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La rilettura La disoccupazione strutturale L e scelte di Renzi seguono il corso delle politiche eu- ropee all’insegna di austerità e neoliberismo. Quat- tro sono i pilastri (ben evidenti nel Def e nella legge di stabilità) di queste politiche italiane ed europee: le pri- vatizzazioni, la precarizzazione del mercato di lavoro, il sostegno agli investimenti privati (con l’assenza degli in- terventi pubblici) e la riduzione della spesa pubblica. I quattro contro-pilastri di una politica di sinistra do- vrebbero essere, all’opposto: la difesa e la valorizzazione dei beni comuni e del patrimonio pubblico; un piano del lavoro fondato sulla dignità ed i diritti delle persone; il ruolo dell’intervento e degli investimenti pubblici; la dife- sa del welfare e dei diritti. E insieme a questi, una politica di redistribuzione del reddito fondata su una politica di giustizia e progressività fiscale. Le politiche europee - oltre ad essere profondamente sbagliate- non hanno funzionato e non stanno funzio- nando: dall'inizio della crisi la disoccupazione è aumen- tata mediamente di 5 punti ed il debito pubblico nell’eu- rozona è passato dal 65% al 95% sul Pil. Crescita non ce n'è, stiamo sempre ai confini della deflazione, l'occupa- zione resta al palo. L’austerità non è la soluzione, è il pro- blema. Le politiche italiane hanno seguito l’onda europea e anche queste non hanno funzionato: la disoccupazione è arrivata ad oltre il 12%, la capacità produttiva del paese è calata del 25% dall’inizio della crisi i poveri sono diven- tati oltre 6 milioni di poveri. Nel frattempo Renzi ha dato tutto quello che poteva da- re alla Confindustria (abrogazione dell'articolo 18, ridu- zione dell'Irap, sgravi fiscali, ecc.), ha cancellato i diritti dei lavoratori e ridotto selvaggiamente la spesa sociale. CONTINUA |PAGINA II Affermare che la disoccupazione oggi, a metà degli anni ottanta, si presenta come il problema più grave che le economie industriali dell'Occidente si trovano a dover affrontare non significa ribadire un luogo comune, ma indicare il primo punto all'ordine del gior- no dell’agenda della politica eco- nomica e delle parti sociali. È ormai chiaro che la disoccupa- zione ha caratteri strutturali e che i comportamenti e le politi- che chiamati a combatterla non possono basarsi su strumenti tat- tici di natura congiunturale, ma debbono porre in atto strategie di più ampio respiro. Questa idea, purtroppo, stenta a farsi strada, per cui, anziché a un'azione congiunta delle forze politico-sociali volta al raggiun- gimento di un obiettivo che non può non essere comune - pena la destabilizzazione politica e la ca- duta dei livelli di democrazia — si assiste da tempo a una frantu- mazione degli sforzi, anche all'interno del sindacato, che di- sperde le energie e fa perdere di vista l’obiettivo fondamentale. (…) L'esperienza storica ci mo- stra con molta chiarezza che in un clima recessivo, o di stagna- zione dell'attività produttiva, l'occupazione non può che regre- dire, e che tutti gli sforzi volti a sostenerla sono effimeri. La crea- zione di un clima espansivo non può essere affidata ne interamen- te al mercato ne interamente al- le politiche. Contare unicamen- te sul mercato significa essere di- sposti a pagare costi molto eleva- ti sul piano economico-sociale: lo sviluppo della domanda nelle direzioni appropriate a una cre- scita stabile del reddito naziona- le non è garantito da nessun meccanismo automatico, e que- sta verità storica non può essere smentita da nessuno slogan neo- liberista più o meno alla moda. Contare unicamente sulle politi- che significa d'altro canto igno- rare la realtà di un'economia di mercato, ed essere disposti a pa- gare costi molto elevati sul pia- no dell'efficienza. (Fausto Vica- relli, La questione economica nella società italiana. Analisi e proposte, Il Mulino, 1987) Sbilanciamo l'Europa L a crisi che investe il nostro mon- do non è solo economica. È una crisi epocale che dobbiamo stu- diare seriamente se vogliamo in qual- che modo fronteggiarla. Per la diagno- si, vorrei segnalare un prezioso volu- metto di Franco Cassano sul cambia- mento del vento della storia, edito da Laterza e, più modestamente, «Una cri- si mai vista» pubblicato dalla manife- stolibri, a cura di Loche e Parlato, che raccoglie interventi di autorevoli stu- diosi. Sull’attuale crisi agiscono fattori strutturali. Innanzitutto la nuova rivo- luzione delle macchine come titola il volume di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, pubblicato da Feltrinelli. Ma agiscono anche fattori di geopolitica come la globalizzazione e fattori imme- diatamente politici, come la crescita di Cina e India e l’euro nella nostra Euro- pa. Queste diverse e rilevanti modifica- zioni dello stato di cose convergono nel produrre l’attuale crisi mondiale dalla quale non sappiamo ancora se e quando se ne potrà uscire. Nel lontano passato la macchina a vapore portò al- la pratica eliminazione dell’uso della forza fisica dei lavoratori dipendenti. Ora i computer e gli altri strumenti digi- tali stanno sostituendo anche l’impe- gno mentale dei lavoratori dipendenti. Morale: si riduce il peso sociale e po- litico del lavoro dipendente che è stato ed è ancora fondamentale nei rapporti sociali e politici: il futuro prossimo è già pieno di ombre. Ma ai mutamenti nel lavoro si aggiunge la globalizzazio- ne, cioè l’effettiva mondializzazione dei mercati e, innanzitutto, del merca- to del lavoro, che riduce seriamente il potere contrattuale dei lavoratori dei paesi sviluppati, che, peraltro viene in- debolito dai flussi migratori dal sud al nord del nostro mondo. E, ancora, per noi europei c’è l’unione monetaria sen- za unione politica, che riduce il potere dei singoli stati europei privandoli del- la possibilità di svalutazioni competiti- ve e li obbliga a un pareggio di bilancio che riduce fortemente il potere di inter- vento pubblico nell’economia. Si tratta, è la mia tesi, di pericolose ri- duzioni del potere della politica e per- tanto della democrazia: cresce la forza delle cose diminuisce la forza dei citta- dini e della politica. E non dimentichia- mo che quando parliamo di forza delle cose, in effetti parliamo della forza dei proprietari delle cose. Gli effetti dell’attuale crisi sono evi- denti e sono esaminati in questo spe- ciale: disoccupazione, precariato, bas- si salari, pensioni incerte, conti pubbli- ci in difficoltà, debito in aumento. La globalizzazione non è solo la Pirelli che diventa cinese, l’Alitalia mezza ara- ba e la Fiat americana. Tutto questo si accompagna con il progressivo indebo- limento dei sindacati e la pratica disso- luzione dei partiti di sinistra che diven- tano «partiti della nazione» proprio quando la nazione perde peso rispetto ai vincoli europei: come scrive Cassa- no, il vento della storia soffia solo a fa- vore del capitale, possibilmente stra- niero. Come contrastare o, almeno, fre- nare questa deriva antisociale e antide- mocratica? Rispondere non è sempli- ce, come conferma il nostro attuale bal- bettio. Il vento della storia ci è contro. Ma bisogna studiare e tentare di supe- rare questa crisi, innanzitutto denun- ziando, in modo convincente, i disa- strosi esiti di questa deriva e indivi- duando i punti di scontro. Sarò poco convincente ma penso che si debba partire dalla cultura e anche dalla lette- ratura: non dimentichiamo come sulla formazione della nostra generazione ha agito la lettura di romanzi e raccon- ti e poi dei saggi di analisi storico-socia- le. CONTINUA |PAGINA IV SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO VENERDÌ 15 MAGGIO 2015 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N°66 I contro-pilastri di una politica di sinistra contro le ricette liberiste di Renzi dovrebbero essere la difesa dei beni comuni e del patrimonio pubblico; un piano del lavoro fondato sulla dignità e i diritti delle persone; il ruolo degli investimenti pubblici; la difesa del welfare e dei diritti Valentino Parlato Il peso sociale e politico del lavoro Giulio Marcon Fausto Vicarelli

66Sbilanciamo l Europa 15-05-2015

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semanario economico alternativo

