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39012115 eBook Ita Manuale Pratico Di Fotografia

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Prima edizione: 1999

Seconda edizione: 2004

Prefazione alla seconda edizione.

Questo manuale ha lo scopo di dare una base per chi si accosta alla fotografia senza nessuna base teorica e pratica. La

semplicità con cui ho tentato di affrontare e di spiegare gli argomenti fa di questo piccolo manuale una sorta di Bignami

in cui si possono trovare le risposte alle domande più comuni.

Non ho la presunzione di pormi sul piano di autori professionisti, ma l’intento di fornire un semplice promemoria a chi

non ha né il tempo, né la voglia di accostarsi alla fotografia tradizionale con eccessivo dispendio di energie.

Non sono trattati argomenti relativi alla fotografia digitale per mancanza di competenza.

Chiedo scusa a coloro che hanno esperienza nel campo e che possono ritenere “banale” questo breve Manuale.

La prima edizione è stata concepita come dispensa per coloro a cui ho insegnato a fotografare; per questo è schematica

e sviluppata per argomenti chiusi e per punti.

La seconda edizione, corretta e ampliata in alcune parti, si differenzia per essere stata appositamente modificata per gli

utenti internet.

Cristina Falla

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MANUALE PRATICO DI FOTOGRAFIA ANALOGICA

Indice

PARTE PRIMA. CONOSCERE L’ATTREZZATURA E IL SUO FUNZIONAMENTO.

Introduzione……………………………………………………………………………..Pag. 5

CAP 1. LE MACCHINE FOTOGRAFICHE……………………………………………………...…Pag. 6

CAP 2. LE OTTICHE……………………………………………………………………………Pag.10

CAP 3. LE PELLICOLE……………………………………………………………….………..Pag. 11

CAP 4. IL FUNZIONAMENTO DELLA REFLEX……………………………………….………...Pag. 12

CAP 5. L’ESPOSIMETRO E L’ESPOSIZIONE…………………………………………………...Pag. 15

CAP 6. LA MESSA A FUOCO…………………………………………………………………...Pag. 16

CAP 7. I FILTRI ……………………………………………………………………………….Pag. 17

CAP 8. GLI SCOPI DELLA COMPENSAZIONE…………………………………………….…….Pag.18

CAP 9. L’USO DEL FLASH………………………………………………………………...…...Pag. 19

PARTE SECONDA. ALCUNI ASPETTI DELLA REFLEX.

Introduzione……………………………………………………………………………Pag. 20

CAP 1. LAVORARE CON PRIORITÀ E AUTOMATISMI………………………………………....Pag. 21

PARTE TERZA. APPUNTI DI COMPOSIZIONE E CONDIZIONI FREQUENTI DI RIPRESA

Introduzione………………………………………………….………………………..Pag. 23

CAP 1. L’INQUADRATURA…………………………………………………………………...Pag. 24

CAP 2. DIAGONALI, PROSPETTIVA E REGOLARITÀ………………………………………….Pag. 25

CAP 3. LUCE DIURNA, LUCE AMBIENTE E LUCE ARTIFICIALE…………….…………..……..Pag.26

CAP 4. FOTOGRAFARE IN CONDIZIONI DI LUCE SFAVOREVOLE: CONTROLUCE E SCARSA

LUMINOSITÀ………………………………………………………………….……………… .Pag.27

CAP 5. IL BRACKETING………………………………………........................….…………..Pag. 28

Glossario di alcuni dei termini più usati in fotografia……………….……..…………..…… Pag. 29

Bibliografia……………………………………………………………………………………………….Pag. 32

Postfazione……………………………………………………………………………………………..…Pag.33

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MANUALE PRATICO DI FOTOGRAFIA

ANALOGICA1

1 Per “immagine analogica” si intende la seconda fase di sviluppo del concetto di “immagine”.Il primo tipo di immagine conosciuta dall’uomo è quella “simbolica” o “sintetica”, in cui è il disegno a rappresentare la realtà in modo convenzionale e simbolico (si pensi alle incisioni vedutiste del Settecento).Il secondo tipo di immagine nasce con il cinema e la fotografia ed è appunto quella definita “analogica”, cioè che rappresenta analogicamente la realtà, riportandola dalle tre alle due dimensioni dell’immagine piana. Essa non è (relativamente) un’interpretazione della realtà, ma la sua pura rappresentazione attraverso il meccanico (secondo il concetto originale della nascita della fotografia come rappresentazione oggettiva del reale).Il terzo tipo è quello costituito dall’immagine digitale, l’era in cui viviamo, in cui le rappresentazioni grafiche e fotografiche possono alludere alla tridimensionalità.

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PARTE PRIMA

CONOSCERE L’ATTREZZATURA E IL SUO FUNZIONAMENTO

Introduzione.

Il segreto per scattare delle belle foto è conoscere prima di ogni cosa la propria attrezzatura e il suo

funzionamento.

Che cosa serve prima di tutto?

Cosa serve ad un fotografo è soggettivo, non esiste una distinzione tra fondamentali e optional.

Diciamo che essenziale è possedere un corpo macchina, obiettivi che cambiano secondo il tipo di

fotografia che si vuol fare, un flash portatile (per condizioni di luce avverse), un cavalletto stabile (il

peso deve essere maggiore della fotocamera con l’obiettivo e il flash), un set di pulizia (le lenti sono

molto delicate), delle batterie di riserva, del nastro adesivo nero (per le riparazioni d’emergenza).

Tutto ciò che si decide di usare dipende solo esclusivamente dai gusti e dalle intenzioni

fotografiche.

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CAP. 1 LE MACCHINE FOTOGRAFICHE ANALOGICHE.

La compatta.

È il formato di macchina fotografica a 35 mm che lavora in maniera automatica, rapida, istintiva.

