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#21 - La Città invisibile - Firenze

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La rivista di perUnaltracittà, laboratorio politico Firenze. Info su http://www.perunaltracitta.org. Un periodico on line in cui si dà direttamente spazio alle voci di chi, ancora troppo poco visibile, sta dentro le lotte o esercita un pensiero critico delle politiche liberiste; che sollecita contributi di chi fa crescere analisi e esperienze di lotta; che fa emergere collegamenti e relazioni tra i molti presìdi di resistenza sociale; che vuole contribuire alla diffusione di strumenti analitici e critici, presupposto indispensabile per animare reazioni culturali e conflittualità sociali. Perché il futuro è oltre il pensiero unico. Anche a Firenze e in Toscana

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perUnaltracittà, laboratorio politicoLA CITTÀ INVISIBILE #21 del 27 maggio 2015

PRIMO PIANO

Una Expo ai tempi del Jobs Actdi Clash City Workers - Toscana

In Italia il 20% più ricco ha il 61%della ricchezza nazionale, il 20%più povero appena lo 0,4%di Redazione

Fuorimercato: dai valori discambio allo scambio dei valoridi Francesco ValenteMondeggi Bene Comune

Attac e Rosa LuxemburgStiftung: per capire la crisie progettarne l'uscitadi Tiziano Cardosiattivista No Tunnel Tav Firenze

Arrivano i nuovi reatiambientali: fumo negli occhie nei polmonidi Gruppo di Intervento Giuridico

La Campagna "No AmiantoPubliacqua" boccia Enrico Rossie la sua giuntadi No Amianto Publiacqua

Due leggi per il suolodi Ilaria Agostiniurbanista, attiva nel laboratorioperUnaltracittà

Altre notti per Firenzedi Roberto Budini Gattaiarchitetto, attivo nei Comitatie in perUnaltracittà

Area ex Fiat di viale Belfiore:vista dall'alto dal 1943 ad oggidi Paolo Degli Antonidottore forestale, Comitato Ex FiatBelfiore-Marcello

Consultorio laico a Firenzedi Franco TrisciuoglioCircolo UAAR di Firenze

Podemos, una nota sui risultatidelle elezioni in Spagnadi Luca Raffinisociologo, socio fondatoredell’associazione Sottosopra -Attivare democrazia

LE RUBRICHE

Primavere Arabea cura di Gianni Del Pantastudioso di Scienza politica,attivista di perUnaltracittàPolitica e tessuto urbano alCairo: un reportage, di G.D.P.

Cultura si, cultura noa cura di Franca Falletti,ex direttrice della Galleriadell'AccademiaMusei: ma quanto si concedea questi concessionari? di F.F.

Pistoia, l'altra faccia della pianaa cura di Antonio Fiorentinoarchitetto, vive e lavora tra Pistoiae Firenze, attivo in perUnaltracittàL'area Ex-Breda di Pistoia: uncaso di urbanistica maltrattatadi A.F.

Kill Billya cura di Gilberto Pierazzuoli,attivo in perUnaltracittàPer un necessario abitare civile,di Sergio Brennadocente di Urbanistica presso ilPolitecnico di Milano

Ricette e altre storiea cura di Barbara Zattonie Gabriele Palloni, chef attiviin perUnaltracittàSalsa Crudaiola o Grattachecca,di G.P.

La Città invisibile è un periodico on line in cui si dà direttamente spazio

alle voci di chi, ancora troppo poco visibile, sta dentro le lotte o esercita

un pensiero critico delle politiche liberiste; che sollecita contributi

di chi fa crescere analisi e esperienze di lotta; che fa emergere collegamenti

e relazioni tra i molti presìdi di resistenza sociale; che vuole contribuire

alla diffusione di strumenti analitici e critici, presupposto indispensabile

per animare reazioni culturali e conflittualità sociali.

Perché il futuro è oltre il pensiero unico.

Anche a Firenze e in Toscana.

LA CITTÀ INVISIBILEVoci oltre il pensiero unico

Direttore editoriale Ornella De ZordoDirettore responsabile Francesca Conti

www.cittainvisibile.infowww.perunaltracitta.org/la-citta-invisibile

Testata in attesa di registrazione

EDITORIALE SOMMARIO

Cari/e amici/e,

le notizie migliori di questi giorni vengono dall'estero. In

Irlanda ha vinto il referendum per il matrimonio di coppie

gay e lesbiche e per una volta i diritti di una minoranza

sono stati sostenuti dalla maggioranza della popolazione:

una bella lezione di civiltà. In Spagna due città importanti

come Barcellona e Madrid saranno governate da due

donne che sono state espresse da realtà dal basso (Ada

Calau fa parte del movimento antisfratti) e non dalle forze

partitiche tradizionali. Dalla Grecia arriva finalmente un

messaggio chiaro: il debito non verrà pagato perché non

può essere pagato.

Nella rivista troverete articoli su realtà internazionali

come Spagna e Egitto, e sulla situazione italiana con

interventi su Expo e Jobs Act e su pratiche alternative

nate nell'ambito di Genuino Clandestino e nel convegno

romano Attac e Rosa Luxemburg, e poi un commento ai

dati sulla povertà in Italia e uno sulla recente legge dei

reati ambientali.

Sul fronte locale contributi su due leggi per il suolo, sulle

trasformazioni dell'area ex Fiat e poi proposte alternative

per gli spazi della notte, la nascita di un consultorio laico,

la conclusione della campagna NoAmianto.

Nelle rubriche un pezzo sui musei e lo strapotere dei

concessionari, una recensione a due libri di urbanistica,

una ricetta; inoltre, rispondendo a sollecitazioni che

vengono anche da voi che ci leggete inizia con questo

numero una nuova rubrica dedicata a Pistoia e al suo

territorio, che abbiamo chiamato Pistoia, l'altra faccia

della Piana.

La redazione

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PRIMO PIANO

Una Expo ai tempi del Jobs Actdi Clash City Workers - Toscana

Cosa è una Esposizione Universale, o almeno cosarappresenta dal punto di vista economicoLasciamo perdere per un momento i titoliroboanti che negli ultimi anni sono stati assegnatialle Expo: a Lisbona, nel 1998, il tema era "GliOceani. Un'eredità per il futuro"; in Giappone, nel2005, era la "saggezza della natura"; mentre, oggia Milano ci si domanda come meglio "nutrire ilpianeta". Il poco spazio a nostra disposizione ciimpedisce di de-costruire il discorso attraversocui Expo è continuamente giustificata: nonpotendo partire dalla superficie dell'evento perevidenziarne le contraddizioni, in questo articoloci limitiamo a definirne la sostanza.Da un certo punto di vista Expo si può annoverarenella categoria dei Grandi Eventi. E come lamaggior parte dei grandi eventi, serve a muoveree accaparrare enormi capitali per lo più pubblici.Expo 2015 Spa è una società partecipata per il 40%dal Ministero dell'Economia, per il 20% daRegione Lombardia, per il 20% dal ComuneMilano, per il 10% dalla Provincia di Milano e peril 10% dalla Camera di Commercio IndustriaAgricoltura e Artigianato. Expo, dunque, èfinanziata con i nostri soldi.D'altra parte, ciò che si ricaverà dalla kermesseandrà a vantaggio dei privati, che avranno la"fortuna" di poter esporre i propri prodotti. Chela fortuna è la virtù dei forti lo diceva Machiavelli.Per questo "i forti", cioè quelle impresemultinazionali in grado di muovere equilibripolitici o di pagare a Expo Spa una grossa cifra-per diventare sponsor dell'evento, per esempio -godranno, più degli altri, del sacrosanto dirittoall'accumulazione di capitale. Alla faccia della"libera concorrenza" che i loro giornali e le lorotelevisioni sbandierano quotidianamente. Soloper fare un esempio, ha fatto abbastanza scalporela vicenda del lotto di 8.000 mq assegnato a Eataly- la multinazionale del (cattivo) gusto proprietàdella famiglia Farinetti - per circa 2,2 milioni dipasti previsti, la visibilità internazionale e una

valanga di soldi. E non è stato un caso isolato.Insomma, a fare due più due ci vuole poco: Expo -almeno da un punto di vista economico - esprimebene un movimento tipico nelle crisi delcapitalismo, ossia la socializzazione delle perditee la privatizzazione degli utili.

Costruire l'eccezionalità per trarne il massimo profittoQuanto lavoro in Expo? Per convincere chi paga letasse a spendere soldi pubblici, al solo fine difavorire dei gruppi privati, bisogna addurre deibuoni motivi. Così nel 2013 è stato pubblicato"L'indotto di Expo 2015", un'analisi dell'impattoeconomico del grande evento milanese nelperiodo compreso tra il 2012 e il 2020. Lo studio,promosso dalla Camera di Commercio e dallaSocietà Expo 2015 spa, è stato curato da alcuniprofessori della Bocconi, che hannosemplicemente rispolverato e aggiornato unaprecedente ricerca (datata 2008) utilizzatadurante la gara per l'assegnazione Expo 2015 evinta dalla città turca di Smirne.Le cifre contenute nel report del 2013 sonoabnormi rispetto alla realtà. Così scrivono gliautori: "Sotto l'aspetto occupazionale, si stima unvolume totale di occupazione attivata pari a 191mila unità di lavoro annue", precisando che perunità di lavoro "si intende l'impiego di unlavoratore a tempo pieno per un anno". Adistanza di quasi due anni dalla pubblicazionedello studio della Bocconi la situazione nonpotrebbe presentarsi più distante da quelleprevisioni a dir poco fantasiose.Nel luglio 2014, infatti, Giuseppe Sala,amministratore delegato di Expo spa, si è vistocostretto a ridurre i numeri a 15/16mila personeimpiegate nel sito espositivo tra la costruzione deipadiglioni e i sei mesi espositivi. Per il momentoquelle di Sala rimangono mere previsioni, datrattare con molta cautela, visti i precedenti. Adoggi gli unici numeri reali di cui disponiamo, sonoquelli registrati dalla provincia di Milano, chesuperano di poco i 4.500 posti di lavoro per circa1.700 aziende. Nel 45% dei casi si tratta dicontratti a tempo determinato, mentre i contrattia tempo indeterminato coprono una fetta del 25.Ma un sistema informativo che indichi concertezza la forza-lavoro utilizzata dalle imprese

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che ruotano intorno a Expo non esiste. Né èpossibile distinguere tra le persone assunte peropere già progettate prima e indipendentementeda Expo e per quelle opere propriamenteconnesse all'esposizione. Se infatti la provincia diMilano si è dotata di un sistema di monitoraggiodei posti di lavoro "creati" dall'esposizione, lostesso non ha fatto la Regione Lombardia, né lealtre province lombarde. Così nel calderone delconteggio finale stanno finendo anche posti dilavoro e settori economici che con Expo nonc'entrano nulla.Insomma, dati alla mano, ci sembra che il tantodecantato rilancio dell'occupazione, che avrebbedovuto ottenersi grazie a Expo, si stia rivelandouna grande bufala.

Dalla fantasia alla realtà: lavorare di più per menosalario. Anzi, per nientePer la verità, non solo i posti di lavoro creati daExpo sono molti meno del previsto, ma si vaprefigurando un modello di relazioni industrialiniente affatto vantaggioso per i lavoratori: Perora, infatti, gli assunti regolari da parte di Expospa sono circa 800 di cui 195 tirocinanti concontratti a termine per la durata della fiera e consalari che viaggiano tra i 400 e i 500 euro al mese.ll 26 gennaio scorso, è stato annunciato dallostesso AD Sala l'avvio da parte di ManpowerGroupdei procedimenti di selezione di altre 5.000 figureprofessionali per i padiglioni dei Paesi stranieri.Tra le competenze richieste ai candidati ci sono"dinamismo, iniziativa, capacità di lavorare ingruppo e determinazione, ma anche disponibilitàal lavoro su turni (compresi sabato e domenica efestività), conoscenza delle lingue, ottimecapacità relazionali e di gestione dello stress". Sitratta di lavoro remunerato, nell'ordine dei 700-800 euro mensili con orari flessibili 7 giorni su 7.Il grosso della forza lavoro tuttavia lo forniranno ivolontari. Si avete capito bene, V-O-L-O-N-T-A-R-I. Si tratta di decine di migliaia di lavoratori, divisiin tre gruppi. Il primo gruppo sarà formato dacirca 10mila unità (erano 18.500 nell'accordo con isindacati confederali del luglio 2013), che sarannorimborsati con un buono pasto al giorno, e chedovranno alternarsi in piccoli gruppi, impiegatiper due settimane, cinque ore al giorno, in

"attività ausiliare. Il secondo gruppo saràcomposto dai "volontari per un giorno" delComune di Milano che dovranno offrire ladisponibilità del proprio tempo per un lunedì ascelta durante i sei mesi dell'evento e lavorarecon una delle aziende partner dell'esposizioneuniversale e a quelle aderenti alla FondazioneSodalitas. In questo stesso gruppo saranno inseritii mille volontari reclutati dal Touring Clubattraverso il progetto "aperti al mondo".L'obiettivo è quello di coinvolgere mille personeper la "valorizzazione del patrimonio culturale" ilcui contributo gratuito servirà a rafforzarel'"offerta culturale" di Milano durante l'Expo.L'ultimo gruppo è composto dai 140 ragazzi cheverranno selezionati dall'Expo nell'ambito delservizio civile. Assisteranno full time leassociazioni e le delegazioni dei paesi cheparteciperanno all'esposizione universale; essen-do reclutati dal servizio civile, riceveranno 433euro mensili a testa per 12 mesi. Se consideriamoche, stando ai dati forniti dal coordinamentonazionale dei centri di servizio per il volontariato(Csvnet), il 62% dei volontari ha un'età inferiore ai24 anni e studia, comprendiamo bene come Exponon solo non ha contribuito all'aumentodell'occupazione, ma ha notevolmente appro-fondito l'utilizzo di contratti precari, lacompressione dei salari e la flessibilità totale deilavoratori, andando persino a reclutare i proprivolontari nelle scuole e nelle Università.

Lo Stato infrange le sue stesse regole. E il sindacato glida una manoSenza toccare tutti gli aspetti urbanistici, ilballetto degli appalti e gli aspetti raccapricciantiaperti da una governance autoritaria delterritorio, possiamo tranquillamente dire cheExpo - anche dal punto di vista delle relazioniindustriali - è un modo attraverso cui lo Statoinfrange le sue stesse regole. In favore,naturalmente, degli imprenditori.Riguardo al lavoro volontario, infatti, un'azionelegale dai risvolti deflagranti è stata intentata daun gruppo di lavoratori non pagati affiancati daalcuni giuslavoristi attivi all'interno dell'associa-zione Forum Diritti-Lavoro. L'esposto denuncia laviolazione da parte di Expo spa della legge quadro

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del 1991 sul volontariato e quella che vietal'interposizione illecita di manodopera. Secondoquesta normativa, per volontariato s'intendeun'attività "prestata in modo personale,spontanea e gratuita" per un'organizzazione"senza fini di lucro anche indiretto edesclusivamente per fini di solidarietà", ma comeabbiamo visto Expo è un evento interamentefinalizzato alla creazione di profitto, per quantomascherato dietro un tema nobile come "Nutrireil mondo".Inoltre, come illustrato in precedenza, i"volontari" verranno utilizzati per accogliere ivisitatori all'ingresso, indirizzare verso lebiglietterie e le aree di prenotazione, dareinformazioni e distribuire materiali, attività cherientrino a pieno titolo nelle mansionitradizionalmente assegnate all''assistentefieristico': "non è sufficiente il 'nomen iuris' divolontario per escludere la sussistenza di unrapporto di lavoro."Il bello è che l'operazione dei volontari si è resapossibile grazie a un accordo stipulato nel luglio2013 tra Expo spa e i sindacati confederali CGIL,CISL e UIL. Se le condizioni del lavoro non pagatosono state stabilite nell'accordo del luglio 2013, itermini della non belligeranza con i datori dilavoro si trovano nell'accordo quadro del maggio2014. Dal 2010 i sindacati hanno individuatonell'Osservatorio Partecipanti il luogo unico dellerelazioni sindacali tra i datori di lavoro e leorganizzazioni sindacali nei mesi di Expo.L'Osservatorio, si legge nel testo dell'accordo, è lasede unica dove le organizzazioni sindacali "siimpegnano ad affrontare le relazioni sindacali equalunque controversia con gli appaltatori e iprestatori d'opera". L'accordo prevede chedavanti a "qualunque conflitto, individuale ocollettivo, dovesse", i sindacati si impegnano adadottare una "procedura di conciliazioneobbligatoria, preventiva a qualunquedichiarazione o azione unilaterale".In base alla procedura prevista, va inviataall'Osservatorio una comunicazione scritta con unpreavviso di minimo dieci giorni indicando laproblematica da affrontare. Entro tre giorni vieneavviata la conciliazione da parte dell'aziendainterpellata, che si impegna a concludere la

conciliazione nel giro di cinque giorni. In altreparole, in Expo non si sciopera.

