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Anno III n. 710 GennaioDicembre 2012 Trimestrale di informazione dell’Ass. “Amici del Cuore” della Casa di Cura Villa l’Ulivo Carmide S.r.l. Aderente a CONACUORE Coordinamento Nazionale Associazioni del Cuore Cuore e... parmigiana La conoscenza dei fattori di rischio rappresenta una condizione fondamentale per stabilire program- mi di prevenzione di una determinata malattia. In Italia oltre il 50% dei decessi è dovuto a malattie car- diovascolari. In particolare, la cardiopatia ischemica o coronari- ca (che trova la sua più grave espressione nell’infar- to cardiaco) rappresenta la principale causa di morte nel nostro Paese, provocando un decesso (spesso im- provviso) ogni 6-8 minuti. Occorre dunque prendere provvedimenti rapidi per impedire la progressione o anche solo il mantenersi di una situazione così grave. È sicuramente una delle prime modifiche da apporta- re in riferimento alla nostra tavola. Facile a dirsi, difficile a farsi… ma perché è cosi difficile rinunciare alla nostra parmigiana e ai nostri dolci a fine pranzo? Le valenze psicologiche legate all’alimentazione sono varie e diverse: il cibo non è solo nutrimento ma possiede un altissimo valore simbolico sia per quanto riguarda gli aspetti culturali, sia per gli aspetti relazionali e intrapsichici associati ad esso. Il modo con cui ciascuno di noi si alimenta dipende, come la lingua che parla o buona parte delle credenze, da ciò che gli è stato insegnato da piccolo; il suo apparte- nere agli apprendimenti primari è attestato anche dal fatto che esso rappresenta nella storia delle culture uno dei momenti centrali della ritualità collettiva: le colazioni di lavoro, le festività religiose, i party, le feste, la celebrazione di ricorrenze sono momenti particolari che permettono interazioni affettive e di comunicazione che travalicano la semplice attività del cibarsi. È proprio per questo motivo che l’evento malattia determina nell’uomo modificazioni non solo biologiche ma anche psicologiche, alterando il senso dell’identità personale e sociale, innescando una se- rie di fantasie sul proprio essere malato. Il grado di queste alterazioni dipende dalla perso- nalità del paziente, dalla gravità della malattia e dalle condizioni ambientali e/o contestuali in cui il pazien- te si trova. Quando la malattia ha carattere cronico, come nel paziente cardiopatico che necessita di costanti con- trolli e di uno stile di vita sano, insorgono reazioni emotive specifiche che influiscono sull’andamento della stessa, caratterizzate dall’accettazione-adatta- mento e dalla messa in atto di meccanismi di difesa. Un cambiamento alimentare nella vita di una per- sona può essere di difficile accettazione e in alcuni casi addirittura drammatico. Pensiamo per un attimo a tutti i divieti che si presentano innanzi a un sog- getto con problema cardiologico. Chissà quante vol- te si sarà sentito dire: “Non deve bere caffé”, “Non deve ingerire molti zuccheri”, “Non deve mangiare cibi saporiti”, “Non deve mangiare piccante”, “Non deve… non deve…” Il cambiamento alimentare comporterà dunque, almeno inizialmente, un disequilibrio mente-corpo che si riverbera in molte aree della vita, la cui qua- lità assumerà un aspetto negativo, in particolare per quanto riguarda la sensazione di vitalità e il vissuto di benessere: si rinuncerà ad uscire per una cena, si eviterà di festeggiare per non cadere in tentazioni… ci si sentirà sempre diversi, ma soprattutto soli. La malattia cardiovascolare, come tutte le malattie organiche, presenta spesso aspetti di natura psicolo- gica che non possono essere taciuti, ma che devono essere affrontati in quanto aspetti importanti della malattia stessa. È inoltre riconosciuto come le pro- blematiche emozionali possano peggiorare lo stato generale del paziente e quindi interferire con la ma- lattia, complicandone o aggravandone il decorso. L’esperienza clinica suggerisce dunque, che un sostegno psicologico è molto utile nei casi in cui il soggetto finisca quasi con il soffrire della limitazione dietetica più che per la malattia in sé. GESSICA LA LEGGIA

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Cuore e parmigiana

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Anno III n. 7–10 Gennaio–Dicembre 2012

Trimestrale di informazione dell’Ass. “Amici del Cuore” della Casa di Cura Villa l’Ulivo Carmide S.r.l.Aderente a CONACUORE – Coordinamento Nazionale Associazioni del Cuore

Cuore e... parmigiana La conoscenza dei fattori di rischio rappresenta

una condizione fondamentale per stabilire program-mi di prevenzione di una determinata malattia. In Italia oltre il 50% dei decessi è dovuto a malattie car-diovascolari.