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  • Larilettura

    Ladisoccupazione strutturale

    L e scelte di Renzi seguono il corso delle politiche eu-ropee allinsegna di austerit e neoliberismo. Quat-tro sono i pilastri (ben evidenti nel Def e nella leggedi stabilit) di queste politiche italiane ed europee: le pri-vatizzazioni, la precarizzazione del mercato di lavoro, ilsostegno agli investimenti privati (con lassenza degli in-terventi pubblici) e la riduzione della spesa pubblica.I quattro contro-pilastri di una politica di sinistra do-

    vrebbero essere, allopposto: la difesa e la valorizzazionedei beni comuni e del patrimonio pubblico; un piano dellavoro fondato sulla dignit ed i diritti delle persone; ilruolo dellintervento e degli investimenti pubblici; la dife-

    sa del welfare e dei diritti. E insieme a questi, una politicadi redistribuzione del reddito fondata su una politica digiustizia e progressivit fiscale.Le politiche europee - oltre ad essere profondamente

    sbagliate- non hanno funzionato e non stanno funzio-nando: dall'inizio della crisi la disoccupazione aumen-tatamediamente di 5 punti ed il debito pubblico nelleu-rozona passato dal 65% al 95% sul Pil. Crescita non cen', stiamo sempre ai confini della deflazione, l'occupa-

    zione resta al palo. Lausterit non la soluzione, il pro-blema.Le politiche italiane hanno seguito londa europea e

    anche queste non hanno funzionato: la disoccupazione arrivata ad oltre il 12%, la capacit produttiva del paese calata del 25% dallinizio della crisi i poveri sono diven-tati oltre 6 milioni di poveri.Nel frattempoRenzi ha dato tutto quello che poteva da-

    re alla Confindustria (abrogazione dell'articolo 18, ridu-zione dell'Irap, sgravi fiscali, ecc.), ha cancellato i dirittidei lavoratori e ridotto selvaggiamente la spesa sociale. CONTINUA |PAGINA II

    Affermare che la disoccupazioneoggi, amet degli anni ottanta, sipresenta come il problema pigrave che le economie industrialidell'Occidente si trovano a doveraffrontare non significa ribadireun luogo comune, ma indicare ilprimo punto all'ordine del gior-no dellagenda della politica eco-nomica e delle parti sociali. ormai chiaro che la disoccupa-zione ha caratteri strutturali eche i comportamenti e le politi-

    che chiamati a combatterla nonpossono basarsi su strumenti tat-tici di natura congiunturale, madebbono porre in atto strategiedi pi ampio respiro. Questaidea, purtroppo, stenta a farsistrada, per cui, anzich aun'azione congiunta delle forzepolitico-sociali volta al raggiun-gimento di un obiettivo che nonpu non essere comune - pena ladestabilizzazione politica e la ca-duta dei livelli di democrazia

    si assiste da tempo a una frantu-mazione degli sforzi, ancheall'interno del sindacato, che di-sperde le energie e fa perdere divista lobiettivo fondamentale.() L'esperienza storica ci mo-stra con molta chiarezza che inun clima recessivo, o di stagna-zione dell'attivit produttiva,l'occupazione non pu che regre-

    dire, e che tutti gli sforzi volti asostenerla sono effimeri. La crea-zione di un clima espansivo nonpu essere affidata ne interamen-te al mercato ne interamente al-le politiche. Contare unicamen-te sul mercato significa essere di-sposti a pagare costi molto eleva-ti sul piano economico-sociale:lo sviluppo della domanda nelledirezioni appropriate a una cre-scita stabile del reddito naziona-le non garantito da nessun

    meccanismo automatico, e que-sta verit storica non pu esseresmentita da nessuno slogan neo-liberista pi o meno alla moda.Contare unicamente sulle politi-che significa d'altro canto igno-rare la realt di un'economia dimercato, ed essere disposti a pa-gare costi molto elevati sul pia-no dell'efficienza. (Fausto Vica-relli, La questione economicanella societ italiana. Analisi eproposte, Il Mulino, 1987)

    Sbilanciamo l'Europa

    L a crisi che investe il nostro mon-do non solo economica. unacrisi epocale che dobbiamo stu-diare seriamente se vogliamo in qual-che modo fronteggiarla. Per la diagno-si, vorrei segnalare un prezioso volu-metto di Franco Cassano sul cambia-mento del vento della storia, edito daLaterza e, pimodestamente, Una cri-si mai vista pubblicato dalla manife-stolibri, a cura di Loche e Parlato, cheraccoglie interventi di autorevoli stu-diosi.Sullattuale crisi agiscono fattori

    strutturali. Innanzitutto la nuova rivo-luzione delle macchine come titola ilvolume di Erik Brynjolfsson e AndrewMcAfee, pubblicato da Feltrinelli. Maagiscono anche fattori di geopoliticacome la globalizzazione e fattori imme-diatamente politici, come la crescita diCina e India e leuro nella nostra Euro-pa.Queste diverse e rilevantimodifica-zioni dello stato di cose convergononel produrre lattuale crisi mondialedalla quale non sappiamo ancora se equando se ne potr uscire. Nel lontanopassato lamacchina a vapore port al-la pratica eliminazione delluso dellaforza fisica dei lavoratori dipendenti.Ora i computer e gli altri strumenti digi-tali stanno sostituendo anche limpe-gnomentale dei lavoratori dipendenti.Morale: si riduce il peso sociale e po-

    litico del lavoro dipendente che statoed ancora fondamentale nei rapportisociali e politici: il futuro prossimo gi pieno di ombre. Ma ai mutamentinel lavoro si aggiunge la globalizzazio-ne, cio leffettiva mondializzazionedei mercati e, innanzitutto, del merca-to del lavoro, che riduce seriamente ilpotere contrattuale dei lavoratori deipaesi sviluppati, che, peraltro viene in-debolito dai flussi migratori dal sud alnord del nostro mondo. E, ancora, pernoi europei c lunionemonetaria sen-za unione politica, che riduce il poteredei singoli stati europei privandoli del-la possibilit di svalutazioni competiti-ve e li obbliga a un pareggio di bilancioche riduce fortemente il potere di inter-vento pubblico nelleconomia.Si tratta, lamia tesi, di pericolose ri-

    duzioni del potere della politica e per-tanto della democrazia: cresce la forzadelle cose diminuisce la forza dei citta-dini e della politica. E nondimentichia-mo che quando parliamo di forza dellecose, in effetti parliamo della forza deiproprietari delle cose.Gli effetti dellattuale crisi sono evi-

    denti e sono esaminati in questo spe-ciale: disoccupazione, precariato, bas-si salari, pensioni incerte, conti pubbli-ci in difficolt, debito in aumento. Laglobalizzazione non solo la Pirelliche diventa cinese, lAlitaliamezza ara-ba e la Fiat americana. Tutto questo siaccompagna con il progressivo indebo-limento dei sindacati e la pratica disso-luzione dei partiti di sinistra che diven-tano partiti della nazione proprioquando la nazione perde peso rispettoai vincoli europei: come scrive Cassa-no, il vento della storia soffia solo a fa-vore del capitale, possibilmente stra-niero. Come contrastare o, almeno, fre-nare questa deriva antisociale e antide-mocratica? Rispondere non sempli-ce, come conferma il nostro attuale bal-bettio. Il vento della storia ci contro.Ma bisogna studiare e tentare di supe-rare questa crisi, innanzitutto denun-ziando, in modo convincente, i disa-strosi esiti di questa deriva e indivi-duando i punti di scontro. Sar pococonvincente ma penso che si debbapartire dalla cultura e anche dalla lette-ratura: non dimentichiamo come sullaformazione della nostra generazioneha agito la lettura di romanzi e raccon-ti e poi dei saggi di analisi storico-socia-le. CONTINUA |PAGINA IV

    SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNOVENERD 15 MAGGIO 2015 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N66

    I contro-pilastri di una politica di sinistra contro le ricette liberiste di Renzi dovrebbero esserela difesa dei beni comuni e del patrimonio pubblico; un piano del lavoro fondato sulla dignite i diritti delle persone; il ruolo degli investimenti pubblici; la difesa del welfare e dei diritti

    Valentino Parlato

    Il peso socialee politico del lavoro

    Giulio Marcon

    Fausto Vicarelli

  • L a sentenza della Corte Costituzio-nale sulladeguamento delle pen-sioni, continua a suscitare reazionidi metodo e di merito. Su questi argo-menti, alcune considerazioni sono gistate svolte da chi scrive su il manifestodi sabato scorso; il protrarsi del dibattitosuscita qualche ulteriore approfondi-mento. Due aspetti particolarmente di-scussi sono le difficolt che la sentenzacauserebbe al rispetto degli obiettivi dibilancio pubblico e dei vincoli europei,e che essa dirotterebbe risorse agli anzia-ni sottraendole ai giovani. Sul primo ar-gomento c chi insiste sullinopportuni-t che la Corte possa alterare le scelteeconomiche e distributive del Governo. una posizione che, indipendente-