Cosa possiamo fare noiDi Expo ormai si parla solo in termini di vetrineinfrante e "black block". Forse però se ne parlaancora poco in termini di abbattimento del dirittodel lavoro, di devastazione del territoriomilanese, e di trasferimento abnorme di soldipubblici in mano ai privati senza alcun beneficioper la collettività. Per quanto costituisca unevento isolato, Expo rappresenta un ottimo testper spingere in avanti la distruzione dei diritti deilavoratori. Il contesto politico in cui esso è calatonon è affatto idilliaco, anzi: con l'ideazione delJobs Act il Governo, come mai era stato fattoprima, sta generalizzando la precarietà a tutti isettori lavorativi, inasprendo le divisioni e lecontraddizioni già presenti nel mondo del lavoro.Per questo bisogna prima di tutto sapere e farsapere cosa si cela dietro le superfici patinatedella kermesse.Non solo: se è vero che "dove va il capitale va ilconflitto", allora possiamo aspettarci piccolelotte, vertenze e ribellioni da parte dei lavoratoriche attraverseranno Expo. Hanno già scioperato(e sciopereranno nuovamente) i lavoratori diATM, l'azienda di trasporto pubblico i cuidipendenti saranno costretti a una pienadisponibilità oraria (in assenza di un serio pianodi assunzioni) per rendere agevole il trasporto dei20 mln di visitatori attesi. Si parla di defezioni daparte dei lavoratori belgi.Bisogna dare sostegno e visibilità a queste lotte,coordinarle, provare a vincere. Perché ogni colpoinferto al modello Expo è un colpo infertoall'ideologia del Jobs Act. È un momento di presadi coscienza e di unione tra lavoratori di diversipaesi. Nel passato, le Esposizioni Universali hannocontribuito a cementare, tra operai di diversaprovenienza, forti legami di conoscenzareciproca. Questi ultimi, sopravvissuti alleesposizioni stesse, hanno permesso lamaturazione di un movimento operaiointernazionale. Oggi, nell'era delle multinazionalie delle delocalizzazioni competitive, occorrericostruire nuove solidarietà per poter vincere.Non lasciamoci sfuggire l'occasione.

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In Italia il 20% più ricco ha il61% della ricchezza nazionale, il20% più povero appena lo 0,4%.di Redazione

In Italia l'1% della popolazione detiene il 14,3%della ricchezza nazionale netta. il 5% più riccodella popolazione detiene il 32,1%. Il 20% più riccodetiene il 61,6%.  A fronte di questo, il 20% piùpovero appena lo 0,4%. Il 40% più povero solo il4,9%. A dirlo è l'OCSE, che rileva che la ricchezzanel nostro paese è distribuita in modo moltodisomogeneo e, aggiunge, dal 2007 al 2011 le cosesono peggiorate: nell'arco di quei 5 anni i piùpoveri hanno perso reddito per il 10% mentre ipiù ricchi appena per l'1%. Sono dati che sicommentano da soli e ci dicono che la crisiconclamata ha allargato la forbice già esistentetra ricchi e poveri. Per di più analizzando meglio idati, si vede che il tasso di povertà tra le famiglieitaliane di lavoratori autonomi, precari, part timeè al 26,6%, contro il 5,4% per quelle di lavoratoristabili; per quelle di disoccupati sale al 38,6% . Ilche ci fa capire in che direzione sta andando unpaese che ha affidato al Jobs Act lariorganizzazione del mondo del lavoro. E aproposito di debito, certamente non è lapopolazione italiana spendacciona visto che,nonostante tutto, l'Italia è il Paese dell'area con laminor percentuale di famiglie indebitate: il 25,2%,davanti a Slovacchia (26,8%), Austria (35,6%) eGrecia (36,6%), e ben lontana dai livelli delle altredue grandi economie dell'eurozona, Francia(46,8%) e Germania (47,4%), della Gran Bretagna(50,3%) e degli Usa (75,2%). Quel debito che oratutti siamo chiamati a pagare non lo abbiamoprodotto noi! Dal 1990 al 2013 la quota salari sulPil, cioè la parte di reddito che va ai lavoratoririspetto a quella che va ai profitti e alle renditefinanziarie e immobiliari, è diminuita del 7%passando dal 62% al 55% sottraendo ai redditi dalavoro 100 miliardi l'anno (L. Gallino). Il mantradella competitività ad ogni livello, l'attacco a tuttii diritti dei lavoratori, l'ossessione per lariduzione del costo del lavoro, non sono altro chestrumenti per proseguire questa polarizzazione ecostruire una società sempre più diseguale. Al di

là delle chiacchiere vuote su qualche zero virgoladi "ripresa", deve essere chiaro che questo èesattamente il prodotto consapevole e perseguitodell'attuale forma di produzione, così comedobbiamo essere coscienti della irriformabilità diquesto modello produttivo.

Fuorimercato: dai valori discambio allo scambio dei valoridi Francesco Valente

Mondeggi Bene Comune

Nell'ambito delle reti dei movimenti, si èrecentemente aperto un dibattito che ha peroggetto la pensabilità e la praticabilità diun'organizzazione sociale altra e parallelarispetto a quella vigente. Il punto di partenza ditale ricerca è stata la constatazione piuttostofrustrante riguardo la scarsa rappresentativitàgenerale di un progetto di organizzazione-altradella convivenza umana, per la verità talvoltaabbastanza confuso per gli stessi promotori. Ineffetti questo progetto né si è imposto all'ordinedel giorno del dibattito sociale, né è riuscito adefinirsi in chiari termini teorici, né ha trovato ilmodo di tradursi in forme concrete. Forse oggisiamo in condizione di andare oltre questi limiti.Partiamo dalla base. Un'organizzazione socialepuò essere descritta in vari modi, ad esempiocome insieme coordinato di un certo numero diprocessi sociali che sviluppano la loro dinamicasecondo modalità ispirate alle concezionidominanti. Se prendiamo in considerazione ilprocesso economico nell'attuale periodo storico,schematizzando molto si può affermare che essosi sviluppa in ogni fase (produzione, circolazione,ecc.) applicando pratiche e dispositivi orientatiall'ottenimento dell'utile individuale econfigurando come merci sia i prodotti (materialio immateriali) che i servizi. Anche il processoculturale, a prescindere dall'ambito che investe(ricerca scientifica, espressione artistica,elaborazione teorica, ecc.), tende comunque aseguire lo stesso tracciato di svolgimento. In altriprocessi si applicano invece procedure specifiche

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come quella della democrazia rappresentativa edelegata per il processo politico, ecc. Ma ciò che ècomune a tutti i processi è la riconoscibilecoerenza di senso degli istituti e delle modalitànelle quali si articola il loro flusso.Da questo punto di vista, una concezioneradicalmente alternativa non riesce a definire e avalorizzare un modello-altro se non sostituisceistituti e dispositivi di quello dominante con altriin evidente relazione con il proprio diversoorientamento. Si tratta di una considerazioneaddirittura banale. Rimanendo nella sferaeconomica, è ben per questo motivo che vienegiustamente sottolineata la carica innovativadell'agricoltura contadina attuata nel rispettodella biodiversità, dell'equilibrio ecologico delterritorio, della sua salvaguardia, ecc. Non c'èdubbio che tali pratiche, ove non inserite in unastrategia di green business, rappresentino unacritica quanto mai concreta del modellodominante e dei suoi fondamenti. Inoltre,esperienze come quella di Mondeggi chedichiarano il territorio Bene Comune ecostruiscono una relazione conseguente conl'ambiente naturale e sociale, intraprendonopercorsi reali in contraddizione assoluta conquelli capitalistici egemoni. Connotati di alterità,seppure a livelli diversi, si possono reperire anchenella produzione e nella (auto)gestione in molteesperienze anche differenti dalla tipologiamondeggina, come nel caso delle Comuni, deglieco-villaggi, delle occupazioni urbane (immobilisfitti, centri sociali, ecc.). Si tratta di un panoramavariegato che opera concretamente in terminispesso radicalmente differenti da quelli impostidall'ideologia dominante, seguendo percorsi dioggettiva de-valorizzazione del modellocapitalistico.E tuttavia, se tali percorsi non ricostruiscono sullenuove basi la traiettoria completa dei processisociali (o almeno di alcuni di essi), l'obiettivogenerale della critica pratica alle forme egemonidella struttura sociale viene completamentemancato. Sempre considerando il processoeconomico, se si caratterizza la sua faseproduttiva con tecniche, motivazioni e rapportidal significato fortemente anti-capitalistico,quindi suscettibili di instaurare relazioni

equilibrate con l'ambiente naturale e mutuali conl'ambiente sociale; ma poi si fa confluire laproduzione così de-mercificata sul mercatocapitalistico delle merci scambiandola conmoneta-debito, è evidente che si riattiva lavalorizzazione del modello dominante di quelprocesso. Il fatto che nel mercato vengaostentatamente occupato uno spazio "polemico",una nicchia dichiarata "alternativa", non inibiscel'operatività (tanto fattuale che simbolica) deidispositivi imperanti, nella fattispecie quellibasilari della mercificazione e dellamonetarizzazione del prodotto. La percezionecomune, anche quella più avvertita, si formeràallora l'idea - abbastanza corretta, dati glielementi di analisi a disposizione - che il processoeconomico capitalistico, magari dovrebbe essereregolamentato per renderlo più compatibile conl'ambiente e gli interessi collettivi, mafondamentalmente non presenta alternativestrutturali possibili se perfino chi lo contesta conforza ne riproduce lo schema costitutivo. Lacritica serrata al modello egemonico, operatanella fase produttiva e gestionale del processo, sirisolve alla fine in un suo oggettivo ritorno invalore, in un rafforzamento della sualegittimazione e dunque della sua preminenza,una volta entrati nella fase della circolazione.Non si intende qui negare il valore delle scelte edei comportamenti che negli ultimi decennihanno avuto l'indiscutibile merito di allargare adismisura l'orizzonte della riflessione collettiva ela complessità dei suoi riferimenti. Un esempioemblematico è fornito dalla protesta ecologistache ha innalzato di molto il livello dellaconsapevolezza generale. Nondimeno l'ideafrancamente ingenua che il problema non sia losviluppo capitalistico in sé ma l'assenza di uncontrollo che ne garantisca la sostenibilità,continua a godere di notevoli consensi. Anchequest'ultima osservazione ci porta in definitiva aribadire il concetto espresso: una ristrutturazionedei processi sociali che non ne coinvolga l'interoarco di sviluppo, cioè che limiti la realizzazionedelle proprie istanze innovative ad alcune fasi delprocesso, non incide in termini significativi(neanche in prospettiva) sugli assetti consolidatianzi, paradossalmente, finisce per valorizzarli

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promuovendone una forma più sostenibile equindi più adatta alla loro riproduzione.Un'alterità segmentale di questo tipo che investesolo alcuni momenti di quei processi, è forse ingrado di alludere a un progetto di socialità-altrama non di prefigurarlo, né di costituire unasoluzione eleggibile per il disagio sociale pur cosìampiamente diffuso. Va infatti evidenziato che laristrutturazione solo parziale del processoeconomico non riesce a rispondere a tale disagioné per l'aspetto materiale, perché normalmenteimplica un aggravio dei costi per il consumatore eancor più per il produttore; né per quello etico-culturale perché, come abbiamo notato, non sitraduce in una mutazione decisiva del modellodato e dei suoi fondamenti, quindi non riesce aliberare una diversa prospettiva e il riccopotenziale di relazioni sociali non utilitaristicheche vi è connesso.Nasce da qui la necessità di un'iniziativa deimovimenti che punti alla costituzione di unospazio sociale nel quale reti locali e sovra-localipossano connettersi costruendo processieconomici, politici, culturali i cui percorsi disviluppo siano interamente distaccati dagliistituti e dai dispositivi capitalistici. Reti nellequali la configurazione dei processi e di ogni lorofase sia conseguente con il sistema di significati el'orizzonte di senso di cui i movimenti dicontestazione radicale sono promotori. Perquanto concerne il processo che abbiamo sinoraseguito più attentamente, ovvero quelloeconomico, si tratta di estendere la contestazionepratica al modello dominante dimettendone lepratiche di scambio basate sulla liberaespressione della dialettica domanda-offerta eabolendo lo strumento monetario ufficiale.Ovvero di costruire uno spazio autogestito,strutturalmente distinto e parallelo rispetto aquello ufficiale, nel quale sviluppare processisociali tendenzialmente autonomi rispettoall'esistente per tutta la traiettoria del lorosviluppo. Uno spazio nel quale lo scambio direttoe differito sia realizzabile utilizzando unostrumento monetario che non rappresenti nédebito né deposito di valore, ma soltanto il mezzoper commisurare i termini di un'interazioneumana e per registrarla. Un simile scenario

richiama infatti l'esigenza di una ridefinizionedella strumentazione legata allo scambioeconomico, ovvero un progetto di "de-monetarizzazione" dello scambio sul quale si stada qualche tempo lavorando. Appare infattievidente l'assoluto anacronismo della monetaufficiale in un circuito strutturalmente altro chenecessita di uno strumento rispondente alleesigenze non di controllo/comando sociale e diincremento della rendita consentita al suopossesso eccessivo, bensì di regolazione dellerelazioni di scambio comunitario tra co-attori nonpiù individualisti e utilitaristi.Nei sistemi locali, i cosiddetti LETS (localexchange trading system), tale funzione è stata edè svolta dalle monete complementari ma anchedal tempo. Tali sistemi vantano ormai una certatradizione tanto in Italia che altrove, ma ingenere presentano tutti dei limiti che hanno a chefare con lo scarso numero e una certa uniformitàsociologica dei soggetti coinvolti, con lamarginalità economica delle competenze e deglioggetti scambiati, con l'assenza di una prospettivaesplicitamente innovativa. Se poi si considera che,soprattutto nel nostro Paese, questi spazi diinterazione socio-economica spesso sono statiallestiti per rispondere a bisogni relazionali origuardanti la cosiddetta "economia delquotidiano" che il mercato non può né trovaconveniente soddisfare, si capisce come sovente cisi muova in una prospettiva di sussidiarietà,insomma che si tenda (soprattutto in caso digestione istituzionale del circuito) a tamponare lefalle interstiziali del sistema esistente più che acostruirne uno alternativo. Da questo punto divista, rifarsi a esperienze precedenti potrebbedimostrarsi di non molto aiuto.All'inizio dicevamo del dibattito apertosiall'interno delle reti della contestazione sociale.Nell'ultimo incontro nazionale di GenuinoClandestino (una rete di movimenti legati allaterra) tenutosi recentemente a Vicenza, un tavolotematico ha proposto l'organizzazione di nodidistributivi, cioè di centri logistici in grado difacilitare la circolazione dei prodotti dellacoltivazione biologico-contadina e di alcune lorotrasformazioni artigianali. Uno di detti nodi è inrealtà da tempo operativo nella zona a sud-ovest

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di Milano ed è frutto della collaborazione trarealtà diverse come la fabbrica recuperata eautogestita RiMaflow e la cooperativa calabreseSOS Rosarno che riunisce solidarmente coltivatorie migranti. L'incontro attivamente ricercato traquesta esperienza, alcuni GAS milanesi e GC, haappunto prodotto Spazio Fuorimercato che sipropone come piattaforma logistica autogestitaper la costruzione di percorsi distributivialternativi a quelli della Grande DistribuzioneOrganizzata. L'idea è quella di puntareall'insediamento di una o più reti comunitarielocali e sovra-locali nelle quali i produttoriinsieme ai consumatori autogestiscano i bisognidi entrambi e le modalità della loro soddisfazione,costruendo filiere ove possibile totalmenteindipendenti dai circuiti tradizionali. Lo si è giàaccennato, ma conviene sottolineare come talifiliere non riguardino solo il settore agricolo.Nell'assise vicentina sono stati esplicitamentecitati casi di filiere industriali complete già incondizione di essere inserite in circuiti autonomie paralleli rispetto al mercato ufficiale e lo stessosi potrebbe dire delle filiere di servizi come lecucine popolari o le scuole autogestite chevantano ormai una certa tradizione extra-istituzionale.In termini più espliciti e generali significa che laproduzione contadina rispondente a criteri anti-capitalistici ben definiti - come la piccola scala, lacoltivazione biologica, l'assenza di sfruttamentodella manodopera, ecc. - si può scambiare conaltri prodotti o servizi rispondenti a critericonsimili, indipendentemente dai circuiti e daglistrumenti (tipicamente quelli monetari) ufficiali edalla loro modalità di attribuzione del valore. Inquesta dimensione, lo spazio sociale dello scambio(non solo economico) non costituisce il terreno dimanifestazione della dialettica competitiva tra ivalori di scambio delle merci, ma l'area nellaquale si intreccia lo scambio mutuale dei valorid'uso prodotti da coloro che la definiscono e laauto-gestiscono.Come segnalato dai promotori dell'iniziativa,questa prospettiva implica un riassetto non soloeconomico, ma anche culturale dell'impiantosociale che si intende sperimentare. Insomma una"sovversione cognitiva" (prendendo a prestito

una locuzione di Latouche) che investa i codicilinguistici, le motivazioni individuali, gli obiettivisociali, gli orizzonti di senso, ecc. Una sorta dimutazione socio-culturale che appare sempre piùmatura e talvolta realizzata in spezzoni diiniziative che occorre mettere in relazionesistemica consapevole, per liberarne la capacità divalorizzare un modello-altro di aggregazioneumana. Non si tratta di redigere il libro dei sognio di rilanciare ideologicamente la posta politica:la proposta costruita dalla confluenza di unapluralità di apporti manifestatisi negli ultimi mesie che ha occupato il dibattito del tavolo vicentino,è certamente molto avanzata ma tutta interna alledomande provenienti da settori di movimentoradicati nei territori e alle risposte che si stanno(talvolta da tempo) cominciando a formulareconcretamente.

