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Biomateriali per Protesi e Organi Artificiali Prof. Marcello Bracale Appunti del corso di Elettronica Biomedica 8. PROTESI VASCOLARI 8.1 INTRODUZIONE Le protesi vascolari sono dispositivi medici che vengono impiantati permanentemente per ripristinare l'efficacia di un tratto vascolare che, per qualsiasi motivo, non sia più in grado di trasportare correttamente il sangue. Gli impianti vascolari sono, nella quasi totalità dei casi, impianti arteriosi. Ciò dipende dal fatto che le patologie venose sono molto meno frequenti e molto meno gravi in quanto la pressione venosa è inferiore a quella arteriosa (ciò limita il danno vascolare) e solitamente si generano dei circoli collaterali che drenano comunque il sangue venoso. Inoltre i bassi valori di portata e di pressione venosa rendono critico il problema della biocompatibilità degli impianti venosi: il sangue infatti, tende a coagulare maggiormente su superfici di materiali artificiali quando il flusso è basso. Per quanto riguarda il letto arterioso esistono diverse possibili malattie della parete vascolare che conducono alle due principali cause di malfunzionamento: la stenosi e l'aneurisma (Fig. 8.1). La stenosi è un restringimento del diametro dell'arteria causato dalla crescita di una placca aterosclerotica o dalla formazione di un coagulo. Un'arteria stenotica non è più in grado di trasportare efficacemente il sangue verso i distretti più periferici e quando la stenosi è molto grave (il diametro utile per il passaggio del sangue si è ridotto moltissimo o addirittura si è annullato e l'arteria si è chiusa), i tessuti a valle possono diventare ischemici. Nella zona ischemica, a causa della privazione di sangue, si possono produrre lesioni ai tessuti la cui gravità dipende dalla durata e dall'estensione dell'ischemia. L'ischemia grave riduce o annulla l'apporto di ossigeno ai tessuti che perciò muoiono (necrosi). Nell’organo colpito da necrosi tissutale si ha infarto che produce una parziale o totale perdita della funzione dell’organo stesso. Figura 8.1 - Principali patologie arteriose. a: stenosi; b: aneurisma; c: aneurisma trombizzato. L’aneurisma è invece un allargamento dell'arteria causato dal cedimento progressivo della parete vascolare. La parete arteriosa può quindi rompersi provocando un'emorragia interna e comunque non trasportando più il sangue a valle. L'aneurisma causa anche anomale condizioni fluidodinamiche locali che possono condurre alla trombosi della zona dilatata dell’arteria. L’utilizzazione di una protesi vascolare ha come finalità quella di ripristinare corrette condizioni di flusso ovvero di ridurre il rischio di rottura di un aneurisma. La protesi vascolare può essere applicata per scavalcare la zona patologica, tipicamente una stenosi, ed in questo caso diventa un ramo circuitalmente in parallelo (bypass) come mostrato in Fig. 8.2. Napoli, 19 Marzo 2002 Pag. 1 di 44 Rif. Int.: Biomateriali per Protesi e Organi Artificiali.doc MR

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8. PROTESI VASCOLARI

8.1 INTRODUZIONE

Le protesi vascolari sono dispositivi medici che vengono impiantati permanentemente perripristinare l'efficacia di un tratto vascolare che, per qualsiasi motivo, non sia più in grado ditrasportare correttamente il sangue. Gli impianti vascolari sono, nella quasi totalità dei casi, impiantiarteriosi. Ciò dipende dal fatto che le patologie venose sono molto meno frequenti e molto menogravi in quanto la pressione venosa è inferiore a quella arteriosa (ciò limita il danno vascolare) esolitamente si generano dei circoli collaterali che drenano comunque il sangue venoso. Inoltre ibassi valori di portata e di pressione venosa rendono critico il problema della biocompatibilità degliimpianti venosi: il sangue infatti, tende a coagulare maggiormente su superfici di materiali artificialiquando il flusso è basso. Per quanto riguarda il letto arterioso esistono diverse possibili malattiedella parete vascolare che conducono alle due principali cause di malfunzionamento: la stenosi el'aneurisma (Fig. 8.1).La stenosi è un restringimento del diametro dell'arteria causato dalla crescita di una placcaaterosclerotica o dalla formazione di un coagulo. Un'arteria stenotica non è più in grado ditrasportare efficacemente il sangue verso i distretti più periferici e quando la stenosi è molto grave(il diametro utile per il passaggio del sangue si è ridotto moltissimo o addirittura si è annullato el'arteria si è chiusa), i tessuti a valle possono diventare ischemici. Nella zona ischemica, a causadella privazione di sangue, si possono produrre lesioni ai tessuti la cui gravità dipende dalla durata edall'estensione dell'ischemia. L'ischemia grave riduce o annulla l'apporto di ossigeno ai tessuti cheperciò muoiono (necrosi).Nell’organo colpito da necrosi tissutale si ha infarto che produce una parziale o totale perdita dellafunzione dell’organo stesso.

Figura 8.1 - Principali patologie arteriose. a: stenosi; b: aneurisma; c: aneurisma trombizzato.

L’aneurisma è invece un allargamento dell'arteria causato dal cedimento progressivo della paretevascolare. La parete arteriosa può quindi rompersi provocando un'emorragia interna e comunquenon trasportando più il sangue a valle. L'aneurisma causa anche anomale condizionifluidodinamiche locali che possono condurre alla trombosi della zona dilatata dell’arteria.L’utilizzazione di una protesi vascolare ha come finalità quella di ripristinare corrette condizioni diflusso ovvero di ridurre il rischio di rottura di un aneurisma. La protesi vascolare può essereapplicata per scavalcare la zona patologica, tipicamente una stenosi, ed in questo caso diventa unramo circuitalmente in parallelo (bypass) come mostrato in Fig. 8.2.

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Nel caso invece in cui occorra trattare un aneurisma di una grande arteria, tipicamente l’aorta, siimpianta la protesi all’interno dell’aneurisma, come mostrato in Fig. 8.3, previa riduzionedell’allargamento.La sutura di collegamento della protesi vascolare all’arteria naturale si chiama anastomosi.

Fig. 8.2 - Nel caso di una stenosi si impianti una protesi vascolare che porta il sangue a valle dellastenosi

Fig. 8.3 - Nel caso di un aneurisma si impianti una protesi vascolare che porta il sangueall’interno dell’aneurisma.

Esistono molti diversi tipi di impianti vascolari che possono anche impropriamente andare sotto ilnome di protesi vascolari. Qui di seguito è riportato un elenco da cui si può vedere come alcuniimpianti siano di origine biologica, mentre altri siano costituiti da materiali prodottiindustrialmente.

1. impianti vascolari di origine biologica1.1 non trattati chimicamente

1.1.1 vena del paziente stesso1.1.2 arteria del paziente stesso1.1.3 vena di altro soggetto umano1.1.4 arteria di altro soggetto umano

1.2 trattati chimicamente

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1.2.1 vena ombelicale umana1.2.2 vaso bovino1.2.3 protesi prodotta con pericardio bovino

1.3 con supporto sintetico1.3. l protesi prodotta all’interno del paziente stesso1.3.2 protesi prodotta all’interno di un animale1.3.3 protesi fabbricata per coltura di tessuti viventi

2. impianti vascolari di origine sintetica2.1 in politetrafluoretilene (PTFE o Teflon)

2. l. l. tessuto2.1.2 espanso (Gore-Tex)

2.2 in polietilentereftalato (PET o Dacron)2.2.1 poroso (light weight design)2.2.2 velour2.2.3 woven o knitted2.2.4 rinforzato2.2.5 rivestito

2.3 in poliuretano2.4 bioriassorbibile

Negli impianti di origine biologica si tenga presente che in alcuni casi si preleva il vasodirettamente dallo stesso paziente, talvolta senza devitalizzarlo e pertanto non ha senso parlare diprotesi vascolari. Nel seguito verranno comunque esaminati gran parte degli impianti adottati cosìda individuare sia le soluzioni tecnologiche, sia le alternative biologiche.Si tenga presente che alcune delle soluzioni indicate sono state adottate clinicamente, ma non siusano più, altre sono tuttora in uso clinico, altre ancora sono solo allo studio o in differenti stadi disviluppo.