    mente dalmerito, critica non solo la sen-tenza della Corte, ma il tratto distintivodel costituzionalismomoderno che deli-mita i poteri del Governo. Dopo di cheuna sentenza pu essere commentata ediscussa (anche se comunque va appli-cata). Naturalmente si pu ben capire ildisagio di un governo che, in un periododisgraziato (che per non frutto di unacalamit naturale), nel quale una cifra in-feriore a 1,5miliardi di euro viene consi-derato un tesoretto, si trova a doverfronteggiare un improvviso onere di bi-lancio che pu arrivare a circa 16,5 mi-liardi (pi interessi emeno le ritenute fi-scali). In questo contesto si pu anchecapire (non giustificare), la preoccupa-zione di non incorrere in una proceduradinfrazione da parte della Commissio-ne Europea. Tuttavia, da un lato, i vinco-li comunitari non hanno per noi una va-lenzapi categorica della nostra Costitu-zione (come i tedeschi spesso ricordanoper la loro); daltro lato, il problemadi bi-lancio dellattuale governo deriva dascelte improvvide fatte daun altro gover-no, ovvero dalla riforma Fornero-Montidel 2011, di cui si capirono subito i nu-merosi elementi di irragionevolezzache, purtroppo, solo tre anni e mezzodopo sono stati segnalati dalla Corte.Quella riforma inun colpo solo crequa-si 380.000 esodati; ridusse il turn-overcosicch gli anziani costretti in attivitostacolano laccesso dei giovani al lavo-ro; aument let media degli occupati,incrementando il loro costo e riducendola loro produttivit e capacit innovati-va; fece cassa riducendo ladeguamentoallinflazione anche per pensioni di cir-ca 1200 euro netti, nonostante il sistemapensionistico gi alimentava positiva-mente il bilancio pubblico e nonmanca-vano altri redditi e ricchezze che sareb-be stato pi equo colpire. Quella rifor-maha poi accentuato il processo di crea-zione in atto di un vero e proprio disa-stro sociale che si concretizzer in ungrande numero degli attuali giovani chenon riusciranno amaturare una pensio-ne decente.Il sistema contributivo, per garantire

    una pensione adeguata, richiede una vi-ta lavorativa continua che dura fino atarda et, un storia retributiva adeguatae aliquote contributive piene. Tuttavia,il passaggio al metodo contributivo fuaccompagnato dalle riforme miranti aflessibilizzare ilmercato del lavoro ovve-ro dalla creazione di posti di lavoro pre-valentemente precari, con aliquote con-tributive ridotte e bassi salari. La riformadel 2011 ha aumentato let di pensiona-mento, ma ci non assicura affatto unapi lunga storia lavorativa e contributi-va. Le simulazioni fatte nel Rapporto sul-lo stato sociale che verr presentato l8giugno alla Sapienza evidenziano comenellassetto attuale determinato anchedalla riforma Fornero, molti lavoratori -gli attuali giovani - per maturare unapensione non necessariamente suffi-ciente saranno costretti a lavorare an-che oltre let di pensionamento, chenel frattempo sar arrivata a 70 anni.Madi chi la responsabilit di questo statodi cose attuale e prospettico?Lex ministra Fornero ha criticato gli

    effetti negativi che deriverebbero per igiovani dalla restituzione del mancatoadeguamento a favore dei pensionati;ma come si visto - la sua riforma nonha favorito la situazione dei giovani, an-

    zi! Loro come gli anziani hanno pagatonon solo la grossolanit tecnica di quelprovvedimento (e non eranomancati av-vertimenti anche precisi, da parte sia disingoli studiosi sia di enti e strutture tec-niche della Pa).La gran parte della popolazione, a pre-

    scindere dallet, ha subito la visioneperversa di cui era intrisa la complessivaAgendaMonti secondo cui, ad esempio,riducendo il costo del lavoro e alzandolet di pensionamento, sarebbe aumen-tata la popolazione attiva, lofferta di la-voro, loccupazione e la crescita del red-dito. Ma, nel Rapporto si mostra anchecomequeste politiche di consolidamen-

    to fiscale siano state e continuino ad es-sere fallimentari, specialmente nei paesicon debito pubblico elevato come il no-stro. In una Europa in crisi, lItalia gra-zie anche allapplicazione particolar-mente convinta di quelle politiche daparte dei nostri governi - ha conseguito iminori tassi di crescita, i maggiori tassidi disoccupazione e gli aumenti pi ele-vati di povert e diseguaglianze.Il nostro reddito pro capite, che anco-

    ra nella seconda met degli anni 90 erasuperiore alla media europea, adesso inferiore del 16% e lOcse ha abbassatofino alla stazionariet anche le prospetti-ve del nostro reddito potenziale.

    DALLA PRIMAGiulio Marcon

    Altre sono le strade che andrebbe-ro seguite. Non abbiamo bisognodel Jobs Act (a favore delle imprese

    e della possibilit di licenziare), ma -comepropone Sbilanciamoci- di un WorkersAct, fondato sui diritti dei lavoratori e dellabuona occupazione. Non abbiamo biso-gno dello Sblocca Italia (a favore dei petro-lieri e dei concessionari di autostrade), madi un vero Green Act, come sostengono leassociazioni ambientaliste. Non abbiamobisogno della Cattiva Scuola (che d soldialle scuole private e trasforma i presidi indatori di lavoro) ma della rigenerazionedella scuola pubblica, come chiedono lecentinaia di migliaia di studenti ed inse-gnanti scesi in piazza lo scorso 5 maggio.Sono tre lemosse immediate- nei prossi-

    mi sei mesi- per un programmaminimoper uscire dalla crisi. 1) Rimettere in discus-sione i vincoli dei trattati europei, liberan-do risorse pubbliche per gli investimenti(pubblici). Portando il rapporto deficit-pilal 4% -come in Francia- si possono recupe-rare almeno 20-25miliardi da destinare adun piano del lavoro fondato sugli investi-menti pubblici, le piccole opere (lotta aldissesto idrogeologico, messa in sicurezzadelle scuole) e un Green New Deal capacedi alimentare nuove produzioni e consu-mi. Si tratta di una scelta anche di caratte-re strategico: bisogna uscire dalla crisi inun modo diverso da quello con cui ci si entrati, cambiando il modello di sviluppo.2) Investire nella scuola, nella ricerca e

    nell'innovazione e nel welfare -portandogli stanziamenti alla media dei paesidell'UnioneEuropea- rispettando gli impe-gni presi con la strategia Europa 2020.Senza investimenti corposi in questa dire-zione, non solo vengono meno i diritti so-ciali,ma anche la capacit di darsi una eco-nomia di qualit. Vanno stanziati almeno5miliardi di euro che si potrebbero recupe-rare tagliando del 20% la spesa militare,cancellando gli F35 e fermando la folle im-presa delle grandi opere, Tav innanzitutto.3) Serve un piano di lotta allevasione e

    di misure per la giustizia fiscale finalizzatoalla lotta alla povert. Unapiccola patrimo-niale del 5 per 1000 sulle ricchezze finan-ziarie sopra il milione di euro e una auten-tica Tobin Tax (che colpisca tutti i prodotti

    e le transazioni finanziarie) potrebberoprodurre 10 miliardi di gettito che an-drebbero destinati a sostenere i redditi ele pensioni pi basse. In questo contestoandrebbero costruite le fondamenta perl'introduzione di un reddito di cittadi-nanza universaleI soldi per queste tre alternative ci so-

    no. Quella che manca una visione poli-tica orientata al superamento del para-digma dell'austerit, del modello neoli-berista e -nello stesso tempo- la capacit(o la volont) di liberarsi da un grovigliodi interessi subalterno ai mercati finan-ziari, alle grandi imprese, alle rendite diposizione e monopoliste delle corpora-zioni di varia provenienza.Si tratta di costruire allora le gambe di

    queste proposte alternative nellamobilita-zione sociale di tutti i giorni, attraversoun'alleanza tramovimenti, buona politica,protesta sociale per cambiare rotta adun paese che -con le politiche di Renzi- ri-schia di essere condannato alle disegua-glianze, alla precariet e alla vittoria degliinteressi di pochi. L'esito non scontato,ma cambiare si pu.

    I l governo italiano sta negoziandocon la Commissione europea lacreazione di una bad bank, ovveroun veicolo che assorba parte dei credi-ti inesigibili delle banche.Le sofferenze bancarie, la percentua-

    le di crediti erogati che non vengonorestituiti, viaggiano intorno al 10%.Unenormit, il che porta le banche anon prestare pi a imprese e famiglie,acuendo le difficolt dell'economia equindi le stesse sofferenze, in una spi-rale che si auto-alimenta.Nel recente intervento di Renzi alla

    Borsa italiana, si tratta di una prioritassoluta del governo, dopo la riformadelle banche popolari, che ha portatoquelle dimaggiori dimensioni a doversiconvertire in Spa, mentre si attende disapere cosa potrebbe avvenire al restodel sistema popolare e cooperativo.Riguardo la bad bank sono diverse

    le perplessit, non solo della Commis-sione europea che vuole verificare chenon si tratti di aiuti di Stato, ma pi ingenerale nel capire quali crediti dete-riorati verrebbero acquistati da questoveicolo, a quale prezzo, chi dovrebbefarsi carico delloperazione tra gover-no, CassaDepositi e Prestiti o altri, qua-li potrebbero essere i potenziali impat-ti sui conti pubblici, e via discorrendo.Sono ancora maggiori le perplessit

    sulla riformadelle popolari. Seuna revi-sione della governance era probabil-mente necessaria, non si capisce dovesiano gli elementi di straordinaria ur-genza enecessit richiesti dal nostro or-dinamento per procedere tramite unDecreto e non per via parlamentare.Nel merito, il rischio quello di ri-

    durre o eliminare la necessaria biodi-versit bancaria e andare verso unmodello a taglia unica, dove la taglia quella dei conglomerati dimaggiori di-mensioni, gli stessi in gran parte re-sponsabili della crisi degli ultimi anni.Le priorit del sistema bancario e fi-

    nanziario sembrano, se non diame-tralmente opposte, comunque deci-samente altre. La prima, in Europa einmodo particolare in Italia, la trap-pola della liquidit. Con uno slogan,la crisi non dovuta al fatto che nonci sono soldi, ma che ce ne sono trop-pi; il problema che sono (quasi) tut-ti dalla parte sbagliata.I continui apporti di liquidit della

