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Bimestrale dell’UAAR n. 5/2012 (84) 4,00 ISSN 1129-566X ALTRI ATEISMI UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti Bimestrale – Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Firenze n. 5/2012 (84)

5 n Bimestraledell’UAAR n.5/2012(84) 4,00 · 4 n. 5/2012 (84) ALTRI ATEISMI Lareligionemusulmanaèspessode-scrittanellaletteraturaspecificaean - coradipiùsuimezzidicomunicazione

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Bimestrale dell’UAARn. 5/2012 (84)€ 4,00

ISSN 1129-566X

ALTRI ATEISMIUAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici RazionalistiB

imestrale–PosteItalianes.p.a.–SpedizioneinAbbonamentoPostale–D.L.353/2003(conv.inL.27/02/2004n°46)art.1,comma2,DCBFirenze

n.5/2012

(84)

2 n. 5/2012 (84)

“L’ATEO” È IN VENDITA

FeltrinelliAncona: Corso Garibaldi 35Bari: Via Melo da Bari 119Bologna: Piazza Ravegnana 1Brescia: Corso Zanardelli 3Catania: Via Etnea 283-287Ferrara: Via Garibaldi 30/aFirenze: Via de’ Cerretani 30-32/RGenova: Via Ceccardi 16-24/RMacerata: Corso della Repubblica 4-6Milano: Via Foscolo 1-3; Via Manzoni 12Modena: Via Cesare Battisti 17Napoli: varco Corso A. Lucci (int. Stazio-

ne F.S.); Via Cappella Vecchia 3 (piano–2); Via T. d’Aquino 70

Padova: Via S. Francesco 7Parma: Via della Repubblica 2Pavia: Via XX Settembre 21Perugia: Corso Vannucci 78/82Pisa: Corso Italia 50Ravenna: Via IV Novembre 7Roma: Via V.E. Orlando 78-81; Largo di

Torre Argentina 5-10Siena: Via Banchi di Sopra 64-66Torino: Piazza Castello 19Verona: Via 4 Spade 2

RinascitaEmpoli (Firenze): Via Ridolfi 53Roma: Largo Agosta 36

Altre librerieBergamo: Libreria Fassi, Largo Rezzara 4-6Bolzano: Libreria Mardi Gras, Via Andreas

Hofer 4Campi Bisenzio (Firenze), Edicola-Libreria

c/o Centro commerciale “I Gigli”, Via S.Quirico 165

Cavezzo (Modena), Libreria “Il tempo ri-trovato”, Via Cavour 396, fraz. PonteMotta

Cosenza: Libreria Ubik, Via Galliano 4Cossato (Biella): La Stampa Edicola, Via

Mazzini 77Ferrara: Libreria Mel Bookstore, Piazza

Trento/Trieste (pal. S. Crispino)Firenze: Libreriacafé “La Cité”, Borgo S.

Frediano 20/R; Libreria Cuculia, Viadei Serragli 1-3/R

Foggia: Libreria Ubik, Piazza Giordano 76Genova: Assolibro, Via San Luca 58/R; Li-

breria Buenos Aires, Corso Buenos Ai-res 5/R; Libreria Finisterre, Piazza Truo-goli di Santa Brigida 25

Lecce: Samarcanda libri e caffè, Via LiborioRomano 23; Libreria Officine Culturali,Via Palmieri/Falconieri

Livorno: Libreria Gaia Scienza, Via DiFranco 2

Martano (Lecce): Atahualpa, Via SalvatoreTronchese 32

Milano: Libreria Popolare, Via Tadino 18Nettuno (Roma): Progetto Nuove Let-

ture, P/le IX Settembre 8Novara: Libreria Lazzarelli, Via Fratelli Ros-

selli 45Pescara: Libreria dell’Università – Eredi

Cornacchia, Viale Pindaro 51Pisa: Libreria “Tra le righe”, Via Corsica 8Porto Sant’Elpidio (Fermo): Libreria “Il gat-

to con gli stivali”, Via C. Battisti 50Ragusa: Società dei Libertari, Via G.B.

OdiernaReggio Emilia: Libreria del Teatro, Via Cri-

spi 6; Associazione Mag 6, Via Vincen-zi 13/a

Roma: Libreria “Odradek”, Via dei BanchiVecchi 57; Antica Libreria Croce, CorsoVittorio Emanuele II 156/158

Rovigo: Libreria Pavenello Giampietro,Piazza Vittorio Emanuele II 2

Salerno: Edicola Elia (c/o Stazione F.S.),Piazza Vittorio Veneto

Taglio di Po (Rovigo): Libreria Fioravanti,Piazza IV Novembre 10

Torino: Libreria “Linea 451”, Via S. Giulia40/a; Libreria Comunardi, Via Bogino 2

Trento: La Rivisteria, Via S. Vigilio 23Udine: Libreria Tarantola, Via Vittorio

Veneto 20Vicenza: Galla Libreria, Corso Palladio 11Vittorio Veneto (Treviso), Libreria Fenice,

Viale della Vittoria 79Viterbo: Libreria dei Salici, Via Cairoli 35;

Etruria Libri, Via Cavour 34

L’ATEO n. 5/2012 (84)ISSN 1129-566X

EDITOREUAAR – Via Ostiense 89

00154 RomaTel. 065757611 – Fax 0657103987

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REDATTORE CAPOBaldo Conti

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GRAFICA E IMPAGINAZIONEEdizioni Polistampa

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STAMPATOSettembre 2012 – Polistampa s.n.c.Via Livorno 8/32 – 50142 Firenze

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Andrea [email protected]

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NORME REDAZIONALI

Gli articoli inviati a L’Ateo devonoavere le seguenti caratteristiche:• battute comprese fra le 6.000

e le 18.000 (spazi inclusi);• indicare i numeri delle eventuali

note in parentesi quadre, nelcorpo del testo e in cifre arabe,riunendole tutte a fine articolo(cioè non utilizzare la funzionenote a piè pagina di Word, mafarle a mano);

• citazioni preferibilmente in linguaitaliana, se straniera tradotte innota;

• qualche riga di notizie biografichesull’autore a fine articolo.

L’ARCHIVIO DE “L’ATEO”È ORA ON LINE

Sono liberamente scaricabili dal sitoUAAR (www.uaar.it/uaar/ateo/archivio/) tutti i numeri de L’Ateofino al 2008. Ogni numero è un PDFdella dimensione di 600 Kb-2 Mb equindi può essere necessario pazi-entare per il download.

In copertina: Maurizio Di Bona (www.thehand.it)Nell’interno vignette di: pag. 3: da un’idea di Giuseppe Ugolini; pag. 5, 9, 13: Dan Piraro (dahttp://bizarrocomics.com/); pag. 14, 18, 33, 38: fonte ignota; pag. 17: © Chappatte (dahttp://www.globecartoon.com/); pag. 20: Roberto Mangosi (da http://www.enteroclisma.blogspot.it/); pag. 22: Mario Piccolo; pag. 27: Vukic (da http://vukicblog.blogspot.it/); pag. 28: Giancarlo Colombo; pag. 35: Fabio “Fifo” Pecorari (da http://votafifo.blogspot.it/); pag. 37: Andrés Diplotti (http://www.lapulgasnob.com/).

Cari lettori,

Credetemi (razza di miscredenti!): noidella redazione de L’Ateo facciamo ditutto per accontentarvi – ma non sem-pre è facile. Guardate la faccenda dellevignette, che imperversa da anni e chetorna ancora in questo numero nella ru-brica delle Lettere. Avete gusti e opi-nioni diverse: qualcuno le gradisce,qualcuno si infastidisce. Noi continuia-mo a pubblicarle, per tradizione (L’A-teo le ha ospitate fin dal numero 0), per-ché rappresentano un prezioso jolly perl’impaginazione, e poi – diciamola tut-ta – perché a me piacciono. Dovrò purcavare qualche soddisfazione dal fattodi dirigere questa rivista! Dovete rico-noscere, però, che ho sempre dato tut-to lo spazio possibile ai dissenzienti.

E guardate questo numero: viene in-contro alla richiesta di alcuni lettori mane scontenterà probabilmente altri.Cerco di spiegarvi perché: magari tro-viamo insieme una soluzione.

Alcuni lettori ci rivolgono da tempo unacritica assai fondata: ci occupiamo trop-po della religione e della chiesa di casanostra, troppo poco di altre religioni e dialtre chiese. Abbiamo perciò cercato dicolmare la lacuna affrontando il tema AL-TRI ATEISMI, con l’intento di conosce-re meglio la posizione dei non credentiin contesti culturali e politici diversi dalnostro. Affrontare questo argomento èstato molto impegnativo. Ci siamo sco-perti ignoranti – meglio così, Socrate di-ceva che “sapere di non sapere” distin-gue il saggio dal saccente e apre la stra-da alla conoscenza vera. Così abbiamocercato notizie, fonti bibliografiche,esperti a cui chiedere contributi signifi-cativi. Ci siamo accorti che l’ignoranza èa quanto pare molto diffusa nel nostropaese, o forse l’interesse per il tema èscarso: sta di fatto che i principali testisull’argomento non sono disponibili inlingua italiana. Abbiamo studiato, letto,tradotto. Abbiamo insomma fatto dili-gentemente i compiti, ma anche così lapanoramica che possiamo offrirvi è, peril momento, abbastanza incompleta. Gliapprofondimenti che vi proponiamo ri-guardano tre punti principali: la posizio-ne dell’islam nei confronti dell’apostasia(l’articolo di Valentina Fedele, che è un’e-sperta di diritto islamico) e della scien-za (affrontato da Stefano Bigliardi attra-verso il pensiero critico del fisico TanerEdis, autore del volume An Illusion ofHarmony. Science and Religion in Islam);il pensiero materialista e razionalista in-diano, che rappresenta un filone filoso-

fico di tutto rispetto ancorché snobbatodagli occidentali (nel lungo contributo diFabrizio Gonnelli, che ha studiato comeun pazzo per tutta l’estate); infine, laquestione dell’“ateismo cristiano” o del“cristianesimo ateo”, ossia di quelle scel-te intermedie tra credenza e incredulitàche riguardano una parte rilevantissimadell’umanità (Francesco D’Alpa declinail tema per il solo cristianesimo, ma il fe-nomeno è davvero cospicuo: le statisti-che dicono che se si sommano i creden-ti convinti agli atei altrettanto convintinon si raggiunge la metà della popola-zione mondiale e che il paese simbolo diquesta tendenza è il Giappone, dove icredenti dichiarati sono solo il 4,3%ma gli atei raggiungono ap-pena l’8,7%).

Abbiamo dunque svolto ilnostro tema in modo par-ziale – ma questo è un pro-blema facilmente supera-bile: torneremo volentierisull’argomento, soprattut-to se ci sarà un riscontrodi interesse da parte di voilettori. C’è però un pro-blema più grosso: gli arti-coli che vi proponiamonon risultano di facilissi-ma lettura. E molti di voici rimproverano per questo:date un’occhiata alla rubrica delle Let-tere.

«Se vogliamo che le nostre idee sidiffondano e vengano capite (soprat-tutto) dobbiamo anche scrivere in ma-niera più soft e non solo per una cerchiaristretta di sapientoni», scrive DaniloBattaglia. E Francesco D’Orsi: «La mag-gior parte degli articoli, che per altri ver-si sono molto interessanti, mi sembra-no di difficile comprensione. I docentiche scrivono, talvolta trascurano, invo-lontariamente, di tener conto del livel-lo culturale del lettore medio e sem-brano scrivere da esperti molto prepa-rati per un pubblico altrettanto prepa-rato. Questo dico perché mi piacereb-be che la rivista fosse accessibile a tut-ti e potesse avere maggiore divulga-zione». Infine Pierguido Viterbi conclu-de una lettera che torna sulla questio-ne delle vignette accusandomi di avereluso una domanda di non poco conto:«L’Ateo si rivolge solo ad intellettuali oaspira a raggiungere un pubblico piùvasto con livelli culturali necessaria-mente differenziati?».

Non voglio eludere la questione. Ri-spondo che, certo, L’Ateo non si rivol-

ge solo a “intellettuali” e a “sapiento-ni” – ma nemmeno a un pubblico qual-siasi. Posso presumere che chi ci legge– per il fatto stesso di leggere una rivi-sta (quanti lo fanno oggi in Italia?) e unarivista che si chiama L’Ateo – sia ani-mato da spirito critico, sia curioso e dif-fidente. Diffidente: perché non si ac-contenta dell’informazione mediatica,spesso viziata e spessissimo superfi-ciale, non gli basta ripetere i luoghi co-muni correnti ma vuole formarsi un’o-pinione ragionata in proprio. Con que-

sto atteggia-mento, adesempio, ioho letto l’ar-

ticolo di Va-lentina Fedele: non ho al-cuna simpatia per l’islam,ma mi rendo anche contoche viene decisamente

demonizzato dai media oc-cidentali, dunque voglio sa-perne di più e sono grata achi mi fornisce un’infor-mazione più precisa. Cu-rioso: per il puro piaceredella scoperta intellettua-le. Con questo atteggia-mento, ad esempio, holetto gli articoli di Stefa-no Bigliardi e di Fabrizio

Gonnelli, scoprendo filoni dipensiero interessanti e ingiustamentetrascurati – per provincialismo o perspocchia – dalla nostra cultura.

I lettori critici, diffidenti e curiosi sonoin genere disposti a sobbarcarsi un cer-to impegno, un po’ di fatica nella lettu-ra: perché è una fatica che viene am-piamente ripagata dall’onesto piaceredi saperne un po’ di più. Io la penso co-sì, lettori cari. Ma ditemi, vi prego, co-me la pensate voi in proposito. Scrive-teci: è davvero una questione impor-tante.

Maria [email protected]

P.S. – Ahimè, lettori belli: nelle pagine che se-guono troverete un avviso poco simpaticorelativo all’adeguamento delle quote di iscri-zione, degli abbonamenti e del prezzo deL’Ateo. Tutto aumenta tranne gli stipendi ele pensioni, lo so, è una vera iattura. Il Co-mitato di Coordinamento UAAR, comunque,non solo vi spiega per filo e per segno per-ché sono stati necessari questi ritocchi, maanche come scansarli optando per la rivistain versione digitale. La “trasparenza” – me-glio, la buona creanza – consiglia di darvi lacattiva notizia fin dalla prima pagina.

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EDITORIALE

4 n. 5/2012 (84)

ALTRI ATEISMI

La religione musulmana è spesso de-scritta nella letteratura specifica e an-cora di più sui mezzi di comunicazionecome un monolite indifferenziato, intol-lerante e discriminatorio, soprattutto neiconfronti delle donne e delle minoranze,linguistiche, etniche e religiose. Il trat-tamento di queste ultime è, spesso, og-getto di polemica e scontro, richiamatoanche come arma dialettica nei confrontidelle istanze di integrazione delle co-munità musulmane diasporiche. Uno de-gli elementi di questa polemica è l’im-possibilità per un musulmano di abiura-re la religione di nascita, uscire dall’i-slam, sia per convertirsi ad un altro cre-do sia per attestare il proprio ateismo oagnosticismo: entrambe le scelte rica-dono, infatti, nella fattispecie di aposta-sia, producendo medesimi effetti teolo-gici e giuridici, ma diverse conseguenzesociali. Le riflessioni che seguono ri-guardano proprio le caratteristiche e gliesiti dell’uscita dall’islam quando que-sta non comporta l’adesione ad un altrosistema religioso, ma l’assunzione di po-sizioni atee o agnostiche, sottolinean-done, in particolare, le ricadute sociali esociologiche e il peculiare impatto sull’i-dentità personale e l’appartenenza co-munitaria, che produce quella che Bar-bara de Poli, riprendendo il sociologo ma-rocchino Abdessam Dialmy, chiama apo-stasia silenziosa.

Per cercare di circoscrivere per quantopossibile il fenomeno, ci si concentra sul-le prescrizioni teologico-giuridiche dell’i-slam sunnita, con particolare riferimen-to, rispetto alla loro persistenza nei si-stemi giuridici contemporanei, all’areadel Maghreb. In primo luogo, va sottoli-neato che la condizione di apostasia (inarabo ridda), riguarda solo i musulmanicredenti, due condizioni che nell’islamclassico sono considerate l’una il com-plemento dell’altra.

Tutti gli esseri umani nascono musul-mani, nel senso etimologico di sotto-messi a Dio, e l’islam è la religione natu-rale dell’uomo, fitra – come sottolineatonel Corano 30:30 “Alza il viso alla reli-gione, da vero credente, secondo la na-tura prima che Dio ha dato agli uomini.Non c’è cambiamento nella creazione di

Dio, la religione retta è quella, ma la granparte degli uomini non sa nulla” – soloalcuni, però, diventano effettivamentecredenti, perché è la socializzazione, lafamiglia e il gruppo di nascita, a deter-minare la comunità religiosa, cui si ap-partiene.

Inoltre, perché un musulmano possa es-sere considerato apostata (murtadd),non basta che sia nato in una famigliamusulmana e, quindi, che sia socializza-to all’islam, o convertito e, quindi, cheabbia scelto l’islam, ma anche che siaadulto, sano di mente e – posizione chele quattro scuole giuridiche ufficiali en-fatizzano in modo diverso – che sia sta-to senza ombra di dubbio musulmano,ad esempio, aderendo in maniera pub-blica alle pratiche. L’islam, infatti, anchese spesso considerato un’ortoprassi, do-na molta importanza alla dimensionedella fede personale, giudicabile solo daDio. I commentari teologici e giuridici of-frono diversi esempi di cosa sia effetti-vamente considerabile apostasia, matutti concordano su alcune inequivoca-bili posizioni: negare l’esistenza degli an-geli, dei Profeti e della profezia di Mu-hammad, credere nella trinità o nella na-tura divina del Profeta Gesù, negare lavita eterna e, soprattutto, negare o du-bitare dell’esistenza di Dio.

L’ateismo e l’agnosticismo rientrano,quindi, a pieno nella definizione di apo-stasia e ne producono gli effetti giuridi-ci dal punto di vista penale e civile. Nel-l’islam classico, infatti, l’apostasia è pu-nibile con la pena di morte, anche se mol-ti commentatori ne limitano l’applicabi-lità ai soli uomini, prevedendo pene so-stitutive per le donne. La prescrizionedella pena capitale, però, non ha solidebasi teologiche: nel Corano, in effetti, siprefigurano punizioni nell’aldilà e nonnella dimensione temporale, come di-mostra la possibilità di un pentimento edi un ritorno alla religione musulmana;ad esempio, nella Sura 4:140: “Egli vi harivelato nel libro che quando sentirete rin-negare i segni di Dio oppure li sentirete de-ridere, non dovrete restare con coloro chelo fanno, finché non cambieranno di-scorso, altrimenti sarete come loro. Dioriunirà gli ipocriti e i miscredenti nella

Geenna, tutti insieme” e nella Sura 3:86-91: “Come può Dio guidare degli uominiche hanno rinnegato la fede dopo averlaaccettata dopo avere testimoniato che ilMessaggero è messaggero di verità, do-po avere ricevuto le prove chiare? La gen-te ingiusta Dio non la guida. La loro ri-compensa sarà la maledizione di Dio e de-gli angeli e degli uomini insieme e vi ri-marranno in eterno, non sarà loro alleg-gerito il castigo e nessuno li guarderà ec-cetto coloro che si pentiranno dopo que-sto e rettificheranno il proprio operato,Dio è indulgente e compassionevole. Co-loro che rinnegano la fede dopo averla ac-cettata e aggiungono infedeltà a infe-deltà, ebbene, il loro pentimento non saràaccolto: sono coloro che hanno perdutola via. E così, quelli che rinnegano la fe-de e muoiono da miscredenti, da loro nonverrebbe accettato neppure tutto l’oroche la terra può contenere anche se lo of-frissero in riscatto, avranno un castigodoloroso e nessuno li aiuterà”.

Anche il versetto spesso citato a soste-gno della punizione capitale della ridda– Sura 9:73: “Tu, Profeta, combatti i mi-scredenti e gli ipocriti, sii duro con loro,il loro rifugio sarà la Geenna che sorte or-renda!” – fa, ancora una volta, riferi-mento alle pene eterne e, notano alcunicommentatori, quando parla di combat-tere, usa il verbo jahada – da cui derivail sostantivo jihad – senza accompa-gnarlo alla formula f ı sabıl Allah, “sullavia di Dio”, cui normalmente si accom-pagna quando si parla di combattimen-to offensivo, a sostegno della posizioneche l’apostasia e la miscredenza possa-no essere combattute solo per via dia-lettica. Su questo approccio, però, i pri-mi commentatori hanno fatto prevalereun atteggiamento più radicale, basan-dosi invece che sulle prescrizioni cora-niche, su quanto contenuto nella Sunna– raccolta di hadıth, notizie sui detti e gliatti del Profeta – una fonte giuridica che,in genere, è più esplicita rispetto alla ne-cessità di perseguire fino alla morte gliapostati: la raccolta di al-Bukhari, adesempio, contiene il racconto delle pa-role del Profeta sia rispetto al dovere diuccidere chiunque cambi la propria reli-gione, sia rispetto alle eccezioni al di-vieto di uccidere un musulmano, una del-

L’apostasia silenziosa: riflessioni su ateismo,agnosticismo e islam nell’epoca contemporaneadi Valentina Fedele, [email protected]

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ALTRI ATEISMI

le quali è appunto il caso in cui la vitti-ma sia un apostata.

La scelta di far prevalere gli hadıth sul-la rivelazione coranica, giustificata at-traverso l’utilizzo delle tecniche classi-che di esegesi, e che ha comportato l’in-serimento all’interno della sharı‘a dellapena di morte per gli apostati che nonritrattano entro termini prestabiliti leproprie posizioni, evidenzia il particola-re valore sociale e sociologico dell’apo-stasia, fin dai primi secoli dell’islam: es-sere musulmani, non ha solo un’impli-cazione rispetto alla fede, ma anche ri-spetto all’appartenenza ad una comu-nità sociale e/o politica, in riferimento al-la quale l’apostasia è considerata un ve-ro e proprio tradimento, un crimine con-tro la società, una ribellione alle tradi-zioni oltre che alle leggi. Ciononostante,proprio la mancanza di solide basi cora-niche, ha messo in dubbio più volte nel-la storia la validità della pena capitale –segnatamente a partire dal XIX secoloda parte degli autori del cosiddetto rifor-mismo storico, Rashid Rida, MuhammadAbduh, e Muhammad Iqbal – tanto cheoggi, anche nei sistemi giuridici e legi-slativi nei quali la sharı‘a mantiene il pri-mato, rari sono i casi in cui la pena capi-tale è eseguita.

Nello stesso tempo, però, da un lato lamancanza di una istanza unica di riferi-mento in termini di guida religiosa e giu-ridica determina la possibilità – non re-mota – che, seguendo una diversa in-terpretazione, singoli musulmani so-stengano che uccidere un apostata siaun dovere individuale, dall’altro, anchese non comporta più la morte, l’aposta-sia continua ad essere considerata unreato, e come tale punita sia dal puntodi vista penale, con la reclusione – più omeno prolungata a seconda degli ordi-namenti –– sia dal punto di vista civile,comportando rilevanti effetti, tra cui lasospensione, in attesa di riconversione,dei diritti passivi e attivi alla successio-ne, nonché dei contratti matrimoniali.Tra l’altro, essendo una sospensione, nelcaso di conversione ad altro credo, l’a-postata è escluso anche dalle prescri-zioni riguardanti le comunità religiose ri-conosciute: è considerato un ex musul-mano ma non un nuovo cristiano o ebreo.Considerare l’uscita dall’islam un reatoè una violazione dei principi di libertà dicoscienza e religione, garantiti in diver-se dichiarazioni internazionali sui dirit-ti, ratificate da quasi tutti i paesi che neiloro ordinamenti conservano riferimen-ti più o meno forti alla sharı‘a e sottoli-nea ancora una volta le implicazioni del-

la mancanza di statuti personali laici, checonsiderino l’individuo al di là della suaappartenenza religiosa. Nello stessotempo, proprio il persistere dei riferi-menti religiosi in questo campo – così co-me nel diritto di famiglia – evidenzia an-cora una volta il valore sociale e sociolo-gico dell’apostasia, permettendo anchedi cogliere le peculiari conseguenze chequesta assume nel caso in cui non si con-figuri come conversione ad altro credo.

Il valore identitario e di appartenenzadell’islam è stato nella storia più volteenfatizzato a seconda delle contingen-ze producendo diversi esiti: basti pen-sare alle giustificazioni di tipo sociologi-co e teologico che hanno permesso nel-le Repubbliche sovietiche dell’Asia Cen-trale il mantenimento da parte dell’élitemusulmana della propria identità cultu-rale-religiosa, anche a fronte dell’ade-sione al comunismo ateo, permettendola convivenza di due appartenenze incontraddizione, che in nessuna altra co-munità religiosa si era riuscita a realiz-zare. In particolare, l’enfasi sull’identitàreligiosa assunse peculiari declinazionidurante il colonialismo, quando famiglia,donne e comunità religiosa diventaronoinsieme obiettivo dei colonizzatori e si-mulacro di resistenza: nell’esperienzadel Maghreb francese acquisire la citta-dinanza del colonizzatore era equipara-to a tradire la propria religione. Per esem-pio, quando nel 1923, il governo colonialepermise ai Tunisini di prendere la na-zionalità francese, implicando che il na-turalizzato sarebbe stato giudicato dal-le corti francesi e secondo la legge re-pubblicana, il partito na-zionalista tunisino lanciòuna campagna contro lanaturalizzazione, dichia-rando i naturalizzati apo-stati e alcuni mufti sosten-nero che, proprio in quan-to apostati, non potesseroessere seppelliti in cimite-ri musulmani. Malgrado ta-le opinione non fosse con-divisa ufficialmente dallamaggior parte delle auto-rità religiose locali, le pro-teste della popolazione fu-rono tali da costringere al-l’apertura di cimiteri spe-ciali per i naturalizzati.

Inoltre, l’apostasia è stataspesso usata come formadi ribellione alle autorità e,viceversa, come accusa perisolare oppositori politici,acquisendo un peculiare

valore politico che conserva ancora og-gi: alla metà degli anni ’90 il professoree teologo cairota Nasr Abu Zayd fu ac-cusato di apostasia per aver criticato teo-logicamente la prescrizione che impedi-sce ad una musulmana di sposare un nonmusulmano, il suo matrimonio sciolto edegli fu, infine, costretto ad emigrare. Aldi fuori della dimensione strettamentepolitica sono stati di recente perseguitisolo casi di apostasia dichiarata: nellaTunisia post-rivoluzionaria sono staticondannati a sette anni e mezzo di re-clusione due tunisini, Jaber Mejri e Gha-zi Beji – quest’ultimo fuggito in Grecia –per aver espresso su internet le proprieposizioni atee e pubblicato libri conte-nenti alcune caricature del Profeta.

Per quanto riguarda invece la religiositàdei singoli, essendo non giudicabile an-che quando disgiunta dalla pratica, nonè oggetto di interesse da parte delle au-torità religiose e statali, che considera-no l’appartenenza alla comunità – so-ciale, politica e nazionale – una prova del-l’appartenenza all’islam e viceversa,quando non si appartenga per nascitaad un’altra comunità religiosa ricono-sciuta. Diversi studi, però, dimostranocome non siano tanto le conseguenzegiuridiche a spingere l’ateismo al silen-zio, quanto quelle sociali: l’apostasia pro-duce effetti paragonabili ad una vera epropria morte civile, spingendo spessogli individui all’esilio, effetti che, nel ca-so di ateismo dichiarato, sono peggioridi quelli prodotti da una conversione, checomporta comunque l’ingresso in unanuova comunità religiosa e sociale, che,

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ALTRI ATEISMI

in qualche modo, attutisce le sanzionimorali e affettive che derivano dall’alie-nazione dalla comunità musulmana.

È per questo che la deviazione palesedalla norma religiosa è rara, mentre pre-valgono diversi modelli di dissimulazio-ne, di non dichiarata uscita dalla comu-nità, pur nella presenza, spesso diffusa,di ateismo o agnosticismo, producendoquella che si è definita apostasia silen-ziosa, un atteggiamento diffuso di pri-vatizzazione delle posizioni di coscien-za, accompagnato spesso dall’adesionedistante agli elementi culturali della re-ligione, allo scopo di preservare la pro-pria integrazione sociale. A sostegno delpeso dei legami comunitari sulle sceltedegli individui, la privatizzazione dellacoscienza avviene anche in contesti neiquali l’apostasia non è giuridicamenteperseguita e perseguibile, come nel ca-so delle comunità musulmane diaspori-che in Europa.

Le statistiche ufficiali in questo sensosono poche ed imprecise anche se alcu-ni studi sulle conversioni dei musulma-ni stimano gli atei e gli agnostici di cul-tura musulmana tra il 30% e il 50%, conun maggiore impatto nelle cosiddette se-conde e terze generazioni. Pur nella man-canza di statistiche attendibili, sono sta-ti elaborati diversi modelli sociologici chedanno conto della posizione degli atei dicultura musulmana rispetto alla comu-nità religiosa di origine: Roy, per esem-pio, riprendendo le strategie adottate daimudejar dopo la Reconquista, consideragli atteggiamenti dei musulmani forza-tamente convertiti al cristianesimo co-

me sociologicamente assimilabili a quel-li degli atei e degli agnostici di originemusulmana, che conservano alcuni co-stumi culturali, nel contesto del sistemadi credenze europeo, a maggioranza cri-stiano. La sociologa Césari individua co-me atteggiamento prevalente nei mu-sulmani diasporici l’islam culturale, un’i-dentificazione con l’universo musulma-no attraverso la lingua, il lignaggio, ilgruppo etnico, non necessariamente le-gato alla fede e alle pratiche, mentre Das-setto elabora più esplicitamente la ca-tegoria degli agnostici indifferenti, di-chiarati o silenti, che si declina in due at-teggiamenti: indifferenza silenziosa –che non si interroga sulla propria fede,ma mantiene in apparenza l’adesione al-la comunità musulmana – e apparte-nenza culturalista – che si manifesta conla partecipazione ai rituali e a forme isla-miche di passaggio, nonché alle prescri-zioni alimentari, senza che questo de-termini l’islamizzazione delle relazionisociali o dei comportamenti, o la messain discussione della propria coscienza.

La posizione degli atei e degli agnosti-ci di cultura musulmana sembra, dun-que, restare per lo più nel silenzio del-le convinzioni private e, nei paesi tra-dizionalmente a maggioranza musul-mana, anche in quelli dove il rispettodei diritti delle donne e l’inclusione po-litica e sociale delle minoranze religio-se hanno fatto passi in avanti, essa nonriesce ad avere una visibilità sociale chenon comporti esiti drammatici. Nellostesso tempo, però, proprio i recentieventi che hanno interessato i paesi tra-dizionalmente a maggioranza musul-

mana, ed in particolare il Maghreb, ri-propongono il trattamento dell’aposta-sia dichiarata, attraverso la conversio-ne o l’espressione pubblica della pro-pria coscienza, come un nodo crucialenelle transizioni dei paesi investiti dal-la cosiddetta Primavera Araba.

Il caso di Jaber Mejri e Ghazi Beji, cui siè fatto riferimento, mette, infatti, in lu-ce non solo le contraddizioni degli even-ti politici e sociali connessi alle rivolu-zioni, ma anche il ruolo che i nuovi mez-zi di comunicazione – internet e i socialnetwork – hanno nel rendere palesi leproprie posizioni rispetto alla religione,anche quando non direttamente colle-gate all’opposizione politica, ponendonuove sfide alle autorità statali e sovra-nazionali, disegnando nuovi scenari ecampi di espressione della propria iden-tità e problematizzando ulteriormente ilbinomio comunità politica / comunità re-ligiosa.

Valentina Fedele è Dottore di Ricerca in “Po-litica, Società e Cultura” presso il Diparti-mento di Sociologia e Scienza Politica dell’U-niversità della Calabria e Cultrice della Ma-teria in Diritto Islamico presso la Facoltà diScienze Politiche della stessa università. Trale sue pubblicazioni: “La soggettività dellemusulmane diasporiche in Europa e lo spaziodella umma virtuale”, in Temperanter Inter-national Quarterly Journal, 2011, Vol. II, n.3/4, pp. 63-78. “L’evoluzione dell’imamato inEuropa e l’inquadramento del personale reli-gioso musulmano. Riflessioni sociologiche eproblemi socio-politici a partire dall’analisi del-la formazione e dello status dell’imam nel con-testo francese”. Jura Gentium, 2010, Vol. VI,1.