8.2 IMPIANTI VASCOLARI DI ORIGINE BIOLOGICA NON TRATTATI CHIMICAMENTE

Gli impianti va scolari di origine biologica non trattati chimicamente sono costituiti da tratti di venao di arteria prelevati dal paziente stesso durante l’intervento oppure da un donatore umano e poiconservati a bassa temperatura. I casi più comuni riguardano l’uso della vena safena o dell’arteriamammaria interna per eseguire il bypass coronarico e l 'uso dell’aorta prelevata da un donatore pertrattare l’aneurisma dell’aorta oppure per sostituire una protesi sintetica in seguito a complicanzeinfettive. La vena safena è una vena della gamba che ha un diametro in genere fra i 4 ed i 6 mm.Pertanto si adatta bene in tutti quei casi in cui è richiesto l'impianto di una protesi di tale diametro.L’uso più frequente, come già indicato, è quello del bypass aorto coronarico in cui si preleva lavena dalla gamba e quindi la si collega tra l'aorta e la coronaria occlusa, a valle dell'occlusione(Fig.8.4). L’altro caso è quello della riperfusione della parte terminale della gamba e del piede incui è possibile lasciare la vena safena nella sua normale posizione usandola come bypass perl'arteria che le corre vicino. In questo caso occorre tenere presente che la vena safena contiene dellevalvole che normalmente impediscono il riflusso di sangue verso il piede. Tali valvole devonoessere eliminate senza danneggiare la parete interna del vaso. Alternativamente occorre togliere lavena e rimontarla in direzione invertita così da garantire il flusso di sangue verso la periferia.L 'uso di una vena come sostituto di un’arteria ha qualche controindicazione dovuta al diversoregime pressorio e alla pulsatilità. Infatti la parete venosa è più sottile di quella arteriosa e menoelastica pertanto il suo comportamento meccanico è diverso da quello della parete arteriosa. L'usodell’arteria mammaria interna per la realizzazione di un bypass coronarico è una soluzione moltointeressante perché, essendo l’arteria mammaria interna molto vicina al cuore, è sufficiente tagliarla

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in una sezione distale e connetterla a valle della stenosi coronarica. Ciò ha il duplice vantaggio dirichiedere una sola anastomosi e di mantenere il vaso connesso all’arteria da cui normalmenteorigina e, quindi, connesso anche alla rete di vasa vasorum che nutrono la parete arteriosa. Inoltrec’è il vantaggio di usare un’arteria, quindi un vaso la cui parete è sufficientemente spessa ed elasticaper un flusso di sangue arterioso.Esistono altri casi di utilizzazione di arterie del paziente stesso per costruire un bypass anche in altreregioni dell’albero arterioso.L’uso di tratti di aorta umana prelevata da un donatore sembra essere di grande efficacia in quellesituazioni in cui è alto il rischio di infezione. I primi casi hanno riguardato la sostituzione dellevalvola aortica, e del tratto di aorta che la contiene, con un identico tratto prelevato da cadavere.Attualmente si usano differenti segmenti arteriosi prelevati da cadavere e conservati, in alcuni casicongelati, in altri a temperature di circa 4°C per giorni o settimane.

Fig. 8.4 - a: stenosi coronarica; b: bypass aorto-coro

Anche segmenti venosi prelevati da cadavere sono stati utilizzati sia per i bypass aorto coronarici,sia per la cura degli aneurismi. L'uso di segmenti vascolari prelevati da cadavere umano puòpresentare il rischio di una risposta immunitaria che può condurre all’insuccesso dell’impianto. Siail congelamento dei tessuti prima dell’impianto, sia una terapia immunosoppressiva possono ridurresensibilmente i rischi della risposta immune contro il trapianto. Un’applicazione interessante disegmenti venosi umani prelevati da cadavere è stata quella di creare accessi vascolari per itrattamenti di emodialisi.

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8.3 IMPIANTI VASCOLARI DI ORIGINE BIOLOGICA TRATTATICHIMICAMENTE

Gli impianti vascolari di origine biologica trattati chimicamente sono segmenti vascolari originali,oppure ottenuti tecnologicamente partendo da pericardio bovino, fissati in glutaraldeide. Come giàspiegato nel paragrafo 4.11 la glutaraldeide ha un’efficace effetto citotossico che elimina le celluledei tessuti rendendo trascurabile la loro immunogenicità ed inoltre stabilizza il collagene generandodei legami chimici (cross-links) fra le catene. Ciò aumenta l'affidabilità a lungo termine di questacategoria di impianti che vanno soggetti a più modesti fenomeni di degenerazione rispetto a quellinon trattati.L 'uso della vena ombelicale umana trattata con glutaraldeide è descritto in quei casi in cui ènecessario un bypass di piccolo calibro per rivascolizzare una regione a valle di una stenosi e nonsono disponibili impianti vascolari prelevabili dal paziente stesso. La vena ombelicale, che è privadi rami laterali, viene prelevata dal cordone ombelicale che collega il neonato alla placenta. Sia ilcordone ombelicale, sia la placenta, rappresentano tessuti di scarto. Il trattamento con glutaraldeideviene eseguito entro 24 ore dalla nascita del bambino dopo aver inserito all’interno della vena unmandrino con lo scopo di tenerla in forma.Altri segmenti vascolari che vengono fissati in glutaraldeide sono la carotide bovina e l’arteriamammaria interna bovina. Questi impianti vengono usati principalmente come accessi peremodialisi.Un più recente tipo di impianto di origine biologica trattato chimicamente riguarda protesi vascolariin pericardio bovino (Fig. 8.5). Si tratta di protesi va scolari con o senza biforcazione ottenutemediante cucitura di un pezzo dipericardio bovino precedentemente corrugato e trattato con glutaraldeide. Il corrugamento ha loscopo di rendere il vaso flessibile prevenendone l’occlusione durante le flessioni.

Fig. 8.5 Protesi vascolare in pericardio bovino trattato chimicamente e corrugato.Con S sono indicate le suture necessarie per realizzare la protesi.

