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justalovesong, i versi di Osvaldo Piliego per il Magazzino di poesia di Spagine.

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Osvaldo Piliego - Canzoni

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SpagineMagazzino di poesia

Note di letturadi Dario Goffredo e Luciano Pagano

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spagine - magazzino di poesia - poesia 32Giugno 2016

Spagine è un periodico di informazione culturaledell’Associazione Culturale Fondo Verri di Lecce

a cura di Mauro Marino

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Emozioni, narrazione, movimento. Sonoqueste le parole chiave per parlare di Justa love song, la raccolta di versi di Osvaldo

Piliego.Emozioni, perché sono, quelle di Osvaldo, poe-sie mosse e dettate dalle emozioni: una sottilenostalgia che sottende a tutti i suoi versi, unanostalgia che pervade la raccolta e che portacon sé il profumo di cose andate, l’ombra deimorti, città visitate, amici perduti, o, più gene-ricamente, una felicità sfumata al fondo di unbicchiere; amore, che è il sentimento base, lasola cosa che riesce a mitigare, se non spe-gnere, la spinta distruttiva del demone; tri-stezza, che è cosa diversa dal dolore, che nonentra quasi mai in questa poesia, dove è la tri-stezza, col suo velo leggero a dettare il ritmosommesso della versificazione. Ed emozioni,perché sono, quelle di Osvaldo, poesie chemuovono emozioni, poesie che toccano, cheportano a “sentire”, poesie che vengono dallapancia e parlano alla pancia.Narrazione. Pur essendo lontani dagli stilemiclassici della poesia di narrazione, i testi diOsvaldo raccontano, pur nella loro liricità. Esono popolati da personaggi. Sergio, Dario,Mauro, Tobia, Chiara, i “tutti” del centro so-ciale, sono gli affetti del poeta, i suoi maestri, isuoi alter ego, i suoi rimpianti, i suoi amori.

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Osvaldo è un narratore, e i temi che traccia e af-fronta nelle sue poesie sono gli stessi che trac-cia e affronta nei suoi romanzi. Una certadecadenza, fisica e morale, l’impossibilità disfuggire a un destino che non si accetta,l’amore, unica salvezza, l’amicizia che non è sologoliardia, la città in cui vive e quelle in cui fugge,legate in qualche modo alla nostalgia, come To-rino e Urbino.Movimento. Perché queste non sono poesiestatiche, non è mai fermo in un punto l’autore,e se non è movimento fisico, è movimento dellamente, che va a cercare luoghi, situazioni etempi lontani. Ma è nelle poesie dedicate allacompagna (quelle dove entra una luce diversa,non accecante, ma dolce, come la luce dell’alba)che il movimento si fa volo e cambiano le atmo-sfere, e il sorriso appare sul volto di chi legge. Èl’unico momento quello, seppur fugace, in cuisi può trovare pace. Ed è poesia di movimentoperché è in continua mutazione, in corsa versoforme nuove di versi, di metri, di rime. É poesiache gioca, che non si accontenta di quello cheè, vuole diventare altro, come il suo autore, edè questa la sua forza. Oggi è questa la raccoltadi Osvaldo Piliego, domani potrebbe non esserepiù la stessa.

Dario Goffredo

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Come eternit ignorato per decenninon ho fatto casoal logorio ostinatodel sorriso minimosottratto al giornocome luceal solstizio d’inverno.Male incarnato silente e cariatoinfestante di gramignatoglie aria al germoglione oscura la nascita.Nega il figlioe il domani tutto.Condanna sterilel’uomo fertilefa dei giornicicli di clima e poco più.

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Osvaldo Piliego

Alle piazze con il sole a crepare pietre e piegare spalle.Rovente il lastricatonei deserti della controrain questi paesi abitati da cuginidove i bambini si somigliano tutti.E le donne hanno sguardi a cercare altrodai quattro incroci e le strade consuete,dei visi intagliati dei vecchie le loro le mani duretese e aperte nei bar con la birra a un euro.Da anni che non sai che non conoscicome questa vita che scorre lenta a sud.Lì ti muovi alienocon un ritmo diversofuori tempofuori da questo tempolontano forse ma nostro in fondo.Andamento di vitain terzine all’ombra dei mostri con la cassa drittae gli assassini delle coste

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terroristi del mare nostro.E hai provato Sergioa raccontarmelo tutto questotra un tiro e l’altroe oggi, finalmente,lo respiro.