Un dibattito poco conosciuto

Chiunque abbia ingaggiato una discus-sione con un credente cattolico, o più ge-neralmente un cristiano, e abbia cercatodi indurlo a un confronto tra concetti re-ligiosi e scientifici, ha familiarità con unareazione piuttosto comune. Spinti in unangolo, i credenti anche di buona leva-tura intellettuale cercano di tenere se-parate scienza e religione. La prima è

istintivamente avvertita come una mi-naccia rispetto alla seconda, o quanto-meno come estranea. Certo, qualcunopuò aver letto Fides et ratio; non è nem-meno improbabile che si spinga a men-zionare la compatibilità di scienza e fede,o che si riferisca all’ordine del creato co-me segno o prova dell’operato divino.Ben difficilmente, però, un cattolico o uncristiano s’imbarcherà sua sponte in una

difesa dell’armonia o della compenetra-zione di scienza e religione, né tantome-no se ne servirà come argomento princi-pe per fare proseliti. Riferirsi all’erosionedella religione da parte delle scienze na-turali consente tuttora di creare un cer-to disagio in un interlocutore credente. Seperò un razionalista adottasse la stessastrategia argomentativa con un creden-te musulmano avrebbe, con ogni proba-

L’armonia tra Islam e scienza e il suo (leale) distruttore:Introduzione a Taner Edisdi Stefano Bigliardi, [email protected]

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bilità, una sorpresa. Esiste, infatti, unconvincimento comune, espresso ed ali-mentato in dibattiti popolari ma ancheaccademici, secondo cui Islam e scienzenaturali godono di un rapporto armonicoe privilegiato. Le varie idee che sostan-ziano questo convincimento danno ai cre-denti l’impressione di essere immuni al-le obiezioni scientifico-razionalistiche eanzi offrono loro lo spunto per prenderlein contropiede, presentando l’Islam co-me una religione che non solo non temela scienza, ma ne è anzi la migliore ami-ca. Convincente o meno che sia, si trat-ta di un dibattito non privo di originalità,che esige conoscenze e strategie argo-mentative specifiche da parte di chi vi sivoglia accostare criticamente.

Tra le ragioni fondanti di questo convin-cimento è la presenza nel Corano, e neifatti e detti del Profeta, di numerosi elo-gi della conoscenza(‘ilm), termine che va-ri esegeti hanno interpretato estensiva-mente in modo da coprire anche e so-prattutto le scienze naturali. L’investi-gazione scientifica può così essere pre-sentata come un atto conforme alle pre-scrizioni religiose. Il Corano è inoltre ric-co di riferimenti a fenomeni naturali, pun-tualmente associati all’azione creatricee alla potenza di Dio. Questa caratteri-stica autorizza a descrivere l’investiga-zione scientifica come un altro aspettodell’adorazione e del riconoscimento diDio stesso attraverso la sua creazione.C’è poi una corrente interpretativa po-polare, già fiorente a metà del secolo scor-so, e al giorno d’oggi letteralmente esplo-sa in Internet, che si spinge a ravvisarenel testo coranico riferimenti puntualis-simi a invenzioni e nozioni precise (comegli aeroplani o la velocità della luce), ri-ferimenti definiti “miracoli scientifici” delCorano [1]. Poiché di tali invenzioni e sco-perte non avrebbero potuto essere a co-noscenza né il Profeta illetterato, né gliuomini più dotti del suo tempo – così pro-cede l’argomentazione – tali passaggi so-no da vedersi come profezie che com-provano la divinità della rivelazione. In-fine, il resoconto coranico della creazio-ne è molto più frammentario e vago diquello biblico, e si presta con più facilitàad interpretazioni attualizzanti. Si spie-ga così, ad esempio, come gli stessi crea-zionisti islamici, noti al pubblico italianoalmeno attraverso lo stravagante HarunYahya (pseudonimo del turco A. Oktar, n.1956) e il suo “Atlante della creazione”(2007) [2], se da un lato pretendono dibuttare a mare l’evoluzione, dall’altro sisentono egualmente sicuri nel sostene-re l’armonia di Islam e scienza. Un altroriferimento con cui si suole corroborare

questa idea è l’esistenza di una “età del-l’oro” dell’Islam (circa VIII-XIII sec. d.C.– ma i suoi confini sono variamente defi-niti) in cui le scienze naturali fiorirono nel-le società musulmane, mentre stagna-vano nell’occidente cristiano. In circolipiù accademici, intellettuali come l’ira-niano S.H. Nasr (n. 1933), il palestineseI.R. Al-Faruqi (1921-1986) o il pachistanoZ. Sardar (n. 1951) [3], pur prendendo ledistanze dalle forzature della “interpre-tazione scientifica” del Corano hannonon solo sostenuto l’esistenza dell’ar-monia tra Islam e scienza, ma anche di-feso la necessità di una rifondazione (o al-meno di una riforma) della scienza stes-sa, tanto a livello metodologico quantodeontologico, attraverso concetti corani-ci, per ottenere una scienza “islamizza-ta”, memore della derivazione del mon-do naturale da Dio e quindi rispettosa delcreato.

Taner Edis

È su queste idee, variamente difese e in-terrelate, che si concentra la corrosivacritica del fisico turco-statunitense TanerEdis (n. 1967), che desidero qui intro-durre al pubblico italiano. Già distintosicon The Ghost in the Universe (2002), unasistematica liquidazione dei concetti re-ligiosi o paranormali alla luce soprattut-to della fisica e della biologia contempo-ranee, Edis si è specialmente sofferma-to sul dibattito riguardante Islam e scien-za in An Illusion of Harmony (2007). Ediscostruisce la sua confutazione lungo trelinee principali. In primo luogo, rileva chela ricerca di “nozioni scientifiche” nel Co-rano non solo è un brutto esempio di for-zatura del testo, ma anche e soprattut-to una deformazione della scienza, con-fusa con la tecnologia e ridotta a una se-rie di fatti, una “collezione di francobol-li” che nulla ha a che vedere con il me-todo empirico-matematico. La “inter-pretazione scientifica” del Corano con lesue stramberie è però un interessantefenomeno culturale ed esprime una dop-pia velleità: quella di dimostrare una pri-vilegiata armonia dell’Islam con la scien-za e di aggirare la presunta “occidenta-lità” della scienza stessa. In secondo luo-go, quanto alla “età d’oro” dell’Islam,Edis ritiene che si tratti di un’idea ec-cessivamente enfatizzata. Tale etichet-ta copre, infatti, un arco geografico etemporale enormemente ampio, inoltrespesso i grandi scienziati musulmani delpassato che si vogliono presentare co-me “prova vissuta” dell’armonia traIslam e mentalità scientifica si distinse-ro per una religiosità deviante rispetto al-la norma del loro tempo, venendo in al-

cuni casi persino osteggiati dalle auto-rità ufficiali. In terzo luogo, quanto ai piùraffinati piani filosofici di riforma dellascienza sorti in ambienti intellettuali mu-sulmani, Edis rileva non solo che gli aspi-ranti riformisti non sono sufficiente-mente competenti per imbarcarsi in unasimile discussione, ma anche e soprat-tutto che il metodo scientifico non puòessere reinventato dal nulla, e non si pre-sta pertanto ad alcuna “nuova infusio-ne” di concetti estranei.

Una distruzione leale

Taner Edis si presenta apertamente qua-le ateo, come emerge non solo dai librigià menzionati, ma anche dal suo più re-cente Science and Nonbelief (2008). Lesue spiegazioni naturalistiche spazzanovia l’anima immortale e Dio. Edis è cau-stico e diretto con i suoi bersagli critici: ilDio del credente comune è un errore,quello dei filosofi è pura confusione [4];non è possibile vedere alcuna forza per-sonale dietro l’evoluzione [5]; siamo mac-chine biologiche [6], carne pensante [7]destinata alla polvere [8]. Quanto all’im-pianto generale del suo pensiero, in-somma, Edis si può tranquillamente ac-costare a ben più celebri “neoatei”, co-me Dawkins. Tuttavia, e in questo con-siste il suo insegnamento più originale,Edis è un avversario leale della religioneislamica e della sua presunta armonia conla scienza. In primo luogo, come ha avu-to a sottolineare intervenendo sul tipo dicritiche mosse all’Islam da Sam Harris,secondo Edis questa religione deve es-sere criticata solo sulla base di una co-noscenza completa della sua storia, deisuoi meccanismi culturali, della sua ric-chezza e complessità concettuale, senzaarrestarsi a una (inutile) lettura autono-ma del Corano o bersagliando versionicaricaturali dell’Islam stesso [9]. In se-condo luogo, la condanna che Edis pro-nuncia dell’armonia tra Islam e scienzanon è automaticamente associata a unsenso di superiorità dell’“occidente”.Edis, che pure ammette a chiare lettereche preferisce lavorare negli Stati Uniti acausa delle maggiori risorse e della li-bertà che avverte come scienziato, rico-nosce che deformazioni altrettanto biz-zarre e distruttive della scienza sono incircolazione anche nel mondo occiden-tale cristiano, e non vede la fioritura del-le scienze stesse come un prodotto ne-cessario della sua storia e della sua cul-tura [10]. In terzo luogo, Edis ravvisa neitentativi “armonizzatori” da lui confuta-ti non solo una reazione alla scienza per-cepita come culturalmente estranea, maanche una genuina preoccupazione per

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lo stato della scienza e della tecnologianelle società musulmane. Così, se alcu-ne “teorie” come quelle di Yahya sonopalesemente ridicole e dannose, un rifor-matore che cerchi una via islamica allapratica della scienza, ossia un modo perrenderla accettabile e digeribile in unasocietà di tradizione musulmana senzadeformare o appiattire la prima né trau-matizzare e snaturare la seconda, svolgeun’opera meritevole [11]. Edis riconoscepoi che molti dei concetti scientifici soli-tamente evocati per demolire la religio-ne sono in realtà, ancorché solidi, di ar-dua comprensione; il loro uso in funzio-ne antireligiosa può allora scadere in unasuperficialità paragonabile a certe apo-logie religiose [12]. Si aggiunge che,quando si spiega la religione come feno-meno naturale, si arriva a concludere chela religione stessa è un prodotto neces-sario, e in ultima istanza ineliminabile,dei nostri meccanismi cerebrali, cosicchél’ateo militante non potrà che acconten-tarsi di parlare a pochi simili, senza spe-

ranza di una definitiva vittoria delle sueidee[13]. In generale quindi Edis, oltre afornire al lettore uno spaccato interes-sante e unico su un dibattito poco cono-sciuto, con ammirevole equilibrio fissaanche un’agenda di problemi con cui ogniateo, agnostico o razionalista deve con-frontarsi.

LLiibbrrii ddii TTaanneerr EEddiiss

The Ghost in the Universe. God in Light ofModern Science, Amherst (NY), PrometheusBooks, 2002.An Illusion of Harmony. Science and Reli-gion in Islam, Amherst (NY), PrometheusBooks, 2007.Science and Nonbelief, Amherst (NY), Pro-metheus Books, 2008.

NNoottee

[1] Per un primo contatto con questo feno-meno culturale consiglio semplicemente unaricerca di “Islam” e “scienza” su Google.

[2] (Si veda http://harunyahya.it/).[3] Di Sardar consiglio Reading the Qur’an.The Contemporary Relevance of the SacredText of Islam, Oxford e New York, OxfordUniversity Press, 2011. [4] The Ghost in the Universe, p. 16.[5] The Ghost in the Universe, p. 58. [6] The Ghost in the Universe, p. 230. [7] The Ghost in the Universe, p. 203.[8] The Ghost in the Universe, p. 16.[9] Edis Taner, A False Quest for a True Islam(http://www.secularhumanism.org/index.php?section=library&page=edis_27_5); Edis T., 2006.How Not to Understand Islam (http://secularoutpst.infidels.org/2006/10/how-not-tounderstand-islam.html).[10] Cf. An Illusion of Harmony, cap. 7.[11] Cf. An Illusion of Harmony, cap. 6. [12] Cf. Science and Nonbelief, p. 33.[13] Cf. Science and Nonbelief, cap. 6.

Stefano Bigliardi, Centro di Studi Medio-rientali, Università di Lund (Svezia).

Adebowale Ojowuro è uno scrittore e atti-vista ateo nigeriano, che risiede in Sud Afri-ca, in una sorta di autoesilio, dal 2001. I suoiscritti più rilevanti nell’ambito del LiberoPensiero sono The Crisis of Religion. The Fe-ral Excesses of the Gullibility of Man (2009,revised edition 2012) e Echoes of CommonSense (2011), entrambi pubblicati dalla casaeditrice sudafricana Verity Publishers.

Qual è il motivo che sta dietro al titolodel suo ultimo libro – Echoes of CommonSense (Echi di senso comune) – e qualistorie ha condiviso con i lettori in que-sto nuovo libro?Ammettiamolo, il senso comune è sen-za dubbio la principale vittima negliaspetti religiosi della vita umana. No-nostante la piena libertà di esercitarel’opportunità della ragione, la teologiadi fondo che lega l’umanità alle cre-denze religiose si mantiene fonte di er-rori. Si resta confusi se si pensa in chemisura la prolungata ignoranza che ciportiamo dietro dalle epoche passateingeneri ancora fra gli esseri umani dioggi una profonda stupidità contentadi se stessa. Ciò, evidentemente, è di-ventato un inquietante problema perl’etica in diverse comunità di menti ra-

zionali. È dinanzi a questo allarmantespettacolo di irresponsabile ignoranzache ho deciso di nuovo di dare eco aun’altra voce della ragione, una voceche esce da un cuore sanguinante, fe-rito dalla follia della religione, per in-fiammare il senso comune delle perso-ne e spingerlo alla dignità di attenersiall’opinione corretta.

Ci potrebbe dare una breve descrizionedel suo nuovo lavoro?Come dice il saggio detto popolare in-glese “Una libbra di conoscenza richie-de dieci libbre di senso comune per ap-plicarla”. Nessuno può negare l’incisi-va saggezza di questo proverbio di co-mune buon senso: descrive con preci-sione la profondità della cronica imbe-cillità emblematica della natura uma-na. Basta immaginare come la tiranniadella fede ha astutamente mantenuto lavasta maggioranza dell’umanità nell’i-gnoranza della verità. Personalmenteconcepisco Echoes of Common Sensecome un’esposizione realistica fondatasulla scienza morale. Per me riuniscel’algebra e la matematica delle leggimorali, concepite in modo autentico nel-la libertà della riflessione razionale. Il

libro è critica filosofica dell’etica e del-le morali, una vera e propria disciplinadel carattere umano ideale che, in ognitempo, dovrebbe risiedere ben custo-dito in ogni società che meriti di essereapprezzata.

Lei è certamente ben cosciente che ciòche può essere considerato moralmentecorretto da uno può essere consideratosbagliato da un altro: e allora come pos-siamo determinare ciò che effettiva-mente è quella correttezza morale?Il fatto incontrovertibile è che la mora-lità intrinseca al credere ciò che è cor-retto si trova disperatamente in un mi-cidiale stato di estinzione nella societàumana. Secondo David Stevens “Unabugia è una bugia anche se tutti ci cre-dono”. Di converso, la verità è verità an-che se nessuno ci crede. Penso che con-corderà con me sul fatto che una mag-gioranza di esseri umani, altrimenti in-telligenti, sono regrediti in modo imba-razzante ad esseri creduli che hannopreferito la consolazione di credere adassurde storie di fate semplicementeperché sembrano le più irragionevoli. Èuna condizione molto frustrante nellacultura umana. Anzi, è frustrante ad un

Un’intervista a Adebowale Ojowurodi Mandisa Lateefah Thomas, presidente dell’associazione Black Nonbelievers

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tale livello che uno rimane sorpreso cer-cando di capire esattamente dove lagente ha gettato il grosso della cono-scenza razionale acquisita in anni pas-sati nelle istituzioni scolastiche. Secon-do il Webster Dictionary “l’etica è lascienza del dovere morale”. La mora-lità della verità dovrebbe essere un’e-tica sacra, eretta interamente sul pre-stigio dell’onestà e dovrebbe legitti-mare l’autorità in ogni società civilizza-ta. Abbiamo a che fare con qualcosa delgenere quando si tratta delle religionie delle loro rispettive teologie? La ri-sposta è un sonoro “no!”. In quest’e-poca di razionalità la mente di ciascu-no dovrebbe avere familiarità con l’es-senza del proprio dovere morale attra-verso il riconoscimento della sempliceverità che un mito non è un fatto, il dog-ma è molto distante dall’etica e la mo-ralità deriva solo dalla razionalità e nondall’ammontare della propria religiosità.

Che impatto ritiene che avrà il suo librosull’umanità nel suo complesso?Come Aristotele osservava opportuna-mente: “Il riconoscimento, come indicail nome, è un cambiamento dall’igno-ranza alla conoscenza”. Sono profon-damente convinto che l’umanità abbiala possibilità di ottenere una gran quan-tità di benefici nel corso del pellegri-naggio della vita dal momento in cui lagente comincia a vedere le cose comesono veramente, e quindi a farle nel mo-do in cui dovrebbero essere fatte.Echoes of Common Sense farà una lun-ga strada nell’aiutare gli Africani a ri-muovere dalla loro comunità l’inferio-rità causata dall’ignoranza ... se solo lamaggioranza della gente vorrà fare losforzo di leggere il libro.

La religione è una presenza costante inAfrica, dalle tradizionali pratiche cultu-rali agli usi giudeo-cristiani. Ci può spie-

gare perché ha scelto di non parteciparea nessuno di questi sistemi di credenze?Semplicemente perché non voglio per-dere il mio tempo adorando dèi imma-ginari che non esistono. Questa parola“dio” è un grande simbolo di ingannonella confederazione della religione or-ganizzata. Il dio della religione è sem-plicemente un dio letterario che ri-sponde alle preghiere solo nelle paginedi quel grosso libro nero che contiene ol-traggiose bugie dalla prima all’ultimapagina ... e forse nelle pellicole dei filmdi magia africani. In tutta onestà nonintendo sprecare tempo invocando unfantasma che non ha alcun tipo di va-lore che sappia arrecare rimedi.

Può parlarci del suo percorso verso l’a-teismo e il libero pensiero?Anche se sono cresciuto nella fede cri-stiana, trascinato da bambinetto inchiesa ogni domenica, devo dire che ilmio ateismo è congenito. Fino dai mieiprimi anni sono sempre stato scetticosulla storia di Gesù e Maria, il serpenteed Eva, gli angeli e i demoni, e le cro-nache del santo profeta Mosè, che ècontinuamente responsabile di guerrebrutali sotto il comando di un dio giu-sto ... Queste storie non suonano nien-te affatto bene; mi apparivano come unsacco di superstizioni organizzate. Ilmio scetticismo peggiorò ancora quan-do abbandonai un’assemblea cristianadecisamente più salubre, interna allaChiesa Anglicana, per unirmi a una diqueste cosiddette Chiese Pentecosta-li, dove i pastori proclamano diretta-mente salvate le persone una volta cheabbiano semplicemente recitato “ripe-tete con me, peccatori, le preghiere”. Eil giorno dopo questo cristiano “salva-to”, se è un contadino, come di solito è,è di nuovo nel suo campo a coltivare lasua piantagione di canapa indiana. Nonè cambiato niente da nessun punto di

vista nelle sue abitudini e nella sua rou-tine quotidiana ... però è nato di nuovoe salvato dal sangue di Gesù. Ripetia-molo, come ha osservato correttamen-te Isaac Asimov, “letta in modo oppor-tuno, la Bibbia è il più potente veicolodi ateismo mai concepito”. Dirò espres-samente di essere divenuto un ateo chenessun propagandista evangelico puòin alcun modo dribblare proprio dal mo-mento in cui ho iniziato a leggere la Bib-bia con un’attenzione incisiva.

Quale pensa che sia il motivo per cui inAfrica vi sono pochi atei?Vede, l’ateismo è una pratica nella qua-le l’ignoranza semplicemente non è di-sponibile. Il più grande problema in Afri-ca è che la gente si accontenta in ma-niera imperdonabile di non capire ilmondo in cui vive; ciò è un riflesso no-civo dell’ignoranza acuta che è all’ope-ra. Sfortunatamente la nostra gente èancora sovrastata in grande misura dal-l’inferiorità causata dall’ignoranza chesi porta dietro dalle epoche passate. Al-trimenti l’ateismo dovrebbe essere ilmovimento più popolare dell’intero con-tinente, se non altro come movimentodi protesta contro un dio sciocco che lereligioni istituzionali hanno imposto conl’inganno nella vita della gente. La ve-rità della questione è che un mucchiodi diffusi equivoci e false opinioni sul-l’ateismo sono state ingannevolmenteimpresse nelle menti degli africani da-gli avvocati della fede dogmatica. L’a-teismo è invece il potente antidoto aquesto veleno della fede dogmatica, eperciò l’Africa è il nuovo campo di bat-taglia per il “Project Reason”1, con loscopo di liberare le menti tenute pri-gioniere dalla spudoratezza dell’irra-zionalità basata sulla fede.

Si aspetta una crescita dell’ateismo inAfrica?È fuor di dubbio che la varietà delle re-ligioni dogmatiche attive in Africa, e i lo-ro rispettivi dèi, hanno deluso in ma-niera miserevole gli africani. È eviden-tissimo, da Città del Capo al Cairo, cheniente fallisce più delle preghiere. Do-ve, con precisione, si può avere la pro-va di un dio che reagisce alle preghierein un continente che è totalmente oc-cupato dalla sofferenza, dalla fame, dal-la povertà? Insomma, la bontà del diodella religione istituzionale non può pro-prio essere osservata in alcun senso ac-cettabile per l’intera estensione, in lun-go e in largo, del continente africano.Su questa questione mi sono diffuso al-quanto in alcune pagine di Echoes ofCommon Sense. Immaginatevi un poco

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il livello di eccellenza al quale sarebbeormai arrivata l’Africa se tutto il tempoche sprecano nell’adorazione di dèi im-maginari che non esistono, invocandoun fantasma che non ha assolutamen-te valori tali da rimediare alle loro nu-merose crisi, venisse usato nel rag-giungimento di una causa davvero de-gna, come hanno fatto i cinesi, i giap-ponesi e gli europei. Prevedo che il mo-vimento ateo diventerà un’associazio-ne onnicomprensiva della maggioran-za degli africani ragionevoli, una voltache l’immenso velo delle false conce-zioni sia rimosso dai loro occhi.

In che modo noi, Black Nonbelievers,possiamo aiutare ad incrementare e pro-muovere la consapevolezza dei valori se-colari nel continente africano?Il modo di cambiare una società è in-stillare pensieri razionali nelle mentidella gente. Come ho affermato prima,l’Africa è senza dubbio il nuovo cam-po di battaglia per il Project Reason.La nostra società ha bisogno di un cam-biamento in meglio, ma una societàpuò cambiare soltanto quando la gen-te cambia il proprio modo di pensare.L’ignoranza può essere sconfitta facil-mente quando i pensieri delle personesono correttamente trasformati e mes-si a posto attraverso i mezzi della nuo-va informazione. Mi ricordo che, quan-do quella bizzarra sindrome del “Ri-natismo” (Born Againism) stava pianpiano riempiendo la nazione nigeria-na, l’associazione Gideon Internatio-nal contribuì alla sua rapida diffusio-ne inondando ogni angolo del paese dicopie gratuite della Bibbia; perfino mia

nonna che non sa leggere aveva unacopia gratis della Bibbia Gideon. IBlack Nonbelievers, la Atheist Allian-ce International, gli American Athei-sts, la British Humanist Association, laFoundation Beyond Belief, e con loroogni altra organizzazione di carità fon-data da atei possono ugualmente con-tribuire ad incrementare e promuove-re la consapevolezza dei valori secola-ri in Africa inondando le camere d’al-bergo, gli ospedali, le biblioteche pub-bliche, ecc. del continente con i vari li-bri disponibili connessi al tema del li-bero pensiero. Uno sforzo del generedarà un aiuto significativo alla diffu-sione del razionalismo fra gli Africani.

Note

[1] Il Project Reason (www.projectrea-son.org) è una fondazione non-profit fi-nalizzata a diffondere il pensiero razionale escientifico attraverso molteplici attività (pub-blicazione di ricerche originali, conferenze,convegni, film e video, sondaggi di opinio-ne, ecc); nel suo Advisory Board si trovanopersonaggi del calibro di Richard Dawkins,Daniel Dennett, Anthony Grayling, JannaLevin, Stephen Pinker (NdT).

(Intervista tratta dal sito http://blacknonbelievers.wordpress.com tradotta dall’inglese da Fa-brizio Gonnelli, [email protected]).

LLaa ““nneecceessssiittàà ddeellll’’aatteeiissmmoo”” nneellll’’AAffrriiccaa nneerraa

L’ateismo, in Africa, non è semplicemente una posizione filosofica. In un continen-te “totalmente occupato dalla sofferenza, dalla fame, dalla povertà”, come scrive Ade-bowale Ojowuro, le religioni, vecchie e nuove, hanno responsabilità pratiche pe-santissime. Pensiamo al problema della diffusione dell’AIDS ovviamente aggravatodai divieti religiosi dell’uso del preservativo (ribadito da Benedetto XVI in occasio-ne del suo viaggio in Camerun del 2009 con una dichiarazione che è stata una veragaffe internazionale). Ricordiamo poi il famigerato Joseph Kony, di cui si è moltoparlato di recente in seguito alla diffusione su Youtube di un impressionante docu-mentario. Kony è il guerrigliero ugandese a capo del Lord’s Resistance Army che daanni ha scatenato una guerra civile per imporre in Uganda un regime teocratico ba-sato sulla Bibbia e i dieci comandamenti. Nel suo esercito sono stati arruolati a for-za decine di migliaia di bambini, costretti a combattere, a compiere atrocità e lorostessi vittime di violenze ed abusi nel clima di terrore e integralismo instaurato daKony. Il credo di Kony è sincretico, mette insieme elementi della religiosità animi-sta africana e del fondamentalismo cristiano. Un’altra barbarie compiuta in nome dicredenze religiose e della superstizione, diffusa soprattutto nell’Africa centrale (An-gola, Camerun, Congo, Nigeria) è la caccia ai bambini stregoni (i cosiddetti “enfants-sorciers”): magari colpevoli di vivere in una famiglia in cui è capitata una disgraziao di essere troppo vivaci e indocili o handicappati, vengono “esorcizzati” – di fattotorturati e spesso uccisi. I sopravvissuti, cacciati di casa, si raccolgono in bande nel-le periferie urbane, vivendo di espedienti e sniffando colla.

L’ignorante, chi manca di fede, chi è preso dadubbi è destinato a perire. Non questo mon-do, non quell’altro, non la felicità sono perl’uomo che dubita.

Bhagavadgita, IV 40

Che cosa sia il mistero, non lo so. Non lo chia-mo Dio perché Dio è venuto a significare mol-to di ciò in cui non credo. Mi trovo incapacedi pensare ad una divinità o ad una qualchesconosciuto potere supremo in termini an-tropomorfi e il fatto che molte persone lo pen-sino così resta per me una fonte di continua

sorpresa. Ogni idea di un Dio personale mi èestranea.

Jawaharlal Nehru(primo ministro dell’India dal 1947 al 1964)

Forse solo in alcune agenzie di viaggiopersiste ancora il mito dell’India come“terra della spiritualità” per eccellen-za, però non si può negare che qui danoi ancora oggi la maggioranza dellepersone associ l’India – soprasseden-do su curry, Bollywood e Kamasutra –

ai templi, ai lavacri nel Gange, ai gurue alle mille divinità della più o meno in-comprensibile tradizione hindu, da Vi-snu alla dea Kalì (con l’accento sulla i!).Il politeismo induista agli occhi di noioccidentali, cresciuti volenti o nolenti apane e monoteismo, appare come unasorta di libero mercato religioso chesoddisfa tanto le superstizioni più ar-caiche quanto le più elevate aspirazio-ni alla “sapienza”. Colorato, un po’straccione e ciarlatanesco, ma anche

Contro il credo delle caste: idee e figure dell’India secolarizzatadi Fabrizio Gonnelli, [email protected]

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con aspetti esteticamente affascinan-ti, umanamente ed emozionalmentericco, nel complesso abbastanza inno-cuo. Poi magari ci sovviene anche delsistema delle caste, dei brahmini e deiparia, ma siccome anche quelle sonquestioni complesse e poco chiare, eper di più ci vien detto che dopo Gandhida quando l’India è indipendente e de-mocratica “non contano”, ci mettiamol’animo in pace.

Ovviamente chi pensa che ogni siste-ma religioso è innanzitutto un sistemadi potere, fa il naturale passetto in piùdi connettere la millenaria permanen-za delle caste con l’onnipresenza del-la religione, magari ricordandosi ancheche a scuola – nell’ora di geografia(quando si faceva) e non in quella direligione – gli fu accennato al fatto chegiainismo e buddismo si svilupparonoin opposizione alla struttura sociale im-

posta dall’induismo. Chi scrive non èmolto più in là come competenze di in-dologia, nonostante un remoto esamedi sanscrito. Ha solo voluto fare unabreve indagine e un giro di letture nonmolto approfondite dopo essersi do-mandato – forse in maniera troppo in-genua – se e quando gli indiani abbia-no reagito a questo strapotere della re-ligione e della “spiritualità” semplice-mente dicendo “non è vero niente,

� IIAANN BBUURRUUMMAA, Domare gli dei. Religioni e democrazia in tre con-tinenti, ISBN 978-88-420-9495-1, Laterza (collana “Anticorpi” n. 20),Bari-Roma 2011, pagine 138, € 15,00.

Britannico di origini olandesi, docente di Democracy, Human Ri-ghts and Journalism a New York, Buruma intende illustrare peresempi in questo libretto i modi in cui la religione interagisce coni sistemi di governo, in particolare quelli democratici, per garan-tire i quali, si domanda, «(è) sufficiente lo Stato di diritto, oppureabbiamo bisogno di valori, etica e usanze comuni?». Buruma, chesi dichiara agnostico, non è avverso alle religioni in sé però è benconsapevole dei rischi insiti nelle “passioni religiose” utilizzate dal-le Chiese e conosce come pochi la varietà dei problemi che sem-pre e dovunque hanno accompagnato il confronto fra autorità re-ligiosa e autorità laica. Da studioso del postcolonialismo e delledinamiche della globalizzazione, egli seleziona qui tre contesti,uno per capitolo, particolarmente significativi per valutare alcu-ne soluzioni proposte in passato e alcune che si stanno più o me-no faticosamente provando oggi.

Nel primo capitolo Buruma mette in guardia dalla semplificazio-ne che, circa il ruolo della religione nella vita pubblica, vede net-tamente contrapposti l’approccio americano e quello europeo. Perfare questo sottopone a verifica la tesi di Tocqueville secondo cuila democrazia americana deve la sua solidità alla morale comunegarantita dalla fede protestante. È vero che l’esito americano del-la separazione fra Stato e Chiese fu molto più democratico delleproposte di “controllo” delle Chiese fatte da filosofi come Hobbese Spinoza, però ciò non si può ricondurre alla genuina religiositàdella popolazione quanto piuttosto al fatto che, a differenza chein Europa, nessuna Chiesa si era là trovata in condizioni di im-porre una netta supremazia e ciò aveva lasciato buon gioco alleposizioni separatiste di figure come Thomas Jefferson (che co-munque, osserva Buruma, per tempo si cercò di delegittimare conl’accusa di ateismo). L’autore sembra tenere molto ad informareil lettore americano che l’Europa non è stata e non è una generi-ca patria della laïcité da contrapporre agli Stati Uniti, che sono sìpatria del “muro di separazione” ma anche dei telepredicatori,del Rinatismo evangelico e della politica aggressiva dei teo-con:ricorda così il disegno politico del calvinista olandese AbrahamKuyper (1837-1920), il cui motto era “Non una Chiesa di Stato, mauno Stato della Chiesa”. Peccato che l’Italia sia fuori dalle com-petenze dell’autore perché gli avrebbe offerto esempi che so-spettiamo ancor più calzanti.

Il secondo capitolo, sull’estremo oriente, è probabilmente quelloda cui il lettore medio impara di più. In Cina si può cogliere un se-colare confronto fra la concezione confuciana, latamente religiosain quanto affianca concetti come virtù e autocontrollo al rispettodelle tradizioni e alla pratica di riti, e quella autocratica, imper-niata sulla volontà imperiale e sulle leggi che la rappresentano: ilprimo imperatore (III sec. a.e.v.), Huangdi (dove “di” indica la na-tura divina), fu appunto nemico della concezione confuciana, eMao Zedong si poté vantare di averlo superato poiché aveva eli-

minato un numero cento volte superiore di studiosi confuciani!Nel maoismo stesso si può, infatti, riconoscere un’altra tendenzache in Cina ha dissolto ogni sviluppo verso la democrazia: il mille-narismo politico-religioso per cui, ciclicamente, certe personalitàhanno coagulato grandi masse entro un piano salvifico di rinno-vamento, operando di fatto una fusione fra autorità religiosa e lai-ca. Una predisposizione un po’ migliore alla democrazia sembrainvece essersi sviluppata in Giappone, seppure in modo tutt’altroche lineare. Qui infatti già fra XII e XIII sec. si era delineata una si-tuazione in cui al potere politico-militare degli shogun si affianca-va l’autorità religiosa-culturale promanante dalla corte imperiale:ne risultava di fatto una divisione Stato-Chiesa. A partire dall’ini-zio del XIX sec., però, grazie anche al contributo di studiosi che in-terpretarono il cristianesimo come motore della potenza dei pae-si occidentali, si cominciò a teorizzare la necessità anche per ilGiappone di una religione forte e pura, garante della “comunitàspirituale della nazione” (kokutai). Così si cercò di far diventare ladea del Sole, Amaterasu, un equivalente del Dio cristiano, forma-lizzando allo stesso tempo il culto shintoista delle linee di discen-denza imperiali: «i giapponesi, che in passato avevano separatol’autorità religiosa da quella laica, inaugurarono la loro età mo-derna ricongiungendole». La cosa non fu senza conseguenze, per-ché tale impulso ideologico aiutò sì il Giappone a confrontarsi conl’Occidente in maniera più efficace rispetto alla Cina e quindi amodernizzarsi, ma favorì anche le tendenze antidemocratiche eimperialiste, fino alla sciagura della Seconda Guerra Mondiale.