L’ideale per il rapporto peso-prezzo, poiché al giorno d’oggi esistono macchine compatte dotate di

zoom d’ottima qualità. È l’ideale per chi vuole fare una fotografia “senza star lì a pensarci troppo”.

Ottima in condizioni estreme, perché occupa poco spazio.

Comporta però dei limiti: misura un’esposizione media, non permette di intervenire

sull’impostazione di tempi e diaframmi e spesso porta un errore di parallasse, in altre parole ciò che

si vede nel mirino non corrisponde esattamente a ciò che l’obiettivo fotografa. Le macchine

moderne hanno una correzione di quest’errore nel mirino, in cui sono disegnate delle vignettature

che indicano il termine del fotogramma sull’immagine reale inquadrata.

La reflex 35 mm SLR (Single Lens Reflex)

Il sistema comunemente chiamato “reflex monobiettivo” ha un funzionamento basato sulla presenza

di una serie di specchi chiamati pentaprisma, montati all’apice del corpo macchina, e di uno

specchietto interno che si alza per permettere l’esposizione della pellicola. Attraverso questo

sistema appunto di riflessione, l’immagine che l’obiettivo (il fuoco) percepisce è quella reale

percepita dall’occhio umano al mirino (il valore è rappresentato dal 98% di fedeltà d'immagine). Il

pentaprisma permette all’immagine di non essere proiettata capovolta dalle lenti dell’obiettivo (si

tenga presente che la macchina fotografica percepisce la luce e l’immagine esattamente come

l’occhio umano e quindi capovolta). Lo specchietto posto tra le tendine dell’otturatore e l’obiettivo

ha un movimento basculante sincronizzato con le tendine dell’otturatore (che sono delle lamine

metalliche che si muovono lateralmente o diagonalmente) e determinato dal tempo d’otturazione

selezionato manualmente o automaticamente sul corpo macchina.

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Le medio formato 6x 6, 6 x 7, 6 x 9.

Il medio formato è il formato professionale che utilizza pellicole da 120 mm, il cui fotogramma

risulta quadrato (appunto 6 x 6 cm). Non hanno pentaprisma e quindi l’immagine appare capovolta.

Sono utili per forti ingrandimenti grazie all’elevata precisione del dettaglio e perché dotate di un

vano porta rullini intercambiabile (si può quindi passare da colori a bianconero senza difficoltà, solo

cambiando il vano). Sono utilizzate prevalentemente per la fotografia di paesaggio e di architetture

da fotografi professionisti.

Altri formati.

• Panoramiche. Coprono ampi campi visivi (fino a 180°), senza per altro storcere

l’immagine. Ne esistono tre tipi: ad obiettivo e film fisso, a film fisso e obiettivo mobile, a

film e obiettivo mobili. Le moderne macchine APS e digitali permettono di fare fotografie

panoramiche selezionando l’apposita funzione.

• Grandi formati. Sono macchine che utilizzano pellicole piane e che hanno una fedeltà di

dettagli eccellente. Sono utilizzate per la fotografia in architettura e per il rilievo

architettonico.

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• A sviluppo istantaneo. È la classica Polaroid, permette quando si impara, di vedere subito

gli errori, oppure è utilizzata dagli artisti per ottenere, mediante elaborazioni, fotografie di

tipo impressionistico o pittorico.

• A Telemetro. Sono macchine molto particolari, l’esempio eclatante è la prestigiosa Leica.

Non sono dotate di pentaprisma e quindi comportano un errore di parallasse (vedi supra),

corretto mediante vignettature sul mirino. Per la messa a fuoco, usano un sistema chiamato

stigmometro: al centro del mirino è presente un insieme di cunei incrociati che, al centro del

vetro smerigliato, spezza l’immagine. L’immagine è correttamente a fuoco quando le linee

che la compongono non appaiono spezzate.

• Il banco ottico. Sono fotocamere usate solo in campo professionale, soprattutto per le

fotografie di architetture, usano pellicole piane. Il banco ottico è costituito da due piastre

montate su un binario e collegate tra loro tramite un soffietto; l’otturatore è centrale, situato

nell’ottica, e accoppiato alle lamelle del diaframma. L’obiettivo è montato sulla piastra

anteriore, mentre su quella posteriore è montato il porta pellicola. Per la messa a fuoco si

muove la piastra anteriore lungo il binario, avanti e indietro. La possibilità di inclinare la

piastra anteriore permette di correggere le distorsioni prospettiche delle linee cadenti dei

soggetti.

• La biottica. Monta due obiettivi, uno per la ripresa e uno per l’inquadratura. Le biottiche,

non più molto diffuse, lavorano sull’uso di specchi interni inclinati.

• Le fotocamere Aps (Advanced Photo System). Lavorano su un formato di pellicole

diverse dal normale. Sull’emulsione vengono registrati dati relativi allo scatto e altre

informazioni digitali. Il rocchetto della pellicola è più piccolo del normale. Una volta

sviluppata, la pellicola Aps viene riavvolta nel rocchetto e riconsegnata al cliente.

• Le “usa e getta”. Sono fotocamere compatte in materiali plastici rivestiti in cartone,

costituite da un mirino, un foro per la ripresa e una pellicola. La qualità dell’immagine

ottenuta è fortemente limitata, sia per il tipo di ripresa che per la definizione dell’immagine.

Sono molto economiche e adattissime alle situazioni di emergenza.

Principali differenze tra fotocamere analogiche e fotocamere digitali.

Nella fotocamera digitale l’immagine non viene registrata su una pellicola, ma, attraverso un

microcomputer, direttamente in pixel in un file su una scheda di memoria. Le fotocamere digitali

permettono di visualizzare subito l’immagine scattata e decidere se mantenerla o cancellarla.