8.4 IMPIANTI VASCOLARI DI ORIGINE SINTETICA

Gli impianti vascolari di origine sintetica sono a tutti gli effetti protesi vascolari in quanto sonofabbricati industrialmente per trasformazione tecnologica di materiali di origine non biologica. Losviluppo di sistemi artificiali per il trattamento delle patologie vascolari ha preso le sue origini neltentativo di ridurre i rischi di rottura degli aneurismi dell’aorta addominale. Durante gli anni '40 e'50 si utilizzavano tecniche come l'inserimento nel sacco aneurismatico di corde di pianoforte inacciaio inox nel tentativo di produrre la trombizzazione del sangue contenuto nel sacco stesso. Siusava anche rinforzare la parete esterna dell’aneurisma utilizzando resine epossidiche chepolimerizzavano irrigidendosi dopo l’applicazione o utilizzando fogli di cellophane trattato

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chimicamente per stimolare un processo infiammatorio e la successiva reazione fibroblastica al finedi contenere stabilmente l’aneurisma. Successivamente si notò che tessuti di seta impiantatiall’interno del ventricolo destro di cane si rivestivano di uno strato superficiale di tipo endoteliale eprivo di trombi macroscopici.Anche i tessuti fatti con fibre sintetiche mostrano un simile comportamento ed inoltre, quandovengono bagnati dalla corrente sanguigna, si deposita della fibrina all’interno della porosità deltessuto. Si ritiene che i depositi di fibrina rendano possibile la crescita di fibroblasti provenientidalla parete vasale e che questo possa facilitare la successiva migrazione dell’endotelio. Questasuccessione di fenomeni consente l’ottenimento di un rivestimento della superficie interna di unaprotesi vascolare fabbricata con tessuto di fibre sintetiche. Il rivestimento è molto simile allanormale superficie endoteliale della tunica intima arteriosa.Negli anni sono stati impiegati diversi materiali per la fabbricazione di fibre per tessuti per protesivascolari fra i quali il Vinyon N, il Nylon, l’Orlon, il Dacron ed il Teflon. Per diversi motivi legatialla progressiva perdita di proprietà meccaniche dovuta a processi di creep, o di degradazionenell’ambiente biologico, o di difficoltà di fabbricazione, fra tutti questi materiali solo il Dacron èrimasto in uso per le protesi vascolari in tessuto.

Fig. 8.6 - Formula chimica del polietilentereftaldo (PET)

Dacron è uno dei nomi commerciali di un poliestere, il polietilentereftalato (PET) che ha la formulachimica mostrata in Fig. 8.6. In genere per la produzione di fibre si utilizzano macromolecole diPET lineari di peso molecolare medio pari a circa 20000. Il poliestere in grani viene estruso infilamenti molto sottili mediante fili ere e successivamente i filamenti vengono riuniti a formare lafibra multifilamento (Fig. 8.7).Durante il processo di produzione i filamenti di poli estere vengono tirati ed allungati a lunghezze diqualche volta superiore alla loro lunghezza iniziale. Questo allungamento produce unmiglioramento delle proprietà meccaniche dovuto all’orientamento delle catene polimeriche. Leproprietà meccaniche della fibra di Dacron stirata e non stirata sono mostrate in Fig. 8.8. E'importante notare che la fibra stirata, oltre ad aumentare la sua resistenza a rottura, ha anche unamaggiore stabilità dimensionale essendo più rigida.Il PET ha una buona inerzia chimica ed un’alta idrofobia e pertanto in genere sono inibiti ifenomeni di degradazione per idrolisi delle fibre. Un altro importante vantaggio del PET rispetto adaltri polimeri è la possibilità di sterilizzarlo sia in autoclave a vapore, sia con ossido di etilene o conraggi gamma senza provocare significativi fenomeni di degradazione.

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Fig. 8.7 Processo di fabbricazione della fibra multifilamento in PET.l: grani di PET; 2: riscaldatore; 3 PET fuso; 4: pompa; 5: filiera;6: filamenti; 7: camera a vapore; 8: fibra multicomponente; 9: bobina di raccolta

Fig. 8.8 Caratteristiche sforso-deformazione del Dacron stirato(1) e non stirato(2): L sforzo è in questo caso espresso in g/den dove den sta per denier che è la misura della sezione di fibra espressa come il peso in grammi corrispondente a 9000 m di lunghezza (da: L Harmon e MS Hoffman ‘Fabrication and testing of Polyester Arterial Grafts’ in Vascular Gtaft Update, ed. KE Kambic, A Kantrowitz e P Sung, ASTM, Philadelfphia, 1986).

I tipi fondamentali di tessitura utilizzati per realizzare protesi vascolari con fibra di Dacron sonochiamati in inglese woven e knitted, quest'ultimo nelle sue versioni weft e warp. La tessitura wovenè mostrata in Fig. 8.9, la tessitura weft knitted in Fig. 8.10 e quella warp knitted in Fig. 8.11.La struttura woven mostra una grande stabilità dimensionale nelle direzioni delle fibre,perpendicolari tra loro. In genere una delle direzioni delle fibre corrisponde alla direzione dell'asse

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della protesi. Inoltre in genere, le protesi woven hanno una bassa porosità comunque controllabilecon la tecnologia tessile.La struttura knitted è caratterizzata dal fatto che le fibre non sono tese nel tessuto, ma sono dispostesecondo un disegno che prevede continue curvature. Tale disposizione rende le protesi meno stabilidimensionalmente e maggiormente porose. Storicamente le prime protesi vascolari knitted furonoprodotte con la tessitura weft caratterizzata dal fatto che le fibre sono tessute in direzionecirconferenziale nella protesi. Fra i principali svantaggi delle protesi weft knitted c'è la tendenza asmagliarsi quando vengono tagliate (tale operazione viene effettuata normalmente primadell’intervento per ottenere le protesi, generalmente confezionate di lunghezza abbondante, dellalunghezza necessaria). In genere la tendenza a smagliarsi aumenta se il taglio non è perpendicolareall’asse delle protesi. Inoltre le protesi weft knitted hanno una stabilità dimensionale inferiorerispetto alla warp knitted. Le protesi warp knitted sviluppate successivamente rispetto alle weftknitted, hanno le fibre tessute secondo la direzione longitudinale della protesi. Inoltre il numero dicurvature e di connessioni fra le fibre è superiore a quello della tessitura weft knitted.Quest’ultima caratteristica determina una maggiore resistenza alla smagliatura del tessuto tagliatoed una maggiore stabilità dimensionale in direzione radiale. Ciò riduce anche il rischio che a seguitodella dilatazione possano prodursi rotture della protesi.La valutazione clinica delle protesi ottenute per tessitura di fibre sintetiche ha consentito diidentificare i principali vantaggi e difetti di questa soluzione. Un primo punto riguarda la flessibilitàdella protesi, cioè la sua capacità di seguire curve, ad esempio quando la protesi viene impiantata incorrispondenza di un’articolazione quale l’anca o il ginocchio. In tal caso le protesi tessute tendonoad occludersi a seguito della flessione. Per ovviare a questo problema la protesi viene corrugata afisarmonica (Fig. 8.12) sia con corrugamenti circolari, sia con corrugamenti a spirale. Ilcorrugamento consente la curvatura della protesi in quanto è possibile l’allungamento dellasuperficie più esterna del tubo e l’accorciamento della superficie più interna.

Fig. 8.9 - Particolare di tessitura woven in cui lefibre formano incroci ad angolo retto

Fig. 8.10 - Particolare di tessitura weft knitted

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Fig. 8.11 - Particolare di tessitura warp knitted Fig. 8.12 - Effetto del corrogamento dellaprotesi vascolare sulla sua flessibilità. Laprotesi non corrugata (a) tende ad occludersiquando viene curvata (c) mentre la protesicorrugata rh) consente curvature senzaocclusione del lume (d).

