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123 8 – NIETZSCHE 0. La filosofia di Nietzsche 0.1 La vita 0.2 Carattere e stile della filosofia di Nietzsche 0.3 Il punto di vista di Nietzsche: il sospetto (vedi lettura “Le vie tutte nostre” in “La critica alla civiltà e al tipo di uomo occidentale”) 0.3.1 La malattia come punto di osservazione speciale 0.3.2 La filosofia del disincanto e del sospetto 0.3.3 La critica al modello antropologico prodotto dalla cultura occidentale 0.3.4 La proposta di un nuovo modello antropologico 1. La critica alla cultura occidentale 1.1 Arte, tragedia e pulsioni profonde 1.2 L’atteggiamento dionisiaco 1.3 L’atteggiamento apollineo 1.4 Il prevalere della rinuncia alla vita 1.5 Nietzsche e il “sì” totale alla vita 2. La critica della morale (vedi lettura “La critica alla civiltà e al tipo di uomo occidentale”) 2.1 Il metodo critico storico-genealogico 2.1.1 Il sospetto e la storicità della psiche umana 2.1.2 Spirito libero e filosofia del mattino 2.1.3 L’indagine storico-psicologica della morale 2.2 La morale come forma di dominio dell’uomo sull’uomo 2.2.1 La morale dei signori e la morale degli schiavi 2.2.2 La morale dei cavalieri e dei sacerdoti 2.2.3 Il cristianesimo e il trionfo della morale dei sacerdoti 2.2.4 Il cristiano e la degenerazione delle forze vitali dell’uomo 2.2.5 L’inversione dei valori 3. La critica alla religione: la morte di Dio e la fine delle illusioni metafisiche 3.1 Dio come simbolo della prospettiva oltre-mondana e personificazione delle certezze ultime 3.2 L’annuncio della morte di Dio (vedi lettura ”L’uomo folle e l’annuncio della morte di Dio) 3.2.1 Le conseguenze della morte di Dio (vedi lettura “Quel che significa per la nostra serenità) 3.2.2 La morte di Dio e la nascita dell’oltreuomo 4. Il problema del nichilismo e del suo superamento 4.1 L’origine del nichilismo 4.2 L’equivoco del nichilismo 4.3 Le diverse forme del nichilismo 4.4 Il prospettivismo 5. L’oltreuomo 5.1 La dimensione psicologico-esistenziale e politica 5.2 La volontà di potenza 5.3 L’eterno ritorno (vedi lettura “L’eterno ritorno) 5.3.1 L’eterno ritorno e l’accettazione totale della vita 5.3.2 Struttura lineare e struttura circolare del tempo 5- F. Nietzsche: Dalla critica al tipo d’uomo prodotto dalla civiltà occidentale allo spirito libero

8 – NIETZSCHEfioritofilsto.xoom.it/Dispense filo/Nietzsche 2019.pdf · 123 8 – NIETZSCHE 0. La filosofia di Nietzsche 0.1 La vita 0.2 Carattere e stile della filosofia di Nietzsche

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8 – NIETZSCHE

0. La filosofia di Nietzsche 0.1 La vita 0.2 Carattere e stile della filosofia di Nietzsche 0.3 Il punto di vista di Nietzsche: il sospetto (vedi lettura “Le vie tutte nostre” in “La critica alla civiltà e al tipo di uomo occidentale”)

0.3.1 La malattia come punto di osservazione speciale 0.3.2 La filosofia del disincanto e del sospetto

0.3.3 La critica al modello antropologico prodotto dalla cultura occidentale 0.3.4 La proposta di un nuovo modello antropologico 1. La critica alla cultura occidentale 1.1 Arte, tragedia e pulsioni profonde

1.2 L’atteggiamento dionisiaco 1.3 L’atteggiamento apollineo 1.4 Il prevalere della rinuncia alla vita 1.5 Nietzsche e il “sì” totale alla vita

2. La critica della morale (vedi lettura “La critica alla civiltà e al tipo di uomo occidentale”) 2.1 Il metodo critico storico-genealogico 2.1.1 Il sospetto e la storicità della psiche umana 2.1.2 Spirito libero e filosofia del mattino 2.1.3 L’indagine storico-psicologica della morale 2.2 La morale come forma di dominio dell’uomo sull’uomo 2.2.1 La morale dei signori e la morale degli schiavi 2.2.2 La morale dei cavalieri e dei sacerdoti 2.2.3 Il cristianesimo e il trionfo della morale dei sacerdoti 2.2.4 Il cristiano e la degenerazione delle forze vitali dell’uomo 2.2.5 L’inversione dei valori 3. La critica alla religione: la morte di Dio e la fine delle illusioni metafisiche 3.1 Dio come simbolo della prospettiva oltre-mondana e personificazione delle certezze ultime 3.2 L’annuncio della morte di Dio (vedi lettura ”L’uomo folle e l’annuncio della morte di Dio) 3.2.1 Le conseguenze della morte di Dio (vedi lettura “Quel che significa per la nostra serenità) 3.2.2 La morte di Dio e la nascita dell’oltreuomo 4. Il problema del nichilismo e del suo superamento

4.1 L’origine del nichilismo 4.2 L’equivoco del nichilismo

4.3 Le diverse forme del nichilismo 4.4 Il prospettivismo 5. L’oltreuomo 5.1 La dimensione psicologico-esistenziale e politica 5.2 La volontà di potenza

5.3 L’eterno ritorno (vedi lettura “L’eterno ritorno) 5.3.1 L’eterno ritorno e l’accettazione totale della vita

5.3.2 Struttura lineare e struttura circolare del tempo 5- F. Nietzsche: Dalla critica al tipo d’uomo prodotto dalla civiltà occidentale allo spirito libero

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8 - F. NIETZSCHE 0. La filosofia di Nietzsche 1. La critica alla cultura occidentale 2. La critica alla morale 3. La critica alla religione: la morte di Dio e la fine delle illusioni metafisiche 4. Il problema del nichilismo e del suo superamento 5. L’oltre-uomo 5- F. Nietzsche: Dalla critica al tipo d’uomo prodotto dalla civiltà occidentale allo spirito libero 0. La filosofia di Nietzsche

0.1 La vita 0.2 Carattere e stile della filosofia di Nietzsche 0.3 Il punto di vista di Nietzsche: il sospetto (vedi lettura “Le vie tutte nostre” in “La critica alla civiltà e al tipo di uomo occidentale”)

Nato in Sassonia nel 1844 (il padre era un pastore protestante) Friedrich Nietzsche compie gli studi universitari a Bonn e a Lipsia. Laureato in filologia classica, pubblica alcuni lavori che gli valgono, nel 1869, la chiamata alla cattedra della relativa disciplina nell'università di Basilea. Nel 1872 esce “La nascita della tragedia” che susciterà un vasto dibattito e le prime ostilità con il mondo accademico. Nel 1876 ragioni intellettuali e di salute inducono Nietzsche a chiedere un congedo dall'università, che diverrà definitivo dal '79. Per diversi anni conduce una vita errabonda, passando lunghi periodi anche in Italia (Torino e Liguria in particolare), alla ricerca di una salute psicofisica che non troverà mai. In questa solitudine, spezzata soltanto da intense amicizie, dolorose rotture e da continui scambi epistolari con un ristretto numero di persone, nasce una delle fondamentali e più inquietanti filosofie del nostro tempo Il 3 gennaio 1889, durante uno dei suoi soggiorni a Torino, ha un crollo psichico; riportato da un amico a Basilea viene ricoverato in una clinica per malattie nervose. Dal maggio 1890 Nietzsche vive in condizioni sempre più gravi, incapace di riconoscere gli amici, in preda ad accessi d'ira e, dal 1893, paralizzato alla spina dorsale; dapprima è assistito dalla madre, che però muore nel 1897, e, in seguito, dalla sorella Elisabeth. Questa, rimasta vedova dopo il suicidio del marito per il fallimento di un'impresa coloniale razzista in Paraguay, aveva fondato nel 1894 un archivio, a Weimar, con l'intento di conservare i manoscritti del fratello e di occuparsi dell'edizione completa delle sue opere. A Weimar, Nietzsche muore il 25 agosto 1900. La pubblicazione delle sue opere, diretta dalla sorella, iniziata nel 1895 fu pesantemente condizionata dalla volontà di fare di Nietzsche un ideologo del nazionalismo e del razzismo e come tale il suo pensiero fu utilizzato negli anni trenta dal nazismo. Solo a partire dalla fine degli anni cinquanta sono apparse nuove edizioni critiche che hanno reso possibile uno studio di Nietzsche meno legato a pregiudiziali ideologiche.

L'opera di Nietzsche è caratterizzata da una stretta compenetrazione tra riflessione filosofica ed espressione letteraria. In “Ecce homo”, egli definisce lo stile come la comunicazione di «uno stato, una tensione interna di pathos, per mezzo di segni, compreso il ritmo di questi segni». Alla molteplicità degli stati interni da lui provati egli attribuisce, dunque, le molte possibilità di stile

LA FILOSOFIA DI NIETZSCHE

LA VITA

L’abbandono del mondo _____________ La vita errabonda e la ______________ La ________________________ la pubblicazione delle opere postume ad opera della _________________________

CARATTERE E STILE DELLA FILOSOFIA DI NIETZSCHE

La compenetrazione tra ________________ ___________________________________

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manifestate nei suoi scritti. Nei primi, ad esempio “La nascita della tragedia”, egli è ancora legato alla forma accademica del saggio, ossia alla trattazione di un tema che procede gradualmente passo dopo passo; ma, al tempo stesso, egli già cerca di evitare il tono impersonale e distaccato di questa forma letteraria, rivolgendosi direttamente ai suoi lettori per coinvolgerli nella propria esperienza di pensiero e nella condanna della miseria del proprio tempo. In un'annotazione del 1880 egli afferma: «In tutte le opere che ho scritto, io ho masso dentro anima e corpo: non so che cosa siano problemi puramente intellettuali». In molti passi questo carattere soggettivo è sottolineato in modo forte, per indicare come il lavoro teorico sia strettamente legato ai tratti più esclusivi, privati ed emotivi della sua personalità: Nietzsche parla, infatti, di disgusto di fronte a determinate posizioni dello spirito umano, di mancanza d'aria e così via (simili espressioni sono per lo più rivolte al cristianesimo, ma anche a molte filosofie morali, come quella di Kant), parla di necessità di vedere il mondo dall'alto, da alti monti, di respirare aria di montagna, liberandosi dell'odore di stantio, come se fare filosofia fosse innanzitutto questione di gusto, di tatto, di messa in valore dei sentimenti dell'uomo, delle sue intuizioni. Nietzsche attribuisce un valore molto forte a queste reazioni soggettive e umorali; non le tratta affatto come questioni accessorie rispetto a un nucleo filosofico puro, come tratti del carattere che possono avere sì un'influenza sul pensiero, ma in modo limitato e soprattutto controllato. Le tratta piuttosto come degli importanti segnali sulla via della ricerca, come piste da seguire. Ciò che altri filosofi scartano, Nietzsche mette in valore. A partire da “Umano, troppo umano” (1878) viene meno in Nietzsche la fiducia in una filosofia concepita come costruzione di trattazioni globali e sistematiche e il suo stile assume la forma che più lo caratterizza quello dell'aforisma, ossia dell'esposizione concisa ed essenziale di punti cruciali, attraverso stringate argomentazioni e rapide illuminazioni. L'aforisma è paragonato da Nietzsche alle figure in rilievo, che, essendo incomplete, richiedono all'osservatore di completare «col pensiero ciò che gli si staglia davanti». Rispetto a un trattato, un libro composto di aforismi richiede, dunque, un tipo diverso di lettura; una lettura discontinua, per lasciar tempo alla riflessione e all'interpretazione, ossia ad una pratica che i moderni hanno disimparato e che Nietzsche chiama «ruminare». Ciò non significa che gli aforismi siano accostati alla rinfusa; anzi, essi sono inseriti in sapienti costruzioni architettoniche. Per parecchio tempo, la malattia di Nietzsche ha rappresentato un «argo-mento» di cui si è servito certa critica per screditare la sua filosofia. L'alternativa consisteva nell'interpretare il suo pensiero come «risultato» della sua malattia o, più originalmente, la sua malattia come «risultato» del suo pensiero. In ogni caso, la malattia veniva considerata come qualcosa di esclusivamente negativo e da mettere in correlazione necessaria con il suo sistema filosofico. Attualmente la situazione è radicalmente cambiata. Infatti, non solo ci si rifiuta di considerare la filosofia di Nietzsche sulla base della sua malattia o viceversa (come se si trattasse di un deterministico rapporto di causa-effetto) ma, in taluni settori della critica, si tende piuttosto a valorizzare la malattia, scorgendo in essa una condizione positiva del suo filosofare. In altri termini, secondo questo punto di vista, sarebbe anche in virtù della sofferenza e della solitudine che Nietzsche, lasciandosi alle spalle le illusioni (o le «magie») dei «sani», avrebbe potuto attingere un punto «abissale» sul mondo.«La condizione di certi uomini malati - scrive il filosofo - che a lungo e terribilmente sono tormentati dai loro dolori, senza che per questo il loro intelletto resti offuscato, non è senza valore per la conoscenza, anche prescindendo dai

il ______________: __________________ __________________________________ Il carattere _____________________ della filosofia di Nietzsche: 1 - L’importanza delle ________________ ___________________________________ 2 – il rifiuto _________________________ ___________________________________ L’ _____________________________ IL PUNTO DI VISTA DI NIETZSCHE:

_____________________

Malattia e ______________________ 1 – “è matto per cui __________________” 2 – “la pensa così per cui _____________ ________________” 3 – la malattia come __________________ _______________________________ (punto di vista di _____________________ __________________________________)

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benefici intellettuali che ogni profonda solitudine ogni subitanea e consentita libertà da ogni dovere e consuetudine portano con sé. Colui che soffre fortemente vede dalla sua condizione, con una terribile freddezza, le cose al di fuori: tutte quelle piccole ingannevoli magie in cui di consueto nuotano le cose, quando l'occhio dell'uomo sano vi si affissa, sono invece per lui dileguate; anzi egli si pone dinanzi a se stesso privo di orpelli e di colore. Ammesso che sia vissuto fino a quel momento in una qualche pericolosa fantasticheria, questo supremo disincantarsi attraverso il dolore è il mezzo per strapparlo da essa: è forse l'unico mezzo...» (Aurora, 1881). Disincanto che per Nietzsche rappresenta lo scopo stesso della filosofia il cui punto di vista deve essere quello del sospetto; infatti, la sua filosofia non vuole aggiungersi alle filosofie precedenti come un'altra visione del mondo, una fra le tante, ma assume i toni perentori della critica a tutte le ideologie moderne. In altri termini, egli non intende proporre una filosofia consolatoria, che si prenda cura degli uomini e del loro bisogno di felicità, ma intende smascherare il volto ingannevole di tutte le filosofie. Questo è l'aspetto unificante del progetto culturale di Nietzsche che attraversa tutta la sua opera. L’atteggiamento di sospetto e l'incessante distruzione di miti e di credenze codificate che esso opera si fondano sulla convinzione che gli uomini, per poter sopportare l'impatto con il caos della vita, abbiano costruito una serie di certezze (metafisiche, morali, religiose ecc.), che, ad uno sguardo profondo, si rivelano soltanto come delle necessità di sopravvivenza, che il filosofo, mediante una serie di «itinerari nel proibito», ha il gravoso ufficio di mettere a nudo. Facendosi profeta del suo destino così Nietzsche si presenta: “Conosco la mia sorte. Sarà legata al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme, una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono una dinamite” (Ecce homo, 1888). E delle sua opera annota: “I miei scritti sono stati chiamati una scuola di sospetto e ancor più di disprezzo, per fortuna però anche di coraggio, anzi di temerarietà. E in realtà io stesso non credo che alcuno abbia mai scrutato il mondo con un sospetto ugualmente profondo” (Umano troppo umano, 1878)1. Quest'opera di demolizione polemica del passato non si risolve tuttavia in una semplice critica delle idee o dei sistemi, poiché si concretizza anche, secondo la tendenza storica del filosofare di Nietzsche, in un'esplicita messa in discussione della civiltà occidentale nel suo complesso e del «tipo antropologico» da essa prodotto: l'individuo anti-vitale e sottomesso ad autorità costituite. E poiché il rifiuto dell'uomo del passato avviene alla luce di un'intuizione del possibile uomo del futuro, il pensiero di Nietzsche non si esaurisce neppure nel momento critico e polemico del «sospetto» verso le teorie e i comportamenti tradizionali, in quanto mette capo alla delineazione di un nuovo modello di umanità: «il super-uomo» o «oltre-uomo»2. Le parole di “Ecce homo”, a questo proposito, sono estremamente eloquenti: «Io vengo a contraddire, come mai si è contraddetto, e nondimeno sono l’opposto di uno spirito negatore. Io sono un lieto messaggero, quale mai si è visto, conosco compiti di un'altezza che finora è mancato il concetto per definirli, solo a partire da me ci sono nuove speranze». Il filosofare di Nietzsche, aforistico ed anti-sistematico, è ben lontano dal formare una costruzione architettonica conclusa. Anzi, il suo discorso multidimensionale presenta una pluralità di significati e di direzioni di marcia, per cui, in relazione a questo «pensiero selvaggio» (com'è stato chiamato),

La filosofia del ______________________ e del ____________________________ Miti, __________________________, _________ e itinerari _________________ La critica __________________________ ________________________________ Il nuovo modello di uomo: ____________________________

1 La definizione è stata ripresa da P. Ricoeur (1913-2005) che ha definito Nietzsche, Marx e Freud “maestri del sospetto” (vedi “Marx”) 2 Il termine «oltre-uomo» è stato usato soprattutto da Gianni Vattimo (1936) (uno dei maggiori studiosi attuali del filosofo), per sottolineare la nuova interpretazione del superuomo, visto come modo d'essere di una possibile umanità futura.