Anche il terzo capitolo, come il primo, prende spunto da una tesidi Tocqueville, e cioè che, a differenza del cristianesimo, l’islamnon potrebbe conservarsi in contesti democratici e culturalmen-te illuminati. Buruma tocca dunque i fenomeni socio-culturali chel’innesto dell’Islam in Europa ha portato con sé: la risposta co-munitarista provata con gravi limiti nel Regno Unito e in Olanda;il neofondamentalismo islamico come deriva identitaria di immi-grati di seconda generazione; il dibattito sui possibili baluardi del-l’Occidente (Cristianità o valori dell’Illuminismo?); gli imbarazzi del-la sinistra liberal e terzomondista dinanzi alle scelte religiose in-tegraliste degli “oppressi” e il conseguente passaggio di alcunisuoi rappresentanti a posizioni islamofobe tipiche dei conserva-tori (cita Melanie Philips, non la Fallaci); il pericolo del relativismoculturale assoluto e il rischio suicida di tollerare gli intolleranti; l’i-deologia religiosa usata per fomentare, ma anche per screditare,una rabbia politica non sempre ingiustificata. Per la loro emble-maticità vengono ripercorse le vicende dello scrittore Salman Ru-shdie, dell’attivista atea Ayaan Hirsi Ali e del pensatore islamicoTariq Ramadan. A conti fatti, secondo Buruma, la tesi di Tocque-ville deve essere confutata dalle scelte politiche degli europei, for-ti della sperimentata capacità di far convivere, seppure dopo se-coli di sangue e oppressioni, cattolici, protestanti, ebrei e non cre-denti: per arrivare ad una integrazione pacifica la «via da segui-re, dunque, non sta nell’insistenza sul conformismo sociale, e tan-to meno teologico, bensì nell’osservanza della legge e delle rego-le fondamentali della società democratica».

Fabrizio Gonnelli, [email protected]

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adesso basta”, e quindi adottando unmodo di pensare irreligioso, ateistico ematerialista. I risultati dell’indaginesono stati così ricchi e complessi dapermettere soltanto in questa sedeuna sorta di rendiconto fatto in basealle tematiche che è sembrato più im-portante enucleare [1].

1. Atei ben accetti e atei malfamati

Si può tranquillamente dire che sì, di in-diani che hanno reagito con una sceltaateistica ce ne sono stati da subito; vo-lendo già il buddismo e il giainismo nonprevedono la nozione di un dio creato-re. Ma la questione non sembra risoltacosì semplicemente, poiché oltre allacredenza in Dio, ai nostri scopi è daprendere in considerazione anche lacredenza nell’anima e in un suo qual-che destino dopo la morte, in qualsiasimodo siano concepiti l’una e l’altro. Sen-za l’anima vengono infatti meno, a dirpoco, l’idea del ciclo delle rinascite equella del karma, coessenziali al siste-ma teologico-sociale dell’induismo. Perquanto riguarda la sola credenza in Dio,infatti, può sorprendere venire a sape-re che due dei sei sistemi tradizionali(darsana) del pensiero indiano (l’epocadi ciascuno non è precisabile, le originicomunque precedenti di qualche seco-lo l’era volgare) non ritengono affattoessenziale credere nell’esistenza di unasiffatta entità. La Sankhya, a farla mol-to breve, interpreta infatti il mondo coni concetti di purusa (qualcosa come le in-finite anime intelligenti) e di prakrti opradhana (natura naturante, materia),due realtà dalla cui interazione nascel’illusorio legame fra anima e materia,legame che però è alla base della per-cezione stessa del mondo da parte del-la psiche (vista come una sorta di vi-luppo materiale della impassibile ani-ma). Insomma, di una divinità che met-ta ordine in questo cosmico balletto dacui l’anima aspira a liberarsi (la me-tafora è delle fonti) pare che i pensato-ri della Sankhya non abbiano sentito ilbisogno (mentre quelli della scuola Yo-ga, che pure parte da principi più o me-no uguali, sì ... bontà loro).

A fare a meno di Dio la Mimansa ci ar-riva invece da una strada diversa. Sitratta di una scuola di pensiero che as-solutizza il ritualismo vedico elaboran-do una dottrina del “sacrificio creato-re” (si può immaginare quanto chiara escorrevole): «l’universo e l’uomo sonoretti dal sacrificio ... il sistema non am-mette nell’universo nessun interventodivino, per il fatto stesso che un dio

creatore e distruttore dell’universo nonesiste» (Tucci). Il risultato è che ad es-sere considerati eterni sono i Veda enon Dio. Paiono roba da ultraortodossihindu questi testi (e sono molti!) dellaMimansa, eppure non c’è Dio di mezzo,ma solo i nomi delle divinità, la lororealtà cultuale che permette di dare cor-po al sacrificio “che crea frutto”(!). Mol-to diversa la piega che le vicende assu-mono quando invece di mezzo c’è, ac-canto alla non credenza in un Dio, an-che l’opzione intellettuale per il mate-rialismo. È vero che, isolate considera-zioni di stampo materialista ricorronofin da età molto antica, nelle Upanisade nell’epica classica, però si ha l’im-pressione che tutto ciò resti un po’ co-me Qoêlet o Giobbe nell’Antico Testa-mento, una voce problematica e disso-nante ma armonizzabile quanto basta eanzi utile ad arricchire l’interpretabilitàortodossa del corpus [2].

In realtà solo abbastanza tardi, standoa studi recenti, il pensiero materialista-ateo indiano avrebbe trovato una si-stemazione vera e propria, compiuta se-condo il metodo della filosofia “alta” (laGrande Tradizione), cioè in forma di afo-rismi filosofici accompagnati da com-mentari [3]. Si tratta della Lokayata (oLokayatika), ovvero scuola di pensiero“mondana” (da loka, mondo), megliodefinita come Carvaka/Lokayata. I suoifondamenti?

«I) negazione della rinascita e dell’al-dilà (paradiso e inferno) e dell’immor-talità dell’anima, II) rifiuto della cre-denza nell’efficacia del compimento del-le azioni religiose, III) accettazione del-l’origine naturale dell’universo, senzabisogno di un dio creatore o di qualchealtro agente soprannaturale, IV) cre-denza nella superiorità della materiasulla coscienza, e dunque del corpo sul-lo spirito (anima), e infine V) afferma-zione del primato della percezione di-retta su tutte le altre modalità di cono-scenza, come ad esempio l’inferenza, lequali restano in tal modo secondarie, eattendibili se e solo se basate sulla per-cezione e non, ad esempio, sulle scrit-ture» (Bhattacharya).

Mica poco, no? E però è molto signifi-cativo che a questo forse fin troppo lim-pido elenco si sia arrivati solo rico-struendo da citazioni e parafrasi inopere di filosofi antimaterialisti, per-ché i testi originali sono andati persitutti prima del XIV sec., evidentemen-te a seguito di una opera di censu-ra/rimozione messa in atto sia dal ver-

sante induista sia da quello buddistae giainista. Il sistema Carvaka/Lokaya-ta non ha così ottenuto un posto ac-canto agli altri e ha anzi subìto i colpi diuna pesante pubblicità negativa: vistoche non dava importanza all’ascesi, cri-ticava il sistema delle caste e perfino ladiscriminazione delle donne, inevitabi-le che venisse denigrato con l’accusa dismodato edonismo. Il parallelo con lasfortuna di Epicuro e dell’epicureismonell’Occidente cristiano è fin troppo evi-dente ... e la dice lunga.

2. Il rifiuto della tradizionee del brahminismo

Dunque un filone di pensiero ateo ematerialista in India esiste da moltotempo, è stato offuscato in varia ma-niera ma ne resta comunque vistosapresenza nella trattatistica; di certo ibrahmini colti ne hanno sempre senti-to parlare, anche solo per ripetere gliargomenti con cui sbarazzarsi in fret-ta del volgare pensiero materialista diquesti nastika (non credenti, nichilisti).A un certo punto, diciamo nella se-conda metà del XIX sec., ecco che en-trano in azione gli effetti delle dinami-che sociali e culturali connesse col co-lonialismo inglese. E da qui prendenuovo abbrivio il pensiero umanista erazionalista indiano, in parte grazieagli Inglesi, in parte contro di loro econtro le caste che più traevano van-taggio dal governo coloniale. Di sicurola diffusione del sistema educativo an-glofono e la conseguente creazione diuna intellighenzia locale relativamen-te aggiornata sulle idee europee hagiocato un ruolo importante. Mi pareche abbia un senso semplificare indi-cando due percorsi tendenziali: (1)un’adesione diretta a idee positivistee razionaliste occidentali viste comemotore di progresso, con conseguentevolontà di allontanarsi dalla tradizio-ne indiana, (2) una risposta che po-tremmo dire nazionalistica, nel sensocioè che è fiera di ricollegarsi alla ster-minata tradizione filosofica indiana(che è anche scientifica, non dimenti-chiamolo) in quanto essa sarebbe nonsolo già di per sé in possesso dei mez-zi per rinnovarsi e spingere al rinno-vamento ma anche capace di assorbi-re e superare, migliorandoli, i germi delpensiero occidentale, scientifici, poli-tici o religiosi che siano. Poiché l’ondalunga a cavallo del XX sec. è quella di-retta verso l’unificazione e l’indipen-denza del paese e i pensatori indiani sitrovano regolarmente a fare politica,l’atteggiamento nazionalistico risulta

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in sostanza quello vincente, quello che“passa” nella comunicazione come in-diano autentico.

Di sicuro hanno un ruolo chiave in que-sto processo figure carismatiche, comeGandhi, di cui diremo fra poco; o Sri Au-robindo (1872-1950), un formidabile in-gegno che, sintomaticamente, era an-dato a studiare in Inghilterra per allon-tanarsi dalla “zeppa” della cultura in-diana e poi ne era diventato un cam-pione, se pure di nuovo tipo; o ChandraMukherjee (1865-1943), figlio di un ateosostenitore della Religione dell’Umanitàdi Comte, che fondò la rivista “Dawn”,organo importante del movimento na-zionalista: a un certo momento fu “illu-minato” ed ebbe una svolta religiosa:racconta, pare, di aver sentito una chia-ra voce risuonargli dentro, “God exi-sts”!. Però a qualcuno questa piega nonpiace, si accorge che è pilotata da per-sonaggi che mantengono i ruoli e i mo-di del brahminismo, seppure aggiorna-ti; iI Partito del Congresso appare a mol-ti colonizzato dal modo di pensare brah-minico e dai suoi interessi economici.Ecco quindi, ad esempio, Ramasami Pe-riyar (1879-1973), attivista di culturadravidica fondatore del “Self RespectMovement”, che, quasi a rispondere al-la “voce” di Mukherjee, iniziava abi-tualmente i suoi discorsi ripetendo co-me un mantra “Non esiste alcun dio,non esiste alcun dio, non esiste affattoalcun dio”; mentre per Ramchandra Rao(1902-1973), più noto come Gora, fon-datore alla fine degli anni ’30dell’“Atheist Center”, il teismo è di persé causa di ineguaglianza e ingiustizianelle società. Sembra di capire che se-condo questi critici anche i più apertimembri del Congresso, quelli più attivia parole per il superamento delle castee della “intoccabilità”, risultavano poinei fatti degli ambigui prosecutori diuna tradizione oppressiva e antieguali-taria. Colpisce il fatto che alcuni di que-sti intellettuali atei/razionalisti/umani-sti abbiano appoggiato manifestazionisimbolicamente estreme come il rogodi libri, una cosa che agli umanisti eu-ropei fa sempre, e giustamente, venireun po’ i brividi. Erano, in qualche modo,falò di esasperazione contro testi (an-che il poema Ramayana, ad esempio)che si ritiene abbiano garantito il mille-nario monopolio culturale brahminico(e sanscritofono) e abbiano contribuitoa mantenere sottomesse e divise le ca-ste inferiori [4].

Dunque nella lotta per l’uguaglianza [5]e nelle connesse tensioni sociali e cul-

turali sembra di poter riconoscere il mo-tore primo dell’ateismo contemporaneoin India, o, perlomeno, della sua uscitanella dimensione pubblica. L’interioriz-zazione della visione induista è sentitacome una minaccia politica di tale gra-vità che il paria Bhimrao Ramji Am-bedkar (1891-1956), promotore della“lotta non violenta” (satygraha) e de-stinato a diventare uno dei padri dellaCostituzione dell’India indipendente,nel 1935 per emancipare le masse di da-lit [6] (dai quali egli è oggi in molte par-ti dell’India venerato più di Gandhi) tuo-nava: “Troncate i vostri legami con l’in-duismo. Entrate in una re-ligione dove otterrete pacee dignità. Ma ricordate discegliere solo quella reli-gione in cui avrete ugualestatus, uguale opportunità,uguale trattamento” [7].

Ma non molti, sembra, de-vono aver pensato che col-locarsi tout court “fuori re-ligione” potesse essere unmodo efficace per com-battere la condizione di“fuori casta”. Maggiore,purtroppo, il numero diquelli che hanno indirizza-to altrove l’invito, incon-trando magari sulla pro-pria strada missionari (cat-tolici o protestanti) eimam. Con conseguentiattriti sociali e culturali dinon poco conto [8]. Tant’èvero che ancora all’iniziodi questo secolo c’è statoin alcuni stati indiani il tentativo dirafforzare le “Anti-Conversion Laws”,il che ha sollevato le dure critiche di chiha visto in ciò un tentativo di limitare lalibertà religiosa da parte dei paladinidella Hindutva [9].

Comunque sia, a fronte del radicalismoateo o dell’uso politico della conversio-ne religiosa, la strada effettivamente per-corsa dall’India verso la secolarizzazio-ne (si ricordi che la costituzione indianaè una delle poche al mondo a dichiararelaico lo Stato già nel preambolo) è statacaratterizzata da un atteggiamento as-sai più inclusivo nei confronti delle reli-gioni, induismo e islamismo in primis. Unruolo centrale in ciò, ovviamente, spet-ta a Gandhi, la cui opera di risveglio del-la coscienza indiana si è presentata coni tratti di un rinnovamento religioso-spi-rituale, anche a livello di linguaggio e diimmagine. Gandhi [10] passò da posi-zioni hindu abbastanza ortodosse a una

concezione più eclettica, influenzata dalgiainismo ancor più che dal buddismo,una posizione che potremmo definire“ecumenica” (dichiarava, ad esempio,di accettare l’autorità dei Veda ma anchequella della Bibbia, del Corano e dell’A-vesta), umanistica, se si vuole, sempreperò marcata in senso religioso: nono-stante i frequenti appelli alla razionalità,restava uno spiritualista sospettoso del-la modernità e della tecnologia, rifiuta-va l’intoccabilità (e difatti rinominò ha-rijan, “popolo di Dio” i dalit!) ma mai harinnegato la “divina bellezza” della con-cezione del varna-vyavastha, pur inter-

pretandola in maniera, diciamo così, “li-beral”.

La sua originale mescolanza di tradi-zionalismo e di riformismo non bastò adevitargli, alla fine, lo scontro con l’alahindu più reazionaria, da cui provenival’uomo che lo uccise, ma certo fu più chesufficiente per dispiacere profonda-mente, sul versante opposto, ad esem-pio al succitato Periyar, che ancora nel1973 considerava il gandhismo una iat-tura per l’India, da abolire non menodelle religioni e della fede in “Dio”. E si-gnificativo anche ciò che dice a propo-sito di Gandhi e della sua sathyagraha(per noi correntemente “lotta politicanon violenta”, ma etimologicamente“fermezza nella verità”) Gora, il qualeha dedicato la vita ad emancipare l’a-teismo da quanto di negativo vi è con-nesso nella cultura dominante arrivan-do a definirlo “il dominio dell’uomo suquesto mondo” in opposizione al tei-

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smo, che rappresenta invece per lui laresa dell’uomo dinanzi al mondo. Dicedunque Gora su Gandhi:

“Poiché la satyagraha afferma la libertà del-l’individuo di sapere e di insistere sulla sin-cerità, essa è per principio ateistica. Avrebbepotuto essere il punto di partenza per il mo-vimento ateistico in questa età moderna. MaGandhi, che l’ha proposta, l’ha spiegata nellinguaggio del teismo. Il linguaggio del tei-smo che era familiare alla gente gli ha dato ilvantaggio di una comunicazione facile conla gente. Ma dopo Gandhi la gente è tornatasulle strade contenute nel linguaggio e ha of-ferto una lealtà puramente formale ai princì-pi di verità, uguaglianza, apertura e non vio-lenza. L’esperienza rivela la necessità di unateismo dichiarato per avere un progres-so stabile. La satyagraha di Gandhirichiede una correzione in sensoateistico per una duratura utilità”[11].

3. Umanismi, fiducia nellascienza e smascheramento delsoprannaturale

La correzione ateistica vagheg-giata da Gora – qualsiasi cosa po-tesse significare – non c’è stata,la classe politica indiana non èdivenuta particolarmente notaper la sua caratura laica o nonreligiosa [12] e tuttora la bu-rocrazia dà per sottinteso cheun cittadino indiano si ricono-sca in un gruppo di fede [13]. Icontrasti interreligiosi, con gruppihindu e gruppi musulmani come pro-tagonisti e quelli cristiani in seconda li-nea, sono scoppiati violentemente a piùriprese, anche dopo la sofferta soluzio-ne della separazione del Pakistan amaggioranza musulmana dal “corpo”indiano a maggioranza hindu (1947).Ciò detto, bisogna ammettere che unoStato che ha avuto per 17 anni primoministro un signore come Nehru (vedila sua affermazione in epigrafe) ha co-munque fatto un suo sensibile pro-gresso sul cammino non solo della lai-cità ma proprio dell’umanesimo razio-nalista, soprattutto se si pensa alla si-tuazione di partenza.

Un importantissimo contributo cultu-rale e politico in questo senso è venu-to, a titoli diversi, dalle “eroiche” figu-re della cui attività rende conto la mo-nografia di Ramendra (vedi nota 1), unpo’ schematica ma ricca di dati e pre-ziosa perché informa su scritti e discor-si molto spesso circolati solo in linguedell’India. Oltre che a Periyar Ramasa-mi, Ambedkar, Gora e Ramswaroop

Verma, ai quali si è già fatto cenno, ca-pitoli specifici sono dedicati a Mana-bendra Nat Roy, Narsing Narain,Abraham Kovoor e Amritlal BhikkuShah. M.N. Roy (1887-1954) è il più ce-lebre a livello internazionale, visto chefu un instancabile attivista dalla vita av-venturosa, passato da posizioni marxi-ste (fu tra i fondatori del partito comu-nista indiano e di quello messicano, tan-to per dire!) alla elaborazione di unapropria filosofia politica ed esistenzia-le che definì “Radical Humanism”. L’i-dea di diffondere un umanesimo per tut-ti, non elitario e capace di coagulareun’etica comune liberando al contem-

po dalle paure “religiose” ciascunindividuo, è al centro anche del-

l’opera di Narsing Narain (1897-1972), fondatore della “IndianHumanist Union” (1960): perlui l’umanesimo non è una re-ligione, ma non si sdegna se

qualcuno pensa chelo sia poiché riconosce che esso do-vrebbe svolgere nelle società la stessafunzione che troppo a lungo si sono ri-servate le religioni [14].

A.B. Shah (1920-1981), fondatore della“Indian Secular Society” (1968), prove-niva dalla cultura cristiana (siriaca) e fraquesti personaggi si distingue per unpiù marcato interesse alla filosofia del-la scienza e delle religioni (del 1981 è ilvolume Religion and Society in India).Originale, inoltre, la sua stretta colla-borazione con uno studioso e attivistadi cultura musulmana, Hamid Dalwai,col quale verificò sul campo lo stato del-le relazioni fra hindu e musulmani. Il fat-to che Gandhi non fosse stato capacedi risolvere a fondo il problema di talirelazioni secondo Shah indica il falli-mento della concezione indiana di se-colarismo, inteso solo come garanzia diuguale trattamento per tutte le religio-ni da parte dello Stato. Ma così il pro-cesso è fermato a metà e manca la par-

te che limita le pretese dei gruppi reli-giosi più potenti di interferire negli am-biti di rilevanza pubblica, dove le que-stioni sono da affrontare solo su basi ra-zionali e scientifiche [15].

E con ciò si tocca un ultimo punto cheaccomuna questi pensatori e che è sicu-ramente rilevante nel definire i tratti delrazionalismo indiano contemporaneo,ovvero la ferma convinzione che solo at-traverso il metodo scientifico si può giun-gere ad una conoscenza vera, condivisi-bile e utile; e, oltre a ciò, democratica,non riservata ad una casta ristretta (es-sendo invece l’elitismo culturale uno deibastioni del brahminismo, ben assecon-dato, a dire il vero, anche dal sistema ac-cademico coloniale). Da qui due filoni diinteresse ed azione: la scuola e la for-mazione aperta e diffusa al massimo, ca-pace di sviluppare lo spirito critico e pri-va di contenuti confessionali; e la sfidaalle superstizioni e al soprannaturalismo.Fra levitazioni di yogin, materializzazionidi oggetti e statuette di Ganesh che be-vono il latte, per tutto il ’900 in India c’èstato sempre lavoro per simile de-bunking, e verosimilmente ce ne sarà

ancora a lungo.

Spicca in questo ambitoAbraham Kovoor (1898-1978),fondatore della “RationalistAssociation”. Riprendendoun’idea lanciata nel 1922 dal“Scientific American”, nel1963 ufficializzò un premio

per chiunque avesse eseguitoin condizioni di controllo scientifi-

co almeno un “prodigio” a scelta fra tut-ti quelli normalmente vantati dai varisantoni: sono 21 challenges che furonodiffusi in tutto il mondo e che andavanodalla lettura del numero di serie di unabanconota sigillata al restare in apneaper mezz’ora, dal camminare sull’acquaal non impressionare col proprio corpouna pellicola fotografica. Chi voleva af-frontare la prova doveva versare una di-screta somma in cauzione, che avrebberiavuto indietro solo insieme al premio.Fu la prima di una serie di sfide simil-mente organizzate poi da singoli (comeil celebre James Randi) e associazioni intutto il mondo (anche in Italia dal CI-CAP), i cui premi restano tutti ancora daincassare. Dopo Kovoor questa linea di“attivismo razionalista” ha continuato asvilupparsi in India, ad esempio con l’as-sociazione “Indian Skeptic” di BasavaPremananda (1930-2009), esperto di pre-stidigitazione che ha denunciato i truc-chi di Sai Baba sfidando la potente lobbymistico-politico-economica edificatasi in-

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torno a questo santone. Sanal Edama-ruku, attuale presidente della “IndianRationalist Association”, è uno dei ri-cercatori che ha proseguito con grandeimpegno questa lotta: dopo la suscetti-bilità dei fedeli di Sai Baba, ha provatodi recente anche quella dei cattolici diMumbai, che si sono sentiti offesi dallesue dichiarazioni a proposito di un Cri-sto che versava acqua nella chiesa di Ve-lankanni e lo hanno denunciato in basealla blasphemy law del 1860 che colpi-sce coloro che agiscono “con atti deli-berati e malevoli per ferire il sentimen-to religioso altrui” [16].

C’è decisamente ancora del lavoro da fa-re. Di sicuro questo “altro ateismo” in-diano è da frequentare con attenzione,non fosse che per i suoi 65 gruppi diatei/razionalisti/umanisti riuniti nella“Federation of Indian Rationalist Asso-ciations” (presieduta da un altro grandedebunker di miracoli, Narendra Nayak) eper siti molto ricchi ed utili come Nir-mukta, che significa “del tutto liberato”.

Note

[1] Queste riflessioni devono moltissimo a unlibro disponibile gratuitamente sulla Rete e aun articolo che si può leggere sul sito del-l’UAAR, rispettivamente: Dr. Ramendra (incollaboration with Dr. Kawaljeet), Rationalism,Humanism and Atheism in Twentieth CenturyIndian Thought, Buddhiwadi Foundation, Pat-na 2007 e, Ramkrishna Bhattacharya, Il ma-terialismo in India. Uno sguardo sinottico (tra-duzione di Federica Turriziani Colonna). Fragli altri testi utilizzati, cito almeno GiuseppeTucci, Storia della filosofia indiana, Laterza,Bari-Roma 2005 (prima ed. 1957), Radhakri-shnan, La filosofia indiana. Dal Veda al Bud-dismo, trad. it. Einaudi, Torino 1974 (orig.1923) e David Smith, Induism and Modernity,Blackwell Publishing, Malden-Oxford-Berlin2003. Non utilizzato invece un volume che èdoveroso segnalare per chi voglia approfon-dire: Indian Atheists, Hephaestus Book 2011,che pare aver raccolto testi e materiale variosoprattutto dal Web di e su figure come Neh-ru, Amartya Sen, Arundhati Roy, Basava Pre-manad e parecchi altri.[2] Mentre per quanto riguarda il divino crea-tore il Rg-Veda stesso occasionalmente espri-me delle riserve: «Da che questa creazione?… forse si è formata da sé, o forse no. Coluiche la guarda dall’alto, dal sommo dei cieli,egli solo lo sa – o forse non sa», versi riporta-ti anche da Amartya Sen in L’altra India (trad.it. Mondadori, Milano 2005).[3] Vedi l’articolo di Bhattacharya citato nel-la nota 1. L’opinione corrente, tuttora più dif-fusa nelle fonti disponibili in Rete, è inveceche il Lokayata già esistesse addirittura alla

metà del primo millennio a.e.v.; per Bhatta-charya si tratta, par di capire, di un frainten-dimento, di proiezione a ritroso, sulla base dioccasionali riflessioni materialiste, di un si-stema molto più tardo. Chi scrive non ha la mi-nima idea di come si possa valutare la que-stione.[4] A partire almeno dalla “lotta non violen-ta” (satyagraha) promossa nel 1927 da Bhim-rao Ramji Ambedkar (sul quale vedi oltre neltesto) ci si imbatte ciclicamente in autodafédi opere sanscrite colpevoli di aver pesatoper secoli sulla vita di milioni di esseri uma-ni non meno delle “nostre” Sacre Scritture:obiettivo d’elezione gli Insegnamenti di Ma-nu (Manusmrti), un testo sanscrito compo-sto fra II sec. a.e.v. e II sec. e.v. in cui è si-stematizzata la ben più antica dottrina notacome varna-vyavastha, ossia l’ordinamentodivino della società da cui viene derivato ilsistema delle caste. Nel 1953 roghi del Ma-nusmrti furono organizzati dal movimentocapeggiato da Periyar Ramasami, nel 1978dalla “Indian Secular Society” di A.B. Shahe Hamid Dalwai, mentre nel 1978 fu la voltadell’ “Arjak Sangh” (Partito dei LavoratoriManuali) di Ramswaroop Verma (1923-1998),un importante leader socialista-rivoluziona-rio, che ha scritto anche un libretto in hindiil cui titolo suona “Il Manusmrti, una vergo-gna nazionale”.[5] Uguaglianza fra le caste ma anche all’in-terno delle caste fra uomo e donna: le istan-ze femministe sono ben presenti nelle operee negli scritti di molti razionalisti atei indianidel Novecento, che sottolineano come la ca-sta brahmina abbia imposto un regime ma-schilista molto rigido, laddove nelle caste bas-se, quelle produttive, da tempo si era prati-cata una relativa parità.[6] Dalit è un sinonimo di paria ora più diffu-so per indicare in genere tutti coloro che so-no esclusi dalle quattro varnas (caste), cioèBrahmini (in origine sacerdoti, sapienti), Ksha-triya (guerrieri), Vaishya (commercianti), Shu-dra (lavoratori e servitori). In questa formapura il sistema non è facilmente riconoscibi-le nella pratica perché già le sole quattro ca-ste sono differenziate su base locale in mi-gliaia di sottogruppi detti jati, e qualcosa disimile succede anche per i “fuori casta”. Que-sti ultimi fino ai primi decenni del XX sec. era-no vistosamente discriminati anche nella quo-tidianità in quanto “contaminanti”: Am-bedkar ricorda ad esempio che da ragazzo ascuola non poteva toccare il contenitore co-mune dell’acqua e che quindi per bere dove-va aspettare che un inserviente gli versassel’acqua in bocca![7] Ambedkar pensava al buddismo, in cuicredé di riconoscere una visione del mondoatea e razionale e su cui scrisse anche unamonografia (The Buddha and his Dhamma),convertendosi però solo nel 1956, due mesiprima di morire (dopo essere intervenuto il15 novembre 1956 alla World Buddhist Con-ference con una relazione dal significativotitolo “Buddha e Marx”!), in concomitanzacon una effettiva conversione di massa daparte della casta Mahar del Maharastra.

[8] Abbastanza rilevante e accompagnatoda contrasti violenti il caso degli oltre milleparia che si convertirono pubblicamente al-l’Islam nel 1981 a Meenakshipuram, nelloStato del Tamilnadu.[9] Vedi R. Carcano, A. Orioli, Uscire dal greg-ge, Luca Sossella Editore, Roma 2008, p. 264.[10] Può essere utile ricordare che Gandhinon era un brahmino di nascita, ma un vai-shya bamia, cioè membro di una casta sì su-periore, ma dedita al commercio, non alla po-litica e al governo, che per il varna-vyavasthadovrebbe essere esclusiva dei brahmini.[11] Ramendra 2007 (vedi nota 1), cap. 5. Gliscritti di Gora (che proveniva da famigliabrahmina ortodossa), fra cui An Atheist withGandhi, sono disponibili sul prezioso sito cheprende il nome dal suo libro più celebre, Po-sitive Atheism (1975): www.positiveatheism.org (visto che siamo su “L’A-teo”, piace segnalare anche che Gora pub-blicò dal 1969 la rivista “The Atheist”). An-che Ramswaroop Verma (vedi supra n. 4) cri-ticò duramente Gandhi per la sua accetta-zione a livello filosofico del varna-vyvasthae così fa Ramendra nel libretto Why I am nota Hindu, Buddhiwadi Foundation, Patna2011.[12] Va comunque detto che, stando a com-menti pubblicati sul sito www.defen-ce.pk, nella ultima (o penultima) legisla-tura diversi ministri hanno richiesto di com-piere il giuramento ufficiale nella forma chenon prevede la formula “In the name ofGod”.[13] Ad esempio è stato così nel censimen-to del 2011, per cui i non credenti indiani,che è ragionevole stimare in svariati milioni(J. Overdorf in “Global Post” del 1-6-2011parla di un 6% su una popolazione di un mi-liardo e 173 milioni), saranno statisticamen-te compresi fra gli “Altri”, insieme agli ap-partenenti a religioni di estrema minoranzae a culti tribali: vedi Ultimissime del 2 luglio2012 sul sito UAAR. [14] Molto importanti i suoi articoli “Religionand Philosophy in India”, “The Religion ofMahatma Gandhi” e “The Humanism ofJawaharlal Nehru”: inutile dire che alla scel-ta di Nehru andava la preferenza di Narain,il quale comunque ammirava la statura eti-ca di Gandhi.[15] Shah mostra un atteggiamento neo-po-sitivista, fiducioso non solo nel metodo scien-tifico ma anche nella tecnologia, dalla qua-le gli pare che in definitiva si siano ottenutibeni in misura molto superiore ai mali (ma-gari, se fosse vissuto fino al 1984, dopo lasciagura di Bhopal avrebbe dovuto riconsi-derare il problema del rapporto fra tecnolo-gia e produzione capitalistica ...).[16] Vedi in Rete il rendiconto di Joanna Sud-gen in IndiaRealTime del 15 maggio 2012.

Fabrizio Gonnelli, classe 1962, è un filologoclassico che si è occupato a lungo di edito-ria, scolastica e non (ma anche di diverse,forse troppe, altre cose).

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ALTRI ATEISMI

Dell’ateismo (o meglio degli ateismi),delle sue origini (o cause), delle sue ma-nifestazioni (o teorizzazioni) e dei suoiesiti è stato scritto molto, ed in modosempre più veemente in parallelo al cre-scere della sua diffusione nel mondomoderno. Nell’Occidente a prevalentetradizione cristiana il suo aspetto piùnoto è l’opposizione radicale e di prin-cipio all’idea del dio biblico, del quale èstata infatti decretata la morte. Ciò hada tempo immemorabile delineatoun’apparente piena antitesi fra cre-denza ed incredulità, mentre invece cre-denza (nel dio giudeo-cristiano) e suanegazione sono (a ben vedere, o alme-no per molti che si sono interessati al-l’argomento) solo gli estremi di un con-tinuum, al cui interno riscontriamo unaampia eterogeneità di atteggiamenticon un conseguente rilevante peso so-ciale.

Ateismo nel cristianesimo

Mi riferisco innanzitutto ai cosiddetti“atei pratici”, per come la stessa pre-dicazione cattolica ha definito coloroche pur affermando di credere nel diocristiano, vivono di fatto ignorandolo.Molti di costoro appartengono al tipo“consuetudinario” (come mi piace de-finirlo), oggi numericamente in declino.Di esso facevano certamente parte mol-ti dei nostri padri o nonni, e forse addi-rittura la maggior parte di coloro che untempo frequentavano da adulti la chie-sa (e da piccoli il catechismo) per abi-tudine puramente formale; che altret-tanto formalmente rispettavano i riti ei sacramenti, ma che poco conoscevanodella teologia ed ancor meno se ne in-teressavano; che nel quotidiano si era-

no di fatto (spesso quasi inconsapevol-mente) ritagliati una personale ed au-tocompiacente morale, che in definitivaavevano compiuto le fondamentali scel-te di vita sempre “come se Dio non cifosse”.