In particolare, la cardiopatia ischemica o coronari-ca (che trova la sua più grave espressione nell’infar-to cardiaco) rappresenta la principale causa di morte nel nostro Paese, provocando un decesso (spesso im-provviso) ogni 6-8 minuti. Occorre dunque prendere provvedimenti rapidi per impedire la progressione o anche solo il mantenersi di una situazione così grave. È sicuramente una delle prime modifiche da apporta-re in riferimento alla nostra tavola.

Facile a dirsi, difficile a farsi… ma perché è cosi difficile rinunciare alla nostra parmigiana e ai nostri dolci a fine pranzo?

Le valenze psicologiche legate all’alimentazione sono varie e diverse: il cibo non è solo nutrimento ma possiede un altissimo valore simbolico sia per quanto riguarda gli aspetti culturali, sia per gli aspetti relazionali e intrapsichici associati ad esso. Il modo con cui ciascuno di noi si alimenta dipende, come la lingua che parla o buona parte delle credenze, da ciò che gli è stato insegnato da piccolo; il suo apparte-nere agli apprendimenti primari è attestato anche dal fatto che esso rappresenta nella storia delle culture uno dei momenti centrali della ritualità collettiva: le colazioni di lavoro, le festività religiose, i party, le feste, la celebrazione di ricorrenze sono momenti particolari che permettono interazioni affettive e di comunicazione che travalicano la semplice attività del cibarsi. È proprio per questo motivo che l’evento malattia determina nell’uomo modificazioni non solo biologiche ma anche psicologiche, alterando il senso dell’identità personale e sociale, innescando una se-rie di fantasie sul proprio essere malato.

Il grado di queste alterazioni dipende dalla perso-nalità del paziente, dalla gravità della malattia e dalle condizioni ambientali e/o contestuali in cui il pazien-te si trova.

Quando la malattia ha carattere cronico, come nel paziente cardiopatico che necessita di costanti con-trolli e di uno stile di vita sano, insorgono reazioni emotive specifiche che influiscono sull’andamento della stessa, caratterizzate dall’accettazione-adatta-mento e dalla messa in atto di meccanismi di difesa.

Un cambiamento alimentare nella vita di una per-sona può essere di difficile accettazione e in alcuni casi addirittura drammatico. Pensiamo per un attimo a tutti i divieti che si presentano innanzi a un sog-getto con problema cardiologico. Chissà quante vol-te si sarà sentito dire: “Non deve bere caffé”, “Non deve ingerire molti zuccheri”, “Non deve mangiare cibi saporiti”, “Non deve mangiare piccante”, “Non deve… non deve…”

Il cambiamento alimentare comporterà dunque, almeno inizialmente, un disequilibrio mente-corpo che si riverbera in molte aree della vita, la cui qua-lità assumerà un aspetto negativo, in particolare per quanto riguarda la sensazione di vitalità e il vissuto di benessere: si rinuncerà ad uscire per una cena, si eviterà di festeggiare per non cadere in tentazioni… ci si sentirà sempre diversi, ma soprattutto soli.

La malattia cardiovascolare, come tutte le malattie organiche, presenta spesso aspetti di natura psicolo-gica che non possono essere taciuti, ma che devono essere affrontati in quanto aspetti importanti della malattia stessa. È inoltre riconosciuto come le pro-blematiche emozionali possano peggiorare lo stato generale del paziente e quindi interferire con la ma-lattia, complicandone o aggravandone il decorso.

L’esperienza clinica suggerisce dunque, che un sostegno psicologico è molto utile nei casi in cui il soggetto finisca quasi con il soffrire della limitazione dietetica più che per la malattia in sé.