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che si nutre di battute, allusioni, aforismi e profezie, e che ha generato una vera e propria selva di studi, non esistono monopoli interpretativi, ma solo schemi o tracce di lettura, sempre aperte, in modo ancor più, accentuato che per gli altri, filosofi, a nuovi approfondimenti e riformulazioni. Cominceremo con l’esaminare la critica di Nietzsche alla cultura occidentale, alla morale e alla religione che hanno prodotto il «modello antropologico» delle civiltà occidentale costituito da un uomo represso e antivitale, per affrontare, in seguito, il problema del nuovo modello di uomo. 1. La critica alla cultura occidentale

1.1 L’atteggiamento dionisiaco e l’atteggiamento apollineo: il “sì” totale alla vita e il prevalere della rinuncia alla vita

L’atteggiamento di sospetto, di critica prende corpo fin dalla prima opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia”, in cui a essere sottoposta a critica è la cultura greca in quanto origine dell’intera cultura occidentale. Nietzsche si accosta alla tragedia greca vedendo nell’arte uno strumento di ricerca essenziale per il filosofo. Nietzsche osserva infatti che nell'opera d'arte l'artista costruisce una dimensione estetica parallela a quella della realtà. In essa trovano modo di esprimersi quelle pulsioni profonde dell'animo che nella vita "reale" rimangono nascoste, non rivelate alla coscienza, anche se sono proprio esse a determinare le scelte dell'uomo, il suo carattere, i movimenti profondi della sua vita. Studiare questa dimensione estetica costituisce allora una via privilegiata per penetrare nel profondo dell'interiorità, alla ricerca delle radici dell'esistenza e - forse - del senso della vita e della morte. In questo campo di ricerche la tragedia greca costituisce un oggetto privilegiato di studio, perché in essa i Greci sono riusciti a fondere in perfetta unità quelli che Nietzsche scopre essere gli impulsi fondamentali dell'uomo: essi sono rivestiti di immagini mitiche e si esprimono nelle figure di Apollo e di Dioniso. La tesi di Nietzsche è che gli istinti profondi dell'uomo, apollinei e dionisiaci, sono in perenne lotta tra loro, rappresentano due forze che premono in direzioni opposte: ma in entrambi l'uomo è presente con la sua vita. La forza della tragedia greca consiste nell'esser riuscita a costruire un mondo estetico, teatrale, ma allo stesso tempo profondamente "vero" in cui l'apollineo e il dionisiaco sono fusi perfettamente attraverso una sorta di "miracolo greco", di cui Nietzsche intende scoprivi il mistero. Che cosa si nasconde dietro l'ambigua maschera del dio del vino e dell'ebbrezza, degli inquietanti “misteri”3? Si nasconde ciò che Nietzsche chiama lo " sp i r i t o della musica", quell'impulso alla vita privo di forma e di limiti che si esprime nella danza orgiastica della tradizione greca, nella libertà delle passioni vissute con la massima intensità. Lo spirito dionisiaco incarna per Nietzsche la profonda volontà di vivere anteriore a ogni razionalità. Sotto la maschera del dio Dioniso si intravede la sfera degli impulsi primari dell'uomo, nei quali si fondono la gioia e il dolore della vita. Questo istinto non ha in sé freni o limiti: è la vita priva delle difese, delle capacità di autocontrollo proprie dell'uomo razionale, è la vita che rischia la morte per la volontà di esprimersi sino in fondo. È un istinto contraddittorio, ma vitale; irrazionale e illogico, ma forte e pieno di vita. Il pessimismo greco si esprime dando allo spirito dionisiaco un aspetto doloroso, ma è pur sempre il dolore

LA CRITICA ALLA CULTURA OCCIDENTALE

L’ATTEGGIAMENTO _________________

E L’ATTEGGIAMENTO _______________:

IL “SÌ” TOTALE ALLA VITA E IL PREVALERE

DELLA RINUNCIA ALLA VITA

“La nascita della ____________________” Arte e ___________________________ Tragedia greca e _____________________ La______________________ degli ______ _____________________________ L’IMPULSO _______________________ Musica / _________________ passioni vissute ______________________ irrazionalità (superamento ______________________)

3 Riti in onore di Dioniso che comprendevano la processione che doveva liberare le emozioni dei fedeli che vi partecipavano mascherati da satiri, esseri per metà uomini e metà animali, cantando e danzando in stato di eccitazione.

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dell'impulso alla vita. Nietzsche è assai lontano da Schopenhauer, da cui pure queste idee derivano, perché non vede nel dolore il segno della disperazione, del male senza rimedio. Vi vede solo un prezzo da pagare perché la vita sia vissuta così come essa è, con il carico delle sue contraddizioni. I Greci hanno saputo pensare la vita nella sua pienezza, hanno saputo accettare il dolore che essa impone all'uomo perché possa viverla con tutto l'impeto della sua passione. Che cosa si nasconde dietro la solare maschera di Apollo dio della luce e della sapienza? Si nasconde l'istinto dell'uomo a dare forma razionale a se stesso e al mondo, o più in generale l'impulso a porre ordine, attraverso limiti e confini, nel caos originario della realtà. Tanto il mondo di Dioniso è passionale e pri-mordiale, tanto il mondo apollineo è sereno e privo di passioni. Tanto l'uno è movimento puro che si esprime nella danza, tanto l'altro è pura fissità dell'imma-gine bella. Allo spirito apollineo deve essere ricondotta, ad esempio, la statuaria classica, nella quale un mondo di imperturbabile serenità non lascia trasparire nessuna passionalità, nessun urgere della vita, ma solo la pienezza dell'esistenza bella. Apollo, in quanto impulso alla forma, è essenziale all'opera d'arte perché non v'è opera senza forma. Il suo mondo è quello del sogno, dove le forze soggettive vengono vissute come immagini oggettive distaccate da sé. Oltre all’esistenza di queste due atteggiamenti nei confronti della vita, nell’analisi della tragedia greca Nietzsche scopre anche che è l’elemento dionisiaco a dover essere considerato originario; “in termini di psicologia storica questo significa che i Greci hanno prodotto l'armoniosa serenità del mondo degli dei olimpici non perché fossero essi stessi esemplari di un'umanità armoniosa e tranquilla - com'era stata l'esplicita credenza del classicismo - ma invece proprio perché, dotati di una esasperata sensibilità, avvertivano drammaticamente la caoticità dirompente dall'esistenza e avevano bisogno di queste immagini di sogno come di una medicina che li aiutasse a tollerare la vita stendendo sopra di essa un velo. Se le cose stanno così, i due principi non sono allo stesso livello; il dionisiaco è più originario; da esso scaturisce, sia pure attraverso un rovesciamento nel proprio opposto, il mondo delle forme apollinee" (G. Vattimo). A far prevalere definitivamente l’atteggiamento apollineo sopraggiunge la riflessione razionale, la filosofia che costringe l'uomo a indagare dentro se stesso in nome del sapere. È Socrate, per Nietzsche, la figura simbolica di questo processo storico. È Socrate che invita l'uomo a rendere ragione dei suoi istinti, della sua passionalità, di tutto ciò che si incarna nei miti di Dioniso. È Socrate il filosofo che inchioda l'uomo alle sue intime contraddizioni, che lo pone in crisi in nome della superiore razionalità. È dunque Socrate che, per primo nella cultura occidentale, tende a sopprimere gli istinti vitali, a imprigionarli nella gabbia della razionalità. È Socrate che uccide la tragedia greca, spegnendo lo spirito della musica da cui essa nasce. L'irrazionalità, la sfera delle passioni contraddittorie in cui si mescolano dolore e gioia, vita e morte; tutto questo viene respinto dalla riflessione filosofica lontano dalla via maestra dell'esistenza nobile. Diviene un lato della personalità di cui liberarsi. Ma così facendo l'uomo uccide la vita stessa che urge in lui, la limita, la costringe su cammini precostituiti. Così il Dioniso che vive in noi è divenuto prigioniero della ragione. L'uomo non danza più. Lo studio della nascita della tragedia greca, dei due impulsi mette in mostra, secondo Nietzsche, un aspetto universale dell'uomo, non solo dell'uomo greco: pone in piena luce l'esistenza in noi di una forza oscura passionale e vitale che la ragione tende a controllare, a limitare, a razionalizzare inserendo nella sua logica impulsi che logica non hanno. Nietzsche vede in Socrate il simbolo di questo dir di no alla vita e ne scopre le tracce, come vedremo, in tutta la cultura occidentale. La razionalità del XIX secolo, la sua concezione ottimistica del progresso, la forza della scienza moderna: tutto questo appare a Nietzsche

accettazione ________________________ (gioia / ___________________) L’IMPULSO _______________________ ordine / _________________________ controllo ___________________________ statue ______________________________ L’originarietà dell’_________________ _________________________ la formazione dell’__________________: Socrate: ___________________________ __________________________________ il rifiuto ____________________________ Impulsi vitale e ____________________

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orientato nello stesso senso dell'antica riflessione socratica. Nietzsche vuol essere un discepolo di Dioniso, poiché nell'antica figura greca egli vede il simbolo del suo «sì» totale alla vita. Lo spirito dionisiaco non ha nulla a che fare con l'accettazione rassegnata della vita, con l'atteggiamento di chi vede in essa la condizione negativa di quei valori di bontà, di perfezione, di umiltà, che sono la sua negazione. È la volontà orgiastica della vita nella totalità della sua potenza. Dioniso è il dio dell'ebbrezza e della gioia, il dio che canta, ride e danza: egli bandisce ogni rinunzia, ogni tentativo di fuga di fronte alla vita. Ciò vuol dire, secondo Nietzsche, che l'accettazione integrale della vita trasforma il dolore in gioia, la lotta in armonia, la crudeltà in giustizia, la distruzione in creazione. Essa rinnova profondamente la tavola dei valori morali. Tutti i valori fondati sulla rinuncia e sulla diminuzione della vita, tutte le cosiddette virtù che tendono a mortificare l' energia vitale, a spezzare e a impoverire la vita, appaiono a Nietzsche come un abbassamento dell'uomo al di sotto di sé e quindi come indegne di lui. Per lui sono virtù tutte le passioni che dicono sì alla vita e al mondo. Nietzsche pone crudamente il dilemma tra la morale tradizionale e quella che egli difende; ma solamente l'atto dell'accettazione, la scelta libera e gioiosa di ciò che la vita è nella sua potenza primitiva, determina la trasfigurazione dei valori e indirizza l'uomo verso l'esaltazione di sé anziché verso l'abbandono e la rinuncia. 2. La critica della morale (vedi lettura “La critica alla civiltà e al tipo di uomo occidentale”)

2.1 Il metodo critico storico-genealogico 2.2 La morale come forma di dominio dell’uomo sull’uomo

“Umano, troppo umano” (1878-1880) segna l’emergere di un nuovo tema della filosofia di Nietzsche la critica alla morale e di un nuovo approccio metodologico fondato sulla riflessione critica, la diffidenza metodica. Nietzsche definisce se stesso "illuminista" e dedica la prima edizione di “Umano, troppo umano” a Voltaire. Illuminista, si intende, non perché dotato della (ingenua) fiducia settecentesca nella ragione e nel progresso, ma perché impegnato in un'opera di critica della cultura tramite la scienza. Per “scienza” infatti, il filosofo non intende l'insieme delle scienze particolari (a cui egli appare comunque interessato), bensì un metodo di pensiero in grado di emancipare gli uomini dagli “errori” che gravano sulle loro menti. Nietzsche identifica questo nuovo metodo con un procedimento critico di tipo storico-genealogico. Critico perché eleva il "sospetto" a regola di indagine. Storico-genealogico poiché ritiene che non esistano realtà statiche o immutabili, ma che ogni cosa sia l'esito di un processo da ricostruire mostrandone il radicamento nella psicologia umana. La critica nietzschiana si svolge attraverso una radicalizzazione sempre più ac-centuata e tende perciò a mettere in discussione in modo sempre più com-plessivo il modello antropologico, oltre che gli orizzonti culturali che hanno orientato la nostra civiltà. L'intento è quello di promuovere e realizzare una compiuta liberazione. La parte distruttiva di questo percorso passa attraverso la critica della morale e della religione e culmina “nell’annuncio della morte di Dio” ma, nelle intenzioni di Nietzsche, questo itinerario critico non sfocia in un nichilismo della pura negazione, ma in un nichilismo estremo e radicale che preannuncia un uomo completamente nuovo - un oltre-uomo - signore del proprio volere e delle proprie capacità. La critica e la liberazione indicano così un nuovo e diverso mattino. Il soggetto che si libera dagli errori prodotti dalla civiltà europea è “lo spirito libero” e la sua concezione della vita è la “filosofia del mattino”. Lo spirito libero si

Nietzsche il discepolo di _____________ La necessità di _______________________ __________________________________

LA CRITICA ALLA MORALE IL METODO CRITICO ___________________

_____________________________

Nietzsche illuminista = la ______________ per ________________________ gli uomini ___________________________

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identifica con il «viandante», ossia con colui che, grazie alla scienza (una «gaia» scienza, dai tratti liberanti) riesce a emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando una «filosofia del mattino» basata sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite. Spirito libero che opera come un «essere sotterraneo», che perfora, scava, scalza di sottoterra i pregiudizi e i valori domanti nel proprio tempo. Spirito libero le cui idee, come sperimenta lo stesso Nietzsche, diventano «una scuola di sospetto e ancor più di disprezzo; per fortuna però anche di coraggio, anzi di temerarietà», ma anche la condanna alla solitudine a cui è condannata ogni «assoluta diversità di sguardo». La critica del Nietzsche “spirito libero”, si appunta, come abbiamo detto, soprattutto sulla morale e, come vedremo in seguito, sulla religione e sul

cristianesimo. Morale intesa nel senso ampio dei valori alla luce dei quali gli uomini concepiscono se stessi e il mondo4. Si tratta di indagare come sul «tavolo di dissezione psicologica», «l'origine e la storia dei sentimenti morali» senza paura di scoprire «il nero della natura umana», di ricostruire la loro genesi (la

4 La critica della morale è il filo conduttore dell'indagine di Nietzsche da “Umano, troppo umano” (1878-80) alla “Genealogia della morale” (1888), passando per “Aurora” (1881) , “La gaia scienza” (1882) e “Al di là del bene e del male”(1885).

