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news from kenya
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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.13
Venerdì 29 LUGLIO 2011
Ultimo giorno a Mathare
ANNO III N.13
HAPA TUKO+L E O - M A J O R
MATURIPERL’AFRICANEWSREADY4AFRICA
Domande sull’AfricaSenza rispostaPagina 2
I vestitiChe abbiamo lasciato a casaPagina 3
I wishI could have one for mePagina 4
Jambo!Habari gani?Pagina 5
Slow and fast
Pagina 9
Non a tutto c’è rispostaAnna e JolePagina 7-8
Banchi, porte e paretiE una partita a calcioPagina 6
READY4AFRICA NEWS! PAGINA2
Ready4AfricaNews - ANNO III, N.13
Chi ci legge oggi ha una piccola sorpresa: il resoconto della mattinata è di Silvia. Non che i nostri studenti finora non abbiano scritto nulla ma, diciamolo, hanno già dato alla maturità e carta e penna non li esaltano oltremisura. Ma oggi cade giusto, per qualche ragione me lo aspettavo e senza che orami insistessimo molto ecco che i pezzi arrivano, e perfino un po’ arrabbiati. Silvia scrive indignata, Chiara scrive e ascolta le confidenze di una bambina, la sera a cena si d i s c u t e t u t t i i n s i e m e incazzatissimi. Cosa è successo? E’ succes so che andare ne l la baraccopoli o semplicemente incontrare gli africani, o in generale incontrare qualsiasi altra cosa diversa ha tre fasi. Qui negli slum il primo giorno è stato di sgomento. Una sberla che ti lascia a bocca aperta. Gente che vive fra l’immondizia non rientra nei tuoi parametri, ti porta in un altrove che non conosci e che ti lascia senza fiato. Il secondo giorno, diciamo la seconda fase, è quando cerchi di conoscere, di capire. Abbiamo incontrato Padre Stefano, abbiamo parlato con Suor Assunta, abbiamo parlato fra di noi e non abbiamo capito tutto, certo, però siamo andati oltre la
sberla. Ci sono delle ragioni della loro inerzia, della loro condizione, della loro immondizia, diverse, difficili da capire ma ci sono. Purtroppo queste ragioni, queste catene storiche che ti spiegano la sberla, la miseria portano con sè anche qualcosa che magari non ti piace. Scopri che dietro la facciata che suscita la tua pietà, dietro la miseria che ti piace aiutare, che ti viene facile accettare e sollevare, condividere, ecco, dietro quella facciata c’è qualcosa che non vuoi condividere, che non accetti ma che non puoi districare, separare dalla prima. C’è la violenza sessuale su infinite donne, una vita f a m i l i a r e b a s a t a s p e s s o sull’aggressione, una inerzia nelle cose che non ti va giù, una ingordigia che ti disturba, un egoismo che non accetti. Come fai a lasciare i bambini sporchi in mezzo al fango? Come fai a rubare una maglietta a un alunno? Come fai a chiedere anche la porta se ti abbiamo già fatto la parete? Eppure queste cose sono figlie della stessa storia da cui nasce l’”How are you?” con cui ci salutano i bambini in baraccopoli e che tanto ci commuove, del moccio al naso dei più piccoli che ci fa sorridere. Ogni tragedia ha un lato che si
esalta, ci eccita positivamente, e un lato che ci strazia, ci ripugna. Dipende da dove ci troviamo, da dove ci mettiamo. Ci esalta il primo giorno l’idea di aggiustare banchi negli slum, ha un valore simbolico che dal nostro punto di vista esterno, superiore, ci pare sublime. Ci ripugna quello che non sta dentro questa finestra, quello che ci costringe a scendere dentro. Quello che non rientra in questo schema asimmetrico per cui noi siamo attivi loro passivi, noi da fuori loro da dentro, noi il criterio di misura loro l’oggetto da far rientrare nello schema. Loro chiedono, noi diamo, e c i aspettiamo che la cosa avvenga senza sbavature: loro prendono ringraziando, nella misura che vogliamo noi, con lo scopo che vogliamo noi. Invece già al terzo giorno ti accorgi che non è così, che devi scardinare questo rapporto asimmetrico e accettare quello che non ti va. E’ un pacchetto tutto compreso, non puoi prendere una cosa e buttare l’altra. Ma è solo riconoscere questa esistenza dell’altro come autonoma, capace anche di provocare il tuo sdegno, che ti fa incontrare davvero l’altro. Mi si consenta il paragone, per tanti versi fuori posto: incontrare l’altro