Il corrugamento rende inoltre la protesi adattabile alle variazioni di lunghezza durante l’impiego.Ciò minimizza le sollecitazioni sulle suture con l'arteria naturale e rende meno critico il taglio dellaprotesi alla lunghezza necessaria.Un altro punto importante già citato è la porosità. La porosità di una protesi vascolare è un termineimproprio con cui si indica la permeabilità della protesi al sangue. Si misura con prove dipermeabilità all’acqua. Si considera non poroso un tessuto che sottoposto ad un battente di acqua di120 mmHg lascia passare meno di 300 cm3 d’acqua al minuto per centimetro quadrato di tessuto.Le protesi tessute, in particolare le knitted, sono porose e quindi tendono a far uscire il sangue chefluisce alloro interno. Per eliminare questo inconveniente il chirurgo bagna la protesi nel sangue delpaziente prima dell’impianto. Il sangue coagulando all’interno della porosità del tessuto la rendeimpermeabile ed inoltre innesca quei fenomeni già descritti che conducono alla crescita di untessuto endoteliale che rende emocompatibile la superficie interna della protesi.Per quanto riguarda la compatibilità funzionale delle protesi vascolari occorre considerarel’elasticità radiale (compliance). Infatti, come già descritto nel paragrafo 4.10, le arterie hannoproprietà elastiche che consentono la loro dilatazione radiale quando la pressione del sangue è nelpicco sistolico ed il loro recupero dimensionale durante la diastole. Questi fenomeni di accumuloperiodico di sangue dovuti all’elasticità delle arterie determinano anche il progressivo smorzamentodelle onde di flusso e di pressione che si osserva andando dal cuore verso la periferia. Anche lavelocità di propagazione (v) delle onde di pressione dipende dall’elasticità della parete dei vasi (E)oltre che dal loro spessore (s), dal loro diametro (D) e dalla densità (P) del sangue come descrittodalla relazione di Moens-Korteweg

Quando un tratto di arteria, nel caso specifico un tratto sostituito con una protesi vascolare, haproprietà elastiche radiali diverse, in genere maggiore rigidità, si hanno due principali conseguenze.La prima è di tipo fluidodinamico e riguarda la discontinuità, nella velocità di propagazione delleonde di pressione. La sezione di interfaccia tra il vaso naturale e quello artificiale è la sezione in cuisi verifica la discontinuità fluido dinamica ed è sede di fenomeni di riflessione d’onda, tipici dellesingolarità geometriche. Le riflessioni d’onda possono provocare sovrapressioni locali che possonoa loro volta causare la formazione di nuovi aneurismi. La seconda conseguenza riguarda lesollecitazioni sulla sutura delle anastomosi termino-terminali, sollecitazioni dovute al fatto che ilvaso naturale si dilata radialmente, mentre la protesi mantiene la dimensione originale.In Fig.8.13 sono riportate le curve sforzo-deformazione, sia in direzione circonferenziale, sia indirezione radiale, di protesi tessute in PET e in PTFE e di diversi tratti di aorta. Le curve mostranochiaramente come le protesi tessute siano molto più rigide dei tratti di aorta in direzionecirconferenziale, mentre il comportamento è più simile in direzione longitudinale. Ancora si puònotare che fra le protesi tessute le più rigide sono quelle in PET rispetto a quelle in PTFE e che latessitura woven è più rigida della knitted.Qualche tentativo è stato fatto per realizzare protesi tessute con superiore elasticità radiale. Adesempio sono stati utilizzati tessuti ottenuti con fibre in poliuretano che ha una minore rigidità delPET e del PTFE. E’ infatti possibile ottenere dei poliuretani con catena copolimerica a blocchi incui, dosando opportunamente la quantità relativa dei blocchi elastici (soft) rispetto a quella dei

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blocchi rigidi (hard), si può ottenere una vasta gamma di proprietà meccaniche fra cui selezionarequella più opportuna. Purtroppo, nonostante la loro superiore compatibilità funzionale, le protesitessute in poliuretano non sono impermeabili in quanto, proprio a causa della elasticità radiale,aumentano la loro porosità durante l’aumento sistolico della pressione, Un’altra categoria di protesivascolari è quella costituita da PTFE espanso (Gore Tex). Il Gore-Tex ha una struttura espansaottenuta con uno speciale processo di stiramento ad alta temperatura che genera dei nodi di PTFEinterconnessi da sottili fibrille altamente orientate (Fig.8.l4).

Fig. 8.13 - Comportamento meccanico di protesi vascolari e, per confronto, di tratti di arterie. a:curve sforzo-deformazione in direzione circonferenziale ; b: curve sforzo deformazione in direzionelongitudinale. 1: protesi in PET woven; 2: protesi in PTFE woven; 3: protesi in PET knitted; 4:protesi in PTFE knitted ; 5: arteria italica ; 6: aorta addominale distale; 7: arteria femorale; 8:aorta addominale prossimale; 9: aorta toracica distale; 10: aorta toracica prossimale; 11: aortaascendente; 12 : aorta toracica; 13 : aorta addominale (da : M Hasegawa e T Azuma ‘MechanicalProperties of Synthetic Arterial Grafts’, J. Biomechanics, 12, pp. 509-517,1979).

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Fig. 8.14 - Struttura del PTFE espanso (Gore-Tex)

Il politetrafluoretilene ha una catena polimerica completamente fluorurata che gli conferisceproprietà chimiche e fisiche abbastanza uniche fra i polimeri quali eccellente inerzia chimica,elevata temperatura di rammollimento (342 °C), eccellenti proprietà dielettriche, ottima stabilitàdelle proprietà meccaniche, anche in presenza di ambiente aggressivo, proprietà autolubrificanti.In genere il Teflon è usato nella sua forma non porosa per svariate applicazioni quali tenute,elementi antifrizione, rivestimenti antiaderenti, ecc. L’elevata temperatura di rammollimento delTeflon e la sua alta viscosità (1011 p a 380°C) rende praticamente improponibile l 'utilizzazionedelle normali tecnologie di stampaggio a iniezione o di estrusione per la produzione di componentiin Teflon. Per la formatura di componenti in Teflon si utilizzano processi molto simili a quelli dellametallurgia delle polveri. Si parte da una miscela di polveri di Teflon e di un lubrificante petrolifero(ad esempio nafta) che viene formato a temperatura ambiente in uno stampo o mediante estrusione.Ottenuta la geometria finale del pezzo in produzione si esegue un riscaldamento fino ad unatemperatura superiore a quella di rammollimento ottenendo una sorta di sinterizzazione che facompattare le polveri. Si esegue poi un raffreddamento a velocità controllata per ottenere il pezzofinale con l’opportuno grado di cristallinità che conferisce al materiale le richieste proprietà fisiche.Per l’ottenimento di prodotti in Teflon porosi sono state messe a punto tecnologie di fabbricazionedi fibre che poi vengono tessute analogamente a quanto mostrato per il Dacron. Il Teflon espanso èstato sviluppato più recentemente (metà degli anni '60) e ha consentito di ottenere film, lastre, barree tubi in Teflon con la struttura continua e porosa mostrata in Fig.8.14. Lo sviluppo di protesivascolari in Gore-Tex è della seconda metà degli anni '70 e queste protesi hanno avuto, e hannotuttora, un grandissimo impiego clinico. Le protesi vascolari in gore-tex, grazie alla struttura delmateriale con cui sono fabbricate, non si occludono quando vengono curvate, hanno inoltre ottimeproprietà meccaniche e di biocompatibilità.

