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Giovanni Anceschi Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, spazi geometrici e tempo astronomico, è l’aspetto diverso del darsi dello spazio-tempo o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi fra spazio e tempo”. Dichiarazione del gruppo T, Milano, 1959. Il design del contesto: plasmare il tempo e l’informazione Spazio Se esploriamo il lessico e la terminologia del mondo elettronico, virtuale, cibernetico, ecc., troviamo sovente espressioni come: |piazza elettronica|, | digital square|, |portale| e soprattutto, più di recente, si è imposto il termine |web architecture| 1 . Tutte parole che fanno riferimento a caratteri spaziali. Anche se sono espressioni metaforiche e se ancora più metaforico è il termine | infoarchitecture|, in quanto in esso il traslato |architettura| è di grado estremamente spinto, il metaforizzante rimane comunque sempre lo spazio. Come avviene nell'espressione |architettura di un sistema informatico|, o addirittura in |architettura istituzionale|, la parola |architettura| sta per una qualunque soluzione costruttiva ragionata, se non addirittura per un qualsiasi caso di accostamento sintattico cioè compositivo. Insomma come avviene nell’espressione |spazio semantico| non si tratta, nel web, di uno spazio reale ma di uno spazio potenziale, di uno spazio, cioè, della rappresentazione. 2 Insomma, in quello che possiamo chiamare il discorso intorno al virtuale, è proprio lo spazio che sembra oggi la nozione prevalente. La matrice (matrix) e la città occupano l’immaginario cibernetico, anche se qualche indizio contrario lo si trova: nello stesso lessico si usa anche |explorer|, |navigator| e |cybernauta|, dove la dimensione temporale non è secondaria. Neanche |interfaccia| è una metafora spaziale, ed ha avuto tanta fortuna perché è felicemente somatica, gestuale o più precisamente mimica. Spazio e architettura hanno uno stretto legame. Anzi si può dire che lo spazio sia l’ossessione disciplinare dell’architettura. Inteso sia come lo Spazio (ipostatizzato e idealizzato), sia come gli spazi (si pensi a open space, o a Raume in tedesco). E' altrettanto spaziale la vuota astrazione dello spazio fra le 1 R. S. Wurmann (Ed.) Information Architects, Graphic Press, Zürich, 1996: così si esprime Wurmann, che è architetto, diversamente da altri autori di origini differenti: Edward Tufte, Visual Explanations, Graphics Press, Connecticut, 1997 o Jaques Bertin, Jaques, Semiologie Graphique: les. diagrammes, les reseaux, les cartes, Gaurhiers-Villars, Paris, 1967). 2 Trevor J. Barnes,, Logics of Dislocation: Models, Metaphors and Meanings of Economic Space, New York, Guildford Press, 1996. 1

5.3 Progettare il contesto def

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Giovanni Anceschi spazi geometrici e tempo astronomico, è l’aspetto diverso del darsi dello spazio-tempo o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi fra spazio e tempo”. Dichiarazione del gruppo T, Milano, 1959. Il design del contesto: plasmare il tempo e l’informazione “ Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, 1

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Giovanni Anceschi “Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce,spazi geometrici e tempo astronomico, è l’aspettodiverso del darsi dello spazio-tempo o meglio:modi diversi di percepire il relazionarsi fra spazioe tempo”.Dichiarazione del gruppo T, Milano, 1959.

Il design del contesto: plasmare il tempo e l’informazione

Spazio Se esploriamo il lessico e la terminologia del mondo elettronico, virtuale,cibernetico, ecc., troviamo sovente espressioni come: |piazza elettronica|, |digital square|, |portale| e soprattutto, più di recente, si è imposto il termine |webarchitecture|1. Tutte parole che fanno riferimento a caratteri spaziali. Anche se sono espressioni metaforiche e se ancora più metaforico è il termine |infoarchitecture|, in quanto in esso il traslato |architettura| è di gradoestremamente spinto, il metaforizzante rimane comunque sempre lo spazio.Come avviene nell'espressione |architettura di un sistema informatico|, oaddirittura in |architettura istituzionale|, la parola |architettura| sta per unaqualunque soluzione costruttiva ragionata, se non addirittura per un qualsiasicaso di accostamento sintattico cioè compositivo. Insomma come avvienenell’espressione |spazio semantico| non si tratta, nel web, di uno spazio reale madi uno spazio potenziale, di uno spazio, cioè, della rappresentazione.2