Attraverso le macchine digitali si possono trasferire immediatamente le immagini su computer,

tramite porte seriali e USB o attraverso adattatori simili a floppy disk nel quale viene inserito il

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microchip che contiene le immagini scattate. Esistono macchine digitali compatte o a ottiche

intercambiabili, a zoom ottico e digitale.

Il mercato delle fotocamere digitali è in ampio sviluppo: escono sempre nuovi modelli sempre più

sofisticati che coprono ormai quasi tutte le funzioni delle più sofisticate fotocamere reflex; il

problema della qualità di stampa ad ingrandimenti spinti resta ancora il loro limite maggiore. Il

vantaggio è rappresentato dall’immediatezza (sono utilissime per la fotografia documentaria) e per

la possibilità di applicare immediatamente effetti speciali alle fotografie (uso di filtri, bianco e nero,

ecc.), non che la possibilità di scegliere in un secondo momento quali immagini stampare.

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CAP 2. LE OTTICHE

Le ottiche, o più comunemente “obiettivi”, si dividono in tre gruppi sulla base della distanza focale

(vedi Glossario): grandangolari, normali e teleobiettivi.

• I Grandangolari.

I grandangolari hanno un piano focale (distanza lente-pellicola) inferiore ai 35 mm. Man mano che

il valore è minore, più il campo ripreso è ampio e maggiori sono le distorsioni.

Caso estremo è il fish-eye, un obiettivo che arriva quasi a raggiungere i 180° di ripresa, con una

distorsione delle linee verticali tale che rimane diritta solo quella centrale.

Gli obiettivi grandangolari sono utili soprattutto nella fotografia di paesaggio: attenzione però che

essendo il loro campo così alto si rischia di includere troppo nell’immagine rendendone meno

chiara la lettura. Durante l’uso di grandangolari bisogna prestare attenzione anche a filtri spessi e

paraluce, che creano una fastidiosa vignettatura agli angoli del fotogramma.

• Gli Obiettivi standard o “normali”.

L’obiettivo che ha una focale media è comodo e versatile, utile in ogni situazione e per quasi tutti i

generi di fotografia. È utile nel paesaggio, nel ritratto, ma anche nella macrofotografia (grazie alla

sua luminosità e al fatto che non ha un'eccessiva focale). È abbastanza luminoso e leggero. La

focale degli obiettivi standard o “normali” va dai 35 ai 70 mm.

• I Teleobiettivi.

Ce ne sono di tutte le dimensioni e sono utilissimi per la foto sportiva, astronomica, paesaggistica.

Attenzione però al loro peso e alla loro scarsa luminosità. Quando si usa un teleobiettivo sarebbe

sempre meglio avere un appoggio stabile o un cavalletto.

Un accorgimento è che più gli obiettivi sono lunghi più l’immagine tende da essere appiattita (cioè

diminuisce la profondità di campo).

Zoom e ottiche fisse.

Si definiscono “zoom” quegli obiettivi che portano in se varie ottiche, con la possibilità di passare

da una focale all’altra senza dove necessariamente cambiare obiettivo (es. 70-210 mm, ecc.).

Obiettivi decentrabili.

Sono obiettivi che si possono spostare dall’asse normale dell’innesto, permettono di non ruotare la

fotocamera e di correggere le linee cadenti (ad esempio quando si fotografa da basso un palazzo).

Sono una risposta «economica» alle fotocamere di medio e grande formato.

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CAP 3. LE PELLICOLE.

Esistono tre principali famiglie di pellicole (e si differenziano per il tipo di sviluppo): colori,

diapositive, bianconero.

Le pellicole per bianconero si distinguono in:

pancromatiche (ugualmente sensibili a tutti i colori dello spettro).

cromogenee: sono pellicole per stampe in bianco e nero da sviluppare nei bagni per

pellicole a colori (es. la XPI della Ilford). Si stampano su carta colore.

Le pellicole a colori si dividono in:

pellicole per luce naturale (diurna)

pellicole per luce al tungsteno (artificiale).

Pellicole all’infrarosso: esistono in bianconero o a colori e registrano

l’immagine sulla base del calore specifico e riflesso dei corpi.

Le pellicole per diapositive possono essere sia a colori, che in bianco e nero, sia per luce

artificiale, che per luce naturale. Si differenziano per l’emulsione e per il tipo di trattamento nei

bagni di sviluppo.

Le pellicole si possono classificare anche in base alla sensibilità o velocità del film, il cui valore è

espresso in ASA (American Standard Association), ISO (International Standard Association) o

DIN (Detusche Industrie Norm).

Si definiscono “lente” quelle pellicole che hanno sensibilità uguale o inferiore ai 64/50 ASA e

“veloci quelle che hanno una sensibilità uguale o superiore a 400 ASA.

Pellicole lente (inferiori ai 64 ASA). Hanno felice applicazione in macrofotografia e paesaggio,

poiché se sottoposte in stampa a forti ingrandimenti presentano colori più saturi e granulosità quasi

nulla. Di chiamano “lente” perché richiedono tempi lenti di esposizione.

Pellicole veloci (superiori al 400 ASA). Hanno felice applicazione in condizioni di luce difficili

(interni, notturni) e nella fotografia sportiva perché richiedono tempi veloci di esposizioni e

diaframmi molto chiusi. Sottoposte a vari ingrandimenti presentano perdita nella fedeltà dei colori e

molta granulosità.

La latitudine di posa di una pellicola indica la resistenza che la pellicola ha nell’essere “tirata”,

cioè sottoposta ad una sensibilità diversa da quella prevista sulla confezione. Si prestano ad essere

tirate le pellicole in b/n e le pellicole per diapositive.

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CAP 4. IL FUNZIONAMENTO DELLA REFLEX

Cosa avviene su di una reflex o su una macchina fotografica qualsiasi quando si preme il pulsante?

