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Adozione internazionale: l’abbinamento... visto da vicino a pagina 12 Cooperazione allo sviluppo: come e dove aiutiamo i bambini nel mondo a pagina 10 più+diritti 4children - Anno X - N° 1 - Luglio 2011 - Sped. in abb. post. Legge 662/96, art. 2, Comma 20/c D.C./D.D./Asti - Copia Omaggio. 4children è una pubblicazione periodica di Cifa, organizzazione non governativa che tutela i diritti dei bambini. www.cifaong.it T rascorrono le giornate lavorando duramente, e portando enormi pesi sul capo. Alla sera, diventano prostitute. I figli? Alcuni le seguono ogni giorno, altri le aspettano in grandi case comuni. È la cruda realtà delle donne portefaix del Togo e dei loro bambini, in bilico tra dignità e disperazione. Le abbiamo conosciute, di persona. E abbiamo intenzione di aiutarle. Scopri il loro mondo a pagina 15 Eurochild: un’Europa unita... per i più piccoli a pagina 33 Ong, dove state andando? a pagina 28 Torino a misura di bambino a pagina 31 Federazione russa: seguire la strada giusta, dopo l’uscita dall’istituto a pagina 5 4children Un impegno costante a favore dell’infanzia

4children - luglio 2011

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4children, la nuova rivista di Cifa Onlus sul mondo dei diritti dell'infanzia: cooperazione allo sviluppo, adozione internazionale, interviste e approfondimenti

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Adozione internazionale: l’abbinamento... visto da vicino a pagina 12

Cooperazione allo sviluppo: come e dove aiutiamo i bambini nel mondo a pagina 10

più+diritti

4children - Anno X - N° 1 - Luglio 2011 - Sped. in abb. post. Legge 662/96, art. 2, Comma 20/c D.C./D.D./Asti - Copia Omaggio. 4children è una pubblicazione periodica di Cifa, organizzazione non governativa che tutela i diritti dei bambini. www.cifaong.it

Trascorrono le giornate lavorando duramente, e portando enormi

pesi sul capo. Alla sera, diventano prostitute. I figli? Alcuni le seguono ogni giorno, altri le aspettano in grandi case comuni. È la cruda realtà delle donne portefaix del Togo e dei loro bambini, in bilico tra dignità e disperazione. Le abbiamo conosciute, di persona. E abbiamo intenzione di aiutarle.Scopri il loro mondo a pagina 15

Eurochild: un’Europa unita... per i più piccolia pagina 33

Ong, dove state andando?a pagina 28

Torino a misura di bambinoa pagina 31

Federazione russa: seguire la strada giusta, dopo l’uscita dall’istituto a pagina 5

4children

Un impegno costante a favore dell’infanzia

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Anno X - N° 1 - Luglio 2011

Direttore Editoriale: Ambra Enrico

Direttore Responsabile: Elena Volponi

Redazione, progetto grafico e impaginazione: Daniele De Florio

Hanno collaborato: Kumari Bosini, Piero Fassino, Beatrice Gemma, Caterina Ghislandi, Luca Montani, Monica Nobile, Francesco Petrelli, Laura Raimondi, Stellit, Giancarlo, Daniela e Amina.

Fotografie: Bahay Tuluyan, Cifa/Co, Franco Farao, Daniele De Florio, Eurochild, Ifejant, Maggie Osama (Flickr), Marco Pastori, Oxfam Italia, Shutterstock, Stellit, TOPS, Luciano Usai.

Stampa: Berrino Printer - Torino

Editore: CIFA Onlus, Via Ugo Foscolo 3, 10126 TorinoTel. 011 4338059 (segreteria adozioni), 011 5063048 (ufficio comunicazione), 011 4344133 (direzione cooperazione internazionale), fax 011 4338029, e-mail [email protected]

www.cifaong.it

Autorizzazione Tribunale di Torino n. 3633 del 25/02/1986. Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa richiesta in data 27/04/1998. Spedizione in abbonamento postale Legge 662/96, articolo 2, comma 20/c - C.R.P. Asti C.P.O.È vietata la riproduzione anche parziale di testi e illustrazioni. Tutto il materiale ricevuto (testi e fotografie) anche se non pubblicato non verrà restituito. Ai sensi della Legge 675/96 sulla tutela dei dati personali, i dati forniti dai sottoscrittori degli abbonamenti verranno trattati in forma cartacea ed automatizzata e saranno utilizzati esclusivamente per l’invio del giornale oggetto di abbonamento o di altre nostre testate come copie saggio e non verranno comunicati a soggetti terzi. Il conferimento dei dati è facoltativo ed è possibile esercitare i diritti di cui all’art. 13 facendone richiesta al responsabile trattamento dati: CIFA Onlus.

La foto di copertina è di TOPS - Taipei Overseas Peace Services.

Le altre sedi di Cifa: Venezia, via Bastia Fuori 4 int.9, 30035 Mirano (VE), tel. 041 5702779, fax 041 5727469, [email protected]; Ancona, via Galileo Galilei 4, 60015 Falconara Marittima (AN), tel. 071 5903000, fax 071 9166399, [email protected]; Roma, via Machiavelli 60, 00185 Roma, tel. 06 4440991, fax 06 49382799, [email protected]

Cosa troverai in questo numero di 4children

Diventare adulti... per il bene dei bambini pag. 3Russia: imboccare la strada giusta pag. 5Cina: luoghi comuni... e bisogni speciali pag. 8Un mondo di progetti pag. 10Abbinamento? Un motivo di gioia pag. 12Togo: eroine portefaix pag. 15Entusiasti... di aver preso quell’aereo pag. 19A scuola va male? Dillo... allo sportello pag. 22San José Obrero: dalla scuola... alla comunità pag. 24La Cambogia... in festa pag. 26Gioielli di primavera pag. 35

più+dirittiLa storia non è finita... e le ong? pag. 28Volere Torino... a misura di bambino pag. 31Vecchio continente. Ma non troppo. pag. 33

“Mi chiamo Carmen, ed ecco la mia foto. Non so ancora scrivere, ma voglio imparare presto.

Ho cinque anni. All’asilo mi piace molto disegnare paesaggi. Il mio asilo si chiama San José Obrero, ci sono anche i bambini più grandi che ci vanno a scuola. Mi piace giocare a nascondino. E mi piacciono gli spaghetti rossi. Vivo a Lima e ho una sorella maggiore e un fratellino. La mia casa è piccola, e fuori ci sono le montagne. Voglio ringraziare i miei padrini, che vivono tanto lontano da qui. Mi aiutano ad andare all’asilo, e mi hanno regalato un nuovo grembiulino e tutte le matite che uso per disegnare.”

Queste le parole dettate da Carmen, bimba peruviana sostenuta a distanza, alla sua mamma, che le ha trascritte per noi. I “padrini” sono la famiglia che ha aderito al programma di sostegno a distanza di Cifa.Leggi attentamente questo numero di “4children”, nuova rivista della nostra associazione, per conoscere le storie di tanti bambini e bambine come Carmen, e capire come puoi aiutarli anche tu.

Il font utilizzato per il magazine che stai leggendo si chiama Titillium, ed è una creazione degli studenti

(che ringraziamo) del corso di Type design nella Laurea specialistica di visual design “Campi visivi”, presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Il font Titillium è pubblicato sotto licenza SIL Open Font License, Version 1.1. www.campivisivi.net/titillium

Un piccolo gesto per fare conoscere la nostra attività a favore dei bambini... e per rispettare

l’ambiente. Quando avrai terminato di leggere 4children, non gettarlo. Regalalo, invece, a un tuo amico, perchè possa leggerlo a sua volta!

Nello sfondo: un bambino cambogiano incluso nei progetti di Cifa, fotografato da un compagno. A destra: Carmen, 5 anni, peruviana, inclusa nel programma SAD.

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Come ormai saprai il 2010 è stato l’anno del trentennale di vita di Cifa. Festeggiamenti,

riflessioni e soprattutto una forte volontà di guardare avanti. Forti di una storia che sta diventando importante e che si arricchisce ogni giorno grazie alle nuove coppie desiderose di un figlio e al successo di un numero sempre maggiore di progetti di cooperazione

attivi nei 5 continenti.

Ma a 30 anni si diventa adulti; si possono tracciare bilanci consapevoli e si possono affrontare nuove sfide, con linguaggi nuovi, con una consapevolezza diversa, per

adeguarsi alla realtà sociale che corre e che presenta nuove criticità e opportunità.

Tra le mani hai la nostrapubblicazione in vestecompletamente rinnovata. A iniziare dal titolo: “4 children”, che esplicita al meglioi soggetti centrali di tuttoil nostro agire e pensare: i bambini.

Ma c’è molto di più. Non si tratta più di un semplice giornalino. Si candida – lanostra rivista, la tua rivista – a diventare una voceautorevole nell’ambito dell’adozione internazionalee della cooperazione allo sviluppo.

Facendosi forza di una rete di relazioni

eccellenti e di collaborazioni importanti, porterà alla ribalta le difficoltà di questi settori, promuoverà le eccellenze nei progetti, fungerà da

Vogliamo essere letti da tutti coloro che tengono le orecchie tese sul mondo dei bambini.

Diventare adulti... per il bene dei bambiniCon una nuova veste grafica e un titolo dedicato (davvero) ai bambini, la rivista di Cifa cresce ancora ed estende il proprio orizzonte in una direzione ben precisa: la tua. di Luca Montani, direttore dell’ufficio comunicazione di Cifa - [email protected]

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stimolo a livello istituzionale con lo scopo di fare cultura e donare un sorriso a migliaia di bambini, anche attraverso il racconto dei tanti nostri progetti che documenteremo instancabilmente.

La rivista non sarà più tendenzialmente monografica, né autoreferenziale. Rubriche, apparati iconografici e impiego di columnist potrebbero fare da subito la differenza. Ci faremo leggere da opinion leader locali e

nazionali, dagli enti locali, dalle aziende social oriented, dagli incubatori di impresa, dalle agenzie di informazione, dalle scuole, dalle università, dalle comunità religiose, e da tutti coloro che vorranno avere occhi disincantati e

orecchie tese sul mondo dei bambini.

Perché a 30 anni non si può pensare di far altro se non provare a crescere, gettandosi a capofitto in relazioni che siano funzionali ad un processo di sviluppo professionale di Cifa, e di conseguenza dell’intero comparto dell’adozione in Italia.

Nella stessa direzione va il ripensamento del sito internet www.cifaong.it che avrà presto nuova veste grafica, nuovi contenuti e nuove modalità di interazione. Maggiore sarà l’apertura nei confronti delle opportunità date dal web 2.0, termine con il quale si intendono quelle applicazioni che permettono uno spiccato livello di interazione tra il sito e l’utente (blog, forum, social networks), e più semplice ed intuitiva sarà la navigazione fra le sue pagine.

Rivista e sito: due esempi di un Ente, il nostro, che non vive nel mondo dei sogni e che intende proseguire con maggior audacia per essere sempre “sul pezzo” e per consentirti di conoscere in

anteprima le novità di questo nostro amato mondo.

Il tuo apporto non è indifferente. Serve un dialogo continuativo, un pungolo costante, un’osservazione condivisa per non smarrire l’idea iniziale e per poter essere sempre e necessariamente utili. Fino in fondo.

Questo è un auspicio anche in tema di difesa dei diritti dei bambini: augurarsi quel “fino in fondo” nel tutelarli che è un’opzione fondamentale che loro – i bimbi – ci chiedono con insistenza da ogni lato del pianeta.

Buona lettura. •

Cifa si aprirà maggiormente alle opportunità del web 2.0, per interagire meglio con il suo pubblico.

Vogliamo fare cultura dell’infanzia e donare sorrisi a migliaia di bambini.

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Irina siede in una sala riunioni con una decina di compagni, sia ragazzi che ragazze. Sta seguendo

un corso di formazione che insegna come parlare in pubblico e quali sono i comportamenti da tenere con il prossimo, per costruire un dialogo alla pari. Sta imparando, per esempio, che esiste una maniera “assertiva” per interagire con le persone e raggiungere i propri obiettivi, basata sull’ascolto e il rispetto,

opposta a una maniera “passivo/aggressiva” di affrontare i problemi, che non porta da nessuna parte. Sono i primi argomenti che, normalmente, vengono trattati nei corsi di avviamento professionale in tutto il mondo.

Parlarne nella sala riunioni di un istituto per ragazzi orfani, però, con una platea che assorbe ogni informazione con estremo interesse, è qualcosa di speciale. Visto con gli occhi di Irina, questo è uno degli aspetti del progetto “La strada giusta”, che Cifa realizza

A volte, tutelare i bambini significa immaginarseli adulti. A San Pietroburgo, un coraggioso progetto per accompagnare gli orfani maggiorenni fuori dagli istituti.di Daniele De Florio, addetto comunicazione e redattore web di Cifa - [email protected]

Russia: imboccare la strada giusta

con la collaborazione dell’associazione russa Stellit.