Il secondo tipo di ateo pratico che vie-ne alla mente, socialmente più accat-tivante ed attuale, è quello sincera-mente disposto (o almeno disponibilein prima intenzione) ad accettare ilmessaggio evangelico (eventualmentein una forma in qualche modo elabo-rata personalmente), ma che rigetta gliinattuali miti presenti nelle Sacre Scrit-ture, che non apprezza l’inquietanteDio biblico, che non accetta i dogmi in-trodotti dalla Chiesa e le irragionevolielucubrazioni dei teologi e che, in ulti-ma analisi, apprezza lo spirito cristia-no ma non (o più che) la religione cri-stiana. Ma l’ateismo non è solo con-trapposizione alla credenza; e para-dossalmente può essere ed è proprio ilfrutto o l’esito inevitabile di un pienoed onesto credere.

L’argomento cui mi riferisco non è cer-to fra i più esibiti (ameno da parte cle-ricale) e non senza ragione. Provo a sin-tetizzarlo prendendo spunto da due frai testi più noti in materia: quelli di Tho-mas Altizer e di Ernst Bloch (vedi i re-lativi box). L’idea di fondo di questi dueautori (per nulla i primi a proporla) è chenella storia del giudaismo e poi del cri-stianesimo l’idea stessa di Dio (agentesul mondo, esterno alla realtà materia-le) si sia progressivamente eclissata infavore di una progressiva presa di co-scienza individuale, con l’imporsi di unsoggettivismo religioso che non si rico-

nosce più nelle forme tradizionali dellacredenza e della religione istituziona-lizzata. Ciò sarebbe avvenuto non perdeviazione dalla concezione originariae seguendo un voluto allontanamentoda Dio, ma proprio in conseguenza diuna inevitabile e logica evoluzione delcredere, già implicita nel tardo ebrai-smo ma sempre più netta nel corso delcristianesimo. In esito a questo proces-so, il cristiano medio attuale, pur pro-clamandosi ancora cristiano, non fa piùriferimento al Dio biblico ma principal-mente all’uomo (divinizzato) Gesù edalle parti del suo messaggio non in con-trasto con i valori della modernità. L’a-teismo pratico ha dunque i contorni del-la demitizzazione e della desacralizza-zione. Filosoficamente non denota unarottura, ma anzi una continuità, un pro-gresso: nel senso di una umanizzazio-ne della religione, del passaggio ad unostato superiore di autocoscienza del-l’uomo.

A differenza dell’ateismo del mondoantico, che nelle sue forme più note na-sceva da una opposizione teorica allacredenza o da un aprioristico rifiuto diessa (ed era disprezzato e punito inquanto contestazione, entro certi limi-ti, dei vincoli sociali e del comune sen-tire), l’ateismo cristiano si mostra (a sa-perlo riconoscere) come evoluzione in-sita ed esito specifico del cristianesi-mo; ne condivide infatti le origini (ilmessaggio evangelico che sconfessa la“vecchia alleanza”) ed i motivi (una for-te pulsione etica). Non a caso è statoscritto in proposito che un vero (per cer-ti versi compiuto e “sano”) ateismo erapossibile ed è potuto infatti nascere so-lo all’interno dell’occidente colto e cri-

L’ateismo nel cristianesimo ed il cristianesimo ateodi Francesco D’Alpa, [email protected]

� EERRNNSSTT BBLLOOCCHH, Ateismo nel Cristianesimo. Per la religione dell’E-sodo e del Regno. «Chi vede me vede il Padre» (1968). Edizione ita-liana (2005): ISBN 978-88-0781850-9, Feltrinelli, pagine 368, € 12,50.

Radicale come sempre nelle sue tesi, in questo come nel preceden-te saggio Principio speranza (del 1959) l’autore espone (pur ricono-scendo l’importanza della religione ed il suo rispondere ai desideripiù profondi dell’uomo) una interpretazione antiteologica del cri-stianesimo e dello stesso giudaismo, ricollocandoli in una visioneutopistica con al centro l’uomo e non il trascendente. Per Bloch unareale rivoluzione socialista con al centro l’uomo è la vera buona no-vella attesa dall’uomo, liberatosi dai miti, dalla chimera della tra-

scendenza, dal timore di Dio, dalla tradizione patriarcale, dal pote-re dei teocrati. Ma questo frutto non può derivare dall’ateismo ni-chilista (senza implicazioni e votato alla disperazione), né da un il-luminismo fattosi fisso e statico, quanto dalla demistificazione con-creta della religione, operata dall’intelletto umano. Occorre afferra-re «il vivo senza religione traendolo dalla religione morta, il tra-scendere senza trascendenza, il soggetto-oggetto della fondata spe-ranza». Bruciati l’oppio e l’aldilà, scomparso il tabù del timore, restain scena l’uomo con i suoi misteri non più terrifici, orientato alla li-bertà e ad un trascendere senza autoalienazione. L’ateismo di Blo-ch è dunque una teologia della speranza, nella convinzione che «so-lo un ateo può essere buon cristiano, solo un cristiano può esserebuon ateo» (perché un cristiano ipocrita è il peggiore fra gli atei).

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ALTRI ATEISMI

stianizzato, a differenza di quanto nonè stato possibile nel mondo orientale(non cristianizzato). Come corollario diquesto schema interpretativo, tuttavia,accettata l’idea della inevitabilità di unateismo (in buona misura, peraltro, au-tocritico) insito nel cristianesimo, l’a-teismo tout-court (quello della nega-zione assoluta di Dio) può contare sudi un importante appoggio esterno nel-la sua opera di decostruzione del cri-stianesimo.

Cristianesimo ateo

Se è vero che il migliore ateo è il cri-stiano (della specie appena descritta),è altrettanto vero che il migliore cri-stiano è nei fatti l’ateo (come sostieneBloch). Solo un ateo può,infatti, realizzare disin-teressatamente le istan-ze etiche più “umane” edare un senso ai “valori”più avanzati. L’umaniz-zazione della giustizia,tanto per fare un esem-pio (pensiamo all’aboli-zione della pena di mor-te) non deve certo rin-graziare la Chiesa né lateologia cristiana; il vo-lontariato civile ha sensosolo per amore dell’uomoe non per compiacenza aDio; il sostegno agli indi-genti ha merito quandonon è promosso comeuna raccolta a punti perguadagnarsi il premio del paradiso.Amare il prossimo come se stessi èmassima evangelica, ma non è regolaetica ignota al mondo antico; e non pre-suppone l’autorità divina. Da qui unapossibile coincidenza (nell’agire) fraseguaci del Vangelo ed atei dai “mo-di” cristiani; e forse il mondo auspica-to dal cristianesimo ateo è davvero il

migliore dei mondi possibili, perché hal’uomo per soggetto, oggetto e fine.

Ateismo cristianista

Nella varietà delle misture fra ateismo ecristianesimo appare rilevante identifi-care una terza categoria (decisamentela peggiore): quella degli atei cristiani-sti, meglio descritti sui media come “ateidevoti”, molto numerosi fra gli intellet-tuali (fra i più noti al grande pubblico,tanto per citarne qualcuno, Guliano Fer-rara, Marcello Pera, Oriana Fallaci). L’a-teo devoto tipico fa integralmente sue (espesso acriticamente, contro ogni evi-denza razionale) molte delle tesi dottri-nali e soprattutto anti-ateiste della Chie-sa cattolica; non per una convinzione ra-

zionale, assai meno per un atto di fede(che addirittura può ripugnargli) ma so-lo perché (almeno dichiaratamente) gui-dato dall’intento di salvaguardare la“tradizione cristiana”, o meglio le pre-sunte “radici cristiane dell’Occidente”.L’orizzonte degli atei devoti non è quel-lo dei predicatori, ma quasi esclusiva-mente quello dei valori o meglio dei co-

siddetti “valori non negoziabili” (comeli definisce la Chiesa cattolica), anchenella presunzione che quelli che essi di-fendono sarebbero specifici e soprat-tutto originari del cristianesimo. Inrealtà, molti dei valori cui gli atei devo-ti fanno riferimento (ad esempio: la de-mocrazia, la libertà di espressione, i di-ritti civili, la salvaguardia della vita e delcreato) non sono nati in ambito cristia-no; la Chiesa cattolica li ha piuttostocooptati, spesso dopo averli a lungo av-versati. Se così è, questa difesa della“tradizione cristiana” è una comoda ma-schera, che nasconde interessi di altrogenere, soprattutto convenienze politi-che. Non può certo sorprendere che lamaggior parte degli atei devoti di oggisiano esponenti del conservatorismo,

così come quelli di ieri loerano dei fascismi (bastipensare a Mussolini). Ap-pare inevitabile che moltiintellettuali tradizionalisticritichino aspramente icristianisti e che molti cri-stiani accusino i cristiani-sti di avere svuotato la fe-de di qualunque senso re-ligioso; e non deve sor-prendere che proprio fra ipersonaggi più irreligiosia volte si verifichino (co-me fra i mafiosi che aspi-rano al “perdono”) “inat-tese” conversioni e inve-rosimili affermazioni di fe-de. Altre volte la fede nonviene dichiarata (o addi-

rittura è negata): l’interessato ne attri-buisce (ipocritamente) l’assenza allamancata ricezione di quello che i cri-stiani “autentici” ritengono un dono dalcielo, ma al contempo sostiene (moltosuperficialmente e immotivatamente)di vivere comunque (sia pure da non cat-tolico e non osservante) “come se Dio cifosse”.

�TTHHOOMMAASS AALLTTIIZZEERR, Il Vangelo dell’ateismo cristiano (1966), Edi-zione italiana (1969), ISBN 978-88-3400386-2, Astrolabio Ubal-dini, pagine 152, € 7,23.

Docente di Sacra Scrittura nell’Università di Emory in Georgia(USA), Altizer è stato uno dei più controversi esponenti di quelpeculiare ateismo che nascendo e sviluppandosi all’interno deldiscorso cristiano, non è antireligioso, né dichiaratamente an-ticlericale. Secondo il suo punto di vista, che si rifà essenzial-mente a Paolo di Tarso ed al Vangelo di Giovanni, utilizza il lin-guaggio religioso e si serve dei miti cristiani (ma storicizza, eli-minandolo, il trascendente, e avvicina la regola morale all’i-stinto) il cristiano è il solo abilitato a parlare di Dio e di quellasua morte e rinascita, senza la quale il cristianesimo non può

dirsi compiuto secondo le scritture. Il cristianesimo ecclesiastico(delle tante chiese che si rifanno a Cristo) ha dovuto fare i con-ti con la secolarizzazione e con la desacralizzazione del mon-do, e soccombe di fronte alla coscienza moderna ed alla cre-scente autonomia dell’uomo. Anziché escludere Dio dalla sto-ria, Altizer ipotizza che sia stato Dio stesso a volere lo svilup-po di una sostanziale autonomia dell’uomo, il quale può dun-que proseguire la sua storia esattamente come se Dio non esi-stesse, concretizzando così alla lettera il dogma della incarna-zione: Dio ed il Verbo scompaiono come enti trascendenti e sitrasferiscono nell’uomo; il sacro tradizionale si eclissa perchéil profano è divenuto sacro; l’ateismo dilagante è “buona no-vella” (ovvero “Vangelo”) perché precede l’epilogo del cri-stianesimo, ovvero la resurrezione di Cristo.

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CONTRIBUTI

Stimolata dall’articolo di Achille Taggi,L’uomo “animale eccedente”, pubbli-cato nel n. 3/2012 (81) de L’Ateo, mi so-no presa la briga di leggere anche il sag-gio di Paolo Flores d’Arcais, La naturadell’esistenza. Appunti per una filosofiadel finito, cui Taggi faceva riferimento.Al breve scritto di Taggi avrei voluto ri-volgere alcune tranquille obiezioni; ilponderoso testo di Flores d’Arcais, in-vece, mi ha fatto arrabbiare davvero. Miconcentrerò perciò sul saggio di Floresd’Arcais: saggio – devo dire – assai pre-tenzioso, in cui l’autore, con un lin-guaggio sapienziale infarcito dei peg-giori vezzi alla moda tra i filosofi italia-ni (ma a questo aspetto stilistico, se per-mettete, dedico un trafiletto a parte) esnobbando tanto i risultati di circa ses-sant’anni di studi sul comportamentoanimale (etologia, psicologia compara-ta, etologia cognitiva, neuroscienze evia dicendo) quanto la più comuneesperienza, arriva a enunciare una tri-ta tesi che credevo sostenessero ormaisolo i preti: l’animale segue l’istinto,mentre l’uomo ha la libertà – il “liberoarbitrio”, preferiscono dire i preti. Ri-sultato direi stupefacente per un auto-re dichiaratamente ateo e da sempreimpegnato sul fronte della laicità. Ma avolte si verificano strane convergenzeideologiche. Il narcisismo dell’uomo, di-ceva Freud, mal sopporta di rinunciarea porre una cesura netta, ontologica, traHomo sapiens e le altre bestie [1] – e hol’impressione che Flores d’Arcais nonscherzi quanto a narcisismo.

In questi giorni sto traducendo un libromolto bello, L’animal singulier, dell’e-tologo francese Dominique Lestel, au-

tore davvero alieno – direi allergico – al-le contrapposizioni animale/uomo. Hol’impressione che se facessi leggere ilsaggio di Flores d’Arcais a DominiqueLestel, stramazzerebbe a terra con labava alla bocca. «Ciascun animale, uo-mo compreso – scrive Lestel – possiedeuno spazio di libertà più o meno ampiotra vincoli più o meno rigidi» [2]. La li-bertà, dunque, è una questione di gra-do: non è un muro atto a separare unavolta per tutte l’umanità dall’animalità.Ma andiamo con ordine.

L’argomentazione di Flores d’Arcais,una volta decriptato il linguaggio filo-sofico, è abbastanza semplice – e anchefacile da riassumere, dal momento chel’autore è piuttosto verboso e ripetiti-vo. «L’uomo è l’animale eccedente» [3]in quanto – unico in natura – esce dalcerchio bisogno-soddisfazione e dallagamma dei comportamenti stereotipa-ti in cui tutti gli animali risulterebberochiusi. L’uomo allora «non potrà mai piùsemplicemente essere» e trascenderàl’essere nel dover-essere («L’uomo èl’essere che nel suo essere deve tra-scendere l’essere in un dover-essere.Deve-essere sotto il segno del dover-es-sere. L’autos-nomos è la sua realtà e me-ta-realtà. All’infinito e nell’abisso. Ine-ludibilità ontologica del dover-essere»[4] – scusate, non è colpa mia se Floresd’Arcais scrive così). Perseguirà il “me-glio” anziché il semplice bisogno («Ilcrudo diventa cotto. La grotta diventacapanna […]. Così il fuoco. E l’amigda-la. E ogni strumento di comportamento»[5]), inventerà il progresso, il linguag-gio, le norme, la religione (questo in par-ticolare era il punto che interessava

Taggi), la società e i suoiruoli … «E molto altro an-cora» [6]. Tutto in virtù diun unico passaggio decisi-vo: dall’istinto alla libertà.È questo il salto ontologicoche inaugura la storia, cheè solo umana – poiché l’a-nimale non ha storia, «l’a-nimale, fino a che è (fino ache non si estingue o nonmuta in nuova specie) ènella perfetta rotondità delsuo essere senza tempo[…]. L’essere-istinto del-l’animale è l’eterno ritorno

dell’eguale» [7].Flores d’Arcais sembra proprio avermesso le braghe al mondo – ma in realtànon mi convince. Il suo ragionamentourta il mio buon senso quanto le mie let-ture – per carità, da dilettante – in temadi etologia. Scrive Flores d’Arcais: «Nel-l’animale bisogno e soddisfazione si cor-rispondono. Il bisogno non eccede maila possibilità della soddisfazione e lasoddisfazione la necessità del bisogno[…]: soddisfatta la fame (e la fame deipiccoli) la caccia del cibo cessa» [8]. Esnobba, come dicevo, l’esperienza co-mune. A quanto pare, non ha mai vistoun gatto. Chiunque possieda un gattosa che il gatto caccia per divertimentoe non per bisogno, e che prolunga il di-vertimento giocando crudelmente (o inun modo che a noi sembra crudele) conla preda. Secondo Flores d’Arcais, solol’uomo concepisce il dover-essere, dan-dosi delle norme: «l’uomo è l’animaleontologicamente normativo» [9]. Aquanto pare, non ha mai visto un cane.Chiunque possieda un cane sa che il ca-ne segue norme anche complesse e chea volte deliberatamente le trasgredisce,assumendo spesso in questi casi at-teggiamenti che denotano un inequi-vocabile senso di colpa. Niente di stra-no, dal momento che si tratta di animalidi branco (i gatti – buon per loro – di sen-si di colpa non danno proprio segno).Ma per Flores d’Arcais anche «l’essere-del-branco è comandato dall’istinto» e«l’architettura gerarchica del branco […]è scolpita nei cromosomi» [10].

Sono anni, anzi decenni che l’etologia ele altre discipline che si occupano delcomportamento animale non ragiona-no più nei termini di un così stretto de-terminismo genetico. L’etologia e glistudi comportamentali della primametà del Novecento sono stati, in ef-fetti, concentrati sui comportamenti au-tomatici di risposta a stimoli e sui ri-flessi condizionati, e certamente neglianni del trionfo della genetica la ten-denza a ritenere questi “istinti” codifi-cati nel DNA è stata molto forte. Ma lecose sono molto cambiate da oltre mez-zo secolo a questa parte. Già negli an-ni ’40 la diatriba tra innatismo e ap-prendimento aveva messo in luce l’im-portanza, per molte specie animali, del-l’imparare: direttamente, cioè median-

Filosofi eccedenti e animali singolaridi Maria Turchetto, [email protected]

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CONTRIBUTI

te l’acquisizione e l’elaborazione indi-viduale dell’esperienza, ma anche cul-turalmente, cioè mediante l’acquisizio-ne di elaborazioni altrui, per via gene-razionale oppure osservando il com-portamento esibito da propri simili. Apartire dagli anni ’60 si parla diffusa-mente di culture animali. Molti studio-si hanno messo in luce le abilità lin-

guistiche o proto-linguistiche di alcu-ne specie che consentono la trasmis-sione di informazioni complesse. Cen-tinaia di osservazioni e di esperimenti,nel corso degli ultimi cinquant’anni,hanno mostrato la stupefacente in-ventiva degli scimpanzé e la loro capa-cità di costruire strumenti in senso pro-prio. Le vecchie barriere che separa-

vano in via definitiva l’umanità dall’a-nimalità sono dunque cadute una dopol’altra e oggi nessuno, proprio nessu-no che lavori nel campo dell’etologia,della psicologia comparata, dell’etolo-gia cognitiva, delle neuroscienze sot-toscriverebbe quanto afferma Floresd’Arcais, che solo nell’uomo «l’istintonon de-finisce e determina più i suoicomportamenti, non li confina nella ca-tena della necessità stimolo-risposta.L’istinto non è più l’inesorabile decre-to che re-stringe i comportamenti-sì aseparazione dei comportamenti-no se-condo inviolabile istruzione cromoso-mica» [11]. Una massiccia evidenza spe-rimentale impedisce ormai di ridurrecartesianamente l’animale a una pre-vedibile macchina produttrice di rispo-ste automatiche.

Dominique Lestel mostra in modo par-ticolarmente efficace la distanza tra l’ap-proccio della vecchia etologia (che defi-nisce approccio “realista-cartesiano”) ele nuove tendenze che oggi ridefini-scono questo campo disciplinare. Perl’approccio realista-cartesiano «l’ani-male è determinato dalla sua genetica[…] e segue sempre delle routines com-portamentali», mentre secondo il nuo-vo approccio definito «bi-costruttivi-sta nel senso che l’etologia deve co-struire il modo in cui l’animale co-struisce il suo mondo», «la geneticadell’animale costituisce solo un vinco-lo tra altri» e «l’animale innova e in-venta. L’animale è un generatore di sor-prese». All’idea dell’animale-macchinaper cui «il comportamento dell’animaleè sempre causale e meccanicistico, dun-que l’animale si spiega attraverso unacatena di causalità» Lestel contrapponel’idea dell’animale-ermeneuta: «l’attivitàdell’animale si costruisce sempre attra-verso delle procedure di interpretazio-ne» [12]. Riprende, in questo senso, glistudi di Robert Rosen e Mihai Nadin sui“sistemi auto-anticipatori”: «Questi au-tori osservano che i sistemi viventi si di-stinguono dai sistemi fisici in virtù del-le loro capacità di anticipazione. Se la-scio cadere una pietra, posso calcolarela sua traiettoria di caduta; un siffattocalcolo è impossibile se lascio cadere ungatto, perché l’animale anticiperà ciòche gli accade e agirà di conseguenza,anche se il gatto è lui pure composto dimateria […]. Nel mondo della fisica, ab-biamo a che fare con entità omogeneesupposte comportarsi nello stesso mo-do quando incontrano le stesse cause.Il vivente è al contrario […] creativo, nelsenso per cui nessun essere vivente èesattamente la copia di uno stato pas-

SSUUII VVEEZZZZII FFIILLOOSSOOFFIICCII CCHHEE NNOONN SSOOPPPPOORRTTOO PPIIùù

Colgo l’occasione per stigmatizzare alcuni vezzi – o vizi – dei “filosofi da università” eda salotto mediatico che ormai mi esasperano davvero, e di cui il saggio di Flores d’Ar-cais rappresenta un notevole campionario.

Il primo è il vezzo dei ttrraattttiinnii. Dura ormai da quarant’anni buoni, da quando, negli an-ni ’70, scoppiò in Italia la moda di Heidegger e i filosofi alla moda presero a imitare ilsuo curioso stile di scrittura – irto di trattini, appunto. Massimo Cacciari è il virtuosodel trattino alla Heidegger per eccellenza, ma anche Flores d’Arcais non scherza. Itrattini vengono usati in genere per sottolineare l’etimologia di una parola (Heideg-ger spesso inventava di sana pianta improbabili etimologie, spesso veri e propri gio-chi di parole). Ad esempio, nella frase «i suoi bisogni non ormai aperti, in-certi, in-definiti e indefinibili. Pro-gettati. L’animale-uomo eccede gli istinti» (P. Flores d’Ar-cais, La natura dell’esistenza. Appunti per una filosofia del finito in MicroMega n. 4/2005,p. 242), Flores d’Arcais vuole sottolineare che i bisogni umani sono non certi e nonsemplicemente vaghi, non finiti e non semplicemente tantissimi, gettati in avanti (dun-que eccedenti) e non semplicemente pianificati. Va bene, Flores d’Arcais, ma non bi-sogna esagerare: capiamo lo stesso. Se poi si aggiungono anche trattini che anzichéseparare unificano (animale-uomo, dover-essere, soddisfazione-del-gusto, dover-es-sere-nel-mondo e via di questo passo), il risultato è molto simile ai file che si ottengo-no trasformando i pdf in doc: zeppi di inesorabili trattini di andata a capo, una dispe-razione, ci vogliono ore per stanarli ed eliminarli tutti. Dal punto di vista estetico – lasemplice estetica di una pagina a stampa pulita e ben equilibrata – è un disastro. So-no convinta che i tipografi si sentono male quando devono impaginare i testi di Mas-simo Cacciari.

L’altro vezzo dei filosofi che mi risulta indigesto è quello di rriiggiirraarree llee ppaarroollee e le frasicome frittate. Senti qua (è sempre Flores d’Arcais, ovviamente): «L’uomo è la scim-mia nuda per cui la necessità diviene possibilità e la possibilità necessità» (p. 242).Quando, all’inizio di p. 253, ho letto la frase «L’eccedenza è sempre mancanza», mi so-no stupita di non trovarla immediatamente rivoltata. Ma bastava avere pazienza peraltri otto capoversi: alla fine della stessa pagina ho, in effetti, scoperto che «questaeccedenza è anche mancanza», concetto ribadito tre righe oltre con una piccola va-riazione, «L’eccedenza potrà essere anche mancanza». Ma perché i filosofi fanno co-sì? Secondo me, è una tecnica che usano quando sono a corto di idee. Gira, rigira, spo-sta avanti, metti dietro … chissà che non ne esca qualcosa di strabiliante! Una voltaho visto un vecchio barone cascare goffamente nel corso di questo esercizio. A un con-vegno che si intitolava Rickert tra storicismo e ontologia esordì dicendo «Rickert trastoricismo e ontologia … ma non sarà piuttosto Rickert tra ontologismo e… e…» …elì si impappinò. Perché ontologismo e storia chiaramente non andava bene, tropposemplice e non significava nulla. E allora cosa avrebbe dovuto dire? Ontologismo estoricìa? Una figura penosa.

Infine, le ffrraassii iinnccoommpprreennssiibbiillii. Senti qua: «L’inizio è il dover-essere e il dover-es-sere inizia. L’essere sarà sempre l’essere di un dover-essere, detto da un dover-essere e contraddetto da un altro dover-essere (da un dover-essere sempre altro).Il dover-essere è l’ineludibile dell’essere-uomo e di ogni discorso sull’essere. Il dover-essere-altro è l’ineludibile dell’essere-uomo e di ogni discorso sull’essere» (p. 249).Ma che significa? Dài, Paolo Flores d’Arcais. Non esagerare, non eccedere. Forse Mas-simo Cacciari, che riempie interi tomi di arzigogoli linguistici di questo genere, non sascrivere. Ma tu sai scrivere. Fai il filosofo a tempo perso, ma sei soprattutto un pubbli-cista, un opinionista, scrivi su quotidiani e riviste articoli chiari e leggibili. Chi ti ha mes-so in testa che i filosofi debbano esprimersi in questo modo oscuro e bislacco? Il lin-guaggio – il flatus vocis cui tieni tanto e di cui le povere bestie sono prive – è fatto percomunicare, non per tirarsela.

Maria Turchetto, [email protected]

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CONTRIBUTI

sato» [13]. Di conseguenza non si puòsostenere, come fa l’approccio realista-cartesiano (e Flores d’Arcais) che «l’ani-male non ha storia»: «ogni animale si tro-va all’incrocio di tre storie la cui impor-tanza è differente: filogenetica, cultura-le e individuale» [14]. Lestel nota che unfilosofo come Dan Dennet ha dato que-sta definizione per la mente umana,«senza mai chiedersi se tale non potes-se essere il caso anche per altri anima-li». Ma a quanto pare i filosofi rinuncia-no mal volentieri a sostenere l’ineffabi-le unicità dell’uomo e hanno il vizio dinon tenersi abbastanza aggiornati in ma-teria di etologia.

Intendiamoci, non voglio affatto propor-re qui l’idea semplicistica – cara al darwi-nismo sociale e alla sociobiologia, ideo-logie che non condivido affatto – che l’uo-mo sia nient’altro che un animale. È deltutto legittimo – e oltremodo interes-sante – interrogarsi sulla specificità del-l’uomo. Farlo contrapponendo all’uma-nità una animalità indifferenziata rap-presenta tuttavia un errore di prospetti-va [15] – del resto, chi mai studierebbela specificità della giraffa sulla base diun’opposizione tra la giraffità e un’ani-malità generica? Secondo Lestel questoatteggiamento è ancora molto frequen-te perché «si radica nel progetto episte-mologico delle scienze europee»: la vec-chia etologia (come alcuni filosofi con-temporanei) «cristallizza in effetti le ul-time reliquie del pensiero colonialista eu-ropeo, in cui l’animale è il nuovo colo-nizzato: esso ha delle competenze infe-riori e bisogna dominarlo, prendersi cu-ra di lui per il suo bene» [16].

È il caso di precisare che la posizione diLestel non risponde soltanto a un pro-blema ideologico, ma anche ad esigen-ze proprie di alcuni studi particolari, co-me quelli sulle cosiddette “scimmie par-lanti” – come vengono chiamati gli scim-

panzé cui è stato insegnato il linguaggiodei gesti dei sordomuti, l’uso di lessi-grammi (cioè simboli che rappresenta-no parole) e l’uso di tastiere – di cui Le-stel si è occupato a fondo [17]. In questee altre ricerche è particolarmente im-portante abbandonare «il pensiero delsopra» [18], cioè la posizione di chi è aldi sopra del mondo per osservarlo in mo-do “oggettivo”, così come la «finzionedell’osservatore assente» [19] che cer-ca di non contaminare il comportamen-to dell’animale, per stabilire invece unrapporto ricco e stimolante con l’ani-male. In questo campo interessano in-fatti soprattutto gli animali singolari,quelli «che non si comportano come “do-vrebbero”», «le cui competenze non so-no riducibili a quelle delle specie cui ap-partengono» [20]. Interessano, insom-ma, gli animali eccedenti i comporta-menti della specie – non tanto in quan-to animali super-dotati, ma soprattuttoin quanto super-stimolati dall’interazio-ne con altre specie. Condizione, que-st’ultima, tutt’altro che artificiosa, dalmomento che, come fa notare Lestel, da-gli albori della storia viviamo in comu-nità ibride di uomini e animali [21].

A conclusione di questo articolo, in cuimi premeva soprattutto informare i let-tori sulle tendenze dell’etologia con-temporanea, torno brevemente al sag-gio di Flores d’Arcais. Mi chiedo che sen-so abbia costruire un’intera filosofia –con l’intento tutt’altro che modesto didefinire «chi è l’uomo» [22] – sulla tritacontrapposizione di istinto e libertà cheda oltre mezzo secolo le scienze della vi-ta hanno sconfessato – direi falsificato.La filosofia può certamente sviluppare ilproprio discorso indipendentemente dal-la biologia, trascendere la biologia, manon può permettersi di ignorarla. La miaimpressione è che negli ultimi anni i con-tributi non solo epistemologici, ma an-che filosofici più interessanti – in temadi soggettività, individuazione, coscien-za, concezione della temporalità e dellastoria – provengano dal campo della bio-logia più che da quella che Arthur Scho-penhauer definiva “filosofia da univer-sità” [23]. La “filosofia da università” (eda salotto mediatico) farebbe meglio adarsi una regolata, prima di diventareuna pomposa forma di sottocultura.

Note

[1] «Nel corso dei tempi l’umanità ha dovutosopportare due grandi mortificazioni che lascienza ha recato al suo ingenuo narcisismo.La prima, quando apprese che la nostra Ter-ra non è il centro dell’universo, bensì una mi-

nuscola particella di un sistema cosmico che,quanto a grandezza, è difficilmente immagi-nabile. Questa scoperta è associata per noi alnome di Copernico […]. La seconda mortifi-cazione si è verificata poi, quando la ricercabiologica annientò la pretesa posizione di pri-vilegio dell’uomo nella creazione, gli dimostròla sua provenienza dal mondo animale e l’i-nestirpabilità della sua natura animale. Que-sto sovvertimento dei valori è stato compiu-to ai nostri giorni sotto l’influsso di CharlesDarwin, di Wallace e dei loro precursori».Com’è noto Freud considerava se stesso – unpo’ narcisisticamente, se vogliamo – l’autoredi una terza mortificazione, avendo dimo-strato «all’Io che non solo non è padrone a ca-sa propria, ma deve fare affidamento su scar-se notizie riguardo a quello che avviene in-consciamente nella sua psiche» (S. Freud, In-troduzione alla psicoanalisi (1915-1917), inOpere di Sigmund Freud, a cura di C. Musat-ti, Boringhieri, Torino 1976, vol. VIII, p. 446).[2] D. Lestel, Pensare con l’animale, in Disci-pline Filosofiche, n. 1, 2009, p. 156.[3] P. Flores d’Arcais, La natura dell’esisten-za. Appunti per una filosofia del finito in Mi-croMega n. 4/2005, p. 242.[4] Ivi, p. 247.[5] Ivi, p. 246.[6] Ivi, p. 262.[7] Ivi, p. 241.[8] Ivi, p. 239.[9] Ivi, p. 247.[10] Ivi, p. 258.[11] Ivi, p. 241.[12] D. Lestel, Pensare con l’animale, cit., p.155. Lestel avverte che «queste opposizionisono certo un po’ artificiose, ma ricostruisco-no una tensione epistemica che possiede unapotenza euristica innegabile» (ivi).[13] Ivi, p. 157.[14] Ivi, p. 155.[15] Condivido, in questo senso, quanto scrit-to da Andrea Cavazzini in Uomini e animali,tra natura e cultura. Su alcuni problemi con-temporanei dell’etologia, in L’Ateo, n. 2/2009(62), pp. 5-8. Nell’articolo, tra l’altro, Cavazzi-ni parlava ampiamente dell’“etologia cogni-tiva” di Dominique Lestel.[16] D. Lestel, Pensare con l’animale, cit., p.168.[17] Cfr. D. Lestel, L’animal singulier, EditionsSeuil, Paris 2004, pp. 47-58.[18] D. Lestel, Pensare con l’animale, cit., p.168.[19] Ivi, p. 161.[20] Ivi.[21] Cfr. D. Lestel, L’animal singulier, cit., pp.15-34. «Una comunità ibrida uomo/animale èun’associazione di uomini e animali, entro unadata cultura, che costituisce uno spazio di vi-ta per gli uni e per gli altri, in cui vengono con-divisi degli interessi, degli affetti e del sen-so» (ivi, p. 19).[22] P. Flores d’Arcais, La natura dell’esisten-za. Appunti per una filosofia del finito, cit., p.239 (è l’incipit del saggio).[23] A. Schopenhauer, Sulla filosofia da uni-versità. Contro la stupidità in cattedra, TEA,Milano 1992.