Insomma, in quello che possiamo chiamare il discorso intorno al virtuale, èproprio lo spazio che sembra oggi la nozione prevalente. La matrice (matrix) ela città occupano l’immaginario cibernetico, anche se qualche indizio contrariolo si trova: nello stesso lessico si usa anche |explorer|, |navigator| e |cybernauta|,dove la dimensione temporale non è secondaria.Neanche |interfaccia| è una metafora spaziale, ed ha avuto tanta fortuna perché èfelicemente somatica, gestuale o più precisamente mimica.

Spazio e architettura hanno uno stretto legame. Anzi si può dire che lo spazio sial’ossessione disciplinare dell’architettura. Inteso sia come lo Spazio(ipostatizzato e idealizzato), sia come gli spazi (si pensi a open space, o aRaume in tedesco). E' altrettanto spaziale la vuota astrazione dello spazio fra le1 R. S. Wurmann (Ed.) Information Architects, Graphic Press, Zürich, 1996: così si esprimeWurmann, che è architetto, diversamente da altri autori di origini differenti: Edward Tufte,Visual Explanations, Graphics Press, Connecticut, 1997 o Jaques Bertin, Jaques, SemiologieGraphique: les. diagrammes, les reseaux, les cartes, Gaurhiers-Villars, Paris, 1967).2 Trevor J. Barnes,, Logics of Dislocation: Models, Metaphors and Meanings of EconomicSpace, New York, Guildford Press, 1996.

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coordinate cartesiane che si contrappone alla densità vissuta e affollatadell’ambiente, così come tutta spaziale è l’omogeneità di ciò che viene detto illuogo dell'abitare e che si frammenta invece nella fenomenologia delle stanze edelle sale, delle camere e dei cortili, degli androni e dei portici, o, meglio ancoranei programmi d’azione possibile offerti dalle cucine, dalle aule, dai living, daisanitari, ecc.La deformazione spazialista degli architetti vede perfino la diversità delleattività progettuali (la grafica, il design, l’architettura, l’urbanistica, lapianificazione terrioriale) come una questione di scala (dal cucchiaio alla città3).Ma è proprio lo svilupparsi dei linguaggi multimodali4 e delle strumentazioniipermediali a far saltare questo paradigma e la domanda diventa a questo punto:un |sito| è a scala grande o piccola? A dire il vero già una merce prodotta inserie, rappresenta un'entità di difficile definizione solo in termini dimensionali espaziali, senza tener conto, cioè, del raggio d’azione distributiva dellaproduzione.

Negroponte è perentorio The site is a place without space.5

E il fatto che nel lessico del digitale e del virtuale si parli appunto di |sito|,intendendo così un ricettacolo in cui qualcosa trova posto, e ad un tempo laposizione di qualcosa che ha trovato un posto, non ci fa pensare assolutamenteall'eternità immota dello spazio. Ci fa pensare invece a una pratica che si èsvolta nel tempo e che nel tempo si svolge, come poteva essere un precedenterito di fondazione o che può essere oggi un’attuale procedura di attivazione. Lastessa nozione di |indirizzo| (email, e più in generale, l’idea di goto),metaforicamente spaziale, è, nel fondo, tutta procedurale. In altre parole il |sito|è semmai topico, non spaziale. E dove invece una sorta di pseudo-spazialità sembra insinuarsi, é quando ademergere é il carattere asincrono dell’incontro fra emittente e destinatario. Intutte le segreterie, le messaggerie, i blog, ecc. In conseguenza di questo3 Natahan A. Rogers, Dispense di Architettura, Milano, ciclostile, s.d. “Noi oggi operiamosecondo un metodo, non secondo delle forme prestabilite, lo stesso metodo che ci permette diavvicinare il problema del cucchiaio e della città. É evidente che quello che cambia è lamisura, è l’accento dei diversi elementi che compongono il problema ... É evidente che non cisono importantissimi fattori che nel cucchiaio sono minimi e nella città sono in gradomassimo, ma il modo di capire la forma del cucchiaio e la forma della città, tra la forma e ilcontenuto è lo stesso” (R.3,12,15)4 |Multimodale| significa: che intreccia una pluralità di forme tecniche (ma non tecnologiche,come indica invece il termine |Multimediale|), insomma appunto di modalità diconfigurazione dell’artefatto comunicativo (i codici cromatici, fotografici, disegnativi,illustrativi, schematici e notazionali in generale, quelli cinetici e cinestetici, quellicoreografici, gestuali e mimici, quelli rumoristici, sonori e musicali, ecc.). Vedi: LetiziaBollini, Multimodalità vs.multimedialità, in "Il Verri", n. 16, maggio 2001.5 Nicholas Negroponte, Being digital, New York, Knopf, 1995 (tr. it. Essere digitali,Milano, Sperling & Kupfer, 1996.