9. PROTESI VALVOLARI CARDIACHE

9.1 INTRODUZIONE

Le protesi valvolari cardiache sono dei dispositivi artificiali la cui progettazione e realizzazionepresenta un elevato grado di complessità. Ciò dipende dal fatto che una protesi valvolare deveessere un dispositivo completamente impiantabile, deve rimanere impiantato permanentemente edal suo funzionamento dipende la vita del portatore. Al fine di comprendere le diverse soluzionitecnologiche adottate per sostituire le valvole cardiache naturali è opportuno premettere qualchecenno sul funzionamento del cuore come pompa.Il cuore è costituito da due pompe volumetriche affiancate, sincrone e circuitalmente in serie. Ilcuore destro pompa il sangue venoso, povero di ossigeno e proveniente dalla circolazione sistemicanella quale ha nutrito i tessuti dell’organismo, verso i polmoni dove cede l’anidride carbonica e si

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ossigena. Il cuore sinistro pompa il sangue ossigenato di ritorno dai polmoni verso le arterie delcircolo sistemico. Lo schema circuitale è mostrato in Fig. 9.1.Il pompaggio del cuore consiste nel fornire al sangue l'energia necessaria a percorrere il circuito avalle dove si ha una progressiva perdita di pressione dovuta alla resistenza vascolare. Pertanto ilsangue torna al cuore a bassa pressione e ne esce ad una pressione superiore. Per ottenere questoeffetto ciascuna metà del cuore è dotata di due camere, un atrio e un ventricolo. Ciascun ventri coloha una valvola di aspirazione che lo separa dall’atrio e una valvola di mandata che lo separa dalcircuito a valle (Fig. 9.2)Le valvole di aspirazione, dette atrioventricolari, sono la tricuspide a destra e la mitrale a sinistra.Le valvole di mandata, dette semi lunari a causa della loro forma, sono la polmonare a destra el’aortica a sinistra. Il pompaggio del cuore è determinato dalla sequenza di due fasi: la diastole e lasistole. Durante la diastole i ventricoli si dilatano riempiendosi di sangue proveniente dagli atriiattraverso la valvola di aspirazione (le valvole di mandata sono chiuse durante questa fase). Durantela si stole invece i ventri coli si contraggono eiettando il sangue che contengono verso la periferiaattraverso le valvole di mandata (le valvole di aspirazione sono chiuse durante questa fase). L'effetto che si ottiene è mostrato in Fig. 9.3 in termini di pressioni, volume e flusso per il solo cuoresinistro. Si tenga presente che il funzionamento del cuore destro è 10 stesso del cuore sinistro fattaeccezione per i valori di pressione che sono inferiori in quanto la resistenza idraulica del circolopolmonare è inferiore a quella del circolo sistemico. In condizioni normali la pressione ventricolaredestra raggiunge i 40 mmHg contro i 120 mmHg della pressione ventricolare sinistra.

Figura 9.1 - Schema circuitale dellacircolazione sanguigna. CD: cuore destro; P:polmoni; CS: cuore sinistro; TeO: tessuti eorgani.

Figura 9.2 - Circolazione del sangue nel cuore.1: vena cava superiore; 2: vena cava inferiore;3: atrio destro; 4: ventricolo destro; 5: arteriapolmonare comune; 6: arteria polmonaredestra; 7: arteria polmonare sinistra; 8: venepolmonari; 9: atrio sinistro; 10: ventricolosinistro; II: aorta; JiT: valvola tricuspide; VP:valvola polmonare; VM: valvola mitrale;VA: valvola aortica.

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L’apertura e la chiusura di una valvola cardiaca avviene unicamente come conseguenza dei livellipressori a monte e a valle della valvola stessa. Quando la pressione a monte è superiore allapressione a valle la valvola si apre consentendo il flusso del sangue. Quando la pressione a vallesupera la pressione a monte la valvola si chiude impedendo il flusso retrogrado di sangue. Inrelazione alla Fig.9.3 si osserva che nel punto m c la pressione ventricolare supera quella atriale e lavalvola mitrale si chiude. Nel punto aa la pressione ventri colare supera quella aortica e la valvolaaortica si apre. Nel punto ac la pressione ventricolare scende sotto quella aortica e la valvola aorticasi chiude. Nel punto ma la pressione ventri colare scende sotto quella aortica e la valvola mitrale siapre. Pertanto fra mc e aa entrambe le valvole sono chiuse, non si ha flusso e il volume ventri colarerimane costante. Tra aa e ac la valvola aortica è aperta, si ha flusso uscente dal ventricolo versol’aorta e il volume ventricolare diminuisce. Tra ac e ma entrambe le valvole sono chiuse, non si haflusso e il volume ventricolare rimane costante. Tra ma e m c la valvola mitrale è aperta, si ha flussoentrante dall’atrio nel ventricolo e il volume ventricolare aumenta.

Figura 9.3 - Il grafico in alto mostra le tipiche curve di pressione del sangue nell’aorta (pao), nelventricolo sinistro (pv) e nell’atrio sinistro (pat). Nel grafico centrale ed in quello inbasso sono riportate le curve del flusso in aorta all’uscita del ventricolo e del volumeventricolare sinistro. I tre grafici si riferiscono ad un singolo ciclo cardiaco allafrequenza di circa 72 battiti al minuto.

Da quanto esposto emerge il ruolo fondamentale delle valvole cardiache nel consentire la funzionepompante del cuore con la necessaria efficacia e unidirezionalità del flusso. Infatti le malattie checolpiscono i tessuti degli apparati valvolari riducono l’efficacia e la unidirezionalità del flusso disangue e, quando sono di particolare gravità, possono portare alla morte del soggetto per

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insufficiente capacità di pompaggio del cuore. Le principali malattie valvolari sono la stenosi(riduzione del lume di passaggio a valvola aperta) e l'insufficienza (non completa tenuta a valvolachiusa). La valvola stenotica induce un aumento di resistenza al passaggio del sangue e questo ingenere produce un aumento di energia necessario al cuore per ottenere lo stesso effetto pompante.L’insufficienza causa un riflusso di sangue attraverso una valvola quando dovrebbe essere chiusa edi conseguenza un aumento del volume di sangue che il cuore deve pompare per ottenere lo stessoeffetto. In alcuni casi le patologie sono associate e la valvola è steno-insufficiente. Le patologievalvolari colpiscono più frequentemente la valvola mitrale, seguita dall’aortica e dalla tricuspide.Prima dell’avvento della macchina per la circolazione extracorporea del sangue, che ha resopossibili gli interventi a cuore aperto in arresto cardiaco, le patologie valvolari non erano curabilichirurgicamente e conducevano ad una crescente riduzione di attività del malato ed infine allamorte. La nascita della cardiochirurgia è stata seguita dallo sviluppo di protesi valvolari cardiachecon le quali è possibile sostituire una o più valvole stenotiche e/o insufficienti ripristinando unabuona funzione pompante del cuore.