Come la maggior parte dei suoi compagni di corso, Irina ha 17 anni; trascorre la maggior parte delle proprie giornate andando a lezione, studiando e seguendo (negli ultimi tempi) i corsi di formazione extra che le sono stati proposti. Non mancano i momenti di svago e di aggregazione, anche se Irina è concentratissima

sui risultati scolastici e non vuole dover ripetere nemmeno un esame. Irina fatica a ricordarsi dei propri genitori, così come della casa alla periferia di San Pietroburgo dove viveva da piccola, ma è una ragazza tranquilla

ed equilibrata. L’unica cosa che traspare dal suo atteggiamento e dalle sue parole è una forte incertezza per il futuro. “Dopo aver finito di studiare devo trovare subito un lavoro e poi una casa, che condividerò con Julia, la mia compagna” spiega, e lo rimarca più volte

Vivere per dieci anni in orfanotrofio non significa ignorare i problemi sociali del proprio paese.

Irina, 17 anni, cerca di immaginarsi il giorno in cui dovrà lasciare l’istituto, cercarsi una casa e un lavoro.

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Vogliamo indicare a Irina e a molte altre ragazze la “strada giusta” per costruirsi una nuova vita.

mentre parla di sé. Anche se ha vissuto più di dieci anni in istituto, Irina conosce bene i problemi sociali del suo paese. Sa quanto il costo della vita sia cresciuto, e quanto sia necessario lavorare per mantenersi da soli. Sa che gli affitti sono cari anche in un monolocale per

studenti, e sa che ci sono zone della città che è meglio evitare.

Tra meno di un anno, la vita di Irina cambierà completamente, e il momento del passaggio non sarà facile. Le statistiche sono

impietose: tanti ragazzi e ragazze come Irina “non ce la faranno”, almeno nel primo periodo dopo l’uscita dagli orfanotrofi, e saranno fagocitati dal mondo della malavita e dalla prostituzione. Ma Irina non legge le statistiche, e vive con determinazione e serenità il passo che dovrà compiere a breve: il passo che la porterà lontano da quei maestri e da quai compagni che per lei hanno avuto il ruolo di una famiglia.

E noi? Siamo al fianco di Irina.

Con il progetto “La strada giusta”, vogliamo dare a questa ragazza e a tutte le sue compagne una completa formazione professionale e un solido supporto psicologico. Agiamo perché Irina, una volta compiuti i 18 anni, abbia tutti gli strumenti necessari per potersi reinserire nella società, trovare un lavoro e imparare a relazionarsi con un “mondo esterno” di cui ha solo una conoscenza parziale e in cui non ha ancora costruito reti di conoscenze e di amicizia. In questo modo, preverremo il rischio che entri nei circoli della criminalità, della droga o della prostituzione. •

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Le testimonianze dirette sono il modo migliore per spiegare certi argomenti. E quando te li

spiega un tuo coetaneo, un potenziale amico, si crea un importante rapporto di fiducia che facilita l’apprendimento. Lo ha pensato anche Stellit nelle fasi di realizzazione del progetto, dopo essersi chiesta se i ragazzi avrebbero frequentato volentieri i corsi di formazione e se avrebbero considerato i formatori degni di fiducia. Ecco perchè è stato coinvolto il

movimento “Do you know the right way?”, che peraltro ha ispirato il nome di tutto il progetto. Quest’associazione riunisce una serie di ragazzi, spesso poco più che maggiorenni, che sono transitati in prima persona attraverso

l’esperienza della droga o della vita di strada, e che ne sono usciti dopo un percorso di recupero. La testimonianza diretta delle loro esperienze è importantissima per i ragazzi che stanno per uscire dagli istituti, poiché fornisce un quadro reale dei rischi presenti “là fuori”. La sostanziale affinità tra beneficiari e i membri del movimento, data dall’età e da un background sociale molto simile, consente così un reale scambio di opinioni e di “buone pratiche” per riuscire a vivere nel rispetto delle regole e della legalità.

Si stima che nella Federazione Russa quasi 700.000 bambini vivano presso istituti di accoglienza: una

cifra immensa, considerando che la Russia contava lo stesso numero di orfani negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Alcuni hanno la fortuna di trovare un nuovo papà e una nuova mamma, ma la maggior parte trascorre gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza in istituto, avviandosi inevitabilmente verso l’età adulta senza figure genitoriali di riferimento.

È di questi ultimi che si occupa Stellit, partner locale di Cifa nella realizzazione del progetto “La strada giusta”.

Il nome “Stellit” deriva dalla fusione di due parole latine che significano, rispettivamente,

stella e pietra. “Insieme rappresentano la forza e la determinazione, qualità cruciali per provare a cambiare in meglio la società” ci spiega Olga Koplakova, Capo Dipartimento dell’associazione. In Russia, inoltre, l’espressione “seguire la propria stella” significa affrontare una serie di sfide per riuscire a realizzare i propri sogni. Stellit è attiva dal 2002, e ha lavorato per quasi dieci anni contro l’esclusione sociale di bambini orfani e ragazzi difficili.

Fulcro dell’azione di Stellit è la partecipazione: “Far sviluppare le capacità per affrontare la vita adulta non sarebbe possibile senza un grande impegno attivo da parte dei ragazzi - afferma Marina Kutsak, coordinatrice del progetto - Sono loro che, in prima persona, contribuiscono a rendere i corsi di formazione e di autostima ancora più efficaci”. Ragazzi che non vengono considerati per i loro aspetti problematici, dunque, ma come vere e proprie risorse per la società, da far crescere in maniera adeguata all’interno di reti solide.

“Stellit” deriva da “pietra” e “stella”. Parole che rappresentano la forza e la determinazione.

Tra coetanei ci si capisce meglio. Ecco perchè sono stati coinvolti dei ragazzi nei corsi di formazione.

A sinistra e in alto: momenti dei corsi di formazione a beneficio delle ragazze in istituto.

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Partire per la Cina con la consapevolezza che incontrerò molti bambini, tutti bisognosi di un

futuro migliore, ma con l’idea che non vi siano in questo momento altrettante famiglie disposte ad accoglierli, non è una sensazione piacevole. Una consapevolezza che toglie gioia a questa mia partenza perché, lo so, di fronte a tanti occhi pieni di speranza mi sentirò ancora una volta impotente ed angosciata. Mi rendo conto di come solo la parola Cina spesso provochi rifiuto, anche se questo non mi scoraggia: sono bambini e mi chiedo se importi davvero da dove provengano.

Parlare oggi di Cina equivale spesso a sentire solo luoghi comuni. La Cina che cresce e ci divora, che sta esplodendo economicamente e dunque potrebbe provvedere anche ai propri figli, i cinesi che ci hanno invasi, con i loro ristoranti e la loro merce di poca

qualità. I cinesi di fronte ai quali, in un certo senso, ci sentiamo forti perché li aiutiamo, e aiutiamo i loro bambini abbandonati, scartati, ma che ci fanno paura ugualmente. E questo non ci piace.

Ma compiamo un passo avanti, e separiamo per un solo momento l’idea del paese da quello del bambino. Un bambino che si trova in un orfanotrofio, solo, senza una famiglia e spaventato dal mondo esterno, un bambino che impiega più tempo di un altro a fare qualsiasi cosa, e non perché diverso o ritardato, ma semplicemente perché non ha finora avuto a disposizione un adulto, qualcuno che lo abbia preso per mano e gli abbia insegnato le cose più elementari.

Quelle cose che a suo tempo qualcuno ha insegnato a noi con tanta pazienza. Un bambino ancor più sfortunato perché nato in una società competitiva

come quella cinese, dove non basta partecipare ma per la quale è fondamentale vincere. Pensiamo al significato della parola “adozione internazionale”. Forse accettare un bambino, il nostro bambino, deve essere l’arrivo di un percorso, appunto di adozione

internazionale, che ha come principio l’accettazione della diversità di una storia che arriva da lontano?

È con il peso di tutti questi pensieri che si compie il mio nuovo viaggio verso Beijing. È marzo e

fa freddo: dentro e fuori. La missione prevede le visite agli orfanotrofi di Hohhot e Tongliao e una serie di incontri istituzionali. Giornate lunghe, ritmi serrati, la pressione si fa sentire. Sbagliare in queste situazioni è facile; la sera, dopo i tanti incontri ed i numerosi pranzi,

In una società competitiva come quella cinese, un bambino orfano è doppiamente sfortunato.

Le aspettative di un paese come la Cina nei confronti di un Ente come il Cifa sono molte, e articolate.

Cina: luoghi comuni...e bisogni specialiImpressioni da un viaggio nel gigante asiatico, in cui anche gli orfanotrofi sono parte di un meccanismo razionale. Che ha grandi aspettative nei nostri confronti.di Ambra Enrico, direttore generale di Cifa - [email protected]

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tutti rigorosamente conclusi con brindisi alla grappa di riso, mi sento a pezzi. Una cosa è chiara: le aspettative verso Cifa sono molte e mi chiedo, dopo i risultati conseguiti quest’anno, se tutto il lavoro svolto non sia stato decisamente al di sopra delle nostre possibilità.

Certo, Cifa è un ente grande, strutturato, all’altezza di affrontare le situazioni più complesse, ma mi rendo conto di quanto i cinesi giochino sempre più al rialzo, quanto si aspettino, in termini di cifre, risultati che sembrano un miraggio. La loro razionalità, l’organizzazione, un po’ mi spaventano. In fondo mi rendo conto che il nostro modo di sentire è diverso:

il fattore umano, per quanto possa qualche volta non trasparire, è ancora una delle caratteristiche fondamentali del nostro essere italiani. Due mondi opposti, due modi diversi di sentire il lavoro: in mezzo

un mare di bambini che aspettano, che galleggiano in un limbo. L’orfanotrofio è il ricordo migliore che porto a casa: il personale è numeroso, presente, i bambini sono seguiti con affetto ed attenzione. La direttrice sembra conoscerli uno ad uno: una carezza, un bacio, un buffetto. Tutti gesti che denotano affetto e cura nei loro confronti.

Mi rendo conto che non riuscirò a trasmettere il calore di questi momenti quando, tornata in Italia, parlerò di loro alle future coppie adottive. Quando, invece dei loro dolci occhi, dei loro sorrisi, dovrò parlare delle loro patologie, dovrò usare parole come “special needs”. Eppure non finirò mai di ripeterlo: questi bambini, di speciale, hanno solo l’inifinito bisogno di affetto e attenzioni.Cure che, al pari della scienza, fanno miracoli. •

Parlando dei bambini con “bisogni speciali”, vorrei trasmettere tutto il calore che mi hanno dato.

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Un mondo di progettiI diritti dei bambini sono uguali e irrinunciabili, in ogni parte del globo. Cifa interviene in Sudamerica, in Asia, in Europa e in Africa per tutelarli. Senza barriere.

“Via del Campo, c’è una bambina”… così cantava Fabrizio de André, in uno dei pezzi che lo ha reso

celebre. E così abbiamo voluto chiamare un progetto che stiamo svolgendo a Poum Thmey, in Cambogia, sobborgo della città portuale di Sihanoukville. Un luogo sperduto in cui l’attività principale è la prostituzione di donne e bambine. Nel nostro nuovo centro di accoglienza, tanti bambini possono crescere in allegria e al riparo da qualsiasi forma di sfruttamento.

Una serie di belle casette immerse nel verde, un’oasi di tranquillità rispetto alla chiassosa e pericolosa

metropoli… Così si presenta il centro dove le ragazze filippine sostenute da Cifa conducono una vita di grup-po, in cui le più grandi aiutano le più piccole. In attesa di abbracciare una famiglia che non hanno mai avuto, o da cui sono state allontanate a causa di abusi o vio-lenze. Il progetto si intitola “Ogni bambino ha diritto a una famiglia!”

Quando siamo stati a Neak Loeung per la prima volta ci sono venuti incontro per salutarci,

cercare di venderci qualcosa o chiederci l’elemosina. Erano sorridenti ma laceri, affamati, scalzi e senza prospettive. Oggi, 85 bambini vanno regolarmente a scuola, studiano, leggono, imparano a usare il PC e si esprimono anche in inglese. “Anch’io so leggere e scrivere”: questo il nome di uno dei progetti più noti di Cifa in Cambogia, ormai giunto al quinto anno di attività.