GLI ATTEGGIAMENTO NEI CONFRONTI DELLA MORALE: morale = ____________________________________________________________________________________________________ 1 - _______________________________ Il metodo: a - ________________ perché __________________________________________________________________________ b - ________________________________ perchè __________________________________________________________ l’indagine _____________________________________ a - ________________________________ -_____________________________________ smaschera: per svelare b - ________________________________ - _____________________________________ non ___________________________ la loro non verità ma ____________________________________________________________ 2 - _________________________________________________ il superamento del _________________________________________________________________ _________________________________ critica _________________ e __________________ _____________________ _________________________________ La liberazione: a - ____________________: ________________________________ b - ___________________________: ______________________________ emancipazione da _____________________________________________________________________________________ c – le condizione dello _________________________: 1 - _____________________: __________________________________________ 2 - _____________________________________________________________

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genealogia come abbaiamo detto) mostrandone il radicamento negli impulsi elementari dell'uomo, di smascherare i presupposti nascosti di valori che vengonocreduti disinteressati e assoluti. La critica della morale, si avvale di un metodo genealogico, inteso come metodo di smascheramento che riconduce le pretese verità alla loro origine, ricostruendo i processi attraverso cui esse si sono costituite. La critica e l'opposizione non hanno primariamente carattere argomentativo: non si tratta infatti di portare ragioni contro le verità credute, ma di mostrare come esse si siano formate, ossia appunto di ricostruirne la genealogia. In questo modo tali verità saranno però spogliate della loro pretesa assolutezza, e si vedrà come esse non siano che il tentativo di soddisfare un bisogno umano. Criticare non significa confutare, ma mostrare l'origine (genealogia) di una presunta verità.». «Non ci sono fenomeni morali - afferma Nietzsche in un famoso aforisma di “Al di là del bene e del male” - ma solo interpretazioni morali dei fenomeni». La morale è una costruzione sociale: è l'insieme dei valori e delle norme che tengono unita una comunità. Non è l'incarnazione di principi eterni e universali, né il risultato di un accordo o contratto, basato sul calcolo di costi e benefici, fra i membri della comunità. Le norme morali non sono, infatti, come pretendono gli psicologi evoluzionisti inglesi (Nietzsche ha in mente soprattutto Spencer), il risultato della selezione e dell'accumulo di comportamenti utili alla sopravvivenza individuale o alla coesistenza con gli altri. Il giudizio sull'utilità di certi comporta-menti non spiega l'origine dei sentimenti che sono oggetto del giudizio di utilità e che stanno alla base di quei comportamenti. Questi hanno origine non da un calcolo sui vantaggi, ma da impulsi naturali dell'animale uomo, che in sé non sono né utili né inutili. Determinati comportamenti sono stati giudicati utili solo dopo che sono stati imposti. Imposti da chi? Da chi ha la forza per

LA MORALE COME FORMA DI DOMINIO DELL’UOMO SULL’UOMO

imporli: i gruppi dominanti. Per imporre il dominio e assicurare la coesione della comunità, è necessario che l'animale uomo venga «domato» e «addomesticato»: impari, cioè, a controllare i propri istinti e a non compiere atti che danneggino la società.

LA CRITICA ALLA MORALE La morale non _____________________________________ non _____________________________________________________

ma __________________________________________________________ la voce di _________/ _____________ nel petto

__________ __________

Uomo ________________ prevalere ________ ________________

La voce della _______________

comportamenti ___________ imposti da __________________ perché da loro __________________________

Comportamenti umani

Morale come ________________________________________________________ ________________________ su un’azione no __________________ / __________________ per il singolo ma _______________________________________________

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Anche la cosiddetta “voce della coscienza” da cui procederebbe la morale, non è altro che la presenza in noi delle autorità sociali dalle quali siamo stati educati. Per cui, anziché essere «la voce di Dio nel petto dell'uomo», la coscienza risulta piuttosto «la voce di alcuni uomini nell'uomo». In altre parole, la moralità è «l'istinto del gregge nel singolo», ovvero il suo assoggettamento a determinate direttive fissate dalla società; dal punto di vista storico-psicologico i valori morali sono «il risultato di determinate prospettive di utilità per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano e solo falsamente sono proiettati nell'essenza delle cose». Il fatto che la morale sia una forma di dominio sull’uomo è reso evidente dal fatto che quando si formula un giudizio di valore su un'azione si assume come unità di misura l'effetto di essa sugli altri, mettendo in secondo piano l'agente stesso - ovvero il fatto che tale azione risulti utile o dannosa per lui. Da questo errore - comune ai più - trae origine l'idea che le regole della morale siano stabilite dalla società e che l'interesse generale debba prevalere su quello individuale. In realtà, questo modo di pensare è il frutto di un processo di occultamento delle origini individualistiche e utilitaristiche della morale. Per giungere a questo risultato, infatti, la società ha dovuto lottare contro la ricerca egoistica del piacere e dell'utile. In tal modo, essa è pervenuta a trovare i veri moventi dell'azione non nell'utile e nel piacere individuali, ma nell'interesse generale e nel bene comune. Questi valori, tuttavia, non sono - secondo Nietzsche - supremi e oggettivi, giacché anche dietro a essi si nasconde l'utile. La sola differenza è che essi promuovono l'utile sociale anziché quello individuale. La società è così diventata la matrice fondamentale dei giudizi di valore. Con l’avvento della società prende avvio l’istituzione di una gerarchia tra i valori. Sono i più potenti, i signori, a imporre i criteri della valutazione morale, elevando se stessi e le proprie azioni a unità di misura di ciò che è buono. Sono loro a vietare a tutti gli altri il diritto di agire in vista del proprio piacere individuale, perché ciò minaccerebbe il loro potere e la loro autorità. Come possono essere definiti, allora, il bene e il male? Bene è tutto ciò che garantisce e rafforza il potere del gruppo dominante; viceversa, male è tutto ciò che lo minaccia e lo indebolisce. In linea generale, i più accolgono la gerarchia dei valori imposta dai signori per paura: in questa situazione essi non misurano le cose e le azioni in base al piacere o al dispiacere che esse procurano loro, ma fingono di condividere i giudizi di valore dominanti. Col tempo questi criteri morali si trasformano in abitudini, inducendo ad attribuire un valore supremo al sacrificio di sé e all'altruismo. Ciò significa che i più non fanno nulla per se stessi, ma cercano di conformarsi a un modello di uomo che è solo una finzione costruita da chi detiene il potere per il proprio vantaggio. Con l'introduzione della morale si apre un solco fra la natura e la società, sicché la morale viene a configurarsi come strumento di dominio e repressione dell'individualità da parte della comunità. Le azioni degli individui tendono a subordinarsi all'utile della comunità, dando luogo a quello che Nietzsche chiama, come abbiamo detto, l’istinto del gregge. Con queste tesi Nietzsche si oppone a ogni tentativo ottimistico di costruire una storia edificante. A suo avviso, l'istituzione della società, dell'etica e dello Stato non corrispondono alle tappe di uno sviluppo lineare e non testimoniano affatto il progresso dell'umanità rispetto a una condizione primitiva. Al contrario, secondo Nietzsche, la civiltà presente è il risultato di un progressivo addomesticamento. Persa la libertà di soddisfare i propri istinti, l’uomo diventò un animale abitudinario, sottomesso alle usanze, ai costumi, alla tradizione della comunità, talmente sottomesso e abituato a obbedire che l'obbedienza divenne col tempo istintiva e piacevole e l'uomo

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si illuse di averla scelta liberamente. Nelle prime società, «per molti secoli prima della nostra era», il peso della tradizione e dei costumi fu schiacciante, un'«oppressione spaventosa». In questo periodo, che Nietzsche chiama dell'«eticità del costume», la morale non era altro che il conformarsi alle usanze. Si esigeva il sacrificio dell'individuo per il bene della comunità. Il sentimento della tradizione diede vita alla paura superstiziosa di un'autorità superiore alla quale si obbedisce solo perchè comanda, non perché se ne approvino i comandi. Ogni trasgressione doveva essere punita perché danneggiava la comunità, facendo ricadere su questa la colpa di avere sfidato la tradizione o gli dei. Non c'era nessuna tolleranza per chi non si conformava: il diverso, il nuovo, l'originale era emarginato, disprezzato, temuto, odiato, bollato come "folle" o "maligno", perseguitato. È l'atteggiamento che gli uomini nutrono tuttora verso gli «spiriti liberi». "Malvagio" divenne il termine con cui indicarli. E gli stessi spiriti liberi hanno finito col credersi tali: hanno acquisito una «falsa coscienza» di sé. Sono stati costretti a diventare pazzi o a «fare i pazzi» per sopravvivere e avere il loro spazio.

Tuttavia, mentre in un primo momento, soprattutto nel mondo classico, la morale dei forti, nettamente distinta da quella imposta ai deboli, era l'espressione di un'aristocrazia cavalleresca e, in quanto tale, risultava improntata ai valori vitali della forza, della salute, della fierezza, della gioia (= la morale dei signori), in un secondo momento, che raggiunge il proprio apice con il cristianesimo, appare improntata ai valori antivitali del disinteresse, dell'abnegazione, del sacrificio di sé ecc. (= la morale degli schiavi). Ma come si spiega la vittoria della morale degli schiavi su quella dei

LA FORMAZIONE DELLA MORALE Determinata dalla _____________________ attraverso l’istituzione di _________________________________________ - ispirata al prevalere _____________________________________________________________________________________ - imposta dai __________________________ per cui: bene = _________________________________________________________________________________________ male = _________________________________________________________________________________________

Dalla paura _______________________ alla paura ________________________________________ l’imposizione del modello __________________________________________________________: paura dei ____________ ____________________ - _____________________ paura di ________________________ La morale come _________________________________________________ della società: - ____________________________________________________________________________________________________ - _____________________________________________________________________________________________________ - _____________________________________________________________________________________________________ - _____________________________________________________________________________________________________ Storia, società, etica, Stato: non ____________________________________________________________________________________________________ (Hegel) non _______________________________________________________________________________________________(Hegel- Marx) ma _________________________________________________________________________________________________ (Nietzsche)

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signori, ossia l'imporsi di un approccio antivitale alla vita? Com'è possibile che, a un certo punto, l'umanità occidentale abbia imboccato la strada della malattia e della decadenza? Ciò è avvenuto, risponde Nietzsche, perché la morale dei signori originariamente comprendeva in sé non solo l'etica dei guerrieri, ma anche quella dei sacerdoti. E se il guerriero si rispecchiava nelle virtù del corpo, il sacerdote perseguiva invece le virtù dello spirito; ma poiché la natura è irresistibile, il sacerdote non potè fare a meno di provare verso il guerriero un certo risentimento, ovvero una segreta invidia e un latente desiderio di rivalsa. E non potendo dominare la casta dei guerrieri sul proprio terreno, la casta sacerdotale cercò di affermare se stessa elaborando una tavola di valori antitetica a quella dei cavalieri. Al "corpo" si antepose così lo "spirito", all'orgoglio l'umiltà, alla sessualità la castità e così via. Questo rovesciamento di valori caratterizza soprattutto il popolo ebraico che Nietzsche identifica come il popolo sacerdotale per eccellenza. A suo parere, infatti, sono stati gli ebrei ad aver osato, con una terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell'odio più abissale (l'odio dell'impotenza), il rovesciamento dell'aristocratica equazione di valore (buono = nobile = potente = bello = felice = caro agli dèi), ovverossia i miserabili soltanto sono i buoni; solo i poveri, gli impotenti, gli umili sono i buoni; i sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sono anche gli unici devoti. Questo tipo di morale, allorché viene partecipato dalle masse, si trasforma in una vera potenza e mette capo al cristianesimo: umiliata dai Romani, la Giudea capovolge i valori del mondo antico e conquista Roma attraverso una religione che è il frutto di un risentimento dell'uomo debole verso la vita. Nel

cristianesimo storico (cioè concreto, non puramente dottrinale) dell'Occidente Nietzsche scorge infatti il simbolo della vita che si mette contro la vita, ovvero «la più sotterranea congiura che sia mai esistita contro salute, bellezza, contro la vita stessa». Poiché ha inibito gli impulsi primari dell'esistenza e ha corrotto le sorgenti naturali della gioia e del piacere mediante la nozione di "peccato", il cristianesimo storico ha prodotto un tipo d'uomo malato e represso, in preda a

GENEALOGIA (STORIA) DELLA MORALE 1 – morale fondata ___________________________________________________________________________________ 2 – società _________________________________________________________________________________________ Coesistenza di 2 morali: a - _________________: _______________________________________________________________________________ b - _________________: 1 - ___________________: __________________________________________________________________________ 2 -___________________: ___________________________________________________________________________ 3 – i ___________________ per _____________________________ impongono i loro valori ai _________________________ ____________________________________________________________________ cristianesimo ______________________ = peccato ___________________________ gli istinti si rivolgono _____________________________ _________________________ _____________________________ cristiano = ___________________________________________