GESSICA LA LEGGIA

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RubricaDalla parte del paziente

Questa rubrica è aperta a tutti. Ogni socio che volesse collaborare è il benvenuto, nello spirito di questo foglio che, oltre ad essere un mezzo di divulgazione, si propone di invitarci all’osservanza di alcune elemen-tari regole di vita per la salvaguardia della nostra salute.

In questo numero abbiamo ritenuto di ospitare questa simpatica cronaca di un’operazione di cataratta, che forse non è assolutamente pertinente in un foglio che tratta problemi cardiologici, ma è certamente inte-ressante per i nostri lettori, poiché l’intervento risolve una patologia tipica di persone in età matura.

Lasciata nel parcheggio della Casa di Cura S. Anna l’auto di mia sorella, entriamo nel reparto oculistico pullulante di pazienti alle prese con una delle quattro fasi dell’itinerario verso… Via la Ca-taratta.

Quelli rilassati, e per-lopiù non accompagna-ti, sono alla Fase 1 (pre-ospedalizzazione, cioè analisi urine e sangue più esami oculistici), oppure alla Fase 4 (con-trollo a quattro giorni dall’intervento, quasi un pro-forma). Poi ci sono quelli della Fase 3 con occhio bendato (soprattutto sinistri): un ulteriore indizio del prossimo addio di B? in attesa di essere liberati della benda, ma già avidi di testimoniare che tutto il percorso è una vera passeggiata: non c’è assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Fidarsi è bene, ma non fidarsi … Però effettivamente torna-no dallo sbendaggio ancora più effervescenti. In-fine ci sono quelli della Fase 2, destinati come me alla sala operatoria, che, ognuno a modo proprio, tradiscono un filo d’ansia. Presto riconoscibili per un ingegnoso bollino azzurro incollato sopra uno dei due sopraccigli (di nuovo soprattutto sinistri: non hai speranze caro B) vengono ripetutamente assoggettati a vistose innaffiature di gocce varie. Tutto sembra funzionare con inusuale efficienza, in un’atmosfera di grande cordialità, grazie alla comunella che subito si è instaurata tra i pazienti ed anche con il personale infermieristico.

Ben presto noi con bollino in fronte veniamo ac-compagnati da due infermieri ad un altro piano e sistemati in stanze a due letti, linde e pinte, per la svestizione. In sala operatoria si va con maglietta, mutande e calzini - e relativi batteri stanziali - su cui si indossa il classico ed etereo grembiule ver-dognolo ‘usa e getta’ allacciato sulla schiena. Chi mai si accorgerà che, ignorando il divieto imposto dal protocollo, malgrado l’opposizione dell’ in-fermiera accompagnatrice, ho tenuto anche la mia Gibaud per bloccare la sicura colica da gelo? Fuori è una stupefacente calda giornata di sole e cieli ter-si di questa protratta estate 2011.

Credo trascorra circa un’ora prima di essere ba-rellato nell’antisala operatoria dove mi accoglie

una socievole infermierona (“Della Cechia”, chie-do io, “No sono polacca”, e ci scopriamo entrambi nati il 20 gennaio). In un battito d’ali mi attrezza con ago-cannula di rito e, su mia richiesta, con co-

perta termica oro/argen-to modello Lampedusa. Faccio anticamera per circa mezzora. Dal-la mia lettiga vedo la grande porta scorrevo-le della sala operatoria aprirsi più volte, e chiu-dersi automaticamente. Attorno al tavolo opera-

torio, sovrastato da imponenti attrezzature, riesco a intravedere la silhouette dell’operando di turno. Tutt’intorno, le sagome di chirurgo ed assistenti. Nella fase conclusiva dell’intervento il paziente che mi precede viene redarguito un paio di volte. Forse non sarà così facile collaborare come pre-scritto.

Il mio chirurgo, completata la fase di sua per-tinenza dell’ultimo intervento, si muove in mul-titasking dentro e fuori dalla sala operatoria. Mi conferma la mia scelta di un cristallino da miope, mi comunica che la mia anestesia sarà solo a base di gocce – evviva – ma dovrò stare immobile e rilassato e mi irrora l’occhio a più riprese, mentre al paziente successivo, già parcheggiato poco più in là, pratica l’anestesia con iniezioni peri-orbitali. Io esagero a sottoporgli quesiti, alcuni di certo dif-feribili.