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CONTRIBUTI

Nella presentazione del n. 4/2005 di Mi-croMega, Paolo Flores d’Arcais, mentreconviene sulla ormai ovvia considera-zione che, in tema di natura umana, lafilosofia è obbligata «a fare i conti conla scienza, anzi a riconoscere che lascienza ha eguale (almeno) diritto apensare il tema con i suoi strumenti»,dall’altra afferma che il «classico temadell’animale culturale […] viene al mon-do quando la scimmia si fa uomo», acausa di quella «vera e propria rottura,che quell’1 per cento di dna modificato,che quei pochi centimetri quadrati dicorteccia fanno irrompere nella storiadella vita» [1]. E così ecco riaffacciarsiil vecchio pregiudizio antropocentricosulla separazione netta fra umanità enatura, non lontano dall’argomento teo-logico del salto ontologico, qui riformu-lati entrambi come “eccedenza”: del-l’uomo rispetto all’animale, chiuso nel-la “rotondità” (ovvero nella definitezzae “perfezione”) del suo essere. Né piùné meno ciò che per i teologi costitui-rebbe la insuperabile differenza “qua-litativa” fra l’essere animato dallo spi-rito e l’animale “senza anima”.

L’idea illustrata da Flores d’Arcais nelsuo articolo [2] (come ben sottolineaMaria Turchetto in questo stesso nu-mero de L’Ateo), appare quanto maistrana: aperta alle scienze moderne nel-le premesse, ma di fatto disconnessadalle attuali conoscenze scientifichesulla oggettiva natura dell’uomo e de-gli animali. Una discrepanza evidenteanche rispetto a molti degli altri contri-buti presenti nello stesso numero di Mi-croMega.

Partiamo dall’assunto generale: “l’uo-mo è l’animale eccedente”. L’ecceden-za non è (o non è solo), per Flores d’Ar-cais, il “di più” che distingue l’uomo dal-l’animale, quanto la possibilità dell’uo-mo di eccedere se stesso, nel senso delpossesso e dell’esercizio di una “li-bertà” non limitata da alcuna “roton-dità” (come invece accadrebbe nei nonumani). L’impressione che ne ho, è cheFlores d’Arcais mescoli indebitamenteargomenti diversi. Che l’uomo abbiasviluppato una cultura che gli ha per-messo di superare la sua originaria (ro-tonda?) animalità è un dato di fatto, maoltre ciò manifesta davvero una ecce-

denza? E questa eccedenza, se così lavogliamo definire, mancherebbe neglialtri animali? Pensiamo a qualche esem-pio banale: le prime fondamentali “sco-perte” di alcuni uomini primitivi (la ge-stione del fuoco, la cottura del cibo, l’in-venzione della ruota, ecc.) sono mani-festazioni di “ordinaria” eccedenza?Assolutamente no, se riflettiamo sull’e-norme tempo occorso per acquisire estabilizzare ognuna di queste primissi-me tappe della civilizzazione. Ma que-ste conoscenze sono state trasmesse (esono trasmesse) con facilità all’interapopolazione dei simili: il che dimostrache esiste (ed è sempre esistita) nella“cerebralità” umana (geneticamentedeterminata) un’ampia possibilità di pa-droneggiare fenomeni e manufatti. Unaeccedenza o una norma, per la specie?

Ma anche nel mondo animale, ce lo in-segna l’etologia, avviene qualcosa di si-mile: scimmie che scoprono come (o im-

parano a) lavare le patate, che s’inge-gnano a costruire piccoli attrezzi perprocurarsi il cibo, che apprendono il lin-guaggio umano dei segni. Animali, inbuona sostanza, che sembrerebberonon avere iscritte nel loro repertorioistintuale queste abilità, ma che hannonel loro cervello la capacità di padro-neggiarle, oltre che di apprendere ciòche non è istintivo osservando i proprisimili o addirittura gli umani. Un’ecce-denza anche questa dunque, secondo ilragionamento di Flores d’Arcais; a me-no di non considerare quella dell’uomouna non-eccedenza. In realtà, sembra-no insegnarci l’etologia e l’antropolo-gia, il repertorio delle possibilità “bio-logiche” di ogni specie è molto più este-so di quello che si evidenzia nel com-portamento “naturale” (in assenza disollecitazioni dall’esterno) della specie,e alcuni singoli possono talvolta spon-taneamente mettere in campo qualco-sa di nuovo che dunque “eccede” ciò

La rotondità eccedente e l’eccedenza rotondadi Francesco D’Alpa, [email protected]

AADDEEGGUUAAMMEENNTTOO QQUUOOTTEE DDII IISSCCRRIIZZIIOONNEE EE AABBBBOONNAAMMEENNTTOO

Otto anni sono forse un record di invariabilità per la quota d’iscrizione ad una qual-sivoglia associazione, e ancora di più per il costo di una rivista come L’Ateo. Nel2004, infatti, per associarsi all’UAAR occorrevano 17 euro e per abbonarsi alla rivi-sta senza essere associati ce ne volevano 10, a partire dall’anno successivo tali quo-te vennero portate rispettivamente a 25 e 15. Naturalmente in questo lungo perio-do i costi sono lievitati ed è quindi giunto il momento di applicare un correttivo alletariffe in modo da assorbire quantomeno parzialmente l’aumento dei costi di ge-stione. Certo, in tempi di manovre e manovrine, di spending review e di spread, nonsi può infierire più di tanto sui già magri bilanci delle famiglie, ma fortunatamenteun aiuto ci arriva dalle cosiddette “nuove tecnologie”. Infatti, se da un lato è veroche la parte del leone negli aumenti l’hanno avuta le tariffe di spedizione, dall’altrosfruttando a dovere la possibilità di raggiungere gli informatizzati a costo zero si pos-sono abbattere drasticamente questi costi. I soci già da alcuni mesi possono scari-care la versione digitale de L’Ateo dall’area a loro riservata sul sito dell’UAAR, quin-di a questo punto si trattava di fare in modo che un semplice servizio aggiuntivo di-ventasse un’opzione che, liberamente scelta, si riflettesse positivamente sulla quo-ta sociale. Anche per la tessera sociale è stata introdotta la possibilità di optare perun file PDF inviato a mezzo e-mail al posto della tradizionale tessera plastificata; l’u-nica quota per cui non è previsto l’invio della tessera plastificata è quella ridotta ri-servata a studenti e soci in difficoltà economiche, che perciò è stata ulteriormenteabbassata. Qui sotto un riepilogo con tutte le nuove tariffe.

Il Comitato di Coordinamento UAAR

QQuuoottaa dd’’iissccrriizziioonnee rriiddoottttaa 1100 €€ ((rriivviissttaa ee tteesssseerraa iinn ssoolloo ffoorrmmaattoo ddiiggiittaallee))SSoocciioo oorrddiinnaarriioo wweebb 2200 €€ ((rriivviissttaa iinn ssoolloo ffoorrmmaattoo ddiiggiittaallee))SSoocciioo oorrddiinnaarriioo 3300 €€SSoocciioo ssoosstteenniittoorree 5500 €€SSoocciioo bbeenneemmeerriittoo 110000 €€AAbbbboonnaammeennttoo aa LL’’AAtteeoo 2200 €€ ((66 nnuummeerrii))SSiinnggoollaa ccooppiiaa ddee LL’’AAtteeoo 44 €€ // NNuummeerroo aarrrreettrraattoo ddee LL’’AAtteeoo 55 €€

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CONTRIBUTI

che è consuetudinario, ma senza ecce-dere per questo le possibilità finora ine-spresse della specie: una sorta di exap-tation culturale (usando il linguaggio diFlores d’Arcais: in ogni rotondità c’è ec-cedenza, ed ogni eccedenza è comun-que a sua volta rotondità).

Una seconda obiezione a Flores d’Ar-cais è l’inaccettabile contrapposizionefra istinto e ragione: l’animale sarebbeinesorabilmente confinato entro i limi-ti del suo istinto, nella circolarità frabisogno e suo soddisfacimento, al difuori della quale non avrebbe sostan-zialmente motivazioni all’agire. Pre-scindendo dal fatto che la stessa cir-colarità sembra appartenere (senzafargliene una colpa) a buona parte del-l’umanità attuale (e probabilmente an-che l’umanità primitiva non eccedevaquesta circolarità), attribuire agli ani-mali tale limite contrasta perfino con ilcomune buon senso. L’animale, infat-ti, già quando osservato nel suo habi-tat naturale, ma ancor più se in catti-vità o meglio se convivente con l’uo-mo, palesa incredibili “eccedenze”:comprende gli stati d’animo del suo pa-drone, elabora strategie, addirittura(secondo alcuni) ha un suo senso del-la vita e della morte e perfino una sor-ta di istinto religioso. L’animale può fa-cilmente essere addestrato, in paleseeccedenza alla sua natura. Taluni ani-mali possono sembrare più intelligen-ti dei meno intelligenti fra gli uomini.Ma, in tutto questo, l’animale restasempre se stesso; la sua rigida “circo-larità” è dunque solo apparente. C’è insua vece un insieme di istinto e libertà,come nell’uomo. L’istinto animale è almassimo una “ragione inferiore”; lad-dove si potrebbe anche sostenere chela ragione umana sia una specie diistinto superiore (a David Hume, adesempio, il ragionamento sperimenta-le appariva già null’altro che un tipod’istinto). La differenza fra uomo e ani-male non è dunque, ancora una volta,qualitativa (l’avere o no una “ecce-denza”), ma piuttosto il quantum diquesta eccedenza (o “circolarità”).

Terza considerazione: allo schema bisogno-istinto-soddisfacimento sfug-gono la curiosità ed il gioco, ben evi-denti negli animali, a dimostrazionedel fatto che l’apprendimento non av-viene solo quando conduce ad una ri-duzione del bisogno (come invece so-stenevano gli psicologi sperimentalidella prima metà del Novecento). Glianimali, come l’uomo, “desiderano”sperimentare certe impressioni e pro-

vare determinate esperienze, anche sequeste non sono finalizzate ad una ri-compensa; possono essere semplice-mente interessati, e dunque creativi;anzi, paradossalmente, proprio la pos-sibilità di avere un premio (solitamen-te il cibo) può ridurre la loro curiosità.Anche gli animali sono tendenzial-mente portati ad eccedere il loro re-pertorio istintuale, ad ampliare le pro-prie conoscenze, e verosimilmente adorganizzare le proprie esperienze, ri-modellando continuamente (come av-viene nell’uomo) i propri schemi com-portamentali: dunque “impadronen-dosi”, nelle proprie rappresentazionimentali, del mondo che li circonda egettandosi “oltre” lo spazio fino alloraconosciuto. In ciò non v’è alcuna “ec-cedenza”, ma piuttosto una sofistica-ta versione della straordinaria capa-cità di tutti i viventi di adattarsi al-l’ambiente e di sopravanzare il reper-torio dei comportamenti genetica-mente predeterminati.

Un quarto punto da contestare è l’i-potesi che la religione (o quanto me-no la religiosità) sia un prodotto cul-turale specifico dell’eccedenza. Quientriamo assolutamente nel campodella filosofia e della teologia; mi rife-risco ad una certa rappresentazionedell’uomo religioso (anzi, meglio, cri-stiano) per “natura” (anima naturali-ter christiana, secondo Tertulliano),immerso (ma non confondibile ed inassoluto contrasto con esso) nel mon-do del non umano (che costituirebbesolo il teatro in cui si svolge l’avven-tura umana). A turbare le idee deglispiritualisti, l’ipotesi di una religiositàanimale faceva comunque parte dellecredenze del mondo antico, ed addi-rittura era contemplata nella stessaBibbia (secondo il Salmo 148 anche lefiere e tutte le bestie in genere loda-vano il Signore); ed una certa tradi-zione cristiana successiva non eraestranea a questi concetti (san Fran-cesco d’Assisi predicava agli uccelli;il cavallo di sant’Antonio da Padova si

sarebbe piegato sulle ginocchia per ri-cevere l’ostia!). Ma queste idee (direimeglio: questa percezione della vici-nanza animale-uomo) è comunque ri-masta sempre ai margini (o fuori) del-l’ortodossia. Ci voleva Darwin per ri-portare autorevolmente in campo l’i-dea (scomoda per gli uomini del suotempo) che linguaggio e coscienza nonsono prerogative umane e che anchegli animali manifestano un chiaro at-teggiamento di devozione nel loro af-fetto verso il padrone.

Francamente non vedo ragioni per pro-porre, sotto mentite spoglie, da partedi Flores d’Arcais, una contrapposi-zione che nel pensiero occidentale hasempre avuto forti connotati teologici,ma pochi riscontri oggettivi una voltasottoposta al vaglio delle scienze na-turali. E poi, riflettiamoci bene, affer-mare che l’animale abbia una propriacircolarità non equivale in fondo a so-stenere che egli sia una macchina? Per-ché solo una macchina è incapace difunzionare (di comportarsi) al di fuoridel suo schema di funzionamento. Edinvece gli animali sanno fare cose di-verse o anche contrarie (come rinun-ciare al cibo) a quelle direttamente de-rivanti dal loro istinto, e addiritturaprovano a farle: secondo Friedrich En-gels «chiunque abbia sovente a che fa-re con questi animali riuscirà difficil-mente a sottrarsi alla convinzione che,in un gran numero di casi, essi si sen-tano effettivamente frustrati per nonriuscire a parlare, sebbene purtropposi tratti di un difetto cui non si può por-re rimedio» [3]. Riconoscere queste ca-pacità non è una concessione ingiusti-ficata ad un’ideologica umanizzazionedell’animale, quanto piuttosto una ul-teriore presa d’atto dell’unità dei vi-venti, le cui caratteristiche non cono-scono precise barriere di specie. La re-cente individuazione dei “neuronispecchio” ha ad esempio dimostratodefinitivamente che anche gli animalisono in grado di comprendere l’inten-zionalità altrui (ed ha dunque rimossoun ulteriore tassello della suppostaspecificità umana).

Che gli animali (all’interno della pro-pria specie) abbiano un carattere eduna personalità individuali, una varia-bile intelligenza ed un’ampia gammadi qualità morali è acquisizione defini-tiva soprattutto degli ultimi secoli. Chetali caratteristiche siano ampiamentedistribuite e sovrapposte fra le variespecie animali (incluso l’uomo) è ac-quisizione scientifica ancora più re-

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CONTRIBUTI

cente (anche se, come già detto, nonignota “da sempre” al senso comune,al punto da essere enfatizzata da unvero e proprio genere letterario, cheattraversa i secoli almeno a partire dalcane di Ulisse). Che l’animale avesseun suo universo morale lo sapevanobene gli antichi scrittori di favole, chenon a caso utilizzavano analogie e me-tafore animali nelle loro narrazioni. An-cora una volta (ma non è un caso) dob-biamo attribuire agli scrittori ed agliapologeti cristiani un grosso demeritonell’avere compiuto fondamentali pas-si indietro nel riconoscimento di que-sta comune “animalità” dei viventi: a

partire ad esempio dal libro dell’Apo-calisse, secondo il quale nel giorno del-la Resurrezione finale i cani e tutti glianimali impuri saranno esclusi dallaGerusalemme celeste; il che veniva tra-dotto nella predicazione comune nel-l’affermazione dell’inesistenza di un’a-nima immortale negli animali.

Concludendo, non posso non doman-darmi perché, dopo che un numero cre-scente di intellettuali e scienziati hasentito da qualche secolo in qua il do-vere di abbattere le barriere che sepa-ravano concettualmente (almeno incerte concezioni del mondo, ed in par-

ticolare in quella cristiana) la “anima-lità” dalla “umanità”, un pensatoredarwinista e laico marci oggi (almenoapparentemente) in senso opposto:forse un soprassalto della ragione uma-na pungolata nel suo orgoglio? O uninfortunio!

BBiibblliiooggrraaffiiaa

[1] MicroMega, n. 4/2005, pp. 4 e 6.[2] Paolo Flores d’Arcais, La natura dell’e-sistenza (1). Appunti per una filosofia del fi-nito, MicroMega, n. 4/2005, pp. 239-262.[3] Citato in: Keith Thomas, L’uomo e la na-tura, (ed. it.), Einaudi 1994, p. 117.

La lettura dell’articolo Il ridere e la Bib-bia sul numero 4/2012 (82) de L’Ateomi spinge a porre un paio di rilievi, inaggiunta e complemento a quantoscritto, ma anche ad allargare il di-scorso sulle radici della violenza del sa-cro, quelle che i soliti noti vorrebberocome radici dell’Europa. Questo per-ché, se l’ignoranza è la base culturaledella fede (per credere non serve co-noscere ma solo affidarsi a “quelli chesanno”; la “caduta” dell’uomo nel rac-conto favolistico di Gn 3 è il peccato diconoscenza: si aprirebbero i vostri oc-chi e diventereste come Dio, conoscen-do il bene e il male) per chi non credenon è ammissibile ignorare o conosce-re in maniera non corretta le cose di fe-de, anche per non essere noi oggettodegli sberleffi degli ecclesiastici, sem-pre pronti a tacciarci d’ignoranza einetti ad affrontare il sacro. Sono con-vinto che molta debolezza dell’ateismoe dell’agnosticismo sia dovuta al fattoche molti increduli non conoscono be-ne ciò in cui non credono. Questa man-canza di conoscenza è un lusso esclu-sivo dei credenti, anzi è proprio il loropunto di forza; la conoscenza è inveceil punto di forza dell’incredulità e del-la scepsi.

Ma veniamo allo specifico: nella Ge-nesi non è Dio che ride, bensì Sara, eprima di lei Abramo, che ridono del-l’annuncio, fatto da Dio, della gravi-danza della novantenne Sara. Infatti:Gn 17,17: Allora Abramo si prostrò con

la faccia a terra e rise. Gn 18: 1122 AlloraSara rise dentro di sé e disse: «Avvizzi-ta come sono dovrei provare il piacere,mentre il mio signore è vecchio!». 1133Ma il Signore disse ad Abramo: «Per-ché Sara ha riso dicendo: Potrò davve-ro partorire, mentre sono vecchia? 1144C’è forse qualche cosa impossibile peril Signore? Al tempo fissato tornerò date alla stessa data e Sara avrà un figlio».1155 Allora Sara negò: «Non ho riso!»,perché aveva paura; ma quegli disse:«Sì, hai proprio riso».

Dunque è Sara che se la ride di Dio, ilquale non nasconde il suo disappunto.Pertanto qui il riso coinvolge solo il let-tore distaccato dalla fede, in quanto ilcredente viene ammonito: non rideremai di Dio, per lui nulla è impossibile.Dopo il parto, e dopo aver imposto albambino il nome Isacco, che Dio rida:Gn 21,6: Allora Sara disse: «Motivo dilieto riso mi ha dato Dio: chiunque losaprà sorriderà di me!». Stupenda l’am-biguità biblica, potendosi, in questafrase, come in tutti i testi, dare le in-terpretazioni più disparate, fare le ese-gesi più convenienti!

Ma la negatività del riso la troviamo inmaniera più drammatica poco dopo,quando Sara scopre Isacco che ride, oscherza, con Ismaele, il figlio della suaschiava Agar e di Abramo, suscitandoin lei gelosia e cattiveria: Gn 21: 99 MaSara vide che il figlio di Agar l’Egizia-na, quello che essa aveva partorito ad

Abramo, scherzava con il figlio Isacco.1100 Disse allora ad Abramo: «Scacciaquesta schiava e suo figlio, perché il fi-glio di questa schiava non deve essereerede con mio figlio Isacco».

Ecco spuntare di nuovo la negativitàdel riso, per il quale avviene la caccia-ta di quel bambino che proprio Sara,essendo sterile, aveva chiesto di con-cepire con la sua schiava! A parte tut-te le considerazioni che oggi si posso-no fare sulla schiavitù, la poligamia,l’accoppiamento senza amore ai soli fi-ni procreativi, l’utilizzo di una schiavaper procreare, l’abbandono di una don-na e del suo bambino nel deserto, ecc.,sulle quali le chiese elegantementesorvolano, ma, a parte queste qui-squilie, anche cercando di penetrarenella mentalità dell’epoca, è difficiledare una spiegazione di tanta crudeltà.Che difficilmente viene data nelle no-te a margine o, quando vengono date,sono imbarazzate e risibili, del tipo“mancanza di rispetto del bambinoIsmaele nei confronti dell’Alleanza conDio” (sic!).

Per tentare di capirci qualcosa, occorrericorrere ad uno scrittore che viene trop-po ignorato ma che, essendo contem-poraneo di Gesù ed avendo ispirato iPadri della Chiesa, tanto da essere con-siderato da essi stessi uno di loro, è diun’importanza cruciale per chi volessecapire l’insorgenza del Cristianesimo:Filone D’Alessandria (nato circa il 20

Il riso di Diodi Ferdinando Maria Vallania, [email protected]

24 n. 5/2012 (84)

CONTRIBUTI

a.C., morto dopo il 40-41 d.C.). Filone fuscrittore e filosofo ebreo di lingua gre-ca che visse in una delle città più im-portanti dell’epoca, culturalmente do-minata dall’ellenismo, militarmente daRoma, linguisticamente dal greco. L’im-portanza di Filone fu quella di aver co-niugato l’ebraismo biblico col metapla-tonismo e lo stoicismo, fornendo un’e-segesi della Bibbia in chiave metafori-ca piuttosto che reale, pur non dubi-tando della verità dei fatti lì riportati.La Bibbia da lui usata fu la versione gre-ca dei LXX, cioè la stessa usata da Pao-lo di Tarso, dagli Evangelisti e dagli al-tri sconosciuti pseudoepigrafi, scrittoridel NT che usavano presentarsi col no-me della persona carismatica di riferi-mento. E credo che nessuno, sincera-mente onesto, possa negare che il NTsia intriso di metafore ed allegorie, pertacere di sostituzioni e travisamenti dipersonaggi e situazioni, di cui occorre-rebbe fare un serio studio per parlarnecon competenza ed in maniera convin-cente. Gesù invece, essendo palestine-se, se lesse la Bibbia, la lesse in ara-maico o in ebraico; cosa disse vera-mente, è solo presunzione affermare disaperlo! Non posso qui dilungarmi a di-re il perché.

Ebbene nel Quis rerum divinarum heressit, L’erede delle cose divine (notare iltitolo in latino di un’opera in greco: leopere di Filone, ignorate dall’ebraismo,sono giunte fino a noi perché conser-vate dalla chiesa cristiana!), che è l’e-segesi del capitolo XV della Genesi, tro-viamo la chiave della comprensione per-ché ci si accorge come la differenza frale due versioni, ebraica e greca, è spes-so significativa e illuminante. Leggia-mo il versetto 15,2, che ci riporta allaquestione dei due figli di Abramo, pri-ma nella versione CEI, in uso presso icattolici (La Nuova Riveduta e La Nuo-va Diodati, protestanti, non differisco-no di molto): Gen 15,2: Rispose Abram:«Mio Signore Dio, che mi darai? Io mene vado senza figli e l’erede della mia ca-sa è Eliezer di Damasco».

Non si capisce perché quel tale Elie-zer, mai apparso prima e che mai piùcomparirà e di cui non si dice nulla,debba ereditare da Abramo. Tutto ilcapitolo è molto oscuro e, se non si leg-ge Filone, destinato a rimanere tale.Ciò è indifferente per chi crede, ma nonper i non credenti. Leggiamolo quindiora nella versione dei LXX: E Abramorispose: “Signore, che cosa mi darai? Iomuoio senza figli. Il figlio di Masek, lamia serva, è Damasco Eliezer”. Ecco

che qualcosa diventa subito più chia-ro: Abramo ha un figlio illegittimo dauna serva e questo figlio sarà il suo ere-de. Sara, seguendo il diritto mesopo-tamico, darà la sua schiava Agar adAbramo, per avere un erede, solo nelcapitolo successivo.

Senza voler affrontare io stesso un’a-nalisi esegetica o riassumere quella fi-loniana, riporto solo che, secondo Fi-lone, in Heres 40-42.54.58, Masek si-gnifica “da un bacio”, cioè la vita deisensi, Damasco “sangue di sacco”,Eliezer “Dio è il mio aiuto”. Ovvero lavita dei sensi genera il corpo (sacco),la cui anima, il sangue, non può fare ameno di Eliezer, dell’aiuto divino; que-sta è la parentela per via della madre.Invece l’anima dell’intelletto è lo Spi-rito divino insufflato da Dio nell’uomo,come raccontato in Genesi 2,7: allora ilSignore Dio (i.e. YHWH Elohim) plasmòl’uomo con polvere del suolo e soffiò nel-le sue narici un alito di vita e l’uomo di-venne un essere vivente. Tale è l’a-scendenza maschile. Per Filone, in He-res 62: ... è ... Sara che rappresenta lavirtù: Sara, infatti, ha parte solo dell’a-scendenza maschile. Il principio non ge-nerato da madre deriva solo da Dio, Pa-dre di tutte le cose. Sta scritto infatti:[Rispose Abramo ad Abimelech:] “Èveramente mia sorella, figlia di mio pa-dre, ma non di mia madre, ed essa è di-venuta mia moglie” (Gen 20,12).

Quindi l’erede delle cose divine nondoveva essere il figlio dei sensi, del pia-cere, della carne, come il figlio di Ma-sek o di Agar, bensì il figlio dello Spi-rito che Dio insufflò nel maschio, nonnella femmina, e pertanto trasmissibi-le solo in linea maschile. Era, pertan-to, necessario l’incesto fra due fratellida parte di solo padre per dare origineal Popolo Eletto! Solo l’incesto avreb-be potuto generare l’Eroe puro che,svincolato dalla volontà divina, alla vo-lontà divina avrebbe ubbidito per li-bera scelta, la volontà divina avrebbe

soddisfatto in libera autonomia. Comei wagneriani Sigmund e Siglinde, Abra-mo e Sara generarono l’Eroe che, conla sua progenie, avrebbe conquistatoper l’umanità l’oro puro della parola diDio, il proto messia senza paura cheavrebbe attraversato il fuoco dell’ido-latria per generare un popolo che fos-se come le stelle del firmamento, lucenell’universo delle tenebre pagane checircondava l’umanità. Isacco con la fi-glia di un cugino, Rebecca, generò Gia-cobbe; Giacobbe con le cugine Lia eRachele e con le loro due schiave, ge-nerò per volontà divina i dodici pa-triarchi del popolo illuminato. Sareb-bero stati tredici, ma la povera Dina,violentata e poi amata da Sichem, l’uo-mo che dette il nome alla città domi-nata da un tempio concorrente a quel-lo di Gerusalemme (v. Vangelo di Gio-vanni: l’incontro con la Samaritana4,20), era solo una donna; e le donnecontano solo per essere madri dei figlidell’Uomo, per dare all’Uomo la di-scendenza che avrebbe trasmesso aiposteri quello spirito divino che Ada-mo ricevette direttamente da Dio e chein Abramo si rinnovò nell’Alleanza conDio e che Paolo di Tarso trasformerànella Nuova Alleanza in Cristo. Nel cri-stianesimo, nell’erede del cosiddettoSoglio di Pietro: il Papa.

Per concludere l’argomento, pochi san-no, perché pochi leggono la Bibbia, te-sto bellissimo per i non credenti, im-barazzante per i fedeli che, oltre a que-ste tre, Abramo possedette un’altradonna, Chetura, verosimilmente sim-bolo della libertà con la quale Abramosi affrancò da Dio per avere una vitacome gli altri uomini, dalla quale ebbealtri sei figli, uno dei quali dette origi-ne ai Madianiti, e dieci fra nipoti e pro-nipoti. Però li licenziò, mandandoli lon-tano da Isacco suo figlio, verso il le-vante, nella regione di Qedem (Gen25,1-6). In seguito il Signore disse a Mo-sè: “Trattate i Madianiti da nemici e uc-cideteli […]” (Nm 25,15); l’orrore della

IIll pprreemmiioo BBrriiaannaallllaa 6699aa MMoossttrraa IInntteerrnnaazziioonnaallee dd’’AArrttee CCiinneemmaattooggrraaffiiccaa ddii VVeenneezziiaa

L’UAAR ha assegnato per il 2012 il premio Brian – giunto alla 7a edizione – al film Bel-la addormentata di Marco Bellocchio. La pellicola, scrive la giuria (Michele Cangiani,Giuliano Gallini, Maria Giacometti, Chiara Levorato e Caterina Mognato), “affronta iltema del ‘fine-vita’ con spirito laico, sottolineando l’importanza del rispetto delle scel-te individuali. Mette in luce l’arroganza del potere politico e la grettezza dei pregiu-dizi religiosi nei confronti di scelte che devono essere improntate al principio dell’au-todeterminazione. La rappresentazione rende conto della complessità del problemadel termine della vita in maniera non riduttiva né ideologica”. Bellocchio, a cui è sta-ta comunicata la notizia, ha ringraziato l’UAAR per il premio.

25n. 5/2012 (84)

CONTRIBUTI

guerra santa che ne seguì, può essereletto nel capitolo 31 del Libro dei Nu-meri. Questo, oltre a fornire una spie-gazione mitica sull’origine dei popolicon i quali Israele si confrontò nel cor-so della storia, smentisce quanto af-fermato poco prima in Gn 22,2, a pro-posito dell’arcinota legatura o sacrifi-cio di Isacco, e predicato in tutti i ser-moni con i quali i sacerdoti allietano icreduli sprovveduti del proprio greg-ge: Prendi tuo figlio, il tuo unico figlioche ami, Isacco […]. Chiedo perdono,ma quando i cristiani ci fanno la mora-le sulla sacralità e indissolubilità delmatrimonio, la castità, la monogamia,il divorzio, le coppie di fatto, le fami-glie allargate, l’educazione e l’amoreper i figli, ecc., mi scappa da ridere! Dirabbia.

La donna nella Bibbia, salvo in rari ca-si, ha solo la funzione di partorire figliper l’uomo; nel decalogo (Es 20,1-17;Dt 5,5-21) il possesso della donna è as-sociato a quello della casa, degli schia-vi, degli animali, delle cose. Ed è in-torno a questo ruolo che s’intreccianole storie femminili. Lia non era amatada Giacobbe, ma gli dette sei figli, ol-tre a Dina; sua sorella Rachele inveceera molto amata, ma Dio YHWH la re-se sterile, essendosi, ai tempi di Noè,riappropriato della procreazione cheDio Elohim concesse col siate fecondie moltiplicatevi di Gen 1,28. Fu solo perconcessione divina che Rachele partorìGiuseppe e Beniamino, così come Sa-ra, Isacco. Altri casi sono noti alla Bib-bia, in cui Dio concede ad una donnasterile di procreare, ma il caso più ecla-tante, e solo parzialmente noto, è quel-lo della verginità della madonna, che,essendo un dogma fondamentale del-la fede, rappresenta un mistero per ilfervore dei credenti, ma non per gli in-creduli informati.

Bisogna tirare di nuovo in ballo la ver-sione greca dei LXX e la loro traduzio-ne di Isaia 7,14: Pertanto il Signore stes-so vi darà un segno. Ecco: la “vergine”concepirà e partorirà un figlio, che chia-merà Emmanuele [Dio con noi]. Qui Diosta parlando ad Acaz, re di Giuda, dicui 2 Re 16 parla in termini poco lusin-ghieri, affermando, tra l’altro, che feceperfino passare per il fuoco suo figlio.L’affermazione di Isaia, che per incisonon ha nulla a che vedere con Gesù eche nulla dice di attinente a concepi-mento verginale o simili, non ha nean-che nulla di sbalorditivo, in quantoqualsiasi vergine, noi diremmo ragaz-za o fanciulla, giovane donna proba-

bilmente vergine, che va con un uomoè in grado di concepire e partorire, co-me fece la giovane (almah) che usciràad attingere (Gen 24,43), in questo ca-so Rebecca che concepì Giacobbe.

Sbalorditivo, no, non è neanche questoche segue ad essere sbalorditivo: quan-do nel III o II secolo a.C. i LXX tradus-sero dall’ebraico al greco questo passo,commisero un errore. Nel testo ebraicocompare il termine almah col quale siindica una ragazza che ha raggiunto lapubertà, generalmente la giovane pro-messa al re; nel Cantico dei Cantici 1,3;2,2 e 6,8-9 il plurale, alamot, indica lefanciulle senza numero che attendono ifavori del re. Orbene, i LXX tradusserotale termine con parthenos, vergine. Ascusante viene addotto che la ragazzapubescente è certamente vergine, main tal caso gli ebrei avrebbero usato iltermine bethulah, qualora la verginitàfosse stata determinante, come, qual-che secolo dopo, per il cristianesimo. In-fatti in Deuteronomio 22,23 quando siparla di: Quando una fanciulla vergineè fidanzata e un uomo, trovandola incittà, pecca con lei […], vengono usatitutti e due i termini. Si tratta quindi diun errore grossolano commesso daiLXX. (I due citati dovranno essere, ov-viamente, lapidati!).

Sbalorditivo è, invece, come un banaleerrore di traduzione si sia trasformatonel principale dogma cristiano, conti-nuamente riusato utilizzando litanie diforme e di racconti che la credulità e l’i-steria e la fantasia mondiale riescono aplasmare. Viene continuamente ridi-pinto su muri, edicole, chiese e co-scienze, anche se smentito, fra l’altro,dal vangelo di Marco e da quello di Mat-teo: Mc 6,3: Non è costui il carpentiere,il figlio di Maria, il fratello di Giacomo,di Ioses, di Giuda e di Simone? E le suesorelle non stanno qui da noi?». E siscandalizzavano di lui. Mt 13: 5555 Non èegli forse il figlio del carpentiere? Suamadre non si chiama Maria e i suoi fra-telli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giu-da? 5566 E le sue sorelle non sono tutte franoi? Da dove gli vengono dunque tuttequeste cose?» e, prima di loro, nel 56 o57 da Paolo in Gal 1,19: degli apostolinon vidi nessun altro, se non Giacomo,il fratello del Signore.