    Bce al sistema finanziario (ultimo in or-dine di tempo il Quantitative Easing)nonsi traducono incredito erogato a fa-miglie e imprese e in investimenti, marimangono incastrati in un sistema fi-nanziario sempre pi autoreferenziale.A fronte di uneconomia strangolata

    daausterit e credit crunch, l'eccessodiliquidit sui mercati fa si che in Europauna montagna di titoli di Stato abbiaun rendimento addirittura negativo,mentre anche i piccoli investitori si spo-stano verso titoli sempre pi rischiosi,alla disperata ricercadi unqualchepro-fitto. Al di l dell'incredibile inefficienzadel sistema, il rischio di gonfiare ulte-riormente una finanza ipertroficamen-tre economia e occupazione rimango-no al palo; la definizione stessa di unanuova bolla finanziaria.Non si capisce bene in che modo la

    riforma delle popolari potrebbe cam-

    biare le cose. Ancora peggio, la creazio-ne di una bad bank in assenza di unaradicale riforma del sistema finanzia-rio rischia di rappresentare un formi-dabile azzardo morale per le banche:finch le cose vanno bene i profitti so-no privati, quando il giocattolo si rom-pe interviene il paracadute pubblico esi socializzano le perdite.La priorit assoluta dovrebbe esse-

    re disincentivare le attivit speculativee tenerle separate dall'attivit crediti-zia, e spostare risorse dalla finanzaall'economia. Esattamente la direzio-ne in cui andrebbe la tassa sulle transa-zioni finanziarie, discussa da anni inEuropa e ufficialmente sostenuta an-che dal nostro governo, anche se nonsembra che il semestre di presidenzaUE a guida italiana verr ricordato peri passi in avanti compiuti in materia.Finalit simili avrebbe la separazio-

    ne tra banche commerciali e di investi-mento, fondamentale per fare si che irisparmi depositati in banca e la liqui-dit fornita da Bce e istituzioni pubbli-che serva a erogare credito e non allaspeculazione.Ancora, una priorit assoluta in

    ambito finanziario dovrebbe essere ilfare piena chiarezza e trasparenza sul-la disastrosa vicenda dei derivati nellapubblica amministrazione, chepotreb-be portare a perdite per oltre 40miliar-di di euro nei prossimi anni.Un governo che nelle ultime settima-

    ne ha centrato la comunicazione su untesoretto di 1,6miliardi previsto dalDef attenzione, anchequiparliamodipre-visioni e non di dati a consuntivo nonsembra avere nulla da dire su potenzia-li perdite decine di volte superiori.L'intero edificio finanziario andreb-

    be ricostruito dalle fondamenta, non sipu pensare di continuare indefinita-mente a puntellarlo con soldi pubbliciper tentare di rimandarne il crollo. L'at-tuale sistema finanziario in buonaparte il problema da affrontare.Anche con tutti gli annunci e l'ottimi-

    smo del mondo, se non si cambiano leregole del gioco difficile che possa di-ventare la soluzione.

    P aese in ripresa, Cresce loccu-pazione. quanto si sente diredalle parti del governo e daquel-le dei media mainstream. Ma propriocos? Vediamo cosa dice lultima notamensile dellIstat sullandamentodelleconomia italiana (aprile 2015).Nellinsieme, essa racconta di un pae-

    se ancora in difficolt, lontano da unaprospettiva di vera crescita a breve termi-ne. Lo fa partendo dallEuropa, dove lav-venimento pi significativo dalliniziodellanno, che ha innovato il rapporto tralautorit monetaria ed il sistema econo-mico, stato lavvio del quantitative ea-sing, larmadiDraghi per rianimare il set-tore del credito e, di conseguenza, quellodegli investimenti e dei consumi.Unoperazione che, a duemesi dal suo

    lancio, non sembra dare risultati di rilie-vo, se vero che leurozona si presentaancora comeunarea economica in affan-no, tra crisi di fiducia dei suoi attori e,con pochissime eccezioni, magri risultatidal lato della produzione.Nel primo trimestre di questanno il Pil

    cresciuto solo dello 0,4%, troppo pocoper parlare di ripresa. Ci, mentre il tassodi disoccupazione rimasto inchiodatoal di sopra dell11%, senza variazioni di ri-lievo da inizio anno. Di cosa parliamo?B, senzaltro dellinsufficienza (o

    dellinutilit) di politiche monetarie

    espansive in assenza di politiche fiscali disegno corrispondente.In questa cornice, lItalia ha fatto regi-

    strare su base congiunturale (rispetto almese di marzo) un maggiore dinamismodellattivit industriale (+0,6%),ma a trai-narla sono solo i beni strumentali(+1,1%) e il comparto energetico (+3,6%).Tutta lindustria trasformatrice, vera

    spina dorsale del sistema Italia, resta pra-ticamente al palo. Non accenna a risalireneanche la fiducia dei consumatori, chescende da quota 110,7 a quota 108,2.E loccupazione? A finemarzo il gover-

    no aveva annunciato che grazie agli effet-ti della decontribuzione, nei primi duemesi dellanno, cerano stati 79mila con-tratti stabili in pi. Poi venne fuori che,al netto delle cancellazioni e dei rapportidi lavoro scaduti (e non prorogati), i nuo-vi contratti non erano stati pi di 13.Ora lIstat mette la parola fine a questa

    telenovela, attestando che dopo i cali re-gistrati a dicembre e a gennaio e la lievecrescita a febbraio, a marzo il tasso di di-soccupazione sale ancora di 0,2 punti per-centuali, arrivando al 13%.Nei dodicime-si il numero di disoccupati cresciuto del4,4% (+138 mila) e il tasso di disoccupa-zionedi 0,5 punti. Numeri che fanno giu-stizia anche dellinterpretazione capzio-sa dei dati forniti in questi giornidallInps sui nuovi contratti a tempo inde-terminato.Intanto stato approvato il Documen-

    to di Economia e Finanza (Def) 2015, che

    conferma la linea del rigore fin qui segui-ta dagli ultimi governi.Da un lato, infatti, si dichiara la volon-

    t di imprimere una forte discontinuitnella politica economica del governo, perdare una decisa accelerazione a investi-menti e consumi, dallaltro vengonoconfermati tutti gli obiettivi di finanzapubblica tendenti al pareggio di bilan-cio entro il prossimo triennio ed annun-ciati nuovi tagli alla spesa per non menodi 10 miliardi.Per lanno in corso viene stimata una

    crescita del Pil dello 0,7%, che si fa pi ot-timistica per lannoprossimo (+1,4%). Sti-me ancora basse e, comunque, tutte daverificare, visto anche il magro bottinodel primo trimestre (+0,3%). Per quantoriguarda il lavoro, invece, si parla generi-camente di una graduale riduzione deltasso di disoccupazione, tutta da verifi-care e per nulla scontata, come lo stessogoverno riconosce, unpo fatalisticamen-te, nel Documento. Appare evidente, aquesto punto, che senza un cambiamen-to di rotta reale nella politica economicadel governo per il nostro paese sarannodolori nei prossimi anni. Balliamo sul cri-nale tra recessione e stagnazione,mentrelarea del disagio si estende a macchiadolio ogni giorno che passa. Lidea che illavoro si possa creare tagliando i diritti eche la ripresa si possa propiziare agendosui salari e la produttivit, si rivelata pa-lesemente errata, specialmente nel cicloavverso. N si pu pensare (ed illudere)

    che una fuoriuscita dalle secche in cui citroviamopossa avvenire nel rispetto fidei-stico dei vincoli del vigente patto di bilan-cio europeo, che impongono la rinunciaa nuovi investimenti. Ci viene in soccor-so la storia: tutte le grandi crisi del passa-to, sicuramente quelle del secolo che ab-biamo alle spalle, sono state risolte, dopounprimo e fallimentare approccio deflat-tivo, con un deciso intervento pubblicoin economia e conpolitiche fiscali espan-sive, dal lato della domanda. stato cos nella continuit democrati-

    ca, ma anche nel passaggio da regimi de-mocratici (o presunti tali) a regimi totali-tari. Nel nostro caso c di mezzo un pro-blema che si chiama Unione economicae monetaria, alla quale abbiamo cedutouna delle prerogative fondamentali diuno stato: battere moneta.A questa cessione di sovranit, per,

    non seguita una maggiore integrazionepolitica, su base democratica, del sodali-zio europeo. E cos,mentre la politicamo-netaria la fa unistituzione formalmenteimpermeabile alle sollecitazioni del pote-re politico, quella economica totalmen-te imbrigliata nel meccanismo di soste-nibilit della finanza pubblica, architra-ve su cui poggia lodierno potere sovrab-bondante della finanza speculativa. possibile cambiare questa Europa? Sareb-be fortemente auspicabile. Qualcuno hainiziato, tra mille difficolt, anche a pro-varci. Nel frattempo, per, chi pensa almalato-Italia?