Anche la richiesta di venire informato, una volta sotto i ferri, su come l’intervento vada procedendo è forse superfluo, ma avevo messo nel conto che non fossero previste grandi chiacchierate.

Inevitabilmente arriva il mio turno. Sono tran-quillo, anzi un po’ curioso. Supero uno dei mo-menti più pericolosi: il trasbordo da lettiga a tavo-lo operatorio, che dubito sia più largo di sessanta centimetri, ed io non sono un acrobata. Con le braccia presto bloccate mi sento più stabile e sicu-ro. Chissà perché mi viene da pensare a quelli finiti su un tavolo analogo per essere torturati. Beh, al confronto la mia è davvero una passeggiata. Co-munque faccio ventilazione per rilassarmi. Invece non so frenarmi dal chiedere al chirurgo quanto durerà l’intervento. Il tempo necessario - è la sec-

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“Parliamone”Rubrica

Questa rubrica si propone di raccontare le avventure/disavventure degli utenti di struttu-re sanitarie ed uffici pubblici.

Chiunque volesse scriverci, può farlo all’in-dirizzo e-mail: [email protected]

ca risposta. Così imparo a fare domande stupide. Ora mi coprono il viso, da dietro la testa fino a sot-to il collo, con uno spesso ‘telo’ (probabilmente di lattice). Ha un foro in corrispondenza dell’occhio sinistro da operare e col suo peso, mi sembrerà più tardi, mi chiude l’occhio destro che, secondo istruzioni ricevute, avrei dovuto cercare di tenere sempre aperto.

Ecco, si parte. Pensavo di non vedere nulla con l’occhio da operare: lo immaginavo accecato da una luce a palla. Mi sembra invece di guardare come in un caleidoscopio. E nel cerchio vedo roteare come una grande nuvola, colorata dal rosa al violaceo, che cambia forma di continuo, stringendosi o allargan-dosi. Al centro, costante, c’è una figura geometrica sempre bianca, costituita come da sottili elementi del Lego, uniti ora a forma di ponticello squadrato, ora con andamenti più articolati. Affascinante! Cer-co di memorizzare al meglio. Le gocce anestetiche funzionano a meraviglia. Non avverto alcun dolore. Piuttosto una certa pressione, allentata mi pare dal liquido con cui a più riprese mi irrorano l’occhio.

Provo anche questa strana sensazione: come se qualcuno stesse, con costanza e delicatezza, giran-do un mestolo nel mio bulbo oculare il cui conte-nuto appare avere la consistenza di una purea assai densa. Forse dipende dall’attività di aspirazione. Sembra essere più impegnativa del previsto. Così almeno deduco dallo scambio tra chirurgo ed aiuto, volutamente poco intellegibile. Comunque il chi-rurgo mi aveva tranquillizzato dicendomi che pro-cedeva tutto bene ed eravamo già oltre la metà. Si va verso i titoli di coda.

Certo, nei panni del chirurgo, preferirei di gran lunga un paziente totalmente addormentato che mi consentisse di esprimermi liberamente. Il Dottor N si allontana rispondendo con un laconico “Sì”, alla mia domanda pretestuosa se la cataratta fosse ispes-sita. Credo provveda l’aiuto ad effettuare la sutura. E’ l’unico momento in cui avverto una o due fitte di dolore. Nel mio caleidoscopio appare ora l’imma-gine di un reticolo bluastro su di uno sfondo grigio-azzurro.

Tutto accelera. Via il telo verde, bendatura dell’occhio, contro-trasbordo su lettiga, trasferi-mento al day-hospital, via l’ago-cannula, rivesti-zione. Con le mie gambe vado a fare colazione al bar con mia sorella. Occasionalmente avvertirò bruciore e fastidi da corpo estraneo nell’occhio. Li-mitati e sopportabili.

La mattina dopo di nuovo al S. Anna per la ri-mozione della benda e il controllo oculistico. Su-bito dopo al bar scopro che posso di nuovo leggere a occhio nudo. Soprattutto la pagina del giornale è bianca, e non giallastra come mi appare più tar-di guardando con il solo occhio destro, anch’esso affetto da incipiente cataratta. Inoltre, dovunque guardo tutto mi appare più nitido e assolutamente più splendente.