Nonostante i fratelli, Matteo, o chi perlui, supportato dal testo biblico a suadisposizione e comprensione e spintodalla necessità di assoggettarsi a quan-to l’inventore e maestro del cristianesi-mo, Paolo di Tarso, andava ossessiva-

mente ripetendo e, forse, la gente bi-sbigliando, cioè che Gesù fosse figlio diDio, Matteo dunque azzardò a scrivereche [Maria] senza che egli [Giuseppe] laconoscesse, partorì un figlio, che eglichiamò Gesù (Mt 1,25). Stranamentenon Emmanuele, come voluto dalla pro-fezia che i cristiani, ma non gli ebrei ele persone che comprendono ciò che untesto dice, riferiscono a Gesù. Luca èpiù prolisso, ma il risultato lo stesso,mentre Marco e Giovanni, il più anticoed il più tardivo dei Vangeli, ignoranola nascita di Gesù. Più complesso, mamolto interessante, sarebbe fare un dot-to parallelo fra il più antico culto di Mi-tra, la cui nascita verginale avviene dauna roccia, ed il culto di Gesù, la cui na-scita verginale (Maria resta vergine an-che dopo il parto!) dall’iniziale deposi-zione in una mangiatoia di Lc 2,7, coltempo la mangiatoia viene immaginatain una grotta, proprio come Mitra e, pro-prio come Mitra, appena dopo il solsti-zio d’inverno, quando, riprendendo legiornate ad allungarsi, i Romani, ed inparticolare gli eserciti, festeggiavano ilSole Invitto!

Beh, non è comico scoprire che il San-to Natale è nato come festa pagana eche ormai, con l’esplosione del consu-mismo, sia di fatto tornata pagana? Econ questa facezia, scusandomi deltempo sottratto, in caso il mio lettoreavesse trovato il tempo e la pazienzadi leggermi tutto, mi allargo in un li-beratorio sorriso, visto che, nonostan-te alcuni cristiani si alambicchino a di-stillare il contrario, Dio non ride mai,se non sulle disgrazie che manda a chinon crede in lui. Dice la Sapienza (unaparedra, una dea, un’emanazione diDio agelasta, nemico del riso?) nel Li-bro dei Proverbi (1, 26-27): anch’io ri-derò delle vostre sventure, mi farò bef-fe quando su di voi verrà la paura,quando come una tempesta vi piom-berà addosso il terrore, quando la di-sgrazia vi raggiungerà come un uraga-no, quando vi colpirà l’angoscia e la tri-bolazione.

Ferdinando Maria Vallania è un sessanta-cinquenne che, vivendo in un mondo dimenzogne, dopo essersi occupato di tutt’al-tro, ora dalle menzogne quotidiane cerca diestrarre quelle antiche, nel tentativo di sve-lare la menzogna primigenia, quella che,dissimulando l’inconoscibile vero, l’umanitàdivide con le incorporee frontiere delle re-ligioni. Annaspa l’unità del tutto in tutto,rispetto la vita.

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CONTRIBUTI

Poiché ogni tanto invio a “L’Ateo” qual-che mia vignetta, sento la necessità dirispondere con questo titolo un po’ pro-vocatorio a Paolo Piazzesi, vedi “La mi-seria della satira”, comparso nel nu-mero 4/2012 (82). Mi sembra che il suoarticolo simpaticamente irruente, delquale condivido più di una riflessione,sia un po’ fuori bersaglio proprio perquanto riguarda l’aspetto che più c’in-teressa, vale a dire quello della satiraanticlericale e antireligiosa. Vogliamochiamarla, per comodità, “l’anti-cr”?Grazie.

Del tutto d’accordo con lui su un di-scorso di carattere generale riguardan-te gli avvenimenti politici, salto a pièpari ogni considerazione su come siasempre più problematico escogitare unadeguato commento satirico: senz’al-tro, la fulmineità degli attuali mass me-dia e la sempre maggior concitazionedella politica stessa privano di attualitàanche la battuta più brillante. Quello

che mi preme sottolineare è come in-vece, nell’anti-cr, ci siano bersagli cosìa lungo termine da rivelarsi tutt’altroche esauriti. Non possiamo permetter-ci di trascurarli! Chiunque si ritengaateo o agnostico sa fin troppo bene co-me gli tocchi combattere quotidiana-mente per il diritto di essere conside-rato un cittadino come gli altri, doven-dosi opporre ancor oggi alle realtà di cuiraccontava una canzone nata – pur-troppo – all’ombra della ghigliottina:“les rois s’en vont et les dieux restent,nous combattons la vieille peste”.

Credo che l’obiettivo dell’odierna anti-cr, lasciando perdere il prete ghiottone-ladro-pedofilo (anche se pare che almondo ne esistano ancora due o tre),debba essere più sottile: rivolgere unattacco continuo a quei veleni di bugiesenza capo né coda che non hanno an-cora smesso d’inquinare la mente ditante persone nell’età della crescita, in-ducendole a rinunciare alla propria in-

telligenza. Dogmi inflitti come tali, “ve-rità” diventate indubitabili per una sor-ta di usucapione millenaria, ingerenzepsicologiche e sociali di ogni tipo nellavita dell’individuo: a me successe di su-birli, come del resto a tanti altri, nel-l’ambito di una famiglia di gente one-stissima, seriamente e sinceramentecattolica, papà laureato e mamma di-plomata nell’anteguerra. Gente di cul-tura, stimata e rinomata nella mia pic-cola città. Insomma, i primi a essere pre-si in giro.

E qui cercherò di spiegarmi meglio conun’autocitazione. Ancor più che con illaido pretaccio di cui sopra ce l’ho conquello, magari ascetico e austero, che inclasse racconta a bambine e bambini,per esempio, come Cristo possegga siala natura umana sia quella divina (se ilprete spesso non insegna più religione,al suo posto c’è un laico vergognosa-mente privilegiato, ma non entriamo neldiscorso). In una mia striscia in propo-sito, alla perplessità della ragazzina chetorna da scuola chiedendo come si fa adavere due nature allo stesso tempo, lamamma ganza risponde: “Be’, se hai giàrisolto il problemino di essere allo stes-so tempo uno e tre, è un gioco da ra-gazzi”.

È questo, secondo me, che non è statoancora messo abbastanza in ridicolo eche può ancora costituire oggetto at-tualissimo di battute satiriche suffi-cientemente sferzanti. Nel cosiddettoterzo millennio, il Vaticano vorrebbecontinuare a farci vivere tra i miti reli-giosi del primo e ovviamente ci provaanche con le nuove generazioni. Il pa-pa biasima dalla sua finestra le “favolenon cristiane” del maghetto Harry Pot-ter. Allo stesso tempo sostiene altret-tanto pubblicamente (e forse anche inprivato, chissà) il dogma dell’Immaco-lata Concezione di Maria e la di Lei pe-renne Verginità e Assunzione in cielo.Del resto, Benedetto XVI rappresentaun’indiscussa autorità nelle dispute sualtri importantissimi concetti magico-religiosi, di grande attualità tra i Babi-lonesi e i Fenici.

Come afferma Piazzesi nella sua con-clusione, è venuto il tempo di girarepagina: se abbandoneremo quel tipo

La ricchezza della satira di Giancarlo Colombo, [email protected]

LLEE NNUUOOVVEE EEDDIIZZIIOONNII 22001122 DDEEII CCOONNCCOORRSSII UUAAAARRdi Poesia Scientifica dedicato a Charles Darwin

e Fotografia on line “Liberi di non credere”

Ecco le versioni tutte rinnovate di queste speciali “prove” alla quale tutti si possonocimentare. Giochi di danza, passo doppio, tra scienza e libertà da dogmi e pregiudizi.

IIll ccoonnccoorrssoo ddii ppooeessiiaa con le parole in rima, in decasillabi, o come vi vengono, per evo-care l’emozione, tutta umana, della comprensione, a volte entusiasta, a volte dolente,del reale attraverso lo sguardo della razionalità e della scienza. Basta inviare un fi-le con i vostri versi per entrare nel poetico mondo disincantato ma autentico e per-ciò frizzante e consapevole, del concorso dedicato al grande Charles Darwin.

IIll ccoonnccoorrssoo ddii ffoottooggrraaffiiaa con le immagini, scatti di un presente, che possono ergersia simbolo di libertà dalle imposizioni, dalle superstizioni, dalle credenze. Fotogrammisulla razionalità conquistata oppure sulla denuncia delle credenze. Immagini che col-gono con ironia il potere dell’irrazionalità oppure con tristezza la consapevolezza cheancora in troppi “credono” senza porsi alcuna domanda. Inviateci i vostri lavori, po-trete seguire il concorso e le votazioni on line, aspettando il qualificato giudizio fi-nale della giuria.

Potete partecipare ad ognuno dei concorsi, o ad entrambi, come volete! Sì, ci sonoanche dei premi, ma soprattutto ci siete tutti voi che con le vostre opere, poeticheo fotografiche che siano, darete un contributo reale alla faticosa conquista della lai-cità, ovvero – scusate la ripetizione ma la parola è troppo bella – della libertà dai dog-mi e dalle credenze per comodo, per tradizione o per superstizione.

(Per leggere le informazioni sui regolamenti e come partecipare ai due concorsiclicca sui due link: http://www.uaar.it/uaar/concorsopoesia vedi an-che http://www.uaar.it/uaar/concorsofoto).

Cathia Vigato, [email protected] di Venezia

27n. 5/2012 (84)

CONTRIBUTI

di satira religiosa ormai consunta che“sfrutta meccanismi, soggetti, prete-sti logori”, tanto di guadagnato anchedavanti agli occhi degli avversari. Nonsono ancora logori, però, gli argomen-ti delle frottole plurimillenarie dellachiesa: ed è qui che a mio avviso dob-biamo concentrare i nostri attacchi.Prendo spunto dall’autore là dove ri-badisce: “La satira delle cose religio-se non sortisce alcun effetto comico(…) perché non infrange più nessuntabù”. Sono d’accordo, ma di tabù ri-masti da abbattere ce ne sono altri dav-vero cospicui, primo fra tutti l’inde-cente genuflettersi dei nostri politici,compresi quelli che si dichiarano piùlaici, davanti alle continue prevarica-zioni di santa romana chiesa.

E non è forse un altro titanico tabù di cuiliberarci il “rispetto” pressoché auto-matico dovuto a chi, con l’indulgenzadella legge, esprime le idee più stram-palate o segue i comportamenti più as-surdi purché siano informati a qualun-que credenza “religiosa”, magari ob-bligando disastrosamente ai medesimil’intera famiglia? Insomma, il bersagliosecondo me tutt’altro che fuori modadell’anti-cr sono le affermazioni che per

tanti secoli hanno costi-tuito per i preti la padellain cui cucinarci tutti quan-ti, padella tremenda, dallaquale si cadeva nell’ancorpiù tremenda brace del-l’inferno.

A proposito, quanto fumofacevano tutt’e due. Equanto tempo ho impie-gato a capire che da en-trambe saliva al destina-tario, esalando in vita opost mortem dalle carnibruciaticce di noi peccatori, il medesi-mo odore di incenso. Mi perdoni l’e-gregia resina vegetale, che bruciandoemana un aroma tanto più sublimequanto più lontano dalle chiese; ma re-spirare l’uno come l’altro fumo può con-tribuire al cancro ai polmoni ancor piùdelle sigarette.

Ovviamente il padreterno che li sniffagodurioso fa il solito miracolo ad perso-nam: per lui quello che sale dal grill del-le creature che tanto ama sono inala-zioni balsamiche, come respirare in unbosco di abeti. È clinicamente e teolo-gicamente appurato da un pezzo, ma

secondo me, segnalarlo ai giovani e di-stoglierli dal fumo al più presto ha an-cor oggi un vigoroso significato civile.

Giancarlo Colombo (Lecco 1946), brillante li-ceale, era indeciso se laurearsi in archeolo-gia o in scienze naturali, perciò piantò gliesami, girò il mondo in cerca di coleotteri,scrisse di fossili, tenne concerti di musicaandina in tempi in cui da noi pochi sapeva-no che cosa fosse e finalmente trovò un ubiconsistam come tecnico scientifico in unascuola. Si è sempre divertito a disegnare e daqualche anno contribuisce a “L’Ateo” convignette e strisce.

C’è l’ateismo agnostico e c’è, origina-lissimo, l’ateismo gnostico di Albert Ca-raco. C’è l’umanesimo ateo e c’è, inedi-to, l’antiumanesimo ateo di Albert Ca-raco. Così c’è il nichilismo cono d’om-bra di ogni valore e il nichilismo palin-genico caraconiano. Da qualunque lati-tudine lo si prenda Albert Caraco, ametà strada tra filosofia e letteratura(per eludere il ricorrente pregiudizio percui non si può essere un buon filosofosenza essere un cattivo scrittore e vi-ceversa), rimane per vocazione, un osti-co e anacronistico pensatore nei ri-guardi del quale la nomea di autore mi-nor tradisce la difficoltà di comprensio-ne o la tentazione di schivarlo.

Esistono poi i cosiddetti autori minori onon sono che autori meno studiati? Usa-re il righello per discriminare il pensie-ro secondo criteri estetizzanti, molto vo-latili, è suprema prova di mediocrità er-

meneutica. Erano minori autentici gi-ganti del pensiero come Mauthner, LaMettrie o lo stesso Lautréamont? E se,a proposito di Lautréamont, Gide pote-va dire che la sua influenza sul suo tem-po fu scarsa o nulla, figuriamoci cosaavrebbe detto l’autore dell’Immoralistedi Caraco il quale a proposito di se stes-so scrive: “Io sono uno dei profeti delnostro tempo e il silenzio mi avvolge […]cercano di seppellirmi vivo e non riusci-ranno che a rendere più fanatici, un gior-no, i miei sostenitori”. Scrivendo a Cio-ran, unico autore suo contemporaneocon il quale avesse qualcosa in comune,ripete: “Siamo gli autori più sconosciu-ti del nostro tempo”.

E, in questi quarant’anni dalla sua tra-gica morte, ha pesato ancora un silen-zio imbarazzante quanto ingiustificatodella critica squarciato in Francia da Vla-dimir Dimitrijevic suo primo vero letto-

re ed editore e in Italia dall’ammirevoleimpegno di Anita Tatone, studiosa e cu-ratrice dell’opera di Caraco. Ma per i piùAlbert Caraco rimane un perfetto sco-nosciuto. Ho fatto la prova a trovare suetracce nella mia libreria, mediamenteaffollata di volumi. Nel monumentale“Dizionario della letteratura mondialedel ‘900”, incontro anche un Carco Fran-cis, poeta, ma di Caraco, nessun riferi-mento diretto o indiretto. Quanto alla“Enciclopedia Garzanti di Filosofia” sipassa dalla voce Carabellese Pantaleo,filosofo italiano a Caraiti, movimento se-paratista ebraico del 765 d.C. Nulla di osu Caraco. Finanche un interessantissi-mo volume di Volpi intitolato “Il nichili-smo” riserva un accenno a quel Caracodefinito “singolare figura, poco nota eprobabilmente minore”. Provate a cer-care nel vostro Sistema Bibliotecario diAteneo; anche lì, qualche volume, spes-so “non prestabile”.

Nichilismo ed ateismo in Albert Caracodi Stefano Marullo, [email protected]

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CONTRIBUTI

Ho iniziato ad interessarmi a Caracoforse perché la congiura del silenzionei suoi riguardi mi suscitava il senti-mento del contrario. Se mi fosse con-cesso un paragone, egli mi ricorda unaltro altrettanto singolare personag-gio, GG Allin, artista rock’n’roll, rap-presentante del punk nichilistico piùestremo, che per poco, a causa di un’o-verdose, mancò all’appuntamento pro-messo ai suoi fans di suicidarsi sul pal-co e di cui alla morte Kim Fowley dis-se: “GG Allin combatté da solo sullafrontiera del cambiamento. Egli visseuna vita nel mondo reale. Forgiato nel-l’oscurità, vide la luce”. Allin fece del-la sua vita la sua performance e anchela sua morte faceva parte del rito.Qualcosa di simile accadde a Caraco.Egli visse per l’arte e l’arte fu l’unicaragione di una vita che detestava e chesopportò fino all’avverarsi della con-dizione sospensiva che si era dato: “At-tendo la morte con impazienza e arri-vo ad augurarmi il decesso di mio pa-dre, poiché non oso uccidermi primache se ne vada. Il suo corpo non saràancora freddo quando io non sarò piùal mondo”.

Con tragica coerenza nel settembre del1971, a poche ore dalla morte del pa-dre, Albert Caraco si imbottì di barbi-turici e si tagliò la gola. Come Allin, Ca-raco fu una creatura degli abissi, le cuiperle non possono che brillare nell’o-scurità, perché proprio negli abissi siincontrano mondi ed esseri meravi-gliosi e terribili. Anch’egli forgiato nel-la cupezza, nell’eterogenesi dei fini ri-spetto alla morte per suicidio di tantispiriti tormentati (Lequier, Michel-staedter, Celan, Mainländer solo perfare qualche nome) che vollero firma-re col sangue l’inestricabile intrecciotra espressione artistica e vita vissuta,rimarrebbe aborrito ad essere anno-verato nel maledettismo letterario(sebbene alcune sue pagine siano mol-to dandy), egli così sdegnosamenteequidistante dai cliché e dalla modedel tempo, così aristofaneo, sprezzan-

te e irridente nei confronti dei grandicontemporanei suoi colleghi. Il suo ni-chilismo (termine da sempre conside-rato peggiorativo ma, è bene ram-mentarlo, nonostante le sue asperitàha avuto il merito di avere traghettatoil pensiero occidentale nella moder-nità) è demistificante, allucinato, abra-sivo: “Rotoleremo tutti insieme nelle te-nebre da cui non si ritorna, e il pozzobuio ci accoglierà, noi e i nostri dèi as-surdi, noi e i nostri valori criminali, noie le nostre speranze ridicole”, rifiutosenza appello, “Il mondo che abitiamoè l’Inferno temperato dal nulla”ma pos-siede un’eleganza stilistica imprezio-sita da una costruzione sintattica afo-ristica che, prima che nei contenuti,evocano nella forma Nietzsche, il cita-to Cioran e Goméz Dávila.

La morte tutto è meno che scandalo, èl’orizzonte agognato, “Noi tendiamoalla morte, come la freccia al bersaglio... È per la morte che noi viviamo”, eviene continuamente celebrata in unmisticismo senza grazia: “Elevo uncanto di morte sull’universo e prevedol’annientamento da un polo all’altro delmondo che abitiamo e di quelli che cihanno preceduto ... Elevo un canto dimorte e saluto il caos che sale dall’a-bisso”, mentre la vita altro non è cheun esilio senza redenzione poiché “lavita è un supporto non una ragione, lavita è necessaria e non sufficiente” lad-dove l’umanità è fatalmente votata al-la perdizione (“massa di perdizione”chiama Caraco gli uomini), in un’apo-calisse atea senza apocatastasi, “L’i-dea della salvezza mi sembra un deli-rio; essere salvati non è che uno stuprometafisico”.

La storia degli uomini è irreversibil-mente posseduta dal Male, e da essa,con piglio gnostico che richiama Cero-netti, bisogna congedarsi, anche at-traverso l’atarassia : “Cosa diceva Pla-tone? Che per l’uomo più felice del suotempo, il Gran Re di Persia, poche era-no le giornate belle come una notte sen-

za sogni. Quando guardo quelli che giu-rano che la vita è una delizia, non li tro-vo né belli né ben nati, né ragionevoliné sensibili, né acuti, né saggi, néprofondi, ma molto simili a ciò che in-censano”. O ancora: “Io non amo né ildolore né il piacere. Mi è indifferentemorire o vivere”. Quanto agli uominimedesimi, definiti con vari epiteti, ol-tre che la succitata massa di perdizio-ne, sono chiamati spermiautomi, son-nambuli, multitude sans visage (comei ‘senza nome’ del suo pseudotrattato-parodia di monumentali volumi di ses-suologia, Supplemento alla Psycho-pathia sexualis, nel quale ogni casoesordisce con un vago e anonimo “Untel”). Da codesti esseri conviene sta-re debitamente alla larga, anzi, bre-chtianamente, con essi bisogna esse-re cordiali e senza pretese per marca-re la distanza gli uni dagli altri: “La cor-tesia è l’arte di avere riguardo per glialtri senza diventare per questo spre-gevoli, giacché non si dovrà adularli eneppure divertirli troppo, così comesarà importante non censurarli e nem-meno tediarli, ecco i quattro scogli incui ci si incaglia e da cui l’uomo civilesi tiene lontano” e senza troppe cir-conlocuzioni “un mondo abitato da bu-giardi cortesi e da ipocriti che possie-dono il senso della misura congiunto algusto della forma è vivibile, io ritengopersino che possa diventare piacevole”.

Il senso della misura, essenziale per-sino nell’homme révolté di Camus, di-venta qualità imprescindibile anchenel galant homme, l’uomo di mondo ca-raconiano, che si nutre di diprezzo“L’uomo di mondo non si perde mai,non si salva mai, queste opzioni gli so-no estranee, egli cerca – qualunque siail sistema sovrano – di non ritrovarsi fraquelli che disistima, le idee che profes-sano la maggior parte dei martiri egli legiudica non meno inaccettabili di que-le che gli oppongono i carnefici”. Già,Camus, al quale sembra ispirarsinell‘incipit di Post Mortem, che esor-disce con la stessa formula asciutta de

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CONTRIBUTI

Lo straniero: “La Signora Madre è mor-ta”. E Caraco sarebbe piaciuto a Ca-mus. Non foss’altro perché nelle suecritiche all’esistenzialismo, “grandeavventura di pensiero finita in falseconclusioni”, Camus rimproverava agliesistenzialisti (lui che, senza accetta-re di esserlo, era il più esistenzialistadi tutti) di barare, architettando un sui-cidio meramente “filosofico” e di vi-vere accomodandosi al meglio in que-sto mondo. In fondo il mondo assurdosenza dio camusiano non è per nien-te il peggiore dei mondi possibili maanzi vi si può persino trovare un Sisifofelice. Edulcorazioni inconcepibili, ve-ri anatemi per Caraco per il quale “lalegge dell’ordine vuole che la massa diperdizione non sia salvata e che si con-soli della propria rovina procreando aperdifiato, per poter essere smisuratae fornire instancabilmente un esercitodi vittime”.

Anche solo la possibilità di Dio non di-rime le questioni fondamentali: “Se c’èun Dio, il caos e la morte figurerannonel novero dei Suoi attributi, se non c’è,non cambia nulla, poiché il caos e lamorte basteranno a se stessi fino allaconsumazione dei secoli”. L’ateismocaraconiano assume caratteri causticimarcatamente antireligiosi: “Quandosi parla degli insegnamenti cosiddettiispirati, basterebbe vedere gli autori ele loro maniere per guarire dall’ammi-razione che ci tiene soggiogati, vienepersino da pensare che, se ci fosse da-to rivedere i fondatori dei nostri siste-mi, in questo mondo esisterebbero so-lo miscredenti”, laddove nelle religio-ni v’è un irriducibile elemento ‘patolo-gico’: “Le nostre religioni sono i cancridella specie e non ne guariremo che damorti, moriremo perché le nostre reli-gioni periscano”. Affrancarsi rimanel’unica possibilità: “Non abbiamo maiavuto nessun Padre in Cielo, siamo or-fani [...] nessuno ci redimerà se non cisalveremo da soli […]. Il cielo è vuoto,e voi sarete orfani, per vivere e morireda uomini liberi”. Cosicché “Il futurodirà che gli unici chiaroveggenti eranogli Anarchici e i Nichilisti”.

Come Nietzsche, Caraco considera ilCristianesimo la peggiore fra tutte lereligioni: “Le religioni sedicenti rivela-te hanno instaurato fra noi, il fanati-smo, e quella cristiana, che lo ha spin-to all’estremo, ha divinizzato la Follia”e “Non vi è nessuna differenza tra ma-ghi e preti, ci si rende altrettanto spre-gevoli a consultare gli uni quanto a ri-spettare gli altri”. Ed ancora: “Abbia-

mo messo la follia e la morte sugli alta-ri, professiamo tanto la demenza quan-to l’agonia della Divinità suprema”. Neisuoi Écrits sur la religion Caraco arrivaad immaginare che tra i monoteismil’Ebraismo, che tra le religioni è l’uni-ca ad offrirgli qualche motivo di inte-resse (le sue radici erano ebraiche), siadestinato ad assorbire le altre (Cristia-nesimo, Islam) ma attraverso il suo spi-rito di vendetta traghetterà l’umanitàverso un’era in cui le stesse religioniscompariranno. In questa raccolta disaggi viene liquidata senza troppi fron-zoli ogni pretesa di messianicità tipicadei monoteismi medesimi mentre vie-ne delineato un interessante paralleli-smo tra i miti e le illusioni delle reli-gioni e le manipolazioni dei demago-ghi politici (comunisti, fascisti, demo-cratici) verso le masse becere ed inge-nue, perché non c’è potere che non sifondi sulla menzogna.

In altri scritti Caraco sembra inclinareverso il Paganesimo: “Un mondo chefosse rimasto pagano non avrebbe vio-lentato la natura, i Paganesimi la con-sideravano divina, di norma adorava-no alberi e sorgenti”. Nel no future ca-raconiano che è reazione alla fuga dalpresente, si intuisce una sorta di no-stalgia per un tempo archetipo, ende-mico, di armonia con la natura, un tem-po senza tempo, antico e senza dèi chepotrebbe anche tornare quando l’u-manità (o meglio i suoi “resti”) avràseppellito la Storia ma prima di ciò saràla Storia a seppellire (gran parte del)l’umanità, nemesi della Natura detur-pata, in preda ad una sovrappopola-zione intollerabile (“L’unico rimedio al-la miseria consiste nella sterilità dei mi-serabili” tuona Caraco), all’integrali-smo islamico (che Caraco ha cono-sciuto sulla sua pelle e che come temaricorre in alcuni suoi scritti politici co-me Apologie d’Israël) e a governantiinadeguati (“imbecilli patetici o veriscellerati”). La furia buia caraconianaè una metafora gnostica che può es-sere compresa forse solo ricorrendo allessico heideggeriano per il quale “l’es-senza dell’uomo è l’esistenza” e, comebene ha spiegato Galimberti, esisten-za è nient’altro che quello star-fuori(quindi ec-sistere) per l’uomo nella con-dizione di esiliato, che solo attraversol’arte può emendarsi per passare dal-l’exil all’essor, all’oltre sé. Le parole im-pietose con cui Caraco condisce il suonichilismo ateo è pensiero rammemo-rante di quella caducità che contras-segna se non la fine della filosofia diseveriniana memoria almeno, e qui tor-

na prepotentemente Heidegger, la suadistruzione semantica e concettuale,o visto da altra angolazione, una sortadi pensiero debole vattimiano ante lit-teram. Quando scrive “Ciascuno portasu di sé la sua chimera” egli sembraconsapevole dell’irriducibilità dell’i-spirazione artistica e ne svela il carat-tere antitetico rispetto alla mera ra-zionalità. I toni profetici gravidi di sug-gestioni e, invero, talvolta pesanti emorbosi, rivelano uno stile dove le om-bre danno senso alle luci, come in undipinto di Vermeer, non a caso pittorepreferito da Caraco. Le linee sono peròruvide e nervose, come in una litogra-fia di Dürer. Eppure tra le parole tal-volta si dispiega un pathos poetico edun’eleganza che sembra riesumareEschilo.

Ci si può, legittimamente chiedere, sein questa bonheur négative, felicità ne-gativa, come Caraco stesso la chiama,ci sia, tra chiaroveggenza e follia, unaqualche compiacenza autodistruttiva;in altre parole, si può andare oltre ilsolipsismo? La ferocia di molte sueespressioni che si possono ritrovaresolo nel mondo disgregato di Cioran,al quale misteriosamente Caraco sisentiva legato, e che pure aveva unospiccato senso del sarcasmo, sembra-no non lasciare scampo. Vette tantotruculente risuonano ancora solo (senon si vogliono scomodare classici co-me Schopenauer) in Mainländer, piùvicino ai surrealisti, al cui destino for-se il Nostro è legato più di quanto nonsembri, non solo per la tragica morte,ma per l’oblio a cui entrambi sono sta-ti sottoposti che, nel caso dell’autoredella Filosofia della redenzione, è sta-to interrotto alla fine degli anni No-vanta dalla pubblicazione integraledei suoi scritti e in Italia dalle primemonografie di qualche valente ricer-catore, esattamente come sta succe-dendo per Albert Caraco. Ha scrittoVladimir Dimitrijevic: “Poiché il nullaaveva preso il posto di Dio, Albert Ca-raco lo desiderava ardentemente co-me accettazione lenitrice dei mali im-perfetti e terrestri”; e poco più in làperò aggiungeva che solo grazie aisuoi scritti “gettiamo uno sguardo lu-cido sulle nostre schiavitù, le nostrenecessità che vanno contro alle nostreaspirazioni”.

Ma la migliore sintesi su Caraco, è pro-prio di Caraco, al quale, doverosa-mente, facciamo concludere questolungo articolo: “La conoscenza è sem-pre adorabile e noi, che gli occhi li te-

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CONTRIBUTI

niamo ben aperti, conosciamo l’ombra,penetriamo il caos, viviamo e moriamolà dove i più nemmeno cominciano adesistere senza mai smettere di morire.In questo gioco vinciamo trovandoquel che gli altri cercano e cercandoquel che essi ignorano, in quest’im-presa ci realizziamo sostenendoci aquel che ci atterra, più deboli di colo-ro che ci giudicano e più forti del de-stino, del loro come del nostro”.

RRiiffeerriimmeennttii bbiibblliiooggrraaffiicciiiinn lliinngguuaa iittaalliiaannaa

Camus A., Il mito di Sisifo, Bompiani, 1947.Caraco A., Post Mortem, Adelphi, 1984.

Caraco A., L’uomo di mondo, Guida, 1993.Caraco A., Breviario del caos, Adelphi, 1998.Caraco A., L’homme de lettres, Guida, 2000.Caraco A., Supplemento alla Psychopathiasexualis, Es, 2005.Cioran E., La caduta nel tempo, Adelphi,1995.Ciracì F., Verso l’assoluto nulla. La filosofiadella redenzione di Philipp Mainländer, Pen-sa, 2006.Filoramo G., L’attesa della fine. Storia del-la Gnosi, Laterza, 1983.Galimberti U., La terra senza il male. Jung,dall’inconscio al simbolo, Feltrinelli, 2001.Givone S., Storia del nulla, Laterza, 2006.Heidegger M., Essere e tempo, UTET, Tori-no 1978.Michelstaedter C., La persuasione e la Ret-torica, Adelphi, 1982.

Sartre J.P., L’essere e il nulla, Il Saggiatore,1965.Severino E., Il nulla e la poesia. Alla fine del-l’età della tecnica: Leopardi, Rizzoli, 1990.Tatone Marino A., L’arco dell’esilio. Saggiosu Albert Caraco, Università degli studi diNapoli, “L’Orientale”, 2003.Franco Volpi, Il nichilismo, Laterza, 1994.

Stefano Marullo, laureato in Storia, ha com-piuto studi di filosofia e di teologia appas-sionandosi ad autori legati al tema nichilista-gnostico ed esistenzialista. Editorialista delsito www.uaar.it occasionalmente col-labora con testate periodiche. È membrodell’Attivo del Circolo UAAR di Padova.

È stata convinzione di un’immensamaggioranza di esseri umani in ogniepoca e di ogni paese che continuiamoa vivere dopo la morte – termine appa-rente di tutte le funzioni dell’esistenzasensibile e intellettuale. Né l’umanitàsi è accontentata di supporre quellaspecie di esistenza che alcuni filosofihanno asserito: precisamente, la ridu-zione delle parti che compongono ilmeccanismo di un essere umano ai suoielementi e l’impossibilità delle parti-celle che fra queste sono le più minute,di essere divise all’infinito [1]. Gli uo-mini hanno aderito all’idea che la sen-sibilità e il pensiero, che essi hanno di-stinto dal suo oggetto sotto numerosinomi come spirito e materia, siano, nel-la loro natura, meno suscettibili di es-sere separati e di annichilarsi e che,quando il corpo si dissolve nei suoi ele-

menti, il principio che lo ha animato ri-marrà perpetuamente uguale a se stes-so e invariato. Alcuni filosofi – e colorocon i quali abbiamo un debito per le sco-perte più sensazionali nelle scienze fi-siche – suppongono, d’altro canto, chel’intelligenza sia il mero risultato di cer-te combinazioni fra le particelle dei suoioggetti [2]; e quelli fra loro che credonoche viviamo oltre la morte fanno ricor-so all’interposizione di un potere so-prannaturale che dovrebbe eccedere latendenza propria di tutte le combina-zioni materiali, per dissiparsi ed esserereintegrata in altre forme.

Cerchiamo di tracciare i ragionamentiche nell’uno e nell’altro hanno condot-to a queste due opinioni, e sforziamocidi scoprire cosa dobbiamo pensare suuna questione di così grave interesse.

Analizziamo le idee e le sensazioni checostituiscono le credenze in questione,e stabiliamo attentamente una discri-minazione fra parole e pensieri. Portia-mo la questione alla prova dell’espe-rienza e dei fatti e domandiamoci, con-siderando la nostra natura in tutta lasua estensione, quale luce riceviamo daun punto di vista stabile ed esaustivodelle sue parti costitutive, che può met-terci nelle condizioni di asserire con cer-tezza che viviamo o che non viviamo do-po la morte.