Domande sull’Africa...SENZA RISPOSTA
HAPA TUKO+L E O - M A J O R
READY4AFRICA NEWS! PAGINA3
Ready4AfricaNews - ANNO III, N.13
in uno slum è come innamorarsi. Hai la sberla del primo giorno, al contrario evidentemente perché dell’altro ti catturano gli occhi, le labbra, la voce, poi hai la giornata in cui conosci, capisci da dove vengono quelle labbra e quella voce, poi viene il terzo giorno in cui subentra la routine, in cui scopri la carie a un dente e l ’ a l i to non sempre esaltante. Devi amarla di più quella persona, anzi, per tanti versi cominci ad amarla solo in quel momento. E così vorrei dire ai miei compagni di viaggio che l’Africa degli slum hanno cominciato ad amarla solo adesso, dal terzo giorno, nella verità di quella maestra che si frega le magliette dei bambini e che li fa tanto incazzare più che nel sorriso dei piccoli che per due giorni non h a n n o s m e s s o d i f o t o g r a f a r e . Complimenti, perché in tre giorni di s lum hanno fat to un be l percorso.
HAPA TUKO+L E O - M A J O R
Qui il vestiario scarseggia, quasi tutti hanno portato via una sola felpa. E nonostante sia il 29 DI LUGLIO, da noi piena estate, qua fa un freddo cane! Fuori il cielo è grigio e sembra autunno…ci saranno forse 17°. Ma vi chiederete come mai non abbiamo previsto questo freddo, beh diciamo che lo spirito del volontariato e la necessità ci
ha portato a riempire la nostra valigia di cellulari, palloni e vestiario da calcio. Tanto più che pensavamo: andiamo nel c o n t i n e n t e p i ù c a l d o , praticamente sull’equatore, mica fa freddo! Eeeeeee certo! Qui la gente gira con berretti d i l a n a e s c a r p i n e e maglioni…noi pantaloni e pantaloncini leggeri e t-shirt. C’è chi è da circa 2 settimane
che usa la stessa felpa, chi dorme con i calzettoni della nonna, chi si intabarra nel sacco a pelo. E aspettiamo di andare a Naro Moru, cioè in montagna, là si che sarà da ridere. L’unica soluzione possibile? Vestirsi a cipolla! o comunque indossare tutto l’indossabile.
Anna e Jolanda
I vestiti che abbiamo lasciato ... A CASA
READY4AFRICA NEWS! PAGINA4
Ready4AfricaNews - ANNO III, N.13
Programma teorico: ore 8 (limite
massimo, dice il prof. Carlo!) partenza per Mathare
Programma effettivo: ore 9.30 e stiamo
ancora salutando le bambineCosì inizia la nostra mattinata, con un
ritardo di 90 minuti. Abbiamo fretta ed aspettare un’ora per la foto di gruppo
sembra troppo, la pazienza in via di
esaurimento troppo poca. Aspettiamo fino a quando capiamo che la tempistica
africana spesso nasconde sorprese e soddisfazioni. Le bambine ci salutano
con una danza coinvolgente ed
organizzata; non lascia nulla al caso, ogni ragazzina ha un proprio ruolo e l’insieme
è assolutamente armonioso e piacevole. Batte dieci a zero il nostro inno d’Italia
(nulla togliere a Mameli!), ma ci si prova
comunque a ricambiare dignitosamente. Finisce la canzone e con lei pure il tempo
a disposizione. Bisogna salutarsi. C’è una fila in modo da non saltare nessuno e
non saltano neppure le lacrime perché
un pianto d’addio è quasi d’obbligo. Mattina bagnata (di lacrime), mattina
fortunata, si p o t r e b b e
dire. Invece
no, oggi è un’impresa
trovare un matatu che
ci porti fino
i n baraccopoli
e ,
soprattutto, sembra che gli autisti si siano
svegliati intenzionati ad alzare le tariffe. Intanto il ritardo si è accumulato e alle
dieci siamo ancora alla fermata del bus.
