso dell’energia
termica sotto varie forme per solidarizzare al substrato lo
strato funzionalizzato in grado di conferire resistenza alla
corrosione, erosione, usura e ossidazione a caldo:
thermal spray; è un processo in cui il materiale di
rivestimento in forma fusa o semi-fusa viene
spruzzato (velocità 100-1200ms-1
) sul substrato per
mezzo di un flusso gassoso generato da una
fiamma, un arco elettrico o un arco al plasma. I
rivestimenti possono essere metalli o leghe,
ceramiche, cermets e taluni polimeri. I substrati
possono essere metalli, ceramiche, polimeri, ma
anche vetro, polimeri, legno e carta. Si ottiene un
rivestimento con struttura stratiforme che può
anche presentare porosità (sino al 20%). Sono
disponibili diverse tecniche, le prime tre delle quali
sono schematicamente illustrate in Figura 20.6
oxyfuel con materiale di rivestimento in forma di
filo;
oxyfuel con materiale di rivestimento in forma di
polvere;
all’arco al plasma (fino a 8300 °C);
detonation-gun (con prestazioni simili al
precedente);
high-velocity oxyfuel gas spraying (HVOF), simile
al precedente, ma più economico;
all’arco elettrico (processo economico).
3 Le tipologie di ALCLAD più comuni sono:
lamiera in 2024 placcata con alluminio 1230
lamiera in 3003, 6061 o 7178 placcata con lega
7072
P
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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 7 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
Figura 20.6 - Rappresentazione schematica delle
operazioni di thermal spraying: a) thermal wire; b)
thermal metal-powder; c) plasma spray
Questa tecnica può produrre rivestimenti spessi
(fino a 2.5mm) resistenti a corrosione, erosione,
alta temperatura e capaci di conferire proprietà
aggiuntive come conducibilità/resistività
elettrica oppure schermatura elettromagnetica.
Infine essa può servire per riparare componenti
danneggiati/ usurati: rappresenta la tecnica più
utilizzata per ripristinare i componenti dei
motori aeronautici;
rivestimento (riporto) duro; è un processo nel
quale uno strato (spesso anche fino a 10mm) di
materiale duro è solidarizzato al substrato
tramite tecniche di saldatura convenzionale. La
tecnica si presta non solo al rivestimento, ma
anche alla riparazione (per esempio di stampi
usurati) e può utilizzare come materiali di
rivestimento acciaio, leghe al cobalto e leghe al
nickel. Poiché si ha fusione tra substrato e
rivestimento, la tecnica è adatta per produrre
rivestimenti resistenti alla usura abrasiva, cosa
impossibile per il thermal spraying, ove
l’aggrappaggio è solo meccanico;
riporto di rivestimenti flessibili; si tratta di un
processo in cui un supporto flessibile
impregnato di polvere metallica oppure
ceramica molto dura (carburo di tungsteno WC
di durezza 70 Rockwell C), unito a un foglio di
agente di brasatura, viene steso sul substrato e
ad esso solidarizzato tramite l’apporto di calore,
che fonde l’agente brasante;
rivestimento per immersione; i pezzi singoli,
lamiere o estrusi (nel caso di processi in continua
mostrati in Figura 20.7), generalmente di acciaio,
vengono immersi in metallo fuso (zinco a 450°C,
stagno oppure alluminio) onde ottenere uno strato
protettivo di 150-900 gm-2
(cioè 0.04-0.09mm)
dipendente dal tempo di immersione. La tecnica è
molto efficace4 nella protezione dalla corrosione,
sia nella forma di barriera protettiva, sia in quella
di strato anodico sacrificale.
Figura 20.7 - Linea di produzione di lamiere d’acciaio
zincate
tecniche fisiche – consistono essenzialmente nei processi
di physical vapour deposition (PVD), nei quali un
materiale viene convertito nella sua fase vapore in una
camera a vuoto e poi condensato sulla superficie di un
substrato sotto forma di uno strato sottile (nm). Il PVD
può essere usato per applicare una grande varietà di
materiali di rivestimento: metalli e loro leghe, ceramiche e
anche alcuni polimeri. I possibili substrati sono metalli,
vetro e polimeri. Oltre ad applicazioni di tipo estetico
(riporti di alluminio) e funzionale (fluoruro di magnesio
MgF2 per conferire proprietà antiriflesso alle lenti), il
PVD viene estesamente impiegato per rivestire di nitruro
di titanio TiN le superfici di substrati che necessitano di
una elevata resistenza all’usura (utensili e stampi). Tutti i
processi di PVD consistono nei passi seguenti:
1) sintesi del vapore
2) trasporto del vapore al substrato
3) condensazione del vapore sulla superficie
4 Il processo produce uno strato di transizione di composizione variabile: vicino al substrato si formano composti intermetallici dei due metalli;
nella parte esterna si trovano invece leghe in forma di soluzione solida
con prevalenza del metallo di rivestimento. Grazie a questo strato di transizione, viene conferita al rivestimento un’eccellente adesione.
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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 8 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
Questi passaggi vengono di solito condotti a
temperature variabili da 200 a 500 °C in una camera a
vuoto, la quale deve quindi essere evacuata prima di
procedere con PVD.
La sintesi del vapore che costituirà il rivestimento può
essere effettuata con modi diversi, per esempio tramite
il riscaldamento con una resistenza o il bombardamento
con ioni per vaporizzare un materiale solido o liquido.