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sganciamento fra spazio e tempo, la rete pullula di luoghi appunto senza spazio,cioè che nemmeno rimandano a nessunospazio (al Realm of Nowhere). E' pienadi luoghi di fantasia proprio come l’isola che non c’è di Lewis Carrol, ma anchedi paesi truffaldini come il Dominion of Melchizedeg, con la sua Island ofMalpelo (!).Cioè la rete accoglie facilmente pseudoluoghi: luogi deprivati, ad esempio, dellasensorialità, come nel caso dei virtuelle Friedhöfe , [camposanti virtuali]. Inqueste chat per poveri vecchi l’assenza, o meglio la non-astanza, insomma larimozione della salma, la scomparsa per vaporizzazione di quello scandalo che èil Leib diventato Körper6, fa di tutto l'insieme una caricatura irrisoria.E ancora, se l’espressione metaverso7 allude a un oltremondo, a un aldilàartificiale, che sta forse in un subspazio, il cybermondo è un mondo parallelo,che scorre - temporalmente - in parallello.

TempoLa vera novità è dunque il tempo8 non lo spazio.La profondità dell’ipertesto, ad esempio, è una profondità non solo potenziale.Si realizza in una serie di successive fasi di ricezione e di progressive tappe dielaborazione ermeneutica.9.E’ diventato insomma possibile distinguere fra ciò che succede sul versante delprocesso che porta alla realizzazione e ciò che succede invece sul versante dellaricezione. Sculpting in time è il titolo di un fortunato libro di Andrey Tarkovsky, cineastaqualche volta anche troppo votato alla fluidità, ma dove si parla del tempo dellaricezione cinematografica come di un imprinted time10. (E non è un caso che‘Sculpting in time’ sia il nome del ritrovo più alla moda di Beijing, doveconvivono un cinema, un café, un bookshop, in un sontuoso intreccioesperienziale). The film, dice anche Tarkovsky, può essere visto as graphicrealisation, allo stesso modo in cui l’interfaccia è la realizzazione grafica (cioèspazializzata) dell’interazione. Spaziale è dunque l’insieme degli attrezzi discena, ma ciò che davvero conta, ciò che è il vero protagonista, ovverossia

6E. Husserl, Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie.Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution (Zweites Buch), «Husserliana» Bd. IV,Nijhoff, Den Haag, 1952, Hrsg. Marly Biemel , Kap. III (tr. it. di E. Filippini, Idee per unafenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Ricerche fenomenologiche sopra lacostituzione (Libro secondo), Einaudi, Torino, 1976).7 Neal Stephenson, Snow Crash. Milano, Shake, 1995.8 Gilles Deleuze, L’image-temps et L’image mouvement, , Ed. de Minuit, 2 tomes, 1983 et1985; Carlo Branzaglia, L’immagine del tempo, Essegi, Ravenna, 1992.9Si pensi all’idea di immagine densa, stratificata, varata nel quadro di un discorsostoricoartistico, Antonella Sbrilli, L'immagine densa, in "Il Verri", n. 20, novembre 200210 Andrei Tarkovskii, Sculpting in Time: Reflections on the Cinema. New York, Alfred A.Knopf, 1987.