Alla fine qualcuno ha pietà di noi e dopo quaranta minuti d’attesa siamo sulla via
per Mathare. È l’ultimo giorno di lavori, dobbiamo costruire una parete divisoria,
due porte da calcio e consegnare divise e
palloni. Un po’ siamo sollevati, lo slum non è un ambiente facile da vivere nella
sua quotidianità e starci per tre giorni è più che sufficiente, senza contare che più
passa il tempo, più non siamo in grado di
capire le dinamiche al suo interno. E forse è meglio così. Abbiamo pochi
martelli quindi sono pochi quelli che realmente lavorano. Gli altri giocano con
i bimbi che oggi non fanno lezione e
osservano. Osservano i sorrisi dei più piccoli che si accontentano di fare un
girotondo per essere contenti e soddisfatti ( altro che il Nintendo DS dei nostri cari
cuginetti!), ma anche le insegnanti. Sono
loro a lasciarci a bocca aperta. Se ne stanno per i fatti loro, non ci chiedono
n e m m e n o c o m e stiamo; ci guardano
e r i d o n o . U n
bambino che avrà occhio e croce un
a n n o c a m m i n a scalzo nel fango con
p a n t a l o n c i n i e
pseudo pannolino ca l a t i , t an to da
i n t r a l c i a r l o n e i
“I wish I could have one for me”
HAPA TUKO+L E O - M A J O R
movimenti, ma non è un
p r o b l e m a ; n o n è necessar io pres targ l i
attenzione. È importante,
invece, guardare i vestiti che abbiamo portato,
assicurarsi che ci sia qualcosa anche per sé.
Non importa se le divise
sono taglia XS e chi li richiede abbia almeno
una XL. In questi casi si d i m a g r i s c e e c i s i
restringe con più efficacia
di sedute associate di d i e t o l o g o - p e r s o n a l
trainer. La paura è che quella divisa se la prenda
davvero, alla fine; non è
per il suo valore, ma per l’umanità che perderebbe
un’insegnante a privare un alunno di qualcosa
che gli spetta. L’unica
cosa che possiamo fare è confidare nel buon senso
che speriamo riesca a resistere anche in un
luogo dove spesso di
umano (secondo i nostri criteri) rimane ben poco.
Silvia
READY4AFRICA NEWS! PAGINA5
Ready4AfricaNews - ANNO III, N.13HAPA TUKO+L E O - M A J O R
Ultima mattinata con le bambine, oggi le ragazze se
ne vanno, sono tutte agitate, chi per la felicità chi per la tristezza. Mentre loro passano gli ultimi momenti
insieme noi ci prepariamo per andare a Mathare,
oggi finiamo il nostro lavoro e salutiamo i ragazzi della WHY NOT. Edoardo propone già dalla sera
prima di fare una foto di gruppo con tutte le bambine. Aspettiamo che tutte escano per metterci
in posa, nel frattempo ci dividiamo caramelle da
dare. Aspettiamo un bel po’ prima che si preparino, la suora ci dice che dopo la foto vorrebbero regalarci
una canzone e noi accettiamo molto volentieri. Tutti in posa, i prof preparano le macchine fotografiche
con l’autoscatto, dobbiamo esserci proprio tutti nella
foto, nessuno escluso. Qualche scatto in più e poi lasciamo spazio alle ragazze che
iniziano una coreografia che solo loro riescono a fare, un tamburo di sottofondo e
i loro corpi che si muovono divinamente,
sembra che siano nate ballando, non sbagliando nemmeno un passo. Una
bambina canta dando il ritmo a tutte le altre. Noi rimaniamo seduti, incantati, non
ci guardiamo nemmeno in faccia, forse per
nascondere le nostre espressioni nella consapevolezza che tra qualche minuto
dobbiamo salutarle tutte. Mary e Agrida, le due bambine più piccole, rimaste sedute
fino a questo momento, si alzano anche
loro e ballano cercando di seguire le più grandi. Si
mettono in mezzo, vogliono anche loro ringraziarci, sono buffe insieme, ci fanno ridere tutti! Finito il
ballo iniziano i saluti: momento drammatico, c’è chi
si abbraccia, chi si stringe la mano, chi si prende in braccio. Ovviamente scappa qualche lacrima sia tra
noi grandi sia tra i più piccoli, nessuno di loro vorrebbe lasciare il nuovo compagno trovato. È
pochissimo il tempo che basta alle bambine per
affezionarsi a uno di noi, servono pochissimi gesti per rimanere legati ed è quindi pochissimo il tempo che
passa per emozionarci quando arriva il momento di dire ciao per sempre.Angela
Jambo, Habari Gani?