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Chiudere le porte al mio passaggioper non far maleal tuo sonno difficile.E nel silenzio dei gestisentire la città cinguettarealle prime luci,coi motori spentie lenzuola ammainateper chiedere pacealmeno nelle camere da letto.Dove non siamo figlima amanti e compagni,dove chiunque dormeha scelto la sua famigliaquella che mescola il sanguee non lo subisce nel nome.Aspettare, bevendo caffèil tuo primo sorriso,quello più bello.

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Cos’è quella pena che avvertitra le costole il cuore?È forse ansia, un colpo di ventoo il residuo di qualcuno che da qualche parte resta.Quando la densità dell’ariasi adatta al nuovo solecosì come la vita impara le stagioni,qualcosa dentro al pettosi inclina e fa malecome fossimo pianetiin piena rivoluzione.E sopravvivremo lo soanche al nuovo solstiziodopo un inverno così duroche ci ha consumato le unghie.

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Osvaldo Piliego

Vorrei raccontarti una storia diversa,trovare le parole migliori che hometterle in fila come piace ai poetie invece non ci sonole abbiamo usate negli anni miglioricon chi neanche le meritava veramente.E ti porterei se solo potessiin una cantina dove il vino regala l’oblioe non solo poche ore di sonno sceglierei il tavolo più bello se solo ci restasse un briciolo di fame.Tutto farei, ma a poco servirebbequesta ostinata e testarda fedeltà.Ci troviamo allora, come dice il vecchio Fred,“al fondo di un bicchiere”, amico mio,l’incontro e la fine di questi giorni sbagliati.

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Di bellezza non mi stanco.Delle ragazze ai primi solie il rossore delle cosce liberate.Sulle terrazze a un passo dalla rena caldala pelle d’oca dei francesi in acquacon gli abiti strettie la biancheria che sfuggee si lascia vedere.Le lenti scure con le birre a nastroa sorprendersi per le risadi muscoli e parole dimenticatein un letargo che finisceoggi forsementre strizzi gli occhi per la lucee l’acre del limoncello.Il pudore lasciato al cielocon il fumo delle sigaretteche a contarle sono tantecome i minuti al mare.Dei culi infine, di tutti sono grato.

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Osvaldo Piliego

È in salita la stradache mi porta a teai giorni in cui Urbino era un abbraccioe i tuoi anni leggeri.Con la malinconianel bagaglio a manohai dormito come maitra il vento freddoe le stanze calde.Senza troppe parolee una manciata di oreper nascondere un po’ di noi tra le pietre rosse.Lo ritroveremo forsein un tempo nuovo.Grazie allora amore mioper la giovinezza che mi hai regalatoin cui non ero e adesso sono.

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È la controra della povera gentedei rom sugli scivolinella villa comunalee le badanti al telefonofanno da letto le panchineal barbone avvinazzatoe il grigio selciatoè la strada alla finedei turni di notte.E io cammino anche oggipercorro la strada consuetalascio una casa per pocoe assaporo il ritornotra queste partenzeche solo pause hannoe l’arrivo non sanno.

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E non ti dimenticaredi quello a cui tenevipiuttosto brucialoguardalo consumarel’aria e il ricordo impresso nei suoi angoli.Cancella, strofina forte,incidi se necessario,asporta.Perché non è l’addio,ma il ritorno ad ucciderci veramente.

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E poco hai da direalla resa del giornoe agli amici di un tempodel passato che dorme.Di ciò che tentennaqualche battito residuouna piega sul visole cose dimenticatead asciugare per anni.Ma ‘sta vita è scirocco di merdafa male alle ossatrapana fino al cuoreumida come una ficacome la stanza in centro dove dormivo male.

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I cani del maredell’acqua non si curanorandagi la strada, guardano.Quelli di casa il padrone seguono e l’acqua sognanoche di mura, vivono.Conta forse di piùla libertà di chi è solo,o preferisci la gabbia di un amore?Mi hai detto un giorno.E tu cosa sei quindi? Ho chiesto allora io.Io sono solo acqua,comunque ci sarei.Hai risposto.

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I ragazzi in biciclettausano marce leggeremulinano le gambeper fare pochi metri.Nelle piste ciclabiliche sono come i singhiozzidi questa cittàpiena di acqua.Che piange sciroccosui vetri del bar dove siedo,su quelli della stanza del vecchio dirimpetto.Dove le saracinesche dei negozisono grigie come la sconfittae i posacenere esaustiper le lunghe attese.Le teste degli altripiegate sugli schermia cercare qualcosa di meglio.Mentre i canipisciano feliciper dirci che esistono,che ne vale la pena.