Queste alternative danno luogo a processi diversi, illustrati
nella Tabella 20.3, raggruppati in tre tipi principali:
evaporazione in vuoto, sputtering e placcatura ionica, visti
nel seguito.
Tabella 20.3 - Tavola sinottica delle principali tecniche di PVD
evaporazione in vuoto: il metallo da
vaporizzare evapora nel vuoto ad alta
temperatura e viene depositato sul substrato,
che è a temperatura ambiente o poco superiore.
Si possono ottenere film di spessore uniforme
anche su superfici complesse. Nella tecnica di
evaporazione all’arco (PV/ARC), illustrata in
Figura 20.8, il materiale di rivestimento
(catodo) è evaporato tramite numerosi
evaporatori ad arco (in figura, per semplicità,
ne è rappresentato uno solo), usando archi
elettrici localizzati.
Figura 20.8 - Apparato di PVD tramite evaporazione in
vuoto
Questi ultimi producono un plasma altamente
reattivo, costituito dal vapore ionizzato del
materiale di rivestimento; il vapore condensa
poi sul substrato (anodo), ricoprendolo. Questa
tecnica viene usata sia per scopi decorativi che
funzionali (superfici resistenti all’ossidazione
ad alta temperatura).
sputtering: un campo elettrico ionizza un gas inerte
(generalmente argon). Gli ioni positivi bombardano
il catodo costituito dal materiale di rivestimento,
causando lo sputtering (eiezione) dei suoi atomi, i
quali condensano poi sul pezzo da rivestire, che è
riscaldato per migliorarne l’adesione, come
mostrato nella Figura 20.9.
Figura 20.9 - Apparato di PVD tramite tecnica di sputtering
Nella tecnica di sputtering reattivo, il gas inerte
viene sostituito da un gas reattivo (p.e. ossigeno),
nel qual caso gli atomi si ossidano e ne consegue la
deposizione di ossidi, quali carburi e nitruri. Con
questa tecnica si possono altresì ottenere
rivestimenti sottili di polimero su substrati
metallici o polimerici, in quanto si ottiene la
polimerizzazione del plasma. Nel caso di materiali
non conduttivi (isolatori elettrici o dispositivi
semiconduttori) si adotta lo sputtering per radio-
frequenza (RF).
placcatura ionica: rappresenta una definizione
generica che si riferisce a quei processi che
combinano evaporazione in vuoto e sputtering.
Come illustrato in Figura 20.10, un campo elettrico
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 20- PREPARAZIONI, TRATTAMENTI E RIVESTIMENTI SUPERFICIALI
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G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 9 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano
causa il generarsi di un’incandescenza, la quale
produce un plasma.
Figura 20.10 - Apparato di PVD tramite tecnica di
placcatura ionica
In questo processo gli atomi vaporizzati sono
solo parzialmente ionizzati. Di recente è stata
sviluppata una tecnica ibrida chiamata dual ion-
beam assisted deposition, la quale combina il
PVD con un simultaneo bombardamento
ionico. Con essa si producono rivestimenti ben
aderenti su metalli, ceramiche e polimeri.
tecniche chimiche – consistono di fatto nei processi di
chemical vapour deposition (CVD), i quali comportano
l’interazione tra una miscela di gas e la superficie
riscaldata del substrato, il che provoca la
decomposizione chimica di alcuni costituenti dei gas e
la formazione di un film solido sul substrato. Per
questi motivi, la tecnica si differenzia dal PVD, che è
un processo strettamente fisico in quanto comporta la
deposizione di un film sul substrato per condensazione
dalla fase vapore. La reazione di CVD avviene in un
reattore ed i prodotti di reazione (siano essi metalli o
composti) nucleano e crescono sulla superficie del
substrato per formare il rivestimento. La maggior parte
delle reazioni di CVD richiedono calore, sebbene le
reazioni possano basarsi anche su altre forme di
energia, quali la luce ultravioletta o il plasma: ciò
dipende dalla natura dei materiali coinvolti. Il CVD
può venir effettuato in campi di pressione e
temperatura molto estesi e può essere applicato
praticamente a tutti i materiali, con risultati però molto
diversi in termini di aggrappaggio del rivestimento al
substrato. Questa tecnica viene applicata nei casi che
necessitano di resistenza all’usura, erosione,
corrosione ed agli shock termici. Nel campo
aeronautico e spaziale essa trova applicazione nel
rivestimento delle palette di turbina dei motori a getto
con leghe refrattarie e nella produzione delle celle
solari per i veicoli spaziali. I tipici vantaggi enumerati
per il CVD comprendono:
capacità di depositare materiali refrattari a
temperature inferiori alla loro temperatura di
fusione o sinterizzazione;
possibilità di controllo della dimensione dei grani
cristallini;
non necessità di reattori a vuoto, in quanto il
processo è condotto a pressione ambiente;
buon aggrappaggio del rivestimento al substrato;
Per altro, il CVD presenta altresì taluni svantaggi:
la natura corrosiva/tossica dei materiali coinvolti
richiede camere stagne e impianti di pompaggio e
smaltimento dei residui;
taluni reagenti sono estremamente costosi;
il rateo di utilizzazione del materiale è basso.