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continui sensi di colpa che avvelenano la sua esistenza. Infatti, poiché «tutti gli istinti che non si scaricano all'esterno si rivolgono all'interno», l'uomo cristiano, al di là della maschera di serenità, è psichicamente un autotormentato, che, nel suo risentimento, nasconde in sé un'aggressività rabbiosa contro la vita e uno spirito di vendetta contro il prossimo. Questo spiega perché dalla religione dell'amore sia potuta scaturire una casta sacerdotale, spesso oppressiva e crudele, che lungo i secoli non ha esitato a bagnarsi del sangue altrui. Come ha potuto trionfare nella storia dell'Occidente una simile religione? Non è facile per l'uomo reggere l'urto della forza vitale che fluisce in lui. Essa è libertà creativa, originaria e richiede un enorme dispendio di energie per espri-mersi pienamente. Come insegna il mito di Dioniso, essa è insieme gioia e dolore, entusiastica adesione alla vita e rischio costante della morte. Essa richiede una forte capacità di soffrire per poter gioire. La massa degli uomini non è abbastanza forte per sopportare questo. Il gregge dei tanti che sopportano la vita piuttosto che viverla pienamente è disposto a rinunciare senza sforzo alla così faticosa libertà del proprio spirito, a umiliare il proprio io e a cercare uno stile di vita che permetta di sopravvivere con il minimo di sofferenza. Questa massa non vuole affatto la responsabilità della scelta, non vuole affatto creare i propri valori, perché si adatta ad appiattire la propria personalità anziché impegnarsi per affermarla. Il gregge cerca dunque un Dio a cui affidarsi, a cui abdicare ogni responsabilità. E il messaggio di Gesù è veramente adatto al gregge, perché pone tutti gli uomini sullo stesso piano, qualunque sia la forza della loro personalità, qualunque sia la condizione del loro spirito e del loro corpo. Il Cristianesimo predica un'eguaglianza al livello più basso, liberando l'uomo dal peso della propria personalità. Esso offre un riscatto dal dolore, non accettato in nome della gioia della vita, come accade nello spirito dionisiaco, ma sublimato nella speranza di una vita futura: esso dà senso alla sofferenza in nome di un premio in un'altra vita, subordinando la volontà dell'uomo alla volontà di Dio. "Sia fatta la volontà di Dio" è l'esclamazione del cristiano che si annulla rimettendosi al suo creatore. Chi paga il prezzo più alto di questo livellamento è l'uomo forte, l'uomo che ha una maggiore capacità di accettare il dolore in nome della gioia della vita e più della massa sa costruire la propria vita esaltando la propria personalità. Nella società dominata dal Cristianesimo l'uomo forte è costretto ad appiattirsi, a rinunciare alla sua forza. Paradossalmente, egli che è forte è costretto ad adeguarsi ai deboli che lo dominano con la forza, non della loro debole volontà soggettiva, ma della oggettiva legge di Dio che dall'alto è posta a dominare tutti gli uomini. Il Cristianesimo ha così ottenuto lo scopo di soddisfare gli istinti peggiori dell'uomo, l'istinto alla sottomissione all'altro, alla debolezza, alla rinuncia della vita. Esso ha rappresentato nella storia una possente forza nichilista. Nietzsche ha pagine durissime contro i cristiani, che considera responsabili di una vera degenerazione delle forze vitali dell'uomo. Non ha invece lo stesso atteggiamento verso la figura di Cristo, al quale riserva pagine molto belle proprio nell'opera più dura contro il Cristianesimo, dal titolo “L'Anticristo” (1888). Questo non deve sorprendere, perché Cristo, come tutti i grandi della storia dell'uomo, è un autentico creatore di valori, ha saputo sino in fondo vivere e soffrire per ciò in cui credeva. "Di fronte a questo Cristo, Nietzsche non disprezza, ma si oppone con una trepidazione piena di risonanza [...]. Il Cristo da lui rivelato non è un fanatico né un negatore, odia la parola ed è estraneo alla cultura e alla dialettica, è fanciullesco, è un folle che non conosce colpa né castigo, non va in collera né oppone resistenza. " (G. Colli). La morale è dunque alla radice sia della civiltà sia della malattia e della decadenza che si esprime nella negazione degli istinti vitali. Come uscire da questa situazione paradossale? Non certo ritornando all'animalità. Si tratta, invece, di sopprimere questa moralità innaturale e antivitale di annullare la moralizzazione del

Le cause del trionfo della morale cristiana: 1 – l’incapacità a _____________________ ___________________________________ 2 – l’incapacità di ____________________ _____________________ e di affermare la ___________________________________ Il cristianesimo: 1 – la sublimazione ___________________ __________________________________ 2 – la subordinazione _________________ ___________________________________ 3 - _______________________________ La figura di _________________________ La ________________________________ dei valori

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mondo, l'interpretazione morale della realtà che ha dominato per duemila anni. È l'annuncio di quella che Nietzsche chiamerà in seguito «trasvalutazione di tutti i valori»: l'atto supremo con cui l'umanità si libera della «menzogna dell'ideale» e pone al posto della tavola tradizionale dei valori, fondata sulla rinuncia alla vita, i nuovi valori che derivano dall'accettazione entusiastica della vita, intesa come un nuovo modo di rapportarsi ai valori, che non vengono più concepiti come entità metafisiche autosussistenti, ma come libere proiezioni dell'uomo. In rapporto a questa trasvalutazione, Nietzsche si sente investito di una missione epoca-le, finalizzata a porre le basi di un nuovo tipo di civiltà. 3. La critica alla religione: la morte di Dio e la fine delle illusioni metafisiche 3.1 Dio come simbolo della prospettiva oltre-mondana e personificazione delle certezze ultime 3.2 L’annuncio della morte di Dio (vedi lettura”L’uomo folle e l’annuncio della morte di Dio) La critica della morale tradizionale e del cristianesimo trova il suo apice nel tema della morte di Dio che rappresenta uno dei motivi filosoficamente centrali e storicamente più importanti della filosofia di Nietzsche. Per comprendere in modo adeguato che cosa significhi l'espressione «morte di Dio», occorre tenere presente che per Nietzsche Dio è sostanzialmente: il simbolo di ogni prospettiva oltremondana che ponga il senso della vita al di là della vita, ovvero in un altro mondo contrapposto a questo mondo, e la personificazione delle certezze ultime dell'umanità, ossia di tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate attraverso i millenni per dare un "senso" e un ordine rassicurante alla vita. Il primo punto è connesso alla convinzione nietzscheana secondo la quale Dio e l'oltre-mondo hanno storicamente rappresentato una fuga dalla vita e una rivolta contro questo mondo. Scriverà Nietzsche nell'Anticristo: “In Dio è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula di ogni calunnia dell'"aldiquà", di ogni menzogna dell'"aldilà"”. A tale «formula» Nietzsche contrappone la propria accettazione dionisiaca dell'esistenza. Il secondo punto è conseguenza della concezione nietzscheana della metafisica. Secondo il filosofo, l'immagine di un cosmo ordinato e benefico è soltanto una costruzione della nostra mente, realizzata ai fini di sopportare la durezza dell'esistenza: “C'è un solo mondo ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso [... ]. Un mondo così fatto è il vero mondo [...]. Noi abbiamo bisogno della menzogna per vincere questa realtà, questa verità, cioè per vivere [... ]. La metafisica, la morale, la religione, la scienza [...] vengono prese in considerazione solo come diverse forme di menzogna: col loro sussidio si crede nella vita.”(Frammenti postumi, 1887-1888) In altri termini, di fronte a una realtà che risulta verificabilmente contraddittoria, disarmonica, crudele e non-provvidenziale, gli uomini, per poter sopravvivere, hanno dovuto convincere se stessi e i loro figli che il mondo è qualcosa di logico, di benefico e di provvidenziale: "La vita deve ispirare fiducia: il compito, così posto, è immenso. Per assolverlo, l'uomo dev'essere già per natura un mentitore”. Da ciò il proliferare delle metafisiche e delle religioni, tutte protese a compiere degli esorcismi protettivi nei confronti di un universo che «danza sui piedi del caso» e che non risulta affatto costruito secondo categorie di ragione. Dinanzi allo sguardo disincantato del filosofo, le metafisiche e le religioni si palesano per quello che sono: decorazioni della realtà e bugie di sopravvivenza. “L'amore, l'entusiasmo, "Dio" - tutte finezze di un estremo inganno di sé, tutte seduzioni che spingono a vivere!” Da ciò il messaggio inquietante di Nietzsche: Dio è la più antica delle bugie vitali

LA CRITICA ALLA RELIGIONE: LA MORTE DI DIO E LA FINE DELLE

ILLUSIONI METAFISICHE

DIO COME SIMBOLO DELLA PROSPETTIVA OLTRE-MONDANA E PERSONIFICAZIONE

DELLE CERTEZZE ULTIME

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(«la nostra più lunga menzogna»), e quindi la quintessenza di tutte le credenze escogitate attraverso i tempi per poter fronteggiare il volto caotico dell'esistenza. La coscienza di vivere in un mondo "sdivinizzato" è così radicata in Nietzsche, da spingerlo a ritenere superflua ogni ulteriore dimostrazione della non esistenza di Dio. Analogamente a quanto accadeva in Schopenhauer, per Nietzsche l'idea di Dio è confutata dalla realtà stessa, cioè dall'essenza malefica e caotica del mondo. “Un tempo si cercava di dimostrare che Dio non esiste, oggi si mostra come ha potuto avere origine la fede nell'esistenza di un Dio, e per quale tramite questa fede ha avuto il suo peso e la sua importanza: in tal modo una controdimostrazione della non esistenza di Dio diventa superflua.” (Aurora). Così, più che gli antecedenti dimostrativi del carattere afinalistico, arazionale e, quindi, ateo dell'universo, a Nietzsche premono ormai l'annuncio della morte di Dio e la riflessione sulle conseguenze prodotte da questo fatto decisivo nella storia umana.

Nella Gaia scienza - in uno dei passi più significativi di tutta l'opera di Nietzsche, che rappresenta anche uno dei vertici della letteratura filosofica di tutti i tempi - l'autore "drammatizza" il messaggio della morte di Dio con il noto racconto dell'«uomo folle» (vedi lettura “L’annuncio della morte di Dio”) Come il platonico mito della caverna anche questo passo nietzscheano contiene una ricca simbologia filosofica. Infatti, al di là del gioco allusivo delle immagini, emergono precisi "messaggi" di pensiero. Senza pretendere di esaurire tutti i rimandi del testo, possiamo evidenziarne alcuni concetti di fondo mediante una serie di identificazioni possibili. L'uomo folle è il filosofo-profeta; le risa ironiche degli uomini del mercato rappresentano l'ateismo ottimistico e superficiale dei filosofi dell'Ottocento, insensibili alla portata e agli effetti della notizia della morte di Dio; la difficoltà di bere il mare, di cancellare l'orizzonte e di separare la terra dal proprio sole è un'allusione al carattere arduo e sovraumano dell'uccisione di Dio; il precipitare nello spazio vuoto, la mancanza di un alto e di un basso, il freddo e la notte esprimono il senso di "vertigine" e di "smarrimento" che segue al venir meno di certezze e punti di riferimento assoluti; la necessità di divenire dei noi stessi per apparire degni dell'«azione più grande» è un richiamo al fatto che per "reggere" la morte di Dio l'uomo deve farsi oltreuomo; il giungere «troppo

L’ANNUNCIO ____________________

La morte di Dio Dio ha rappresentato: 1 – il simbolo di _________________________________________________________________________________________ fuga dalla ___________: _________________________________________________________________________________ 2 – la personificazione ____________________________________________________________________________________ mondo = _______________________________________________________________________________________________ Dio = _________________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________ Dall’inutilità di ________________________________________________________________________ alla necessità di: 1 - ______________________________________________________________________________________(vedi pag._____) 2 - ______________________________________________________________________________________(vedi pag._____) 3 - ______________________________________________________________________________________(vedi pag._____)

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presto» dell'uomo folle indica che la coscienza della morte di Dio non si è ancora concretizzata in un fatto di massa, anche se è inevitabile che lo diventi nel prossimo futuro; le chiese chiamate «sepolcri di Dio» alludono alla crisi moderna delle religioni, considerate alla stregua di "residui" ormai cadaverici del passato. Riguardo a quest'ultimo punto Nietzsche parla del cristianesimo come di «un'antichità emergente da epoche remotissime» e osserva che: ”Nella vecchia Europa, mi sembra che anche oggi sia pur sempre la maggioranza ad aver necessità del cristianesimo, perciò esso continua sempre a trovare chi gli presta fede. Così infatti è l'uomo: anche se un articolo di fede potesse essere mille volte confutato - posto che egli lo sentisse necessario -, continuerebbe sempre a tenerlo per vero” (La gaia scienza). La descrizione nietzscheana dello smarrimento esistenziale prodotto dalla morte di Dio è così "partecipata" che sembrerebbe opera di un credente. In realtà, dal contesto del discorso, appare chiaro che la morte di Dio costituisce sì un trauma, ma solo in relazione a un uomo non ancora superuomo che proprio in virtù di questo trauma può divenire tale. La morte di Dio coincide dunque con l'atto di nascita del superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere atto del crollo dei valori assoluti è ormai maturo, secondo Nietzsche, per varcare l'abisso che divide l'uomo dall'oltreuomo. Il superuomo (o quel suo predecessore che è lo «spirito libero») ha dietro di sé, come condizione necessaria del suo essere, la morte di Dio e la vertigine da essa provocata, ma ha davanti a sé, a titolo di conquista, il mare «aperto» delle possibilità connesse a una libera progettazione della propria esistenza al di là di ogni struttura metafisica data. Scrive Nietzsche: ”Noi filosofi e "spiriti liberi", alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa - finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno - finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così aperto” (La gaia scienza). O ancora: “Sono troppo curioso, troppo problematico, troppo tracotante, perché possa piacermi una risposta grossolana. Dio è una risposta grossolana, una indelicatezza verso noi pensatori - in fondo è solo un grossolano divieto che ci vien fatto: non dovete pensare!” (Ecce homo) 4. Il problema del nichilismo e del suo superamento

4.1 L’origine e le forme del nichilismo 4.2 Il prospettivismo

Il problema del nichilismo costituisce uno dei motivi più rilevanti (e attuali) della riflessione di Nietzsche. Nell’accezione più caratterizzante Nietzsche adopera il termine per indicare la specifica situazione dell'uomo moderno e contemporaneo, che, non credendo più nei valori "supremi" di Dio, della verità, del bene ecc., né in un senso o in uno scopo metafisico delle cose, finisce per avvertire, di fronte all'essere, lo sgomento del vuoto e del nulla. Alla domanda che egli stesso si pone: «che cos'è il nichilismo?», nei Frammenti postumi del 1887-1888 Nietzsche risponde: «manca il fine; manca la risposta al "perché?"» e «i valori supremi si svalorizzano». Ma per quale motivo, e in che senso, a un certo punto della sua storia, l'uomo arriva a sostenere che non c'è un fine e che tutto è niente? Per Nietzsche ciò è da collegarsi al fatto che, in virtù delle metafisiche, l'uomo si è dapprima immaginato dei fini assoluti e delle realtà trascendenti, ma in seguito, avendo scoperto che tali fini e

IL PROBLEMA DEL NICHILISMO E DEL SUO SUPERAMENTO

______________ DEL NICHILISMO

Nichilismo = _________________ del non credere ___________________________ L’________________________ nichilista