Riesci ad immaginarti la vita di un bambino che… non ha un nome? La mancanza di registrazione di

moltissimi bambini alla nascita, in Cambogia come in altri paesi del mondo, fa sì che ufficialmente “non esi-stano”, e che siano esposti ad ogni tipo di violazione dei loro diritti. Con la campagna “Diritto al nome”, sen-sibilizziamo diverse comunità e villaggi cambogiani su questa tematica. Il progetto è finanziato dalla Commis-sione per le Adozioni Internazionali.

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Donne portefaix, ovvero facchine. Ragazze che vivono ai margini della società del Togo, costrette a lavori

massacranti per sopravvivere e nutrire i propri figli. Dopo aver visitato le case “per sole donne” in cui queste corag-giose ragazze vivono tra mille difficoltà coi loro bambini, Cifa ha deciso di aprire un nuovo progetto per aiutarle. Il modello è lo stesso di “Via del Campo” in Cambogia: aiu-tare i figli e le figlie, perchè abbiano una possibilità in più per non svolgere il mestiere delle madri.Scopri chi sono davvero le donne portefaix a pag. 15

Cosa succede ad un ragazzo o una ragazza che ha perso i genitori, che non è stato mai adottato, che

ha sempre vissuto in orfanotrofio e che a 18 anni ne deve uscire? Risposta: ha tutta la vita davanti… ma è completamente solo. E a San Pietroburgo, essere soli è rischioso. Ecco perché realizziamo il progetto “La strada giusta”: vogliamo offrire a questi ragazzi la possibilità di trovare un lavoro, di crearsi una rete di contatti e di possedere tutti gli strumenti per diventare adulti re-sponsabili. Irina, beneficiaria del progetto, si racconta a pag. 5

L’AIDS non è più un mostro senza volto, ma una malattia con cui oggi si può convivere. A patto di

ricevere un forte sostegno alimentare nonché le cure mediche adatte, che ai più poveri possono essere pre-cluse. Ad Addis Abeba, Cifa aiuta 100 bambini sieroposi-tivi a vivere una vita normale, sostenendo le loro spese scolastiche e assicurandosi che ricevano regolarmente i trattamenti antiretrovirali (contro il virus dell’HIV).

Addis Abeba è il nome della capitale dell’Etiopia, e si-gnifica letteralmente “nuovo fiore”. Qui, Cifa opera

per consentire a tanti piccoli fiori di sbocciare nuova-mente. I “fiori” sono bambini e bambine che hanno su-bito gravi forme di violenza, e che aiutiamo a reinserire nella società grazie ad un moderno consultorio psico-so-ciale e a una serie di attività sociali e ricreative. Ad Addis Abeba, fortunatamente, ci sono “Fiori che rinascono!”.

Sette scuole collocate in diversi luoghi del Perù: dalla periferia di Lima alla regione di Cajamarca, dai 4000

metri di Puno alle isole galleggianti degli Uros… In que-ste scuole, 670 bambini lavoratori provenienti da fami-glie molto povere o disagiate ricevono l’istruzione di base, pasti gratuiti e assistenza sanitaria grazie al progetto “Scuola, lavoro, diritti”. Si aggiunge un servizio di “defen-soria”, strumento gestito dagli stessi bambini per denun-ciare ogni forma di abuso nei loro confronti.Visita anche tu la scuola di San José Obrero a pag. 24

A sinistra: bambini cambogiani nel centro “Via del Campo” e una delle case-famiglia per ragazze, nelle Filippine. In alto: bambini di Addis Abeba sostenuti da Cifa.

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Adozione internazionale: due parole che identificano un percorso bellissimo e delicato, che nasce

dal diritto di un bambino ad avere un papà e una mamma, oltre che dal desiderio di un uomo e una donna di essere genitori. Un percorso che, per giungere felicemente a destinazione e consentire la formazione di una nuova famiglia, richiede il lavoro e l’impegno quotidiano di molte persone. Persone che, all’interno di Cifa, fanno parte dell’ufficio denominato “segreteria tecnica”.

In occasione dell’uscita del nostro nuovo magazine 4children vogliamo aprire al mondo le porte dei nostri

uffici, e raccontare il lavoro quotidiano di chi si occupa, concretamente, di adozione internazionale. A Torino, nella sede centrale del Cifa, affrontiamo l’argomento con Silvia Arnoletti (abbreviata in SA)

e Silvia Rivela (SR), facenti parte dello staff tecnico della segreteria e dedite, da più di un anno, ai percorsi adottivi nella Repubblica Popolare Cinese.

Partiamo dalla domanda più semplice: qual è il vostro lavoro all’interno del Cifa?

Io (SA) mi occupo di adozioni in Cina, a partire da quando la coppia conferisce l’incarico al nostro ente

e viene quindi instradata sulla Cina fino all’avvenuta adozione e al rientro in Italia. Anch’io (SR) seguo la Cina: è un paese che impegna molto dal punto di vista del carico di lavoro, ecco perché siamo in due a seguirlo. Lavoriamo insieme alle psicologhe e seguiamo ogni coppia dalla gestione dell’abbinamento alla partenza, dall’incontro con il bambino al ritorno, insomma tutto l’iter adottivo.

Silvia e Silvia (stesso nome, stesso ruolo nella segreteria tecnica di Cifa) ci mettono la faccia. E ci raccontano come si segue un percorso adottivo che nasce in Cinadi Daniele De Florio, addetto comunicazione e redattore web di Cifa - [email protected]

Abbinamento? Un motivo di gioia

Fino al giorno prima di essere adottati, i bimbi cinesi vivono seguendo regole molto rigide.

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D: Quindi siete voi, concretamente, a proporre un bambino ad una coppia?

R: Sì, è un lavoro che viene fatto dalla psicologa con la compresenza degli operatori della segreteria

tecnica, e ognuno fa la sua parte. Noi, in seguito, ci dedichiamo interamente alla parte “pratica” della procedura adottiva.

D: Da un punto di vista

“emozionale”, cosa vuol dire abbinare un bambino a una coppia?

R: Nel nostro caso, forse, è

differente rispetto ad altri operatori

del Cifa e altri paesi di adozione. Lavorando sulla Cina, dobbiamo segnalare anzitutto il singolo bambino alla coppia, partendo da una serie di bambini di cui gli orfanotrofi ci inviano una documentazione. In altri paesi è diverso, perchè sono le autorità locali a fare l’abbinamento di quel bambino a quella particolare coppia. Nel caso della Cina, la nostra referente in loco ci invia una serie di possibili segnalazioni, noi ci documentiamo, le vagliamo e poi decidiamo quale possa essere la coppia migliore a cui proporre quel particolare bambino.

D: Abbinare un bambino alla sua futura famiglia… Vivete questa cosa come un peso, come normale

lavoro o come una responsabilità particolare?

R: Tutto quello che hai detto. Sicuramente c’è un’enorme soddisfazione nel vedere e sentire la

gioia dei genitori quando finalmente possono guardare negli occhi il proprio figlio. D’altra parte, puoi anche sentire un forte senso di fallimento se le cose non vanno come dovrebbero, per esempio nei rari casi in cui la coppia scelta non era pronta al 100% o adatta per quel particolare bambino segnalato: siamo umani e sono cose che possono succedere. C’è anche grande emozione nella stessa segnalazione telefonica in cui diciamo alla famiglia che è stato scelto un bambino per loro… A volte capita che ci si conosca di persona dopo aver parlato a lungo al telefono, ed è sempre bello vedersi dal vivo per la prima volta.

D: L’abbinamento, quindi, è la maggiore soddisfazione che traete dal vostro lavoro?

R: SA: Io direi l’abbinamento e… il rientro della coppia in Italia. Può sembrare strano, ma è una grande

responsabilità il dover “gestire” una famiglia che si sta muovendo all’estero, che puoi sentire solo per via telefonica o su Skype. A volte ti senti impotente perché non sei fisicamente con loro e non puoi risolvere proprio tutti i problemi a cui possono andare incontro. Quando la coppia ti scrive che è appena tornata in Italia con il bimbo e che tutto è andato bene, è sempre

un sollievo! SR: Per me, oltre all’abbinamento, è una soddisfazione sentire il racconto di come è avvenuto l’incontro con il bambino. Quando lo sento, gioisco insieme ai genitori. E se per un motivo o per l’altro non me lo raccontano per primi, sono sempre io a chiamarli e a chiedere come è andata! È come se si chiudesse un cerchio, si arriva all’inizio di una nuova famiglia!

D: Qualche episodio curioso da raccontare legato al vostro lavoro? In tanti anni...

R: Finora tutte le storie di adozione in Cina sono belle storie, a parte alcuni piccoli disguidi che

possono capitare a tutti, esempi che riportiamo anche alle aspiranti coppie adottive per prepararle ad un viaggio che, sicuramente, è molto impegnativo sotto tutti i punti di vista. Tra gli episodi più belli che

ricordo… ce n’è uno in cui il bambino si è lanciato subito verso i genitori, chiamandoli papà e mamma, non appena questi sono entrati nella stanza dell’incontro. Di solito non avviene così! I bimbi

sono molto intimoriti nel momento del passaggio dall’orfanotrofio alla famiglia... Ma in questo caso il bambino, di 4 anni, è stato super accogliente con i genitori!

D: In questo periodo, su tutti i media si parla di Cina come di una grande potenza economica, fatto che

suscita un po’ di paure. Ma che effetto fa conoscere una delle “fragilità” di questa grande potenza, ovvero il fatto

C’è una grande emozione quando riferiamo ad una coppia che è stata abbinata ad un bambino.

È una grande responsabilità dover seguire e gestire una famiglia all’estero solo per telefono.

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di avere tantissimi bambini orfani da dare in adozione?

R: SA: Ecco, per esempio io vedo questa cosa da una prospettiva diversa. Io non penso molto al paese

in cui sto operando se non, ovviamente, per gli aspetti pratici dell’iter adottivo. Io penso solo che svolgendo il mio lavoro tolgo un bambino da un orfanotrofio, ovunque sia nel mondo, e lo dò a una famiglia che è in cerca di un figlio. Però mi hai dato uno spunto su cui riflettere... SR: Secondo me, viviamo tutti nel mito della superpotenza cinese ma non ci ricordiamo che in Cina ci sono zone molto povere. Lo vediamo anche, per esempio, nelle differenze tra gli istituti in cui adottiamo [Che si trovano in diverse regioni della Cina, NdR]. Alcuni sono ricchi e curati, altri spartani e privi di alcuni servizi aggiuntivi. Questa è una cosa che non ti aspetti quando cominci a lavorare con la Cina, ma è una consapevolezza che trasmetti alle coppie per prepararle all’incontro con una realtà che non è sempre ricca come, magari, si sono immaginate.

D: Aldilà dei “bisogni speciali”, cosa si aspettano dalla Cina le coppie di aspiranti genitori?

R: In effetti ci sono diverse aspettative… che riguardano svariati aspetti del loro soggiorno

in questa nazione, a partire dagli stessi alberghi. Aspettative che vengono fugate dalla realtà, visto che la cultura cinese è totalmente diversa dalla nostra, per storia e tradizioni. Dall’altra parte, le coppie restano molto soddisfatte per l’efficienza con cui lavorano i cinesi e in cui sono quotidianamente immersi, efficienza che si riflette direttamente sulla gestione della coppia. In Cina tutto è molto più strutturato rispetto a certi “standard” asiatici in cui ci siamo

imbattute nel corso degli anni. Se, per esempio, vuoi maggiori informazioni su uno o più bambini in istituto, queste ti vengono concesse in tempi brevissimi e con grande efficacia.

D: Proprio per questa

differenza di culture, un bambino cinese farà più fatica di altri per adattarsi ad un vita in Italia?

R: Questo si potrà sapere con certezza solo tra qualche anno… Le adozioni in Cina sono iniziate

solo da poco tempo. Abbiamo però l’esperienza di coppie che hanno avuto a che fare con bambini dal comportamento piuttosto oppositivo; questo è piuttosto normale con bambini che, fino a poco tempo prima, hanno vissuto in base a regole molto rigide. Ed è uno dei motivi per cui le coppie vengono adeguatamente preparate sugli atteggiamenti dei bambini che possono essere più critici. Sai, negli altri paesi l’abbinamento è graduale, nel senso che il bambino viene fatto incontrare con la coppia più di una volta, e tra gli incontri intercorrono intervalli di tempo. In Cina, invece, l’abbinamento è molto più immediato: un bambino che ha sempre vissuto con altri bambini si trova, di colpo, ad avere a che fare con due adulti sconosciuti e che parlano una lingua diversa. L’impatto è ovviamente molto difficile, ma basta poco tempo perché la nuova famiglia acquisti la sua dimensione e la sua serenità.

D: Quindi possiamo dire che i bimbi cinesi… Sono come tutti gli altri bambini del mondo?