    LINDERBERGH di TORBEN KUHLMANN

    VENERD 15 MAGGIO 2015SBILANCIAMO L'EUROPA

    N66 - PAGINA III

    Amburgo 1912. Per un piccolo topo di biblioteca, mille pericoli. E ora sono comparse an-che terribili trappole. Non resta che partire, emigrare, ma i gatti sono ovunque, a sorveglia-re porti e stazioni. Ma eccola, lidea luminosa! Bisogna volare via, dallaltra parte dellocea-no. Li ricorda bene i disegni di Leonardo sui libri, e le cantine sono piene di vecchi ingra-naggi, molle, biglie, tasti di macchine per scrivere. Tutto quel che serve per costruire unamacchina volante. I primi due tentativi sono un fallimento, ma di arrendersi non se ne parlaneppure. Altri studi, nuovi perfezionamenti, ed eccolo il piccolo topo coraggioso sfuggirealle civette che controllano i cieli, sorvolare loceano e raggiungere New York. Un trionfo chediventa leggenda, e corre sui muri della citt. Un bambino resta incantato a guardare il ma-nifesto del topo volante, e sogna di poter un giorno volare anche lui. Quel bambino si chia-mava Charles Lindbergh.Lindbergh, Orecchio acerbo 2014, 96 pagine a colori, 19,50 eurowww.orecchioacerbo.com

    Tuttihannopagatoper la riforma ForneroLItaliahafinitoperconseguirei minoritassidicrescita,i maggioritassididisoccupazioneegliaumentipielevatidipovertediseguaglianze

    Felice Roberto Pizzuti

    LIDEACHE IL LAVORO SI POSSACREARE TAGLIAN-DO I DIRITTI E CHE LA RIPRESA SI POSSA PROPIZIAREAGENDOSUI SALARI E LA PRODUTTIVIT, SI RIVE-LATA PALESEMENTE ERRATA, ANCHE IN PASSATO

    LachiamanoripresamastagnazioneLultimanota mensiledellIstatraccontadiunpaeseancoraindifficolt, lontanodaunaprospettivadiveraepropriacrescitaabrevetermine

    BadBank, laprioritassoluta. SecondoRenziLaCommissioneeuropeaenonsolosichiedequalicreditideteriorativerrebbero acquistati da questo veicolom, a quale prezzo e chi dovrebbefarsicaricodelloperazionetragoverno,Cassadepositieprestitioaltri

    IL RISCHIO QUELLODI RIDURREO ELIMINARE LANECESSARIABIODIVERSIT BANCARIA E ANDARE VERSOUNMODELLOA TAGLIA UNICA, DOVE LA TAGLIA - NATURALMENTE -QUELLA DEI CONGLOMERATI DI MAGGIORI DIMENSIONI

    Andrea Baranes

    VENERD 15 MAGGIO 2015SBILANCIAMO L'EUROPA

    N66 - PAGINA II

    Luigi Pandolfi

    COPYRIGHT TORBEN KUHLMANN

    Le strade da seguireN JobsAct,nSbloccaItaliaoBuonaScuola

    COPYRIGHT TORBEN KUHLMANN

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    COPYRIGHT TORBEN KUHLMANN

  • L a sentenza della Corte Costituzio-nale sulladeguamento delle pen-sioni, continua a suscitare reazionidi metodo e di merito. Su questi argo-menti, alcune considerazioni sono gistate svolte da chi scrive su il manifestodi sabato scorso; il protrarsi del dibattitosuscita qualche ulteriore approfondi-mento. Due aspetti particolarmente di-scussi sono le difficolt che la sentenzacauserebbe al rispetto degli obiettivi dibilancio pubblico e dei vincoli europei,e che essa dirotterebbe risorse agli anzia-ni sottraendole ai giovani. Sul primo ar-gomento c chi insiste sullinopportuni-t che la Corte possa alterare le scelteeconomiche e distributive del Governo. una posizione che, indipendente-

    mente dalmerito, critica non solo la sen-tenza della Corte, ma il tratto distintivodel costituzionalismomoderno che deli-mita i poteri del Governo. Dopo di cheuna sentenza pu essere commentata ediscussa (anche se comunque va appli-cata). Naturalmente si pu ben capire ildisagio di un governo che, in un periododisgraziato (che per non frutto di unacalamit naturale), nel quale una cifra in-feriore a 1,5miliardi di euro viene consi-derato un tesoretto, si trova a doverfronteggiare un improvviso onere di bi-lancio che pu arrivare a circa 16,5 mi-liardi (pi interessi emeno le ritenute fi-scali). In questo contesto si pu anchecapire (non giustificare), la preoccupa-zione di non incorrere in una proceduradinfrazione da parte della Commissio-ne Europea. Tuttavia, da un lato, i vinco-li comunitari non hanno per noi una va-lenzapi categorica della nostra Costitu-zione (come i tedeschi spesso ricordanoper la loro); daltro lato, il problemadi bi-lancio dellattuale governo deriva dascelte improvvide fatte daun altro gover-no, ovvero dalla riforma Fornero-Montidel 2011, di cui si capirono subito i nu-merosi elementi di irragionevolezzache, purtroppo, solo tre anni e mezzodopo sono stati segnalati dalla Corte.Quella riforma inun colpo solo crequa-si 380.000 esodati; ridusse il turn-overcosicch gli anziani costretti in attivitostacolano laccesso dei giovani al lavo-ro; aument let media degli occupati,incrementando il loro costo e riducendola loro produttivit e capacit innovati-va; fece cassa riducendo ladeguamentoallinflazione anche per pensioni di cir-ca 1200 euro netti, nonostante il sistemapensionistico gi alimentava positiva-mente il bilancio pubblico e nonmanca-vano altri redditi e ricchezze che sareb-be stato pi equo colpire. Quella rifor-maha poi accentuato il processo di crea-zione in atto di un vero e proprio disa-stro sociale che si concretizzer in ungrande numero degli attuali giovani chenon riusciranno amaturare una pensio-ne decente.Il sistema contributivo, per garantire

    una pensione adeguata, richiede una vi-ta lavorativa continua che dura fino atarda et, un storia retributiva adeguatae aliquote contributive piene. Tuttavia,il passaggio al metodo contributivo fuaccompagnato dalle riforme miranti aflessibilizzare ilmercato del lavoro ovve-ro dalla creazione di posti di lavoro pre-valentemente precari, con aliquote con-tributive ridotte e bassi salari. La riformadel 2011 ha aumentato let di pensiona-mento, ma ci non assicura affatto unapi lunga storia lavorativa e contributi-va. Le simulazioni fatte nel Rapporto sul-lo stato sociale che verr presentato l8giugno alla Sapienza evidenziano comenellassetto attuale determinato anchedalla riforma Fornero, molti lavoratori -gli attuali giovani - per maturare unapensione non necessariamente suffi-ciente saranno costretti a lavorare an-che oltre let di pensionamento, chenel frattempo sar arrivata a 70 anni.Madi chi la responsabilit di questo statodi cose attuale e prospettico?Lex ministra Fornero ha criticato gli

    effetti negativi che deriverebbero per igiovani dalla restituzione del mancatoadeguamento a favore dei pensionati;ma come si visto - la sua riforma nonha favorito la situazione dei giovani, an-

    zi! Loro come gli anziani hanno pagatonon solo la grossolanit tecnica di quelprovvedimento (e non eranomancati av-vertimenti anche precisi, da parte sia disingoli studiosi sia di enti e strutture tec-niche della Pa).La gran parte della popolazione, a pre-

    scindere dallet, ha subito la visioneperversa di cui era intrisa la complessivaAgendaMonti secondo cui, ad esempio,riducendo il costo del lavoro e alzandolet di pensionamento, sarebbe aumen-tata la popolazione attiva, lofferta di la-voro, loccupazione e la crescita del red-dito. Ma, nel Rapporto si mostra anchecomequeste politiche di consolidamen-

    to fiscale siano state e continuino ad es-sere fallimentari, specialmente nei paesicon debito pubblico elevato come il no-stro. In una Europa in crisi, lItalia gra-zie anche allapplicazione particolar-mente convinta di quelle politiche daparte dei nostri governi - ha conseguito iminori tassi di crescita, i maggiori tassidi disoccupazione e gli aumenti pi ele-vati di povert e diseguaglianze.Il nostro reddito pro capite, che anco-

    ra nella seconda met degli anni 90 erasuperiore alla media europea, adesso inferiore del 16% e lOcse ha abbassatofino alla stazionariet anche le prospetti-ve del nostro reddito potenziale.