In generale i metalli adatti alla elettro-deposizione non
sono adatti alla CVD a causa della tossicità e del costo dei
reagenti richiesti. I metalli più adatti per essere rivestiti
tramite CVD sono titanio, molibdeno, tantalio e vanadio. I
rivestimenti più comuni sono alumina Al2O3, biossido di
silicio SiO2, nitruro di silicio Si3N4, carburo di titanio TiC
e nitruro di titanio TiN. I gas reattivi o vapori più
comunemente usati sono gli idruri, i cloruri, i fluoruri
metallici, oltre ad idrogeno, azoto, metano, anidride
carbonica e ammoniaca. La tecnica CVD viene condotta
in un reattore (cfr. Figura 20.11) che consiste in:
sistema di adduzione dei reagenti;
camera di deposizione;
sistema di riciclaggio e/o smaltimento.
Di fatto, i sistemi di adduzione differiscono in dipendenza
della natura dei reagenti (gas, liquidi o solidi). La camera
di deposizione contiene il substrato ed in essa avviene la
reazione chimica che porta alla deposizione del film sul
substrato. La reazione avviene ad elevate temperature e il
substrato deve essere riscaldato per induzione/radiazione:
in dipendenza del tipo di reazione, la temperatura di
processo può variare da 250 a 1950 °C. Infine, il sistema
di smaltimento deve essere in grado di raccogliere e
rendere innocuo ogni residuo che sia tossico, corrosivo o
infiammabile.
I rivestimenti ottenuti con CVD sono in genere più spessi
di quelli ottenibili con il PVD5, ma il ciclo tecnologico
tipico del CVD è molto lungo, poiché consiste in:
tre ore per il riscaldamento;
quattro ore di rivestimento;
sei-otto ore per il raffreddamento.
5 Lo spessore dipende dalla portata dei gas reagenti, dalla temperatura e
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Figura 20.11 - Schema di un tipico impianto per CVD
Esistono per altro tecniche alternative alla CVD a
pressione atmosferica sin qui descritta, ovvero:
CVD a bassa pressione, che presenta i vantaggi
del buon controllo della struttura e di
uniformità dello spessore, elevati ratei di
rivestimento e bassi costi;
CVD a media temperatura, la quale presenta il
vantaggio fondamentale di una minor
sensibilità alla cricca dello strato deposto
rispetto alla CVD convenzionale;
plasma-assisted CVD, che presenta i vantaggi
di richiedere una minor temperatura del
substrato, di una miglior adesione e di maggiori
ratei di deposizione.
tecniche elettrochimiche – sono costituite da processi
in grado di rivestire un substrato (non necessariamente
metallico) con uno strato funzionalizzato, tramite
reazioni elettrochimiche. A seconda che tale strato sia
costituito da un metallo puro, piuttosto che da un
composto, si parlerà di tecniche di elettroplaccatura o
tecniche di rivestimento per conversione, analizzate
nel seguito.
I processi di elettroplaccatura comportano la
formazione di un sottile strato di metallo su un
substrato anche non metallico tramite una reazione
elettrochimica. Essi si basano sulle due leggi di
Faraday, le quali stabiliscono rispettivamente:
1) la massa di una sostanza liberata in un processo di
elettrolisi è proporzionale alla quantità di elettricità
passata attraverso la cella elettrolitica;
2) la massa del materiale liberato è proporzionale al suo
equivalente elettrochimico (ovvero al rapporto tra il
peso atomico e la sua valenza).
Tali effetti possono essere sintetizzati nell’equazione:
V = CIt
Essendo: V [mm3] il volume del materiale che va a
costituire il rivestimento; C [mm3A
-1s] la costante di
placcatura, dipendente dall’equivalente elettrochimico e
dalla densità; I [A] la corrente; t [s] tempo di applicazione
della corrente. Il prodotto It rappresenta la carica elettrica
passata attraverso la cella; il valore di C indica la quantità
di materiale di rivestimento depositato sul pezzo (catodo)
da placcare per unità di carica elettrica.
Per la maggior parte dei metalli da placcatura, non tutta
l’energia elettrica disponibile nel processo viene usata per
la deposizione: una parte dell’energia può essere
consumata in altre reazioni, quali la liberazione di
idrogeno al catodo. Ciò riduce la quantità di materiale che
va a costituire la placcatura. La quantità reale di materiale
depositato sul catodo divisa per la quantità teorica,
calcolabile tramite l’equazione di Faraday (cfr. sopra)
costituisce l’efficienza del catodo. Considerando tale
efficienza, è possibile derivare una più efficiente
equazione per determinare la quantità di materiale che va
a costituire il rivestimento:
V = ECIt
dove E rappresenta l’efficienza del catodo, mentre gli altri
termini sono già stati definiti precedentemente.
La Tabella 20.4 riporta alcuni valori tipici di efficienze del
catodo E e di costanti di placcatura C. Lo spessore medio
della placcatura s può essere facilmente ricavato dalla:
s = V/A
essendo A l’area della superficie del pezzo da placcare.