READY4AFRICA NEWS! PAGINA6
Ready4AfricaNews - ANNO III, N.13
Allora aggiungo poche cose al diario di Silvia.
Aggiungo che la squadra, una volta arrivati in baraccopoli si è divisa in quattro gruppi. Daniele e due
alunni alla paretina del secondo piano, a dividere una
stanza minuscola in due minuscolissime, sala insegnanti e biblioteca, un foglio di compensato da tre in mezzo.
La seconda ai comandi della Tamara e della Claudia ad aggiustare una decina di banchi rotti che ci hanno
fatto trovare nel cortili, già rimpiazzati nelle aule dai
banchi nuovi. La terza ai comandi di Carlo a far buchi per le porte da calcio nel campetto almeno un po’
liberato dall’immondizia. La quarta a giocare con i bambini, senza capo. Il Venti in giro un po’ qua un po’
là, per prima cosa a comprare i pali con Andrea,
Semplice, Jolanda e Annalisa. Ci portiamo le sei pesantissime travi per le strade ormai consuete della
baraccopoli sotto gli sguardi curiosi dei passanti, ci facciamo perfino prestare un machete da un falegname
per appuntire le porte da piantare dentro il terreno. Ma
i problemi sorgono in tutti i cantieri. Daniele ha fatto una splendida paretina divisoria ma Philip vorrebbe
anche due altri tramezzi che creino delle porte ai due locali, per la serie di do un dito ti prendi il braccio.
Carlo è stroncato nel suo slancio calcistico perché Philip
vorrebbe delle porte “spostabili” da mettere al sicuro la notte altrimenti se le fregano. Ma se le pianti non le
sposti più… Risolviamo con delle casse che verranno interrate e consentiranno di inserire e togliere il pali
tramite delle zeppe, roba di alta ingegneria. Quanto ad
aggiustare i banchi vecchi si scopre subito che richiede più fatica e tempo che farli nuovi. Il gruppo che gioca
ha modo di osserva tante cose che non vanno. Le maestre hanno metodi educativi assurdi come far
ripetere per l’ennesima volta la stessa poesia sull’AIDS,
tirare con violenza le orecchie dei bambini, non degnarli della minima attenzione, neanche quella che
serve per pulire il naso o per insegnare a farlo. La
miseria è brutta e di solito sviluppa anche degli aspetti cattivi o perlomeno non può permettersi il lusso della
sensibilità e della cura. Comunque sia i lavori procedono spediti, compriamo altro compensato,
piantiamo finalmente i pali finiamo i banchi perché ci
ha preso una sorta di nausea da slum, lo capisco. Ciascuno vorrebbe essere già fuori, stiamo toccando la
routine, la ripetitività, molte cose non ci piacciono e vorremmo andare via quanto prima. Abbiamo finito,
tiriamo fuori i palloni che abbiamo fatto gonfiare a una
pompa di benzina lungo il tragitto, li regaliamo ai bambini che se li contendono a braccia alzate come
fossero un tesoro. Grazie alla Sportwear di Pordenone, grazie a Mauro Busadin, al prof. Gargani e a Patrizio.