    DALLA PRIMAGiulio Marcon

    Altre sono le strade che andrebbe-ro seguite. Non abbiamo bisognodel Jobs Act (a favore delle imprese

    e della possibilit di licenziare), ma -comepropone Sbilanciamoci- di un WorkersAct, fondato sui diritti dei lavoratori e dellabuona occupazione. Non abbiamo biso-gno dello Sblocca Italia (a favore dei petro-lieri e dei concessionari di autostrade), madi un vero Green Act, come sostengono leassociazioni ambientaliste. Non abbiamobisogno della Cattiva Scuola (che d soldialle scuole private e trasforma i presidi indatori di lavoro) ma della rigenerazionedella scuola pubblica, come chiedono lecentinaia di migliaia di studenti ed inse-gnanti scesi in piazza lo scorso 5 maggio.Sono tre lemosse immediate- nei prossi-

    mi sei mesi- per un programmaminimoper uscire dalla crisi. 1) Rimettere in discus-sione i vincoli dei trattati europei, liberan-do risorse pubbliche per gli investimenti(pubblici). Portando il rapporto deficit-pilal 4% -come in Francia- si possono recupe-rare almeno 20-25miliardi da destinare adun piano del lavoro fondato sugli investi-menti pubblici, le piccole opere (lotta aldissesto idrogeologico, messa in sicurezzadelle scuole) e un Green New Deal capacedi alimentare nuove produzioni e consu-mi. Si tratta di una scelta anche di caratte-re strategico: bisogna uscire dalla crisi inun modo diverso da quello con cui ci si entrati, cambiando il modello di sviluppo.2) Investire nella scuola, nella ricerca e

    nell'innovazione e nel welfare -portandogli stanziamenti alla media dei paesidell'UnioneEuropea- rispettando gli impe-gni presi con la strategia Europa 2020.Senza investimenti corposi in questa dire-zione, non solo vengono meno i diritti so-ciali,ma anche la capacit di darsi una eco-nomia di qualit. Vanno stanziati almeno5miliardi di euro che si potrebbero recupe-rare tagliando del 20% la spesa militare,cancellando gli F35 e fermando la folle im-presa delle grandi opere, Tav innanzitutto.3) Serve un piano di lotta allevasione e

    di misure per la giustizia fiscale finalizzatoalla lotta alla povert. Unapiccola patrimo-niale del 5 per 1000 sulle ricchezze finan-ziarie sopra il milione di euro e una auten-tica Tobin Tax (che colpisca tutti i prodotti

    e le transazioni finanziarie) potrebberoprodurre 10 miliardi di gettito che an-drebbero destinati a sostenere i redditi ele pensioni pi basse. In questo contestoandrebbero costruite le fondamenta perl'introduzione di un reddito di cittadi-nanza universaleI soldi per queste tre alternative ci so-

    no. Quella che manca una visione poli-tica orientata al superamento del para-digma dell'austerit, del modello neoli-berista e -nello stesso tempo- la capacit(o la volont) di liberarsi da un grovigliodi interessi subalterno ai mercati finan-ziari, alle grandi imprese, alle rendite diposizione e monopoliste delle corpora-zioni di varia provenienza.Si tratta di costruire allora le gambe di

    queste proposte alternative nellamobilita-zione sociale di tutti i giorni, attraversoun'alleanza tramovimenti, buona politica,protesta sociale per cambiare rotta adun paese che -con le politiche di Renzi- ri-schia di essere condannato alle disegua-glianze, alla precariet e alla vittoria degliinteressi di pochi. L'esito non scontato,ma cambiare si pu.

    I l governo italiano sta negoziandocon la Commissione europea lacreazione di una bad bank, ovveroun veicolo che assorba parte dei credi-ti inesigibili delle banche.Le sofferenze bancarie, la percentua-

    le di crediti erogati che non vengonorestituiti, viaggiano intorno al 10%.Unenormit, il che porta le banche anon prestare pi a imprese e famiglie,acuendo le difficolt dell'economia equindi le stesse sofferenze, in una spi-rale che si auto-alimenta.Nel recente intervento di Renzi alla

    Borsa italiana, si tratta di una prioritassoluta del governo, dopo la riformadelle banche popolari, che ha portatoquelle dimaggiori dimensioni a doversiconvertire in Spa, mentre si attende disapere cosa potrebbe avvenire al restodel sistema popolare e cooperativo.Riguardo la bad bank sono diverse

    le perplessit, non solo della Commis-sione europea che vuole verificare chenon si tratti di aiuti di Stato, ma pi ingenerale nel capire quali crediti dete-riorati verrebbero acquistati da questoveicolo, a quale prezzo, chi dovrebbefarsi carico delloperazione tra gover-no, CassaDepositi e Prestiti o altri, qua-li potrebbero essere i potenziali impat-ti sui conti pubblici, e via discorrendo.Sono ancora maggiori le perplessit

    sulla riformadelle popolari. Seuna revi-sione della governance era probabil-mente necessaria, non si capisce dovesiano gli elementi di straordinaria ur-genza enecessit richiesti dal nostro or-dinamento per procedere tramite unDecreto e non per via parlamentare.Nel merito, il rischio quello di ri-

    durre o eliminare la necessaria biodi-versit bancaria e andare verso unmodello a taglia unica, dove la taglia quella dei conglomerati dimaggiori di-mensioni, gli stessi in gran parte re-sponsabili della crisi degli ultimi anni.Le priorit del sistema bancario e fi-

    nanziario sembrano, se non diame-tralmente opposte, comunque deci-samente altre. La prima, in Europa einmodo particolare in Italia, la trap-pola della liquidit. Con uno slogan,la crisi non dovuta al fatto che nonci sono soldi, ma che ce ne sono trop-pi; il problema che sono (quasi) tut-ti dalla parte sbagliata.I continui apporti di liquidit della

    Bce al sistema finanziario (ultimo in or-dine di tempo il Quantitative Easing)nonsi traducono incredito erogato a fa-miglie e imprese e in investimenti, marimangono incastrati in un sistema fi-nanziario sempre pi autoreferenziale.A fronte di uneconomia strangolata

    daausterit e credit crunch, l'eccessodiliquidit sui mercati fa si che in Europauna montagna di titoli di Stato abbiaun rendimento addirittura negativo,mentre anche i piccoli investitori si spo-stano verso titoli sempre pi rischiosi,alla disperata ricercadi unqualchepro-fitto. Al di l dell'incredibile inefficienzadel sistema, il rischio di gonfiare ulte-riormente una finanza ipertroficamen-tre economia e occupazione rimango-no al palo; la definizione stessa di unanuova bolla finanziaria.Non si capisce bene in che modo la

    riforma delle popolari potrebbe cam-

    biare le cose. Ancora peggio, la creazio-ne di una bad bank in assenza di unaradicale riforma del sistema finanzia-rio rischia di rappresentare un formi-dabile azzardo morale per le banche:finch le cose vanno bene i profitti so-no privati, quando il giocattolo si rom-pe interviene il paracadute pubblico esi socializzano le perdite.La priorit assoluta dovrebbe esse-

    re disincentivare le attivit speculativee tenerle separate dall'attivit crediti-zia, e spostare risorse dalla finanzaall'economia. Esattamente la direzio-ne in cui andrebbe la tassa sulle transa-zioni finanziarie, discussa da anni inEuropa e ufficialmente sostenuta an-che dal nostro governo, anche se nonsembra che il semestre di presidenzaUE a guida italiana verr ricordato peri passi in avanti compiuti in materia.Finalit simili avrebbe la separazio-

    ne tra banche commerciali e di investi-mento, fondamentale per fare si che irisparmi depositati in banca e la liqui-dit fornita da Bce e istituzioni pubbli-che serva a erogare credito e non allaspeculazione.Ancora, una priorit assoluta in

    ambito finanziario dovrebbe essere ilfare piena chiarezza e trasparenza sul-la disastrosa vicenda dei derivati nellapubblica amministrazione, chepotreb-be portare a perdite per oltre 40miliar-di di euro nei prossimi anni.Un governo che nelle ultime settima-

    ne ha centrato la comunicazione su untesoretto di 1,6miliardi previsto dalDef attenzione, anchequiparliamodipre-visioni e non di dati a consuntivo nonsembra avere nulla da dire su potenzia-li perdite decine di volte superiori.L'intero edificio finanziario andreb-

    be ricostruito dalle fondamenta, non sipu pensare di continuare indefinita-mente a puntellarlo con soldi pubbliciper tentare di rimandarne il crollo. L'at-tuale sistema finanziario in buonaparte il problema da affrontare.Anche con tutti gli annunci e l'ottimi-

    smo del mondo, se non si cambiano leregole del gioco difficile che possa di-ventare la soluzione.