Tabella 20.4 - Valori di efficienze del catodo E e di costanti di placcatura C per i principali metalli da placcatura
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I più comuni processi tecnologici basati sui principi sin
qui presentati sono: elettroplaccatura, elettroformatura
e placcatura senza corrente (electroless plating):
elettroplaccatura6: nota anche come placcatura
elettrochimica, è un processo elettrolitico in cui
gli ioni metallici in una soluzione elettrolitica
vengono depositati sul pezzo (catodo). L’anodo
è in genere costituito del metallo con cui si
vuole effettuare la placcatura e quindi
costituisce la sorgente di tale materiale. Come
mostrato in Figura 20.12, la corrente continua
fornita da un generatore esterno passa
attraverso l’anodo e il catodo. L’elettrolita è
una soluzione acquosa di acidi, basi o sali: essa
conduce la corrente grazie al movimento degli
ioni metallici in soluzione, liberati dall’anodo.
Figura 20.12 – Schema del processo di elettroplaccatura
Un buon risultato finale presuppone la
preliminare pulizia chimica del pezzo da
placcare. Inoltre, componenti di forma
complessa possono dar luogo a spessori di
placcatura non uniformi. Per evitare tale
eventualità, è conveniente adottare gli
accorgimenti di progetto illustrati in Figura
20.13.
La placcatura può essere effettuata entro
contenitori cilindrici rotanti (per pezzi piccoli e
numerosi) oppure sospendendo i pezzi più
grandi e pesanti su intelaiature di fili di rame
oppure, infine, in continua, tramite strisce che
transitano attraverso il bagno elettrolitico. I più
comuni metalli per placcatura sono zinco,
6 Esiste anche il processo inverso all’elettroplaccatura, detto
lucidatura elettrochimica (o elettrolucidatura), nel quale l’elettrolita attacca i picchi della rugosità superficiale del pezzo più velocemente
di quanto non faccia con il resto della superficie: si ottengono così
superfici a specchio anche per pezzi di geometria complessa, cosa difficile tramite i convenzionali metodi di lucidatura meccanica.
nickel, rame, stagno, cromo e talvolta anche i
metalli preziosi (argento, oro e platino), per
conferire resistenza (sacrificale) alla corrosione, ed
all’usura e migliorare la conduttività elettrica.
Figura 20.13 - Accorgimenti di progetto per evitare il
costituirsi di spessori disuniformi di placcatura
elettroformatura: si tratta di un processo
virtualmente identico all’elettroplaccatura, ma con
un obbiettivo del tutto differente. Infatti essa
comporta la deposizione elettrolitica di un metallo
su una preforma, finché viene raggiunto lo spessore
voluto: a questo punto la preforma viene rimossa
ed il pezzo liberato. Gli spessori sono ben superiori
a quelli dell’elettroplaccatura (0.05mm). Le
preforme possono essere di due tipi: permanenti (e
in questo caso devono essere provviste di un
angolo di spoglia) o distruggibili (fondibili
metalli basso-fondenti, polimeri, cere oppure
solubili alluminio in idrossido di sodio). Se la
preforma è fatta con un materiale non conduttivo,
esso deve essere metallizzata7.
electroless plating: consiste in un processo di
placcatura interamente basato su reazioni chimiche,
senza alcun apporto esterno di energia elettrica. Il
processo avviene in una soluzione acquosa
contenente gli ioni del metallo che si vuole
depositare. Si usa un agente riducente ed il pezzo
da placcare funge da catalizzatore per la reazione.
Solo pochi metalli possono essere utilizzati
(tipicamente oro, rame, nickel e talune sue leghe),
ma sempre a costi superiori a quelli della
placcatura elettrochimica tradizionale. Rispetto a
quest’ultima, i vantaggi consistono in: maggior
uniformità dello strato e non necessità di substrati
metallici e di corrente continua.
Le tecniche di rivestimento per conversione
consistono in processi nei quali viene creato un
7 Un caso esemplificativo è costituito dagli stampi per la formatura in autoclave dei materiali compositi, realizzati in nickel elettrodeposto. In
questa circostanza (meglio dettagliata nel capitolo sugli stampi di
formatura dei compositi), da un modello in positivo si ottengono stampi complementari in vetroresina: Questi vengono ricoperti da una vernice
conduttiva e poi sottoposti a formatura elettrochimica (con nickel). Si
ottiene così un numero grande a piacere di stampi tutti perfettamente identici, in quanto ricavati da un unico modello originario.
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sottile strato di ossido, fosfato o cromato su di
un substrato metallico, grazie a reazioni
chimiche o elettrochimiche, innescate per
immersione o spruzzatura. Praticamente tutti i
metalli possono essere trattati con questa
tecnologia e traggono giovamento in termini di
resistenza a corrosione e usura, miglioramento
di conducibilità elettrica e lubrificabilità,
nonché preparazione alla verniciatura. I
rivestimenti per conversione si dividono in due
categorie: trattamenti chimici e anodizzazione.
La prima comprende processi basati
esclusivamente su reazioni chimiche, quali la
fosfatazione e la cromatazione.