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oltremondi non esistono e che l'essere non è né "uno" (cioè una totalità razionale ordinata), né "vero" (in quanto non esiste una verità assoluta connaturata agli enti), né "buono" (poiché la realtà non si conforma alle nostre aspettative etiche), è piombato nell'angoscia nichilistica: “il nichilismo come stato psicologico subentra di necessità, in primo luogo, quando abbiamo cercato in tutto l'accadere un "senso" che in esso non c'è, sicché alla fine a chi cerca viene a mancare il coraggio. ....Il credere nelle categorie di ragione è la causa del nichilismo, abbiamo misurato il valore del mondo in base a categorie che si riferiscono a un mondo puramente fittizio”.(Frammenti postumi, 1887-1888) Anzi, quanto più l'uomo si è illuso, tanto più è rimasto deluso, come testimonia il caso dell'individuo post-cristiano, che, avendo smesso di credere nell'aldilà, nel Dio-provvidenza, ecc., non può fare a meno di soffrire un terribile senso di vuoto, che non percepirebbe così acutamente se non fosse passato attraverso la fede: “sta venendo il tempo in cui dovremo pagare di essere stati cristiani per due millenni; perdiamo il centro di gravità che ci faceva vivere, per un certo tempo non sapremo come cavarcela”. L'equivoco del nichilismo moderno, come mostra la sua “genealogia”, risiede nel fatto che esso identifica la mancanza di fini e strutture metafisiche "razionali" e "provvidenziali" con la mancanza di senso tout-court. In altre parole, l'equivoco del nichilismo consiste nel dire che il mondo, non avendo quella serie di significati "forti" che i metafisici gli attribuivano (unità, verità assoluta ecc.), non ha "alcun" senso. In realtà, i significati non esistono come strutture metafisiche date, e quindi come degli assoluti, ma come prodotti della volontà di potenza (vedi dopo), la quale, affrontando il caos dell'essere, gli impone i propri fini: “La domanda del nichilismo "a che scopo?" procede dalla vecchia abitudine di vedere il fine come posto, dato, richiesto dall'esterno - cioè da una qualche autorità sovrumana. Anche dopo aver disimparato a credere in quest'ultima, si continua a cercare, secondo la vecchia abitudine, un'altra autorità in grado di parlare un linguaggio assoluto e di imporre fini e compiti. Viene quindi in primo piano l'autorità della coscienza (quanto più si emancipa dalla teologia, tanto più la morale diventa imperativa), in sostituzione di un'autorità personale. O l'autorità della ragione. O l'istinto sociale (il gregge). O la storia con uno spirito immanente, che ha il suo fine in sé e a cui ci si può abbandonare. Si vorrebbe aggirare la necessità di avere una volontà, di volere uno scopo, il rischio di dare a se stessi un fine.” Poiché «patologica è l'immensa generalizzazione, la conclusione che non c'è nessun senso», il nichilismo appare a Nietzsche soltanto uno stadio intermedio. Del resto Nietzsche, sia pure in modo disorganico, propone un'elaborata articolazione all'interno del concetto di nichilismo. Egli distingue, ad esempio, tra «nichilismo incompleto» e «nichilismo completo». Il nichilismo incompleto è quello in cui i vecchi valori vengono distrutti, ma i nuovi che vi subentrano hanno la medesima fisionomia dei precedenti; nel nichilismo incompleto rimane ancora operante una fede; per rovesciare il mondo dei valori si deve ancora credere in qualcosa, in un ideale, si ha ancora un "bisogno di verità". Come forme di nichilismo incompleto Nietzsche nomina: il nazionalismo, il socialismo e l'anarchismo; il positivismo, il naturalismo e l'esteticismo francese. Il nichilismo completo è il nichilismo vero e proprio. Esso può rappresentare un segno di debolezza o di forza. Nel primo caso, cioè come espressione del «declino e regresso della potenza dello spirito», si ha il nichilismo passivo, che si limita a prendere atto del declino dei valori e a crogiolarsi nel nulla. Nel secondo caso, cioè come espressione della «cresciuta potenza dello spirito», si ha il nichilismo attivo, che si esercita come «forza violenta di distruzione». Nietzsche chiama nichilismo «estremo» quella forma di nichilismo attivo che distrugge ogni residua credenza in qualche verità di tipo metafisico, o verità in sé. “La forma estrema del nichilismo sarebbe il sostenere che ogni fede, ogni tener per vero sia necessariamente falso: perché non esiste affatto un mondo vero”.

L’_____________________ dell’individuo ______________________________ L’______________________ nichilista La ricerca __________________________ ___________________________________ LE ___________________ DEL NICHILISMO

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Il nichilismo attivo, estremo raggiunge la propria completezza, cioè diviene «classico», quando, fungendo da premessa per il superamento del nichilismo stesso e per l'esercizio della volontà di potenza, passa dal momento distruttivo (o reattivo) al momento costruttivo (o creativo), ovvero quando si rende conto che il senso, non essendo dato, deve essere (umanamente) inventato. “Dare senso, questo compito resta assolutamente da assolvere, posto che nessun senso vi sia già”. In conclusione, dal punto di vista di Nietzsche, progettare di vivere senza certezze metafisiche assolute (cioè senza i «valori supremi») non significa distruggere ogni senso o norma, ma responsabilizzare l'uomo affinché si ponga come fonte di valori e di significati. Accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la morte delle antiche certezze e delle vecchie fedi: ecco il significato ultimo del superamento nietzscheano del nichilismo.

Nell'ultimo Nietzsche assistiamo a una radicalizzazione del suo «prospettivismo». Con questo termine, egli intende la teoria secondo cui non esistono cose o fatti, ma solo interpretazioni circostanziate di cose o di fatti. Nietzsche scrive: “Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: "ci sono soltanto fatti", direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni Noi non possiamo constatare nessun fatto "in sé" ”.(Frammenti postumi, 1885-1887) Ne segue che il mondo non ha un senso, ma innumerevoli sensi, che corrispondono ad altrettante interpretazioni formulate da angoli prospettici diversi. Poiché non si danno centri sostanziali dell'interpretazione, anche il soggetto risulta una costruzione interpretativa: «Tutto è soggettivo, dite voi; ma già questa è un'interpretazione, il "soggetto" non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l'immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo. E infine necessario mettere ancora l'interprete dietro l'interpretazione? Già questa è invenzione, ipotesi. ». Affermando che il mondo è caos e che l'interpretazione è ciò che dà forma umana al caos, Nietzsche sembra concordare con Kant, il quale assimila «il molteplice della sensibilità» a un caos ordinato dalle categorie dell'intelletto. In realtà, tra il prospettivismo nietzscheano e il criticismo kantiano esistono numerose differenze, riassumibili nel fatto che, mentre per Kant esiste un'unica e immutabile chiave di lettura della realtà (rappresentata dalle forme a priori), per Nietzsche esistono molteplici e mutevoli punti di vista sul mondo. Alla base di ogni "interpretazione" - argomenta genealogicamente Nietzsche, ribadendo la genesi pragmatica e pulsionale delle nostre credenze - stanno bisogni e interessi collegati all'istinto di conservazione e alla volontà di potenza: "Sono i nostri bisogni, che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e contro". Nietzsche afferma che le cosiddette "verità" sono soltanto «illusioni di cui si

è dimenticata la natura illusoria» e che il linguaggio è solo un «esercito di metafore», puntualizzando che la conoscenza e la logica sono «invenzioni» per porre sotto controllo il caos multiforme dell'esperienza quotidiana. Concetti

IL PROSPETTIVISMO

Non esistono _______________ ma solo _________________________________ Prospettive e _______________________ Il ______________________________ Nietzsche e Kant: Kant = una _________________________ Nietzsche = ________________________ ___________________________________ ____________________ e _____________ ___________________ e ______________

LE ___________________ DEL NICHILISMO 1 __________________________________________: ________________________________________________________________ 2 __________________________________________: a - ___________________: ______________________________________________________________________________

b - ___________________: ______________________________________________________________________________ 3 - _________________________________________: _______________________________________________________________

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e categorie sono schematizzazioni e convenzioni, le quali, per il fatto di essersi consolidate, vengono scambiate per verità oggettive e dimensioni intrinseche della realtà. La stessa idea dell'io o del soggetto come sostanza unitaria permanente e come causa ultima dei nostri atti è soltanto una finzione, anzi la prima finzione, a partire dalla quale sono state elaborate tutte le altre finzioni (a cominciare dal concetto di sostanza). Contestando l'ideale positivistico di un sapere «scevro di presupposti», Nietzsche mostra come la scienza sgorghi anch'essa da determinati presupposti extrascientifici, grazie ai quali essa acquista«una direzione, un senso, un limite». Tali sono, ad esempio, il desiderio di «comprendere nel miglior modo la bontà e la sapienza divina», l'ideale dell'«assoluta utilità della conoscenza» o la convinzione di possedere, tramite essa, «qualcosa di disinteressato, di pacifico, di autosufficiente». Inoltre, in virtù della sua "adorazione" della verità oggettiva e della sua predilezione per un mondo di matematica semplicità e perfezione, ben lontano da quello caotico e polimorfo della vita e della storia, la scienza risulta «la miglior alleata dell'ideale ascetico» (Genealogia della morale). Dire che non esiste "verità" (assoluta), che tutto è interpretazione, che l'essere esiste solo all'interno delle singole e storiche prospettive con cui ci si rapporta a esso, equivale a dire che non esige un criterio (assoluto) di verità e di falsità. Questo non significa, tuttavia, che tutte le interpretazioni siano equivalenti e che di fronte allo scontro tra le diverse volontà di potenza - ognuna portatrice di una determinata prospettiva sul mondo - non vi siano criteri di scelta. Nietzsche individua tali criteri nella salute e nella forza, ovvero nella capacità di promuovere l'accettazione della vita senza porre il suo significato in qualcosa che stia oltre a essa, in qualcosa che voglia essere assoluto. Infatti, scrive Nietzsche: "La suprema misura di vigore è data da quanto uno può continuare a vivere sulla base di ipotesi, lanciandosi per così dire su di un mare infinito, invece che sulla base di una fede. Tutti gli spiriti inferiori periscono". (Frammenti postumi, 1884) 5. L’oltreuomo

5.1 La dimensione psicologico-esistenziale e politica 5.2 La volontà di potenza 5.3 L’eterno ritorno

La radicale messa in discussione degli orizzonti culturali e antropologici della civiltà europea, propria dello spirito libero, sfocia in Nietzsche, come abbiamo già detto, in un nichilismo estremo e radicale che annuncia un uomo completamente nuovo, un oltreuomo, che rappresenta il nuovo modello di uomo. Il superuomo è senz'altro il motivo più noto e "volgarizzato" del pensiero di Nietzsche, ma anche uno dei più complessi e controversi. In linea generale, possiamo dire che il superuomo è un concetto filosofico, di cui Nietzsche si serve per esprimere un modello di uomo in cui si concretizzano i temi di fondo del suo pensiero. Il superuomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell'esistenza (par. “La critica alla cultura occidentale”), di reggere la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute (par. “La critica alla religione: la morte di Dio e la fine delle illusioni metafisiche”), di emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo (par. “La critica alla morale”), di procedere oltre il nichilismo. L’oltreuomo, inoltre come vedremo fra poco, è anche in grado di porsi come massima espressione della volontà di potenza, di affermarsi cioè come attività interpretante e significante, e di far propria la prospettiva dell'eterno ritorno. In quanto tale, il superuomo non può che stagliarsi sull'orizzonte del futuro; è il "nuovo tipo" di uomo, cioè un essere radicalmente "altro" rispetto a quello che ci sta di

I presupposti _______________________ __________________________________ Criterio di giudizio delle interpretazioni: ___________________________________ ___________________________________

L’OLTREUOMO

LA DIMENSIONE PSICOLOGICO-ESISTENZIALE E POLITICA

Dallo _______________________________ all’___________________________ l’oltreuomo e i _______________________ ____________________________________

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fronte. Infatti l'espressione, più che per un tipo di uomo potenziato, vuole indicare un uomo oltre l'uomo, cioè un uomo che si colloca al di là di ogni tipo antropologico dato. In sintesi, il superuomo nietzscheano, che non va confuso con un esteta di tipo dannunziano o con un'entità biologica di tipo darwiniano, non è l'uomo al superlativo, ma un uomo "diverso" da quello che conosciamo: un uomo oltre l'uomo, capace di creare nuovi valori e di rapportarsi in modo inedito alla realtà. Nietzsche presenta il superuomo come «il senso della terra» e come il fautore di un'anti-dealistica fedeltà al mondo: “Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. (Così parlò Zarathustra) L'uomo è terra ed è nato per vivere sulla terra. L'anima, che dovrebbe essere il soggetto di un'ipotetica esistenza ultraterrena, è insussistente: l'uomo è sostanzialmente corpo. «Corpo io sono in tutto e per tutto», esclama Zarathustra5, «e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo». Questa rivendicazione della natura terrestre del superuomo fa tutt'uno con l'accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco. In virtù di tale accettazione, la terra cessa di essere il deserto in cui l'uomo è in esilio per divenire la sua dimora gioiosa, e il corpo cessa di essere la prigione o la tomba dell'anima per divenire il concreto modo di essere dell'uomo nel mondo. Nel primo discorso di Zarathustra, intitolato “Delle tre metamorfosi”, Nietzsche descrive la genesi e il senso del superuomo alla stregua di una libertà che libera se stessa, per approdare a un'innocente e creativa affermazione della vita. Le metamorfosi di cui parla Zarathustra sono quelle che vedono lo spirito diventare dapprima cammello, quindi leone e infine fanciullo. Il cammello rappresenta l'uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio e alla morale, all'insegna del "tu devi"; il leone rappresenta l'uomo che si libera dai fardelli metafisici ed etici, all'insegna dell’"io voglio" e nell'ambito di una libertà ancora negativa: libertà "da" e non libertà "di"; il fanciullo rappresenta l'oltreuomo, cioè quella creatura non risentita, di stampo dionisiaco, che, nella sua innocenza ludica, sa dire «sì» alla vita e inventare se stessa al di là del bene e del male, a guisa di «spirito libero». Il superomismo di Nietzsche presenta espliciti connotati antidemocratici e reazionari; infatti che Nietzsche sia un filosofo della "liberazione" è un fatto, ma la liberazione da tutte le autorità umane e divine che egli auspica - e in cui risiede il senso stesso del superuomo - non è qualcosa che riguarda tutta l'umanità, ma soltanto una parte di essa, ovvero un'élite di individui superiori. Un'élite che non si limita a erigersi al di sopra delle masse, ma che, nella sua qualità di «razza dominatrice», ha addirittura «bisogno della schiavitù» delle masse «come della sua base e condizione». Nietzsche non giunge a vagheggiare un'umanità di superuomini o di «spiriti liberi», ma si limita a scorgere nell'oltreuomo «il tipo riuscito al massimo grado», ovvero l'eccezione superiore che si contrappone al "gregge" degli inferiori. In conclusione, stando ai testi, il superuomo non rimanda a un possibile modo di essere di tutti, ma a un possibile modo di essere di pochi. Ciò non significa che il superomismo nietzscheano metta capo a un progetto politico definito. Anzi, nel corso della sua opera Nietzsche denuncia tutti gli idoli politici del suo tempo: dallo statalismo alla democrazia parlamentare, dal nazionalismo militarista al socialismo (di cui contesta gli ideali egualitari).