    P aese in ripresa, Cresce loccu-pazione. quanto si sente diredalle parti del governo e daquel-le dei media mainstream. Ma propriocos? Vediamo cosa dice lultima notamensile dellIstat sullandamentodelleconomia italiana (aprile 2015).Nellinsieme, essa racconta di un pae-

    se ancora in difficolt, lontano da unaprospettiva di vera crescita a breve termi-ne. Lo fa partendo dallEuropa, dove lav-venimento pi significativo dalliniziodellanno, che ha innovato il rapporto tralautorit monetaria ed il sistema econo-mico, stato lavvio del quantitative ea-sing, larmadiDraghi per rianimare il set-tore del credito e, di conseguenza, quellodegli investimenti e dei consumi.Unoperazione che, a duemesi dal suo

    lancio, non sembra dare risultati di rilie-vo, se vero che leurozona si presentaancora comeunarea economica in affan-no, tra crisi di fiducia dei suoi attori e,con pochissime eccezioni, magri risultatidal lato della produzione.Nel primo trimestre di questanno il Pil

    cresciuto solo dello 0,4%, troppo pocoper parlare di ripresa. Ci, mentre il tassodi disoccupazione rimasto inchiodatoal di sopra dell11%, senza variazioni di ri-lievo da inizio anno. Di cosa parliamo?B, senzaltro dellinsufficienza (o

    dellinutilit) di politiche monetarie

    espansive in assenza di politiche fiscali disegno corrispondente.In questa cornice, lItalia ha fatto regi-

    strare su base congiunturale (rispetto almese di marzo) un maggiore dinamismodellattivit industriale (+0,6%),ma a trai-narla sono solo i beni strumentali(+1,1%) e il comparto energetico (+3,6%).Tutta lindustria trasformatrice, vera

    spina dorsale del sistema Italia, resta pra-ticamente al palo. Non accenna a risalireneanche la fiducia dei consumatori, chescende da quota 110,7 a quota 108,2.E loccupazione? A finemarzo il gover-

    no aveva annunciato che grazie agli effet-ti della decontribuzione, nei primi duemesi dellanno, cerano stati 79mila con-tratti stabili in pi. Poi venne fuori che,al netto delle cancellazioni e dei rapportidi lavoro scaduti (e non prorogati), i nuo-vi contratti non erano stati pi di 13.Ora lIstat mette la parola fine a questa

    telenovela, attestando che dopo i cali re-gistrati a dicembre e a gennaio e la lievecrescita a febbraio, a marzo il tasso di di-soccupazione sale ancora di 0,2 punti per-centuali, arrivando al 13%.Nei dodicime-si il numero di disoccupati cresciuto del4,4% (+138 mila) e il tasso di disoccupa-zionedi 0,5 punti. Numeri che fanno giu-stizia anche dellinterpretazione capzio-sa dei dati forniti in questi giornidallInps sui nuovi contratti a tempo inde-terminato.Intanto stato approvato il Documen-

    to di Economia e Finanza (Def) 2015, che

    conferma la linea del rigore fin qui segui-ta dagli ultimi governi.Da un lato, infatti, si dichiara la volon-

    t di imprimere una forte discontinuitnella politica economica del governo, perdare una decisa accelerazione a investi-menti e consumi, dallaltro vengonoconfermati tutti gli obiettivi di finanzapubblica tendenti al pareggio di bilan-cio entro il prossimo triennio ed annun-ciati nuovi tagli alla spesa per non menodi 10 miliardi.Per lanno in corso viene stimata una

    crescita del Pil dello 0,7%, che si fa pi ot-timistica per lannoprossimo (+1,4%). Sti-me ancora basse e, comunque, tutte daverificare, visto anche il magro bottinodel primo trimestre (+0,3%). Per quantoriguarda il lavoro, invece, si parla generi-camente di una graduale riduzione deltasso di disoccupazione, tutta da verifi-care e per nulla scontata, come lo stessogoverno riconosce, unpo fatalisticamen-te, nel Documento. Appare evidente, aquesto punto, che senza un cambiamen-to di rotta reale nella politica economicadel governo per il nostro paese sarannodolori nei prossimi anni. Balliamo sul cri-nale tra recessione e stagnazione,mentrelarea del disagio si estende a macchiadolio ogni giorno che passa. Lidea che illavoro si possa creare tagliando i diritti eche la ripresa si possa propiziare agendosui salari e la produttivit, si rivelata pa-lesemente errata, specialmente nel cicloavverso. N si pu pensare (ed illudere)

    che una fuoriuscita dalle secche in cui citroviamopossa avvenire nel rispetto fidei-stico dei vincoli del vigente patto di bilan-cio europeo, che impongono la rinunciaa nuovi investimenti. Ci viene in soccor-so la storia: tutte le grandi crisi del passa-to, sicuramente quelle del secolo che ab-biamo alle spalle, sono state risolte, dopounprimo e fallimentare approccio deflat-tivo, con un deciso intervento pubblicoin economia e conpolitiche fiscali espan-sive, dal lato della domanda. stato cos nella continuit democrati-

    ca, ma anche nel passaggio da regimi de-mocratici (o presunti tali) a regimi totali-tari. Nel nostro caso c di mezzo un pro-blema che si chiama Unione economicae monetaria, alla quale abbiamo cedutouna delle prerogative fondamentali diuno stato: battere moneta.A questa cessione di sovranit, per,

    non seguita una maggiore integrazionepolitica, su base democratica, del sodali-zio europeo. E cos,mentre la politicamo-netaria la fa unistituzione formalmenteimpermeabile alle sollecitazioni del pote-re politico, quella economica totalmen-te imbrigliata nel meccanismo di soste-nibilit della finanza pubblica, architra-ve su cui poggia lodierno potere sovrab-bondante della finanza speculativa. possibile cambiare questa Europa? Sareb-be fortemente auspicabile. Qualcuno hainiziato, tra mille difficolt, anche a pro-varci. Nel frattempo, per, chi pensa almalato-Italia?

    LINDERBERGH di TORBEN KUHLMANN

    VENERD 15 MAGGIO 2015SBILANCIAMO L'EUROPA

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    Amburgo 1912. Per un piccolo topo di biblioteca, mille pericoli. E ora sono comparse an-che terribili trappole. Non resta che partire, emigrare, ma i gatti sono ovunque, a sorveglia-re porti e stazioni. Ma eccola, lidea luminosa! Bisogna volare via, dallaltra parte dellocea-no. Li ricorda bene i disegni di Leonardo sui libri, e le cantine sono piene di vecchi ingra-naggi, molle, biglie, tasti di macchine per scrivere. Tutto quel che serve per costruire unamacchina volante. I primi due tentativi sono un fallimento, ma di arrendersi non se ne parlaneppure. Altri studi, nuovi perfezionamenti, ed eccolo il piccolo topo coraggioso sfuggirealle civette che controllano i cieli, sorvolare loceano e raggiungere New York. Un trionfo chediventa leggenda, e corre sui muri della citt. Un bambino resta incantato a guardare il ma-nifesto del topo volante, e sogna di poter un giorno volare anche lui. Quel bambino si chia-mava Charles Lindbergh.Lindbergh, Orecchio acerbo 2014, 96 pagine a colori, 19,50 eurowww.orecchioacerbo.com

    Tuttihannopagatoper la riforma ForneroLItaliahafinitoperconseguirei minoritassidicrescita,i maggioritassididisoccupazioneegliaumentipielevatidipovertediseguaglianze

    Felice Roberto Pizzuti

    LIDEACHE IL LAVORO SI POSSACREARE TAGLIAN-DO I DIRITTI E CHE LA RIPRESA SI POSSA PROPIZIAREAGENDOSUI SALARI E LA PRODUTTIVIT, SI RIVE-LATA PALESEMENTE ERRATA, ANCHE IN PASSATO

    LachiamanoripresamastagnazioneLultimanota mensiledellIstatraccontadiunpaeseancoraindifficolt, lontanodaunaprospettivadiveraepropriacrescitaabrevetermine

    BadBank, laprioritassoluta. SecondoRenziLaCommissioneeuropeaenonsolosichiedequalicreditideteriorativerrebbero acquistati da questo veicolom, a quale prezzo e chi dovrebbefarsicaricodelloperazionetragoverno,Cassadepositieprestitioaltri

    IL RISCHIO QUELLODI RIDURREO ELIMINARE LANECESSARIABIODIVERSIT BANCARIA E ANDARE VERSOUNMODELLOA TAGLIA UNICA, DOVE LA TAGLIA - NATURALMENTE -QUELLA DEI CONGLOMERATI DI MAGGIORI DIMENSIONI

    Andrea Baranes

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    COPYRIGHT TORBEN KUHLMANN

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  • I l governo agonistico di Renzicontinua a lasciare il lavoro e i la-voratori in fondo alla classifica so-ciale degli interessi che rappresenta.I quasi 15 miliardi impegnati per so-

    stenere gli sgravi contributivi alle as-sunzioni hanno prodotto, secondo idati dellIstat, tra marzo 2014 e marzo