9.2 CARATTERISTICHE FUNZIONALI DI UNA PROTESI VALVOLARE CARDIACA

Le prime protesi valvolari cardiache erano dei dispositivi abbastanza rudimentali, spesso ideati dailluminati cardiochirurghi e realizzati con l’aiuto di un tecnico o di un ingegnere amico, cheassolvevano fondamentalmente alla principale funzione di una valvola cardiaca naturale. Erano cioèdei dispositivi in grado di aprire e di chiudere il lume valvolare secondo i livelli pressori a monte e avalle. La prima realizzazione consisteva in una struttura che conteneva una palla che, muovendosispinta dal sangue, ostruiva o lasciava libero il lume valvolare. L’esperienza clinica ha però indicatocome una buona protesi valvolare non debba assolvere semplicemente la funzione valvolare, madebba anche farlo senza indurre alterazione nei tessuti circostanti (principalmente nel sangue concui è in diretto contatto). Negli anni sono stati realizzati molti diversi tipi di protesi valvolari neltentativo di ottenere un dispositivo affidabile nel tempo che, oltre a ripristinate il correttofunzionamento pompante del cuore, garantisse anche una buona qualità della vita al portatore.Le protesi valvolari cardiache impiegate clinicamente per la sostituzione di una valvola naturalemalata appartengono a due categorie: le valvole meccaniche e le valvole biologiche. Le prime sonocostituite da uno o più organi mobili differentemente vincolati ad una struttura fissata al cuore. Imovimenti degli organi mobili rispetto alla struttura fissa determinano l’apertura e la chiusura dellavalvola. I materiali impiegati sono sia metalli, sia polimeri, sia materiali ceramici, ma comunquemateriali non deformabili dalle sollecitazioni meccaniche a cui sono sottoposti. Le valvolebiologiche invece sono costituite da una struttura metallica o polimerica che sostiene una valvola diforma simile alla valvola naturale aortica e realizzata con tessuto biologico di origine animale. Ilfunzionamento valvolare di apertura e chiusura non dipende in questo caso dal moto di organi rigidiall'interno di una struttura, ma dalla deformazione flessionale del tessuto biologico.Mentre le valvole meccaniche offrono una buona garanzia di durata nel tempo grazie ai materialicon cui sono fabbricate, le valvole biologiche sono soggette a fenomeni di progressivo cedimentomeccanico e/o di calcificazione, fenomeni che nel tempo inducono nuovamente patologie diinsufficienza e/o di stenosi. Per contro le valvole meccaniche, a causa della loro anomalafluidodinamica e dei materiali con cui sono costruite, tendono a far coagulare il sangue e pertanto iportatori devono essere trattati con farmaci che inibiscano la coagulazione del sangue ol’aggregazione piastrinica, mentre le valvole biologiche non presentano questo inconveniente.L’esperienza fatta con le protesi valvolari cardiache indica, per una protesi ottimale, le seguenticaratteristiche:1- dovrebbe aprirsi e chiudersi passivamente secondo i livelli pressori a monte e a valle;2- dovrebbe aprirsi e chiudersi in tempi estremamente rapidi così da non creare aggravi

energetici al cuore;

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3- durante l’apertura non dovrebbe creare perdite di pressione al sangue che la attraversa ocomunque non tali da provocare sintomi per aggravi energetici al cuore (in genere si ritieneche per portate cardiache di 5 l/min siano accettabili valori di ∆p < 20 mmHg per la valvolaaortica e di ∆p < 5 mmHg per la valvola mitrale);

4- durante la chiusura non dovrebbe consentire flussi retrogradi o comunque non tali daprovocare sintomi per aggravi energetici al cuore (in genere si ritiene che riflussi inferiori al5% della portata cardiaca siano accettabili);

5- dovrebbe mantenere le sue caratteristiche chimico.fisiche e meccaniche per un tempo pariall’aspettativa di vita del portatore tenendo presente che alla frequenza di 72 battiti/min devesopportare circa 40 milioni di cicli di apertura e chiusura all'anno;

6- non dovrebbe indurre alterazioni nel sangue e in particolare non dovrebbe causarne lacoagulazione ne l' emolisi ;

7- dovrebbe essere almeno in parte radiopaca così da consentire il controllo del suofunzionamento con indagini radiografiche;

8- non dovrebbe indurre alterazioni nei tessuti circostanti;9- dovrebbe avere dimensioni tali da adattarsi alle taglie dei diversi portatori senza sollecitare

in modo dannoso i tessuti circostanti e senza urtare, durante il funzionamento, i tessuti e lestrutture cardiache con i quali non è previsto il contatto;

10- dovrebbe essere facilmente impiantabile così da minimizzare la durata dell ' interventochirurgico e da non richiedere tecniche complicate di impianto;

11- Il non dovrebbe produrre rumore avvertibile dal portatore durante i movimenti di apertura edi chiusura in quanto tali rumori possono indurre stati psicologici dannosi per il recupero sociale delportatore.

I tentativi di ottenere una protesi valvolare cardiaca con tutte o con il maggior numero di questecaratteristiche sono stati indirizzati verso la ricerca di materiali e di geometrie (e quindi di modalitàdi funzionamento) opportuni.

9.3 PROTESI VALVOLARI MECCANICHE

1. Protesi valvolari a palla

L’impiego di un meccanismo costituito da una palla mobile all'interno di una gabbia per ottenere lafunzione valvolare cardiaca risale ai primi anni '50, quindi agli albori della cardiochirurgia. E' del1952 il primo impianto di un dispositivo di questo tipo per trattare l’insufficienza aortica grave (inquesto primo impianto la valvola fu inserita nell'aorta discendente del paziente, quindi a valle dellavalvola insufficiente). Per pura curiosità si nota che il concetto della valvola idraulica unidirezionale con palla e gabbia fu brevettato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1858 come tappoper bottiglie. In Fig.9.4 è mostrata la protesi valvolare a palla e il suo funzionamento.La valvola è costituita da tre elementi: la gabbia, la palla e I' anello di sutura. Le prime gabbie eranorealizzate in acciaio inossidabile, mentre successivamente sono state fabbricate per fusione inStellite 21, una lega di cobalto (61 ÷63.5%), cromo (22.5÷29%), molibdeno (5÷6%) e nichel (1.75÷3.75%). La palla è realizzata in gomma siliconica addizionata con il 2% in peso di solfato di barioper renderla radiopaca. In qualche modello è stata impiegata una palla metallica vuota in Stellite. L'anello di sutura è realizzato con tessuto di Dacron o di Teflon. In genere le valvole a palla hannouna elevata affidabilità meccanica nel tempo.

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Figura 9.4 - a: la valvola a palla; b: valvola a palla aperta e andamento delle linee di flusso; c:valvola a palla chiusa. A destra sono mostrate le viste della valvola a palla aperta echiusa. L’area grigia è l’area occupata dall’elemento mobile.

Fra i principali inconvenienti si ricordano i seguenti:1- la fluido dinamica a valvola aperta è fortemente disturbata dalla presenza

della palla a valle del lume valvolare. Questo fatto, insieme alla presenza delle strutturemetalliche della gabbia, è potenzialmente trombogeno specialmente nelle zone di maggiorristagno del sangue;

2- la valvola, soprattutto in posizione aortica, produce un effetto stenotico in quanto l’aorta, avalle del lume valvolare, è parzialmente ostruita dalla palla;3- i materiali con cui sono realizzati i componenti valvolari sono potenzialmente trombogeni;4- quando la valvola è montata in posizione mitrale, la gabbia, che è molto alta in direzione

assiale, può urtare le parti interne del ventri colo producendo alterazioni nei fenomeni diconduzione elettrica del segnale di eccitazione cardiaca. Ciò può causare alterazioni al ritmocardiaco;

5- le dimensioni e la massa della palla richiedono dei tempi elevati per l’apertura e la chiusuradella valvola. Questo fatto provoca un riflusso di sangue prima che la valvola si chiuda;

6- la valvola chiusa è a tenuta perfetta. Ciò dipende dal fatto che la palla ha un diametrosuperiore alla sede della gabbia. Pertanto alla chiusura la palla si appoggia sulla sede dellagabbia e questo è potenzialmente causa di emolisi per schiacciamento meccanico dei globulirossi che rimangono intrappolati fra palla e sede della gabbia. Ricordando che ciò avvienead ogni battito cardiaco si può capire il rischio emolitico di questo tipo di protesi.

Per ovviare ad alcuni di questi problemi è stata sviluppata una protesi a palla con doppia gabbia, amonte e a valle, e palla più piccola. In Fig.9.5 è mostrato il confronto fra i due tipi di protesi.