L’immagine che “catturata” dall’obiettivo passa attraverso le lenti, si riflette sullo specchietto, passa

al pentaprisma dove viene ulteriormente riflessa e giunge al mirino diritta, come appare nella realtà.

Quando si preme il pulsante di scatto lo specchietto si ribalta (infatti non si vede nel momento dello

scatto il soggetto che si sta fotografando), lasciando passare la luce che colpisce, attraversando

l’otturatore aperto, la pellicola. L’immagine latente, quella che impressiona la pellicola ma che non

è visibile fino a dopo lo sviluppo, è capovolta rispetto alla realtà.

Affinché l’immagine venga “registrata” come immagine latente sulla pellicola, questa dev’essere

“esposta”, ovvero colpita da una quantità di luce per un determinato periodo di tempo.

Separiamo per un attimo il rapporto stretto tra tempo e diaframma.

L’esposizione, quindi, non è altro che il rapporto tra tempo di otturazione (ovvero il lasso di

tempo che intercorre tra l’apertura e la chiusura dell’otturatore) e il diaframma.

L’otturatore è un dispositivo di protezione del film, situato tra la pellicola e lo specchietto, che però

permette anche l’esposizione; può essere “centrale” (è situato nell’obiettivo, simultaneo al

diaframma) o piano (a tendina), composto da due lamine opache o due tendine in tessuto, le tendine

non si muovono simultaneamente.

Per capire meglio l’esposizione proviamo ad analizzare separatamente il tempo e il diaframma.

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Analizziamo il tempo d’otturazione, che possiamo brevemente definire come quel valore che

indica il tempo d’esposizione della pellicola alla luce proveniente dall’obiettivo e quindi

dall’esterno.

I tempi, espressi in frazione di secondo, si definiscono:

lunghi o lenti: dal 1/30 di secondo al tempo di posa B.

La posa B è la possibilità di lasciare aperto l’otturatore finché viene mantenuto premuto il

pulsante di scatto – ovviamente si presuppone l’uso di un cavalletto o di un supporto e di un

pulsante di scatto flessibile. “B”, infatti, deriva da "bulb”, la “peretta”, antenato dei nostri scatti

flessibili. Lo scatto flessibile è costituito da un cavetto con a un’estremità l’innesto per il

pulsante di scatto della reflex (le macchine meccaniche hanno la possibilità di avvitare lo scatto

flessibile al pulsante, mentre le reflex più moderne hanno un collegamento elettronico), mentre

all’altra hanno un pulsante;

medi: sono i tempi ai quali di solito sono sincronizzati i lampeggiatori (flash) e vanno dal

1/60 a 1/125;

brevi o veloci: sono quei tempi superiori al 1/250 di secondo.

Analizziamo poi il diaframma (costituito da un insieme di lamelle): questo determina la quantità di

luce che entra nell’obiettivo e che colpisce la pellicola. Si indica con “f/” e ha valori compresi tra

1,8/2.8 a 32/36 (a seconda del tipo d’obiettivo e della marca).

Al numero minore indicato da f/: corrisponde un’alta quantità di luce che colpisce la pellicola

(numero basso = diaframma aperto), al numero maggiore corrisponde la maggiore chiusura delle

lamelle del diaframma, quindi la minor quantità di luce che colpisce la pellicola (numero alto =

diaframma chiuso).

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Compensazione tempo-diaframma.

La combinazione di tempi e diaframmi si chiama compensazione quando, per determinate scelte, si

decide di raggiungere l’esposizione corretta operando su entrambi i fattori. Lo spazio tra due tempi

o tra due diaframmi contigui si chiama “stop”.

Si lavora, invece, in priorità quando si sceglie di mantenere costante un determinato tempo o un

determinato diaframma e si raggiunge la corretta esposizione variando solamente l’altro valore.

Esempio pratico. Misurando l’esposizione, risulta corretta con i valori f/5.6 e 1/125. Essa equivale

a: f/4 e 1/250, f/8 e 1/60, ecc.

Scopo: si vuole raggiungere la massima profondità di campo (diaframmi chiusi) senza sovraesporre

o sottoesporre l’immagine finale; per ogni valore (stop) che si fa aumentare (e quindi chiudere)

sulla scala dei diaframmi, corrisponde uno stop sulla ghiera dei tempi, in maniera inversamente

proporzionale.

Il valori del diaframma influiscono sulla profondità di campo; i valori dei tempi sulla

“registrazione” dei movimenti del soggetto impresso sulla pellicola (vedi Gli scopi della

compensazione)

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CAP 5. L’ESPOSIMETRO E L’ESPOSIZIONE.

L’esposimetro è un apparecchio che serve per misurare la luce.

Le reflex moderne sono tutte munite d’esposimetro incorporato. Le reflex completamente manuali

hanno una lettura esposimetrica su tutta l’immagine inclusa nel fotogramma, la lettura avviene

automaticamente e si basa sul valore medio tra la misurazione delle alte luci e delle zone d’ombra.

Questi esposimetri sono a luce riflessa.

Esistono esposimetri che vengono posti al posto del soggetto e rivolti verso la fotocamera, questi

misurano la luce incidente.

Alcune macchine sono dotate di lettura esposimetrica a spot, in altre parole nella porzione centrale

dell’immagine. Questo tipo di lettura esposimetrica può essere indirizzata o sulle alte luci o sulle

ombre, tenendo presente che ogni volta che si fa un’analisi di questo tipo sarebbe necessario farlo

su entrambi i fattori per controllare la differenza d’esposizione, altrimenti si rischia di perdere

eventuali dettagli.

L’esposizione corretta, nel caso degli esposimetri interni delle reflex, è dato da un LED luminoso

verde, da un “ok”, da un galvanometro posto al centro di una scala di valori, o da una linea di

riferimento, che si orientano col premere il pulsante a metà.