Attac e Rosa LuxemburgStiftung: per capire la crisie progettarne l'uscitadi Tiziano Cardosi

attivista No Tunnel Tav Firenze

Il 15 e 16 maggio 2015 si è tenuto a Roma uninteressate convegno organizzato da Attac Italia edalla tedesca Rosa Luxemburg Stiftung. La corniceè stata quella accogliente dello spazio autogestitoESC Atelier a Roma nel quartiere di San Lorenzodove una creatività artistica discreta, ma moltoefficace, ha circondato i partecipanti.Il programma, stimolante fin dalla locandina, èstato un viaggio di due giorni nei temi principaliche stanno alla base del disastro cui ci stiamoassuefacendo. Il principale merito di questoincontro è stato quello di dare a tutti strumenti dilettura del modello economico del liberismo: tuttele promesse di radiosi futuri che sarebbero natidal fantomatico "libero mercato" sono andatesmentite crudamente dai fatti, ma l'ideologia chene è alla base non è in grado di ripensare sestessa, né di proporre alternative; solo ulterioridosi di veleno liberista sarebbero capaci dirianimare il corpo moribondo e stagnante del

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sistema.L'analisi puntuale di Antonio Tricarico ha saputosvelare i meccanismi di un sistema finanziario,ormai slegato dall'economia reale, che si inventastrumenti sempre più raffinati e esoterici perottenere guadagni a scapito dell'umanità cuidovrebbe essere al servizio. Un po' sfumata,secondo chi scrive, la constatazione che lastagnazione italiana ed europea, nonché la crisiglobale del capitalismo, non è tanto figliadell'ipertrofia finanziaria (che certamente viincide con forza), ma è un problema strutturaledel capitalismo contemporaneo. L'enormeaccumulazione di ricchezza derivata dallafinanziarizzazione avrebbe bisogno di nuovimercati per trovare opportune occasioni diinvestimenti, ma è proprio dai limiti del mercatoglobale che ha origine questa crisi.Correttissima è stata l'analisi che non prevede peril futuro alcuna possibilità di redistribuzione dellaricchezza (come invece ancora continuano araccontare sedicenti sinistre moderate che ormaihanno scavalcato Berlusconi a destra), anzi la"trappola del debito" è un ulteriore strumento diconcentrazione di risorse a scapito dellacollettività. Utilissimi sono stati l'analisi e ildibattito sul fallimento (perché di questo si tratta)delle privatizzazioni a livello europeo e globale;l'analisi di David Hall (PSIRU) è stata impeccabilein questo: ha mostrato come non siano derivatibenefici dai processi di privatizzazione per lecomunità, come anzi si stia ripensando il modelloin molte parti del mondo (purtroppo non inItalia). Utile è stato l'excursus di Pablo Sànchez(European Public Service Unions) sulle politichesindacali europee, anche se si è soffermatosoprattutto sulle varie resistenze nazionalimostrando l'imbarazzo del mondo sindacale adelaborare strategie a livello continentale cheormai sarebbero irrinunciabili; questo haconfermato la debolezza e la marginalizzazionedel mondo del lavoro in Europa.Interessante il dibattito sulla concezione dei "benicomuni" tra Paolo Maddalena, Maria RosariaMarella e Paolo Berdini; al di là delle diversesfumature che possono esistere tra loro, lariflessione su questi temi si è fatta ormai matura eoffre strumenti utili per impostare una nuova

convivenza non più basata sul totalitarismo delprofitto. Il panorama delle resistenze al deliriodelle privatizzazioni e dello sfruttamento delterritorio è stato ovviamente simbolico (in Italiaesistono decine di migliaia di gruppi in lotta), maefficace nel far capire la dinamicità di un corposociale che cerca disperatamente di reagire. Inparticolare, sullo sfondo, è sempre presentequesto incredibile modello rappresentato dallalotta NO TAV in Val di Susa dove, attorno ad unalotta specifica, si è ricostruita una coscienzacollettiva capace di essere alternativa sistemica.Interessantissima l'analisi del decreto "sbloccaItalia", vanto del governo Renzi, che non è altroche una resa incondizionata da parte dellapolitica agli interessi di poche imprese private(quasi sempre multinazionali) per appropriarsidelle risorse del territorio con la stessa feroceavidità che ha distrutto i paesi colonizzati neisecoli passati.Augusto De Santis, della rete "No Sblocca Italia"(comitati prevalentemente delle regioni del sudche si affacciano su Adriatico e Ionio), ha chiaritocome la trasformazione in "siti di interessestrategico" dei luoghi di trivellazione per gliidrocarburi e di costruzione degli inceneritori siaun vero atto dittatoriale a scapito delle comunitàlocali e un sostanziale furto di democrazia.L'incontro è stato sicuramente un momentomolto positivo e va reso merito ad Attac Italia diaverlo promosso; occasioni del genere (chesperiamo si ripetano) sono indispensabili perchési formino una serie di idee e valori sui qualifondare un serio movimento di opposizione alliberismo dilagante che non sia solo mugugnosociale. Il convegno avrebbe sicuramentemeritato numeri di partecipazione più ampi;questo coinvolge non tanto gli organizzatori,quanto i movimenti che devono trovare semprepiù momenti di elaborazione e progettazionepolitica collettiva. Insomma la sintesi finale, perchi scrive, la si potrebbe riassumere così: l'uscitadal cul de sac liberista può essere solo frutto di unlavoro comune dal basso, dall'alto piovono solopietre.

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Arrivano i nuovi reatiambientali: fumo negli occhi enei polmonidi Gruppo di Intervento Giuridico

Il Senato della Repubblica ha approvato, a largamaggioranza (PD, M5S, NCD-UDC,) in viadefinitiva il testo del disegno di legge n. 1345-Bsui delitti contro l'ambiente, i nuovi reatiambientali.  Cancellato il reato concernentel'utilizzo delle tecniche di airgun, contiene delleambiguità (per non dire altro) che rischiano disvuotare i contenuti innovativi della norma. Bastipensare al nuovo "disastro ambientale", normaspeciale rispetto al c.d. disastro innominato (art.434 cod. pen.): andrà a normare specificamente il"disastro ambientale" e tutte le condotte cheintegreranno tale fattispecie dovrannotendenzialmente esser contestate come "disastroambientale" e non "disastro innominato". Comegià argomentato, la nuova ipotesi di reatosanziona chi 'abusivamente' causa un disastroambientale. Abusivamente vuol dire in assenza diautorizzazioni e chi causerà disastri ambientali inpresenza delle necessarie autorizzazioniamministrative molto probabilmente la faràfranca. Una volta buona che - finalmente - sigiunge a inserire i delitti ambientali nel codicepenale (fra l'altro in attuazione della direttiva n.2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente)sarebbe il caso che gli equivoci interpretativifossero ridotti al minimo. L'approvazione di taletesto fa il degno paio con la depenalizzazionestrisciante dei reati ambientali. In poche parole,fumo negli occhi e nei polmoni del popoloinquinato. In tanti gioiscono per l'approvazione efanno a gara per rivendicarne i meriti, dal PD aLegambiente, dal Movimento 5 Stelle aGreenpeace, alle mille sfaccettature politiche chesi richiamano al centro-destra. In  qualche caso lasuperficialità è imbarazzante. Fra i pochi chedenunciamo con cognizione di causa echiaramente le pesanti ambiguità del testoGianfranco Amendola, uno dei padri del dirittoambientale in talia.

All'indirizzo http://goo.gl/Wpwd1i l'intervista aGianfranco Amendola, padre nobile del dirittoambientale. Di Virginia Della Sala da Il FattoQuotidiano, 20 maggio 2015 con il titolo: E’ stata votatada PD, M5S, SEL, Nuovo Centrodestra. Approvata lalegge ecoreati. “E’ debole e ispirata da Confindustria”.

La Campagna "No AmiantoPubliacqua" boccia EnricoRossi e la sua giuntadi No Amianto Publiacqua

Alla salute dei toscani si antepone il profitto dellesocietà per azioni Abbiamo scoperto da soli chePubliacqua usa tubi in amianto per portarel'acqua nelle case dei fiorentini, dei pratesi, deipistoiesi e di chi vive nel medio valdarno; ci siamoindignati per l'assenza delle istituzioni su un temacosì importante per la salute dei cittadini; cisiamo organizzati e uniti in un Campagna perl'eliminazione dei 225 chilometri delle pericolosetubazioni; abbiamo dimostrato analizzando ilbilancio di Publiacqua, confortati dalla legge, cheil costo di questa eliminazione deve ricadere suisoci della società per azioni e non sulle tariffedegli utenti o sui bilanci dei Comuni e dellaRegione; abbiamo costretto anche la RegioneToscana e l'Autority ad affermarlo, nonostanteavessero sostenuto il contrario in prima battuta;abbiamo raccolto cinquemila firme online e sumoduli cartacei per fare pressione sugliamministratori regionali, a partire dal presidenteEnrico Rossi, sui Sindaci dell'AATO 3, sulpresidente e sul direttore generale dell'AIT, sulpresidente e sul cda di Publiacqua.La Regione Toscana e l'Autority del servizioidrico, pressate dalla Campagna "No AmiantoPubliacqua", hanno dovuto prima riconoscere cheesisteva un problema, poi ammettere che i tubiandavano eliminati. Hanno iniziato a monitorareil fenomeno e a fare analisi, anche se ancora conevidenti limiti culturali - "ingerire l'amianto nonfa male", "bere un litro di acqua contenente22.500 fibre di amianto" non è pericoloso - e conaltrettanto evidenti limiti politici - si tutelano gli

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interessi e i profitti di Publiacqua nonobbligandola ad una immediata eliminazionedelle tubazioni sparse un po' ovunque sulterritorio. Manca ancora da parte loro, è doverosoriconoscerlo, la trasparenza dovuta su questopericoloso fenomeno.L'assessore regionale all'ambiente AnnaritaBramerini ha dato notizia di analisi che hannoconfermato la presenza di amianto nell'acquapotabile ma non ci ha detto dove. Come è ancoraoscuro dove vengono fatte le altre rilevazioni e irisultati che hanno dato.Il silenzio delle istituzioni non ci conforta,considerata anche la storia del tallio nell'acquapotabile della Versilia dove istituzioni e societàgestrice hanno fatto a gara a nascondere la verità.È ormai chiaro che in Italia, e la Toscana non è perniente esente dal fenomeno, quando il profitto deiprivati compete con i diritti dei cittadini lapolitica si schiera generalmente dalla parte dellesocietà private.Noi vigileremo che ciò non accada, come vigile-remo sul cronoprogramma di eliminazionedell'amianto e che i costi gravino su Publiacqua enon sugli utenti né sulla fiscalità generale einvitiamo coloro che decideranno di recarsi alleurne il prossimo 31 maggio a scegliere candidatiche sappiano garantire una guida alla Regionetrasparente e al servizio dei cittadini.

PROMOTORI DELLA CAMPAGNA:

ABC Pistoia | Associazione Acqua Bene Comune Pistoia e

Valdinievole | Associazione Esposti Amianto | Associazione

Rifiuti Zero Firenze | Attac Firenze | Collettivo Fondo Comunista

| Comitato 21 Marzo Gavinana (FI) | Comitato acqua bene

comune Prato | Comitato acqua bene comune Valdarno |

Comitato fiorentino Acqua Bene Comune | Comitato H2O

Montevarchi | Comunità delle Piagge | CPA Firenze-Sud | Csa

Next Emerson | Cub Sanità Firenze | Forum Toscano dei

Movimenti per l'Acqua | l'Altracittà - giornale della periferia |

Medicina Democratica | perUnaltracittà - laboratorio politico.

Due leggi per il suolodi Ilaria Agostini

urbanista, attiva nel laboratorio perUnaltracittà

Due dispositivi legislativi: la legge regionaletoscana per il governo del territorio impugnatadalla presidenza del Consiglio e, da mesi, ferma inpalazzo Chigi, e un disegno di legge nazionale peril contenimento del consumo di suolo, indiscussione alla Camera. Due leggi che, purproclamando di perseguire lo stesso obbiettivo - ilblocco della cementificazione dei terreni fertili -,hanno opposta natura antropologica.Partiamo dal DdL C 2039 (Legge quadro in materiadi valorizzazione delle aree agricole e dicontenimento del consumo di suolo), cheraccoglie in un testo unificato gli undiciprecedenti disegni depositati alla Camera.Presentato alla comunità scientifica a unconvegno organizzato a Milano dall'Ispra (6maggio 2015), il DdL è frutto del lavoro deiministeri di agricoltura e ambiente; nei fatti,tuttavia, possiede la fisionomia di una leggeurbanistica. Definisce il consumo di suolo come«incremento annuale netto della superficieoggetto di impermeabilizzazione» da ridurreprogressivamente fino al consumo zero impostodall'Europa per il 2050: i tecnicismi sul calcoloincrementale, funzionali forse ad alimentare laricerca scientifica, ma senza dubbio fuorviantirispetto agli obbiettivi, non garantiscono alcunrisultato a breve nella realtà peninsulare.«Un testo sbagliato - affermava Vezio De Luciaall'assemblea della Rete dei comitati per la difesadel territorio (Firenze, 9 maggio) - compli-catissimo, di ripetute e concatenate scadenze,denso di concerti, di diffide e di labilissimi poterisostitutivi, di improbabili divieti e incentivazionidi nuove inverosimili nomenclature, ancheperché non usa la lingua dell'urbanistica maquella dell'agricoltura: viene da piangerepensando alla lingua limpida e lucida della leggedel 1942».Si tratta in effetti di una normativa che nonpromette niente di buono. Innanzitutto per ilmeccanismo a cascata nel quale il Ministrodell'agricoltura, di concerto con quello