R: Certo che sì! Poi, è chiaro che c’è l’impatto delle liste speciali, ma le autorità cinesi hanno ragione:

gli “special needs” sono bambini che hanno necessità speciali rispetto ad altri, hanno bisogno di trattamenti e cure speciali che non sono insormontabili, ma che in orfanotrofio non possono avere. Ecco perché, per questi bambini, una nuova famiglia è il dono più grande che possa essere ricevuto.•

Tutti viviamo con il mito della potenza della Cina, ma non ci ricordiamo delle sue sacche di povertà.

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Lomé, Togo. Una città che ha il sapore e gli odori dell’Africa stereotipata, l’Africa che provi a

immaginarti se non ci sei mai stato. Di notte, strane figure percorrono le strade di questo luogo surreale. Motorini sfrecciano sulle strade. Prostitute attendono i prossimi clienti con aria desolata. Un uomo, in piedi, lascia passare il tempo guardandosi intorno, e fumando sigarette. Potrebbe essere un qualunque cittadino che prende una boccata d’aria. Difficile. Più probabilmente ha qualche affare da sbrigare. Droga, forse. O forse sorveglia le “sue” prostitute. Più in là, una donna con due bambini (uno, più piccolo, infagottato in un marsupio, l’altro tenuto per mano) parla con un altro uomo, sembrano contrattare qualcosa. Raggiungono un accordo. L’uomo guida la donna all’angolo di un vicolo, dove le mostra quello che sembra un grosso sacco, un fagotto. È veramente

grosso. Sarà alto più di un metro, e peserà almeno venti chili, anche se non possiamo sapere cosa c’è dentro. L’uomo se ne va, e la donna inizia a svolgere alcuni gesti meccanici intorno al sacco, come se fosse la millesima

volta che li ripete. Alla fine di quello che sembra uno strano rituale, fatto di movimenti calcolati, la donna è riuscita a issarsi il sacco sulla testa. Barcolla solo per un attimo, poi riacquista l’equilibrio. Si vede, che è ancora giovane. Ancora qualche anno, e la sua schiena si piegherebbe come un fuscello. La donna assicura il figlio minore alla fascia, appoggia una mano al sacco appena issato e, con quella rimasta libera, torna a stringere la manina del figlio più grande. E così, come un gruppo di spettri, il terzetto scompare nella notte, con un fardello da portare chissà dove…

Questa scena, che un cineoperatore ha filmato dalla finestra di un albergo, nella notte buia e con poche luci elettriche di Lomé, è sufficiente a spiegare perché il Cifa ha voluto recarsi in questo piccolo stato dell’Africa

occidentale e aprire un nuovo progetto a tutela dell’infanzia.

La donna con il grosso sacco è una delle tante portefaix, traducibile all’incirca come “facchine”, ragazze in stato di totale povertà che, dalle campagne, si muovono verso la città in cerca di lavoro e migliori possibilità di vita. Come spesso accade nei paesi del Sud del Mondo, questo legittimo tentativo di condurre un’esistenza migliore, e di trovare un ambiente adatto in cui crescere i propri figli, naufraga nella dura realtà. Le donne migranti riescono solo a procurarsi lavori occasionali presso i mercati locali, dove vengono impiegate per bassissima manovalanza e trasporto di merci. A mano. Pagate non più di 1,5 Euro al giorno (se sono fortunate), le portefaix vivono tutte insieme in grandi case abbandonate, tra blocchi di cemento sgretolato e lastre di lamiera, moderni ginecei in cui ci si divide il poco che si ha e in cui si condivide tutto, a cominciare dalla fatica e dalla sofferenza. Perché le donne portefaix lavorano 12 ore al giorno, consumano un pasto fin troppo frugale, trascorrono alcune manciate di minuti con i propri figli e poi dormono, spossate, su cumuli di stracci che hanno la funzione di letti, aspettando il giorno successivo. Quelle che, alla sera, hanno ancora la forza di stare in piedi, trascorrono qualche ora svolgendo il loro secondo

Vivono ai margini della società, e portano sul capo il peso (tutt’altro che figurato) della propria condizione. Cifa le aiuterà a conservare l’unico tesoro che possiedono: i figli.

di Daniele De Florio, addetto comunicazione e redattore web di Cifa - [email protected]

Togo: eroine portefaix

Le donne portefaix vivono a stento con lavori di bassa manovalanza, trovati presso i mercati locali.

Nella pagina a sinistra: Silvia Arnoletti e Silvia Rivela, di Cifa. In questa pagina: una strada di Lomé, Togo. Pagina successiva: fotogrammi di un documentario girato da Cifa a Lomé.

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lavoro, per guadagnare qualche spicciolo in più. E il secondo lavoro, inevitabilmente, è quello di prostituta.

E i bambini? A volte le portefaix se li portano dietro, a volte li lasciano nelle case delle donne. Alla scuola, non ci pensa nessuno. Ai loro diritti? Difficile, quando devi lottare ogni giorno per sopravvivere e non hai un soldo per comprare qualcosa che non faccia parte delle strette necessità. E l’educazione dei figli non rientra nelle strette necessità, specialmente quando non ci sono nemmeno i soldi per curarli dalle malattie.

In questo contesto, dove le donne ti accolgono con sorpresa e imbarazzo all’interno delle loro case “al femminile”, dove i bambini sgranano gli occhi al vederti e talvolta si mettono a piangere perché non hanno mai visto un uomo bianco, noi di Cifa abbiamo deciso di fare qualcosa. Non pretendiamo di essere la luce in fondo al tunnel: la disgregazione della società togolese e le terribili condizioni in cui vivono queste donne e i loro bambini sono tali da non poter essere capovolte nel giro di pochi mesi, o anni. Ma, come in tutti i luoghi del mondo in cui ti sembra di essere all’anticamera

di qualche strano inferno, ogni forma di aiuto può avere un effetto immediato, e immensamente positivo.

Qui in Togo, nella capitale Lomé e nella cittadina di Avoutokpa, vogliamo iniziare

un nuovo progetto. Vogliamo aprire centri per l’infanzia in cui le madri portefaix si fidino a lasciare i propri bambini. Vogliamo che questi bambini (più di 1000, potenzialmente, potrebbero essere inclusi nel progetto), abbiano la possibilità di essere curati, di imparare a scrivere, di disegnare, di giocare e di ricevere tutto ciò che un destino avverso ha voluto finora negargli. Vogliamo che le loro madri, coraggiose eroine che affrontano ogni giorno una vita impossibile, possano almeno sapere che i loro cuccioli sono in buone mani. Che possano naturalmente usufruire delle cure che rendiamo disponibili per i loro bambini. E che, se non riescono a immaginarsi un futuro migliore per loro stesse, possano almeno immaginarselo per i loro figli, i loro piccoli tesori. Per Cifa, il tesoro più grande è quello di poter migliorare la vita di questi bambini, così come proviamo a fare ogni giorno in tanti paesi, più o meno sperduti, di questo strano, ingiusto e meraviglioso posto che è il mondo. •

Le portefaix che, di sera, hanno ancora la forza di stare in piedi, si danno alla prostituzione.

Sul nostro sito, e a seguire nelle pagine di questa rivista, troverete presto aggiornamenti sul nostro progetto in fase di apertura in Togo, dal titolo “Un tesoro di bambini”. Sei interessato? Contattaci, per realizzarlo abbiamo bisogno anche di te. [email protected] 011 4344133

Il mio futuro?Scrivilo tu!

Tutti i bambini del mondo hanno il diritto di crescere e di essere felici. Per molti di loro, questo diritto è solo un sogno. Insieme a Cifa, tu puoi renderlo reale. Adesso.

Sostieni un progetto di cooperazione con noi: aiuta un bambino e tutta la sua comunità di appartenenza!

Attiva un sostegno a distanza: scegli di seguire, passo dopo passo, la vita

e i progressi di un bambino!

Sì, voglio migliorare la vita di tanti bambini insieme a Cifa!Cognome .................................................................. Nome ........................................................................Denominazione (se azienda, classe, ente o gruppo ) ...........................................................................................Codice Fiscale o Partita IVA ..........................................................................................................................Data di Nascita ........................................................ Nazionalità ..............................................................Indirizzo .......................................................................................................................................................... CAP ........................ Città ............................................................................................. Provincia .................Telefono ................................................................... Cellulare ................................................................... E-mail (importante ) ..........................................................................................................................................Professione: Lavoratore autonomo Dipendente Studente Casalinga Pensionato Libero professionista Altro

Voglio sostenere un progetto di cooperazione allo sviluppo, aiutando i bambini e la loro comunità. Scelgo il progetto:

Cambogia: Anch’io so leggere e scrivere! Cambogia: Via del Campo Etiopia: Fiori che rinascono Etiopia: Insieme contro l’AIDS Filippine: Ogni bambino ha diritto a una famiglia! Perù: Scuola, lavoro, diritti Russia: La strada giusta Togo: Un tesoro di bambini Dove c’è più bisogno (equivalente a una donazione liberale, che Cifa destinerà al progetto in maggiore necessità di fondi )

Effettuo il versamento dell’importo di Euro .................................................................................................. a mezzo: Versamento su C/C Postale n. 38588711 Bonifico: IBAN IT 19 Q 07601 10300 000038588711

Importante: nella causale di versamento inserire il nome del progetto sostenuto.

Voglio sostenere un bambino a distanza, aiutandolo a scrivere il suo futuro. Scelgo un bambino (o una bambina) che vive in:

Cambogia Etiopia Perù Dove c’è più bisogno (sarà scelto un paese in cui vi è maggiore necessità di sostenere singoli bambini )

Mi impegno a sostenere il bambino per un anno e ad effettuare la donazione di 310 Euro in: Rata singola (310 Euro) 2 Rate semestrali (155 Euro ciascuna)

Effettuo il versamento dell’importo di Euro .................................................................................................. a mezzo: Versamento su C/C Postale n. 50829423 Bonifico: IBAN IT 84 U 07601 10300 000050829423

Benefici Fiscali. Le persone fisiche possono detrarre dall’imposta lorda il 19% dell’importo donato a favore delle ONLUS, fino a un massimo di 2065,83 Euro (art. 13 bis, comma 1 lettera i-bis del D.p.r. 917/86) o dedurre dal reddito dichiarato un importo non superiore al 10% del reddito complessivo e comunque nella misura massima di 70.000 Euro annui (art. 14 comma 1 del Decreto Legge 35/05). Le persone giuridiche possono dedurre dal reddito d’impresa dichiarato un importo non superiore al 10% del reddito d’impresa complessivo e comunque nella misura massima di 70.000 Euro annui (art. 14 comma 1 del Decreto Legge 35/05). Ai fini fiscali la ricevuta del versamento deve essere conservata dal donatore insieme alla dichiarazione dei redditi.Informativa ai sensi dell’ art. 13, d.lgs. 196/2003. I dati saranno trattati da CIFA Onlus, titolare del trattamento, Via Ugo Foscolo, 3 10126 Torino, per le operazioni connesse alla donazione, per informare su iniziative e progetti realizzati anche grazie al contributo erogato e per inviare il giornalino ed il materiale informativo riservati ai sostenitori e per campagne di raccolta fondi. Previo consenso, le informazioni potranno essere inviate anche via e-mail. I dati saranno trattati esclusivamente dalla nostra associazione e dai responsabili preposti a servizi connessi a quanto sopra; non saranno comunicati né diffusi né trasferiti all’estero e saranno sottoposti a idonee procedure di sicurezza. Gli incaricati del trattamento per i predetti fini sono gli addetti a gestire i rapporti con i sostenitori ed i sistemi informativi, all’organizzazione campagne di raccolta fondi, a preparazione e invio materiale informativo. Ai sensi dell’art. 7, d.lgs. 196/2003, si possono esercitare i relativi diritti fra cui consultare, modificare, cancellare i dati od opporsi al loro trattamento per fini di invio di materiale informativo rivolgendosi al titolare al suddetto indirizzo, presso cui è disponibile, a richiesta, elenco dei responsabili del trattamento.