Con Philip nell’entusiasmo generale organizziamo una
partita di calcio per il collaudo del campetto. Undici conto undici, circa, ci schieriamo di fronte per il saluto
e cantiamo perfino l’inno di Mameli con la mano sul cuore. Credo che sia una celebrazione dei 150 anni
davvero degna di rispetto e commovente. Loro ci canta
l’inno del Kenya e possiamo cominciare. Tutta la scuola ha sospeso le lezioni, abbiamo un grande pubblico e
arriviamo subito a un due a zero con gol di Andrea e di Carlo. La palla finisce spesso in uno dei due ruscelli
schifosamente maleodoranti che stagnano ai margini
del campo ma qualcuno la recupera e via, ci danno anche di testa senza problemi. La partita si conclude
due a due perché Tommaso insiste a fare il portiere tenendosi lo zainetto sulle spalle!! Intanto due maestre
Banchi, porte e pareti......E UNA PARTITA A CALCIO
HAPA TUKO+L E O - M A J O R
READY4AFRICA NEWS! PAGINA7
Ready4AfricaNews - ANNO III, N.13
Io scrivo e Jolanda pensa, insieme
pensiamo. Oggi siamo debilitate nel fisico, ma non nello spirito! Niente
giraffe ed elefanti per noi ma intricate
riflessioni davanti ad una tazza di the.Eccoci qua, distese a letto, che
confrontandoci, ci poniamo domande a cui nemmeno insieme riusciamo a dare
risposta. Parti per l’Africa con dei
pensieri (forse i più comuni a tutti quelli che non ci sono ancora andati), arrivi in
Africa e i pensieri che avevi si materializzano e te ne crei altri opposti
a quelli che avevi e ancora più
complessi, trascorri alcune settimane in Africa e ti arrendi.
Le domande nascono in seguito alla giornata di ieri, alle esperienze fatte e
all’incontro con Padre Stefano a
Korogocho, ma in generale dalla situazione che quasi ogni giorno
abbiamo di fronte: la povertà, gli slum, la stessa donna e bambino che vediamo
ogni mattina dormire sul ciglio della
strada, la esorbitante differenza nel vestiario dei keniani che comprende
vestiti impeccabili per gli impiegati, non-vestiti per il 60% della popolazione
di Nairobi che vive negli slum (e queste
sono solo alcune cose).Lunedì e martedì abbiamo costruito i
banchi per la Why Not School che si trova nella baraccopoli di Mathare.
Venticinque banchi cominciati e finiti in
poco tempo, ma fatti bene (siamo forti,
anche se non dei provetti Geppetto
tranne Daniele e Paolo). Mentre lavoravamo ascoltavamo provenire da
una aula la voce in coro dei bambini
che ripetevano da una buona mezz’ora una filastrocca inquietante sull’AIDS:
“Aids, aids where did you come from? My mother was heavy, my father dead
and a new baby was born. You leave me
here alone. No one to help me. Aids has not cure…” A parte l’argomento della
poesia alquanto realistico ma triste, ci ha colpito il metodo di insegnamento
antico basato sull’imparare in modo
mnemonico e magari con qualche sbacchettata sulle gambe. Proprio
sull’insegnamento, a noi molto vicino in quanto studentesse, è sorta la prima
domanda: è giusto questo metodo?
Serve? Dicono che gli africani siano molto più veloci di noi nell’imparare e
che i loro esami s iano molto più
difficili dei nostri.
S i a m o n o i c h e s o t t o v a l u t i a m o
l ’apprendimento p u r e a v e n d o i
m e t o d i p i ù
appropriati? O sono loro che accettano
di apprendere a s u o n d i
s b a c c h e t t a t e ?
L’unica cosa che abbiamo potuto
Non a tutto c’è risposta.