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dell'ambiente, stabilisce le quote annuali di suoloancora edificabile («la riduzione progressiva, intermini quantitativi, di consumo del suolo alivello nazionale», art. 3, c. 1); tali quote sono poiripartite tra le regioni, le quali a loro volta lesuddividono (come?) tra i comuni. A questo puntosono passati tre anni. E se le regioni non sonoriuscite a rendere cogente la «ripartizione» sarà ilpresidente del consiglio dei ministri a provvedered'imperio alla spartizione del bottino (art. 3, c. 2).Ma cosa succede intanto in questi tre anni? Lenorme transitorie ricordano lugubremente l'"anno di moratoria" post Legge Ponte (1967) checostò all'Italia milioni di metri cubi di cemento:l'art. 10 del DdL, pur affermando che non saràconsentito nuovo consumo di suolo, fa salva unaserie di interventi, di procedimenti in corso e distrumenti attuativi «adottati» prima dell'entratain vigore della legge (e un'adozione, si sa, non sinega a nessuno).Il DdL agro-ambientale si permette continueincursioni in campo urbanistico: la priorità delriuso edilizio è sancita all'art. 4, dove si legge chele regioni si impegnano a dettare disposizioni perorientare i comuni verso strategie dirigenerazione urbana mediante l'individuazione«degli ambiti urbanistici da sottoporreprioritariamente a interventi di ristrutturazioneurbanistica e di rinnovo edilizio», ivi compresi(poiché non esclusi) i centri storici. Del resto lapresidente dell'INU, al convegno milanese,affermava ambiguamente che il suolo già edificatosarà la «grande risorsa del futuro».Se non si salvano i centri storici, non va meglio alterritorio rurale. I «compendi agricoli neoruraliperiurbani» (avete letto bene, "compendi", forsedall'inglese "compound", recinto), previstinell'art. 5, sono incentrati sulla trasformazionedell'edilizia rurale (fino alla sua demolizione ericostruzione) di cui è previsto, in conformità congli strumenti urbanistici, il cambio didestinazione d'uso (comma 5) in servizi turistico-ricettivi, medici, di cura, ludico-ricreativi etc. Dauna legge dei ministeri di agricoltura e ambienteci si doveva aspettare invece la definizionedell'estensione e dell'uso dei terreni coltivati daldetto "compendio", di quale tipo di agricoltura vidovesse essere esercitato. Perché il consumo di

suolo si attua anche attraverso la monocolturaagroindustriale, le piscine o i campi da golf, checostituiscono la negazione della neoruralità chel'articolo afferma di perseguire. La neoruralità,l'accesso universale alla terra e il suo usorispettoso necessitano invece di misure chefavoriscono l'agricoltura contadina, e di unasapiente ripartizione del demanio agricolo, nondella sua vendita al miglior offerente.Unica regione in Italia, la Toscana ha varatoviceversa in questo campo una buona normativagrazie alla tenacia di Anna Marson, assessoreall'urbanistica. Filosoficamente ecologista, lalegge 65/2014 (Norme sul governo del territorio)contrappone la cultura del progetto al calcoloragionieristico; anziché attardarsi nelquantificare il disastro perpretrato nei confrontidel suolo, conferisce dignità al «patrimonioterritoriale» da tutelare e di cui garantire esostenere con norme specifiche la riproduzione.Un patto generazionale evolutivo che evita loscivolamento nel divieto autoritario centralizzato(vedi supra art. 3, c. 2).Facendo seguito a sperimentazioni internazionali,la L. 65/2014 traccia (per mano dei comuni) unalinea rossa tra aree urbanizzate e aree rurali, e neimpedisce il superamento da parte di nuoveedificazioni: nessun nuovo edificio residenziale suterreni fertili, né centri commerciali o capannoniche vìolino i principi del grande piano regionale(PIT): violazione o compatibilità sarannocertificate da una «conferenza di copiani-ficazione» in cui il parere sfavorevole dellaRegione è vincolante (art. 25). L'impugnativagovernativa afferma che proprio quest'ultimanorma contravverrebbe al principiocostituzionale di libera concorrenza. Difesarenziana del capitalismo bieco e cieco.A livello nazionale si ignora o volutamente sitrascura l'esempio toscano che, quanto al bloccodel consumo di suolo, dimostra una potenzialeefficacia, esposta tuttavia al rischio di esseretravolta: qualora infatti il DdL agro-ambientalefosse approvato, la ridefinizione in corso dell'art.117 della Costituzione (e in particolare del terzocomma che norma la competenza legislativaconcorrente tra Stato e regioni) «obbligherà laToscana al rispetto di quelle inconcludenti e

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devastanti procedure» (De Lucia).Solo un colpo di reni da parte della politicapotrebbe stavolta smentire il peninsulare destinoche fa prevalere, nella molteplicità dellesoluzioni, la scelta di quella peggiore.

Altre notti per Firenzedi Roberto Budini Gattai

architetto, attivo nei Comitati e in perUnaltracittà

In più occasioni si è dovuto rilevare come nelledue parti dello Strumento urbanistico fiorentino,Piano Strutturale e Regolamento Urbanistico, siaassente una lettura della città sia nei suoi ambitifisici, sia nei tratti socio-economici dell'attualedivenire urbano. Una assenza colpevole che, se daun lato consegna deliberatamente (vedi le varieesternazioni dell'assessore Meucci) le sceltestrategiche al mercato immobiliar-finanziariospeculativo, dall'altro rinuncia anche a opzionioperative importanti.E' il caso della cosiddetta movida sollevato dalcomitato "Ma noi quando si dorme" che ha dato lospunto a un'assemblea di comitati cittadini performulare una proposta mentre il R.U. era ancorain corso di approvazione. E' un peccato che leconsultazioni siano state così sfuggenti (non si èmai avuto l'impressione che i cittadini, anche seorganizzati in comitati e associazioni potesseroconcordare l'odg) e superficiali, trasformandosi insemplici audizioni.Si è rilevato che gli interventi di recupero erivitalizzazione della città individuati dall'Am-ministrazione si possono ridurre a due tipi. Per ilCentro storico sulla base dell'immancabile,scontato richiamo turistico si ipotizza laconvergenza delle griffes e del turismo mordi efuggi di lusso, con trasformazioni di intericomparti edilizi civili e industriali in residences ecommercio. All'esterno invece vale il modelloDefence parigina, in tono minore, aggiornato edestenuato dal più recente grattacielismo dell'asseMilano-Dubai, come lo scellerato progetto per laManifattura Tabacchi.Noi proponiamo una via diversa anche nel modo

di utilizzare la città, a cominciare dal disagiocittadino provocato dalla movida, cioè lostraripamento dei clienti di una serie di esercizipubblici in alcune strade e piazze della cittàantica fin'oltre la tarda notte. Tralasciamol'evoluzione degli orari, dei locali e deifrequentatori degli ultimi due decenni perchéappaiono indirettamente nella proposta. Essaconsiste nel riaprire a questo "nuovo" pubbliconotturno e ai gestori di locali che intendonorestare aperti di notte, quei luoghi già destinatiallo spettacolo oggi chiusi, chiostri e cortili chenon abbiano interferenze acustiche conabitazioni, inutilizzati da decenni a cominciaredalle proprietà pubbliche o di uso pubblico,comunitario, ecc. come realizzato alle Murate.Vi sono teatri e cinema quasi tutti di rilevantepregio architettonico, dotati di palcoscenico e dispazi articolati attorno alla platea dove il senso diuna serata e a maggior ragione di una lunganottata potrebbe aprirsi a più varie modalità diincontro e arricchirsi di differenti soggettivitàespressive (musicale, recitativa, dizione,discussione a soggetto, giuochi da tavolino, piccolischermi per film in spazi informali e altro).Selezionate e promosse secondo l'inclinazione e lecapacità del gestore e dei suoi frequentatori.La molteplicità e la dislocazione dei luoghi èparagonabile a quella degli attuali ritrovi; lavarietà degli interni può sollecitare curiosità einvenzioni per serate così prolungate. In fondosarebbe come proiettare questa città in unadimensione culturale assai più cosmopolita emetropolitana a valere anche per le manife-stazioni dell'Estate fiorentina, lasciando all'usonormale, civile di tutti le strade e le piazze.Un'Amministrazione che avesse una visione menoideologicamente mercantile e coatta, potrebbefarsi promotrice con i proprietari di questi luoghiperduti dalla città, e con i beni pubblici di cuidispone potrebbe provare a costruire due/treesempi trainanti che possano essere imitati (conl'aiuto di provvedimenti urbanistici e regola-mentativi di sua competenza) e intrapresi daproprietà che oggi non possono più sperare nelsuccesso dell'ennesima spa/centro benessere,palestra, albergo e via replicando, sempre con lestesse funzioni sempre intorno allo stesso osso.

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Area ex Fiat di viale Belfiore:vista dall'alto dal 1943 ad oggidi Paolo Degli Antoni

dottore forestale, Comitato Ex Fiat Belfiore-Marcello

Nella cronaca di Firenze de La Repubblicadell'11/04/2015 Ernesto Ferrara fornisce unasintetica illustrazione del Progetto che lo StudioNatalini sta elaborando per l'area ex FIATBelfiore-Marcello. Pochi giorni dopo vienestampato il libro Cambiamenti nel paesaggiorurale toscano dal 1954 al 2014, di Paolo DegliAntoni e Sandro Angiolini, Editore Pagnini, nelquale, tra l'altro, si ricostruisce l'evoluzione dellavegetazione spontanea che ha colonizzato ilcantiere abbandonato da sei anni.Scarica a questo indirizzo http://goo.gl/Em7emYil pdf con la presentazione fotografica dei diversiusi di quel lotto dal 1943 ad oggi: orti di guerra,fabbrica, cantiere e oggi bosco di neoformazione.

Consultorio laico a Firenzedi Franco Trisciuoglio

Circolo UAAR di Firenze

Sabato 9 maggio 2015 si è svolto, in via Guelfa74/r, presso la sede legale del Circolo UAAR diFirenze, un breve rinfresco per inaugurare il"Consultorio Laico", uno sportello di infor-mazione e consulenza gratuita per tutti i cittadini.L'iniziativa, nata da un'idea della socia FrancaFrancioni, è rivolta a tutelare i diritti dei cittadini

dalla ingerenza delle chiese. Di tutte le chiese sipotrebbe dire ma, essendo in Italia, bisognapensare anzitutto alla chiesa cattolica romanache, dalla culla alla tomba, cerca di imporre a tutti- senzienti e non - il proprio modo di vita e digiudizio. Capita così che sia spesso difficile farvalere i propri legittimi diritti, ad esempio nelterreno della scuola (vedi ora alternativa), oanche nell'applicazione della legge sullainterruzione di gravidanza.   Per certi versi nellestesse condizioni dei non credenti sono gliappartenenti ad altre confessioni religiose chenon siano la cattolica; fra questi i convertiti chepossono essere indirizzati utilmente verso lo"sbattezzo". Molti non sanno infatti che se nonviene annotata l'intenzione individuale di nonessere più considerati appartenenti allaconfessione cattolica, la chiesa di Roma continuaa conteggiarli fra i propri adepti, con una indebita"rendita" di potere. Ben vengano quindi iconvertiti testimoni di Geova o i buddisti. ilconsultorio è laico e per sua natura aperto a tutti.Un altro importante argomento di informazionedei propri diritti è quello fiscale attualissimo, vediotto per mille in sede di dichiarazione dei redditi.Infatti, per come è concepita la legge, la chiesacattolica, con circa il 30% delle scelte effettuatedai contribuenti a suo favore intasca circa l'80%dell'intera posta a causa delle scelte inespressesulle quali si effettua il riparto. Una leggemaggioritaria anche in campo fiscale. Insommagli argomenti per dare vita a questo nuovosportello di servizio ci sono tutti: vedremo neiprossimi mesi l'interesse dei fiorentini per questainiziativa.Il consultorio è aperto tutti i sabati dalle ore 10alle 12, in Via Guelfa 74/r. Per ulteriori eventualiinformazioni contattare il cell: 331.1331149 oscrivere a: [email protected]

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Podemos, una nota sui risultatidelle elezioni in Spagnadi Luca Raffini

sociologo, socio fondatore dell’associazione Sottosopra –

Attivare democrazia

“No vamos a gobernar sólo para los que han apostadopor el cambio. Vamos a seducir a los que no lo hanhecho” (Manuela Carmena, neo-sindaca diMadrid).

“Podemos vince le elezioni spagnole”. Questo iltitolo apparso in questi giorni in molti giornaliitaliani. Una sintesi, a ben vedere, non del tuttocorretta, seppur non sbagliata nella sostanza. Larealtà ci dice che i risultati delle elezionispagnole, soprattutto agli occhi della sinistraitaliana, da un anno a questa parte ben attenti adosservare le dinamiche spagnole, cercandovi unafonte di ispirazione, è al tempo stesso qualcosa inpiù e qualcosa in meno del successo di Podemos.L’antefatto: Podemos, partito-movimento natopoche settimana prima delle elezioni europee delmaggio 2014, ma sostenuto dal radicamento neimovimenti antiausterity (15M, Mareas) e dallapopolarità mediatica acquistata dal suo leader,Pablo Iglesias, ottiene 1.245.000 voti, l’8% dipreferenze e cinque seggi. Da subito i risultati delvoto si prestano a due chiavi di lettura: la primaindica una forte affermazione della “sinistraradicale”, con l’exploit (da subito percepito comeun canto del cigno) di IU (Ixquierda Pluralraggiunge il 10%) che si somma a quello diPodemos e che fa da contraltare a una debacle delPSO, che si ferma al 23%.Quest’ultimo risultato, sommato al 26% ottenutodal PP, ci dice che, per la prima volta nella storiadella Spagna postfranchista, la somma dei votiottenuti dai due partiti non supera il 50%: èl’inizio della fine del bipartitismo. Nel contesto diun clima segnato da una rapida erosione delconsenso verso i partiti che hanno governato ilpaese dalla fine degli anni Settanta, alimentataanche da numerosi episodi di corruzione, laprotesta anticasta si salda alla protestaantiausterity, che si sviluppa a seguito dellarapida caduta del paese dall’illusione della

crescita ai bruschi effetti dello scoppio della bollaimmobiliare. Podemos, in questa fase, è ilsoggetto politico nuovo che riesce a dare formaalla voglia di cambiamento, che incanala ilsentimento antipolitico e anticasta nel quadro diuna visione della società chiaramente di sinistra.In questo senso le elezioni europee del maggio2014 rappresentano al tempo stesso l’emersionepubblica di un forte sentimento antipartitico, lafine del bipartitismo, una buona affermazionedella sinistra. Podemos, agli occhi degli italiani,sembra rappresentare una sintesi (di successo, sulpiano del consenso), tra L’Altra Europa e il M5S.I mesi successivi lasciano spazio a una serie diinterrogativi, molti dei quali hanno oggi trovatorisposta, in merito alla capacità di Podemos ditrovare una conciliazione tra radicamento neiterritori e leaderismo mediatico, allacapacità/disponibilità della neonata formazionepolitica di aprirsi a coalizioni, soprattutto a livelloterritoriale.Del resto, non sono solo le strategie adottate daPodemos a incidere sul mutamento del quadropolitico, ma le risposte date dagli altri attoripolitici. In sintesi, succede che il PSOE,particolarmente colpito dalla crisi di consensi,compia, sin dall’estate scorsa, un’azione dirinnovamento, scegliendo come nuovo segretarioil giovane Pedro Sanchez, riuscendo in questomodo ad attenuare la perdita dei consensi, checontinua invece a colpire il PP. Podemos, fortedella visibilità mediatica ottenuta dopo le elezionieuropee, continua a crescere nei sondaggi, alpunto che, durante l’inverno, fa scalpore lanotizia che indica in Podemos il primo partitospagnolo, stando agli ultimi sondaggi. La notizia,insieme a quella della vittoria di Syriza alleelezioni greche del 27 gennaio, alimenta lasperanza nell’apertura di una nuova stagionepolitica, antiausterity e antiliberista, che trova ilsuo motore nei paesi dell’Europa mediterranea,più duramente colpiti dai diktat della Troika.Nei mesi successivi lo scenario cambiaulteriormente, riflettendosi in una paraboladiscendente per Podemos (IU intanto è giàfortemente ridimensionata). A incidere in questavi è, in piccola parte, la strategia di rinnovamentodel PSOE, in parte le prime tensioni interne al