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l’azione scenica diventata tutt'uno con l’esperienza del fruitore, è qualcosa disostanzialmente temporale. Proprio come in realtime si da forma al virtual clay11

si tratta (per l’autore, per il web designer), di dare una forma all’esperienzasensorio/cognitiva, anzi proprio di plasmarne il flusso.Il visitatore/utente/fruitore fa, a sua volta, l’esperienza di un tempo vibrato,come è vibrante l’energia dell’esistenza, per Bachelard ripreso da Barthes,quando riflette sulla convivenza resa possibile dalle regole e dai riti dicomunione nell’ascesi come nella festa.12 E davvero è in uno stato teso e febbrileche siamo immersi quando ci gettiamo nel frenetico scuotersi di ogni game, e, adire il vero, in ogni momento della navigazione13. Il virtuale (nel senso della potenzialità asincrona che esperiamo davanti allamappa, al menù e ad ogni bivio), è quasi-spaziale, diciamo spazioide. L’attuale(nel senso della performance), è invece compiutamente temporale. Ma poi latraccia mnemonica del temporale torna di nuovo ad essere spazioide. Un sito lo si esplora, lo si naviga, lo si vive. Magari lo si abita. Io lo abito percosì dire spazialmente, in modo istantaneo e acrono (cioè in un certo senso inmodo sinottico), in riferimento al contesto frammentato e sincopato del miopensiero, e cioè nel quadro dell’istantaneità della mappa mentale, mentre è nelcontesto fluente della mia mente-corpo che io lo abito temporalmente, e cioè nefaccio eperienza, nel senso che lo vengo via via conoscendo, che passo daun’emozione all’altra, che mi faccio avanti di percezione in percezione, che mivengo intridendo di sensazioni. O ancora meglio e in una parola, io procedoattraverso una sorta di sintetica modalità unitaria, la quale è più della somma ditutte le componenti analitiche, cognitive, emotive, percettive e sensoriali che viposso discriminare.

Spazio-tempoPiù di una volta mi è parso di poter segnalare che la forte inclinazione perl’essenziale, la straordinaria capacità di assorbimento, la spinta estrema versol’unificazione, provocate dal digitale fa sì che spesso le elaborazioni e lesemplificazioni emerse occupandosi del virtuale siano utilissime a capire cioòche succedeva e continua a succedere nel fattuale14.

11 ‘Virtual clay’ è un software sviluppato presso l’Università di Buffalo, “‘Virtual Clay'Brings the Act of Sculpting to the Virtual World. New technology developed by UBengineers can be used in product design. Release date: Monday, July 12, 2004.”http://vww.buffalo.edu/news/fast-execute.cgi/article-page.html?article=6803000912 Roland Barthes, Comment vivre ensemble. Cours et sèminaires au Collège de France 1977-78, a cura di Claude Coste, Paris, Seuil-IMEC, 2002.13 Per una discussione delle relazioni fra configurazione dei siti ed effetti ergonomici e timicicfr. il nostro La fatica del web, in “il verri”, n.16 (maggio) 2001.14 Uso l’opposizione actual/factual come l’ha proposta Josef Albers, nel suo Interaction ofColor, New Haven and London, Yale University Press, 1971, che ricalca la distinzionescolastica fra in acto e de factu.

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Riemergiamo dunque dall’iperspazio e torniamo allo spazio occupato dai nostricorpi.Contrariamente alle previsioni, anche qui, la prospettiva temporale apparevincente, verrebbe da dire, Per quanto riguarda appunto la dimensione reale eper quanto attiene le condizioni fisiche dell'abitare e della fruizionedell'ambiente, anche la città è pensabile come un agglomerato dentro al quale icittadini, quelli autoctoni, come anche i visitatori, vivono. Anzi addirittura lapossiamo pensare proprio come l’oggetto che i cittadini vivono nel tempo. E lostesso vale per una Fiera , per un Mall commerciale, per una Mostra per unAeroporto.