Evviva! Avanti con l’intervento all’altro occhio. ROBERTO NIMMO

Ci ritroviamo, ancora una volta, grazie a queste pagine che ci permettono di interloquire sui vari a-spetti della quotidianità.

Siamo pronti per andare in stampa e la mail è pie-na di vostre lettere che pongono tanti quesiti e tanti interrogativi. Con un certo imbarazzo, ci vediamo costretti a fare delle selezioni per potere scegliere quella da pubblicare, senza tuttavia sminuire il con-tenuto delle altre. È un compito difficile che anima il dibattito della redazione, rendendolo interessante e vivace.

Alla fine arriviamo ad un accordo, e riteniamo che la nostra attenzione debba orientarsi sulla mail di Agata che ci scrive da Leonforte: ha 36 anni ed è sposata e madre di due figli. Essa mette in risalto un problema che ha investito la maggioranza degli italiani da giugno a dicembre dello scorso anno.

Il problema ha un nome: IMU (Imposta Munici-pale Unica), quella che ha fatto perdere il sonno a milioni di cittadini. Nella sua lunga mail la nostra lettrice ripercorre la sua vita e quella della sua fa-miglia, mettendo in evidenza gli enormi sacrifici af-frontati per poter finalmente acquistare un apparta-mento e quindi un tetto sicuro per lei e il resto della sua famiglia. Un tetto sudato, che gronda di rinunce e privazioni ma che finalmente ripara dalle intem-perie, anche se il mutuo sottoscritto con la banca durerà trent’ anni. Questo significa che le privazioni continueranno, che si dovrà trascorrere le ferie in paese, che un’altra auto non si potrà acquistare per almeno altri cinque anni. Il ristorante entrerà nella categoria off limits, ed anche la pizza con i bambini si dovrà centellinare nel tempo. Insomma per una famiglia monoreddito inizia, anzi continua, un pe-riodo di rinunce perché altrimenti la rata del mutuo, che arriva con puntualità cronometrica, non potrà essere onorata.

Ed ecco che, dopo questa emozionante disamina della situazione economica di una famiglia come tante e tante altre nel nostro paese, Agata ci pone una domanda a cui non siamo riusciti a dare una ri-sposta e la giriamo alla nostra classe politica che ha voluto la tanto “odiata” tassa: “Abbiamo già pagato solo due rate del mutuo, ed aggiungendo l’anticipo dato al costruttore, siamo proprietari del 30 % del nostro immobile, mentre il restante 70 % rappre-senta il debito residuo con la banca. Perché abbia-mo dovuto pagare l’IMU. per intero e non per la sola parte di nostra proprietà?”.

SALVO VITALE

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Attività 2013

LIBRINO

• Incontro con le famiglie sul progetto: “LA PREVEN-ZIONE IN CARDIOLO-GIA – RUOLO DEI FAT-TORI DI RISCHIO”

Auditorium Parrocchia Re-surrezione del Signore.

Sab. 16 febbraio – ore 16:30

• Incontro con i genitori degli alunni in sovrappeso IC Campanella-Sturzo Ven. 22 febbraio – ore 09:00

• Incontro con le famiglie sul progetto: “LA PREVEN-ZIONE IN CARDIOLO-GIA – RUOLO DEI FAT-TORI DI RISCHIO”

IC Campanella-Sturzo Mer. 13 marzo – ore 16:00

• Incontro con le famiglie sul progetto: “LA PREVEN-ZIONE IN CARDIOLO-GIA – RUOLO DEI FAT-TORI DI RISCHIO”

IC Campanella-Sturzo Mer. 17 aprile – ore 16:00

• Incontro con le famiglie sul progetto: “LA PREVEN-ZIONE IN CARDIOLO-GIA – RUOLO DEI FAT-TORI DI RISCHIO”

Parrocchia Resurrezione del Signore.