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movimento, che vedono protagonista uno deifondatori, Juan Carlos Monedero, e che siconclude con il suo allontanamento, in polemicacon il leader Iglesias. Ma, soprattutto, vi è un altrofattore che spiega la retrocessione di Podemos neisondaggi: il movimento di Iglesias ha aperto unabreccia nel bipartitismo e ha dato voce allasfiducia nei confronti di PP e PSOE, al punto diraccogliere consensi anche da cittadini nonprovenienti da una tradizione di sinistra, ma chevedono nel movimenti uno strumento dirinnovamento. Ma in questo modo Podemos haaperto la strada ad altri soggetti, che condividonocon Podemos la critica ai partiti tradizionali,esprimono una forte condanna nei confronti dellacorruzione e reclamano un cambio di passo. Ilriferimento, in particolare, è a Ciudadanos, dasubito definita la “Podemos di destra”, il cuileader, anch’esso giovane, è il catalano AlbertRivera.La rapida avanzata nei sondaggi del neonatopartito, non a caso, procede in parallelo alladiminuzione del consenso per Podemos, fino alpunto in cui le due nuove formazioni, negli ultimisondaggi, seguono, in maniera ravvicinata, i duepartiti tradizionali tradizionali, PP e PSOE. Ciòsignifica che nel paese, senza contare, in questasede, le forze nazionaliste, sono ormai presentidue sinistre e due destre, che non si differenzianotanto per il livello di moderazione/radicalismo(anche se Podemos è indubbiamente più orientataa sinistra del PSOE), quanto in relazione allaconcezione della democrazia e al rapporto con loStato.Ciò che è importante sottolineare, in questocontesto, è che entrambe le nuove formazionipolitiche escludono la possibilità di praticarealleanze con i partiti della “casta”, alimentando,per i sostenitori delle riforme, necessarie asoddisfare le richieste degli organismisovranazionali, lo spauracchio dell’ingover-nabilità, cui unica soluzione sarebbe, inprospettiva, un governo di larghe intese tra PSOEe PP.Ma in questo modo l’argomentazione ci spingetroppo in là, anche se le elezioni politiche sonoormai alle porte. Oggi è tempo di leggere irisultati delle elezioni autonomiche e municipali

appena conclusesi, e che consentono di esprimereuna serie di valutazioni, rispetto alle chiavi dilettura sopra formulate: superamento delbipartitismo, nascita di forze nuove e “anticasta”di diverso orientamento politico, da una parte,aumento del consenso a sinistra, dall’altra.Arriviamo così a uno dei dati più rilevanti cheemergono: le elezioni spagnole vedono, in primoluogo, una vittoria delle forze politichealternative al bipartitismo. In questo contesto,vedono una significativa affermazione dellasinistra, che risulta tanto più chiara quanto più ciconcentriamo sulle elezioni municipali, rispettoalle autonomiche, e in particolare sulle due cittàpiù importanti, Madrid e Barcellona.Prima di soffermarsi su una lettura piùapprofondita dei risultati nelle due città, èopportuno distinguere i due livelli, le regionali ele municipali, poiché si caratterizzano perl’adozione di strategie elettorali differenziate daparte di Podemos: la presentazione di propricandidati e del proprio simbolo, alle autonomiche,la costruzione di ampie coalizioni sociali e lascelta di non presentare il proprio simbolo, puressendo chiaramente presenti e attivi, allemunicipali. Il movimento, come è statoevidenziato in molte sedi, e come qui anticipato,concilia due anime diverse.Quella mediatica, concentrata sul leader Iglesias,a cui si deve in maniera preponderante la capacitàdi intercettare il malcontento generalizzato e lavoglia di cambiamento. E quella del radicamentonelle mobilitazioni e nelle pratiche territoriali.Possiamo, sinteticamente sostenere, come LorisCaruso argomenta su il Manifesto, che alleautonomiche ha prevalso il partito mediatico, chenon si pone in rete con i protagonisti dellamobilitazioni e delle pratiche di resilienza, mache si propone di rappresentarle e disintetizzarle, mantenendo al contempo la portaaperta all’intercettazione dei voti dei cittadinimeno partecipi, ma rassicurati dalla presenza delleader.Alle elezioni municipali, e i casi di Barcellona e diMadrid sono esemplari in tal senso,l’individuazione del candidato si è invece posta acoronamento di un ampio processo di costruzionee consolidamento di reti, capaci di includere, oltre

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a partiti e movimenti politici di sinistra, tutti gliindividui che si erano riconosciuti nel movimento15M, realtà come i movimenti ambientalisti, leassociazioni attive nei quartieri, le mobilitazionidei lavoratori e degli utenti dei servizi (Le maree).Podemos, in questo caso, ha fatto prevalere il suoradicamento sociale, ha scelto di partecipare allacostruzione della coalizione, contribuendo inmodo decisivo con la sua struttura e, soprattutto,con la sua visibilità e la sua popolarità, ma senzaassumere un ruolo centrale, al punto di sceglieredi non essere presente con il proprio simbolo.Quello che, apparentemente, poteva sembrare unlimite, una rinuncia a una risorsa, si è rivelata lavera forza della strategia, al punto che i risultatiottenuti alle municipali sono di norma altamentesuperiori rispetto ai risultati ottenuti alleautonomiche, in cui Podemos si attesta cometerzo partito, in alcuni casi quarto, superatoanche da Ciudadanos.La comparsa di nuovi soggetti, che contendono aPodemos il ruolo di movimento anticasta, haridimensionato la capacità di ottenere consensoda parte di Podemos, in quanto ha attenuato lasua connotazione trasversale. Ciò può, rispettoall’equilibrio iniziale, favorire una più evidenteconnotazione pubblica di Podemos come forza disinistra.A livello locale, probabilmente, la perdita diconsenso dovuta alla perdita del voto da parte dielettori delusi, non necessariamente di sinistra,ha inciso meno, in quanto è stata più checompensata dalla capacità di mobilitare ecoinvolgere i cittadini in un progetto dialternativa reale, a partire dalla messa in retedelle esperienze di protesta e di resilienza sociale.La candidata espressa da Ada Colau a Barcellona èin tal senso emblematica. Ada Colau, sostenutadalla coalizione Barcelona en Comú, formata daGuanyem, Iniciativa per Catalunya Verds,Esquerra Unida i Alternativa, Equo, ProcésConstituent, oltre che da Podemos, vanta unsolido radicamento territoriale e un fortericonoscimento, costruito con la presenza nellemobilitazioni e nei conflitti, dal contrasto alleguerre al Social Forum, al Movimento 15M e alleMaree.In particolare, Ada Colau ha guidato per anni la

“piattaforma dei sottoposti a ipoteca”, una vastamobilitazione dei cittadini che hanno subito ilpignoramento della propria abitazione, a seguitodell’impossibilità di pagare le rate del mutuo. Adastessa, attualmente vive con la propria famiglia inun edificio occupato. Come è stato scritto,“un’okkupa sarà sindaca di Barcellona”. In realtà,nonostante la netta affermazione, in termini dimaggioranza relativa, la costruzione di unamaggioranza per governare la città sarà difficileper Ada Colau, data la frammentazione checaratterizza il panorama politico barcellonesedopo le elezioni, complice anche il sistema eletto-rale.Ciò che è indubbio è che Barcelona en Comú èriuscita a fare diventare maggioritaria la voce deibarcellonesi che vivono sulla loro pelle ilproblema della casa, dell’accesso ai servizi di base,della disoccupazione, in una città che sotto alcuniaspetti è paradigmatica delle contraddizioni checaratterizzano il modello di sviluppo seguito dallaSpagna negli ultimi decenni, fondato sullarealizzazione di grandi opere e su trasformazioniurbanistiche di grandi impatto ma assai menoattento allo sviluppo dei servizi primari. I risultatidi Madrid sono per alcuni aspetti ancor piùsorprendenti. Madrid è da sempre una città didestra, che non ha mai pienamente rotto il legamecon il franchismo, e governata in modocontinuativo dal PP. Per sostituire la alcaldesauscente, Ana Maria Botela, moglie di Aznar, erapronta Esperanza Aguirre, esponente di spicco delPP ed autrice di un celebre botta e risposta conPablo Iglesias in merito ai rapporti di Podemoscon il Venezuela e Cuba e agli affari oscurirealizzati dal PP.Mentre a livello di comunidad il PP perde voti mamantiene il controllo sul governo, la Aguirre,seppur ottenendo la maggioranza relativa, nonpotrà formare una maggioranza di governoneanche con una eventuale alleanza conCiudadanos, in quanto i seggi conquistai da AhoraMadrid, la coalizione a sostegno della candidataManuela Carmena (20), sommati a quelli ottenutidal PSOE (9), superano di uno la somma di PP (21)e Ciudadanos (7).Il sostegno del PSOE a Carmena non è scontato esicuramente non è facile, considerando che i due

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soggetti si sono scontrati con programmiincompatibili e il PSOE è considerato da Podemose da altri membri della coalizione responsabiledella crisi spagnola al pari del PP. Non di meno, lacandidata di Ahora Madrid vanta una storiapersonale di grande rispettabilità: giudice inpensione, è conosciuta per la sua attivitàantifranchista, che costò nel 1977 un attentatoallo studio da lei co-fondato in Atocha. Il suoprofilo e la sua storia, d’altra parte, possonofacilitare una percorso di convergenza sul suonome da parte del PSOE, con i cui esponenteCarmena vanta buoni rapporti personali.La posta in gioco è grande, e obbliga il PSOE a fareuna scelta che può avere grandi riflessi sulprosieguo delle vicende politiche spagnole. Nonallearsi con la sinistra “radicale”, realizzando unostrappo definitivo, o allearsi con questa,accettando un deciso spostamento a sinistra nelprogramma di governo della città da sempremonarchica e derechista, e operando un possibilepasso di allontanamento dalle suggestioni di unapossibile larga intesa, da praticare in seguito alleprossime elezioni, nel caso, probabile, in cuinessun partito ottenga la maggioranza. Le ultimedichiarazioni provenienti dal PSOE sembranocontrarie alla strada del dialogo con il PP. Alcontrario, si fa strada la tentazione di cercare ilconfronto con la sinistra proprio in chiave anti-PP.Da parte sua, seppur contraria alle dichiarazioniprogrammatiche, la coalizione Ahora Madridpotrebbe aprire un confronto con il PSOE da unanetta posizione di vantaggio, che non spingerebbea vedere come un tradimento la “strana alleanza”.Nel percorsi di costruzione partecipata delprogramma Ahora Madrid ha prodotto unprogramma di 71 pagine. All’interno di questo,sono state individuate cinque misure urgenti:utilizzare in maniera prioritaria le risorsecomunali per risolvere l’urgenza abitativa;invertire il processo di privatizzazione dei servizimunicipali; garantire l’accesso alle utenze (acquae luce) alle famiglie che non possonopermettersele; garantire l’accesso universale alleprestazioni sanitarie e ai programmi diprevenzione; sviluppare un piano urgente diinserimento lavorativo dei giovani e dei

disoccupati di lungo periodo: provvedimenti nonesattamente in linea con gli orientamenti assuntidai partiti socialdemocratici europei.In questo senso, le dinamiche che sisvilupperanno a Barcellona e a Madrid, inparticolare, meritano di essere seguite coninteresse, in quanto possono rappresentare unmodello di costruzione di un modello alternativodi società, a partire dai territori.Torniamo ora all’affermazione iniziale: “Podemosvince le elezioni spagnole”, e tentiamo di dareuna valutazione sintetica distinguendo tra i duelivelli che abbiamo in precedenza identificato. Alivello di elezioni autonomiche, in cui Podemos siè presentata con la sua sigla, non c’è stata unavittoria, se compariamo i risultati (terza forzanella maggioranza delle regioni, quarta in altre)con i sondaggi di qualche mese fa, in cui Podemossembrava destinata a diventare il primo partito.Perché è successo ciò? Perché Podemos si èconsolidata ma ha perso, in maniera fisiologica,parte della sua forza propulsiva dettata dallanovità e dall’essere percepita come l’unica forzapolitica capace di dare voce alla protesta contro lacasta. In particolare, da parte dei cittadini chenon si identificano con la sinistra, e che hannotrovato altri soggetti (Ciudadanos) capaci diintercettare la voglia di cambiamento, ma daposizioni liberali.Ciò che emerge in modo molto interessante è chel’asse casta-anticasta non si impone a scapitodell’asse destra-sinistra ma si intreccia conquesto, dimostrando che destra e sinistra hannoancora una salienza. Il risultato è che il conflittotra partiti vecchi e soggetti politici nuovi siripropone all’interno delle due parti politiche, adestra, dove ha come protagonisti PP eCiudadanos, a sinistra, dove si contendono PSOE ePodemos. I due partiti tradizionali mantengonoper il momento una posizione di vantaggiorelativo, ma non è detto che questa durerà alungo. D’altra parte, ciò che sarà interessanteosservare è quanto la presenza dei nuovicompetitors stimoli un processo di riformainterna ai due partiti mainstream, che sembra almomento lievemente più avanzata del PSOE.Ancora, sarà interessante vedere se prevarrà laspinta a costruire forme di interlocuzione interne

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agli schieramenti, tra “vecchio” e “nuovo” (tra PPe Ciudadanos, tra PSOE e Podemos) o se prevarràla divisione “vecchio”-“nuovo”, al punto distimolare forme di dialogo tra PP e PSOE e traPodemos e Ciudadanos.L’analisi delle dinamiche sviluppatesi a livello dimunicipalità introduce alcuni elementi ulterioridi riflessione. Quando la dimensione mediatica esimbolica, pur mantenendo un ruolo rilevante,interagisce con le pratiche sperimentate nelterritorio, e trova quindi sostegno nelle relazionifiduciarie e in progettualità collettive, l’accento sisposta progressivamente sul confronto tramodelli di società. E quando questa progettualitàha saputo coniugare solide radici nelle praticheterritoriali, capacità di inclusione e dicomunicazione a un pubblico più ampio, trovandoespressione in candidati autorevoli, riconosciuti ecredibili, alla generica contrapposizione tramovimenti di rinnovamento e partiti tradizionali,che in sé rischia di nascondere una vuota retorica,si è affiancata una chiara e netta vittoria delleforze di sinistra alternativa.Sotto questo punto di vista, è proprio aBarcellona, a Madrid e in tante altre città chePodemos ha vinto, esercitando un ruolo dicollante nella costruzione di un progetto a piùvoci, in cui la retorica anticasta lascia posto allacostruzione di un modello di società radicalmentealternativo. Dando forma a un progetto non più diprotesta, ma di proposta, che, come dichiara laneo-sindaca di Madrid, ambisce a sedurre anchechi fino ad ora non vi ha preso parte.

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LE RUBRICHE

Primavere Arabea cura di Gianni Del Panta

studioso di Scienza politica, attivista di perUnaltracittà

Politica e tessuto urbanoal Cairo: un reportagedi G.D.P.

Chiunque abbia trascorso almeno qualche ora alCairo porterà probabilmente con sé l'immagine diuna città caotica, inquinata, sporca, e brulicante.Nei suoi racconti agli amici lo strano fermentoche si nota sui tetti (un mix di enormi parabolesatellitari e tende svolazzanti dove chi non puòpermettersi un appartamento trova riparo)facilmente si mescolerà alla proverbialespericolata guida del tassista di turno. Soprattuttoperò, nelle prime ore trascorse nella capitaleegiziana un senso di smarrimento e disbigottimento colpisce il forestiero, stretto tra ilfrastuono costante dei clacson e l'apparenteillogicità di una città che sembra sempre sulpunto di collassare su se stessa.Muoversi ed orientarsi in questa enormemetropoli, apparentemente senza confini ecostantemente protesa verso un'infinitaespansione nel deserto, può quindi risultareimpresa alquanto ardua. Ed infatti, lo è. Questoperò non deve portarci a concludere che,parafrasando il titolo di una bell'opera di DavidSims, non esista una logica in questa città fuoricontrollo. Al contrario, la raccolta della nettezzain una città senza cassonetti, così come lapossibilità di prendere un minibus in una cittàdove non ci sono fermate dei mezzi pubblici nétantomeno orari rispetta un propriofunzionamento interno. Comprenderlo non ècompito facilissimo.Fermarsi solamente all'apparente pazzia dellacittà è però il mezzo migliore per rendere taleimpresa ancora più complicata. Un direttocorollario di questo modo di ragionare è lapresentazione del Cairo come un bloccomonolitico: un'enorme, amorfa, incomprensibile

metropoli. Diversamente, uno sguardo più attentoalla città rivela le sue immancabili differenzeinterne, con il suo tessuto urbano che può essereelevato a cartina tornasole delle diverse politicheeconomiche e sociali dei governi che si sonosuccessi sulle sponde del Nilo.Escludendo la breve parentesi della presidenza diMuhammad Naguib (1953-54), dal colpo di statodei Free Officers guidati dall'allora giovane GamalNasser nel 1952 fino alla cacciata di HosniMubarak l'11 febbraio 2011, l'Egitto è statogovernato solamente da tre presidenti. Ognuno diquesti ha legato la propria carica ad un precisomodello di sviluppo che ha direttamente edindirettamente determinato profonde tras-formazioni nel tessuto urbano del Cairo, unametropoli che è rapidamente passata da quasi 3milioni di residenti dell'immediato secondodopoguerra ai quasi venti di oggi.In estrema sintesi, il capitalismo di statonasserista è coinciso con lo sviluppo della cittàformale; la politica economica di Infitah(letteralmente "apertura") del suo successore,Anwar Sadat, con l'articolarsi della cittàinformale; infine le politiche ultra neo-liberiste diHosni Mubarak con l'espansione delle città neldeserto e dei compounds. Nell'analisi che seguegli anni in carica dei vari presidenti sono utilizzaticome spartiacque.Ovviamente però i processi politici ed economicinon sono strettamente legati al presidente diturno. Questo significa che i tre periodiconsiderati vanno letti come delle semplificazioniutili a chiarire il dinamico sviluppo degli eventi.