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Figura 9.5 a : valvola a palla tradizionale ; b: valvola a palla modificata.

Nella valvola modificata la palla, avendo un diametro di poco inferiore alla sede della gabbia,durante la chiusura non si appoggia all’anello di base, ma vi entra dentro e viene tenuta in posizionedalla gabbia a monte. Questo fatto produce un modesto riflusso a valvola chiusa a causa del gioconecessario tra palla e sede della gabbia, ma elimina il rischio di emolisi. Inoltre le minoridimensioni della palla riducono la stenosi a valvola aperta, riducono l’attesa della gabbia a valle eriducono anche, a parità di densità del materiale della palla, la massa e quindi l'inerzia della palla.La struttura a doppia gabbia è realizzata per lavorazione da un unico pezzo di titanio.

Figura 9.6 a: la valvola a disco con gabbia; b: valvola aperta e andamento delle linee di flusso;c: valvola chiusa. A destra sono mostrate le viste della valvola aperta e chiusa.L’area grigia è l’are occupata dall’elemento mobile.

Oltre a questi due principali modelli di protesi valvolare a palla con gabbia e che sono ancora in usoclinico, molti altri modelli basati sullo stesso principio di funzionamento sono stati proposti, mahanno avuto un minore successo. Fra questi si ricorda un modello in cui la palla era sostituita da undisco traslante all'interno di una gabbietta più bassa. La valvola, mostrata in Fig.9.6, aveva il discorealizzato in Delrin (poliossimetilene) e la gabbia in Stellite.Il vantaggio presunto di questa protesi è nel profilo più basso della gabbia che crea minoriinconvenienti, soprattutto in posizione mitrale o tricuspidale. Per contro offre peggiori condizionifluidodinamiche rispetto alla valvola a palla e una maggiore zona di ristagno a valle del discoAnche l’affidabilità meccanica risulta inferiore soprattutto per la potenziale usura del disco nellezone di contatto con la gabbia.

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2. Protesi valvolari a disco oscillante

Nel tentativo di ovviare ad alcuni dei principali problemi delle protesi a palla, fra cui la non buonafluidodinamica e la perdita di carico dovuta all’ingombro della palla, e sulla scia del suggerimentofornito dalla valvola a disco con gabbia, nella seconda metà degli anni '60 sono state sviluppate leprime protesi valvolari a disco oscillante (Fig. 9.7).Le valvole a disco oscillante sono costituite da tre elementi: un disco, una gabbietta e un anello disutura. Il meccanismo di funzionamento valvolare consiste nel movimento di rotazione del discointerno ad un asse, fisso o traslante, perpendicolare rispetto alla direzione del flusso di sangue. In talsenso il disco apre e chiude la sede valvolare secondo il meccanismo di uno sportello. Rispetto aiprimi modelli, che avevano il disco incernierato sulla gabbietta, i modelli più recenti e ancora in usoclinico hanno il disco libero di ruotare intorno al suo asse e vincolato nel movimento dalla presenzadi differenti strutture o gambetti ancorati all’anello valvolare. La valvola a disco oscillante ha uncomportamento fluidodinamico molto migliore rispetto alla valvola a palla in quanto la presenza deldisco nel letto fluido genera solo una modesta flessione dei profili fluidi. Tale flessione dipendedall'angolo di apertura del disco che in genere, in funzione del modello di protesi, varia da 60° a 90°rispetto al piano valvolare. La perdita di pressione transvalvolare è contenuta e in genere il grado distenosi è trascurabile. Il disco inoltre non causa particolari zone di ristagno e riduce il rischiotrombogeno.Rispetto alla valvola a palla la protesi a disco oscillante ha il disco di diametro leggermenteinferiore rispetto all’anello della gabbietta affinché non si incastri durante la chiusura. Questo fattogenera un modesto riflusso a valvola chiusa, riflusso che deve essere minimizzato controllandoopportunamente le tolleranze di lavorazione e i giochi nell’accoppiamento disco-gabbietta. Inoltre siriduce moltissimo il rischio di emolisi per schiacciamento dei globuli rossi fra disco e anello dellagabbia durante la chiusura, ma può generarsi emolisi per trafilamento di sangue nel meato lasciatodal gioco fra disco e anello della gabbietta. In genere l’emolisi globale prodotta da una protesi adisco oscillante è molto inferiore rispetto a quella di una protesi a palla, e comunque nonclinicamente significativa.

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Figura 9.7 - a: la valvola a disco oscillante; b: valvola aperta e andamento delle linee di flusso;c: valvola chiusa. A destra sono mostrate le viste della valvola aperta e chiusa. L'area grigia è l'area occupata dall'elemento mobile.

Le gabbiette della valvola a disco oscillante sono in genere difficili da realizzare in quanto hannouna geometria complessa. Infatti i gambetti all’interno dell’anello della gabbietta devono consentirein modo preciso i movimenti del disco evitando che questo si blocchi e devono anche consentirel’inserimento del disco durante l’assemblaggio della valvola garantendo che il disco non fuoriescadurante il normale funzionamento. L’assemblaggio in genere si ottiene mediante deformazione deigambetti in campo elastico.Quasi tutte le gabbiette sono realizzate in metallo. Si fa uso del titanio che viene lavorato perasportazione di truciolo o per elettroerosione e della Stellite che consente anche microfusioni esaldature. Queste ultime sono però lavorazioni sconsigliate in quanto rendono localmente menoresistente la gabbietta, soprattutto ai fenomeni di fatica meccanica che sono i più critici per l'affidabilità meccanica di una protesi valvolare cardiaca.Il disco presenta invece il più significativo contributo in termini di introduzione di nuovi materialiin campo biomedico. Infatti, dopo i primi modelli nei quali il disco era realizzato in Delrin,materiale con buone caratteristiche di emocompatibilità ma che tendeva ad usurarsi e a degradarsinella sterilizzazione, praticamente tutte le valvole a disco oggi in uso clinico hanno il disco, almenoin parte, di carbonio pirolitico (Fig. 9.8)

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Figura 9.8 - Mezzo dischetto occlusore di una valvola a disco oscillante. Il disco è realizzato conl'anima in grafite rivestita con uno strato di carbonio pirolitico.