Letta l’informativa sulla privacy, acconsento a ricevere comunicazioni da Cifa anche via e-mail si no

La presente scheda, compilata in ogni parte e firmata, con allegata copia della ricevuta del versamento o del bonifico, deve essere INVIATA VIA FAX al numero 011 4338029, via e-mail all’indirizzo [email protected] o a mezzo posta al seguente indirizzo: CIFA Onlus - Ufficio cooperazione, Via Ugo Foscolo 3, 10126 Torino

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Giancarlo e Daniela sono i genitori di Amina, la piccola ucraina che molti di voi ricorderanno

protagonista di una delle puntate della docu-fiction “Mamma ha preso l’aereo”. Abbiamo cercato, insieme a loro di fare il punto di questa bella storia, ad un anno dall’adozione di Amina ed in previsione della loro partecipazione al follow up della serie televisiva.Spiegano Daniela e Giancarlo:

“Sicuramente la docu-fiction è stata uno strumento più che idoneo a trasmettere a vaste platee, di interessati e non, le sensazioni, le emozioni, i vissuti che altrimenti sarebbero rimasti nicchia di una ristretta cerchia di

persone. Talvolta il passaparola non è particolarmente esaustivo, quanto lo può invece essere un’immagine sonorizzata che riesce a dare persino la percezione del frenetico battito cardiaco nei momenti salienti,

della partenza per l’adozione, nel nostro caso della prima conoscenza della bambina, delle mille difficoltà incontrate.

A un anno dall’adozione e dalla docu-fiction “Mamma ha preso l’aereo” (di cui è stata protagonista), una famiglia si racconta. Partendo dalla propria “bambina grande”.di Elena Volponi, addetto stampa di Cifa - [email protected]

Entusiasti... di aver preso quell’aereo

Secondo noi il merito di questa docu-fiction è di essere riuscita a dare nell’immediato la gioia di noi genitori nel comunicare al nostro mondo, piccolo o grande che fosse, l’immensa gioia dell’arrivo dei nostri angeli, nel nostro caso dell’angelo Amina Maria. Sicuramente questa trasmissione televisiva è stata una grande occasione, soprattutto per i suoi nobili contenuti finalizzati in modo primario ai bambini adottati, dando loro, finalmente, il giusto e meritato risalto.

La validità del prodotto è a nostro parere da ascriversi a due fattori: primo, gli operatori ed i tecnici che hanno prestato la loro opera “dietro le quinte” per la realizzazione di questa serie televisiva rappresentano, sempre a nostro parere, il meglio sotto l’aspetto professionale. Secondo: la realizzazione è stata guidate dalla sensibilità, dal sentimento e dal cuore.”

Sull’adozione, Daniela e Giancarlo vorrebbero dire milioni di cose. Ridurre nelle poche righe di un’intervista

la loro esperienza non è possibile. Ma traspare il loro incontenibile l’entusiasmo. “L’adozione – dicono – è l’atto d’amore più grande che si possa immaginare, un atto d’amore di un essere umano nei confronti di un

altro essere umano, e nello specifico di un bambino. Se nel nostro caso fosse stata richiesta preventivamente la compilazione di un formulario circa le aspettative riguardanti nostro figlio, non avremmo mai potuto scrivere abbastanza rispetto a quello che il Buon Dio ci ha donato. Può sembrare una frase commerciale, ma secondo noi è estremamente coerente alla realtà. In particolare basti pensare che nello specifico, per l’Ucraina, non vi è alcun tipo di abbinamento con il bimbo o la bimba, a differenza della quasi totalità degli altri paesi.”

La docu-fiction è riuscita a rendere la gioia provata dai genitori nell’incontrare il loro nuovo figlio. Fin dalla sveglia,

c’è la magia di quei grandi occhi che ti guardano... poi di corsa la colazione e via, a scuola!

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E la vita, oggi, con Amina?

“È piena, frizzante, meravigliosa, inebriante. Un susseguirsi di emozioni, tutte grandi, grandissime. Già fin dal primo mattino, con il rito della “dolce sveglia”, vi è la magia, la meraviglia di quei due grandi occhioni che ti guardano. Due manine che ti si poggiano sul viso. Un sussurro, un bacino, via le coperte un balzo e hop… in braccio. Di corsa la colazione, il rito delle pulizie personali, di corsa i vestiti e via a scuola. Lei, Amina, è lì per mano con te e vola verso la scuola, leggera, sorridente, leggiadra, spensierata. Tu l’accompagni, le sei a fianco, ma non è vero, perchè una parte di te entra dentro di lei e con lei varca la soglia della sua aula per restarvi fino all’uscita, nel pomeriggio. La immagini, sorridi perchè lei sorride con i suoi compagni, ti impettisci perchè lei recita la poesia al cospetto della sua maestra, ti affanni perchè corre a mettersi in fila per andare in mensa, ti rattristi con lei poiché con i suoi occhi vedi nuovamente gli stessi piatti insipidi, smorti che ti sono stati propinati il giorno prima e poi quello prima ancora. Sorridi con lei sotto i baffi e pensi alla lauta merenda che ti aspetta arrivando a casa. Oh, no! Ti rabbui con lei nuovamente, perchè non ci sarà una lauta merenda, perchè bisogna correre alle lezioni di tennis, e poi di danza. Ma sì... chi se ne frega, tanto poi andiamo al porto, in riva al mare con il monopattino, la bici e ci mangiamo un gelato. Una buona merenda? La faremo nella nostra cascina in campagna, sabato e domenica. Cavolo! Oggi è gia giovedì? Yuhuu! Domani si parte! E poi c’è luglio che ormai è alle porte... Si parte per l’Elba, tutto il mese dalla Silvia! Ah, a settembre dalla Zia Waldrude in Val Pusteria. Trekking, funghi, boschi, folletti, gnomi, favole. Questa è la nostra grande

favola. La vita con nostra figlia Amina.”

Giancarlo e Daniela raccontano a ruota libera, sono un torrente in piena, parlano del contesto in cui vivono, complesso, difficile, qualche volta privo di sensibilità verso il “diverso” perché arroccato e geloso del

proprio contesto. Raccontano di questo popolo di mare, di questa terra che oggi non è così accogliente ma che un tempo lontano era abituata a vedere navi e merci transitare sul proprio mare. Raccontano di come,

una volta, il grano della più importante fabbrica di pasta provenisse proprio dalla terra di Amina, dall’Ucraina. Ma si illuminano quando invece pensano alle tante persone che hanno avuto la fortuna di incontrare, alle maestre di Amina, alle famiglie dei compagni e alle nuove relazioni che l’arrivo della piccola ha generato. L’inserimento di un figlio che arriva da lontano non è semplice, specialmente se, come in questo caso, si

L’adozione di un bambino - dicono - è il più grande atto di amore che si possa immaginare.

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nuovamente in pista alla ricerca di un fratellino o di una sorellina per Amina, che solo perchè previsto dalla Legge potrebbe essere più piccolo di età, ma non per nostra intima scelta.Vorremmo riflettere sul fatto che il volersi ostinare a perseguire il solo progetto dell’adozione di neonati o poco più costituisce, gioco forza, la quasi inevitabile privazione del diritto del bambino all’essere adottato, bambino che, non per sua colpa, si trova ad avere qualche anno in più. A nostro avviso, ancora una volta la risposta deve necessariamente essere “no”. Adottiamo anche e soprattutto bimbi un po’ più grandi. Quelli più piccoli, anche e soprattutto in virtù della loro tenera età, hanno più possibilità. Quelli più grandi si avvicinano sempre più pericolosamente all’adolescenza senza guida alcuna, e spesso raggiungono la maggiore età, con l’unica garanzia di essere nuovamente abbandonati dalle loro istituzioni e restituiti alla vorace “strada”, che nella quasi totalità ne farà dei pessimi adulti”. •

parla di un bambino un po’ più grande, ma loro vogliono sottolineare una cosa fondamentale:

“Amina è arrivata a nove anni. Certo, una grande ansia ti pervade quando apprendi che, in virtù della tua età, potrai solo attendere l’arrivo di un bimbo “grande”.

Ma, onestamente, quanto può essere realmente grande un bambino di nove, dieci anni? Quale computo metrico può dare la soluzione a questo matematico enigma? In realtà nessuno. Un bambino è un bambino. Punto.

Ora più che mai siamo felici di aver fatto sì che il cuore fosse l’unico dominatore del gioco. Di avere fatto sì che l’amore prevalesse su ogni altro pensiero. La cosa giusta è aprire la porta della nostra sensibilità ad un bambino che, a prescindere dalla sua etnia e dalla sua età, ha il sacrosanto diritto di essere amato e di avere una famiglia.Personalmente siamo più che felici di avere adottato una “bambina grande” e, molto onestamente, se avessimo le giuste dinamiche economiche, saremmo

L’inserimento di un figlio “grande” è difficile, ma quanto è grande un bambino di nove, dieci anni?

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La scuola rappresenta un momento fondamentale nella vita dei figli. È infatti il luogo dove i bambini

trascorrono una parte significativa del loro tempo, dove incontrano gli amici, dove imparano a rapportarsi agli altri, coetanei e adulti. In questo momento, in Italia, non esiste una legislazione specifica rispetto all’accoglienza

dei bambini adottati a scuola; esistono in alcuni casi protocolli regionali, ma ancora molto è affidato al buon senso delle singole persone, genitori, insegnanti, dirigenti.

La mancanza di un quadro specifico

in materia di adozione e scuola ha portato anche, per molto tempo, a confondere la situazione dei bambini

È nato lo Sportello Scuola, un nuovo servizio di consulenza online a disposizione di genitori e insegnanti, incentrato sull’inserimento dei bambini adottati a scuoladi Monica Nobile, responsabile dello Sportello Scuola - [email protected]

A scuola va male?Dillo... allo sportello

adottati internazionalmente con quella dei bambini figli di migranti. Nel primo caso si tratta di bambini che hanno vissuto l’abbandono, nel secondo sono bambini che hanno cambiato paese insieme alla propria famiglia originaria. È una differenza sostanziale.In questo panorama ancora molto confuso i genitori

adottivi, ma sempre più spesso anche gli insegnanti, chiedono aiuto e consulenza per accogliere adeguatamente in classe i bambini adottati.

Cifa riconosce l’importanza della questione e risponde

a questa necessità inaugurando un nuovo servizio online rivolto alle famiglie che abbiano adottato bambini inseriti nella scuola dell’infanzia, primaria e secondaria, nonché agli insegnanti che accolgono in classe questi bambini: lo sportello scuola. Insieme a Monica Nobile, ideatrice del servizio, spieghiamo più approfonditamente di che si tratta e come funziona.

Quali risorse mette a disposizione lo sportello?Attraverso lo sportello si cercherà innanzitutto

di mettere in circolo le buone pratiche. Nella sezione

Non c’è ancora una legislazione specifica, in Italia, su come accogliere i bambini adottati a scuola.

Cifa fornisce un nuovo servizio a tutte le famiglie i cui figli adottivi frequentano la scuola.

“Sono la mamma di due splendidi ragazzi adottati, il cui inserimento in famiglia è stato ottimo.

Per il maggiore ci sono stati alcuni problemi quando frequentava la prima media, fortunatamente sono stati risolti con l’aiuto della psicologa e affrontando i genitori di alcuni alunni, dopo aver appurato che erano legati a episodi di bullismo da parte dei compagni. Ora è tranquillo, ha amici e va bene a scuola. I problemi, adesso, sono iniziati con il minore, che ha avuto sempre qualche lieve difficoltà di apprendimento. Adesso frequenta anche lui la prima media e i problemi scolastici si sono moltiplicati, portandolo a rifiutare la scuola, a non scrivere i compiti, a strappare pagine dai quaderni, ad andare totalmente “in tilt” durante le interrogazioni...”

Il testo completo del quesito e la risposta dei nostri esperti su http://www.cifaong.it/sportello_scuola_servizio.php

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“documenti” si possono trovare progetti, iniziative e attività organizzate nei diversi territori per promuovere il benessere delle bambine e dei bambini adottati a scuola, attraverso percorsi formativi per insegnanti,

attività di supporto alla genitorialità, esperienze di condivisione e di amicizia tra bambini. Mettendo in rete le esperienze si vuole incoraggiare la diffusione di progettualità e attività finalizzate alla costruzione di

una cultura dell’adozione nel mondo della scuola.

Quale aiuto possono trovare i genitori?I genitori possono inviare una mail a operatori

esperti e chiedere consulenza rispetto a problemi specifici relativi alla frequenza scolastica dei propri figli. La mail verrà inoltrata all’operatore in forma privata. Poiché spesso si tratta di quesiti interessanti per molte altre coppie, il testo della mail e la risposta dell’esperto viene pubblicata, senza i riferimenti specifici al singolo

bambino del quale viene rispettata la privacy e l’anonimato.La sezione dedicata ai quesiti, dunque, ha come obiettivo quello di condividere e diffondere alcuni concetti importanti rispetto all’inserimento scolastico ma anche quello di valorizzare le idee, le soluzioni, i percorsi che i genitori stessi intraprendono e sperimentano per il benessere dei propri figli.

Come si può collaborare attivamente a questa iniziativa?