Sembra insomma venuto il momento di varare una proposta di natura teorica.Sembra opportuno proporre una sostanziosa aggiunta, un nuovo pezzo diterminologia adeguato ad investire questo ambito della progettazione di grandiscene/pipeline della comunicazione e dell’informazione. I personaggi che sioccupavano finora di queste cose erano grafici, adesso bisogna chiamare insoccorso le terminologie di discipline limitrofe non più solo dello spazio e dellasua percezione ma del tempo (o dello spazio-tempo) e della sua fruizione (adesempio: regia e più in dettaglio coreografia da un lato, scenografia e stagedesign dall’altro). A dire il vero l’idea di totalità è inscritta nella disciplina deldesign della comunicazione da lungo tempo. Lo studio che nei primi anniSessanta ha progettato il primo sistema di segnaletica aeroportuale a Shipol inOlanda, aveva voluto chiamarsi profeticamente Total design: non si tratta –insomma - solo di rendere riconoscibile, e praticabile una determinata entitàoperativa o aziendale attraverso la proposta della sua immagine, ma, anche esoprattutto, della capacità di pilotare il comportamento degli utilizzatori. Diplasmare la loro esperienza.

In questo la branca della disciplina che si occupa di quell’altramegascena/pipeline virtuale che è il web, è andata da tempo molto avanti: unaimportante figura di teorica e ricercatrice che si chiama Brenda Laurel, hascritto un libro che si intitola Computer as theatre, nel quale, come strumentoconcettuale per capire come strutturare i siti, viene usata addirittura quella partedella la retorica di Aristotele dove si parla di unità d’azione, di tempo e di luogo15.Non è un caso che uno dei più interessanti studiosi del design dell’interfaccia,sia Ken Friedman che ha un passato come artista del movimento Fluxus neglianni ’60-’70, un periodo di grandi anticipazioni. La nuova istituzione artisticapromossa da Fluxus, cioè l’happening (che vuol dire evento), diventa unametafora già più appropriata che il teatro. Il teatro classico infatti è unospettacolo chiuso, dove lo spettatore è passivo, mentre negli spazi-tempi

15 Brenda Laurel, Computers as Theatre, Reading, MA, Addison-Wesley, 1993.

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dell’interazione (virtuali come i siti e fattuali come la mostra o l’aeroporto) lospettacolo o meglio la fruizione è e dev’essere aperta.16

E qui si impone una nozione, quella di opera aperta sviluppata da Umberto Econegli anni Sessanta17. L’idea di Eco è che l’opera d’arte non è conclusa senza lacooperazione proiettiva e interpretativa del lettore/spettatore: i quadri di Pollockfunzionano - per così dire, anche - in modo analogo ai test di psicologiaproiettiva di Rorschach, nelle cui macchie lo spettatore legge scene aggressive oerotiche. L’opera d’arte, secondo Eco, si realizza appieno accogliendo icontenuti e gli atteggiamenti timici prodotti dallo spettatore. Ma ecco che conl’happening l’apertura non è più solo ermeneutico-proiettiva, ma fattualmente adopera dei partecipanti può succedere una cosa o un’altra. Resta però un trattoche non consente neppure all’happening di essere la metafora perfetta degliambienti dell’interazione: l’evento è addirittura definito dal fatto di avere uninizio e una fine: c’è sempre una Fin de partie.Alla complessità strutturale e interpretativa e alla apertura fattuale si deveaggiungere quindi un carattere ulteriore. L’ambiente interattivo deve essereun’apparecchiatura in qualche modo reattiva, lì – per così dire - in attesa, comepotrebbe essere una trappola. O precisamente come una mostra.Tutto l’exhibition design (che non voglio chiamare allestimento, proprio perchéquesto termine tipico del discourse architettonico, come del resto il terminearredamento, pensa la mostra come uno spazio senza tempo, senzacomunicazione e interazione) è l’archetipo disciplinare corretto18. La mostra è illuogo del pilotaggio del comportamento, anche cognitivo, dello spettatore,attraverso artifici che ho chiamato figure di regia.19

Nell’aeroporto le sequenze di azioni e movimenti provocate dalla segnaleticapresso l’utente destinatario, presentano forti analogie con la processualità deicomportamenti propri dell’exhibition design. Anche qui il progettista/registaopera una scelta vantaggiosa delle figure di comportamento dellospettatore/attore e le mette in sequenza secondo una logica di scrittura scenica(con andamenti e temperature timiche più o meno progressive di anticlimax eclimax). Potrebbe essere davvero sensato pensare al mall commerciale come auna mostra e viceversa, e entrambi come a un canale comunicativo di cui vannodisegnate o meglio modulate e plasmate in funzione delle diverse esigenze lediverse modalità espressivo/comunicative e la loro orchestrazione complessiva.