Sab. 20 aprile – ore 16:30

• Cena: “L’ARTI DI MANCIARI”

Parrocchia Resurrezione del Signore

Giugno (giorno da definire)

• MOSTRA DEGLI ELA-BORATI DEGLI ALUNNI IC Campanella-Sturzo Giugno (giorno da definire)

• 7° GIORNATA DEL CUORE Conferenze, esami, (Pressione arteriosa, colsterolo, glicemia)

Casa di Cura Villa l’Ulivo Sab. 9 marzo – ore 9:00

• Cena “PASQUA CON IL CUORE” Parrocchia Santa Maria La

Guardia Mer. 20 Marzo – ore 20:30

• “CAMMINANDO CON IL CUORE”

Lungomare di Catania (P.zza Europa) Dom. 28 Aprile – ore 9:30

• “GITA A VIZZINI“ Sab. 25 Maggio – ore 8:00

• “ARRUSTI E MANCIA CON IL CUORE”

“Al Vecchio Palmento” Via Garibaldi, 60 - Viagrande Sab. 29 Giugno – ore 12:00

• “IN MONTAGNA CON ILCUORE“

Chiesa Madonna delle Nevi Etna Sud

Settembre (giorno da definire)

• “BICICLETTANDO CON IL CUORE”

Tutti insieme per le strade di Librino

Ottobre (giorno da definire)

•“L’ARTIDIMANCIARI“ “Piatti stagionali, sani e dieteti-ci, della cucina siciliana”

(data da definire)

• “NATALE CON IL CUORE”

Parrocchia Santa Maria la Guardia Dicembre (giorno da definire)

VITASOCIALE

(Tutti insieme)1. Qualche tempo fa si è par-

lato, anzi si è amplificata la notizia, dell’importanza delle cellule staminali per la rige-nerazione delle parti del cuo-re colpite da infarto e andate in necrosi. C’è qualcosa di vero e, se è così, a che punto siamo per dare speranza agli interessati?

Il trattamento rigenerativo del miocardio, mediante im-pianto di cellule staminali, è uno dei campi più affascinan-ti in cardiologia. Sono stati pubblicati diversi studi che hanno mostrato risultati inco-raggianti in termini di miglio-ramento della funzione con-trattile miocardica e riduzioni della area cicatriziale. Ciò no-nostante, bisognerà aspettare qualche anno per poter assi-stere ad una capillare diffusio-ne di questa metodica. Infatti sono molto controversi i dati relativi alla durabilità dei ri-sultati ottenuti in fase acuta.

2. Che cos’ è il “parachute”, qua-li sono le sue funzioni e a chi necessita?

Il parachute è un dispositi-vo impiantabile per via per-cutanea che ha l’obiettivo di ridurre il volume del ventri-colo sinistro in pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa, non candidati ad interventi tradizionali di plastica chirur-gica. Tale dispositivo è ancora in fase embrionale. Ad oggi si contano poche procedure su scala mondiale. Possiamo dire che la procedura è tecni-camente fattibile e sicura. Re-stiamo in attesa di avere dati relativi alla sua efficacia nelmigliorare la funzione cardia-ca e la classe funzionale del paziente.

Quattro quesiti al Prof. Mangiameli

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I nostri sponsor3. Quale funzione deve avere la famiglia che improvvisamen-te viene coinvolta nel proble-ma di un suo membro colpito da infarto?

La famiglia gioca un ruolo cruciale nella gestione del pa-ziente infartuato. Obiettivo principale è quello di aiutare il paziente a combattere i fat-tori di rischio “modificabili”mediante la sospensione del fumo, una dieta equilibrata e unaattivitàfisicaregolare.

Molto importante è il sup-porto psicologico che il fami-liare del paziente infartuato può dargli con un atteggia-mento equilibrato e non iper protettivo.

4. Lei ritiene utile che un infar-tuato sia seguito da uno psi-cologo? E se così è, perché?

Sì, è più che utile. La riabi-litazione cardiologica è parte importante nella gestione te-rapeutica dell’infarto miocar-dico. La componente psicolo-gica è una delle branche più significativedellariabilitazio-ne.

Lo psicologo ha il compito di aiutare il paziente, facen-dogli capire che la cardiopatia ischemica è una condizione seria ma che, nella maggior parte dei casi, consente di con-durre una vita assolutamente normale.