L’oltreuomo come ____________________ ____________________________________ 1 - _________________________________ 2 - _________________________________ Le _______________________ / ________ __________________ per diventare ______ ___________________________________ 1 – il _______________________ : la liberazione __________________________ 2 – il ______________: la liberazione da ____________________________________ 3 – il ___________________: l’accettazione ___________________________________ da _________________________________ Gli aspetti _________________________: la liberazione ma _____________________ ____________________________________ la critica a __________________________ ____________________________________

5 Zarathustra, o Zoroastro, è il profeta iranico, vissuto probabilmente tra il 1000 e il 600 a. C., al quale la tradizione attribuisce la fondazione della religione omonima, lo zoroastrismo. In un passo di Ecce homo la scelta di Zarathustra viene interpretato secondo, il modello dell'autosoppressione della morale, ossia come colui che, essendo stato il primo a tradurre la morale in termini metafisici, è anche il primo ad accorgersi dell'errore della morale: “Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale: di conseguenza egli deve essere anche il primo a riconoscere quell'errore”

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Per delineare l’orizzonte antropologico dell’oltreuomo nietzscheano risulta utile esaminare altri due temi, in quanto abbiamo detto che l’oltreuomo, in quegli aspetti in cui va oltre la critica e la distruzione dei modelli e dei valori della nostra civiltà, è in grado di porsi come massima espressione della volontà di potenza, di affermarsi cioè come attività interpretante e significante, e di far propria la prospettiva dell'eterno ritorno. Nietzsche identifica la volontà di potenza con l'«intima essenza dell'essere», ovvero con il carattere fondamentale di ciò che esiste, più in particolare, la volontà di potenza si identifica con la vita stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi: “Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato la volontà di potenza [... ]. E la vita stessa mi ha confidato questo segreto: «Vedi, disse, io sono il continuo, necessario superamento di me stessa»” (Così parlò Zarathustra).La molla fondamentale della vita non sono gli impulsi autoconservativi, né è la ricerca del piacere, ma la spinta all'autoaffermazione. Questo costitutivo espandersi della vita, di cui troviamo tracce in ogni forma di esistenza e di attività, trova la propria espressione più alta nel superuomo, che è tale non solo perché è oltre l'uomo del passato, ma anche perché la sua essenza consiste nel continuo oltrepassamento di sé. Dire che la vita è autopotenziamento significa dire che la vita è autocreazione, cioè libera produzione di se medesima al di là di ogni piano prestabilito: “Mille sentieri vi sono non ancora percorsi, mille salvezze e isole nascoste della vita. Inesau-rito e non scoperto è ancora sempre l'uomo e la terra dell'uomo”. L’essenza creativa della volontà di potenza si manifesta nella produzione dei valori, che non sono proprietà delle cose, ma proiezioni della vita e condizioni del suo esercizio: “Per conservarsi, l'uomo fu il primo a porre dei valori nelle cose - per primo egli creò un senso alle cose, un senso umano! Perciò si chiama "uomo", cioè colui che valuta”. Da ciò l'essenza ermeneutica6 o interpretativa della volontà di potenza, che, ai suoi livelli più alti, si configura come la capacità degli uomini di progettare la loro vita, scegliere le loro prospettive con cui guardare il mondo, i loro valori e instaurano le loro interpretazioni. Tale forza trova il proprio apice nella creazione superomistica di nuovi valori e nel tentativo di dare un senso all'insensatezza caotica del mondo. La volontà di potenza di cui parla Nietzsche non ha solo le valenze teoriche che abbiamo appena messo in evidenza. Anche se tali valenze sono certamente le più decisive sul piano filosofico, essa ne contiene anche altre, ben più "crude" e storicamente funeste. Sono le valenze connesse al concetto della volontà di potenza come sopraffazione e dominio, che si trovano non solo nei frammenti postumi, ma anche nelle opere edite (e quindi approvate) da Nietzsche. Vi sono alcuni passi che manifestano con chiarezza le posizioni di Nietzsche. Eccone una selezione: “La vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie”. (Al di là del bene e del male); “Ogni elevazione del tipo "uomo" è stata, fino a oggi, opera di una società aristocratica e così continuerà sempre a essere: di una società, cioè, che crede in una lunga scala gerarchica e in una differenziazione di valore tra uomo e uomo, e che in un certo senso ha bisogno della schiavitù.”;“La lotta per l'uguaglianza dei diritti è già un sintomo di malattia”. (Ecce homo) Di fronte a testi inequivocabili di questo tipo non si può fare a meno di riconoscere che nel concetto nietzscheano di volontà di potenza albergano aspetti antidemocratici e antiegualitari, che fanno parte della componente reazionaria del suo pensiero. Componente che spinge Nietzsche a individuare il soggetto della volontà di potenza non in un'umanità democratica vivente in modo libero e creativo, ma in una specie aristocratica di «spiriti dominatori e cesarei».

L’ORIZZONTE ________________________ DELL’OLTREUOMO: 1 _________________________________ 2 _________________________________

1 - LA VOLONTÀ DI POTENZA

6 L’ermeneutica è l’arte o tecnica dell’interpretazione. Il termine indica anche una corrente della filosofia del Novecento sorta a partire dalle riflessioni di M. Heidegger su queste tematiche di Nietzsche e che ha trovato in H.G. Gadamer uno dei suoi massimi esponenti

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Nietzsche presenta la teoria dell'eterno ritorno dell'uguale, ovvero della ripetizione eterna di tutte le vicende del mondo, come il pensiero più profondo e decisivo della propria filosofia: La prima formulazione della dottrina dell'eterno ritorno si incontra in un aforisma della Gaia scienza: “Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!»? Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello” Fin da questo passo, il pensiero dell'eterno ritorno tende, sia pure in forme implicite, a palesare il proprio carattere selettivo, fungendo da spartiacque tra l'uomo e l ’o l t reuomo. Infatti, la reazione di terrore e il senso di «peso» di fronte alla prospettiva dell'eterno ripetersi del tutto sono propri dell'uomo, mentre la gioia entusiastica per 1'«eterna sanzione» dell'essere è tipica del superuomo e della sua accettazione totale della vita. Questa dottrina, che a prima vista appare come la semplice ripresa di un antico "mito", costituisce in realtà uno dei punti più difficile e criticamente controverso dell'intera filosofia nietzscheana. Che cos'è veramente la teoria dell'eterno ritorno? Forse si tratta di una certezza cosmologica, come lascia credere Nietzsche stesso, il quale in alcuni luoghi della sua opera sembra perfino inseguire l'obiettivo di una spiegazione "scientifica" di essa (sostenendo che, poiché la quantità di energia dell'universo è finita, mentre il tempo in cui essa si dispiega è infinito, le manifestazioni e le combinazioni del mondo devono per forza ripetersi). Oppure, ancora, è l'enunciazione metaforica di un modo di essere dell'essere che l'uomo può incarnare solo nella misura in cui è felice. Di conseguenza, che cosa significa "decidere" l'eterno ritorno? Forse prendere atto di una struttura cosmica già data, come sostengono le letture tradizionali, oppure istituirlo tramite una scelta, come affermano alcuni critici odierni? Ognuna di queste interpretazioni rivela delle difficoltà notevoli non escludendo comunque che la funzione di questa teoria, all'interno dell'economia complessiva del pensiero di Nietzsche, risulti sufficientemente chiara: porsi nella prospettiva

L’ETERNO RITORNO

LA VOLONTÀ DI POTENZA A – come ______________________________________ (_______________________________________________________) L’oltreuomo il continuo ___________________________________ nella produzione di: a - __________________________ b -_________________________ c ______________________________________________ B – come ________________________________________________________________________ gli aspetti ____________________________________________________________________________________________

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dell'eterno ritorno significa escludere alcuni principi e difenderne altri. Da ciò la doppia portata, polemica da un lato e propositiva dall'altro, di questa dottrina. Collocarsi nell'ottica dell'eterno ritorno vuol dire innanzitutto rifiutare la concezione lineare del tempo come catena di momenti, in cui ognuno ha senso solo in funzione degli altri, quasi che ogni attimo fosse un figlio che divora il padre (= il momento che lo precede), essendo destinato a sua volta a essere divorato dal proprio figlio (= il momento che lo segue), secondo un processo che Vattimo ha denominato «struttura edipica del tempo». Evidentemente, una dottrina di questo tipo ha come presupposto l'impossibilità della felicità dell'esistenza, poiché in una prospettiva temporale di questo genere nessun momento vissuto ha in sé un significato e pieno e autosufficiente. Ma credere nell'eterno ritorno significa anche: 1. ritenere che il senso dell'essere non stia "fuori" dell'essere, in un "oltre" irraggiungibile e frustrante, ma nell'essere stesso, ossia in ciò che Nietzsche chiama il divenire «innocente» e «dionisiaco» delle cose; 2. disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa, come coincidenza di essere e di senso, realizzando in tal modo la «felicità del circolo». Ovviamente, il tipo di uomo capace di "decidere" l'eterno ritorno, e quindi di vivere come se tutto dovesse ritornare, non può essere l'uomo che conosciamo, cioè l'individuo risentito dell'Occidente, il quale soffre la scissione tra senso ed esistenza e concepisce il tempo come una tensione angosciosa verso un compimento sempre di là da venire, ma è un oltreuomo in grado di vivere la vita come un gioco creativo e avente in sé il proprio senso appagante. Per questo motivo, l'eterno ritorno incarna al massimo grado l'accettazione superomistica della vita, ponendosi, per dirla con Nietzsche, come «la suprema formula dell'affermazione che possa mai essere raggiunta

L’ETERNO RITORNO Le due interpretazioni: 1 - ____________________________________________________________________________________________ 2 - ____________________________________________________________________________________________ A - ___________________________________________________________________________________________________ B - ___________________________________________________________________________________________________ C - ___________________________________________________________________________________________________ La vita come _______________________________________ avente _____________________________________________________

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F. NIETZSCHE: DALLA CRITICA AL TIPO D’UOMO PRODOTTO DALLA CIVILTÀ OCCIDENTALE ALLO SPIRITO LIBERO 1-La critica alla civiltà occidentale e al tipo d’uomo da essa prodotto. 2 - La morte di Dio 1 - ____________________________________________________________ 1 - Le vie tutte nostre In questo libro troviamo all'opera un «essere sotterraneo», uno che perfora, scava, scalza di sottoterra. Posto che si abbia occhi per un tale lavoro in profondità, lo si vedrà avanzare lentamente, cautamente, delicatamente implacabile, senza che si tradisca troppo la pena che ogni lunga privazione di luce e d'aria comporta; lo si potrebbe dire perfino contento del suo oscuro lavoro. Non sembra forse che una fede gli sia di guida e una consolazione lo compensi? Vuol forse avere la sua propria lunga tenebra, il suo mondo incomprensibile, occulto, enigmatico, perché avrà anche il suo mattino, la sua liberazione, la sua aurora? ... Certamente tornerà indietro: non chiedetegli che cosa cerca là sotto, ve lo dirà lui stesso, quando sarà «ridiventato uomo». Si disimpara completamente a tacere, quando si è stati così a lungo, come lui, una talpa. In realtà, miei pazienti amici, ve lo voglio dire quel che cercavo là sotto, qui, in questa tarda prefazione, che facilmente avrebbe potuto essere un necrologio, un'orazione funebre: infatti sono tornato indietro e l'ho spuntata. Non crediate che vi esorti allo stesso rischio! O anche alla stessa solitudine! Chi va infatti per queste vie tutte sue, non incontra nessuno: è questo che comportano le «vie tutte nostre». Non viene nessuno a dargli manforte, nello stato in cui si trova; di ogni pericolo, caso, scelleratezza, maltempo in cui s'imbatte, deve venire a capo da solo. Ha appunto per sé la sua via e, com'è giusto, la sua amarezza, il disgusto che prova, in certi momenti, per questo «per sé»: a tutto ciò s'accompagna, per esempio, la consapevolezza che perfino i suoi amici non possono indovinare dove egli sia, dove vada, e talvolta si domanderanno «come? è ancora in cammino? ha ancora una strada?». Allora, intrapresi qualcosa che non a tutti sarebbe dato di fare: discesi nelle profondità, perforai il fondo, cominciai a sondare e a scalzare un'antica fiducia, sulla quale noi filosofi, da un paio di millenni, eravamo soliti edificare, come sul più sicuro fondamento, sempre di nuovo, sebbene ogni costruzione, fino a questo momento, fosse sempre crollata: cominciai a scalzare la nostra fiducia nella morale. Ma non mi comprendete? 2 - Difetto ereditario dei filosofi. Tutti i filosofi hanno il comune difetto di partire dall'uomo attuale e di credere di giungere allo scopo attraverso un'analisi dello stesso. Inavvertitamente «l'Uomo» si configura alla loro mente come una aeterna veritas, come un’entità fissa in ogni vortice, come una misura certa delle cose. Ma tutto ciò che il filosofo enuncia sull'uomo, non è in fondo altro che una testimonianza sull'uomo di un periodo molto limitato. La mancanza di senso storico è il difetto ereditario di tutti i filosofi; molti addirittura prendono di punto in bianco la più recente configurazione dell'uomo, quale essa si è venuta delineando sotto la pressione di determinate religioni, anzi di determinati avvenimenti politici, come la forma fissa dalla quale si debba partire. Non vogliono capire che l'uomo è divenuto e che anche la facoltà di conoscere è divenuta; mentre alcuni di loro si fanno addirittura fabbricare, da questa facoltà di conoscere, l'intero mondo. Ora tutto l'essenziale dell'evoluzione umana è avvenuto in tempi remotissimi, assai prima di quei quattromila anni che all'incirca conosciamo e durante i quali l'uomo non può essere granché cambiato. Ma nell'uomo attuale il filosofo vede «istinti» e

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suppone che essi appartengano ai fatti immutabili dell'uomo e possano quindi fornire una chiave alla comprensione del mondo in generale: tutta la teologia è basata sul fatto che dell'uomo degli ultimi quattro millenni si parla come di un uomo eterno, al quale tendono naturalmente dalla loro origine tutte le cose del mondo. Ma tutto è divenuto; non ci sono fatti eterni: così come non ci sono verità assolute. Per conseguenza il filosofare storico è da ora in poi necessario, e con esso la virtù della modestia. 3 - Morale Le morali e le religioni sono il mezzo principale con cui si può fare dell’uomo quel che si vuole; presupposto che si abbia un di più di forza creativa e si sappia affermare la propria volontà creatrice su lunghi periodi di tempo, in forma di legislazioni e costumi. Nel meditare sui mezzi necessari per rendere l’uomo più forte e profondo che non sia stato finora, mi son fermato a pensare prima di tutto con l’aiuto di quale morale ciò è stato fatto finora. La prima cosa che ho capito è stata che, a tal fine, non si può usare la morale abituale in Europa, riguardo alla quale certo i filosofi e i moralisti d’Europa credono che sia la morale senz’altro - un tale unisono di filosofi è in realtà la prova migliore del fatto che quella morale è effettivamente imperante. Perché questa morale è il vero istinto del gregge, che non fa altro che desiderare comodità, sicurezza, facilità di vita. 4 - Istinto del gregge. Dove c’imbattiamo in una morale, lì troviamo una valutazione e una gerarchia degli istinti e delle azioni umane. Queste valutazioni e gerarchie sono sempre l’espressione dei bisogni di una comunità e di un gregge: ciò che ad esso risulta utile in primo luogo – e in secondo e terzo luogo – questo è anche la suprema norma di valore per tutti i singoli. Con la morale, il singolo viene educato a essere funzione del gregge, e ad attribuirsi valore solo come funzione. Poiché le condizioni della conservazione di una comunità sono state molto diverse da quelle valide per un’altra comunità, ci sono state morali molto diverse; e, relativamente alle imminenti notevoli trasformazioni dei greggi e delle comunità, degli Stati e delle società, si può profetizzare che vi saranno ancora morali molto differenti. La moralità è l’istinto del gregge nel singolo. 5 - Concetto dell'eticità dei costumi. L’eticità non è nient'altro (dunque in particolar modo niente più) che obbedienza ai costumi, di qualunque specie essi possano essere. I costumi peraltro sono il modo tradizionale di agire e di valutare. In cose dove nessuna tradizione comanda, non esiste eticità; e quanto meno la vita è determinata dalla tra-dizione, tanto più piccolo diventa il circolo dell'eticità. L'uomo libero è privo di eticità, poiché egli vuole dipendere in tutto da sé e non da una tradizione: in tutti gli stati primordiali dell'umanità, «malvagio» ha lo stesso significato di «individuale», «libero», «arbitrario», «inconsueto», «non previsto», «incalcolabile». Che cos'è la tradizione? Un'autorità superiore, alla quale si presta obbedienza non perché comanda quel che ci è utile, ma soltanto perché ce lo comanda. In che cosa si distingue questo sentimento della tradizione dal sentimento della paura in generale? È la paura di un intelletto superiore che in questo caso comanda, di una potenza in-comprensibile, indeterminata, di qualche cosa più che personale: c'è della superstizione in questa paura. … Originariamente, dunque, tutto era costume, e chi si voleva elevare al di sopra di essa, doveva diventare legislatore e stregone, nonché una specie di semidio: vale a dire doveva creare dei costumi, cosa, questa, terribile, pericolosa per la vita! Chi è l'uomo maggiormente ligio ai costumi? In primo luogo colui che osserva più spesso possibile la legge: quindi colui che, come il brahmano, ovunque e in ogni minima frazione di tempo, porta la coscienza di essa, cosicché s'ingegna continuamente di trovarsi nell'occasione di adempiere la legge. In secondo luogo, colui che la osserva anche nei casi più difficili. Il maggiormente ligio ai costumi è quello che si sacrifica più di tutti al costume: ma quali sono i più grandi sacrifici? Dal modo con cui si risponde a questa do-