È importante che innanzitutto i genitori, ma anche gli insegnanti, scrivano e portino le loro esperienze e le loro riflessioni. In questo modo sarà possibile creare una circolazione di idee ed esperienze e dare risonanza e importanza a questo aspetto cruciale della vita delle bambine e dei bambini adottati. La speranza è quella di far emergere le criticità, le idee, le proposte. È importante, quando si creano situazioni problematiche, trovare una possibilità di confronto per poterle affrontare. La possibilità di prevenire disagi o problemi via via più seri e pesanti si traduce in maggiore possibilità di crescita serena dei bambini adottati e delle famiglie adottive. •

È importante che genitori e insegnanti si confrontino, per far circolare idee e buone pratiche.

Utilizzare concretamente lo sportello scuola è molto semplice. Basta recarsi sul sito web di Cifa

all’indirizzo www.cifaong.it, e accedere alla sezione “adozione internazionale”. Da qui, un sottomenu consente l’accesso alle pagine dedicate allo Sportello Scuola. Entrando nella pagina “quesiti” si possono leggere le domande di coloro che hanno già utilizzato il servizio, e cliccando su “sottoponi un nuovo quesito” si possono sottoporre le proprie ai nostri esperti.

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San José Obrero: dalla scuola... alla comunitàNelle periferia più povera di Lima, dove il sole e la polvere ti mozzano il fiato, c’è qualcuno che pensa al futuro dei bambini. E al loro diritto di essere istruiti.di Caterina Ghislandi, desk officer di Cifa - [email protected]

Per inaugurare la nuova edizione del nostro magazine, Cifa mi ha chiesto di scrivere un articolo

sul progetto “Scuola, lavoro, diritti” in Perù che, insieme all’associazione locale IFEJANT, promuoviamo dal 2007. Questo progetto interviene in 7 scuole del Paese, nelle Regioni di Cajamarca, Lima e Puno, e ha l’obiettivo di migliorare la situazione educativa, familiare e di salute dei bambini lavoratori che le frequentano.

L’intervento copre l’istruzione dei bambini ma anche l’accrescimento delle loro competenze organizzative

e lavorative, in modo che possano migliorare le proprie condizioni di vita e quelle dei loro cari. Cifa promuove così un processo di apprendimento e partecipazione attiva. Lavoriamo prevalentemente nelle scuole, con

i maestri e con i bambini, ma anche all’interno della comunità, per esempio con le famiglie, che vorremmo si interessassero sempre più del percorso scolastico e di vita dei loro bambini.

Credo che nessuno meglio di Edwin, Direttore della Scuola di San José Obrero (a Lima), ex bambino lavoratore, che ha dedicato e continua a dedicare la sua vita ai bambini della sua città, possa raccontare la realtà della scuola in Perù, dei bambini e delle bambine che ogni giorno la frequentano. E spiegare che cosa questo progetto, insieme al prezioso sostegno di tutti voi, contribuisca a fare giorno dopo giorno per i bambini. Vi lascio quindi alle sue semplici e coinvolgenti parole…

“L’educazione in Perù soffre di moltissimi problemi e di una serie di deficienze, causate

dalla struttura economica, sociale e politico-culturale del nostro paese. La scuola di San José Obrero non sfugge a questa realtà, visto che è una delle tante scuole pubbliche che si trovano all’interno di quel mastodontico gruppo di scuole marginali e dimenticate dallo Stato.Nonostante questo noi, che partecipiamo alla vita della scuola quotidianamente, stiamo cercando di promuovere una proposta educativa alternativa che, grazie alla partecipazione e al sostegno di associazioni amiche come Ifejant e Cifa, è basata sulla qualità educativa nel rispetto dei diritti umani.

Siamo coscienti che senza lo sforzo e il contributo di tutte le associazioni amiche non saremmo mai riusciti ad ottenere i risultati qualitativi e quantitativi che oggi abbiamo raggiunto.

Abbiamo iniziato con 17 bambini:

oggi ce ne sono 300. Le nostre aule erano di cartone e di legno: oggi sono di cemento. La mensa scolastica non funzionava perché mancava la materia prima: gli alimenti. Oggi offriamo un pasto caldo a tutti i bambini della scuola.

Parliamo di scuole pubbliche eppure situate in aree marginali, spesso dimenticate dallo Stato.

La proposta educativa di Ifejant è basata sulla qualità e sul rispetto dei diritti umani.

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Vittorio Villa e Marco Pastori, coordinatori di progetto de Il Sole Onlus e di Cifa Onlus. A lato: scatto di Marco Pastori a Ouagadogou, Burkina Faso, ottobre 2005. In basso: una ragazza nei quartieri alti di Ouagadogou.

Tutto ciò conferisce dignità ai bambini e alle bambine che vengono a studiare nella scuola di San Josè Obrero.Quello che ci differenzia è che noi maestri sappiamo che non si può insegnare ai bambini se questi hanno

fame o sono malati; per questo motivo San Josè Obrero non è solo una scuola, ma uno spazio di convivenza umana e comunitaria, dove si risponde a tutte le necessità che i bambini portano con sé. Per questo si interviene per

soddisfare i bisogni alimentari, per curare i problemi di salute e garantire così i bisogni primari dei bambini.

Educazione integrale significa da un lato uno sviluppo armonioso del bambino come individuo, nell’aspetto psicologico, fisico e rispettando ogni tappa della sua crescita, dall’altro significa prendersi cura della sua formazione intellettuale, morale, sentimentale affinché possa essere un membro attivo, responsabile e utile alla società… Ma non si tratta solo di questo, cosa potremmo fare noi maestri se non fossimo in grado di comprendere e affrontare queste tematiche con creatività e iniziativa? Per questo ci formiamo costantemente e studiamo. Perché in fondo non si smette mai di imparare e nemmeno di crescere”. •

A San José Obrero abbiamo iniziato con 17 bambini, oggi sono in 300 a studiare nella nostra scuola.

Nello sfondo: la periferia di Lima. In alto: il cortile della scuola di San José Obrero, durante di un’attività per gli studenti più piccoli. In basso: a lezione, in classe.

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La Cambogia... in festa A metà aprile, il popolo cambogiano festeggia per tre giorni il raccolto nei campi. E per i bambini sostenuti a distanza da Cifa, c’è anche qualche sorpresa in più...

Qualche numero relativo al Capodanno Khmer del 2011? Ecco tutti i regali di cui hanno beneficiato i bambini coinvolti nel programma SAD di Cifa in Cambogia: 5600 kg di riso, 415 kg di fagioli, 130 kg di carne o pesce, 80 pacchi di biscotti, 60 biciclette, 1 macchina da cucire, 10 mappamondi, 25 palloni, 73 kit scolastici, 30 corsi d’inglese, 55 dizionari, 50 kit da disegno, 118 capi d’abbigliamento, 125 gite.Vuoi saperne di più? Contattaci scrivendo a [email protected] o telefonando allo 011 5630441

In Cambogia si chiama Chaul Chnam Thmey, ma per tutti i nostri sostenitori è noto come il Capodanno

Khmer, festività che ricorre ogni anno a metà aprile seguendo il corso del calendario lunare, e che segna la fine della stagione della vendemmia. Fu una delle prime cerimonie soppresse durante il regime degli Khmer rossi ma oggi, sentita e celebrata più che mai, è tornata ad assumere un’importante valenza religiosa e civile: tre giorni di festeggiamenti impregnati di tradizione e simbolismo che il popolo cambogiano trascorre riposando dal duro lavoro nei campi.

Tradizionalmente il primo giorno, “Moha Sangkran”, è dedicato al pellegrinaggio alla pagoda, un momento di preghiera che prevede l’accensione di candele e bastoncini di incenso da deporre di fronte alla statua del Buddha e una visita al monaco con vari doni, ricevendo in cambio una speciale benedizione. Segue il “Wanabot”, giorno dedicato allo scambio dei doni tra amici e parenti. Le famiglie si ricongiungono e la maggior parte dei cambogiani si ritrova in strada per partecipare agli innumerevoli giochi tradizionali. E infine il “Leing Saak”, il giorno della memoria e della commemorazione dei propri defunti e allo stesso tempo di augurio rivolto, in particolare, ai membri più anziani della famiglia. In questa occasione si esprime rispetto e gratitudine e si chiede perdono per gli errori commessi.

Anche quest’anno, i sostenitori del Programma di Sostegno a Distanza in Cambogia hanno sfruttato l’occasione per rendere davvero speciali i festeggiamenti del Capodanno per i bambini sostenuti dai progetti di Cifa. Infatti, proprio grazie a loro, è stato possibile organizzare una grande raccolta di regali che ha permesso a tutti i bambini, compresi quelli ad oggi senza sostenitore, di sentirsi parte di un momento collettivo e gioioso, senza esclusi o dimenticati. Come è, da secoli, il Capodanno Khmer. •

di Laura Raimondi, ufficio SAD di Cifa - [email protected]

Nello sfondo: un momento di riflessione e sacralità. A destra: una bambina cambogiana beneficiaria del programma SAD, con i regali che ha ricevuto dai suoi sostenitori a Capodanno.

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Più+diritti è uno spazio comune, un luogo in cui dibattere, un incrocio di idee. Più+diritti è una piazza in cui si manifesta per proporre una nuova visione del mondo. Più+diritti è un approfondimento sui temi dei diritti umani e della

cittadinanza mondiale. Più+diritti è lo sguardo di una donna africana, di un bambino di strada sudamericano, di una ragazza asiatica palestinese. Più+diritti è una piccola officina per costruire una differente coscienza collettiva.

più+dirittiLibero confronto per una nuova cittadinanza mondiale

Dove va il terzo settore nell’epoca della crisi economica, dei moti di piazza Tahrir, dei nuovi

sbarchi dalla Libia e dei salvataggi alle banche? Ce lo rivela Francesco Petrelli, Presidente delle ONG italiane.

Piero Fassino, da poco eletto Sindaco di Torino, ha proposto di rendere la sua città... più bambina.

Ecco le sue proposte per far sì che anche i piccoli possano sentirsi, realmente, cittadini.

Impressioni dalla prima “induction session” della rete europea Eurochild: come le ong del continente

possono collaborare e autoformarsi per garantire, sempre meglio, che i bambini vivano nei loro diritti.

28più+d

Francesco Petrelli, attuale Presidente dell’Associazione ONG Italiane, eletto nel 2010.

Cosa significa e cosa comporta ricoprire la sua carica nell’anno 2011, in un contesto sociale e geopolitico come quello attuale?

R: Vuol dire raccogliere, da parte di tutte le organizzazioni non governative, il senso di questa

storia che non è finita nel 1989 e che non finisce tuttora. L’89, come molti di noi si ricordano, è stato la fine di una grande semplificazione, quella di un mondo diviso in due blocchi, e l’emergere di grandi, piccole e talvolta drammatiche contrapposizioni. Negli anni ‘90 si moltiplicano i conflitti locali e accadono fatti, nel cuore dell’Europa, che non avremmo più immaginato dopo la seconda guerra mondiale: pulizia etnica e campi di concentramento, come è accaduto nella ex Jugoslavia.Si è venuto a delineare un mondo complesso che ci pone grandi domande di libertà e di futuro, di

prospettive che cambiano. In meno di vent’anni sono mutati totalmente gli assetti di potere economici, sono comparsi sulla scena internazionale nuovi paesi, che tuttora chiamiamo emergenti ma che

in realtà sono già emersi, e che giocano e giocheranno un ruolo fondamentale come Cina, India, Brasile e Sudafrica.In questo quadro di complessità, gli squilibri non sono più dunque riassumibili nei termini Nord e Sud, né tantomeno in Est e Ovest. Bisogna invece riflettere su una divisione trasversale tra ricchezza e povertà, che tocca in qualche modo tutti i paesi del mondo. La povertà ha assunto con la globalizzazione un carattere per molti versi ageografico. Secondo studi recentissimi tre quarti dei poveri oggi vivono nei paesi a medio

Tagli alla cooperazione, medio oriente in fiamme, pensioni al minimo. E il “terzo settore” dove va? Ce lo dice Francesco Petrelli, Presidente dell’Associazione ONG italiane.di Daniele De Florio, addetto comunicazione e redattore web di Cifa - [email protected]

La storia non è finita... e le ong?

reddito. Oggi c’è una questione sociale globale, di cui la lotta contro la povertà e la domanda di democrazia sono componenti importanti, che se non verranno risolte rischiano di innescare la catastrofe più grave del nostro tempo.

D: Petrelli, lei pensa che chi opera nelle ONG voglia “salvare il mondo”, come a volte si sente dire da

detrattori e non solo?