Il rischio maggiore che può correre un paziente dopo es-sere stato colpito da infarto miocardico è quello di lasciar-si andare ad una vita seden-taria con la paura che possa “capitare di nuovo”. Niente di più sbagliato. La ripresa di tutte le attività quotidiane dal “lavoro” alla “vita sociale”, insieme alla prevenzione se-condaria, sono indispensabili per una completa guarigione e per prevenire ulteriori car-diopatie.

SALVATORE MANGIAMELI

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Bellissima, signifi-cativa, entusiasmante - sono solo alcune espres-sioni di compiacimento che si sono sentite alla fine della rappresenta-zione, tenutasi subito dopo Natale, presso la palestra della nostra struttura “Casa di Cura Villa l’Ulivo, Carmi-de”.

I “nannareddi” è sta-ta una tradizione che si è riaffacciata grazie alla tenace volontà del gruppo “U peri alivu” con la collaborazione dei “Colapisci Band Orchestra” ed alla at-tenta direzione artistica del dott. Gabriele Ga-gliano e alla scrupolosa regia di Gianni Sineri che ha dettagliatamente illustrato lo svolgersi dell’evento.

La “cona”, il cui si-gnificato è stato magi-stralmente cantato da Melo Zuccaro e dal poeta Ciccio D’Arrigo e la “junta”: un procrastinarsi dell’esibizione. Momenti di vera commozione si sono vissuti allorquando la padrona di casa, Ida Cuomo e Rosanna La Ferla hanno descritto l’an-tica usanza.

I “nannareddi” erano dei modesti esecutori di nenie e canti natalizi vestiti miseramente e dietro commissione delle comari cantavano, poetavano, suonavano per un compenso molto esiguo, vino e biscotti, dinanzi ad un altarino (la cona, appunto) addobbato per l’occasione con una ghirlanda co-struita con rami, foglie e frutti quali: arance, man-darini e limoni. Il più delle volte la cona veniva saccheggiata dai fanciulli del luogo che, approfit-tando di una distrazione, la privavano da tutto ciò che era commestibile. Deriva da qui il detto: “Ti manciasti ’na cona”. Un pubblico attento, formato da medici, degenti e ospiti, ha ascoltato interessato ed entusiasta. Continui applausi ne hanno testi-moniato la gradevolezza.

Ed io... io ringrazio tutti per avermi dato la pos-sibilità di alleggerire, se pur brevemente, le fatiche del personale medico, paramedico ed amministra-tivo, nonché le preoccupazioni dei degenti.

Rappresentazione natalizia

L’accoglienza della baronessa Livia Scammacca è stata graditissima così dicasi della partecipazio-ne del dott. Antonio Circo, direttore responsabile della struttura, il quale si è intrattenuto sulle pre-stazioni che offre la Casa di cura Villa l’Ulivo, e fautore dell’evento, della signora Francesca Con-ti, coordinatrice infaticabile, di Alessio Giambra, sempre disponibile ed autore delle locandine.

Gli interpreti: Santo Privitera al mandolino, Salvo Pirrotta al violino, Angelo Costantino alla chitarra e la piccola Sofia Moschetto. Un fuori programma piacevole è stato offerto dalla poetessa Francesca Privitera. Gianni De Gregorio e Maria Luisa Spampinato hanno curato il servizio foto-grafico.

Con l’approssimarsi della Santa Pasqua l’Asso-ciazione ONLUS “Amici del Cuore” in collabora-zione con “I Colapisci Band Orchestra” e “U peri alivu” stanno elaborando due spettacoli da tener-si presso la Parrocchia Resurrezione del Signore a Librino e presso la Casa di cura Villa l’Ulivo, Carmide.

Arrivederci ai prossimi piacevoli incontri.NUNZIO SPITALIERI

Si riconoscono (in primo piano): Gianni Sineri, Francesca Conti, la baronessa Livia Scammacca, Santo Privitera, Francesca Privitera,

Antonio Circo, Gabriele Gagliano e Nunzio Spitalieri.

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RubricaLuminari della medicina

a cura di Mario Guzzardi

Il prof. Giuseppe Muscatello è stato uno dei più insigni clinici e docenti universitari della Sa-nità catanese del XX secolo. Fu uno straordinario medico, capace di riconoscere il tipo di patologia di cui soffrivano i suoi pazienti, con una tecnica raffinata che univa l’intuito alle sue profonde no-zioni scientifiche.

Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmen-te, come paziente, alla fine degli anni ’40 del seco-lo scorso. Mio padre aveva l’onore di essere anno-verato fra i suoi amici e nell’estate del ’48, ormai ottantenne, venne a visi-tarmi in casa mentre ero affetto di una grave ma-lattia di cui naturalmente non mi rendevo conto, a causa della mia giova-ne età. Né conoscevo lo straordinario livello cul-turale e sociale di questo “vecchietto”.

L’unica realtà erano per me le dolorose inie-zioni che mi prescrive-va. Solo molti anni dopo scoprii quanto fossi stato fortunato ad essere finito nelle sue mani!

Muscatello era un cli-nico eccezionale ed una volta, ad un nostro ami-co, diagnostico un tumo-re nel mediastino (la zona del torace fra i polmoni ed il cuore), semplice-mente auscultandolo, palpandolo e guardando-lo attentamente da tutte le parti, senza l’ausilio dei numerosi esami della medicina moderna.

Nato ad Augusta (SR) il 10 novembre 1866, si laureò in Medicina e chirurgia all’Università di Napoli nel 1889, a soli 23 anni. Esordì come assi-stente effettivo presso l’Istituto di patologia e clini-ca propedeutica chirurgica di Padova, completan-do quindi ed approfondendo la sua preparazione in Germania. Qui acquisì la conoscenza della lingua tedesca, cosa che gli permise di trarre vantaggio dallo studio dei testi e delle pubblicazioni di medi-cina di quel paese, che era, in quegli anni, ad altis-simi livelli di eccellenza.

Rientrato in Italia, fu docente di Patologia chi-rurgica nell’Università di Pavia nei primi anni del XX secolo e quindi, nel 1907 fu nominato profes-sore ordinario nell’Università di Catania, sempre di Patologia chirurgica e, successivamente, di Cli-nica chirurgica dal ’22 al ’37. Della nostra Uni-versità è stato Magnifico Rettore dal 1908 al 1910 e quindi dal ‘27 al ’37. Gli successe il giurista prof. sen. Orazio Condorelli, a cui abbiamo accen-nato in questa stessa rubrica (numero 2 (Ottobre-Dicembre 2010) nelle note biografiche del fratello

prof. Luigi. Nel 1932, istituì il Centro tumori, uno dei primi in Italia, aggregato alla clinica chirurgica dell’Universi-tà di Catania.

In campo scientifico, ha dato importanti con-tributi ai metodi per la sutura delle arterie e alla cura dei tumori del retto, nonché allo studio della trombosi, delle embolie, delle pancreatici, della struttura e della funzione assorbente del peritoneo, e della funzione di assor-bimento della pleura. Ha effettuato studi anatomi-ci e clinici sulle fessure congenite del cranio e della colonna vertebrale.

E’ stato anche deputa-to al Parlamento e sena-tore del Regno.

Il Comune di Augusta gli ha dedicato una stra-da ed anche il Comune di Catania ha intestato a suo nome la via su cui

sorge, ancora oggi, l’edificio della sua clinica pri-vata, ma non sono indicati né il nome né la profes-sione. Come al solito, nel nostro Paese. si continua a mandare nell’oblio la vita e l’opera delle persone che hanno meglio contribuito al progresso scien-tifico e che hanno onorato di più la loro terra con impegno e con la loro prestigiosa attività profes-sionale. Il semplice cognome non significa nulla per quelli che non l’hanno conosciuto.

E’ morto a Catania, il 1° agosto 1951, all’età di 84 anni.

Continuiamo la serie delle brevi biografie di medici che sono nati o che hanno esercitato prevalentemente a Catania, dove abbiamo avuto spessissimo professionisti d’avanguardia.

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Catania nel CuoreTrimestrale di informazione cardiologica

Direttore: Antonio Circo

Direttore responsabileSalvatore Vitale

Direttore editoriale: Mario GuzzardiComitato di redazione

Antonio Circo, Marcella Guzzardi,Mario Guzzardi, Nunzio Spitalieri, Francesco Turco, Salvatore Vitale

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Cena di Pasqua - venerdì 13 aprile

Camminando con il Cuore - domenica 27 maggio

Gita a Bronte (Ducea di Nelson)sabato 23 giugno