Sovraesposizione. È quando la coppia tra tempi e diaframmi fa sì che la luce che colpisce il

fotogramma sia eccessiva. Il risultato sono immagini lattiginose, bianchi bruciati, colori opaci.

Per correggere la sovraesposizione si chiude il diaframma (salendo con i numeri della scala “f/”),

oppure si diminuisce il tempo d’otturazione (per esempio passando da 1/125 a 1/250).

Un’immagine può risultare sovraesposta anche a causa di un inganno esposimetrico dovuto alla

presenza di bianco, cosicché l’immagine risulterà chiara e i colori sbiaditi.

Sottoesposizione. È quando la coppia tra tempi e diaframmi fa sì che la luce che colpisce il

fotogramma sia insufficente. Si può correggere aprendo il diaframma o aumentando il tempo

d’otturazione. Un’immagine sottoesposta risulterà buia.

Ovviamente è possibile fare uso creativo dell’esposizione sovrasponendo o sottoesponendo a

piacere, molte volte l’uso di una determinata esposizione è la chiave della particolarità di una

fotografia. Per questo a chi inizia a fotografare si consiglia di disinserire gli automatismi, solo così

si riesce a capire il funzionamento della propria macchina fotografica.

L’uso degli automatismi è solo di carattere pratico.

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CAP 6. LA MESSA A FUOCO.

La messa a fuoco avviene attraverso l’uso del mirino, un’area vignettata al centro del vetrino di

messa a fuoco.

Può avvenire in vari modi: alcune macchine fotografiche hanno al centro del mirino uno

stigmometro (vedi fotocamere a telemetro), altre hanno una serie di microprismi che permettono di

vedere quando l’immagine è perfettamente a fuoco.

Le macchine autofocus mettono automaticamente a fuoco sul centro del mirino. Lavorando con

questo automatismo non è possibile mantenere il soggetto a fuoco fuori dal centro dell’immagine se

non con l’uso del blocco della messa a fuoco, che non tutte hanno.

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CAP 7. I FILTRI.

I filtri sono dei “vetrini”, in cellulosa o vetro, da montare davanti all’obiettivo per ottenere

determinati effetti. Possono essere a vite in vetro o semplici lamine di resina montabili attraverso

supporti standard.

Ci sono tre famiglie principali di filtri: di correzione, creativi e per il bianco e nero.

• I filtri di correzione sono quei filtri che correggono le condizioni normali d’esposizione.

Agiscono sull’assorbimento della luce e possono correggere dominanti cromatiche dovute a

fattori di illuminazione e ambientali.

Il filtro arancio è il filtro di correzione per le dominanti bluastre o verdastre.

Il filtro blu è il filtro di correzione per le dominanti rosse.

Il polarizzatore, agendo sulla luce riflessa dai corpi, toglie i riflessi e influisce sulla saturazione dei

colori.

Il filtro grigio neutro permette di togliere degli stop quando si vuole fare uso creativo

dell’esposizione ma le condizioni di luce non lo permettono (luminosità elevata), cioè assorbono la

luce senza modificare i colori.

Il filtro magenta serve per togliere le dominanti della luce al tungsteno.

• I filtri creativi sono quei filtri che influiscono sull’immagine creando qualcosa che in

condizioni normali non c’è (filtri graduati per il cielo, multi immagine, a stella, ecc.)

• I filtri per il bianco e nero sono filtri colorati che, a seconda appunto del colore, rafforzano

l’assorbimento di determinate lunghezze d’onda e quindi di colori e sono: giallo (cielo),

arancione (toni gialli e bruni), rosso (aumentare i contrasti), verde (vegetazione).

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CAP 8. GLI SCOPI DELLA COMPENSAZIONE

La scala dei diaframmi: la profondità di campo

Si pensi di usare il meccanismo di compensazione e di scattare un’immagine per ogni coppia di

valori, mantenendo a fuoco sempre il medesimo soggetto e senza variare l’inquadratura.

I risultati saranno immagini apparentemente uguali, stessa luce, stessa inquadratura, stesso soggetto.

Però c’è una differenza si va da una messa fuoco selettiva (solo il soggetto a fuoco) ad una messa

fuoco che va’ dall’osservatore all’infinito.

Questo è il risultato della variazione del diaframma. Più questo viene chiuso più aumenta la

porzione di immagine a fuoco. La chiusura massima del diaframma porta alla messa a fuoco

dall’occhio all’infinito.

È possibile capire a priori quanta porzione di immagine resterà a fuoco prima e oltre il soggetto

durante la composizione della fotografia. È sufficiente guardare la ghiera di messa a fuoco di un

obiettivo meccanico (non in tutte le marche): tra la scala dei metri e la scala dei diaframmi, in

alcune ottiche è segnata un’altra scala; alla linea centrale corrisponde il valore in metri, alle linee

laterali disposte simmetricamente a quella centrale sono segnati i valori dei diaframmi; andando al

leggere il diaframma scelto si può vedere in metri fino a dove corrisponde la messa a fuoco.

La variazione dei tempi di posa.È determinante per alcuni “effetti” speciali. Come le striature di un’auto veloce, i fari di un veicolo

nella notte, l’immagine ferma di una goccia d’acqua, l’acqua di una cascata come il cotone,

un’azione congelata.

Essa determina il mosso volontario (da non confondere con il mosso accidentale di alcune

immagini) e la scelta di fermare un’azione.

Più i tempi sono lunghi più il movimento di un corpo avrà un’immagine lunga (scia) sul

fotogramma, più i tempi sono brevi più un’azione veloce potrà essere bloccata.

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CAP 9. L’USO DEL FLASH.