L’esame di questo punto richiede chevengano strappati via tutti quegli ar-gomenti accessori che vi ruotano intor-no nell’opinione comune degli uomini.L’esistenza di un dio e di uno stato fu-turo fatto di ricompense e di punizionisono totalmente estranei al soggetto.

NESSUN DOGMA

Su uno stato futurodi Percy Bysshe Shelley

NNEESSSSUUNN DDOOGGMMAA

Come abbiamo scritto nel numero precedente, L’Ateo segue conparticolare interesse il progetto editoriale di NESSUN DOGMA,la nuova casa editrice dell’UAAR. Dei testi usciti e di quelli cheman mano usciranno vogliamo proporre ai nostri lettori qualco-sa di più della consueta breve recensione.

Per il volume PPEERRCCYY BBYYSSSSHHEE SSHHEELLLLEEYY,, LLaa nneecceessssiittàà ddeellll’’aatteeiissmmoo (laraccolta curata da Federica Turriziani Colonna che presenta ibrani d’esordio dell’autore, noto al grande pubblico soprattutto

per la sua produzione poetica), abbiamo scelto di riprodurre unodei brevi saggi, per dare ai lettori la possibilità di apprezzare sialo stile di Shelley, sia il prezioso apparato di note della curatriceche permette di chiarire e inquadrare correttamente le proble-matiche, sperando di invogliare a un’ulteriore lettura.

Dei volumi di FFRRIITTZZ MMAAUUTTHHNNEERR,, LL’’aatteeiissmmoo ee llaa ssuuaa ssttoorriiaa iinn OOccccii--ddeennttee (traduzione di Luciano Franceschetti), opera che rappre-senta ancora oggi la più ponderosa trattazione della miscredenzamai pubblicata, presentiamo invece una lunga ed esauriente re-censione.

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NESSUN DOGMA

Se fosse provato che il mondo è gover-nato da un potere divino, nessuna infe-renza potrebbe necessariamente esse-re tracciata dalle circostanze in favoredi uno stato futuro [3]. Si è asserito, in-vece, che siccome il bene e la giustiziadevono essere annoverati fra gli attri-buti del divino, egli senza dubbio ri-compenserà il virtuoso che soffre du-rante la vita e che egli renderà ogni es-sere sensibile, che non meriti punizio-ne, per sempre felice. Ma questo giudi-zio sulla questione, che sarebbe noiosoma anche superfluo sviluppare edesporre, non soddisfa nessuno e tagliail nodo che noi ora tentiamo di scioglie-re. Inoltre, si dovrebbe provare d’altraparte che il principio misterioso che re-gola il corso dell’universo non è né in-telligente né sensibile, benché non siacosa inconsistente supporre allo stes-so tempo che il potere che lo anima so-pravviva al corpo che esso ha animato,in virtù di leggi così indipendenti daqualsiasi agente soprannaturale quan-to quelle attraverso le quali per la pri-ma volta esso vi si unì. Né, se si proveràchiaramente l’esistenza di uno stato fu-turo, da ciò segue che ci sia uno statodi punizione o di ricompensa.

Con la parola “morte” esprimiamo quel-la condizione in cui le nature che appa-rentemente ci somigliano smettono diessere ciò che sono [4]. Non le sentia-mo più parlare né le vediamo muover-si. Se esse hanno sensazioni o intelle-zioni, noi comunque non ne partecipia-mo più. Non conosciamo altro che que-gli organi esterni, e tutta quella sottiletessitura di materiale organico, senzail quale non possiamo avere alcunaesperienza del fatto che sussistano lavita e il pensiero, è dissolta e dispersavia. Il corpo viene sepolto sotto terra edopo un certo periodo non ne rimango-no neanche le vestigia della forma. Sitratta di quella contemplazione di un’in-sopprimibile malinconia, la cui ombraeclissa la brillantezza del mondo. L’os-servatore comune è colpito dalla tri-stezza dello spettacolo. Egli combatteinvano contro il pensiero della tomba,pensiero cui invece la morte pone untermine. Il cadavere ai suoi piedi è pro-fetico circa il proprio destino [5]. Quel-li che lo hanno preceduto e la cui vocerisultava deliziosa alle sue orecchie, ilcui contatto lo raggiunse come un fuo-co dolce e impalpabile, il cui aspettoemanava una luce onirica sul suo per-corso – ecco, tutti questi egli non puòpiù incontrarli. Gli organi di senso sonoandati distrutti e le operazioni intellet-tuali che ne dipendevano sono svanite

con la loro fonte. Come può vedere osentire un cadavere? [6]. I suoi occhi so-no tutti mangiati, il suo cuore è ormainero e privo di movimento. Che rela-zione possono intrattenere due mucchidi putrido fango e di ossa cadenti?Quando riesci a scoprire dove dimora-no i freschi colori dei fiori appassiti o lamusica della lira ridotta in pezzi, cercala vita fra la morte [7]. Tali sono le con-templazioni piene d’ansia e di timoredell’osservatore comune, benché la re-ligione popolare spesso lo trattenga dalconfessarle persino a se stesso.

Il filosofo naturale, oltre alle sensazio-ni comuni a tutti gli uomini toccati dal-l’evento della morte, crede di vederecon maggiore certezza che il venire me-no della sensibilità e del pensiero lo ac-compagna. Egli osserva come i poterimentali crescano ed appassiscano in-sieme a quelli del corpo, e come essi simodulino in relazione ai cambiamentipiù transitori della nostra natura fisica.Il dormire sospende molte delle facoltàdel principio vitale e intellettuale; l’eb-brezza e la malattia finiscono perfinocon lo sconvolgerlo in modo tempora-neo o permanente. La follia e la de-menza possono estinguere completa-mente il più eccellente e delicato di queipoteri. In tarda età la mente gradual-mente ingrigisce, e poiché essa è cre-sciuta e si è rinforzata con il corpo, ana-logamente con il corpo affonda nel de-crepito [8]. Queste sono assurde evi-denze del fatto che, non appena gli or-gani del corpo sono soggetti alle leggidella materia inanimata, la sensazione,la percezione e l’intellezione sono al ter-mine. È probabile che ciò che chiamia-mo pensiero non sia realmente un en-te, ma che anzi esso sia nient’altro cheuna relazione [9] fra certe parti di quel-la massa infinitamente variegata di cuiè composto il resto dell’universo e checessa di esistere non appena quelle par-ti cambiano la loro posizione l’una ri-spetto all’altra. Così il colore, il suono,il gusto e l’odore esistono solo in modorelazionale. Ma consideriamo pure ilpensiero come una qualche sostanzapeculiare, che permea e che è la causadell’animazione degli esseri viventi.Perché questa sostanza dovrebbe es-sere intesa come qualcosa di essen-zialmente distinto da tutto il resto, e ta-le da non essere soggetta a quelle leg-gi dalle quali nessun’altra sostanza puòesimersi? [10]. Essa differisce, in effet-ti, da ogni altra sostanza, come l’elet-tricità, la luce, il magnetismo e le partiche costituiscono l’aria e la terra diffe-riscono in modo rilevante l’uno dall’al-

tro. Ciascuno di questi è soggetto al mu-tamento e al decadimento, oltre che al-la trasmutazione in altre forme. Già ladifferenza fra la luce e la terra è di po-co maggiore rispetto a quella che sus-siste fra la vita, o il pensiero, e il fuoco.La differenza fra i primi due non è maistata addotta come argomento per il lo-ro sussistere eternamente in quella for-ma in cui essi si offrono inizialmente alnostro cospetto. Perché la differenza frale altre due sostanze dovrebbe essereun argomento per il prolungamento del-l’esistenza dell’uno e non dell’altro,quando l’esistenza di entrambi è giun-ta al termine? Dire che il fuoco possaesistere senza manifestare alcuna del-le sue proprietà di fuoco, come la luce,il calore, eccetera, o che il principio del-la vita esista senza la coscienza, la me-moria, il desiderio, il movimento, equi-vale ad accordare, attraverso una gof-fa distorsione del linguaggio, il sì inquesta disputa [11]. Dire che il princi-pio della vita possa esistere distribui-to fra varie forme è asserire ciò che nonpuò essere provato né come vero nécome falso ma che, se fosse vero, vani-ficherebbe tutte le speranze di esiste-re oltre la morte, in ogni senso in cuiquell’evento può essere legato alle spe-ranze o ai timori degli uomini. Si sup-ponga, comunque, che il principio in-tellettuale e vitale differisca nella ma-niera più marcata ed essenziale da ognialtra sostanza conosciuta; che esse ab-biano tutte una certa somiglianza reci-proca della quale questo principio nonpartecipi in nessuna misura. In che mo-do si può fare di questa concessione unargomento per la sua immortalità? Tut-to ciò che vediamo o che conosciamoperisce e si muta. Vita e pensiero diffe-riscono, in effetti, da ogni altra cosa. Mache essa sopravviva a quel periodo aldi là del quale non abbiamo alcunaesperienza della sua esistenza, ecco, ta-le distinzione e tale dissomiglianza nonforniscono neanche l’ombra di una pro-va, e niente fuorché i nostri stessi desi-deri possono averci lasciato congettu-rare e fantasticare al riguardo.

Abbiamo avuto esistenza prima della na-scita? Risulta difficile concepire tale pos-sibilità. C’è, nel principio generativo diogni animale e pianta, un potere che con-verte le sostanze, in virtù del quale essoè circondato da una sostanza ad essoomogenea. Ciò significa che le relazionifra certe particelle elementari di materiasono soggette a cambiamento, e si sot-tomettono a nuove combinazioni [12].Poiché quando utilizziamo termini comeprincipio, potere, causa, eccetera, non in-

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NESSUN DOGMA

� FFRRIITTZZ MMAAUUTTHHNNEERR, L’ateismo e la sua storia in Occidente, 3 voll., Edi-trice Nessun Dogma, Roma 2012. Vol. I, ISBN 978-88-906527-4-5, pa-gine XII + 700, € 24,00; Vol. II, ISBN 978-88-906527-5-2, pagine VIII +596, € 23,00; Vol. III, ISBN 978-88-906527-6-9, pagine VIII + 504, €22,00. Opera in 4 voll.

Di L’ateismo e la sua storia in Occidente di Fritz Mauthner occorre pre-cisare due aspetti, il primo è che indipendentemente dal titolo si trat-ta di una trattazione grandiosa e ricchissima di informazioni sull’e-voluzione dell’irreligiosità dall’antichità alla prima modernità. L’a-nalisi storica dunque, fermandosi al XVIII sec., non contempla ildarwinismo e le sue ricadute; il secondo che, a dispetto del titolo, nonè tanto una storia dell’ateismo quanto una storia del pensiero reli-gioso cristiano, dei suoi contrasti dottrinali interni e di “accuse diateismo” rivolte a chi aveva credenze diverse o semplicemente pro-poneva dottrine non-ortodosse. D’altra parte, per inciso, neppure laStoria dell’ateismo di Minois è una storia dell’ateismo bensì “una sto-ria dell’incredulità” rispetto alla teologia cristiana ortodossa. Sin dal-la prefazione Mauthner ci avverte del suo personale atteggiamento:«Ciò che io cerco di offrire – con animo costruttivo – tra le righe dellibro demolitore, ossia il mio credo, è una mistica senza Dio, che for-se potrà ricompensare per la lunghezza richiesta dal cammino deldubbio». Mauthner dunque non è ateo ma anch’egli un incredulo,forse agnostico, essendo ateo solo chi nega ogni trascendenza e ve-de solo nell’immanenza la realtà tutta. Pochi i veri atei in questa ri-cognizione perché, effettivamente, pochi sono stati, iniziando il ve-ro ateismo solo con Jean Meslier.

Mauthner, che era un linguista prima che uno storico, c’informa dicome gli è nata l’idea: «C’era da scrivere una storia della cultura oc-cidentale dal punto di vista della liberazione religiosa – non già d’u-na liberazione dalla religione»; e più avanti: «A codesta cristianitàapparteniamo noi tutti, senza riferimento all’appartenenza o menoad una chiesa. Vi apparteniamo in forza della tradizione e dei lin-guaggi». Dunque al Nostro, con la sua esperienza di linguista, paredifficile negare radicalmente l’esistenza di Dio col linguaggio logico-dialettico dal momento che le parole stesse che useremmo per farlosono appartenenti alla “lingua cristiana” e pervase dello spirito delCristianesimo. Dopo di che afferma che «le scienze naturali sono giàda molto tempo fuori dalle Chiese»; ma questo, ovviamente, non si-gnifica affatto che presuppongano l’ateismo. Il filologo, linguista, sto-rico e letterato Mauthner ignora in gran parte il pensiero scientificoe non c’è in lui neppure alcuna traccia del dibattito settecentesco sulpreformismo e sull’epigenismo, che in qualche modo, anche se sololivello genetico, anticipa alcune problematiche darwiniane. Così co-me manca ogni accenno a Maupertuis, a Buffon, a Harwey, a Boerha-ve o a Cabanis. Se è pur vero che non si può formulare vero ateismosenza coniugarlo con la datità scientifica (l’unica che mina la cre-denza nel divino in qualsiasi forma, non solo cristiana, ma deistica,panteistica, ecc.) si può tuttavia, come fa appunto Mauthner coglie-re il clima culturale, gli umori e il linguaggio che accompagna l’e-mancipazione della noncredenza nei secoli.

Questo grandioso L’ateismo e la sua storia in Occidente resta co-munque un impareggiabile documento d’analisi linguistica e stori-ca sulle vicende che hanno dato un corso storico e letterario all’ag-gettivo “ateo” e dei suoi annessi e connessi. Ricchissimo il quadroculturale, socio-politico e di costume, con copiose informazioni a noipoco note sul mondo protestante; nel contempo è ben colto come laqualifica di ateo fosse in realtà un insulto indirizzato a chiunque fos-se di fede diversa. Se per Platone era ateo l’empio, cioè il non-pio, iRomani chiamavano athei gli Ebrei e i Cristiani e questi bollavano co-me athei tutti coloro che non credevano nel Dio invisibile-parlantedella Bibbia, ma, per esempio, in Mithra (precristiano dio iranico na-to il 25 dicembre, in una grotta e da una vergine). In definitiva l’o-pera di Mauthner più che la noncredenza ha per oggetto la dissidenzacirca i dogmi dell’ortodossia cristiana e la presa di distanza da essain nome di fedi nel Dio-Ragione del deismo o nel Dio-Necessità delpanteismo con scarse e sparute presenze di veri atei; ma perché, inrealtà, pochi erano!

Entrando nel merito dell’opera, il Vol. I consta di una parte intro-duttiva che concerne gli aspetti concettuali e lessicali che accom-

pagnano il concetto di divinità (verità, immortalità, mito, antichescuole di pensiero) e di trattazioni specifiche arguibili già dai titoli(Paura del Diavolo, Razionalismo nel Medioevo, ecc.) circoscrivendotemi di grande interesse, ma “al contorno”. Opportuna attenzione èriservata nel volume a Federico II di Svevia che, dal momento che «re-stò indifferente verso il Cristianesimo, ostile verso la Chiesa» aven-do a cuore solo il potere dinastico della sua famiglia (però partecipòa una Crociata), si può supporre che in cuor suo potesse non crede-re in alcun dio anche se non lo ha mai dichiarato. Interessante il cap.16 dove l’autore si occupa di Epistole di uomini oscuri (pp. 551-563),opera clandestina e sarcastica che aveva messo non poco in subbu-glio il mondo protestante del XVI sec. con ricadute sino al XIX. Il cap.21 che chiude il volume, dal titolo Proverbi e leggende, c’informadi numerose espressioni irriverenti o blasfeme che testimonianoun anti-cristianesimo che percorre il mondo germanico tra Rinasci-mento e Illuminismo.

Il Vol. II ha anch’esso una parte introduttiva di carattere linguistico-semantico attinente la storia della miscredenza dal XVII al XVIII sec.Hobbes per Mauthner sarebbe un “vero ateo” perché rifiuta «ognifede nei miracoli» e inoltre avrebbe una visione meccanicistica del-l’universo. In realtà il meccanicismo lo ha inventato il cristianissimoCartesio e Hobbes si limitava a teorizzare un determinismo storici-stico che gli faceva scrivere nel Leviatano: «La Natura (l’arte attra-verso cui Dio ha creato e governa il mondo) è imitata dall’arte del-l’uomo […] quell’enorme Leviatano che chiamiamo Commonwealtho Stato che non è altro che un uomo artificiale […] a quel fiat o siafatto l’uomo pronunciato da Dio nella Creazione». Ateismo propriono. Ma Mauthner sostiene che «la sua proposizione d’un Dio corpo-reo [come già gli Stoici] sfociava semplicemente in una negazione diDio» Affermazione falsa, dal momento che un padre della Chiesa co-me Tertulliano era convinto della stessa cosa, ma che perdoneremoallo studioso tedesco il quale, in compenso, dice chiaro che Hume èun deista, acceso credente in un Dio-Ragione che il plebeo non puòcapire («esser supremo dotato di ragione») e (il che è ancora peggio):«che abbia bensì dato le leggi, ma senza poi modificarle più».

Il Vol. III è dedicato interamente al XVIII sec. e si suddivide in 11capp. Qui troviamo veri atei come La Mettrie ed Holbach, ma aMauthner sfugge la fondamentale differenza tra il vero ateismo in-determinista del primo e quella sorta di metafisica materialistache caratterizza il secondo. Sul primo il Nostro aggiunge che: «èuno scrittore senza giudizio» per aver scritto un Anti-Seneca (inrealtà un anti-stoicismo) che suscitò le ire di Diderot. Holbach è trat-tato correttamente e ampiamente (pp. 135-162) con alcuni dettagliinteressanti ed altrettanto bene è trattato, nel cap. 6, il rapporto traIlluminismo e Pietismo in Germania (pp. 165-207). Il cap. 7 è dedica-to a Leibniz e Wolff, mentre il cap. 8 (pp. 227-327) si occupa degli il-luministi tedeschi, un corposo saggio nel saggio che ci rende un qua-dro storico interessante poco noto a noi italiani. Il cap. 9 concerne L’etàdi Federico il Grande (pp. 329-384) e il 10 la Riforma del sistema sco-lastico in Germania. Conclude il libro il cap. 11 con titolo La GrandeRivoluzione, dove Mauthner ripercorre, però senza molta originalità,le vicende socio-politiche e i personaggi che caratterizzano la se-conda metà del ‘700 in Francia con la parte finale, più originale, de-dicata a Mesmer.

Per concludere: un gran bel libro, scritto con una prosa scorrevole epiacevole, merito probabilmente anche dell’ottima traduzione di Lu-ciano Franceschetti. Si tratta anche dell’unico esempio che io cono-sca nell’editoria italiana di un classico di quest’importanza per un to-tale di circa 1800 pagine all’eccezionale prezzo di soli 69 €. È inoltrepossibile acquistare i tre volumi separatamente: a chi non avesse di-sponibilità immediate consiglio di risparmiare qualcosa su voci nonessenziali per comprare quest’opera imponente e importante. A mioparere essa non può mancare nella biblioteca di atei e agnostici chevogliano capire meglio i quadri culturali e istituzionali del passato,le barriere e le censure, al di là delle quali è possibile nel XXI sec. ve-dere in una luce più chiara l’antinomia credenza/noncredenza.

Carlo Tamagnone, [email protected]

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tendiamo esprimere un vero ente, masoltanto classificare sotto questi termi-ni una certa serie di fenomeni che coe-sistono; ma si supponga pure che que-sto principio sia una certa sostanza chesfugge all’osservazione di un chimico odi un anatomista. Certamente può esse-re; ciononostante, è sufficientementenon-filosofico asserire la possibilità diun’opinione alla stregua di una provadella sua verità. Forse tale principio ve-de, ode, sente, prima delle sue combi-nazioni con quegli organi dai quali di-pendono le sensazioni? Forse ciò ragio-na, immagina, apprende, senza quelleidee che la sola sensazione può comuni-care? Se non fossimo esistiti prima del-la nascita; se, nel momento in cui le par-ti della nostra natura da cui dipendonoil pensiero e la vita, sembrano essere in-tessute insieme, lo sono effettivamente;se non ci sono ragioni di supporre chesiamo esistiti prima di quel periodo in cuila nostra esistenza comincia apparente-mente, allora non ci sono basi per la sup-posizione che dovremmo continuare adesistere dopo che la nostra esistenza èapparentemente cessata. Finché ci sipreoccuperà della vita e del pensiero, ac-cadrà la stessa cosa (che riguarda que-sta sostanza o stato della materia) a noi,considerati come individui, dopo la mor-te, come è successo prima della nascita.

Si dice che è possibile che noi conti-nuiamo ad esistere in qualche modocompletamente inconcepibile per noi almomento. Questa è una presunzionedavvero irragionevole. Essa getta suisostenitori dell’idea dell’annientamen-to l’onere di dover provare la negazio-ne di una questione, la cui affermazio-ne non è supportata da un singolo ar-gomento, e che, per la sua propria na-tura, risiede al di là dell’esperienza del-la comprensione umana. Risulta abba-stanza semplice, d’altra parte, metterea punto una qualche proposizione, ri-guardo alla quale siamo ignoranti, noncosì assurda da essere autocontraddit-toria, e sfidare a confutarla. Viene cosìgiustificata in modo trionfale la possi-bilità di qualsiasi frutto dell’immagina-zione che salti in mente. Ma è già ab-bastanza che tale asserzione debba es-sere contraddittoria rispetto alle leggidella natura conosciute, oppure che ec-ceda i limiti della nostra esperienza, chela loro fallacia o irrilevanza per la nostraconsiderazione andrebbe dimostrata.Essi persuadono, infatti, solo quelli chedesiderano essere persuasi [13].

Questo desiderio di essere sempre co-me siamo; la riluttanza davanti a un

cambiamento violento e mai provato,che è comune a tutte le combinazionianimate e inanimate dell’universo, ciòè, in effetti, la persuasione segreta cheha dato luogo alle opinioni su uno sta-to futuro.

NNoottee

[1] Generalmente, l’opinione comune si èsempre mostrata reticente ad accettare dot-trine materialistiche che proponessero di in-terpretare la morte come mera dissoluzionedi un peculiare stato della materia, che pu-re non svanisce nel nulla. [2] Shelley presenta la posizione – che eglistesso sostiene – di chi considera i fenome-ni legati alla vita come il risultato di partico-lari interazioni trattenute da elementi pura-mente materiali. [3] L’autore si premura di svincolare la cre-denza nell’immortalità dell’anima dalla cre-denza in un principio divino che governa ilmondo, due nozioni per lo più correlate nel-la storia del pensiero; si pensi, ad esempio,alle Meditazioni metafisiche cartesiane in cuisi afferma – come suggerisce il loro stessoautore – l’esistenza di Dio e l’immortalità del-l’anima. In esse Cartesio, in effetti, si pro-pone di combattere i luoghi comuni degli ateie, nell’accostare le due questioni, egli met-te in rilievo come l’una faccia il gioco dell’al-tra in seno ad una visione teologica. [4] Se la vita emerge dalle interazioni fra glielementi materiali di cui siamo composti, lamorte non rappresenta che l’alterità più lam-pante rispetto alla vita: essa è cessazionedelle attività sensitive, intellettive e desi-derative. [5] La coscienza della morte pone l’uomo di-nanzi a questioni gravi ed urgenti che, spes-so, lo hanno spinto a edificare religioni in cuifosse giustificata la credenza in una vita fu-tura. [6] Perché ci sia vita è necessario che si ab-biano sensazioni; d’altra parte, perché questesiano possibili, sono indispensabili gli organidi senso con cui gli organismi sono in contat-to con l’esterno. Se la percezione è la loro fun-zione, venendo meno tali organi, la funzionestessa svanisce e con essa la vita tutta.[7] La vita, in quanto opposta alla morte, ècapacità di produrre: i viventi riproduconose stessi continuamente, generano organi-smi simili a loro, e producono … arte. Doveci sono colori e dipinti, dove c’è musica, làc’è un uomo. [8] Shelley mette in rilievo la congruenza cheintercorre fra la fisiologia dei corpi e le atti-vità che chiamiamo intellettuali e in cui iden-tifichiamo la vita spirituale. (Va notato che,ancora una volta, fu Cartesio a discriminarefra una mera vita che oggi diremmo biologi-ca e quanto viene invece detto “mente”;Shelley, su questa dicotomia, assimila il con-cetto di vita a quello di spirito, intendendocon ciò le capacità sensitive e intellettive delvivente). Così, se le attività biologiche delnostro corpo sono congruenti alla possibilità

di esercitare l’intelletto, ne segue che la men-te è funzione – cioè dipende – dalla vivacitàe dal vigore corporeo. [9] È interessante notare quanto sia centra-le il concetto di relazione; così, la menteemerge dalle interazioni fra gli elementi ma-teriali. Oggi filosofi della scienza, fisici, neu-roscienziati, ecc. affermano tesi di questogenere, che vanno sotto il nome di “emer-gentismo” e che furono precorse, come è evi-dente, a livello intuitivo e filosofico già daShelley, poi dal russo Bogdanov precursoredella teoria dei sistemi e dal filosofo france-se Raymond Ruyer. [10] Il pensiero va inteso allora come una pro-prietà dello stato vivente della materia. [11] Ammettere la possibilità che la mentesopravviva al corpo equivale ad affermareche la luce sia possibile indipendentementedal fuoco. Si tratta dunque di un’unità chenon può essere frantumata, pena lo scade-re nell’irrazionalità. [12] I fenomeni di nascita e di morte non so-no creazione e annichilamento, ma trasfor-mazioni della materia che, semplicemente,muta il proprio stato: si tratta di un’intuizio-ne già proposta in età rinascimentale daGiordano Bruno, padre putativo di molti li-beri pensatori, miscredenti, eterodossi, tal-volta atei. Egli non epurò l’universo, così co-me se lo immaginava, della vita ma anzi lacalò al suo interno sostenendo posizioni im-manentiste e pan-psichiste; il suo pensierofu accolto, fra gli altri, dal filosofo irlandeseJohn Toland, che coniò il termine panteismoper riferirsi al proprio atteggiamento intel-lettuale che molto condivide con il libero pen-siero e con un certo ateismo. [13] Che vi sia una vita futura è, più che unareale cognizione, un desiderio che spinge alasciarsi persuadere da dottrine irrazionali.

(Capitolo 3 del volume di PPEERRCCYY BBYYSSSSHHEE SSHHEELL--LLEEYY, La necessità dell’ateismo, ISBN 978-88-906527-2-1, Casa Editrice Nessun Dogma,Roma 2012, pagine XIV + 80, € 12,00, tradu-zione dall’inglese di Federica Turriziani Co-lonna, [email protected]).

� GGIIAANNLLUUIIGGII NNUUZZZZII, Sua Santità. Lecarte segrete di Benedetto XVI, EAN9788861900950, Chiarelettere Editore(Collana “Principio attivo”), Milano2012, pagine 326, € 16,00.

Grazie a una fonte vaticana segreta (l’or-mai famoso “corvo”) Gianluigi Nuzzi hapotuto accedere a una serie di docu-menti riservati destinati a BenedettoXVI in persona o alla sua segreteria.Quelli più importanti vengono analizza-ti dall’autore e riportati in Appendice.

Il quadro di vita vaticana che ne emer-ge è tutt’altro che edificante: complot-ti, intrallazzi, congiure di palazzo, ve-leni e pugnalate alle spalle, faziosità,lotte intestine, corruzione e affari benpoco trasparenti; il tutto condito da do-si massicce di omertà e ipocrisia e dauna forte volontà omissiva sui fatti. Neisacri palazzi dei (sedicenti) rappresen-tanti di Dio sulla terra, insomma, pacee amore non sono certo di casa, e si po-trebbe anzi dire che al confronto di tut-ti questi prelati Machiavelli farebbe lafigura di un ingenuo dilettante.

Non sto qui a entrare nei dettagli del-le singole vicende esaminate nel libro:chi volesse farsi un’idea più precisa diquesto squallido quadro di miserieumane non ha che da leggerselo. Vor-rei invece soffermarmi su due aspettiinteressanti che emergono da “Vati-leaks”.

Innanzitutto, la fitta ragnatela di ade-renze, intrecci e connessioni esistentifra il Vaticano e la politica italiana, chesi traducono inevitabilmente in forti in-gerenze vaticane nel Paese che, guar-da caso, costituisce il principale “for-ziere” della chiesa cattolica nel mon-do. Nuzzi ci parla, ad esempio, di un in-contro privato e segreto fra il Papa e ilPresidente Napolitano avvenuto nelgennaio 2009 e anche degli stretti le-gami esistenti fra la Santa Sede e varipersonaggi politici italiani come Gian-ni Letta, Giulio Tremonti e, non ultimi,alcuni membri del governo Monti. Insecondo luogo, dai documenti segretiappare evidente la situazione di crisi incui si trova oggigiorno la chiesa, nonsoltanto a causa della sua attuale scar-sa governabilità ma anche per la ridu-zione delle offerte dei fedeli in seguitoagli scandali di pedofilia e come con-seguenza della crisi economica che hacoinvolto il mondo occidentale “cri-stianizzato” sul quale da sempre lachiesa parassiteggia. Al proposito, ilpenultimo capitolo (“Scacco a Bene-

detto XVI”) contiene una brillante elungimirante analisi di Ettore Gotti Te-deschi, Presidente dello IOR, formula-ta in una sua nota per il Segretario par-ticolare del Papa Mons. Georg Gäns-wein, con tanto di consigli sul comemassimizzare le risorse e proteggere ipatrimoni – alla faccia della povertà diCristo!

A fine lettura di questo interessante li-bro una cosa appare chiara: la mano diDio certamente guida tutte le azioni, ifatti e i misfatti dei suoi (sedicenti) rap-presentanti sulla terra; non si tratta peròdell’improbabile Dio tripartito dei cat-tolici ma di un Dio ben più potente, con-vincente e onnipresente: il Dio Denaro.

Enrica [email protected]

� GGIIOOVVAANNNNII RRUUGGGGIIAA, Elementi di eticae cultura civica umanistica, ISBN 88-88992-24-3, Edizioni La Baronata (E-mail: [email protected]),Lugano 2011, pagine 36, Fr. 5.- / € 3,50.

In un volumetto di circa 30 pagine, ildottor Giovanni Ruggia di Lugano trac-cia il percorso dell’umanità alla ricercadel senso della vita e delle leggi dell’e-tica, dai primordi dell’esistenza del-l’uomo sulla terra fino ai tempi nostri,nei quali la critica si è fatta più ap-profondita, sostenuta dalla ricercascientifica che, seppure non dia cer-tezze, sostiene il dubbio e lo accentuavia via che la ricerca e la ragione van-no cancellando antiche credenze e mo-di di vita che si rivelano pure supersti-zioni nonché tradizioni frutto di igno-ranza e di paure. La filosofia oggi do-mina la scienza, in qualunque brancaesige che la razionalità trovi misure ef-ficaci per il vivere civile, per la prote-zione dell’ambiente, per il sostegno delpensiero libero dai dogmi delle religio-ni che hanno dominato e rallentato ilcammino dell’umanità fino ai nostrigiorni. Notevole veramente il lavoro disintesi che il dottor Ruggia dell’Asso-ciazione dei Liberi Pensatori della se-zione Ticino, ha tracciato con scioltez-za e semplicità di linguaggio. Un indi-spensabile approccio alla cultura uma-nistica che domina i nostri tempi e checi auguriamo possa sempre più esten-dersi in Europa.

(Giovanni Ruggia ha studiato medici-na, antropologia e odontoiatria a Fri-

burgo, Berna e Zurigo. Conduce unostudio dentistico alla periferia di Lu-gano. Ha sempre avuto la passione perla lettura, una curiosità di conoscere fi-ne a se stessa, senza scopo di applica-zioni).

Ettorina [email protected]

� RROOMMEEOO MMAANNZZOONNII, Virus religiosum. Ilprete nella storia dell’umanità e altriscritti, a cura di Diego Scacchi e EdyZarro, ISBN 978-88-88992-25-9, Edi-zioni La Baronata, Lugano 2011, pa-gine 172, € 12,00 (Fr. 14.50).

Dopo aver fornito nel 2009 una nuovaedizione del saggio di Emilio Bossi, Ge-sù Cristo non è mai esistito, del 1904 (re-censito nel numero 2/2012 de “L’A-teo”), la casa editrice anarchica tici-nese La Baronata offre con questo ti-tolo un contributo importante alla co-noscenza di un libero pensatore che diBossi fu amico più anziano e fonte diispirazione per diversi aspetti (ma nonper la teoria del Cristo mitologico, cuiManzoni non aderì, esaltando anzi il“vero Gesù” come un avversario dellareligione dei preti). Gli ottimi appara-ti introduttivi chiariscono il contestostorico-politico e ideologico della Sviz-zera della seconda metà del XIX sec.entro cui operò questa figura di filosofo,politico e imprenditore.

Di formazione letteraria e filosofica (dagiovane fu docente a Reggio Calabria),Manzoni fu in filosofia un convinto as-sertore del positivismo, in religione unagnostico (si definì «deista kantiano»,ed era massone), mentre in politicaoperò nell’ala della “estrema sinistra”,prima liberale e poi socialista. Mentrein Italia dopo il 1870 i cattolici erano inbuona misura legati dal non expedit, inSvizzera, e in Ticino in particolare, a piùriprese il clero e i fedeli fecero politicaattiva a favore dei governi conservato-ri, e ciò quindi motivò doppiamente l’a-zione degli anticlericali progressisti. Inquesta polemica a tutto campo s’inse-riscono gli scritti riportati in questo vo-lume, il principale dei quali, pubblica-to nel 1887, reca come sottotitolo “Sag-gio popolare di patologia psicologica”.