16 Ken Friedman, The Wealth and Poverty of Networks,http://www.newcastle.edu.au/journal/poetics/issue-02/ken-2.htm17 Umberto Eco, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee,Milano, Bompiani, 1962,18 Giovanni Anceschi, La struttura narrativa della scena ostensiva, in Claudia Donà (ed.),Mobili italiani. Le varie età dei linguaggi, Milano, Cosmit, 1992.19 Giovanni Anceschi, Retorica verbo-figurale e registica visiva, in: Eco U. e al., Le ragionidella retorica, Modena, Mucchi ed., 1986; id., Visibility in progress, in “Design Issues”, vol.12, n. 3 (autumn), 1996.

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La realtà multimodale delle diverse fasi e dei diversi comportamenti trovariscontro nella realtà tecnologica di questa macchina scenico/tubolare: anzi piùche una macchina siamo di fronte (anche) a un gigantesco apparatomultimediale, a un proteo mediatico fattuale, ai suoi diversi canali e registri20. Ein effetti sulla Grande Scena della Mostra, del Mall, dell’Aeroporto convivonogli infiniti apparati della canalizzazione (elettronica e altro) dell’informazione,come anche della presentazione e rappresentazione della comunicazione, come,infine, del colloquio interattivo. Il dibattito sul “silent airport”, ad esempio, è ilrisultato del problema dell’interferenza e del disturbo reciproco fra canalimediatici (e fra registri sensoriali), e l’idea risolutiva è quella di lasciare vuotoil canale sensoriale auditivo per favorire la comunicazione visiva.Il ragionare in termini di canali e di (multi)media, rappresenta la dimensionetecnologica della questione e rappresenta anche il luogo delle effettive econcrete manipolazioni e modificazioni, e rappresenta infine la fonte e ilsupporto di ogni stimolazione e di ogni percezione, è una base fondamentale nelsenso che fissa dei vincoli e offre delle opportunità, ma non va dimenticato che– se si potesse dire così – ancora più fondamentale è ciò che viene definito lastruttura del destinatario, in termini somatico/sensoriali, percettivo/cognitivi,ecc. La comunicazione ai ciechi si fa in braille o comunque attraverso messaggitrasportati da veicoli segnici tattili, e in generale vanno scelti registri, codici elessici adeguati a quelli del destinatario.Il regista multimodale è il regista degli effetti attuali (e sensati) che sarannoprodotti da differenze e modulazioni fattuali tecnicamente realizzate.

Oggetti di vitall passo avanti può consistere in qualcosa di più che nel considerare la città, lamostra, il mall, l’aeroporto, come oggetti di cui fare esperienza o, addirittura, dagodere21 in qualche misura. Come si gode lo spettacolo di una grande scena. Soprattutto nella prospettiva della relazione fra gestori e consumatori, fraamministrazione e cittadini, ecc., o ancora più in generale fra momentodell'offerta e della produzione di circostanze vitali e momento della lorofruizione, ricezione e godimento, la scena/pipeline può essere intesa, appuntocome una grande macchina che eroga servizi.Anzi in qualche modo, ad esempio, la città in quanto tale, la città nelle suecaratterizzazioni fisiche, storiche, culturali, ambientali, può essere considerata ilservizio primo. Ma per accedere a questo servizio, cioè alla vita cittadina, in

20 L’dea di un Proteo mediatico è di Papert, che definisce così il computer. Seymour Papert,Mindstorms: Children, Computers, and Powerful Ideas, New York, Basic Books, 1980)21 Vedi, ad esempio, il numero monografico di “aut aut”, Godimento e desiderio, n. 315(maggio-giugno) 2003.