HAPA TUKO+L E O - M A J O R
notare è che per loro
l ’ andare a s cuo la e l’imparare sono l’unico
modo per crearsi un
futuro e spiccare il volo, a noi invece sembra una
cosa scontata, fatta un po’ per obbligo e un po’ per
consuetudine.
Noi siamo partite con l’idea di dare una mano a
chi l’avesse chiesta. Ma ora che siamo qui ci
chiediamo: che senso ha il
nos t ro vo lontar iato?
READY4AFRICA NEWS! PAGINA8
Ready4AfricaNews - ANNO III, N.13HAPA TUKO+L E O - M A J O R
Come è visto da chi chiede il
nostro aiuto? Siamo perplesse. Siamo noi che desideriamo
aiutare e migliorare gli africani?
Siamo solo noi che li vediamo i n u n a c o n d i z i o n e n o n
ottimale? Per loro vivere così è accettabile? A loro serve il
nostro aiuto? Lo vogliono e ne
hanno bisogno o vivono anche senza? Non saremo di certo noi
a migliorare il mondo, ce ne sono stati tanti prima, ce ne
saranno altri: è forse solo una
s m a n i a d i g r a n d e z z a occidentale che ci porta a
consigliare un modo di vivere solo nostro?
S i c c o m e n o i b i a n c h i c i
riteniamo, come lo sono tutti rispetto alla propria patria,
(siamo sinceri) migliori, forse cerchiamo di consigliarlo anche
a loro!
Che casino. È tutto diverso, se per noi una cosa è rotta si butta
via subito o si aggiusta subito. P e r l o r o u n a c o s a è
inutilizzabile solo dopo una
lunga vita di riutilizzo continuo. Ma tutto ciò è motivo di
povertà o di educazione? È certo che vivono anche senza il
nostro aiuto, che è minimo, ma
non capiamo ancora. L’aiuto
che diamo ci fa bene, perché vediamo che fa bene agli altri
ma gli fa veramente bene o
siamo noi che pensiamo gli faccia bene? Forse la chiave di
lettura sta proprio nel non fare c o n f r o n t i , p a r a g o n i ,
comportarsi senza porsi mille
domande: l’aiuto è aiuto. Questo è un mondo, il nostro è
tutt’altro. Fondamentale è di cer to l a cu l tura , s e no i
occidentali sentiamo il bisogno
di cambiare il mondo perché alla fin dei conti è quello che ci
i n s e g n a n o , g l i a f r i c a n i sembrano arrendersi alla realtà
ed accettare il mondo così
com’è perché è ciò che li fa andare avanti, sembrano non
avere la forza di ribellarsi forse
per paura di perdere quel che hanno.
Basta. Ci rinunciamo. Forse
basta vivere ed osservare semplicemente anche se è tutto
più difficile arrivare in un paese completamente diverso dal tuo
con alle spalle la tua vita fatta
di agi, i tuoi ideali, la tua educazione e la tua cultura.
Padre Stefano dice che più tempo trascorri e vivi in Africa
m e n o r i s p o s t e h a i a l l e
d o m a n d e ; c o m e p e r l e domande sul senso della vita, le
domande sul senso dell’Africa non hanno risposta.
Anna e Jolanda
READY4AFRICA NEWS
REDAZIONE:
JOLANDA BARRA ANNA BATTISTELLA CLAUDIA BEACCOSILVIA BURIOLLA
PAOLO VENTI CARLO COSTANTINO EDOARDO PICCININ
ANDREA SANTIN ALESSANDRO GIACINTA
TOMMASO MARTINVALERIA DE GOTTARDO
MARTA GREGO MARTINA DE FILIPPO
ANNALISA SCANDURRA CHIARA VENA
GIULIA LORENZON ANGELA BRAVO
TAMARA NASSUTTI DANIELE MARCUZZI
29 Luglio 2011 ANNO III N.13
INVIA A:
Parenti, amici e conoscenti!
Slow and fast
HAPA TUKO+L E O - M A J O R
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Carlo