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manda dipende lo svolgimento di molte diverse morali, ma la più importante differenza resta quella che distingue la moralità dell'osservanza più frequente da quella dell'osservanza più difficile. Non ci si inganni sul motivo di quella morale che esige come indice dell'eticità la più difficile osservanza del costume! Si esige l'autosuperamento non a causa delle utili conseguenze che esso ha per l'individuo, bensì affinché il costume, la tradizione, appaiano imperanti, nonostante ogni opposta velleità e utilità individuali: il singolo deve sacrificarsi, questo esige l'eticità del costume … «I costumi si sono rilassati - così si lamenta l'anima di ognuno - se tali azioni sono possibili»: ogni intrapresa individuale, ogni individuale modo di pensare dà i brividi; non è possibile calcolare quel che devono aver sofferto nell'intero corso della storia propria gli spiriti più rari, più eletti, più originali, per il fatto che vennero sentiti come i malvagi e pericolosi, per il fatto anzi che essi stessi si sentirono tali. Sotto il domino dell'eticità del costume l'originalità di ogni specie ha acquistato una cattiva coscienza; fino a questo momento il cielo dei migliori ne è stato ancora più offuscato di quanto avrebbe dovuto esserlo. 6 - Abitudini Tutte le morali e le leggi mirano a istillare abitudini, cioè a eliminare per molte azioni la ricerca del motivo per cui si compiono, in modo che esse vengano compiute istintivamente. Alla lunga ciò rappresenta un grave danno per la ragione. Inoltre l’<agire per abitudine> è un agire per comodità, dietro impulso immediato; è anche paura per l’insolito, per ciò che gli altri fanno, qualcosa di pregiudizievole per l’individuo7. Allevare una razza con istinti forti – questo vuole la mia morale. 7 - Contenuto della coscienza. Il contenuto della nostra coscienza è tutto ciò che negli anni dell’infanzia ci fu regolarmente richiesto senza motivo da parte di persone che veneravamo o temevamo. Dalla coscienza viene dunque suscitato quel sentimento della necessità (<questo devo farlo, questo no>), che non domanda: perché devo? – In tutti i casi in cui una cosa viene fatta con <giacché> e <perché>, l’uomo agisce senza coscienza; ma non per questo contro di essa. – La credenza nell’autorità è la fonte della coscienza: questa non è dunque la voce di Dio nel petto dell’uomo, bensì la voce di alcuni uomini nell’uomo8. Il fatto che le nostre azioni, i pensieri, i sentimenti, i movimenti siano anche oggetto di coscienza - almeno una parte di essi - è la conseguenza di una terribile <necessità>, che ha lungamente signoreggiato l’uomo: essendo esso l’animale maggiormente in pericolo, ebbe bisogno d’aiuto, di protezione; ebbe bisogno dei suoi simili9, dovette esprimere le sue necessità, sapersi rendere comprensibile - e per tutto questo gli fu necessaria in primo luogo <la coscienza>, gli fu necessario 7L’affermazione dell’individualità è considerata un primo momento di liberazione verso la realizzazione dell’oltreuomo. Nel contesto di una moralità tradizionale, invece, l’individuo è solo membro di un tutto che non esprime la propria personalità, ma agisce in base a canoni di comportamento che stabiliscono uniformemente il bene e il male per tutti, senza distinzione e in funzione del fine comune che è la conservazione della comunità. È chiaro, quindi, che i legami comunitari non hanno mai per Nietzsche un valore solidale, ma sono intesi come mortificazioni dell’individuo che invece può esprimersi solo affermando la propria differenza e la propria personale scala di valori. Il disconoscimento da parte di Nietzsche del sentimento della solidarietà può anche essere letto come una conseguenza del suo rifiuto della “cultura” cristiana e di quella socialista, entrambe portatrici di forme di solidarietà importanti. 8Alla concezione morale della coscienza come voce interiore, propria del cristianesimo e anche di Kant (nella “Critica della ragion pratica”, infatti, la coscienza è il richiamo della legge morale contro le inclinazioni sensibili), Nietzsche oppone la lettura della coscienza morale come risultato dell’introiezione del dominio sociale e quindi dell’autorità della comunità sull’individuo. La coscienza non solo non ha, come ritiene la tradizione morale, alcun carattere di immediatezza e di semplicità, ma non appartiene neppure alla prospettiva individuale: essa ha una funzione sociale e riproduce all’interno dell’uomo la gerarchia dominante al suo esterno. 9Il riconoscere l’importanza, per la propria sopravvivenza, del vivere comune costituisce la cosiddetta fase della morale dell’onore basata su sentimenti condivisi.

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anche <sapere> quel che gli mancava, <sapere> come si sentiva, <sapere> quel che pensava. Perché […] l’uomo, come ogni creatura vivente, pensa continuamente, ma non sa; il pensiero che diviene cosciente ne è soltanto la più piccola parte, diciamo pure la parte più superficiale e peggiore: infatti soltanto questo pensiero consapevole si determina in parole, cioè in segni di comunicazione, con la qual cosa si rivela l’origine della coscienza medesima10. Per dirla in breve, lo sviluppo della lingua e quello della coscienza (non della ragione, ma solo del suo divenire autocosciente) procedono di pari passo. Si aggiunga poi, che non soltanto il linguaggio serve da ponte tra uomo e uomo, ma anche lo sguardo, la pressione, la mimica: il farsi coscienti in noi stessi le nostre impressioni sensibili, la forza di poterle fissare e di porle, per così dire, al di fuori di noi, tutto ciò è andato crescendo nella misura in cui è progredita la necessità di trasmetterle ad altri mediante segni. L’uomo inventore di segni è anche l’uomo sempre più acutamente cosciente di sé: solo come animale sociale l’uomo imparò a diventare cosciente di se stesso – è ciò che egli sta facendo ancora, ciò che egli fa sempre di più. Come si vede il mio pensiero è che la coscienza non appartenga propriamente all’esistenza individuale dell’uomo, ma piuttosto a ciò che in esso è natura comunitaria e gregaria; che – come deriva da tutto questo – essa si è sottilmente sviluppata solo in rapporto ad un’utilità comunitaria e gregaria, e che di conseguenza ognuno di noi, con la miglior volontà di comprendere se stesso nel modo più individuale possibile, di <conoscere se stesso>, purtuttavia renderà sempre oggetto di coscienza soltanto il non individuale, quello che in se stesso è esattamente la sua <misura media>, che il nostro stesso pensiero viene continuamente, per così dire, adeguato alla maggioranza e ritradotto nella prospettiva del gregge a opera del carattere della coscienza, del <genio della specie> in essa imperante. Tutte le nostre azioni sono in fondo incomparabilmente personali, uniche, sconfinatamente individuali, non v’è dubbio; ma appena le traduciamo nella coscienza, non sembra che lo siano più …Questo è il vero fenomenalismo e prospettivismo , come lo intendo io: la natura della coscienza animale implica che il mondo, di cui possiamo avere coscienza, è solo un mondo di superfici e di segni, un mondo generalizzato, volgarizzato; che tutto quanto si fa cosciente, diventa per ciò stesso piatto, esiguo, relativamente stupido, generico, degno, segno distintivo del gregge; che a ogni farsi della coscienza è collegata una grande fondamentale alterazione, falsificazione, riduzione alla superficialità e generalizzazione. Lo svilupparsi della coscienza non è, infine, senza pericolo, e chi vive tra gli ipercoscienti europei sa anche che è una malattia. Non è, come si può indovinare, l’opposizione tra soggetto e oggetto che m’importa: questa distinzione io la lascio ai teorici della conoscenza , che sono rimasti penzoloni nei lacci della grammatica (la metafisica popolare). Non m’interessa nemmeno il contrasto tra <cosa in sé> e fenomeno: giacché siamo ben lontani dal <conoscere> abbastanza, per poter pervenire anche solo a una tale distinzione. Non abbiamo appunto nessun organo per il conoscere11, per la <verità>: noi <sappiamo> (o crediamo, o c’immaginiamo) precisamente tanto quanto può essere vantaggioso sapere nell’interesse del gregge umano, della specie, e anche ciò che qui è detto <vantaggio> è infine nient’altro che una credenza, un’immaginazione, e forse esattamente quella quanto mai funesta stoltezza per cui un giorno precipiteremo in rovina.

10La coscienza, in quanto nasce dal bisogno di comunicare, si costituisce come sistema di congiunzione tra gli uomini ed è legata, quindi, allo sviluppo del linguaggio. 11Contro l’importanza conferita dalla tradizione filosofica alla coscienza intesa come fonte di conoscenza certa sia dell’interiorità dell’uomo che del suo mondo esterno, Nietzsche sostiene che la coscienza ha una carattere istintuale e non rispecchia in maniera obiettiva le stimolazioni esteriori, ma le interpreta, le attribuisce significati diversi, a seconda dei momenti e delle situazioni. La conoscenza prodotta dalla coscienza non ha quindi un carattere di verità o di obiettività, ma è invece il risultato di interpretazioni molteplici e della lotta di impulsi contrastanti.

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8 - Cattiva coscienza Considero la cattiva coscienza come quella grave malattia in balìa della quale doveva cadere l’uomo sotto la pressione della più radicale tra tutte le metamorfosi che egli abbia mai vissuto – quella metamorfosi in cui si venne a trovare definitivamente incapsulato nell’incantesimo della società e della pace. Non diversamente da quel che deve essere accaduto agli animali acquatici, allorché furono costretti a divenire animali terrestri oppure a perire, si compì la sorte di questi semianimali felicemente adattati alla stato selvaggio, alla guerra, al vagabondaggio, all’avventura – a un tratto tutti i loro istinti furono svalutati e <divelti>. Dovettero ormai camminare sulle gambe e <portare se stessi>, laddove fino a quel momento venivano portati dall’acqua: una spaventosa pesantezza gravava su di loro. Si sentivano inabili alle funzioni più semplici, per questo nuovo mondo sconosciuto non avevano più le loro antiche guide, gli istinti regolativi, inconsciamente infallibili – erano ridotti questi infelici, a pensare, dedurre, calcolare, combinare cause ed effetti, alla loro <coscienza> , al loro più miserevole organo, il più esposto a ogni errore! Credo che non ci sia mai stato sulla terra un tale senso di miseria, un tale plumbeo disagio – e intanto quegli antichi istinti non avevano cessato tutt’a un tratto di porre le loro esigenze! Solo che difficilmente e di rado era possibile dar loro soddisfacimento: in sostanza, essi dovettero cercarsi nuovi e per così dire sotterranei appagamenti. Tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno, si rivolgono all’interno – questo è quella che io chiamo interiorizzazione dell’uomo: in tal modo soltanto si sviluppa nell’uomo quella che più tardi verrà chiamata la sua <anima>. L’intero mondo interiore, originariamente sottile come fosse teso tra due epidermidi, si è stemperato e dischiuso; è stato impedito lo sfogo dell’uomo all’esterno. Quei terribili bastioni con cui l’organizzazione statale si proteggeva contro gli antichi istinti di libertà – le pene appartengono soprattutto a questi bastioni12 – fecero sì che tutti questi istinti dell’uomo selvaggio, libero, divagante si volgessero a ritroso, si rivolgessero contro l’uomo stesso. L’inimicizia, la crudeltà, il piacere della persecuzione, dell’aggressione, del mutamento, della distruzione – tutto quanto si volge contro i possessori di tali istinti: ecco l’origine della <cattiva coscienza>. L’uomo che in mancanza di nemici esterni e di resistenze, rinserrato in una opprimente angustia e normalità di costumi, faceva impazientemente a brani se stesso, si perseguitava, si rodeva, si aizzava, si svillaneggiava, questo animale che si vuole <ammansire> e dà di cozzo alle sbarre della sua cella fino a coprirsi di piaghe, questo essere che manca di qualcosa, che si strugge nella nostalgia del deserto e che deve far di se stesso un’avventura, una camera di supplizi, una selva insicura e pericolosa – questo giullare, questo desideroso e disperato prigioniero divenne l’inventore della <cattiva coscienza>. Con essa fu però introdotta la più grande e la più sinistra delle malattie, di cui fino a oggi l’umanità non è guarita, la sofferenza che l’uomo ha dell’uomo, di sé: conseguenza di una violenta separazione dal suo passato di animale, di un salto e di una caduta, per così dire, in nuove situazioni e condizioni esistenziali, di una dichiarazione di guerra contro gli antichi istinti, sui quali fino allora riposava la sua forza, il suo piacere, la sua terribilità. 9 - Morale dell'individuo maturo. Si è finora ravvisato il carattere proprio dell'azione morale nell'impersonalità; ed è stato mostrato che al principio fu la considerazione dell'utilità generale quella per cui si lodarono e si pregiarono in genere le azioni impersonali. Ma non dovrebbe essere imminente una importante trasformazione di queste vedute, ora che si capisce sempre meglio che proprio nella considerazione più personale possibile risiede anche la più grande utilità per la

12La coscienza, in quanto potere esercitato dalla comunità sull’uomo e introiezione del dominio sociale, è creata attraverso la paura delle punizioni, quindi dell’esclusione dalla vita comune, e attraverso il rimorso che è ugualmente una forma di punizione, ma più raffinata, in quanto è la voce dell’autorità introiettata, che colma lo scarto tra visibilità e invisibilità degli atti da punire estendendo il proprio controllo all’interno dell’uomo stesso.