Il flash o lampeggiatore è utile in condizioni di luce sfavorevole, per la macrofotografia e per creare

effetti un po’ particolari. In linea di massima, fatta eccezione per la macro, il flash non deve essere

la fonte di luce principale. Per quanto potente esso sia (la potenza è determinata dal numero guida),

può risultare inefficace negli spazi ampi, perché ha un raggio di illuminazione di pochi metri.

Il fill-in.

Contrariamente a quello che pensa un fotografo alle prime armi, il flash non viene usato solamente

per illuminare stanze buie o di notte.

Il fill-in è l’uso di un lampeggiatore per schiarire zone d’ombra in un soggetto; viene utilizzato

soprattutto nel ritratto. Molte volte, infatti, un soggetto, per quanto illuminato dalla luce naturale,

può risultare buio sullo sfondo (è il caso di una fonte luminosa alle spalle di esso, come per esempio

un tramonto o l’acqua), perché l’esposimetro misura la luce globalmente. Si effettua così una lettura

dell’esposizione sullo sfondo e poi si posiziona il flash in maniera tale che illumini il soggetto in

maniera apparentemente naturale.

Dipingere con il flash.

Il flash può essere utilizzato per illuminare ambienti completamente bui. Poggiando la macchina su

di un cavalletto si apre l’otturatore sul tempo “B”, poi con il flash si procede illuminando le zone

che interessano.

La sincronizzazione del flash sulla seconda tendina.

Innanzi tutto non è possibile su tutte le apparecchiature. Il flash in condizioni normali lampeggia

sull’apertura della prima tendina.

Sincronizzarlo sulla secondo permette, con l’uso di tempi lunghi, di fermare un soggetto in

movimento alla fine del suo percorso.

Immaginiamo di fotografare un’auto in corsa. Se il flash parte sulla prima tendina, l’auto percorrerà

ancora un pezzo di fotogramma fino alla successiva chiusura della seconda. Così sembrerà che

invece di andare avanti essa vada in retromarcia. Sincronizzando il lampeggiatore sulla seconda

tendina, l’auto verrà praticamente congelata alla fine della scia che ha lasciato sul fotogramma.

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PARTE SECONDA

ALCUNI ASPETTI DELLA REFLEX

Introduzione.

In questa parte del manuale viene spiegato l’uso medio degli automatismi delle macchine

fotografiche analogiche.

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CAP 1. LAVORARE CON PRIORITÀ E AUTOMATISMI.

Esistono macchine meccaniche o a esposizione manuale, automatiche e semiautomatiche.

Le macchine meccaniche sono le più semplici e lavorano solo in manuale. Le automatiche hanno

programmi di autofocus, priorità di tempi e diaframmi, programmi automatici e la possibilità di

lavorare in manuale. Le semiautomatiche lavorano o in priorità di diaframmi o manualmente.

Sarebbe inutile tentare di spiegare il funzionamento di ogni tipo di macchina fotografica. A seconda

della marca e del modello cambiano funzioni, leve e pulsanti. Per capire bene il funzionamento

della propria macchina è necessario sapere l’uso di ogni sua singola parte e quindi leggere il libretto

di istruzioni.

PRIORITÀ DI TEMPI.

È segnata con “Tv” sui display delle macchine fotografiche, sulle leve operative o sulle rotelle delle

funzioni.

Lavora semplicemente dando la possibilità di scegliere un tempo di esposizione e lasciare che la

macchina fotografica scelga il diaframma relativo al tempo scelto, anche se la luce varia in

continuazione.

In alcune macchine la scelta del tempo avviene tramite un “consiglio” sul display, bisognerà poi

chiudere o aprire il diaframma a seconda del valore consigliato o tramite pulsanti e levette, o

direttamente sulla ghiera dell’obiettivo; altre macchine automatiche cambiano automaticamente il

valore.

Questa priorità viene utilizzata raramente e solo se non interessa la profondità di campo.

PRIORITÀ DI DIAFRAMMI.

È segnalata con “Av” sui display delle macchine fotografiche, sulle leve operative o sulle rotelle

delle funzioni.

Lavoro sull’impostazione del fotografo di un del diaframma desiderato, la macchina in questo caso

sceglie automaticamente il tempo necessario per la correttezza dell’esposizione.

È utile soprattutto per la sua praticità e la rapidità di applicazione. È spesso usato quando non si ha

il tempo materiale di osservare le variazioni dell’esposimetro.

GLI AUTOMATISMI.

Le reflex automatiche hanno i programmi divisi in simboli (il fiore per la macro, l’omino per il

ritratto, la montagna per il paesaggio, ecc.). Queste sono semplici agevolazioni per la scelta da parte

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della macchina fotografica della coppia tempo diaframma. Ad esempio per la macrofotografia la

macchina sceglierà un coppia di valori tale da dare meno importanza allo sfondo (diaframmi aperti).

Con il semplice automatismo la macchina tenderà a scegliere tempi e diaframmi medi.

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Parte Terza

APPUNTI DI COMPOSIZIONE E CONDIZIONI FREQUENTI DI RIPRESA

Introduzione.

Per una bella fotografia non basta una giusta esposizione. Un’immagine va’ costruita a tutti gli

effetti.

La cosa fondamentale è guardare bene nel mirino se ci sono elementi di disturbo (es. un ramo) e se

questi sono eliminabili e se il soggetto scelto è inquadrato dalla posizione migliore (nel caso del

paesaggio).

In questa parte i temi della composizione sono appena accennati per conoscenza.

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CAP 1. L’INQUADRATURA.

L’occhio umano ha delle priorità di lettura.

Un’immagine viene letta da sinistra a destra e dall’alto in basso.

Su un’immagine l’occhio concentra dei punti d’attenzione. (fig. 1)

Contrariamente a ciò che si può pensare il punto focale dell’occhio umano non è al centro

dell’immagine, ma all’incrocio delle sezioni auree del rettangolo.