Nell’anodizzazione, l’ossido di rivestimento
deriva invece da una reazione elettrochimica (il
termine anodizzazione è infatti la contrazione di
ossidazione anodica). È questo un processo
tipico dell’alluminio e delle sue leghe. Nel
seguito si illustrano meglio tali due categorie di
tecniche.
rivestimenti di conversione chimici: hanno lo
scopo di formare un sottile strato non-metallico
protettivo del substrato; i più comuni sono:
rivestimento con fosfati: trasforma il metallo
del substrato in un fosfato protettivo tramite
l’esposizione ad una soluzione di sali di fosfato
e di acido fosforico. Si ottengono spessori di
0.0025-0.05mm su componenti in ferro o zinco,
allo scopo di prepararli alla verniciatura;
rivestimento con cromati: converte il metallo
base in un film di cromato per mezzo di
soluzioni di sali di cromo e acido cromico. Si
ottengono strati sottili (0.0025mm) su
alluminio, magnesio, cadmio, rame e zinco
come protezione alla corrosione e preparazione
alla verniciatura;
anodizzazione: diversamente dagli altri
processi, essa consiste in un trattamento
elettrolitico in grado di generare uno strato
stabile di ossido su una superficie metallica. I
metalli normalmente anodizzati sono
l’alluminio, il magnesio ed il titanio allo scopo
di proteggerli dalla corrosione. È necessario
mettere in rilievo le differenze tra placcatura
elettrochimica e anodizzazione. Nella prima, il
pezzo da placcare è il catodo; nella seconda, il
pezzo da anodizzare è l’anodo (la cella di
anodizzazione agisce da catodo). Inoltre, nella
prima, il rivestimento deriva dalla crescita per
adesione di ioni di un secondo metallo sul
metallo base del substrato; nella seconda, il film
superficiale deriva dalla reazione chimica del
metallo base del substrato, che si trasforma nel
suo ossido. Si ottengono strati (anche colorati)
di spessore variabile tra 0.0025 e 0.0075mm;
spessori maggiori (fino a 0.25mm) si ottengono
tramite l’anodizzazione dura, che conferisce una
protezione contro la corrosione e contro l’usura.
rivestimenti ceramici – i metalli possono essere rivestiti
con film vetrosi per conferire resistenza alla corrosione e
alle alte temperature oppure resistività elettrica. Questi
rivestimenti di solito sono definiti smalti porcellanati,
consistenti in film di ossidi metallici. Il processo di
rivestimento consiste nei seguenti passi:
1) preparazione del materiale di rivestimento sotto forma
di polvere sottile (fir);
2) applicazione sulla superficie della polvere secca o
della sua soluzione colloidale acquosa (slip) tramite
tecniche di spruzzatura, immersione, deposizione
elettrostatica o elettrodeposizione;
3) asciugatura a bassa temperatura (opzionale);
4) cottura (sinterizzazione), consistente nella fusione
delle polveri sul substrato a temperature di 450-1000
°C per ottenere un rivestimento non poroso di spessore
0.05-2mm.
Nel campo aerospaziale questi rivestimenti vengono
largamente impiegati nei componenti dei motori a getto,
come le palette di turbina e l’interno delle camere di
combustione, per conferire resistenza alla corrosione ad
alta temperatura.
Oltre agli smalti porcellanati vengono usati altri tipi di
ceramiche (tipicamente alumina Al2O3 e zirconia ZrO2)
per ottenere rivestimenti refrattari. Il processo consiste in
un’applicazione a freddo delle polveri (con l’ausilio di un
legante) seguita dalla sinterizzazione ad alta temperatura.
Da ultimo, in questa categoria di rivestimenti vanno
annoverati anche i rivestimenti in diamante o diamond-
like carbon (DLC), spessi pochi nm ed applicati con
tecniche di chemical vapour deposition, plasma-assisted
vapour deposition o ion-beam enhanced deposition sui
trasparenti degli aeromobili, in modo da renderli resistenti
all’abrasione, grazie all’eccellente durezza del diamante.
rivestimenti organici – consistono in polimeri o resine
naturali o sintetici, in genere formulati per essere applicati
allo stato liquido e poi asciugare o indurire sotto forma di
film sottile (0.0025-0.2mm) sulla superficie del substrato.
In genere, questi rivestimenti devono possedere durezza,
flessibilità, durabilità, resistenza a corrosione e abrasione.
In più, nei casi critici (per esempio di un aeromobile
imbarcato) essi devono garantire la resistenza all’elevata
umidità, pioggia, nebbia salina, inquinanti, carburanti,
lubrificanti, fluidi anti-ghiaccio e acidi delle batterie. In
altri casi, essi devono resistere all’impatto della ghiaia e
all’erosione della sabbia. Infine, essi devono provvedere
alla colorazione dell’a/m a scopo estetico (riconoscimento
commerciale: compagnie aeree) e funzionale (camouflage
dei velivoli militari). A questo fine, la struttura esterna in
pannelli di lega d’alluminio dei velivoli viene rivestita con
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uno o più strati di primer epossidico e da uno o più
strati di vernice a finire poliuretanica con durata 4-6
anni.
Le vernici organiche sono formulate così da contenere:
leganti, costituiti da polimeri e resine che
determinano le caratteristiche della vernice allo
stato soldo, ovvero durezza, resistenza,
adesione al substrato e capacità filmogena. I
leganti più comuni sono poliestere,
poliuretanici, epossidici, acrilici e cellulosici,
nonché olii naturali;
pigmenti, conferiscono il colore alla vernice e
possono consistere in sostanze chimiche
solubili nel legante o particelle finissime
insolubili; in questo ultimo caso, irrobustiscono
la vernice;
solventi, servono per diluire il legante ed altri
additivi nella vernice; possono essere
idrocarburi aromatici o alifatici, alcool, esteri o
chetoni;
additivi, possono essere tensioattivi per
migliorare la stendibilità della vernice, biocidi e
fungicidi, stabilizzanti rispetto al congelamento,
alle alte temperature e raggi UV, plasticizzanti,
agenti per stimolare la coalescenza o per inibire
la formazione di schiuma o, infine, catalizzatori.