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I rivoli di luce sono il collasso delle palpebre,il ricordo di passaggie macchine cariche di chitarre ancora calde.Sono la scia, l’umidità sudataa calpestare un palco che non vuole morirema sentire vita urlatasputata in faccia alle scimmieaffamate di rumore.E non cercano pietàma parole ruvidecome sigarette sulla gola stremata.

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Il mattino ferrosoriarso nella boccaha sentori di vita sbagliata,di sonno fuggitoal pendio delle ore tarde.Aspettare per stradala luce alla fine di tutto,del breve corso di un giornocome i mille prima.Scavarsi la fossacon un cucchiaino da caffèè la nostra pena in terra,l’attesa che ci sbeffeggiae ci fotte lo stomaco.“Un sonno di quiete domani”è un volo d’uccello nelle stanzebalugina come il ricordodella sua prima voltatristi in altre casetenuti insieme dal vinoe un patto stretto con gli occhi.

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Il peso del tuo viso sul mio pettosolo quello il mio cuore puòe tutto il male che abitai tuoi sogni la notteanche quello lascia quiche io aspettonon ho frettariposa amoreogni volta che vuoisul mio costatoe le mani apri sul mio ventreche i pugni a noi non servonoe dimentica se puoialtrimenti prendi il tempoquello che serveche io non vado dacché sono arrivato.

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Ci sono video che stanno commuovendoil mondoe noi non li guarderemo.Se anche gli indiani in fila fuori la caritashanno voglia di ridereallora questa non è quella che chiami tristezza.Facciamo foto per avere memoriadel poco che ci piace.La sera accendiabat-jour con luci caldeperché i neon ci rubano tutta la bellezza.Se poi ci stancheremobasterà un gestoe sarà solo buio.

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Delle tavole vuotealla fine cosa resta?Un passaggio,e il pasteggio di giorni a tirar tardi.Hai forse dimenticato tutto il male che mi hai fatto?Il sapore del digiunol’agonia dello stomacoe le notti bianche,fumose dietro tendea proteggerestanze spoglie.Per contemplare l’assenzae non sentirne mancanza.Basta questa piccolae trascurabile serenità forse?La farsa delle festecome il tossico sul corso vestito da babbo natale.Lo stesso del mese scorsoa chiedere spicciilluminato come le piazze.Nei giorni a intermittenzadi sonno sul divano,di vino buonoe bollicine nei flute,nei calici a brindare allo stesso cielo

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che hai maledetto a settembrequando la vita era arida,come la zolla nei campia un passo da Roca,dove il cristo era bestemmia.

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Livida la pelle dove passi tuche sei una punizionesapiente nei nodidi vita scorsoia la mia penitenza sei.Come una santae io devoto alla tua statua di carneincisa d’inchiostroper non dimenticare.Come resti e segnidi una guerra privataa far memoria di noie del male possibile.

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Dopo il sabato perfetto sei venuto e in silenziohai preso posto alla tavola che per melo sai Mauro è già abbastanza.E ci siamo fatti del bene fino a essere sazi.L’acqua calda e le briciolesono i nostri piccoli ritidi minima sopravvivenzascrive Dario.E poi c’è il riposol’accenno della pace.Fuori è un mondo ferocenel giorno di festauggioso come si deve.Arriverà la sera insieme alla paura porteranno quelle nuvolequalcosa di nuovotornerà il fresco vedrai.

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Sussurri al telefono,le nuove frasi d’amore,le imprime un microfonoinsieme al contorno e il rumore,parole che conservano l’ariatrattengono il respiro,per le notti a stare malequelle con l’erba tiro dopo tiroe liquori distillati insieme a Nataletroppo forti per il caldodi questi giorni a cancellar memoria.E cercare conforto,qualcosa che è casa dove travasarci liquidifarci passare appetito e setee scoprire nudiquanto vogliamo quiete.

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Nei pomeriggi del mare la città si acquieta e con lei queste mura che fanno pastura di vita inquieta a stare fermo e ricordare di sguardi lontani che conservi castani nelle pieghe delle rughe il resto delle mancate fughe.