La sezione aurea, definita da Vitruvio, è la linea che divide un’immagine in 1/3 e 2/3. Fu utilizzata

anche nelle composizioni di quadri (Piero della Francesca).

Per questo è consigliabile evitare di porre l’orizzonte, in una veduta, al centro. Un’immagine tale è

poco leggibile. Se l’orizzonte è posto in alto si fa risaltare il terreno, se posto in basso risalterà il

cielo.

Il soggetto al centro è accettabile se esso occupa quasi completamente il fotogramma

(macrofotografia e ritratto), o se lo sfondo non fornisce fonte di disturbo.

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CAP 2. DIAGONALI, PROSPETTIVA E REGOLARITÀ.

Col rinascimento viene riscoperta la prospettiva.

In fotografia la prospettiva centrale, angolare, aerea o dal basso è sempre interessante da affrontare;

essa può diventare il soggetto principale dell’immagine (una strada) oppure guidare l’occhio verso

uno dei punti d’attenzione.

La prospettiva aerea è data dal risultato del cambiamento di temperatura tra terra e aria e risulta

come l’affievolirsi dell’immagine all’orizzonte; fu usata la prima volta da Leonardo. In fotografia la

prospettiva aerea può essere sfruttata per dare profondità di campo.

Costruire una fotografia sulle diagonali del fotogramma è senza dubbio un modo per dare

dinamismo ad un’immagine, può essere un modo anche questo per guidare l’attenzione verso il

soggetto.

Il modulo.

La fotografia modulare è interessante. Un modulo che si ripete può diventare texture, la natura e

l’architettura ne sono piene.

L’essenzialità.

Le immagini essenziali sono le più chiare, ma non sempre quelle con molte cose sono da escludere

(vedi le texture). L’importante è imperare a scegliere la situazione in cui applicarla.

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CAP 3. LUCE DIURNA, LUCE AMBIENTE E LUCE ARTIFICIALE.

La temperatura della fonte di luce influisce molto sulla dominanza cromatica dell’immagine.

Luci come le lampade o le candele donano all’immagine una dominante rossastra. Le luci al neon o

le lampade al tungsteno, invece, donano dominanza verdastra.

Esistono apparecchi chiama termocolorimetri, per altro molto costosi, che analizzano la temperatura

esatta della luce, misurandola in gradi Kelvin.

Conoscendo la temperatura della luce è possibile applicare filtri di correzione adeguati.

In caso contrario si tenga presente comunque il tipo di sorgente luminosa e la sua entità. Una

dominante rossa non troppo intensa in alcuni casi non è poi così fastidiosa.

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CAP 4. FOTOGRAFARE IN CONDIZIONI DI LUCE SFAVOREVOLE: CONTROLUCE E SCARSA LUMINOSITÀ.

Purtroppo fatta eccezione per la foto di studio e per lo still-life, in cui è il fotografo a decidere la

luce con lampade e flash, quando si fotografa all’aperto, bisogna adattarsi alle condizioni di luce.

Si sappia comunque che per dare rilievo alle forme del paesaggio è sconsigliabile fotografare a

mezzogiorno, quando il sole è allo zenit e le ombre scarseggiano. Sono invece più adatte le ore del

mattino e del tardo pomeriggio.

Molte volte però ci si trova a dover fotografare dove luce in realtà ce n’è poca. In questo caso

bisogna procurasi un appoggio stabile e leggere l’esposizione normalmente, sapendo che però è

facile muovere. Il movimento meccanico dell’otturatore crea un movimento alla mano

impercettibile, ma percettibile poi sulla fotografia.

Se si è in possesso di un appoggio stabile, con l’uso di tempi lunghi, è consigliabile l’uso di uno

scatto flessibile o dell’autoscatto, al fine di scongiurare ogni tipo di movimento non intenzionale.

Controluce…con il sole.

Se si vuole includere il sole deve, all’alba o al tramonto, è necessario leggere l’esposizione in una

zona di cielo vicina, ma escludendolo dall’immagine; impostata la coppia tempi-diaframmi scelta, si

può poi includere nuovamente il sole nell’immagine: così si avrà l’esposizione corretta.

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CAP 5. IL BRACKETING

Il Bracketing è un modo per ottenere in un controluce (per esempio) l’immagine migliore. Si

pratica, infatti, variando l’esposizione (nel caso del paesaggio è meglio variare il tempo, piuttosto

che il diaframma).

Si ottiene scattano più di una foto sullo stesso soggetto (numero dispari) in modo che risultino

fotografie con la differenza di uno stop d’esposizione l’una dall’altra.

Per esempio, con cinque scatti di Bracketing, si leggerà l’esposizione e poi si scatterà una foto

sottoesposta di due stop, una di uno stop, quella corretta, una sovraesposta di uno stop e una

sovraesposta di due stop.

Alcune macchine hanno la possibilità del Bracketing nei programmi.

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Glossario di alcuni dei termini più usati in fotografia.

ASA: sigla di American Standard Association, misura la sensibilità delle pellicole. Corrisponde al

valore ISO.

Autofocus: messa a fuoco automatica da parte dell’obiettivo.

“B”: simbolo di un valore di otturazione in corrispondenza del quale l’otturatore rimane aperto

finche si mantiene premuto il pulsante di scatto.

Bracketing: tecnica consistente nel riprendere più immagini con esposizioni maggiori o minori per

aumentare la probabilità di ottenere un risultato accettabile.

Carta grigia: carta che riflette al 18% la luce che la colpisce, usata come riferimento per la

misurazione della luce riflessa con un esposimetro manuale.

Clip test: metodo utilizzato per controllare l’esposizione corretta del film. Si sviluppa un pezzo

della pellicola per vedere se il film va o no tirato.

Cross-screen: tipo di filtro che provoca ad ogni punto luce una stellina.