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1- Il capitalismo di stato nasserista (1956-1970)Il gruppo di giovani ufficiali che assunse le redinidel potere la notte del 23 luglio 1952defenestrando re Farouk era stato largamenteispirato nel proprio agire dalla "rivoluzionedall'alto" guidata alcuni decenni prima in Turchiada Mostafa Kemal Ataturk. Tale prospettiva sibasava sull'assunto che in contesti politicamentepoveri ed economicamente poco sviluppati,solamente l'esercito attraverso la sua suppostacoesione interna poteva farsi garante di un rapidoprocesso di industrializzazione e moderniz-zazione del paese. Tuttavia, tali generici obiettivierano declinati attraverso strategie alquantodiverse, con una parte dei golpisti favorevole aconcedere ampio spazio all'iniziativa privata edaltri invece inclini a sostenere una politicafortemente interventista dello stato in economia.L'affermarsi della seconda linea di pensiero dopoalcuni anni nei quali sembrava invece essereprevalsa un'apertura di credito al mercato fu ilportato di contingenze interne ed esterne.Il lungo dominio britannico in Egitto, cominciatonel 1882 e protrattosi in modi e forme diverse finoalla coraggiosa iniziativa del gruppo di Nasser,aveva determinato le classiche storture econo-miche comuni in tutta l'area. La vitale classeartigiana egiziana era praticamente scomparsasotto il peso insostenibile dei prodotti industrialieuropei, mentre lo sviluppo industriale erapraticamente assente. Il paese era stato, in pocheparole, trasformato in un grande mercato chericeveva manufatti europei e provvedeva derratealimentari al Vecchio Continente. In siffattasituazione, il processo di accumulazioneoriginaria di capitale era stato alquanto limitatoed i pochi capitalisti egiziani presenti purgodendo di un regime favorevole ai loro interessinon riuscirono nei primi anni del post-1952 adinnescare un processo di industrializzazione suvasta scala. Secondariamente, in politica estera viera il pericolo israeliano, che i militari pensavanoarginabile solamente attraverso una dotazione diarmamenti di provata qualità. Lo stretto rapportoche Nasser intratteneva con Washington lo spinsea cercare i mezzi economici e militari necessari aquesta impresa nel paese a stelle a strisce.

Tuttavia, il costante rifiuto che l'amministrazioneEisenhower oppose alle sue richieste, ritenendo lesue minacce di volgere lo sguardo ad Est semprepoco credibili, lo spinse a siglare nel 1955 unclamoroso accordo con la Cecoslovacchia per lafornitura di armamenti. Il dado era ormai tratto.Nei successivi anni il regime nasserista imbracciòcon decisione un modello di sviluppo basato sunazionalizzazioni ed espropriazioni, decisointervento statale in economia, crescitaspasmodica del settore pubblico, sviluppoinfrastrutturale del paese, e politiche redi-stributive attraverso l'istituzionalizzazione diservizi sanitari ed educativi con portatauniversale per quanto di limitata qualità. Unadinamica demografica esplosiva determinò ancheun'imponente processo di urbanizzazione, che ilregime decise di affrontare attraverso dispendiosie grandiosi progetti di edilizia statale. Interiquartieri furono pianificati e costruiti suprecedenti terreni agricoli, fornendo un alloggioumile (generalmente queste abitazioni andavanodai 45 ai 65 metri quadrati), ma decoroso afamiglie con basso reddito che poterono godere diaffitti calmierati e di un diritto perpetuoall'utilizzo dell'abitazione.I numerosi impiegati dell'amministrazionepubblica che trovarono alloggio in questi nuoviappartamenti disponevano di tutta una serie diservizi che furono pensati assieme ai blocchiresidenziali, marcando un netto contrastorispetto alla città vecchia dove invece tuttocontinuava come prima. L'esempio più famoso diqueste politiche abitative rimane certamentequello del quartiere di Mohandiseen-Agouza, sitosulla sponda occidentale del Nilo. Come si puòfacilmente osservare da un piccolo spaccato delquartiere, la regolarità e la larghezza delle stradee delle intersezioni che vi si trovano mostrano unchiaro tentativo di regolazione da parte delleautorità di una città che nel 1960 si trovava giàalla soglia dei 5 milioni di abitanti.

2- L'apertura liberista di Sadat (1970-1981)La guerra del 1967, che impose severe restrizionidi bilancio all'Egitto, ed ancora di più il processodi liberalizzazione economica annunciato daSadat nel 1974 sotto il nome di Infitah posero un

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serio freno all'espansione della città formale.Molto è stato scritto sulle ragioni che portaronoad una rapida virata in campo economico durantela presidenza di Sadat quando alcune vestige delprecedente sistema si mescolarono ad unapoderosa ed improvvisa apertura ai capitalistranieri, favorendo tutti coloro che riuscirono adaffermarsi come agenti di import-export e junior-partner delle compagnie straniere che iniziaronoad operare in Egitto.Tre aspetti vanno richiamati qui. In primis, ilperiodo nasserista era stato caratterizzato da uncostante impegno bellico per i militari, chiamatiprima a fronteggiare la proibitiva alleanza traFrancia, Gran Bretagna, ed Israele nel precipitaredella crisi del Canale di Suez nel 1956 e poischierati in una logorante guerra in Yemen percinque lunghi anni (1962-7). Ancor piùsignificativamente, la straordinaria vittoriaisraeliana nella cosiddetta guerra dei sei giorninel 1967 lasciò un profondo senso di amarezza trale alte gerarchie militari, che ottennero unaparziale riabilitazione politica solamente sei annipiù tardi con la tanto decantata vittoria nellaguerra del Kippur.Comunque, al netto della martellante campagnapropagandistica volta a presentare le operazionimilitari come un completo successo per gliegiziani (un mito che continua ad avere una presafortissima anche oggi), la realtà aveva sancitoancora una volta l'indiscutibile superioritàmilitare degli israeliani che, anche se attaccati asorpresa e su più fronti, uscivano certamente nonsconfitti dal conflitto.I militari, ben consci della realtà delle cose,cominciarono a sostenere un graduale abbandonodel tanto strombazzato pan-arabismo dinasserista elucubrazione a favore di un approccioestremamente pragmatico, che mirasse aconcludere una duratura pace con il nemico chenon poteva essere sconfitto. In tale ottica, ildiverso posizionamento dei due paesi lungo l'assedel conflitto Est-Ovest cominciò ad essere vistacome problematica, e siccome Israele non sisarebbe certamente mai avvicinato a Mosca, gliegiziani dovevano muovere verso Washington.Gli americani colsero ovviamente al volol'occasione, barattando la girata a 180 gradi in

politica estera di Sadat con due precise richieste:l'acquisto di costosissimi armamenti made in theUS e l'imposizione dell'apertura verso l'esternodel mercato egiziano. Questi importanti aspetti dipolitica estera si intrecciarono a due fattoriinterni. Per prima cosa, l'imponente interventostatale in economia aveva creato numerosestorture: un crescente debito statale, un'eccessivaburocratizzazione, ed una scarsa produttività.Secondariamente, Sadat andava cercandol'affermazione della propria leadership personaleattraverso la promozione di una nuova coalizionesociale dominante, che potesse liberarsi daitecnocrati e burocrati promossi ad alti ranghi dalprecedente governo. Le difficoltà politiche insitein una rottura completa dell'implicito pattostipulato da Nasser con le masse lavoratrici(quiescenza e non autonomia politica deilavoratori in cambio di elargizioni materiali esociali da parte dello stato), spinsero il paese suun crinale pericoloso dove lo stato manteneva lasua tradizionale funzione di principale datore dilavoro, ritirandosi però da alcune aree dovel'azione privata veniva incoraggiata e favorita.In sintesi quindi si può evidenziare come lo stato,dopo aver favorito il processo di accumulazionecapitalistica attraverso la sua iniziativa diretta,lasciava che ad appropriarsene fosse una ristrettaminoranza che intratteneva stretti rapporti con laleggendaria ed ingarbugliata burocrazia egiziana.Scuola e sanità pubblica furono lasciate languire,mentre tutti i progetti di pianificazione urbanaper un'espansione controllata della città furonocompletamente abbandonati, lasciando alla solainiziativa personale tutto l'onere. Il risultato ful'esplodere della città informale che, già cresciutanegli ultimi anni della presidenza di Nasser,divenne l'assoluta protagonista del panoramaurbano negli anni settanta ed ottanta.Considerando la costante crescita demograficadella città, i vasti processi di urbanizzazione, e ildislocamento di oltre un milione di profughi dalCanale di Suez la situazione divenne presto didifficile gestione.Abbandonata qualsiasi aspettativa di uno sviluppocontrollato attraverso vasti progetti di ediliziastatale, la scelta degli amministratori, preoccupatiper le crescenti tensioni sociali, fu quella di non

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contrastare l'espansione caotica e non controllatadella città. Interi quartieri sorsero in pochissimianni come il risultato del disordinato edincontrollato affastellamento di edifici, con stradeche conseguentemente non correvano piùparallele tra di loro come in Mohandiseen e laspesso totale assenza di intersezioni. Questiquartieri mancavano ovviamente di tutti i servizi,con assenza di acqua potabile e sistemi fognari,oltre ovviamente a presidi sanitari ed edificiscolastici. In una fase di grande vitalità delle varieanime della sinistra egiziana, che vantavaun'egemonia pressoché assoluta nelle università,Sadat riabilitò, dopo anni di ferocia repressione,la Fratellanza Musulmana.Lo scopo era duplice: arginare la sinistra marxistanelle università e permettere che la Fratellanzaattraverso le sue organizzazioni caritatevolipotesse garantire quei servizi essenziali che unostato in disordinata ritirata non riusciva più aprovvedere. Il Cairo informale è quindi divenutouna roccaforte dei Fratelli Musulmani, che siaffermarono come il principale erogatore di unaparticolare forma di welfare sociale. Ancora oggi,nonostante la defenestrazione di MohammedMorsi e la messa fuori legge dell'organizzazione,la Fratellanza continua a vantare seguito emilitanti proprio in quel Cairo informale che lasvolta liberista di Anwar Sadat aveva creato.

3- Il trionfo del neo-liberismo con Hosni Mubarak(1981-2011)L'arrivo al potere di Hosni Mubarak, dopol'uccisione di Anwar Sadat per mano di unmembro della Fratellanza Musulmana, sembròcoincidere con un generale ripensamento dellestrategie di sviluppo economico del paese, datoche l'eccessiva riduzione del ruolo dello statoveniva vista come pericolosa per la tenuta socialedel regime da una parte consistente dellacoalizione dominante. Il secondo shockpetrolifero nel 1979, con la conseguenteimpennata del prezzo del petrolio, portò nuove efresche revenues nei dissestati forzieri egiziani.In quegli anni, a differenza di oggi, il paesenordafricano disponeva ancora di discretequantità di oro nero, che in parte esportavaricavando lauti guadagni, oltre ad essere favorito

sia dalle rimesse dei quasi cinque milioni diegiziani impiegati come manodopera nei paesi delGolfo sia dai pedaggi navali dei passaggi nelCanale di Suez. Per tutta la prima parte degli anniottanta ulteriori processi di liberalizzazionefurono congelati, l'amministrazione pubblicacontinuò a crescere, ed i sussidi per i generialimentari di prima necessità, il cui tentativo diabolizione aveva portato a violente proteste nel1977 sotto Sadat, furono mantenuti. In pocheparole, l'Egitto dei primi anni della presidenzaMubarak appariva come un semi-rentier state,eccessivamente dipendente dalle risorse esterneper procedere ad una profonda revisione delle sueprincipali linee di politica economica, eppure malequipaggiato su questo fronte se confrontato conle petromonarchie del Golfo. La linea digalleggiamento era alquanto precaria e nel giro dipochi anni lo stretto passaggio a nord-ovest fucompletamente ostruito.L'improvvisa caduta del prezzo del petrolio nel1986, quando il brent scese sotto i 10 dollari albarile, pose il paese in una situazione di grandedifficoltà. Impegnato a non toccare quegli checonsiderava fili elettrici ad alto voltaggio(introduzione di un sistema di tassazione direttaed abolizione dei sussidi alimentari) il regime diMubarak accettò pesantissimi passivi di bilancioche portarono l'Egitto a dichiarare bancarotta nel1989. Due anni più tardi, nonostante lapartecipazione nella prima guerra del Golfo alfianco degli Stati Uniti in cambio dellacancellazione di quasi metà del debito che il Cairoaveva contratto con Washington, l'Egitto fucostretto a ricorrere agli aiuti economici delFondo Monetario Internazionale. Qui inizia lamattanza neo-liberista del paese: privatizzazioni,sussunzione completa al capitale, esplosione dellediseguaglianze sociali, indiscriminati tagli ascuola e sanità pubblica, introduzione di unanuova e restrittiva legislazione nel mondo dellavoro, e piena riabilitazione politica edeconomica dei grandi latifondisti parzialmenteespropriati dalle varie riforme agrarie di Nasser.I mercanti del periodo di Sadat, che avevanoaccumulato una discreta fortuna economica, sitrasformavano adesso in capitalisti nel sensostretto del termine, semplicemente acquisendo

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quelle attività produttive che lo stato andavasvendendo alla ristretta cerchia che possedeva siai mezzi economici necessari sia le giusteconnessioni con il regime. In pochi anni unmanipolo di super-ricchi emerse. Grandi amantidi moderni e fiammanti SUV, sempre erigorosamente di colore nero e con finestrinisigillati a testimoniare lo spasmodico utilizzo diaria condizionata, attratti dal freneticoconsumismo occidentale, e stanchi del perennecaos che avvolge la capitale egiziana, questapatetica trasfigurazione del genere umano hacominciato a cercare la propria salvezza neldeserto.Gigantesche e tendenzialmente auto-sufficientinuove città-satellite, distanti spesso qualche oradal centro cittadino considerando il trafficoinfernale delle ore di punta, sono state pianificatee costruite da investitori privati che ottenevanoconcessioni e terre a prezzi stracciati. Nonostantequesto, molti di questi complessi sono ancora oggisolamente parzialmente completati, assumendo lesembianze di vere e proprie cattedrali neldeserto, dove centri commerciali scintillanti cheriproducono il Colosseo di Roma come involucroesterno della propria struttura si alternano apiloni di cemento armato desolatamenteabbandonati alla sabbia e alla polvere del deserto.Maggiore fortuna hanno avuto invece icompounds, ovvero complessi residenziali chiusie protetti da vigilanza privata che dispongono alproprio interno di mirabolanti giochi d'acqua eprati lussureggianti come nella piovosa Scozia. Inun paese dove la carenza di acqua rappresenta unserio problema per molti, il volto crudele del neo-liberismo spesso si cela e si esplica proprio inquesti assurdi capricci. Il tentativo perseguitodalla borghesia egiziana attraverso l'edificazionedi questi nuovi compounds è chiaramente quellodi un distanziamento completo e totale dal paesereale, quello dove il 40% della popolazione vivecon meno di due dollari al giorno, in condizioniigienico-sanitarie quantomeno precarie. Povertà,miserie, e contrasti sociali vengono quindiimmunizzati attraverso la loro rimozionedall'immaginario collettivo e la separazione fisicadelle due comunità.Il trionfo dei compounds da un lato ha anche visto

l'espansione della città informale in quello cheviene definito il Cairo semi-urbano. Queste aree,rimaste agricole per millenni e punteggiate damolti villaggi di modeste dimensioni, sono stateinglobate dall'espansione incontrollata della cittàe presentano tutti i problemi che abbiamo giàdiscusso in precedenza per le aree informali inmateria di accesso ai servizi essenziali. Inoltre, gliabitanti di questi villaggi che nel recente passatolavoravano la terra circostante, una volta privatidel loro strumento principale di sussistenza sonofiniti ad ingrossare le fila di un lumpenproletariatche qualsiasi osservatore minimamente attentoavverte straordinariamente vasto nella capitaleegiziana.