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mezzo, per così dire, fra vita cittadina e il suo fruitore, o utente potenziale, sicolloca un insieme di circostanze intermedie. Ad esempio il sistema della mobilità automobilistica che ci consente diraggiungere la destinazione che vogliamo. A Venezia, invece, uno dei mediatoriprotagonisti è il sistema della mobilità pedonale. E, ancora di più eassolutamente per tutte le città, l’ulteriore apparato intermedio principale, cheaiuta a vivere la vita cittadina, è l'apparato di erogazione delle informazioni. Benlontano dal rappresentare un lusso, come purtroppo ancora oggi ancora troppiritengono, la comunicazione dell'offerta e l'informazione delle sue articolazionie delle sue forme, è - ormai lo sappiamo - parte integrante del servizio stesso. E ovviamente la più cittadina di queste forme di presentazione delleinformazioni è rappresentata dall’antico sistema delle affissioni, che vacertamente intesa come azione persuasiva nell'interesse delle istanzecommerciali, ma che altrettanto correttamente va intesa come un'attrezzatura, oun dispositivo che fornisce informazioni ai cittadini.In altre parole, noi abbiamo dunque un'offerta di beni e servizi, e per poterraggiungere quest'offerta di beni e servizi ci sono di mezzo altri servizi(informativi).Questo modo di intendiere la città, non più come una machine á abiter quantocome un grande organismo, la vede come un unico corpo esso stesso animato. Inun certo senso, anche senza cadere nel meccanismo psicologico dellapersonificazione, abbiamo una percezione piuttosto vivida del fatto che una cittàsia un'entità unitaria con la quale intratteniamo (visitatori o abitanti), dellerelazioni molto particolari.L'immagine coordinata , come dicono i fondatori della teoria della corporateidentity, è esattamente questo. Attraverso una serie di misure, (interventi grafici,programmi sistemici, iniziative comunicative, campagne, ecc.), essa costruiscel'aspetto, e compone lo stile di comportamento di questa persona artificiale che èl'ente, l'azienda , nel nostro caso la città22. Ecco quindi che ci aspettiamo chel'amministrazione sia quell'entità che ha il compito di orchestrare i servizi (ecome dicevamo non solo i servizi veri e propri ma anche l’insieme degli “help”informativi per i servizi), e che abbia, insomma, il compito di disegnare lacoreografia dei comportamenti della città nei confronti dei cittadini/utenti. Ma nella prospettiva del cittadino, se non deve essere pensato come un suddito,la metafora non è quella di uno spettatore passivo, di uno spettacolo orchestrato.La metafora giusta è quella che lo ponesse in un ruolo straordinariamente attivo,Anzi interattivo, quasi di coautore. Vista dal cittadino, la città (ma in fondo qualsiasi scena/pipeline da parte del suoutente/spettatore) può essere pensata come una sorta di grande veicolo, magaridi navicella spaziale. Il concetto di veicolo suggerisce l'idea che ciascun fruitore

22FHK Henrion e A. Parkin, Design Coordination and Corporate Image, StudioVista, London, Reinhold Publishing Co. NY, 1967.