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Ti ricordi del culo di Simona?Noi seduti sul divanocon Tobia e i troppi caffèle sigarette, millee le parole confuse.Della bottiglia di Gin caldoin quella casa umidadel buio di giorni lunghidel tempo, troppoche non ne volevamo tanto.Il passo lento su via Pratole maglie sempre più larghee le mani che tremavano.Ridevamo, poco ma veramentebevevamo moltoe mai per festeggiare.Sentire il mondo che ti trapana lo stomacocome fosse acidotroppo più forte di tee dei tuoi occhiche vincevano i mieiogni volta che li incrociavano.Oggi in chiesaal tuo funeralec’erano tutticome al centro socialevent’anni fae mi manchi .Avrei voluto avere il tempo quello che prima avanzavae adesso non c’è più.

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Come i ciclisti in piazza Sant’Oronzo con il casco e le tute aderenti, così la vita è demente, come le parole dei giornali che nessuno sa scrivere più. Così è la tua malinconia, quella che da undici anni mi tiene a te, come una risposta che non arriva mai, che non comprendo. Non cerco il senso, qui non serve, basta la promessa in un sorriso, a pranzo, tra un boccone e un altro sorso. Come un ciclista la domenica

[fammi sentire,felice come un bimbo a carnevale, fuori posto se non con te.

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Osvaldo Piliego

Di chi erano i libri comprati in via Po?Quante mani prima delle miehanno sfogliato le pagine del Dottor Saxe quante oggi in cittàapplaudivano gli ultimi della maratonainsolito con quel soledopo un sabato fatto di acqua fuori e vino in casa.Sulla strada per Casellela ragazza del Bora Sunsorride abbronzata dal manifestoa una provinciale bagnatache segna arrivo e partenza.In aeroporto gli altoparlantisuonano in diffusione uno Sting anemicoin volo decine di telefonironzano sadicii video del concerto di Slashla notte prima.Che è fatta di tanti e tanto questa Torino che hai sceltoma a me solo di te sa Chiarae di pastis forseche il sangue i chilometri li vincea fatica a voltema col sorriso.

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Nel giardino accanto al nostro c’è un ristorante si festeggia un matrimonio è una pratica costante d’amore e mercimonio sento la musica, le risa, la gente e io sono solo che fumo. Un muro ci separa e anni luce di niente penso alle possibilità di una vita al suo incedere elegante verso l’unica via di uscita al sudore che trasuda la festa e alla secchezza delle mie fauci. In questa notte mesta spegneranno le luci poseranno i calici resteremo al buio.

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Ho cambiato supermercato, dopo anni di tragitti a memoriadi sapori sicuri e solite marche.Le buste della spesa serrano il polsostringono la vena che volevi tagliarementre, la natura morente, è in offerta.Le luci al neon sono spietatefanno brillante la bellezza delle giovaninel corridoio dell’igiene casa personaridono provando le creme di nascosto.Io, claudicante, cerco e non lo trovoquello che fino a ieri era solo un gestoadesso, mi mette in crisi e sono euforico allo stesso tempo.

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Vestiti pure di me se ti piacee portami tra l’orecchio e il collodove ti ho baciata prima che uscissioppureporta via qualcosa di mese ancora hai postonella borsa o in una tascascritto a penna come un salutoo un biglietto sul cuscinoe se ancora ne hai vogliatienimi dentroanche un angolo bastache tocchi e solo di meti diceio qui ti aspettoa cullarti anche oggiche ancora bimba sei.

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Lʼastensione dal dominio della lotta

Non esiste poesia, forse, dove non esiste unosguardo che riesca a soffermarsi su ciò che tuttigli altri trascurano, un occhio chirurgico che rie-sca a cogliere i momenti transitori, ciò che pergli altri passa senza lasciare un segno. È perquesto motivo che la scrittura poetica non puòdarsi, secondo me, se prima non si è accumu-lato un bagaglio sufficiente di vita, sogni, visioni,incontri, rinascite, rivoluzioni, delusioni, evolu-zioni. La prima cosa che mi ha colpito leggendoi versi di Osvaldo Piliego, autore che conoscoper i suoi romanzi e racconti, è stata la natura-lezza dellʼespressione, lʼautore possiede un tim-bro e una precisione che sono già “sue”, il checonferma la dimestichezza, non solo pubblica,col verso. Leggendo poesia cerco di accorgermisubito della presenza o mancanza di una “voce”,che è ciò che chiedo e spero sempre di trovarenella scrittura. Avere una voce propria, che fac-cia riconoscere i versi di un autore in mezzo aglialtri, allo stesso modo in cui ci si volta, nellafolla, quando si viene chiamati da una voce chericonosciamo come nostra amica, umana. La“voce” secondo me è unʼattitudine alla ricercadella concrezione del reale nel verso, la spe-ranza di riuscire a dire se stessi e il mondo senzasovrapporre più di ciò che sia necessario traessi, nel tempo che stringe. “Avrei voluto avereil tempo/quello che prima avanzava/e adessonon c’è più.”. Il momento della scrittura - in que-sti versi - è quello di chi tira le somme. Cʼè qui