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collettività: sicché proprio l'agire strettamente personale corrisponde all'odierno concetto di moralità (come di un'utilità generale)? Far di sé una persona completa e tener presente in ogni cosa che si faccia il più alto bene di essa: ciò porta più lontano di quelle emozioni e azioni di compassione a favore degli altri. Noi tutti soffriamo veramente ancora della troppo scarsa considerazione di ciò che è personale in noi; esso è malformato - confessiamocelo: si è al contrario violentemente distolto da esso il nostro animo e lo si è offerto in olocausto allo Stato, alla scienza e a ciò che abbisogna d'aiuto, come se esso fosse la parte cattiva, che doveva esser sacrificata. Lavoriamo anche ora per i nostri simili, ma solo finché troviamo in questo lavoro anche il nostro più grande vantaggio, non di più, non di meno. Quello che conta è solo che cosa si intenda per proprio vantaggio; è chiaro che l'individuo immaturo, incivile, rozzo, lo intenderà anche nel modo più rozzo. 10 - Sono necessari piccoli atti anticonformisti. Agire, anche una sola volta, nelle faccende del costume, contro il proprio giudizio migliore; sottomettersi, a questo riguardo, nella prassi, e riservarsi la libertà spirituale; agire come tutti e con ciò rendere a tutti una cortesia e un beneficio per così dire a compenso del non conformismo delle nostre opinioni: tutto questo, presso molti uomini abbastanza liberi d'idee, è considerato non soltanto non pericoloso, ma anche «onesto», «umano», «tollerante», «non pedantesco», o comunque suonino le belle parole con le quali si canta la ninna-nanna alla coscienza intellettuale perché si addormenti. E così c'è chi, pur essendo ateo, fa battezzare cristianamente il suo bambino, e chi va sotto le armi, come tutti gli altri, per quanto maledica grandemente l'odio tra i popoli, chi corre in chiesa con una femminuccia perché lei ha una parentela di gente devota, e fa la sua promessa davanti a un prete, senza vergognarsi. «Non è essenziale, se anche uno di noi fa quello che tutti fanno e hanno sempre fatto» - così si esprime il pregiudizio grossolano ! I1 grossolano errore ! Poiché non c'è niente di più essenziale del fatto che ancora una volta sia riaffermato, attraverso l'azione di un uomo riconosciuto come razionale, quanto è già potente, tradizionale, e irrazionalmente riconosciuto: in tal modo esso riceve, agli occhi di tutti coloro che hanno notizia di questo fatto, la sanzione della ragione stessa. Tutto il rispetto per le vostre opinioni ! Però piccoli atti anticonformisti hanno più valore ! 11 - Ciò che non è greco nel Cristianesimo.I Greci vedevano sopra di sé gli dei omerici non come padroni, e se stessi sotto di loro non come servi, al modo degli Ebrei. Essi vedevano per così dire solo l'immagine riflessa degli esemplari più riusciti della loro stessa casta, cioè un ideale, non un opposto della loro natura. Ci si sente reciprocamente imparentati, c'è un interesse scambievole. L'uomo pensa nobilmente di sé, quando si dà simili dei e si pone in un rapporto come quello che intercorre fra nobiltà inferiore e superiore; mentre i popoli italici hanno invece una vera religione da contadini, con una costante paura di potenze malvagie e capricciose e di spiriti maligni. Dove gli dei olimpici arretravano, anche la vita greca era più fosca e piena di paura. Per contro, il Cristianesimo schiacciò e frantumò l'uomo completamente e lo sprofondò come in una fonda palude: poi, nel sentimento di totale abiezione, fece brillare tutto a un tratto lo splendore di una divina pietà, sicché l'uomo sorpreso, stordito dalla grazia, emise un grido di rapimento e per un attimo credette di portare in sé il cielo intero. Su questo morboso eccesso di sentimento, sulla profonda corruzione della mente e del cuore a esso necessaria, agiscono tutti i sentimenti psicologici del Cristianesimo: esso vuole annientare, spezzare, stordire, inebriare, solo una cosa esso non vuole: la misura, e perciò è, nel senso più profondo, barbarico, asiatico, non nobile, non greco. 12 - Il Cristianesimo come antichità. Quando in un mattino di domenica sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è mai possibile ! Ciò si fa per un

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ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere il figlio di Dio. La prova di una tale asserzione manca. Sicuramente nei nostri tempi la religione cristiana è un'antichità emergente da epoche remotissime, e che si creda a quell'asserzione - mentre per il resto si è così rigorosi nell'esaminare ogni pretesa - è forse il frammento più antico di quest'eredità. Un Dio che genera figli con una donna mortale; un saggio che incita a non lavorare più, a non pronunciare più sentenze, e a badare invece ai segni della prossima fine del mondo; una giustizia che accetta l'innocente come vittima vicaria; qualcuno che comanda ai suoi discepoli di bere il suo sangue; preghiere per interventi miracolosi; peccati commessi contro un Dio, espiati da un Dio; paura di un aldilà, la porta del quale è la morte; il segno della croce come simbolo in un tempo che non conosce più la condanna e l'ignominia della croce - qual gelido soffio ci manda tutto ciò, come dal sepolcro di un antichissimo passato !Chi crederebbe che una cosa simile viene ancora creduta! 13 - Il valore del mondo Che il valore del mondo stia nella nostra interpretazione (e che forse in qualche luogo siano possibili interpretazioni diverse da quelle meramente umane); che finora le interpretazioni siano state tutte valutazioni prospettivistiche, in virtù delle quali noi nella vita, ossia nella volontà di potenza , ci conserviamo per lo sviluppo della potenza; che ogni elevazione degli uomini comporti il superamento di interpretazioni più ristrette; che ogni rafforzamento mai raggiunto, ogni allargamento di potenza apra nuove prospettive e imponga di credere a nuovi orizzonti – tutte queste cose si ritrovano ovunque nei miei scritti. Il mondo che in qualche modo ci interessa è falso, ossia non è una realtà, ma un’invenzione e un arrotondamento di una magra somma di osservazioni, esso è <fluido>, come qualcosa che diviene, come una falsità che si sposta sempre di nuovo e che non si avvicina mai alla verità, perché non c’è una verità. 14 - Genealogia I filosofi sono soliti porsi davanti alla vita e all’esperienza – davanti a ciò che essi chiamano il mondo fenomenico – come davanti a un quadro che è svolto una volta per tutte, e che mostra in modo invariabile e fisso lo stesso processo: questo processo, essi pensano, deve essere rettamente interpretato, per trarne una conclusione sull’essere che ha prodotto il quadro: vale a dire sulla cosa in sé, che suol essere sempre considerata, come la ragione sufficiente del mondo fenomenico. […]. Di […] queste concezioni si sbarazzerà in maniera decisiva il continuo e laborioso processo della scienza, che finirà col celebrare un giorno il suo più alto trionfo in una storia della genesi del pensiero13, il cui risultato potrebbe forse compendiarsi in questa proposizione: ciò che noi ora chiamiamo mondo è il 13Da intendersi non come storia della sua origine, ma come storia del suo divenire. In questo senso la genealogia comporta la nascita di un pensiero che abbandona la pretesa metafisica della fondazione e riconosce che il mondo non solo è costruito su errori, ma che questi costituiscono anche la ricchezza dell’uomo e del mondo stesso. Il pensiero-metodo genealogico “chiude” definitivamente il problema del dualismo fra cosa in sé e fenomeno e sancisce l’autodistruzione della metafisica, accertando il divenire come unica realtà. Tutto muta continuamente e di conseguenza non è possibile sostenere o ipotizzare l’esistenza di una verità ultima o di un fondamento del reale. La credenza-abitudine metafisica è definitivamente superata: tutto è relativo, ciò che appare è l’unica realtà, realtà che sempre diviene. Sia chiaro che il metodo genealogico non è un secondo metodo accanto a quello storico-scientifico, annunciato nel primo aforisma di “Umano troppo umano”, ma ne è un suo completamento. Infatti, se il metodo storico-scientifico evidenzia la genesi dei valori della tradizione metafisica e mostra come essi giungano all’autodistruzione, il metodo genealogico è del tutto estraneo ad ogni terreno metafisico. Esso dichiara illusoria qualsiasi ricerca dell’origine, mostrando che, in un divenire senza inizio e fine, essa non esiste. Il metodo genealogico è quindi un metodo esplicativo che illumina il continuo divenire della realtà che non ha principio né termine e di conseguenza non ha un senso ultimo, uno scopo definitivo e un fondamento; genealogia non significa, allora, ricerca dell’ (il principio di tutte le cose dei primi filosofi), non rientra cioè nel modello tradizionale di conoscenza secondo il quale, a partire da Aristotele, il risalire alle origini assicura all’uomo il potere sul mondo. Genealogia significa, invece, scorgere il processo di significato e di costituzione dei valori e delle verità, ma poiché una loro origine ultima non può essere affermata e pensata, il pensiero genealogico diventa il pensiero dell’errore necessario.

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risultato di una quantità di errori e di fantasie che sono sorti a poco a poco nell’evoluzione complessiva degli esseri organici, e che sono cresciuti intrecciandosi gli uni alle altre e ci vengono ora trasmessi in eredità come tesoro accumulato in tutto il passato – come tesoro: perché il valore della nostra umanità riposa su di esso. Da questo mondo della rappresentazione la severa scienza può in realtà liberarci solo in piccola misura – e del resto non è affatto cosa da augurarsi14 -, in quanto essa non può essenzialmente infrangere il potere di antichissime abitudini della sensazione, ma essa può gradatamente e progressivamente rischiarare la storia della nascita di quel mondo come rappresentazione, sollevandoci, almeno per qualche momento, al di sopra dell’intero processo. Forse riconosceremo allora che la cosa in sé è degna di un’omerica risata. 2 - ________________________________________________ L'uomo folle e l'annuncio della morte di Dio Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. "È forse perduto?" disse uno. "Si è perduto come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?". Gridavano e rideva in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio? — gridò — ve lo voglio dire! Siamo stati, noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non e il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande per noi la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dei, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!".

14Il fine, cioè, del metodo genealogico non è quello di annullare gli errori, che peraltro costituiscono la fonte di ricchezza del mondo, ma di rendere l’uomo consapevole del processo di costituzione dell’errore, della sua necessità e del suo legame con la vita. Le conseguenze di questa consapevolezza sono profonde: constatare che il mondo è non-verità significa essere messi di fronte ad una vita priva di un centro di gravità, di punti stabili di riferimento. E chi accetta la non-verità ha la possibilità di liberarsi dalla violenza morale e metafisica, quindi di ritrovare la propria innocenza, e divenire così artefice della propria esistenza. Questi temi sono stati accuratamente messi in evidenza da Gianni Vattimo nel V capitolo della seconda parte de “Il soggetto e la maschera”.

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A questo punto il folle uomo tacque e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. "Vengo troppo presto —- proseguì — non e ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non e ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest'azione è ancora sempre più lontana da loro delle più lontane costellazioni; eppure son loro che l'hanno compiuta.'". Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: "Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?". Quel che significa per la nostra serenità. Il maggiore degli avvenimenti più recenti - che «Dio è morto», che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile - comincia già a gettare le sue prime ombre sull'Europa. Almeno a quei pochi, lo sguardo, la diffidenza di sguardo dei quali è abbastanza forte e sottile per questo spettacolo, pare appunto che un qualche sole sia tramontato, che una qualche antica, profonda fiducia si sia capovolta in dubbio: a costoro il nostro vecchio mondo dovrà sembrare ogni giorno più crepuscolare, più sfiduciato, più estraneo, più «antico». Ma in sostanza si può dire che l'avvenimento stesso è fin troppo grande, troppo distante, troppo alieno dalla capacità di comprensione del maggior numero perché possa dirsi già arrivata anche soltanto notizia di esso; e tanto meno, poi, perché molti già si rendano conto di quel che propriamente è accaduto con questo avvenimento - e di tutto quello che ormai, essendo sepolta questa fede, deve crollare, perché su di essa era stato costruito, e in essa aveva trovato il suo appoggio, e dentro di essa era cresciuto: per esempio tutta la nostra morale europea. Una lunga, copiosa serie di demolizioni, distruzioni, decadimenti, capovolgimenti ci sta ora dinanzi: chi già da oggi potrebbe aver sufficiente divinazione di tutto questo, per far da maestro e da veggente di questa mostruosa logica dell'orrore, per essere il profeta di un offuscamento e di un eclisse di sole, di cui probabilmente non si è ancora mai visto sulla terra l'uguale?... Perfino noi, per nascita divinatori d'enigmi, noi che siamo in attesa per così dire sulle montagne, piantati fra l'oggi e il domani, interiormente tesi nella contraddizione tra l'oggi e il domani, noi primogeniti e fi-gli prematuri del secolo imminente, noi che già dovremmo scorgere le ombre che ben presto avvolgeranno l'Europa: com'è che perfino noi le guardiamo salire senza una vera partecipazione a questo ottenebramento, soprattutto senza preoccuparci e temere per noi stessi? Siamo forse ancor troppo soggetti alle più immediate conseguenze di questo avvenimento: e queste più immediate conseguenze, le sue conseguenze per noi, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, non sono per nulla tristi e rabbuianti, ma piuttosto come un nuovo genere, difficile a descriversi, di luce, di felicità, di ristoro, di rasserenamento, di rincoramento, d'aurora... In realtà, noi filosofi e «spiriti liberi», alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa,- finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinnanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così «aperto». da F. Nietzsche “La gaia scienza” (1882)

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Un concetto relativo, lo spirito libero. Si chiama spirito libero colui che pensa diversamente da come, in base alla sua origine, al suo ambiente, al suo stato e ufficio o in base alle opinioni dominanti del tempo, ci si aspetterebbe che egli pensasse. Egli è l’eccezione15, gli spiriti vincolati sono la regola; questi ultimi gli rimproverano che i suoi liberi principi trovino origine nella sua smania di farsi notare, oppure addirittura che facciano pensare ad azioni libere, cioè ad azioni che sono incompatibili con la morale vincolata. Talvolta si dice anche che questi o quei liberi principi sono da attribuire a stramberia o a esaltazione della mente; ma così parla solo una malignità, che - essa stessa - non crede a ciò che dice, ma vorrebbe, in tal modo, nuocere: infatti, la testimonianza della maggiore bontà e acutezza del suo intelletto è di solito scritta in volto allo spirito libero, e a così chiare lettere, che gli spiriti vincolati la intendono benissimo. Ma gli altri due modi di spiegare l’origine del libero pensiero sono intesi onestamente; in effetti molti spiriti liberi si formano anche nell’uno o nell’altro modo. Tuttavia le conclusioni, a cui essi per quelle vie sono giunti, potrebbero essere, proprio per questo, più vere e attendibili di quelle degli spiriti vincolati. Nella conoscenza della verità ciò che importa è che la si possieda, non per quale impulso la si sia cercata o per quale via la si sia trovata. E se gli spiriti liberi hanno ragione, allora gli spiriti vincolati hanno torto, non importa se i primi sono giunti alla verità per immoralità e se i secondi si sono attenuti finora alla non verità per moralità. D’altra parte non appartiene all’essenza dello spirito libero che egli abbia opinioni più giuste, ma piuttosto che egli si sia staccato dalla tradizione, sia con fortuna sia con insuccesso. Di solito, comunque, egli avrà dalla sua parte la verità o almeno lo spirito di ricerca della verità: egli esige ragioni, gli altri fede . Noi <spiriti liberi> viviamo sulla terra isolati e sparsi qua e là - ciò non si può cambiare; siamo pochi, e questo è giusto. Fa parte del nostro orgoglio pensare che il nostro tipo è raro e strano; e non ci accalchiamo gli uni addosso agli altri, forse neanche <ci struggiamo> per stare gli uni con gli altri. Certo, se una volta ci incontriamo, come oggi, allora si fa festa! Se adoperiamo la parola <felicità> nel senso della nostra filosofia, non pensiamo allora (come coloro che , soprattutto tra i filosofi, sono stanchi, ansiosi e sofferenti) alla pace interna ed esterna, all’assenza di dolore, all’immobilità, alla quiete indisturbata, a un <sabato dei sabati>, a una situazione di equilibrio, a qualcosa che si approssimi in valore al sonno profondo. Il nostro mondo è il regno dell’incerto, del mutevole, di ciò che è capace di trasformarsi, che ha molti significati16 - un mondo pericoloso forse; sicuramente è tutto questo piuttosto che non il mondo semplice, uguale a se stesso, prevedibile, fisso, a cui i filosofi, come eredi dei bisogni del gregge e delle angosce del gregge, hanno finora tributato i più grandi onori. […]. da F. Nietzsche “La gaia scienza” (1882)

15 Libertà è, in un primo momento, il risultato della lotta contro i vincoli della morale decadente che condizionano l’uomo, ma non lo determinano: egli infatti ha ancora, se lo vuole, la possibilità di liberarsi. In questo senso libertà coincide con liberazione. Dalla liberazione, poi, l’uomo può passare alla vera e propria libertà, cioè alla possibilità non solo di affermare l’esistenza, ma anche di scegliere e volere l’eterno ritorno. In questo senso la libertà coincide con la capacità di autodeterminarsi, cioè di essere artefici e creatori dei propri valori e quindi del senso della propria esistenza. Si comprende, allora, come il duplice significato della libertà sia legato alla duplice valenza tanto del nichilismo che dell’eterno ritorno: la libertà in quanto liberazione si ferma al nichilismo passivo e all’accettazione passiva, cioè non voluta, dell’eterno ritorno; la libertà in quanto creazione è capovolgimento tanto della volontà del nulla in volontà per qualcosa, quanto della rassegnazione di fronte all’eterno ritorno in decisione e scelta dell’eterno ritorno. 16Che non è più soggiogato alla univocità dei significati sui quali si basa la sicurezza e l’ordine della moralità tradizionale.