Contrasto: differenza di intensità luminosa tra parti chiare e scura di negativi, diapositive o stampe.

Controluce: illuminazione con fonte di luce di fronte alla fotocamera.

Definizione: misura della finezza dei dettagli.

Densità: misura dell’intensità di un’immagine su una pellicola.

Diaframma: cerchio di lamine scorrevoli contenuto all’interno dell’obiettivo che permette di

controllare la quantità di luce durante l’esposizione della pellicola.

Difetto di reciprocità: perdita di sensibilità del film che causa sottoesposizione se il film è esposto

per più di un secondo.

DIN: sigla di Detusche Industrie Norm. misura la sensibilità delle pellicole. Corrisponde al valore

ISO.

Diottria: misura il potere di ingrandimento di una lente (addizionale).

Distanza iperfocale: distanza minima a cui risulta a fuoco un soggetto quando questo è a fuoco

sull’infinito.

Dominante cromatica: tonalità di colore innaturale causata dall’uso di pellicole in condizioni non

adatte.

Emulsione: strato della pellicola sensibile alla luce.

Errore di parallasse: inquadratura erronea causata dal fatto che nelle fotocamere non SRL il

mirino si trova ad una certa distanza dall’obiettivo.

Esposimetro a luce incidente: viene posto in prossimità del soggetto e rivolto verso la fotocamera,

misura la luce incidente.

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Esposimetro a luce riflessa: si basa sul valore medio tra la misurazione delle alte luci e delle zone

d’ombra, cioè la luce riflessa dal soggetto.

Esposizione: quantità di luce che colpisce il film.

“f”: misurazione dell’apertura del diaframma.

Fattore di un filtro: quantità di luce assorbita.

Field camera: apparecchio fotografico di grande formato.

Filtro UV: trattiene i raggi ultravioletti.

Flash a bulbo: flash che utilizza dei bulbi contenenti un sottile filo metallico che brucia.

Fill-in (flash di riempimento): uso del flash per schiarire zone d’ombra o diminuire i contrasti.

Fotomontaggio: insieme di più fotografie combinate in una sola.

Grana: granulosità delle particella d’argento o di colore che compare in ingrandimenti spinti.

High-key: immagine dominata da tonalità chiare

Highlight: parti chiare o alte luci.

Immagine latente: l’immagine che si imprime sul film e che compare con lo sviluppo.

Internegativo: negativo intermedio ottenuto da una diapositiva per la realizzazione di una stampa.

IR: infrarosso

Iride: tipo di diaframma celle fotocamere reflex che permette di mettere a fuoco.

ISO: sigla di International Standard Association. misura la sensibilità dei film.

Kelvin: unità di misura per la temperatura dei colori

Key-reading: lettura esposimetrica ottenuta sulla parte più importante del soggetto.

Latitudine di posa tolleranza del film ad essere esposto a valori diversi dalla sensibilità per cui è

concepito.

Lente di correzione: correzione applicata al mirino per i difetti di vista.

Lettura sostitutiva: lettura della luce su un soggetto con la stessa luminosità del soggetto scelto, se

questo è inaccessibile.

Low-key: tipo di immagine in cui prevalgono tono scuri

Lunghezza focale: campo focale del campo focale dell’obiettivo.

Messa a fuoco selettiva: uso delle caratteristiche sfocature dell’immagine dovuta a diaframmi

aperti per dare risalto a un soggetto.

Mired: unità di misura dell’equilibrio cromatico di un film.

Numero guida: potenza del flash (permette di ottenere l’esposizione).

Obiettivo catadiottrico: obiettivo che accompagna l’uso di specchi all’uso di lenti tradizionali.

Ombra: parte più scura di un’immagine

Otturatore: disposizione di protezione del film che permette però anche l’esposizione.

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Otturatore centrale: otturatore dell’obiettivo, simultaneo al diaframma.

Otturatore piano (a tendina): è composto da due lamine opache o due tendine in tessuto. Permette

l’esposizione ma non si muovono simultaneamente.

Prova a contatto: provino effettuato in camera oscura, ponendo il negativo a contatto con il foglio

e esposto alla luce.

Pulling: sottosviluppo di un film.

Pushing: sovrasviluppo o tiraggio di un film.

Riflessi interni: riflessi chiari nell’immagine dovuti ai componenti ottici (esagoni chiari)

Schiarente: bagno per ridurre densità di negativi e stampe.

Servoflash: collega diversi flash senza cavo

Sincronizzatore di flash: il lampeggiatore funziona nel preciso attimo di apertura dell’otturatore.

Still-life: ripresa di nature morte o oggetti.

Stop: unità di misura dell’esposizione.

Teleconverter: è il duplicatore di focale, serve per aumentare la focale dell’obiettivo.

Temperatura cromatica esprime il colore della luce che colpisce il film.

Tiraggio: vedi pushing

TTL: “Through-the-lens”, è il nome proprio degli esposimetri incorporati delle reflex

Velocità di sincronizzazione del flash: velocità massima di compatibilità tra flash e otturatore.

“X”: indica il tempo di sincronizzazione del flash.

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Riferimenti bibliografici

J. HEDGECOE, Fotografare il paesaggi: teoria e tecnica della fotografia all’aperto. Milano, 1990.

M. LANGFORD, Basic Photography. London, 1986, Milano, 2001.

P. SORLIN, I figli di Nadar. Torino, 2001.

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Postfazione alla seconda edizione. Note dell’autore.

La presente versione sarà seguita da una nuova edizione corredata da immagini ed esempi, per

facilitare la comprensione dei concetti.

È in realizzazione un breve trattato sulla composizione, che affronterà in maniera approfondita i

temi enunciati nella Parte Terza.

Per informazioni e chiarimenti, contattate [email protected]

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