Si tratta di un sanguigno pamphlet cheintende delineare le tappe attraversole quali ogni religione ha portato allacreazione di una casta privilegiata e

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profittatrice, di fatto nemica del pro-gresso dei popoli perché conscia cheda esso verrebbe la sua fine. I preti so-no dunque visti come coloro che ap-profittano di una debolezza patologi-ca dell’umanità: «Oh, quale sarà, miobuon amico, quale sarà il Pasteur chesaprà guarire l’umanità dal virus reli-gioso e spegnere per sempre i microbidivini?». I preti si sono da sempre af-fermati servendosi di concetti e pro-cedure come “sacrificio”, “miracolo”,“penitenza”, “paura della morte” e si-mili, sono corazzati dal sostegno delpotere politico, da loro sa-cralizzato, e continuano amantenersi, soprattuttonei tempi più recenti, gra-zie alle frange più debolie irrazionali della popola-zione (bambini, malati,vecchi e, soprattutto,donne).

Il Manzoni propugna dun-que una lotta di liberazio-ne politica e culturale evede la possibilità di“guarigione” nella sem-pre più diffusa educazio-ne al «culto civile» dellascienza, dell’arte e dellagiustizia. Si notano alcu-ne ingenuità tipiche del-l’entusiasmo positivista:ad esempio, visto che ilprete troverebbe la suaforza anche nella debolezza fisica del-le masse, la soluzione proposta è: «car-ne, mio buon amico, bistecche e ro-sbiffi!». Ciò detto, molti degli argo-menti addotti dall’autore restano nel-

la sostanza ancora validi, non intacca-ti dal fatto che le sue speranze sianostate in parte tradite, complici proba-bilmente i totalitarismi del XX sec., cheManzoni, morto nel 1912, non potevaprevedere.

In realtà l’onda lunga della secolariz-zazione ha indebolito inesorabilmente,ora più ora meno, sia le strutture ec-clesiali vere e proprie, sia, molto di più,il credito che esse godono. Anche ilmondo islamico non è affatto rimastoimmune da ciò (e per questo i suoi pre-

ti sono ancora più “feroci”). Insomma,quando si coglie il penoso quadro at-tuale della gerarchia cattolica quale de-lineato da scritti come il recentissimo Isenzadio di Livadiotti, be’, allora ci si

rende conto che Manzoni era sulla stra-da giusta, che molti proseguono anco-ra non inutilmente per tale strada e chei risultati non sono mancati e non man-cheranno.

Fabrizio [email protected]

�MMAARRIIOO AAGGRRIIFFOOGGLLIIOO, Da Galileo ad Ein-stein: Fra scienza e scientismo, ISBN:

887255389X, brossura,Firenze Libri (www.firenzelibri.com) Col-lana “Collezione Mer-cator”, Firenze 2012,pagine 284, € 19,00.

Quasi ogni religione cer-ca di farci credere che “ilTutto sia stato creatodal Nulla per volontà diun dio onnipotente” edeterno. In particolare ilcattolicesimo avrebbeistituito una sua propria“scienza cristiana” de-finita dall’autore “scien-tismo” per accreditare ilsuo fideismo anacroni-stico di origine mosaica.Dal concilio di Trento inpoi il papato ha svoltouna duplice azione con-

tro la scienza: (i) repressiva: con i suoisecolari metodi a base di carceri, tortu-re e roghi umani e cartacei; (ii) disinfor-mativa: in modo da far apparire la scien-za incerta o inconcludente.

NNOONNCCRREEDDOO –– La cultura della ragione, anno IV, n. 19, settembre-ot-tobre 2012, pagine 100; abbonamenti: postale € 29, digitale PDF €17, Borgo Odescalchi 15/B, 00053 Civitavecchia (Roma). Tel.366.501.8912, Fax 0766.030.470 (sito: www.religionsfree.orgE-mail: [email protected]). Sommario:

VVeettrriinnaa.. Indice dei nomi citati, Lettere al direttore, Statisticheragionate di A.R. Longo, Con le religioni non c’è pace di N. Ber-nardi, Libri consigliati, Librerie provviste di NonCredo.

PPrroollooggoo--aattttuuaalliittàà.. Editoriale:: Quando la libertà è tradita di P. Ban-cale; Etica e diritti di V. Pocar; Presidente Monti, dimezzi l’8×1000di M. Staderini; Liberi di noncredere di R. Carcano; Oscurare que-sto oscurantismo! di D. Lodi; La morte della filosofia? di A. Cat-tania; Come vedo una società senza religioni di C. La Torre; Maperché dio si interessa ai genitali dei suoi credenti? di P. Bancale.

EEttiiccaa--LLaaiicciittàà.. Disputationes laiche di R. Morelli; Lo stato vegeta-tivo in Italia di G. Vazzoler.

RReelliiggiioonnii.. Una religione senza le religioni di F. Battistutta; Lo scia-mano come mediatore terapeutico di G. Mazzoleni; Riflessioni

sulla Bibbia di A. Bencivenga; Noncredente e non cattolico in Ita-lia di P. Marazzani; Quando la religiosità diventa fabbrica di mor-te di S. Omenetto.

LL’’UUoommoo.. Il “Genere” nella famiglia e nelle adozioni di D. Giaca-nelli; Lo specchio non mente di E. Galavotti; Il dovere dell’uomodi E. Nicosia.

PPeennssiieerroo sscciieennttiiffiiccoo.. Le neuroscienze e la libertà umana di F. Pri-miceri; Quale futuro per la clonazione umana? di G. Vazzoler; Laformula di Drake sui mondi abitati di C. La Torre.

PPeennssiieerroo uummaanniissttiiccoo.. Il pensiero libero e l’idea liberale di P.P. Se-gneri; La morte di dio di D. Lodi; Cristianesimo ed ebraismo di A.Carone; L’esempio di Frank Kafka di E. Luzzi; L’arte nel tempo:l’affermazione borghese di D. Lodi.

PPeennssiieerroo ffiilloossooffiiccoo.. Dialoghi surreali; NonCredo ed il pensieroscettico di C. Tamagnone; Gli Illuministi e l’ateismo di D. deMarco; L’istituto crudele della morte di N. Tonon; Anselmo d’Ao-sta e la sua “prova” di A. Carone; Attualità di Nietzsche di A.Genovesi.

� LL’’AAtteeoo//aa ee llaa ssaattiirraa

Gentile Sig.ra Turchetto,

Leggo la mail di D. Battaglia sul n. 4/2012(82) p. 30 e la Sua risposta contenenteuna provocazione che ritengo giusto co-me lettore e sostenitore non lasciar ca-dere. Lei chiede a coloro (fra cui il sotto-scritto) che trovano eccessivo e di catti-vo gusto il profilo satirico della rivista,se non siano condizionati da “un tabùpiù forte delle loro convinzioni raziona-li” piuttosto che dalla sollecitudine peruna maggiore diffusione dei valori pro-mossi dall’UAAR. Questo tabù, se com-prendo bene, sarebbe quell’“obbligo diun grande rispetto non dovuto” per lereligioni che lei cita a conclusione dellaSua risposta. La Sua ipotesi è dunqueche alcuni sostenitori dell’UAAR non sisiano liberati dagli antichi condiziona-menti dell’educazione religiosa (nel ns.paese in genere cattolica) e che ma-scherino questo condizionamento sotto

un’apparente questione di stile e di stra-tegia comunicativa.

Mi permetta di risponderLe semplice-mente che le cose non stanno così. Il pun-to è che vignette e barzellette sul Cristo,la Madonna, san Giuseppe ecc., le bat-tutine sul papa e le sottane dei preti (equel che c’è sotto) sono cose stravecchie.Un tempo si tornava dalle vacanze esti-ve con un nuovo corredo di storielle ap-prese sotto l’ombrellone da scambiarecon gli amici in città. C’erano anche quel-le sulle puttane e, inevitabilmente, sui“finocchi”. Sono certo che gay e lesbichedell’UAAR non se la prenderanno con mese uso – in prospettiva storica! – quel-l’infame denominazione. Tutte cose chenon sono più in circolazione o quasi.

Scorrendo le vignette de L’Ateo/a (tral’altro: vorrei capire perché L’Ateo è na-to maschietto. Non ci sarà mica dietroqualche tabù occulto antifemminista,spero) non sento affatto quel “potere li-

beratorio” che, se-condo Lei, hanno maprovo solo un sensodi déjà vu fuori tem-po massimo e una no-ta di provincialismoculturale che, franca-mente, stona.Infine: la domandasul linguaggio postada D. Battaglia è piùche mai giustificata enon va elusa. L’A-teo/a si rivolge soload intellettuali o aspi-ra a raggiungere unpubblico più vastocon livelli culturalinecessariamente dif-

ferenziati? La cosa non è di poco conto.La ringrazio per l’attenzione. Cordialità,

Pierguido [email protected]

� LL’’AAtteeoo ppooccoo aacccceessssiibbiillee

Gentili amici, mi chiamo Francesco D’Or-si, sono un ingegnere elettronico in pen-sione (anni 63), da anni socio UAAR evorrei avere la possibilità di accedere al-l’area soci del sito UAAR. Colgo l’occa-sione per esprimere un mio parere sul-la rivista L’Ateo.

La maggior parte degli articoli che, peraltri versi sono molto interessanti, misembrano di difficile comprensione. I do-centi che scrivono, talvolta trascurano,involontariamente, di tener conto del li-vello culturale del lettore medio e sem-brano scrivere da esperti molto prepa-rati per un pubblico altrettanto prepa-rato. Questo dico perché mi piacerebbeche la rivista fosse accessibile a tutti epotesse avere maggiore divulgazione.Per quanto riguarda i contenuti mi pia-cerebbe anche che fossero riservati spa-zi dedicati alla divulgazione di cono-scenze che possano aiutare ognuno dinoi soci a controbattere tutti gli aspettinegativi delle ideologie sociali religiosecontro le quali ci dobbiamo confrontarequotidianamente.

Noi dell’UAAR, siamo tesi continua-mente alla ricerca di una società più giu-sta ove si possa avere il massimo beneper il massimo numero delle persone.Riteniamo che le religioni facciano esat-tamente il contrario ed allora è dovero-so invitare chiunque incontriamo sulla

L’autore stesso fu vittima di interventicensori clericali contro un testo scienti-fico da lui scritto e incautamente affi-dato ad una tipografia controllata dapreti. La strategia antiscientifica mes-sa in atto con la Controriforma era ed èrivolta a condizionare la scienza soprat-tutto in settori specifici come la fisica. Ivertici delle istituzioni scientifiche ita-liane, come ogni settore dello Stato edella società, sono sottoposti a pesantiinterferenze vaticane. Il libro non fa no-mi ma tali accuse sono riproposte con-tinuamente nel testo.

Giovanni Paolo II, pur avendo più voltechiesto scusa per le atrocità commessedalla chiesa contro altre religioni, si èsempre ben guardato dal chiedere scu-sa per tutte le intromissioni nefaste con-tro la scienza e gli scienziati. Solo sul ca-so Galileo ha fatto significative ammis-sioni.

Nel testo sono presenti anche aspettipolemici antibiblici con accuse di illogi-cità, falsità, inverosimiglianza, abusodella credulità popolare. La parte prin-cipale del testo è comunque dedicata al-

l’illustrazione delle personali teoriescientifiche dell’autore, artista e scien-ziato autodidatta.

Da segnalare un inserto di XVI paginea colori con foto di quadri ed esperi-menti scientifici. La bibliografia, vistal’importanza dell’argomento, avrebbepotuto essere più ampia: vi sono citatitesti di Odifreddi, Eco, Augias, Ein-stein, ecc.

Pierino [email protected]

36 n. 5/2012 (84)

RECENSIONI

LETTERE

37n. 5/2012 (84)

LETTERE

nostra strada ad abbandonare qualsia-si ideologia religiosa che possa essereperniciosa per la sua felicità. Non siamoquelli delle crociate e dei proselitismi,non dobbiamo la nostra forza al nume-ro mentre siamo sempre pronti a ri-spettare e a difendere la libertà di ogniuomo, ma tutto ciò non deve impedircidi divulgare e difendere le nostre idee.Ripeto un invito, un consiglio è dovero-so. (Io personalmente mi trovo comequello della parabola che ha trovato unaperla preziosa. Questa perla è la libertàda ogni ideologia religiosa, da ogni pre-giudizio che si erano in precedenza im-possessati della mia mente e del miocuore. Penso sia giusto mettere questaperla a disposizione di chi lo chiede). Maper essere più propositivi dobbiamo es-sere anche più preparati. E ciò potreb-be essere fatto, ad esempio, destinan-do spazi tematici da trattare in ogni fa-scicolo (critica della Bibbia, storia dellereligioni, origini e stranezze dei Testi-moni di Geova, problemi di attualità po-litica, ecc.).

Chiedo scusa per essermi dilungatotroppo, permettetemi però di fare ungrande ringraziamento a questa Asso-ciazione perché senza l’UAAR mi sareisentito un uomo solo, forse troppo solocon le mie idee. Adesso so che siamo intanti a pensarla allo stesso modo! Uncordiale saluto.

Francesco D’[email protected]

� UUnn ppiizzzziiccoo ddii ffuurrbbiizziiaa

Buonasera Sig.ra Maria,

Ho sorriso leggendo la sua “maligna”domanda (come Lei stessa la definisce).Io di “indole” sono sempre stato un tipodialogatore, ho sempre pensato che conrispetto verso l’altro e “azzerando mo-mentaneamente” le nostre convinzioni,è possibile cogliere il punto di vista del-le altre persone e poi passare a spiega-re le nostre idee. Non sempre è possibi-le trovare un punto d’incontro, è vero. Intal caso la soluzione migliore è “mini-mizzare il conflitto” che si può creare. Miriconosco al 100% nell’UAAR e sono an-che attivista, ma ho notato che facciamodifficoltà come organizzazione ad “at-tecchire”.

Potremmo riuscirci se utilizzassimo unpizzico di furbizia: innanzitutto, perquanto riguarda il giornale, basta conquel pedante linguaggio filosofico. Il

giornale deve essere un veicolo di ideee queste devono essere accessibili an-che a chi non ha una laurea o a chi nonha studiato filosofia. Nel nostro Circoloci sono aderenti UAAR che non hannoun livello d’istruzione pari a quello dellamaggior parte dei membri: c’è anche l’o-peraio, la guardia penitenziaria, la casa-linga ... alcuni di loro hanno detto di nonvoler ricevere questo giornale perchétroppo “difficile” per loro, e questo do-vrebbe farci pensare. Se vogliamo che lenostre idee si diffondano e vengano ca-pite (soprattutto) dobbiamo anche scri-vere in maniera più soft e non solo peruna cerchia ristretta di sapientoni.

Secondo: forse sono una persona noio-sa ma non ho colto il minimo segno diironia nella vignetta del secondo nu-mero de L’Ateo. Ma il problema non èla vignetta. Si ritorna sempre al discor-so della furbizia: se noi avessimo evi-tato quella vignetta, il giornale moltoprobabilmente ora sarebbe distribuitonella biblioteca; e non è da superficia-li giudicare un libro o una rivista dallasola copertina. È quella che deve atti-rare il lettore e se non lo fa non vienenemmeno lo stimolo a leggerla la rivi-sta. Se vogliamo crescere dobbiamo sa-per parlare con un linguaggio più po-polare e meno sofisticato.

Danilo [email protected]

Dei due problemi posti dal nostro letto-re, quello sulla leggibilità è stato più vol-te affrontato in questa rubrica e nelle riu-nioni della Redazione, nelle quali si è af-fermato il principio di concedere qual-cosa alla leggibilità, ma a patto di nonallontanarci troppo da una linea edito-riale di buona qualità (nei limiti delle pos-sibilità editoriali e delle capacità dei col-laboratori). Negli ultimi anni crediamodi avere mantenuto un buon profilo; edin tal senso la rivista è generalmente ap-prezzata dalla maggioranza dei nostrilettori.

Per quanto riguarda il buon gusto nel-la satira, non sempre essa è triviale co-me sembrerebbe. Ne è esempio propriola copertina sullo sterco del diavolo, néblasfema né diffamatoria, ma al con-trario (almeno a noi così sembra) asso-lutamente ironica in quanto fotografa(e addirittura con candore) una realtàben nota e con la quale il clero va a noz-ze. Lo testimonia ad esempio un artico-lo pubblicato su “Panorama” del 20maggio 2010. Suor Giuliana Galli, pas-

sata da due anni dalla Piccola Casa del-la Divina Provvidenza addirittura alConsiglio generale della Compagnia diSan Paolo di Torino (il principale sociodella banca Intesa Sanpaolo, che so-stanzialmente gestisce lo “sterco deldiavolo”), dichiara: “Un tempo pensa-vo anch’io che il denaro fosse lo stercodel diavolo. Però sono anche una con-tadina. E lo sterco è anche il concimemigliore”. Come volevasi dimostrare:trattandosi di una suora, proprio “unconcime della madonna”!

Francesco D’[email protected]

� EEssoorrcciissmmoo,, ffeeddee eedd iiggnnoorraannzzaa

Nel numero de L’Ateo 3/2012 (81) nellasezione Lettere, Lorenzo Dorati ha scrit-to un articolo interessante dal titolo “Ilfenomeno dell’esorcismo”. Essendo unopsicologo, l’argomento mi riguarda davicino e ho deciso di approfondire alcu-ne questioni.

L’esorcismo è un fenomeno molto anti-co, ed il fatto che oggi sia ritornato invoga, testimonia, a mio parere, un de-cadimento culturale della nostra società(mi riferisco a quella italiana, ma valeanche per altri paesi). Parlo in questi ter-mini perché è molto triste nel 2012 do-ver ancora parlare di esorcismo e de-moni.

Nonostante non sia credente, rispettocomunque la fede e le tradizioni altrui,anche se legate alle streghe o alle ma-ghe, ma in questo caso il discorso è bendiverso, perché colui che viene definito“indemoniato” o “posseduto” è in realtàuna persona che potrebbe soffrire di ungrave disturbo psichico. Al di là dell’i-potesi diagnostica e della sintomatolo-gia, il punto fondamentale è che ci tro-viamo di fronte ad una persona che sof-fre e che necessita di un supporto pro-fessionale, che non può e non deve es-sere fornito da un prete e simili. Le figu-re più indicate sarebbero lo psicolo-go/psicoterapeuta e lo psichiatra, inquanto sono gli unici che hanno una for-mazione ed una competenza adeguatariguardo al disagio mentale. Inoltre i ri-spettivi ordini professionali prevedonodelle norme a tutela di tutti gli uten-ti/pazienti che non credo siano previstedagli “ordini” ecclesiastici.

Per esempio le norme deontologiche del-lo psicologo prevedono l’impiego di “[...]metodologie delle quali è in grado di in-

38 n. 5/2012 (84)

LETTERE

dicare le fonti ed i riferimenti scientifici[…]” per evitare di suscitare “nelle at-tese del cliente e/o utente, aspettativeinfondate” (art. 5 del Codice Deontolo-gico degli Psicologi). Ci sono anche altriarticoli che ribadiscono l’importanza diutilizzare strumenti conosciuti ed effi-caci di cui si ha un’adeguata compe-tenza, bandendo metodi improvvisati,non validati empiricamente e non ac-cettati dalla comunità scientifica.

In ogni caso il problema è a monte, per-ché non c’è un’adeguata informazione esensibilità nei confronti di questo tema.Si verifica troppo spesso nella praticaclinica che un “paziente” (inteso in sen-so etimologico, come colui che soffre)venga condotto prima dal prete e solo inun secondo momento da un professio-nista; tutto ciò a suo discapito, in quan-to l’inutile attesa non fa altro che con-solidare il problema riducendo le possi-bilità di effettuare un intervento effica-ce. Quindi per rispondere a Lorenzo, piùche interprete di un reale bisogno, lachiesa cavalca l’ignoranza dei suoi fe-deli provocandone soltanto un nocu-mento. Infine anche se imbarazzante,voglio ricordare un articolo on-line delFatto Quotidiano del 16 aprile 2012,“Bologna, a lezione di esorcismo. Nonsolo preti, ma anche medici e avvoca-ti”, in cui sono state riportate le testi-monianze di alcuni (pochi per fortuna)medici e psicologi che sostenevano l’im-portanza della pratica dell’esorcismocome soluzione a questa tipologia diproblemi.

Da psicologo, anche se giovane, mi sen-to offeso da tali dichiarazioni e mi au-guro vengano presi provvedimenti dairispettivi ordini. Alle soglie del terzomillennio sarebbe anche l’ora di smet-terla con tutte le fandonie sulla genteche levita, parla lingue sconosciute, mo-stra forze soprannaturali e cosi via.Chiudo con una domanda: come mai inItalia succede solo al clero di assisterea tali fenomeni?

Marco G. [email protected]

� FFrraatteelllloo AAtteeoo

A te che hai bisogno di sbattezzarti persentirti libero; a te che usi la parola perabbozzare logiche di libertà sui limiti,quelli della tua libertà di logica appun-to; a te che parli dell’uomo come pro-dotto di un ciclo naturale come fosseun sasso di ruscello, senza sapere che

è un dono di stupore di Dio; a te chesenza neanche saperlo ti metti ad om-bra della tua anima qualcuno che ti do-mina proprio mentre tu ti dichiari libe-ro; a te che senza saperlo ti metti nel-la mani di chi è all’opposto di Dio (e ilsuo nome non è certo l’innocuo “ateo”,ma è “satana”, cioè colui che per at-taccare Dio è il primo ad ammetternel’esistenza).

L’inganno, e lo dico in umiltà (mi piacequesta vostra sezione “lettere all’ateo”)è che il demonio inganna l’uomo liberofacendogli credere che non esiste. Quin-di l’ateo in questo si sente ancora piùlibero. Illusione di ragione. Chi non cre-de in Dio e non crede nell’esistenza deldemonio ha l’anima già data a Satanae non lo sa.

Io non potrei mai giudicare da cristianochi non crede (“benedite, non maledi-te” c’è scritto), ma m’impegno a prega-re per te, fratello ateo, con tutto il fervoredella mia anima. San Michele Arcange-lo, a cui consacro il mio cuore, mi sia for-za nella preghiera e difesa terribile daogni malizia di ragione. In breve, tengoa dirti, in semplicità e senza buonismo,fratello ateo, che il demonio è un per-dente e invidia l’uomo perché, pur es-sendo mortale, può salvarsi l’anima inDio. La furbizia del demonio è diffonde-re una cultura che possa esaltare tutto(l’io come Dio), purché non esalti l’uni-co e vero Dio come esistente.

Magari le mie parole risulteran-no risibili, ma accettale da chiha dato alla ragione una prio-rità nei suoi studi e nel suo

discernimento cristiano. La ragione sa-le sale sale, e si affatica a non credere inDio ... e non credendo cade. Il tempo, fra-tello che leggi, non buttarlo via nelle di-cotomie di libertà che non sono nella ra-gione e non sono neanche nelle libertàsettarie che ci poniamo. Cristo è libero.Satana, settario e ingannatore. Settariaè ogni politica che senza essere esplici-tamente satanica affonda le radici in unalaicità sorda che toglie a Dio per dare aldemonio.

C’è scritto però “Chi non è con me, è con-tro di me”. Convertiti, fratello mio, e con-vertendoti prega per me. Chiunque nonha conosciuto Dio e si converte ha piùpossibilità di me, peccatore e conoscito-re dei suoi precetti, di precedermi ungiorno in Paradiso. Grazie infinite per ildono della tua lettura.

Nicola Di [email protected]

(Dottore in filosofia e felice figlio della logica,credente e consacrato al Cuore Immacolato diMaria)

Caro Nicola Di Modugno,

Non so se la sua perorazione è rivoltaanche alle “sorelle”. In ogni caso, nonsi disturbi a pregare per me. Soprat-tutto, per favore, non mi auguri di pre-cederla in Paradiso: tengo molto alla vi-ta terrena, perché non credo proprio mene tocchi un’altra, e non ho nessuna

fretta di abbandonarla.

Maria [email protected]

39n. 5/2012 (84)

COS’È L’UAAR

L’UAAR, Unione degli Atei e degli Agno-stici Razionalisti, è l’unica associazionenazionale che rappresenti le ragioni deicittadini atei e agnostici. È iscritta, con ilnumero 141, all’albo nazionale delle As-sociazioni di Promozione Sociale, istituitopresso il Ministero della Solidarietà So-ciale. L’UAAR è completamente indipen-dente da partiti o da gruppi di pressionedi qualsiasi tipo.

I VALORI DELL’UAAR

Tra i valori a cui si ispira l’UAAR ci sono:la razionalità; il laicismo; il rispetto dei di-ritti umani; la libertà di coscienza; il prin-cipio di pari opportunità nelle istituzioniper tutti i cittadini, senza distinzioni ba-sate sull’identità di genere, sull’orienta-mento sessuale, sulle concezioni filosofi-che o religiose.

COSA VUOLE L’UAAR

L’associazione persegue tre scopi:• tutelare i diritti civili dei milioni di citta-dini (in aumento) che non appartengono auna religione: la loro è senza dubbio la vi-sione del mondo più diffusa dopo quellacattolica, ma godono di pochissima visi-bilità e subiscono concrete discrimina-zioni;• difendere e affermare la laicità delloStato: un principio costituzionale messo seriamente a rischio dall’ingerenza eccle-siastica, che non trova più alcuna opposi-zione da parte del mondo politico;• promuovere la valorizzazione sociale e culturale delle concezioni del mondo non religiose: non solo gli atei e gli agnostici per i mezzi di informazione non esistono, ma ormai è necessario far fronte al dila-gare della presenza cattolica sulla stam pae sui canali radiotelevisivi, in particolarequelli pubblici.

www.uaar.itIl sito internet più completo su ateismoe laicismo.Vuoi essere aggiornato mensilmentesu ciò che fa l’UAAR? Sottoscrivi la

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L'iscrizione è per anno solare (cioè scadeil 31 dicembre) e consente l'accesso al-l'area soci sul sito UAAR in cui è dispo-nibile anche la versione digitale de L’A-teo. Le iscrizioni raccolte dopo l'1 set-tembre decorreranno dall'1 gennaio del-l'anno successivo, se non specificato di-versamente. Le quote minime annualisono (per le modalità di pagamento vediultima pagina):*Quota ridotta: € 10Socio ordinario web: € 20**Socio ordinario: € 30**Sostenitore: € 50**Benemerito: € 100* quota riservata a studenti ed altri sociin condizioni economiche disagiate, contessera nel solo formato digitale (pdf)** quote comprensive di abbonamentoa L’Ateo in formato cartaceo

SOSTEGNO ALL’ASSOCIAZIONE

È possibile sostenere indirettamentel’UAAR secondo varie modalità. Essendol’UAAR un’associazione di promozione so-ciale, le somme ad essa corrisposte a ti-tolo di erogazione liberale possono esse-re detratte dall’imposta lorda IRPEF. Sem-pre grazie al suo stato di APS, l’UAAR puòanche ricevere donazioni e lasciti testa-mentari. Infine, acquistando libri da IBS eLaFeltrinelli.it attraverso il sito UAAR,l’associazione percepisce una commis-sione. (Maggiori informazioni alla paginahttp://www.uaar.it/uaar/erogazioni). Codice Fiscale: 92051440284.

SEGRETARIORaffaele Carcano

[email protected]

PRESIDENTI ONORARILaura Balbo, Carlo Flamigni,

Margherita Hack, Dànilo Mainardi,Piergiorgio Odifreddi,

Pietro Omodeo, Floriano Papi, Valerio Pocar, Sergio Staino.

COMITATO DI COORDINAMENTOAnna Bucci (Circoli)[email protected]

Raffaele Carcano (Segretario)[email protected]

Isabella Cazzoli (Tesoriere)[email protected]

Roberto Grendene (Campagne edeventi) [email protected]

Stefano Incani (Organizzazione)[email protected]

Massimo Maiurana (Comunicazioneinterna) [email protected]

Adele Orioli (Iniziative legali) [email protected]

Massimo Redaelli (Esteri)[email protected]

Silvano Vergoli (Comunicazione esterna)[email protected]

COLLEGIO DEI PROBIVIRI [email protected]

Rossano Casagli, Graziano Guerra,Maurizio Mei

RECAPITO DEI CIRCOLI

ANCONA (R. Giorgetti) Tel. 328.6110978ASCOLI PICENO (A. Mattioli) Tel. 393.1779155

BARI (R. La Perna) Tel. 339.5288062BERGAMO (F. Mangili) Tel. 349.6292935BOLOGNA (P. Marani) Tel. 339.6004208BOLZANO (F. Brami) Tel. 320.6239987BRESCIA (O. Cavagnini) Tel. 331.2174284CAGLIARI (S. Incani) Tel. 338.4364047CATANIA (R. Brown) Tel. 340.4805007COMO (W. Madone) Tel. 340.1714020

COSENZA (S. Sangiovanni) Tel. 393.3279094CREMONA (G. Minaglia) Tel. 348.4084821FIRENZE (B. Conti) Tel. 055.711156

FORLÌ-CESENA (D. Zoli) Tel. 329.8542338GENOVA (S. Vergoli) Tel. 393.7692821

GROSSETO (G. Sensalari) Tel. 329.2650989L’AQUILA (L. Moca) Tel. 328.1227901

LIVORNO (C. Sturmann) Tel. 393. 3267086MILANO (A. Masini) Tel. 349.2542098MODENA (E. Matacena) Tel. 059.767268NAPOLI (C. Martorana) Tel. 081.291132PADOVA (M. Ferialdi) Tel. 349.3911201PARMA (R. Biondini) Tel. 393.4820481PAVIA (M. Ghislandi) Tel. 340.0601150

PESCARA (R. Anzellotti) Tel. 338.1702759PISA (G. Mainetto) Tel. 348.8283103RAVENNA (Coordinatore vacante)

REGGIO EMILIA (S. Caporale) Tel. 328.1822618RIMINI (G. Bertuccioli) Tel. 347.8759026ROMA (C. Visciano) Tel. 338.3163509

SALERNO (F. Milito Pagliara) Tel. 328.9147853SASSARI (P. Francalacci) Tel. 349.5653174

SIENA (A. Massi) Tel. 346.8468650TARANTO (A. Lincesso) Tel. 099.7722092TERNI (E. Giulianelli) Tel. 328.4452891TORINO (G. Pozzo) Tel. 380.1391388TRENTO (R. Bordin) Tel. 339.1304268TREVISO (F. Zanforlin) Tel. 347.8946625TRIESTE (G. De Luca) Tel. 040.0641228UDINE (M. Licata) Tel. 328.4151316

VARESE (A. D’Eramo) Tel. 348.5808504VENEZIA (M. Maruzzi) Tel. 327.2296505VERONA (S. Manzati) Tel. 045.6050186VICENZA (E. Rossi) Tel. 0444.348507

RECAPITO DEI REFERENTIALESSANDRIA (A. Bassi) Tel. 333.1980388

AOSTA (M. Pilon) Tel. 339.1055742ASTI (A. Cuscela) Tel. 333.3549781

BIELLA (M. Mosca Boglietti) Tel. 333.3554329FERMO (L. Rosettani) Tel. 347.1253692FERRARA (S. Guidi) Tel. 349.4435997

FOGGIA (G.M. Gasperi) Tel. 335.7184729MASSA CARRARA (F. Bernieri) Tel. 348.8544605

NOVARA (S. Guerzoni) Tel. 333.2368689PERUGIA (M.A. Di Martino) Tel. 333.8442557PORDENONE (L. Bellomo) Tel. 392.0632246POTENZA (A. Tucci) Tel. 333.4249093RAGUSA (M. Maiurana) Tel. 368.3121858ROVIGO (M. Padovan) Tel. 0426.44688SAVONA (F. Marzadori) Tel. 349.3827339

VERBANO-CUSIO-OSSOLA(A. Dessolis) Tel. 339.7492413

VITERBO (G. Goletti) Tel. 327.7316746

Tutti i Coordinatori/Referenti sono con-tattabili anche per e-mail, inviando unmessaggio a: nomecittà@uaar.it(esempio: [email protected], ecc.).

UAARUAAR, Via Ostiense 89, 00154 Roma

E-mail [email protected] Internet www.uaar.it

Tel. 06.5757611 – Fax 06.57103987

40 n. 5/2012 (84)

In questo numero

Editorialedi Maria Turchetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

L’apostasia silenziosa: riflessioni su ateismo,agnosticismo e islam nell’epoca contemporaneadi Valentina Fedele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

L’armonia tra Islam e scienza e il suo (leale) distruttore:Introduzione a Taner Edisdi Stefano Bigliardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

Un’intervista a Adebowale Ojowurodi Mandisa Lateefah Thomas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

Contro il credo delle caste:idee e figure dell’India secolarizzatadi Fabrizio Gonnelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

L’ateismo nel cristianesimo ed il cristianesimo ateodi Francesco D’Alpa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

Filosofi eccedenti e animali singolaridi Maria Turchetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

La rotondità eccedente e l’eccedenza rotondadi Francesco D’Alpa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

Il riso di Diodi Ferdinando Maria Vallania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

La ricchezza della satiradi Giancarlo Colombo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

Nichilismo ed ateismo in Albert Caracodi Stefano Marullo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

Su uno stato futurodi Percy Bysshe Shelley . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

Recensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

Lettere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

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