R: Noi vogliamo salvarci come il resto del mondo. Affermando il principio realista, di buon senso

e pragmatico che nessuno, in questo mondo complesso, si salva da solo. E i valori su cui operano le ONG sono essenziali per “salvarci” insieme.Come tutti ci ripetono, dagli scienziati più illustri ai rapporti come

quello del WWF, l’attività umana sta consumando ben più risorse di quelle che il pianeta riesce a produrre. Per questo motivo, non dobbiamo solo pensare, per quanto questo resti un elemento fondamentale, a quanto ammonti l’aiuto pubblico che viene destinato a progetti di cooperazione nel mondo, ma anche a come le nostre scelte di politica interna incidano sugli equilibri del mondo e dei paesi in cui operiamo. Le nostre scelte sul modello energetico da seguire, sul modello migliore per i trasporti pubblici, sulle politiche industriali, sulla gestione del nostro patrimonio artistico e paesaggistico sono strettamente legate alle tematiche della lotta alla povertà, al miliardo e 400mila persone che vivono con 1,25 dollari al giorno: non potrebbe essere altrimenti, in un mondo così profondamente interconnesso.

D: Restiamo in Italia. Lei si è espresso, di recente, sui tagli che il Ministero degli Esteri ha effettuato

alla cooperazione italiana. Il suo intervento ha voluto

È in atto una questione sociale globale, di cui la lotta alla povertà è una delle componenti.

Gli operatori delle ong vogliono salvare il mondo? In realtà, bisogna salvarsi come il resto del mondo.

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Sopra: Francesco Petrelli al summit G8 a L’Aquila, nel 2009. Alla pagina seguente: una bambina egiziana in piazza Tahrir durante la rivolta della primavera 2011 (foto di Maggie Osama).

2015, niente scuse. Questo lo slogan della Campagna del Millennio, un impegno

senza precedenti assunto dalle Nazioni Unite per ridurre la povertà globale attraverso azioni e obiettivi concreti. E l’italia? In prima linea negli aiuti ai paesi in via di sviluppo... a parole. Sul sito della Campagna, il nostro paese viene definito “maglia nera degli aiuti”: stando ai dati dell’OCSE, infatti, gli aiuti italiani alla cooperazione sarebbero scesi dallo 0,16% allo 0,15% del PIL. Meno della Grecia.E ancora: “L’Italia è dunque il principale responsabile dell’affondamento della credibilita europea per la cooperazione allo sviluppo”. Ci sono scuse?

www.campagnadelmillennio.it

essere un campanello d’allarme o la segnalazione di una vera emergenza?

R: Io penso che questa sia un’emergenza di carattere politico che, peraltro, riguarda non solo

principi e valori che noi riteniamo fondamentali ma va a toccare gli interessi del nostro paese. E ribadisco che qui non si parla di riduzione, ma di vera dismissione dei fondi italiani destinati alla cooperazione: dai dati OCSE resi disponibili ad aprile, l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi

europei per aiuti allo sviluppo, in coda persino al Portogallo e alla Grecia della crisi economica. Il punto è che la politica di cooperazione delle ONG è uno dei modi con cui si afferma la presenza, il ruolo e l’interesse del nostro paese in varie parti del mondo. La cooperazione è parte integrante della nostra politica estera, e la sua dismissione pregiudica il modo in cui il nostro paese viene collocato nel mondo: denota una mancanza di visione politica e ci porta in un vicolo cieco. Oltre, naturalmente, a mettere in discussione i valori di solidarietà e di partnership che caratterizzano il nostro paese e le ong stesse.

D: In un contesto complessivo di crisi, i tagli alla cooperazione non potrebbero essere considerati

un male necessario?

R: È una domanda legittima, con cui bisogna fare i conti quando si va a parlare negli ambienti

più diversi, anche quelli maggiormente aperti alla solidarietà. Io tornerei alla questione del “salvarci insieme” di cui abbiamo parlato prima. In questo mondo, dover scegliere tra il migliorare le condizioni del pensionato a 500 euro al mese, aiutare la generazione

del “lavoro, mai” e destinare fondi alla cooperazione allo sviluppo è una scelta falsa. Il problema è solamente di agenda e di volontà politica. Un esempio più chiaro: diciamo che non abbiamo risorse per realizzare gli obiettivi

del millennio entro il 2015, ovvero circa 120, 130 miliardi di dollari all’anno. Eppure abbiamo speso migliaia di miliardi per salvare le banche in pochi giorni, forse addirittura in poche ore! Non ha senso, dunque, affermare che l’aumento delle pensioni minime o che le politiche sociali siano in altetrnativa alla cooperazione internazionale. Anche perché, ragionando in un’ottica di nuovo welfare, opportunità e uguaglianze, non ci sono differenze (e quindi alternative) fra l’anziano indigente, il giovane precario, l’immigrato e la persona che vive aldilà del Mediterraneo.

D: Parliamo appunto di Mediterraneo: crisi libica e mediorientale. Non pensa che l’Italia, ponte

naturale sul mediterraneo, dovrebbe e potrebbe avere un ruolo importante in questa circostanza?

In un contesto di crisi economica, i tagli alla cooperazionepossono essere un male necessario?

Non abbiamo risorse per gli obiettivi del millennio... ma salviamo banche in pochi giorni.

30più+d

R: Come premessa vorrei ricordare che gli anni 2000 vanno ricordati per un’operazione importantissima

compiuta dall’Unione Europea: l’allargamento e l’integrazione di nuovi paesi, fino ai confini del’ex URSS. L’integrazione è un antidoto vero contro i rischi di instabilità e di crisi. Ecco, io penso che questo tipo di integrazione si sarebbe dovuta in qualche modo replicare come una grande possibilità rivolta alla sponda Sud del Mediterraneo.Sulla questione del rapporto con i paesi arabi, che oggi sono attraversati da sommovimenti democratici, c’è stata invece una mancanza di visione politica,

l’incapacità di cogliere una grande opportunità e il tradimento di una grande aspettativa nei nostri confronti. Egitto e Tunisia, per esempio, sono paesi di giovani, con un’età media della popolazione di circa 25 anni,

con grandi aspettative verso Italia e UE, che non possono essere costantemente deluse. In questo caso, l’Europa ha ereditato lo stesso atteggiamento nei confronti dello straniero che l’Italia ha avuto durante questi anni. E aggiungo un appunto: Tahar Ben Jelloun ha appena scritto una sintesi di come i timori del fondamentalismo islamista in Egitto fossero delle ombre cinesi, agutate per giustificare il potere di dittatori sanguinari.

D: Ha parlato di allargamento della UE… E allora cosa ne pensa della Turchia nella UE? Sì o no?

R: Direi… assolutamente sì. Ma vorrei spingermi verso forme di integrazione anche più audaci…

D: Quindi puntiamo alla Libia e alla Tunisia nell’Unione Europea? Slancio deciso verso il sud

Mediterraneo?

R: Non vorrei sbilanciarmi troppo… Per la Turchia sarei propenso a forme di integrazione effettuate

con un passo veloce. Per il Mediterraneo penserei a un’integrazione progressiva, partendo peraltro da quel Processo di Barcellona che fu teorizzato ma non implementato. Occorrerebbe procedere verso questa integrazione e farlo presto. Ci stiamo giocando una partita fondamentale per il futuro di tutti, le opportunità che si sono aperte non dureranno a lungo, senza un’ azione politica efficace.

D: Come vede evolvere la cooperazione nei prossimi vent’anni? E quella delle ong italiane, in

particolare?

R: Vent’anni… Penso che, nel 2030, avremo portato una soluzione per alcuni dei nodi che abbiamo

trattato, oppure ne avremo pagato le conseguenze. Sono questioni che riguardano la nostra generazione e quella dei nostri figli, non certo i nostri nipoti o bisnipoti. Penso che le ONG saranno molto diverse da oggi, saranno grandi reti di cittadini che agiranno insieme per salvaguardare il patrimonio umano e del pianeta. Saranno più “orizzontali” e avranno fatto esplorazioni e sperimentazioni molto audaci. Saranno, ancora più di oggi, interlocutrici dei governi per gestire la complessità delle questioni mondiali già oggi delineate. Altrimenti saranno i problemi a prendere il sopravvento, e a ricaderci pesantemente addosso. •

Fra vent’anni avremo trovato soluzioni ad alcuni nodi importanti. O ne pagheremo le conseguenze.

31diritti

Bambini e adolescenti hanno trovato spazio nel programma elettorale di Piero Fassino,

recentemente eletto Sindaco di Torino. In che modo? L’abbiamo chiesto direttamente a lui.

Come ho avuto modo di dire in alcune occasioni recenti, prendendo a prestito un’affermazione del

padre della neuropsichiatria infantile italiana, Giovanni Bollea, con cui ho avuto un intenso rapporto di amicizia, credo che un bambino sereno sarà un adulto felice. E’ guardando in questa direzione che ho pensato ad un programma di lavoro che abbia una rafforzata

attenzione per i cittadini più piccoli. Ho proposto l’istituzione di un Garante per i diritti dei minori, una figura politicamente indipendente e autorevole che funga da raccordo tra l’istituzione e il mondo che, a vario

titolo, si occupa di infanzia e che possa coordinare le varie iniziative che esistono sul territorio. Una figura che operi in trasparenza e sia anche in grado di occuparsi delle cosiddette buone pratiche, che già esistono e vanno incrementate. Torino sarà la prima città ad istituirlo perché vuole essere sempre di più una città amica delle bambine e dei bambini...”

D: Come dovrebbe essere una città pensata interamente per i bambini?

R: A misura di “piccoli”. I bambini sono cittadini a tutti gli effetti, minori per età ma con gli stessi

diritti degli altri, e forse anche con qualcuno in più. La Città ha il dovere di tenerne conto e di porsi domande sul loro effettivo benessere: locali attrezzati con fasciatoi e supporti utili alla primissima infanzia, parchi attrezzati, piste ciclabili protette, cortili accessibili. Come linea generale di lavoro, quella che si ponga il

Piero Fassino, neoeletto Sindaco di Torino, ci racconta il suo progetto di un ambiente urbano più vivibile per bambini e ragazzi. Con un Garante dedicato.di Elena Volponi, addetto stampa di Cifa

Volere Torino a misura di bambino

problema della vivibilità della città e della fruibilità di tutte le sue funzioni anche per i bambini. Possiamo arrivarci, Torino è già molto virtuosa in questo settore: credo sia sufficiente dire, per esemplificare, che il 94% delle famiglie con figli fra i tre e i sei anni che ha fatto richiesta di inserimento all’asilo ha avuto una risposta positiva. Questa è la strada maestra: alzare il livello

Piero Fassino, Sindaco della città di Torino.

Torino avrà un garante dei minori, figura di raccordo tra le istituzioni e il mondo che si occupa d’infanzia.

32più+d

dell’offerta per evitare le tensioni sociali e offrire ai bambini un’alta qualità di servizi.

D: Quali politiche familiari intende mettere in atto contro la crisi, se è parte del programma?

R: Uno dei grandi problemi contemporanei è quello di conciliare le esigenze dei piccoli con le esigenze

degli anziani. La popolazione invecchia, la fascia di età che produce reddito deve farsi carico del lavoro di cura degli anziani e dell’educazione dei piccoli. La vita è cambiata e la società anche e lo si vede ancor di più in momenti come questi in cui le famiglie disagiate,

numerose, quelle che hanno problemi di cura con persone anziane o disabili, soffrono più di altre la crisi. Penso che uno dei modi per affrontare questa situazione sia quello di istituire il “fattore famiglia”, un nuovo parametro che tenga conto della situazione reale di numerosità e condizioni materiali, e in generale delle diverse criticità per modulare tariffe e agevolazioni in base a un parametro di equità e di solidarietà.

D: Si parla molto delle classi multietniche nelle scuole torinesi. Secondo lei, costituiscono

un’opportunità o un ostacolo alla crescita scolastica?

R: Un’opportunità, senza dubbio. La diversità è sempre una ricchezza, che bisogna saper

valorizzare. Torino è città tradizionalmente inclusiva, che è stata capace di accogliere la grande ondata migratoria interna degli anni ’60 e la prima grande ondata di stranieri, negli anni ’80. Dal melting pot culturale che si è creato in quelle successive fasi

storiche è derivata, in parte, la città che viviamo oggi, attrattiva e già multietnica. Allevare una generazione abituata alle differenze significa avere degli adulti aperti, capaci di confrontarsi col mondo e di avere una prospettiva internazionale. Non dobbiamo però trascurare che la scuola deve anche aggiornare i suoi programmi che oggi sono, nella quasi totalità dei casi, basati sulla storia, sull’economia e sulla geografia dell’Europa continentale, mentre per una vera scuola multietnica è indispensabile considerare un’educazione che si basi sulla migrazione e sugli spostamenti che la cultura ha fatto nel corso dei secoli, e continua a fare, attraverso i continenti.

D: Dopo la sua elezione, qual è la prima cosa che intende fare per l’infanzia a Torino?