I metodi per applicare un rivestimento organico su di una
superficie dipendono dalla sua composizione, spessore,
dimensioni della parte da verniciare, tempo disponibile,
condizioni ambientali e costo. Nel caso delle costruzioni
aeronautiche, trattato in maggior dettaglio nel paragrafo
seguente, è di importanza fondamentale che la superficie
sia in primis pulita, trattata chimicamente (anodizzazione,
fosfatazione, cromatazione) e preparata con un primer. Il
parametro critico dell’operazione di verniciatura consiste
nell’efficienza di trasferimento, pari al rapporto tra la
quantità di vernice che va effettivamente a rivestire il
substrato e la quantità totale di vernice disponibile per
l’operazione. Le tecniche di applicazione più comuni
(alcune delle quali vengono illustrate in Figura 20.14)
sono:
a pennello, non usata in aeronautica, se non per
piccoli ripristini locali;
a spruzzo, dove la vernice viene atomizzata e le
micro-gocce, una volta raggiunta la superficie, si
riuniscono per formare un film omogeneo; può
essere un processo manuale o automatico, con una
bassa efficienza di trasferimento (30% circa), la
quale può venir migliorata (fino al 90%) con la
spruzzatura elettrostatica, nella quale le gocce
vengono caricate elettrostaticamente ed attratte
dalla superficie, elettricamente messa a terra;
Figura 20.14 - Metodologie di applicazione della vernice: a) a immersione; b) a spruzzo; c) elettrostatica
ad immersione, dove un pezzo viene immerso
in una vasca contenente la vernice o investito
da getti di vernice durante il suo percorso. In
ambo i casi, la vernice in esubero viene
recuperata, filtrata e riutilizzata. Per migliorare
l’adesione, substrato e vernice possono venir
elettricamente caricati con segno opposto.
Una volta applicati, i rivestimenti organici devono
convertirsi da liquidi a solidi tramite il processo di
asciugatura, che avviene in virtù dell’evaporazione del
solvente. Per acquisire le caratteristiche finali, la
vernice deve infine andar soggetta ad un ulteriore
meccanismo di conversione, la reticolazione, che può
avvenire:
a temperatura ambiente evaporazione del
solvente ed ossidazione della resina;
a elevata temperatura accelerata evaporazione
del solvente e polimerizzazione della resina;
tramite catalizzatore la resina deve venir
preventivamente addizionata di catalizzatore per
poter reticolare (epossidiche e poliuretaniche);
tramite radiazione la resina richiede energia,
sotto forma di micro-onde, raggi ultravioletti o
electron-beam per reticolare.
I rivestimenti organici ed i metodi di applicazione visti
finora presuppongono vernici allo stato liquido. Esistono
però anche vernici in polvere, che vengono applicate allo
stato secco, fuse sulla superficie del substrato per formare
un film liquido uniforme, il quale infine risolidifica come
rivestimento solido. Le vernici a polvere si dividono in:
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termoplastiche (polivinilcloruro, poliammide,
poliestere, polietilene e polipropilene), danno
spessori elevati, variabili da 0.1 a 0.3mm;
termoindurenti (epossidiche e acriliche), danno
spessori più sottili (0.025-0.075mm); vengono
applicate allo stato non reticolato;
polimerizzano poi grazie all’azione di energia +
catalizzatore.
I metodi di applicazione delle vernici a polvere sono
due:
a spruzzo: le particelle possiedono una carica
elettrostatica e sono propulse da aria compressa
verso il pezzo da verniciare. La fusione delle
particelle avviene contestualmente al contatto
con il pezzo (se questo è stato preventivamente
riscaldato) oppure in un secondo tempo, in
forno;
a letto fluido: il pezzo che deve essere
verniciato (preventivamente riscaldato) passa
attraverso un letto fluido, in cui le particelle
sono mantenute in sospensione da un flusso
d’aria. Le particelle si fondono sulla superficie
del pezzo e formano il rivestimento; per
migliorare l’adesione, esse possono anche venir
caricate elettrostaticamente.
20.4 Finitura degli aeromobili
el paragrafo precedente si è dato un cenno
generale alle tecnologie di verniciatura, quale
fase finale del processo produttivo. Esse vengono ora
maggiormente contestualizzate e specificate, con
riferimento a quattro casi tipici delle costruzioni
aeronautiche: aeromobili con rivestimento in metallo,
in legno, in tela e casi particolari, come quelli dei
galleggianti degli a/m idrovolanti e anfibi.
Figura 20.15 - Aeromobile preparato per la verniciatura
rivestimenti in metallo – prima di procedere con la
verniciatura, le superfici devono essere
preventivamente liberate da contaminanti e residui di
eventuali precedenti verniciature con opportuno
sverniciatore (cfr. Figura 20.15); devono altresì essere
eliminate anche eventuali tracce di corrosione; si procede
poi con la finitura vera e propria, che consiste nelle
seguenti tre fasi:
trattamento di conversione: come visto sopra, ha lo
scopo di creare uno strato inerte protettivo ed è
effettuato alternativamente con:
soluzioni di acido cromico
soluzioni di acido fosforico;
stesura del primer: esso ha la funzione di fornire
un buon aggrappaggio per la verniciatura finale.