    2015 un saldo positivo tra cessazionie attivazioni di quasi 30.000 unit.Certo meglio che niente!Ma molto poco se paragonato al-

    le necessit: 3.400.000 disoccupatia cui vanno aggiunti oltre tre mi-lioni di scoraggiati e altri tre milio-ni, in aumento, di lavoratrici e la-voratori poveri che pur lavorandoe in molti casi facendo pi di un la-voro lottano con redditi che scivo-

    lano sotto la soglia di povert.E ancora molto poco anche se con-

    frontato con la quantit di denaropubblico,15 miliardi, investita in que-sta operazione.Per avere dati pi certi, al di l della

    propaganda di governo visto l'immi-nente appuntamento elettorale in 7regioni, bisogner aspettare la fine diluglio con i nuovi dati Istat.Anche se colpisce il modo con cui

    il nuovo presidente dellInps Tito Bo-eri interpreti il suo ruolo, pi canto-re del governo che amministratoredelle pensioni degli Italiani, vistoche i pi accorti tra noi sanno che idati sulle attivazioni al lavoro chel'Inps pu fornire sono dati ammini-strativi e non reali.Dati, perci, che devono scontare le

    trasformazioni da un contratto allal-tro e devono anche tener conto del fat-to che lo stesso individuo pu essereinteressato a pi contratti di lavoronellarco di un tempo anche breve.Mentre per quanto riguarda gli effet-

    ti, modesti ma ravvisabili, degli incen-tivi che sono, come noto, senza vin-coli e condizioni per le imprese, sipu legittimamente dubitare sulla sta-bilizzazione di quei posti di lavoro so-prattutto dopo l'entrata in vigore effet-tiva del contratto a tutele crescenti.Il rischio concreto che si stia cre-

    ando una bolla occupazionale cheesploder tra 3 anni alla fine degli in-centivi. Si pu in sintesi affermareche di nuovo, come per gli 80 euro,stiamo spendendo male le poche ri-sorse pubbliche che mettiamo a di-sposizione del lavoro, senza aggredirele diseguaglianze e contrastare la cre-scente povert che frantuma la socie-t italiana.Il governo lascia soli le lavoratrici e

    i lavoratori, li rende merci tra le mercisvalutandone la prestazione e metten-doli in conflitto gli uni con gli altri inuna eterna guerra tra poveri.E, fatto ancor pi grave, non si pren-

    de atto che anche una ripresa degli in-vestimenti privati potr produrre, perl'effetto applicato delle innovazionitecnologiche hardware e software edelle loro ricadute sui processi orga-nizzativi, un numero assai inferiore di

    occupati rispetto ad un tempo.Perci sempre pi urgente la co-

    struzione di una proposta politica edi governo che imponga unaltravia, quella della redistribuzione delreddito attraverso un reddito di citta-

    dinanza che impedisca impoveri-mento ed esclusione sociale e quelladella redistribuzione del lavoro at-traverso un piano che indichi allEu-ropa la via di un New Deal in alterna-tiva allausterit.

    Guglielmo Ragozzino

    Reddito di cittadinanzacontrolimpoverimentoServeuna politica di redistribuzionedel reddito.Il rischio la creazione di una bolla occupazionaleche esplodertra 3anni allafine degli incentivi

    T utto nasce da un incontro trale associazioni ambientalistee il governo in persona delsottosegretarioDelrio l11 dicembre2014. la fine del famoso semestreitaliano e gli ambientalisti chiedonoun bilancio.Ne scaturisce un paio di mesi pi

    tardi un documento governativo,lAgenda Articolata del 9 febbraio2015 di cui responsabile lo stessoDelrio, allora factotumdel presiden-te del consiglio Matteo Renzi.Questultimo, nei primi giorni delnuovo anno non ha perduto locca-sione e ha promesso molto: Ci sia-mo dati una cadenza ordinata perle nuove iniziative di legge. A genna-io abbiamo provvedimenti su eco-nomia e finanza. A febbraio tocca al-la scuola. A marzo il Green Act -sulleconomia e lambiente in vistadella grande conferenza di Parigi2015. Aprile sar il mese di cultura eRai. A maggio tutti i riflettori sul ci-bo, agricoltura, turismo, made inItaly: arriva lExpo. A giugno i prov-vedimenti sulle liberalizzazioni eprima dell'estate il punto sullosport anche in vista della candidatu-ra per le Olimpiadi del 2024. Renzi,secondo il suo solito, anticipa le ri-sposte, compresa quella agli am-bientalisti. Rivela e promette il pro-grammone di governo scrivendo, investe di segretario del Pd, ai demo-cratici, suoi compagni di partito.LAgendadel 9 febbraio il princi-

    pale documento ambientale del go-verno italiano in attesa di qualchealtro atto o impegno o telegrammache lo integri o lo sostituisca. Sono16punti, alcuni tradizionali o preve-dibili, altri curiosi o inattesi; alcuni

    ricchi di buone intenzioni e di stu-dio, altri risolti in un titolo o pocopi. Sono: Energia e clima, Traspor-ti e infrastrutture, Consumodel suo-lo,Difesa del suolo, Bonifiche, Biodi-versit e aree protette,Mare,Monta-gna, Beni culturali e paesaggistici,Agricoltura, Turismo e ambiente,Ministero dellambiente, Delitti am-bientali, Andare oltre il Pil, Informa-zione ed educazione ambientale,Fondi europei di coesione. I 16 pun-ti che sorprendentemente coincido-no nel numero con le 16 associazio-

    ni ambientali che il governo invita eche scrivono al governo sono dun-que a volta brevi promemoria, op-pure indicazioni generiche di ciche si dovrebbe o potrebbe fare,senza impegni effettivi, indicazionidi spesa edi tempo. Il nostromodel-lo di coinvolgimento degli interessa-ti si assicura moltomigliore delsistema francese che par di capire accusato di statalismo. Colpisco-no alcuni punti, ma ci limiteremo atoccarne due. Il fondamentale pri-mo punto, Energia e clima presentauna palese contraddizione. In que-sto ambito vanno lette le norme sugasdotti e trivellazioniUna progressiva uscita dai com-

    bustibili fossili stata assunta

    dallItalia a livello nazionale ed Eu-ropeo e non mai statamessa in di-scussione. Per, aggiunge nellastessa frase che dotarsi di infra-strutture energetiche essenziali co-me la Tap o lutilizzazione delle ri-sorse energetiche esistenti sul no-stro territorio sono misure di buonsenso in un Paese che ha la pi re-strittiva normativa europea sulle tri-vellazioni in mare e (seconda con-traddizione) norme rigidissime ditutela ambientale ( Tap il gasdottotrans adriatico)

    Laltro punto il quattordicesi-mo: Andare oltre il Pil. Finalmente,abbiamo pensato, anche Delrio,Renzi e gli altri e le altre del governohanno accertato che il Pil coscom non va bene. Sono in ritardonei confronti del governo francese,perfino di quello americano; un belnumero di premi Nobel lo ripetonoda anni, ma va bene lo stesso.Ancheper noi, infine, il conto del-

    la natura deve essere calcolato equesto significa rifare tutti i bilancie le spese, ricalcolare il debito e cosvia. Ma non cos. LAgenda parladaltro. Si ripete ancora una voltaun modesto, decoroso discorsosullindustria verde che pu assorbi-re moltissimi disoccupati. E basta.

    DALLA PRIMAValentino Parlato

    LAGENDADELGOVERNORIPETE UNMODESTO, DECOROSODISCORSOSULLINDUSTRIA VERDE CHE PUAS-SORBIRE DISOCCUPATI. E BASTA

    Eancora,ma forse per comin-ciare, bisogna ricostruire lasperanza, quella cheda giova-

    ni avevamo alla fine della secondaguerramondiale e che i giovani di og-gi debbono ritrovare e anche costrui-re, quindi occorre far rivivere la politi-ca della speranza. La speranza - nondimentichiamolo - per molti di noinel secondo dopoguerra si trasformin obiettivo. E contro la linea degli ar-ricchimenti individuali o di gruppo,

    ridiamodignit e valore allo Stato, al-la nostra repubblica, alla nostraCosti-tuzione. E penso, anzi ripeto, che nel-la attuale situazione sarebbe opportu-no rimettere in moto lIri (Istituto Ri-costruzione Industriale) un Iri deltempo della globalizzazione come si accennato in un recente emolto in-teressante seminario dei Lincei.Ma per tutto questo, per ricomin-

    ciare, bisogna ricostruire la politica,oggi ridotta quasi a zero di fronte alpotere privato e clientelare. Bisognaricostruire i partiti politici, ridare re-spiro e prestigio al Parlamento. In-somma bisogna ripulire e rimetterein opera la politica.

    Politica e speranzaBisognaridareprestigio al Parlamento

    Andare oltreil Pilmasolo aparoleLanalisidel documento ambientale di Renzi.Buone intenzioni eprogetti risoltiin un titoloopoco pi

    Giorgio Airaudo

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    VENERD 15 MAGGIO 2015SBILANCIAMO L'EUROPA

    N66 - PAGINA IV

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