R: Nominare un Garante per i diritti dei minori, dotando Torino, che sarebbe la prima grande città

ad averlo, di uno strumento nuovo per la tutela dei più piccini... •

Occorre concililare le esigenze dei piccoli con quelle degli anziani: per esempio con un “fattore famiglia”.

Più garanzie per i bambini italiani. Lo scorso mese di giugno il Senato ha approvato

all’unanimità la legge che istituisce l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, “mettendosi al passo dei paesi più evoluti del mondo in materia dei diritti dell’infanzia”.

Il Garante, nominato ogni 4 anni, dà attuazione all’articolo 31 della Costituzione, agevolando “la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.

www.governo.it

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Eurochild è una rete che raccoglie 135 organizzazioni da 35 Paesi Europei, impegnate in attività insieme

e a favore dei bambini. La sua missione è promuovere i diritti ed il benessere del bambino in Europa influenzando le politiche a livello europeo e nazionale, aiutando ad elaborare nuove buone pratiche e conoscenza, aumentando l’awareness, e promuovendo la partecipazione dei bambini e dei giovani. Eurochild lavora applicando i principi espressi nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo (UNCRC), focalizzandosi in particolare sulla lotta contro la povertà infantile e l’esclusione sociale dei bambini e degli adolescenti.

La forza di questa rete sta nel fornire una serie di servizi ai suoi associati, grazie allo scambio di buone prassi da realtà più strutturate e provenienti da paesi che hanno una forte cultura dei diritti dell’infanzia a realtà provenienti

da paesi di recente adesione all’Unione Europea, tradizionalmente meno attenti a questi temi. Nel 2011, un elemento di forte novità per Eurochild è stato l’introduzione della cosiddetta Induction session, una giornata di studi con l’obiettivo di fornire a tutti i membri della rete le medesime conoscenze, per poter poi sfruttare a pieno tutte le opportunità offerte dalla stessa Eurochild.

La session si è svolta lo scorso 23 giugno 2011 e ha visto la partecipazione di numerosi esperti e di differenti nazionalità. Capire come il piano strategico di Eurochild si collochi nello scenario europeo e nazionale dei singoli paesi ha sicuramente un valore aggiunto per capire in che modo l’Unione Europea ha intenzione di difendere i diritti dei più piccoli nelle situazione di maggiore vulnerabilità (per esempio durante l’attuale

Eurochild: una rete di associazioni europee che si scambiano buone pratiche per tutelare meglio i bambini e i loro diritti. A “casa nostra”. di Beatrice Gemma, networking officer di Cifa - [email protected]

Vecchio continente. Ma non troppo.

crisi economica) e come si possa ancora immaginare e progettare il futuro per le prossime generazioni in Europa. A tutte queste domande si è cercato di dare una risposta insieme, ricordando che essere una rete significa anche investire sulla propria formazione, per

essere più capaci di far sentire la propria voce a livello regionale, nazionale ed europeo.

Uno dei primi interventi della sessione ha portato la firma di Piotr Maciej Kaczyński, del Centro Studi per le

Politiche Europee, ed ha consentito a tutti i partecipanti di familiarizzare con il funzionamento delle istituzioni e dei processi decisionali dell’Unione Europea. A seguire alcuni membri dello staff di Eurochild, Marie Dubit e

Investire sulla formazione serve a far sentire di più la propria voce a livello locale e nazionale.

Uno dei punti di forza di Eurochild sta nello scambio di buone prassi tra tutte le realtà associate.

Assemblea plenaria di Eurochild, 23 giugno 2011.

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Björn Becker, hanno illustrato le diverse opportunità che Eurochild offre ai propri soci, in particolare dal punto di vista dei servizi, del reperimento di materiale, degli strumenti e degli spazi di partecipazione riservati ad ogni socio. Il tutto per permettere di sviluppare collaborazioni da parte delle organizzazioni membri di Eurochild.

Si è ricordato che le istituzioni che possono essere coinvolte nella lotta per i diritti dei bambini sono molte e su più livelli, partendo dal contesto locale e

arrivando all’Agenzia europea dei diritti fondamentali al Consiglio d’Europa di Strasburgo, passando per i singoli Stati e i deputati nel Parlamento Europeo. Oltre che a livello di advocacy istituzionale, i diritti

dei bambini possono e devono anche essere proposti all’opinione pubblica attraverso campagne globali come quella intitolata “Against child poverty” condotta nel 2010 e i cui risultati erano stati presentati allo stesso Presidente Barroso.

Un interessante quadro dei principali avvenimenti relativi ai diritti dei bambini nel contesto europeo è stato poi disegnato da Jana Hainsworth, segretaria generale di Eurochild. A questo proposito si è fatto cenno ad un altro organismo europeo, la Fundamental

Rights Agency (FRA), con cui aprire collaborazioni attive per far applicare i diritti umani fondamentali (e quelli dei bambini) nelle normative europee, e per elaborare degli indicatori specifici che misurino l’impatto di tali normative.

Ad un livello più tecnico, ma non per questo meno interessante, si è ampiamente dibattuto, infine, sul nuovo sistema di piani nazionali proposto dall’Unione Europea, nonché sulla revisione degli stessi. In sintesi, nonostante tali piani siano divenuti obbligatori per ogni singolo Stato, e nonostante il loro peso nel delineare le politiche sociali di un paese sia notevole, sono state pochissime le ONG europee a venir coinvolte nella revisione e nell’arricchimento degli stessi. Un dato allarmante per le organizzazioni non governative, poiché si è rimarcato un deficit di discussione pubblica (e quindi di democrazia) in un procedimento da cui dipendono le risorse che ogni Stato, Italia compresa, potrà dedicare al sociale, e quindi all’infanzia. Ennesima dimostrazione di come le scelte compiute (o non compiute) a livello europeo si riflettano direttamente sulla vita quotidiana di milioni di individui e di bambini, in meglio o in peggio.

Dimostrazione, inoltre, del grande lavoro di advocacy a cui Eurochild si sta preparando per i prossimi mesi e anni, formandosi adeguatamente in giornate come lo scorso 23 giugno. Il prossimo appuntamento per i membri della rete? 30 novembre a Cardiff, Inghilterra. Il tema? Molto concreto, nonché specchio dei tempi che corrono: “Affrontare la povertà infantile supportando e rafforzando le famiglie”. •

Le ong europee sono state scarsamente coinvolte nella revisione dei nuovi piani nazionali.

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Aiutaci a rendere l’Enkutatash un giorno ancora più bello per i tanti bambini che aiutiamo in Etiopia! Aderisci al Capodanno Etiope 2011 e scegli, sulla scheda in quarta di copertina, tutti i regali che desideri. Contattaci scrivendo a [email protected] o telefonando allo 011 5630441

Gioielli di primaveraSono le gemme donate alla mitica regina di Saba a dare il nome alla festa più importante d’Etiopia. Festa in cui ogni bambino ha diritto... a ricevere un dono!

In Etiopia, è in uso il cosiddetto Calendario Ge’ez, basato sul più antico Calendario Copto, in cui ogni

anno conta 12 mesi di 30 giorni più 5 o 6 giorni di differenza, che sono compresi in un tredicesimo mese. Il primo mese dell’anno etiope, Meskerem, a cavallo tra i nostri settembre e ottobre, inizia in corrispondenza dell’11 settembre. Meskerem è visto come un mese di transizione dal vecchio anno al nuovo. E ‘un momento per esprimere speranze e sogni per il futuro. Per 3 giorni i suoni di salmi, sermoni, preghiere e inni possono essere ascoltati durante processioni colorate che danno il benvenuto al nuovo anno.

La festa si chiama Enkutatash; rappresenta la fine della stagione delle piogge in Etiopia, non è solo una festa religiosa, ma anche un’occasione per ragazzi e ragazze di cantare e ballare, nonché lo scambio di auguri di buon

anno tra gli abitanti urbani e rurali. Un’occasione per riunire le famiglie e per incontrare gli amici, ma anche un momento in cui gruppi di ragazze vanno di casa in casa a intonare canti tipici. Enkutatash è un festival importante nella vita degli etiopi, dopo tre mesi di forti piogge esce il sole creando una bella

atmosfera chiara e fresca. I campi dell’altopiano Etiope sembrano trasformarsi in oro, poiché è la stagione in cui sbocciano le margherite Meskal.La leggenda narra che quando Makeda, la regina di Saba, tornò in Etiopia dopo la sua famosa visita al re Salomone, egli la accogliesse dandole in dono i suoi “Enku” o gioielli. Enkutatash che significa “dono di gioielli” ‘è stata celebrata da allora in primavera.

Alla vigilia di Capodanno, si piantano davanti alle case, delle fiaccole di foglie secche e legno che vengono date alle fiamme per illuminare il canto di grandi e piccini. La mattina presto le famiglie vanno in chiesa indossando abiti tradizionali etiopi. Dopo la Chiesa vi è il pranzo in famiglia di Injera (pane piatto) e Wat (stufato). Le ragazze vanno di casa in casa cantando canzoni di Capodanno e i ragazzi vendono i propri disegni lungo le strade della città. In serata le famiglie si recano a visitare gli amici e a bere la birra tradizionale etiope, Tella. Mentre gli anziani discutono sulle loro speranze per il nuovo anno i bambini vanno a spendere i soldi che hanno ricevuto in dono. Il popolo etiope crede che il nuovo anno porterà nuove cose ed è un giorno di felicità e risate. Cifa, vuole renderlo tale per tutti i bambini del programma di Sostegno; dallo scorso anno, grazie ai suoi sostenitori, partecipa al nuovo anno etiope facendo un regalo ai bambini del programma di Sostegno a Distanza. •

di Kumari Bosini, ufficio SAD di Cifa - [email protected]

Le ragazze vanno di casa in casa cantando canzoni, e i ragazzi vendono i propri disegni per strada.

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Anch’io voglio fare un regalo molto speciale a un bambino, in occasione del Capodanno Etiope.Cognome ................................................................................... Nome ..........................................................................................Indirizzo ............................................................................................................................................................................................ Telefono .................................................................................... E-mail ......................................................................................... Prezzo unità Quantità Importo

Aiuto ai bambino senza sostenitore (Donazione libera) ............. € .......... ............... € Materiale scolastico 5,5 € .......... ............... € Uniforme scolastica 9 € .......... ............... € Scarpe 8 € .......... ............... € Zainetto 4 € .......... ............... € Giochi Orsetto peluche Bambola Automobilina 10 € .......... ............... € Teff (Cereale per la preparazione di piatti tipici), 25 kg 15 € .......... ............... € Olio, 5 litri 10 € .......... ............... €

Totale ............... €Effettuo il versamento dell’importo di Euro .................................................................................................. a mezzo:

Versamento su C/C Postale n. 50829423 Bonifico: IBAN IT 84 U 07601 10300 000050829423Importante: come causale di versamento scrivere “Capodanno Etiope 2011”.

La presente scheda, compilata in ogni parte e firmata, con allegata copia della ricevuta del versamento o del bonifico, deve essere inviata via fax al numero 011.4338029, via e-mail all’indirizzo [email protected] o a mezzo posta a: CIFA Onlus, programma SAD, Via Ugo Foscolo 3, 10126 Torino. Il termine ultimo per inviare questa documentazione è il 30 settembre 2011, per consentirci di procurare per tempo i regali a tutti i bambini coinvolti.

Informativa ai sensi dell’ art. 13, d.lgs. 196/2003 (privacy). Autorizzo il trattamento dei dati da parte di CIFA Onlus, Via Ugo Foscolo, 3 10126 Torino, per le operazioni connesse alla donazione, per informare su iniziative e progetti realizzati anche grazie al contributo erogato e per inviare il materiale informativo riservato ai sostenitori e per campagne di raccolta fondi. si no

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L’anno scorso, nel giorno dell’Enkutatash, mi sono divertita molto. Con i vicini del quartiere abbiamo

preparato torce e fiaccole, che abbiamo acceso quando sono iniziati i canti e i balli. Abbiamo benedetto la casa con erba fresca e poi abbiamo mangiato l’Injera. E poi... sorpresa! Non mi aspettavo di ricevere regali, anche se è normale riceverne per l’Enkutatash, perchè la mia famiglia è molto povera. E invece... una cartella nuova per andare a scuola, tanti quaderni e una bambola! Non sapevo a chi dire grazie, e una signora mi ha detto che questi regali me li ha fatti una famiglia che vive tanto tanto lontano... Chissà perchè proprio a me? Vorrei che il prossimo Enkutatash fossero qui ad Addis Abeba anche loro, per vedere come sono fatti e ringraziarli!Scopri che cos’è l’Enkutatash a pag. 35

Per il mio Enkutatash...