Deve essere steso in diverse “mani” di minimo
spessore (0.01mm circa) sempre carteggiato per
garantire un’opportuna rugosità. I tipi dipendono
dalla natura del metallo e possono essere:
wash primer, molto popolare perché reticola in
tempi brevi (1/2 ora), ma richiede una certa
umidità atmosferica;
primer epossidico, è un bi-componente, richiede 24
ore prima della verniciatura, offre grande
protezione alla corrosione;
cromato di zinco, è il classico primer aeronautico
(MIL-P-8585), è di colore verde/giallo; offre però
minor adesione dei wash primer e minor durabilità
dei primer epossidici;
verniciatura di finitura: può venir effettuata con
lacche (che reticolano grazie all’evaporazione dei
solventi) o smalti (che reticolano tramite la
conversione dei solventi calore/catalisi); i tipi
comunemente utilizzati sono:
lacche acriliche, molto resistenti alla abrasione;
richiedono però 30 giorni di reticolazione;
lacche sintetiche, meno dure ma più flessibili delle
precedenti; anch’esse necessitano di 30 giorni di
reticolazione
smalti poliuretanici, sono i rivestimenti più difficili
da utilizzare, presentano problemi di tossicità, ma
garantiscono elevata resistenza e lunga durata;
smalti poliuretanici solubili in acqua.
In ogni caso, sia i primer che le vernici di finitura vanno
applicati in ambienti controllati, sia per quanto riguarda il
pericolo d’incendio (messa a terra della struttura onde
evitare scariche elettrostatiche, apparecchiature elettriche
speciali, etc.) e la nocività dei prodotti volatili per gli
operatori (sistemi di ventilazione con captazione a livello
del terreno, maschere e indumenti protettivi, etc.). Tutte le
sostanze vanno stese a spruzzo (la Figura 20.16 mostra lo
schema di una pistola ad aria compressa), con portate non
inferiori a 0.05 m3h
-1 e pressioni di 4-5 bar.
N
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Figura 20.16 - Schema del sistema di atomizzazione per
verniciatura
Inoltre, per garantire uno spessore uniforme, le passate
devono essere date (alla corretta distanza ed
inclinazione) con un’opportuna sovrapposizione (cfr.
Figura 20.17)
Figura 20.17 - Sovrapposizione delle passate durante la
verniciatura
in direzioni definite (lungo l’apertura e lungo la
corda), alternate e secondo una precisa sequenza
(Figura 20.18a,b).
Infine, un’eccessiva velocità di rimescolamento delle
vernici e dei primer o un’atomizzazione troppo spinta
può intrappolare aria e/o solventi, i quali possono poi
venire in superficie sotto forma di bolle (cfr. Figura
20.19).
rivestimenti in legno – molto spesso i rivestimenti in
compensato degli aerei e degli alianti sono protetti da
un tessuto molto sottile di poliestere (Dacron) o di
tessuti, il quale non ha responsabilità strutturali, bensì
il compito di conferire una buona finitura superficiale
e di proteggere il compensato dall’attacco ambientale.
In dipendenza del tipo di tessuto, le procedure di
applicazione sono:
per tessuti in cotone: il substrato viene
preparato con vernici al nitrato, poi i tessuti
vengono distesi secondo lo schema illustrato in
Figura 20.20. A seguire ulteriori strati di vernici
al nitrato (per tendere il tessuto) ed al butirrato con
polveri di alluminio o argento (per protezione dai
raggi UV). Infine lo strato di finitura consistente in
vernice al butirrato pigmentato;
per tessuti in Dacron: il compensato viene
preparato con vernici a base vinilica, il tessuto
viene disteso e termo-retratto e poi ulteriormente
impregnato con ulteriori strati di vernice vinilica,
uno dei quali additivato con polveri d’argento per
conferire protezione ai raggi UV. Infine lo strato di
finitura costituito da vernici al butirrato
pigmentato, smalti vinilici o poliuretanici. Questi
ultimi garantiscono la miglior resistenza alla
abrasione e durabilità ambientale.
Figura 20.18 a,b - Direzioni e sequenza di verniciatura
a
b
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Figura 20.19 - Formazione di bolle a causa dell’aria
intrappolata
rivestimenti in vetroresina – tutte le parti in
vetroresina vengono di solito preparate con primer
epossidico e poi verniciate con lacche acriliche o
smalti poliuretanici. Nel caso fosse necessario
rimuovere dei residui di vernice, ciò non va fatto con
sverniciatori, ma solo tramite sabbiatura per evitare
l’attacco chimico alla matrice polimerica della
vetroresina da parte del solvente. Eventuali
imperfezioni vanno preliminarmente pareggiate con
stucco poliestere;
Figura 20.20 - Schema di applicazione dei tessuti sul
rivestimento in compensato
rivestimenti in tela – i velivoli storici, ma anche le
superfici mobili di alcuni alianti e di velivoli da diporto
sono ancora caratterizzati da rivestimento “in tela”. In
realtà, sotto questa definizione generale, coesistono
materiali di origine diversa, naturale ed artificiale, come:
cotone
lino
seta
poliacrilonitrile (Rayon)
poliammide (Nylon)
poliestere (Dacron)
Di tutte queste alternative, oggigiorno, trovano pratica
applicazione solo il cotone Grado A tra le fibre naturali e
il Dacron tra quelle sintetiche. Con entrambe vengono
realizzati i rivestimenti (cfr. Figura 20.21):
Figura 20.21 - Schema di rivestimento in tela di un’ala
collegando le diverse pezze con giunti cuciti (Figura
20.22):
Figura 20.22 - Giunti cuciti per rivestimenti in tela.