Conclusione"Nella produzione sociale della loro esistenza, gliuomini entrano in rapporti determinati,necessari, indipendenti dalla loro volontà, inrapporti di produzione che corrispondono a undeterminato grado di sviluppo delle loro forzeproduttive materiali. L'insieme di questi rapportidi produzione costituisce la struttura economicadella società, ossia la base reale sulla quale sieleva una sovrastruttura giuridica e politica e allaquale corrispondono forme determinate dellacoscienza sociale". (Marx, Per la criticadell'economia politica, Ed Riuniti, Roma, 1969, p.5). Questo lungo articolo ha cercato ditratteggiare attraverso una prospettivadiacronica le trasformazioni del tessuto urbanodella capitale egiziana a partire dall'acquisizionedella totale e piena indipendenza politica dallaGran Bretagna.Il filo conduttore che lega tutto il ragionamento èabbastanza semplice e merita qui di esseresemplicemente richiamato. Ognuna delle trepresidenze egiziane ha legato il suo mandato aduna specifica e precisa forma di modello disviluppo economico. Questo ha prodottoripercussioni evidenti sulla, per dirlo in terminimarxiani, sovrastruttura. I cambiamentiurbanistici intervenuti rappresentano così unpunto di osservazione privilegiato per capire latraiettoria seguita dall'Egitto negli ultimisessant'anni. Questo è quello che abbiamoprovato a fare.

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Cultura si, cultura noa cura di Franca Falletti

ex direttrice della Galleria dell'Accademia

Musei: ma quanto si concedea questi concessionari?di F.F.

Sembra ormai certo che i super dirigenti per igrandi musei statali (a Firenze, lo ricordo, Uffizi,Accademia, Bargello) non saranno nominati finoalmeno a metà agosto e, conseguentemente, dinuove gare per i concessionari non si parleràalmeno fino all'autunno, essendo stato deciso chedovranno essere loro ad espletarne le procedure.Verrà quindi rimandato ancora ciò che avrebbedovuto essere fatto almeno 15 anni fa e che permolte e gravi motivazioni urgerebbe fare al piùpresto.Ma teniamoci, per spiegare meglio il senso ditutto, al caso particolare di Firenze, prima città inItalia ad applicare la legge Ronchey del 14 gennaio1993, legge che prevedeva di affidare a privatialcuni servizi che i musei avevano difficoltà adoffrire. Fra questi la bigliettazione, l'organiz-zazione delle mostre, l'editoria e i bookshop, ladidattica.Prima considerazione: se questi servizi eranoconsiderati remunerativi il dovere del Governoera quello di dare ai musei gli strumenti pergestirli; se non lo fossero stati, del resto, nessunprivato se li sarebbe accollati. Quindi bisognapensare che dietro a quella legge ci fosse lo scopodi far confluire nel settore privato il prodotto diquei "giacimenti" culturale come ebbe a chiamarliper primo Gianni De Michelis.A Firenze il boccone era enorme e comprendevatutti i musei del Polo Museale (Uffizi, Galleriadell'Accademia, Complesso di Pitti, CappelleMedicee, Bargello, Museo di San Marco, Cenacoli,Palazzo Davanzati, Casa Martelli) a cui siaggiungeva il museo dell'Opificio delle Pietre duree il museo Archeologico. I servizi dati in concessione erano tutti quellielencati sopra, a cui con il tempo si è aggiunto inparte anche quello della custodia. Inizialmente ladurata della concessione era prevista come

triennale, con possibilità di rinnovo per isuccessivi altri tre anni. A forza di proroghe e diabracadabra, come il passaggio nel 2008 dalconcessionario ATI GIUNTI a CIVITA, società il cuicomitato di Presidenza ha al suo vertice GianniLetta, dal lontano 1998 siamo giunti ad oggi: manon c'è fretta, ora bisogna aspettare i superdirigenti. Si noti che il passaggio avvenuto nel2008 ha riguardato solo il gruppo dirigente, senzaminimamente toccare le aziende coinvolte, chesono rimaste sempre le stesse.All'atto pratico, cioè per la vita dei musei, tuttoquesto cosa significa? Significa che lo Stato si èpreso un socio con cui divide onori ed oneri perlarga parte della sua attività, ma si tratta di unsocio che ha scopi e finalità opposte per naturarispetto alle sue, in quanto l'impresa privatatende al massimo sviluppo economico, mentre loStato deve anche curarsi di far crescere il livelloculturale della popolazione. Ne consegue uninevitabile e purtroppo impari braccio di ferro, icui esiti dipenderanno dalle forze che i duesoci/contendenti hanno nelle specifichesituazioni e da quanto sono disposti a metterle incampo.Per entrare nello specifico, la Direzione degliUffizi ha, davanti al concessionario, una forzacontrattuale molto maggiore del Museo di sanMarco, in quanto tiene in mano una assai più riccaborsa; d'altro canto, il concessionario ha moltopiù interesse a sfruttare i musei maggiori, quindisarà assai più aggressivo nei loro confronti. Difatto gli spazi di confronto e di competizione sisono ridotti a mera apparenza, non essendocipossibilità di alternanza o di scelte al difuori delleimprese concessionarie; in poche parole si ècreato un mercato assolutamente chiuso einattaccabile, contrario proprio a quelle regole diliberismo e di dinamica concorrenza di cuivorrebbe dirsi figlio.Si tratta inoltre di un meccanismo che privilegiain tutti i campi la parte più forte e non la piùnobile: privilegia le grandi società escludendo lepiccole e medie imprese, privilegia i musei piùfrequentati dal grande pubblico, privilegia leattività più redditizie, come le mostre, rischiandotalvolta di forzare le scelte etiche e scientifichedei funzionari. Un esempio per tutti: la didattica

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in mano ai privati è diventata da molti anni apagamento. Ma che didattica è se insegna allepersone, fino da piccole, che anche la bellezza sicompra? E infine un'ulteriore domanda: è proprionecessario, Signor Ministro, aspettare ancora percreare un'alternativa che asfalti finalmente lerendite di posizione?

Pistoia, l'altra faccia della pianaa cura di Antonio Fiorentino

architetto, vive e lavora tra Pistoia e Firenze, attivo in

perUnaltracittà

L'area Ex-Breda di Pistoia: uncaso di urbanistica maltrattatadi A.F.

La vicenda del recupero delle aree delle OfficineBreda a Pistoia attraversa e condizionapesantemente gli ultimi cinquant'anni di storiadella città. Come è noto, l'area di circa 20 ettari,posta a ridosso del lato meridionale delle muramedicee, si è liberata nel 1973, in seguito altrasferimento, verso sud-ovest, degli impiantidella Breda Costruzioni Ferroviarie. Il primopiano di lottizzazione risale al 1963: dopo più di50 anni la maggior parte degli interventi non èstata completata. Bisogna ammettere che inquesti ultimi anni il processo di recupero ha avutouna certa accelerazione: è stata realizzata unabella biblioteca comunale; il polo universitario hatrovato gli spazi adeguati alla propria funzione;un'area espositiva e polifunzionale - "lacattedrale" - è stata completata.Per il resto, scavi di fondazione, scheletri diedifici, ammassi di terre di scavo, strutture quasicompletate ma inutilizzate, si susseguono atestimoniare l'inadeguatezza della classe politicalocale, sia sul piano culturale (non si è dimostratain grado di apprezzare le positive intuizioni delleproposte dell'architetto De Carlo, come vedremo),sia sul piano di una gestione efficace, econveniente per la collettività, delletrasformazioni previste. Come è potuto avveniretutto ciò? È necessario andare indietro nel tempo.

La prima fase è caratterizzata da un forte spiritoinnovatore, sia sul piano politico che culturale.L'amministrazione comunale intuisce che ènecessaria una forte regia pubblica dellatrasformazione, acquisisce le aree, approval'innovativo piano dell'architetto De Carlo,costituisce la società San Giorgio che avrebbedovuto avere un ruolo guida nella gestione delrecupero, approva (1993) anche la variantegenerale del PRG che recepisce in toto il piano DeCarlo.L'anno di svolta è il 1995. Dopo un breve periododi stallo, comincia una seconda fase, durante laquale viene decisa la revisione totale del progetto.L'amministrazione giustifica il cambiamento dilinea con la difficoltà nel trovare gli investitori ele risorse finanziarie necessarie a realizzare gliinterventi previsti. Abdica al proprio ruolo didirezione delle trasformazioni per affidarsiall'iniziativa dei privati. È l'inizio della fine. Iprivati impongono il ruolino di marcia cercandodi lucrare sulle superfici da edificare, sulledestinazioni, sui tempi, imponendo quindi lapropria regia, che si dimostrerà fallimentare perl'operatore pubblico e quindi per la collettività.Con il successivo piano particolareggiato - "pianoStilli" (1998) - è messa in opera la revisione delprogramma: l'amministrazione decide dianticipare gli interventi nella parte ovest (ca. 2,5ha) dell'ex Breda affidandosi ad un attuatoreprivato scelto mediante gara pubblica.Questo intervento avrebbe dovuto svolgere ilruolo di volano di risorse finanziarie per attuarepoi le previsioni nella porzione est. È lo stessosindaco dell'epoca a chiarire quanto stavaavvenendo: "il recupero dell'ex Breda - sostenneScarpetti - si è messo in moto dopo anni di stallonon grazie alle ispirate ma irrealizzabili soluzioniideate da architetti di valore (leggi: piano DeCarlo) ma perché la sua giunta decise di offrire aiprivati innanzitutto il redditizio recuperodell'area ovest, dove sono stati realizzati case,uffici e negozi" (Il duello Belliti-Scarpetti, "IlTirreno", 9 agosto 2011).Con un rialzo irrisorio rispetto al prezzo basedell'area e l'obbligo di realizzare le opere diurbanizzazione (viabilità, verde pubblico,parcheggi, reti e impianti tecnologici, ecc.), la

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società Giusti nel 1997 si aggiudica l'asta pubblica,divenendo di fatto il dominus dellatrasformazione e ipotecando il completamentodella porzione est. Nel giro di sette anni sicompletano i lavori sui 2,5 ettari della parte ovestche è inaugurata nel 2004. Gli interventi diedilizia residenziale e commerciale sono moltoredditizi per il privato, mentre il bilancio per ilComune "risulta a malapena a pareggio"1. Nonmancano i colpi di mano del privato chetrasforma un'ampia area a verde pubblico, cuoredel quartiere, in un parcheggio a servizio di unsupermercato che nella convenzione non eraprevisto. Cosi è, se vi pare!Nella zona est si accentua il degrado dei fabbricatiindustriali che De Carlo avrebbe desideratorecuperare, riportare a nuova vita e integrare conil contesto urbano e territoriale. Il piano Stillimodifica sostanzialmente le previsioni De Carlo esoprattutto elimina i vincoli sugli edificiindustriali dell'ex Breda che da quel momentopotranno essere demoliti. Il Comune decideancora una volta di affidarsi ad un operatoreprivato, errore che si ripercuoterà sullaattuazione delle successive trasformazioni. Nel2002 la Giusti, guarda caso, si aggiudica la secondaasta pubblica, sulla base di un bando esplorativodel Comune che insolitamente cede l'area incambio della "realizzazione delle opere diurbanizzazione che non dovrebbero far carico alComune stesso ma agli assegnatari"Una condizione curiosa è che viene richiesta incambio "la cessione di aree in altra parte dellacittà totalmente estranee al contesto aree exBreda riducendo così a pochissimi imprenditoril'opportunità di partecipare"La Giusti inoltre avanza delle "proposte che difatto con l'aumento del 46% della superficie utilecostruibile e la riduzione dei costi tendeevidentemente a moltiplicare i profittispeculativi"Non solo, ma nella relazione di partecipazione albando si afferma candidamente che "la propostaprogettuale illustrata richiede una variante alPiano di Recupero per una diversa configurazionedei lotti [...] e delle modalità dei parametri diintervento edilizio sui fabbricati"5. In altritermini: se la proposta non è compatibile con le

norme, si cambino norme e relativo Piano! È ilnaturale e triste epilogo dell'azione di governoche cede facilmente alle sirene dell'urbanisticacontrattata, per poi ritrovarsi imbrigliata nellereti della più bieca speculazione edilizia. Intornoalle proposte dei privati ovviamente accolte,anche se solo in parte, si definisce il pianoparticolareggiato del 2005, che è quelloattualmente di riferimento, salvo una variantenormativa del 2014.Qual è il bilancio di queste operazioni? Non si puònegare che nell'area troveranno posto importantiservizi pubblici quali la Questura, Prefettura,Agenzia delle Entrate, ecc. (peraltrodesertificando il centro che perde funzioni rare),oltre la già menzionata Biblioteca e il PoloUniversitario. Ma a che prezzo? C'è chi sostieneche l'operazione per la zona est, da un punto divista economico, è in pesante perdita per le cassecomunali. Sul piano culturale è stato dilapidatoun patrimonio di ricche e innovative proposteurbanistiche e architettoniche6 mentre lalogorante ed estenuante trattativa con i privati harallentato enormemente il completamento deilavori: a tutt'oggi solo un quarto della superficiedelle opere è completato e utilizzabile, un altroquarto circa è quasi completato ma non agibile, larestante metà della superficie non è stataultimata, le opere di urbanizzazione sono ancoranel libro dei sogni.L'area ex Breda si presenta ancora come unalacerazione irrisolta del tessuto urbano di Pistoia.Gli amministratori dovrebbero quindi ripensareprofondamente le proprie strategie di interventosulla città, avendo cura di non delegare agliinteressi privati delle imprese la gestione delletrasformazioni urbane, di evitare lavalorizzazione speculativa delle aree di recuperoper ripianare debiti o deficit di bilancio, di nonessere subordinati alle scelte dei vari consigli diamministrazione. A Pistoia, le occasioni diriscatto - il recupero dell'ex Ceppo e delle VilleSbertoli, il completamento del Nuovo Ospedale,ecc. - non mancano. I cittadini vigilerannoattentamente.