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abbia a sua volta di fronte a se qualcosa di simile a un cruscotto, a una stazionedi guida, di pilotaggio. Abbia cioè di fronte a sé un insieme di organi, che sonoappunto quelli dell'informazione, che gli consentono di dirigere il propriosingolo comportamento, la propria rotta, all'interno dell'ambiente generale: ilfruitore inteso come soggetto dell'interazione.E questa è sempre meno una metafora e sempre più una descrizione a causadella introduzione delle tecnologie informatiche. Questa metafora è stata mate-rializzata particolarmente da quelle realtà tecnologiche che erano i punti infor-mativi elettronici (bancomat e biglietterie elettroniche) e che oggi abbiamodirettamente in casa via internet. Questi siti incarnano l'idea che il cittadino sial'utente di una rete informativa.In qualche modo comincia a delinearsi qualcosa di molto unitario, che potrebbeessere definito come il sistema informativo della città, cioè come il sistema degliscambi informativi e comunicativi che si sviluppano in seno ad essa. E’ unsistema il quale, come abbiamo visto, ingloba una serie di organi specializzati,come il sistema delle affissioni, il sistema della segnaletica (della segnaleticaabbiamo parlato poco ma sia la segnaletica automobilistica a grande scala chequella pedonale, sia il sistema delle insegne sia quello del’epigrafia urbana, per inegozi, le istituzioni, ecc., potrebbero rappresentare un prolungamento,un'estensione dell'interfaccia di pilotaggio della città, il complemento materialee spaziale della guida informativa della città. In altre parole esserne l’interfacciadiffusa o distribuita. Le segnaletiche possono rappresentare il modo di mani-festarsi delle informazioni, ad esempio, topografiche che non può essere erogatain forma concentrata e puntiforme (digitale) come nei siti virtuali e nei puntiinformativi, ma che deve essere fruita via via nel corso del nostro percorrere evivere la città. Rappresentare cioè la conferma fattuale complementare deiNavigator digitali e satellitari.Ma il sistema informativo è, di fatto, composto anche di altre componenti. E’composto di parti direttamente pubbliche e in parte è erogato da istanze chepossono essere largamente gestite dall’iniziativa privata. Mi riferisco appunto atutto il sistema delle guide cittadine, artistiche, turistiche, gastronomiche, ecc.insomma di tutte quelle pubblicazioni che garantiscono un accesso alle partinascoste o comunque interessanti della città.Questa cosa, ovviamente, si ramifica poi all'interno degli altri servizi. Pensiamoal museo, o al luogo pubblico importante, al monumento (come una basilica oun museo civico, ecc.), dove anche lì dipendiamo da un sistema informativoparziale o locale (le didascalie, le audioguide o i ciceroni elettronici), checostituisce un assieme di istruzioni per l'uso di questo bene culturale. Anche quic’é una specie di corredo informativo composto da varie attrezzature (daicataloghi, alla segnaletica interna, dalle targhe museali alle eventuali didascalie,dal cicerone in carne e ossa, all'insegna dell'eventuale bar interno), e che si può

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prolungare ulteriormente, in una dimensione virtuale, (nell'archiviomultimediale consultabile, ecc., ecc.).E questo si ripete (si può ripetere), se si pensa ad altre estensioni interne dellacittà, come la fiera campionaria, o appunto l’aeroporto e le stazioni, ecc. masoprattutto gli uffici pubblici, dove l'informatizzazione già ha sicuramenteportato degli avanzamenti nell'accelerazione, e nell'agevolazione dell'uso dellacittà. E ci sono addirittura casi dove punti informativi e siti diventano delleprotesi, delle estroflessioni, dei prolungamenti dell'amministrazione che vannoincontro al cittadino dentro al tessuto urbano e con internet fin dentro casa, esono in grado di produrre certificati, ecc.Ecco che, allora, possiamo pensare che da un lato ci vuole dentro all'ammini-strazione l'ingresso veramente energico di competenze, che vanno addirittura aldi là delle competenze puramente manageriali. Certo le competenze managerialisono sicuramente fondamentali. Attualmente si parla normalmente di citymanager, ma oltre, e in associazione e proprio mescolate con le competenze delcity manager, ci vogliono delle competenze da designer. Designer dei servizi -abbiamo accennato - e cioè della gente che nel mettere insieme i servizi, sappiafornire, all'amministrazione quel tipo di capacità di invenzione funzionale e quelgenere di innovazione anche estetica che l'industrial designer fornisceall'industria dei prodotti23. Negli anni ’60 i designer impegnati dicevano chedisegnando un prodotto si progettava il comportamenteo dell’utente. Oggiemerge con chiarezza che ci vogliono degli Achille Castiglioni, dei RossLovergrove, dei Toshiyuki Kita dei servizi.

23 Molti designer dei servizi non sanno nemmeno di esserlo. Un esempio è Piero Maccioniesperto di sistemi di trasporto (di formazione economista), grande consulente a partire daglianni ‘80 del Servizio Trasporti della Provincia Autonoma di Bolzano. Un altro designer deiservizi è stato il Renato Niccolini dell’estate romana.

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