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oppure incollati (Figura 20.23a,b).
Figura 20.23a,b - Giunti incollati per rivestimenti in tela
In Figura 20.24 viene illustrata la sequenza di
rivestimento in Dacron di una struttura alare.
Figura 20.24 - Sequenza di rivestimento in Dacron di
un’ala
Il Dacron ed il cotone, dal punto di vista tecnologico,
sono differenziati dal fatto che la prima fibra è
termoretraibile (ad una temperatura di circa 120 °C),
mentre la seconda non lo è. Per questo, i trattamenti
superficiali che essi devono subire per diventare
rivestimenti aerodinamici sono diversi, come pure
sono diversi da quelli adottati per i rivestimenti in
metallo ed in legno. In particolare, le sequenze dei
rivestimenti sono sintetizzate qui di seguito:
per i rivestimenti in cotone:
impermeabilizzante al butirrato additivato con
fungicida tenditela e protezione dai micro-
organismi;
impermeabilizzante al nitrato additivato con
polvere di alluminio tenditela e protezione
dai raggi UV;
vernice di finitura al nitrato pigmentato o al
butirrato pigmentato.
per i rivestimenti in Dacron8:
termo-tensionamento (a circa 120 °C);
rivestimento vinilico o epossidico
impermeabilizzazione e protezione dai raggi UV;
vernice a finire vinilica o poliuretanica catalizzata9.
casi particolari – sugli aeromobili si presentano diverse
condizioni che richiedono finiture particolari, quali:
scafi di idrovolanti: generalmente in alluminio,
pongono il problema aggiuntivo della difesa dalla
corrosione dell’opera viva; per questo si usano due
strati sovrapposti di primer: un wash primer con
acido fosforico per generare uno strato protettivo +
un primer epossidico con acido cromico prima della
verniciatura finale;
radomes: sono le carenature dei radar e delle
antenne; sono realizzate con strutture sandwich in
vetroresina e honeycomb. Devono essere
elettricamente trasparenti e quindi non possono
essere usate vernici con pigmenti metallici, ma solo
lacche acriliche o smalti poliuretanici;
livree ad alta visibilità: pigmenti trasparenti
applicati su una base riflettente bianca;
finiture rugose: usate per superficie soggette ad
usura; si ottengono con vernici che asciugano
prima in superficie e poi in profondità, creando
così delle grinze;
verniciature non riflettenti: nere opache, devono
essere stese con spessori molto bassi, altrimenti
perdono la propria opacità;
composti anti-scivolo: per le zone pedonabili
dell’ala: vengono ottenute aggiungendo sabbia
silicea angolosa a vernici tenacizzate;
rivestimenti a prova di acido: necessari nella zona
batterie, consistono in vernici all’asfalto o smalti
poliuretanici bi-componenti;
rivestimenti per galleggianti: devono resistere alla
corrosione ed all’abrasione; vengono protetti con
vernici all’asfalto (vedi sopra) e diluite con toluolo
ed additivate di polveri d’alluminio;
sigillanti per serbatoi: rivestimenti elastomerici, i
quali vengono introdotti nel serbatoio; tutte le
aperture vengono poi chiuse ed il serbatoio viene
8 Il Dacron, essendo termo-restringente, non richiede rivestimenti tendi-
tela ed essendo di origine sintetica non necessita di rivestimenti biocidi. 9 Stante la molto maggior flessibilità di un rivestimento in tela rispetto ad un rivestimento metallico, le vernici di finitura devono a loro volta
possedere un limite elastico molto elevato (fino al 5%): per questo
motivo non possono essere utilizzate le lacche acriliche e gli smalti epossidici, a causa della loro intrinseca fragilità.
b
a
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ruotato per ottenere una specie di liner interno;
le aperture vengono riaperte, l’esubero
eliminato;
finiture per alta temperatura: resistenti sino a
circa 600 °C, consistono in lacche diluite con
toluolo;
inibitori di marcescenza: le strutture in legno
possono essere attaccate da muffe o funghi; per
questo vengono impregnate da resine alchidiche
miscelate con fungicidi e biocidi;
protettivi per strutture tubolari: l’interno dei
tubi (di fusoliere, gondole motore, carrelli)
viene preventivamente protetto con olio di lino.
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Fatigue Resistance of Typical Alloys for Helicopter
Components”
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[3] Groover, M.P.:
“Fundamentals of Modern Manufacturing”
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[4] Guibert, M.P.:
“Fabrication des Avions et Missiles”
Dunod, Parigi, 1960.
[5] Kalpakijan, S., Schmid, S.R.:
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[7] Stits, D.:
“Synthetic Fabric Coverings”
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[8] Subramanian, C., Strafford, K.N.:
“Towards Optimization in the Selection of Surface Coatings
and Treatments to Control Wear in Metal-Forming Dies and Tools"
Materials & Design, Vol.14, N.5, 1993.