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Kill Billya cura di Gilberto Pierazzuoli

attivo in perUnaltracittà

Per un necessario abitare civiledi Sergio Brenna

docente di Urbanistica presso il Politecnico di Milano

Quando la perdita della misura si salda allaspeculazione finanziaria-immobiliare e allamegalomania delirante delle archistar l'effetto èla disumanizzazione dei luoghi dell'abitare.L'unica soluzione è continuare ad aggiungereindividualismo a individualismo, arroganza adarroganza? Due libri di Graziella Tonon suiconflittuali rapporti tra progetto di edifici e dicittà, aprono nuovi orizzonti sulla crisi della cittàattuale. Graziella Tonon, La città necessaria,Mimesis/architettura, Milano 2013, 12 euroGraziella Tonon, Architetture per la città: ilModerno a Milano nell'Antologia di Piero Bottoni,La Vita Felice, Milano 2014, 14 euroGià col titolo del suo libro, La città necessaria,Graziella Tonon dichiara apertamente da qualepunto di vista si collochi nella sua analisi dellacontrapposizione dialettica che, nella storiadell'architettura e dell'urbanistica moderne (enon solo moderne), ha lungamente segnato ladistanza tra quanti hanno puntato adun'architettura della città e quanti al progetto diedifici, affidato alla sia pur peculiare inventivitàtecnica, progettuale e linguistico-semantica disingole figure individuali di professionisti edintellettuali. Con uno scavo archivistico quantomai approfondito di pubblicazioni e materiali deiprincipali esponenti del razionalismo italiano, ein particolare di quello milanese che ne hacostituito l'espressione più rilevante sia intermini di teorizzazione concettuale sia dirilevanza quantitativa e di egemonia mediatica,Tonon mette in luce come invece abbia prevalsonella concezione di architettura moderna quellache ha privilegiato l'innovazione tipologica elinguistica dell'edificio."In architettura giungono il più delle volte arisultati di grande eleganza armonica [...]. Lasensibilità e la maestria con cui mostrano di saper

trattare l'organismo architettonico appaionoinvece drasticamente ridimensionate quando sioccupano di città [...]. Nella compattezza deltessuto cittadino ereditato dalla storia e nelsistema dei suoi caratteristici spazi aperti pubblici- essenzialmente strade, piazze e piazzette comestanze a cielo aperto - i razionalisti nonriconoscono gli elementi costitutivi dellaspazialità urbana [...]. La città della tradizioneviene condannata ad essere rottamata [...]. Neiloro progetti urbanistici domina unatteggiamento riduttivo della realtà propria diogni realtà cittadina [...]. L'attenzione alle singoleparti della città prevale sul riconoscimento di ciòche fa di quelle parti un tutto chiaramentericonoscibile come corpo urbano [...]. In taleprospettiva l'urbanistica non coincide più conl'arte di costruire le città [...]. Ridotta laconcezione dello spazio urbano al prodotto di unmontaggio scientificamente razionale di partifisicamente e funzionalmente distinte, si puòcapire perché la città storica agli occhi deirazionalisti appaia un ferrovecchio da buttare [...].Della città di quegli anni si vedono solo aspettinegativi: conflittualità diffusa, speculazioneedilizia, sfrenato consumo di suolo, irrazionalemonocentrismo, mancanza di verde,affollamento, promiscuità funzionali e socialiincompatibili, 'appartamenti d'abitazionecostruiti su strade corridoio rimbombanti dichiasso, invase di polveri, affacciate su cortili bui'(Le Corbusier, 1925)" "L'ambientismo - così tra ledue guerre in Italia viene definita l'attenzione aicaratteri architettonici del contesto - è ritenutoresponsabile di favorire il proliferare di facciatepatinate all'antica, incapaci di produrre impiantiedilizi e urbanistici razionali. Nello specifico, alcentro della polemica è il rispetto degliallineamenti stradali. Tale regola è considerata unostacolo alla possibilità dei volumi di articolarsiliberamente nello spazio in maniera coerente conle nuove libertà consentite, in risposta alleesigenze funzionali della vita moderna, dalrivoluzionamento della pianta. [...] la centralitàche la progettazione architettonica razionaleassegna alla pianta nella organizzazione spazialedei moderni volumi impedisce di riconoscere lafunzione strategica che l'arte di costruire le città

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ha attribuito per secoli alla sequenza dellefacciate: creare le superfici-pareti necessarie adare forma urbana allo spazio delle strade e dellepiazze. [...] l'urbanistica che all'architettura difacciata affida il proprio disegno vienecondannata perché presterebbe più attenzione alpassante che all'abitante e sarebbe più interessataallo spettacolo della scena urbana che al bisognodi verde, sole, aria e luce degli alloggi [...].La salubrità del moderno interno privato e labellezza moderna del singolo oggettoarchitettonico appaiono molto più necessariedella sicurezza e dell'antica bellezza d'assiemedegli spazi urbani del convivere [...]. Per irazionalisti vale lo slogan 'prima la casa poi lacittà' (Diotallevi e Marescotti, 1941) o, detto inaltro modo, alloggi sani, natura e prospettiveaperte in alternativa alla città e alle sueinternità". "Nella moderna città funzionale lastrada è concepita esclusivamente come 'sede deitraffici', automobilistici in particolare. L'abitare èconfinato nella casa, in un luogo chiuso, privato. Illuogo aperto, pubblico della strada viene escluso.'La strada corridoio non deve essere piùammessa', deve lasciare il posto a tracciatiseparati dalle case, ampi, senza curve, disegnati'secondo il principio ortogonale', su misura delmezzo meccanico [...]. L'esito, dove ciò si èavverato, è paradossale. Ha consentito infatti allanatura di riprendersi dopo secoli lo spazio chel'invenzione della città le aveva sottratto,delimitandolo, differenziandolo dalla campagna econnotandolo, complice la sequenza della facciatadelle case, in un interno aperto, pubblico, luogo esimbolo per eccellenza dell'abitare propriamentedefinito: 'lo spazio civile'".Riflettendo sulla notizia, apparsa sulla stampa inquesti giorni, che l'hinterland milanese e laBrianza monzese sono il territorio d'Italia e forsed'Europa più estesamente, densamente econtinuativamente utilizzato per realizzarviedifici e strade, io che ci ho vissuto la giovinezza,consideravo che quando ci ritorno non mi ciritrovo più: prima si andava da un centro urbanoall'altro per strade rettilinee in mezzo ai campi,ora si percorrono i retroscena urbani ditangenziali curvilinee raccordate da continuerotatorie e circondati dallo straniante paesaggio

di un'infinita villettopoli senza centro. Ma - se sisostituiscono i tracciati rettilinei extra-urbanidello sparuto traffico di singoli veicoli negli anni'30-'60 (che il movimento moderno-razionalistavoleva far penetrare fin nel cuore delle città) conquelli curvilineo-clotoidei realizzati dagli anni '80ad oggi per fluidificare il convulso flusso ditraffico del suburbio metropolitano, si evidenziacome in entrambe le circostanze l'esito siaun'esperienza spaesante, da far girar la testa. Igiudizi di Graziella Tonon sull'urbanistica el'architettura urbana del razionalismo italiano,ispirato dai canoni del movimento modernointernazionale, sono avvalorati, come si è detto,da un intenso lavoro di documentazione dellefonti d'epoca che le consentono di focalizzare ilimiti e i ritardi nella comprensione dei devastantieffetti che quella concezione stava producendonel corpo urbano delle città storiche italiane inrapida trasformazione edilizia, anche da parte difigure intellettualmente più preparate comePagano."Ancora nel 1939 Pagano definisce 'restauri' i'grandi sventramenti' di Roma, di Milano, diPadova, di Torino 'atti di alta chirurgia in cui  èdivenuta celebre l'Italia, rendendo in pochi anniirriconoscibile il centro di parecchie città' e sirammarica solo del fatto che quei 'restauristudiati con spirito di vera attualità, perpreoccupazioni monumentali e assenza di pianiorganici a carattere rigidamente sociale siano poistati deformati nella loro realizzazione perottenere quegli effetti scenografici cariall'educazione scolastica dell'ottocento'. Soloquando, rimosse le impalcature, la Milanorinnovata si rivelerà non solo molto distante daidesiderata dell'architettura e urbanisticamoderna, ma addirittura peggiore della 'Milanodell'ottocento' distrutta, definita a quel punto'una delle più belle città d'Europa', Pagano siscatenerà contro lo scempio perpetrato". Il fattoche la cultura progettuale più tradizionalista econservativa dell'ambiente urbano storico(Giovannoni, Calzecchi Onesti, Annoni ed altri)non abbia opposto un'accanita resistenza criticaalla politica degli 'sventramenti' "pur avendone,per l'autorevolezza e il ruolo ricoperto, lapossibilità [...] - scrive Tonon - non giustifica e

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non diminuisce la responsabilità dei razionalisti,tanto più che una alternativa realistica alledemolizioni si era delineata già da tempo [...]come era emerso chiaramente nel 1929 al XIICongresso di Roma della Federazioneinternazionale dell'abitazione e dei pianiregolatori, dove Marcel Poëte aveva affermatoche una 'città storica non deve essere distrutta intutto o in parte per far posto a un centromoderno'".Anche i protagonisti socialmente più sensibilicome Piero Bottoni - segnala Tonon nell'altro suopiù recente libro dedicato agli schizzi preparatoridi Bottoni del periodo 1951-1958 per l'Antologiadi edifici moderni in Milano - lo riconosceràautocriticamente solo a partire dagli annicinquanta, dopo aver avviato una ridefinizionedel carattere di 'modernità' a Milano."L'architettura moderna parrebbe esseredivenuta cosciente che la città possiede una suaparticolare lingua e che il manufattoarchitettonico, se non vuole corromperla, devesaperla ascoltare rispettandone i fondamenti: icaratteri dei suoi spazi aperti pubblici insiemealle regole che ne definiscono l'estetica d'assiemee che nello scorrere del tempo hanno consentitodi rinnovarne il fascino [...]. Dove l'impiantourbanistico assegna alla cortina stradale lafunzione ordinatrice degli edifici, le rotturedell'architettura moderna, spesso discutibili sulpiano lessicale, non impediscono allo spazioaperto pubblico di essere ancora percepito comeurbano. Dove però l'urbanistica, per esigenzetrasportistiche e speculative nello stesso tempo,ha permesso a tracciati fuori scala di distruggerele trame delicate e complesse della spazialitàstorica e ha consentito alle nuove costruzioni diassumere dimensioni mastodontiche, le cortinestradali, nonostante la qualità dei corpi difabbrica che la compongono, non riescono arestituire all'ambiente urbano l'incanto dellabellezza perduta".Con questa riflessione, tuttavia, non si tratta -ovviamente - solo di riaprire con accresciutaattenzione filologica i temi del dibattitoprogettuale di quegli anni: il tema del rapportotra edifici e città nell'aura di un mutamentoepocale indotto da una nuova fase tecnologica

eco-informatico-mediatico-ambientalista,presuntivamente capace di esaurirne i caratteridel reciproco rapporto, si ripropone oggi con ladilagante ideologia delle cosiddette "smart cities"(in realtà di nuovo proposte come l'esito di unasommatoria di "smart buildings") chetravolgerebbe, cancellandoli, i princìpi deltradizionale town planning, per un apodittico eindefinito Rinascimento Urbano delle nostre città,propagandisticamente posto in capo alle piùspericolate trasformazioni urbane veicolate dalcapitalismo finanziario multinazionale colcompiacente protagonismo mediatico dellecosiddette "archistar".Graziella Tonon lo fa nei quattro capitoliconclusivi de La città necessaria, intitolati "Ilmodo civile di abitare", "Il passato èrivoluzionario", "Urbanistica e architettura: unrapporto da rinnovare" e "Per un'urbanisticadell'utilità e della bellezza" in cui prova atradurre la revisione del rapporto architettura-edificio-città in critica delle esperienze diprogettazione urbana degli anni '80-'90 e quelledel primo ventennio del XXI secolo, oggi in corso,e in proposte alternative per il presente e ilfuturo. "La lottizzazione aperta, su cui si fonda ilgeometrismo del lotissement rationnel, ma anchela disposizione più mossa degli impianti cosiddettiorganici [...] avrebbe dovuto dare ordine allosviluppo dell'edificato attraverso piccoliinsediamenti autosufficienti, configurati, a dettadi Walter Gropius, come città rurali in campagneurbane. In entrambi i casi l'esito è stato nefasto: siè uccisa la possibilità di ricreare alcune dellecaratteristiche che hanno fatto e continuano afare l'identità e il fascino sia dello spazio apertourbano sia di quello rurale [...]. Le megastrutture,anche quando nei migliori dei casi sono poste inampie estensioni di vegetazione e si presentanocome 'torri nel parco', producono spesso leseguenti contraddizioni: all'esterno, un territoriopovero di esperienze, svuotato di attività epresenza umana e destinato inevitabilmente adiventare teatro di comportamenti incivili, oltreche possibile causa di agorafobìa; all'interno, unambiente super congestionato, che può diventareclaustrofobico e alimentare le patologie socialitipiche delle grandi concentrazioni carcerarie. Il

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caso delle Vele napoletane insegna"."Quando poi la dismisura si salda allaspeculazione finanziaria-immobiliare di livellointernazionale e alla megalomania delirante ditante archistar, produce solo gigantesche,aberranti astronavi che hanno come unico effettoquello di rendere disumani i luoghi dell'abitare[...]. L'architettura che dichiara di rifarsi allastoria non dà, d'altro canto, sufficienti garanzie. Aun estremo si assume il passato come un archiviodelle forme in cui pescare liberamente peraffermare una personale concezione estetica,senza alcuna preoccupazione di ordine civile.All'estremo opposto, quando l'intento è invecequello di riannodare il filo con la tradizione perricostruire una identità collettiva andata perduta,il riferimento alle forme storiche è spessoletterario, ideologico, intellettualistico. Siscelgono cioè dal passato alcune forme e non altreperché dimostrative di una teoria o evocatived'una ideologia, assunta come positiva a prioriper il solo fatto di essersi dimostrata tale inpassato, e si sostiene che possano per questoessere significative anche nel presente al di fuorid'ogni verifica empirica [...].Sembra, in questi casi, che si ritenga irreversibilel'idea, oggi prevalente, che nella metropolicompetitiva e individualistica, freneticaproduttrice di profitti e rendite, e riproduttricealtrettanto frenetica di rapporti alienanti tral'uomo e lo spazio, non rimanga altro da fare cheaggiungere individualismo a individualismo,arroganza ad arroganza [...]. Non di rinascimentoma di crisi profonda occorre parlare [...].L'urbanistica che sul tema della città e del suoprogetto ha costruito la propria tradizionedisciplinare, nella formazione degli studentioccupa un posto sempre più marginale. [...] sia lanuova scala della composizione architettonica siai correlati supporti infrastrutturali [...] escludonodal loro orizzonte la costruzione di città,nonostante essa rappresenti 'il giusto intervallo'(Umberto Galimberti, Il corpo, 1987)"."Pensiero sui luoghi ed esperienza dei luoghi [...]nella progettazione degli spazi dell'abitare nondovrebbero mai procedere divisi. Gli architetti egli urbanisti che più di altri hanno laresponsabilità di configurare gli assetti e il

destino delle città, a partire dal secondodopoguerra hanno al contrario teorizzato taledisgiunzione [...] da una parte, un'urbanistica incui prevale l'atteggiamento razionalistico e unafigura di planner attento all'organizzazione dellacivitas, ma dimentico delle forme dell'urbs;dall'altra, una architettura dominata da unformalismo indifferente alle esigenze della civitase un architetto malato d'individualismo che siautodefinisce poetico, nuovamente concepitocome un artista a cui si deve concedere totalelibertà d'espressione in nome dell'autonomiacreativa dell'arte: un sistema diviso di pratiche edi saperi incapace di fare città [...]"."Solo se urbanisti e architetti tornano a fare dellaconformazione dello spazio dell'abitare il camposu cui confrontarsi alla pari, possono ricomporrela scissione e la contrapposizione tra corpo eragione che alimenta piani urbanistici indifferentialle forme dell'architettura e progettiarchitettonici indifferenti al significato e alleforme civili dei contesti. [...] a definirla nonbastano le quantità volumetriche, e ancor meno ledue dimensioni di una maglia viaria, di unalottizzazione o di una zonizzazione. Il controllodegli usi del suolo e la sua suddivisione equa erazionale sono necessari, ma non sufficienti,mentre bastano poche forme architettonichearroganti per distruggere l'incanto di un interopaesaggio e renderlo inospitale".

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Ricette e altre storiea cura di Barbara Zattoni e Gabriele Palloni

chef attivi in perUnaltracittà

Salsa Crudaiola o Grattacheccadi G.P.

Questa ricetta prende il nome dalla famosagranita che un tempo si faceva "grattando"letteralmente i lastroni di ghiaccio, per otteneredei piccoli cristalli di ghiaccio da aromatizzare poicon sciroppi di frutta, per rinfrescarsi durante lecalde giornate estive.Questa salsa che non richiede cottura, è un mix diingredienti mediterranei, che richiamano i saporidella tarda primavera o inizio estate dellapanzanella, delle bruschette con il pomodoro ebasilico. Colori, profumi e sapori solari.Il fatto che non richieda cottura, fa si che gliingredienti conservino intatte tutte le loroproprietà.

Salsa Crudaiola o Grattachecca

Dosi per 4 persone: 400 gr di pomodori pachino, 1cipolla di Tropea, 1 cucchiaio di capperi, 50 gr diolive verdi denocciolate, 1 bicchiere di aceto dimele, un mazzetto di basilico, 2 cucchiai di olioevo, Sale, Pepe neroSbucciate e tagliate la cipolla a quadretti moltopiccoli poiché tutte le verdure dovranno avere ladimensione del ghiaccio tritato delle granite.Coprite la cipolla tagliata con l'aceto di mele elasciate riposare mentre preparate gli altriingredienti.Tagliate i pomodori pachino anch'essi a quadrettimolto piccoli. Stessa cosa per i capperi e le olive.Scolate la cipolla e unite tutti gli ingredienti in unrecipiente, meglio se di coccio o di vetro.Condite con sale, pepe nero, olio evo e le foglie dibasilico spezzettate a mano, in modo che non siossidi e rimanga bello verde.Con questa salsa potete condire della pasta, magriintegrale, del farro o altri cereali, oppurerealizzare dei crostoni.