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la consapevolezza per il trascorrere del tempoche non dà più il tempo di capire, di cogliere, disoffermarsi, che più procede in avanti e più sot-trae spazio allʼumanità. Dʼaltra parte cʼè proprioil desiderio di fermare tutto. Lo spazio in cui simuove lʼautore è quello della città, urbana manon metropolitana, in cui lʼindifferenza si è giàpresa tutto lo spazio che poteva, tanto che almassimo si può sperare in una tregua atempo-rale, temporanea, nella fuga verso la provincia,dove “ti muovi alieno/con un ritmodiverso/fuori tempo”, come è scritto in una poe-sia dedicata a Sergio Torsello. Per usareunʼespressione della poetessa Carla Saracino(scritta a proposito di Vittorio Bodini), ritornanonei versi di Piliego gli “spettri alla controra”, masenza più nulla di poetico, nemmeno nella re-miniscenza, sono “povera gente”, “rom sugli sci-voli”, barboni avvinazzati, sono vinti & battuti,non avranno mai nulla per cui essere ricordatise non la loro stessa esistenza oramai avulsadallʼinsensibile quotidiano.Cʼè lʼascolto della natura, in questi versi, la suaricerca continua nella speranza che da essapossa provenire quella pace, “impara le sta-gioni”, il solstizio, i “primi soli”; e c’è identità tracondizione del tempo esteriore e tempo inte-riore, lʼuno è lo specchio dellʼaltro, in simbiosi“Ma ‘sta vita/è scirocco di merda/fa male alleossa”, il dentro riflette il fuori, e viceversa, “i sin-ghiozzi/di questa città/piena di acqua./Chepiange scirocco”. Si tratta di canzoni senza mu-sica, poesie che suonano nello spazio circo-

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scritto di una stanza, un balcone, un letto, uncortile; raccontando di persone che non si ar-rendono in periferie che si sono già arrese. Nonsi può chiedere alla poesia più della descrizionedi quel cortocircuito tra sentimenti e realtà, sipuò chiedere però di cambiare la percezione delmondo, di illuderci che “i chilometri/li vince/afatica a volte/ma col sorriso.”, al di là della brut-tezza che ci chiede il vuoto, c’è la bellezza di pro-varci; al di là della ripetizione, l’unicità. Ed èproprio quando i percorsi sotterranei di questaraccolta si intrecciano al filo rosso dellʼamore,che il lettore comprende come tutta questa ten-sione nel recuperare un rapporto con la natura,questo desiderio di ristabilire una giustezza neirapporti umani, in una solidarietà e in un recu-pero dello sguardo sul mondo, questa poesiaquindi, altro non sia che la traduzione del desi-derio ardente di costruire un mondo miglioredove poter vivere serenamente il proprio af-fetto, con la persona che ci è accanto, “Lo ritro-veremo forse/in un tempo nuovo./Grazieallora/amore mio/per la giovinezza/che mi hairegalato/in cui non ero/ e adesso sono”. È perquesto che le poesie di Osvaldo Piliego sono ca-paci, con uno stile e una voce originali, a tra-smettere un’idea di umanità; e questo basta pernon fare sentire soli quelli che hanno il coraggiodi ritornare a guardarsi dentro. “Perché non èl’addio,/ma il ritorno/ad ucciderci veramente”.

Luciano Pagano

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spagine - magazzino di poesiaè composto nella sede del Fondo Verri

a Lecce da Mauro Marinoè edito on-line su

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Il Fondo Verriè in via Santa Maria del Paradiso 8.a

a Lecce (cap 73100)telefono [email protected]

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Osvaldo Piliego - Canzoni

*spagine

Osvaldo Piliego è nato a Galatinail 19 aprile 1978, vive a lavora a Lecce.