I dischi sono infatti costituiti da un’anima in grafite sulla quale viene depositato con la tecnologia aletto fluido il carbonio pirolitico per uno spessore di circa 0.2÷0.3 mm. La superficie viene poilucidata a mano per ottenere i migliori effetti di antitrombogenicità e di resistenza all 'usura. Al finedi rendere il disco radiopaco in alcuni dischi è stato inserito un piccolo anello in tantalio, mentrenella maggior parte viene aggiunta della polvere di tungsteno alla grafite prima della sinterizzazionecon la quale si realizza l’anima da rivestire in carbonio pirolitico. L’anello di sutura è realizzato intessuto di Teflon o di Dacron. In alcuni casi è parzialmente rivestito con un film sottile di carboniopirolitico ottenuto con il processo di deposizione sotto vuoto a bassa temperatura. Le valvole a discooscillante hanno una elevatissima resistenza meccanica, una buona fluidodinamica e il carboniopirolitico del disco ha ottime caratteristiche di emocompatibilità. Nonostante queste caratteristichepermane il rischio tromboembolico e i portatori devono comunque essere sottoposti a terapiaanticoagulante. Dal punto di vista chirurgico occorre prestare attenzione all’orientamento durantel’impianto in quanto durante i movimenti di apertura e di chiusura il disco non deve urtare lestrutture biologiche circostanti che potrebbero bloccarlo. In alcuni modelli la valvola può essereruotata all'interno dell’anello di sutura così da orientarla in modo ottimale anche dopo la sutura.Un problema emerso con l’uso della valvola a disco oscillante è il rumore prodotto dall’urto fra ildisco e la gabbietta in fase di chiusura. Tale rumore può in alcuni casi essere avvertito dal portatoree anche da chi gli è vicino. Il portatore che avverte il rumore della valvola può essere soggetto aproblemi psicologici, anche gravi, di ansietà che ne possono limitare il recupero sociale.Infine è opportuno sottolineare alcuni importanti aspetti tecnologici legati al controllo di qualità chedeve essere molto accurato in quanto eventuali rotture del disco o della gabbietta portano in unaelevata percentuale di casi alla morte del portatore. E' opportuno controllare la tecnologia dideposizione del carbonio pirolitico sul disco affinché lo spessore del deposito sia pressochéuniforme. Questo perché la grafite interna non ha adeguate proprietà meccaniche e spessori dicarbonio pirolitico troppo piccoli possono portare alla rottura del disco. Anche la gabbiettametallica deve essere controllata attentamente perché eventuali cricche superficiali o soffiatureinterne possono portarla alla rottura per fatica meccanica.

3 Protesi valvolari a due emidischi

Verso la fine degli anni ‘70 sono entrate in uso clinico le protesi a due emidischi (Fig. 9.9) che sonoun’evoluzione della valvola a disco oscillante.Le protesi valvolari a due emidischi sono costituite da quattro principali componenti: due emidischiidentici, un anello valvolare e un anello di sutura. Sia i due emidischi, sia l’anello valvolare sonorealizzati in carbonio pirolitico. Recentemente sono state realizzate valvole a due emidischi incarbonio pirolitico senza anima in grafite e valvole i cui emidischi sono in titanio rivestito concarbonio pirolitico depositato in film sottile a bassa temperatura sotto vuoto. Il carbonio piroliticosolido, senza anima in grafite, si ottiene con la tecnologia tradizionale di pirolisi di idrocarburidepositando strati elevati (> l mm) su un supporto in grafite. Si stacca successivamente il depositodalla grafite ottenendo dei campioni di carbonio pirolitico solido da cui ricavare, per asportazione ditruciolo, il pezzo finito. Al fine di lavorare alle macchine il carbonio pirolitico è necessario nonaggiungere il silicio durante il deposito nel letto fluido così da ridurre la durezza e quindi la fragilitàdel materiale che altrimenti non consente lavorazioni meccaniche. I due emidischi sono incernieratialI' anello valvolare così da realizzare una valvola a due sportelli. Le zone di ceramica sono le piùcritiche sia per quanto riguarda la resistenza meccanica, sia per quanto riguarda il rischio dicoagulazione del sangue.

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Le protesi valvolari a due emidischi hanno un comportamento fluidodinamico superiore rispetto allevalvole a disco oscillante in quanto i filetti fluidi sono poco disturbati e deviati dalla presenza deidue emidischi che in genere hanno angoli di apertura molto elevati. Questo fatto insieme allarealizzazione di tutti i componenti in carbonio pirolitico riduce molto il rischio di coagulazione delsangue, rischio comunque presente e che impone anche con questa valvola l 'uso di farmacianticoagulanti e/o antiaggreganti piastrinici. In genere è molto basso il riflusso a valvola chiusa eanche il rischio emolitico.L’anello di sutura, in alcuni casi in parte rivestito di carbonio pirolitico in film sottile, spessoconsente l’orientamento della valvola anche dopo la sutura nella sede valvolare.Anche le valvole a due emidischi talvolta producono rumore udibile dal portatore durante lachiusura.

Figura 9.9 - a : la valvola a due emidischi; b: valvola aperta e andamento delle linee di flusso; c:valvola chiusa. A destra sono mostrate le viste della valvola aperta e chiusa. L’areagrigia è l’area occupata dall’elemento mobile.

9.4 PROTESI VALVOLARI BIOLOGICHE

1. Protesi valvolari porcine

Le protesi valvolari porcine, entrate nell’uso clinico nei primi anni '70, sono costituite da unavalvola naturale aortica porcina montata su un supporto che la tiene in forma (Fig. 9.10).La valvola porcina è stata scelta per realizzare una protesi valvolare perché il cuore del maiale, equindi anche la sua valvola, è di forma e dimensioni molto simile a quello umano. Inoltre il maiale èun animale da allevamento per scopi alimentari e questo determina la grande disponibilità di valvolecardiache aortiche porcine. La valvola aortica è stata scelta perché è quella di forma più adatta adessere montata su un supporto che ne consente sia il corretto funzionamento, sia l’ancoraggio alcuore del paziente. Si noti che la protesi valvolare porcina, anche se fabbricata usando una valvolanaturale aortica, si usa indifferentemente anche per la sostituzione delle valvole atrioventricolari(mitrale e tricuspide).La fabbricazione di una protesi valvolare porcina inizia con il prelievo della valvola aortica porcinache viene quindi montata, mediante sutura, sul supporto valvolare. Al fine di prevenire ladegenerazione del tessuto valvolare, di inibirne la sua antigenicità e di aumentarne le proprietàmeccaniche, la valvola porcina viene fissata in glutaraldeide. In genere il supporto valvolare èrivestito con tessuto di Teflon o di Dacron per favorirne il rivestimento con una sorta di endoteliocosì come avviene per le protesi vascolari. Il supporto valvolare è stato per lungo tempo tema di

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discussione soprattutto per quanto riguarda le sue proprietà meccaniche. Infatti, mentre i primisupporti erano rigidi, più recentemente sono stati sviluppati supporti elastici che, flettendosi in partedurante la chiusura della valvola, riducono gli stress nei foglietti valvolari.Un ulteriore miglioramento è stato suggerito realizzando supporti che consentono anche ladilatazione della base durante l'apertura della valvola e ciò al fine di consentire la normaledilatazione dell’anulus valvolare naturale.In genere i supporti sono fabbricati in leghe metalliche inossidabili oppure con materiali polimerici(polipropilene, poliossimetilene) e in questo caso spesso contengono degli inserti radiopachi perconsentire il controllo dopo l'impianto.Un problema tecnologico delle protesi valvolari porcine è l'accoppiamento tra il tessuto valvolare eil supporto. Infatti, nonostante che i supporti vengano prodotti in più taglie, in genere ogni valvolaporcina deve essere più o meno tesa, in direzione circonferenziale o in altezza, per essere montatasul supporto, ovvero viene montata su un supporto più piccolo e quindi non sufficientemente tesa.La discrepanza dimensionale può indurre sovrasollecitazioni non previste sui foglietti valvolari chene possono causare una precoce rottura ovvero causare malfunzionamenti dovuti alla non perfettaapertura o chiusura della valvola. E’ anche da notare che raramente i foglietti valvolari di unavalvola aortica naturale hanno le stesse dimensioni, in genere nel 50% delle valvole un foglietto hadimensioni diverse rispetto agli altri e in un altro 30% i tre foglietti sono differenti tra loro. Anchequeste differenze anatomiche rendono difficoltoso e comunque poco probabile il correttoaccoppiamento con il supporto valvolare.I foglietti valvolari della valvola aortica porcina e di quella umana sono molto simili comecostituzione tissutale. Sono composti da tessuto connettivo contenente collagene, elastina emucopolisaccaridi. Questi componenti sono variamente arrangiati a costituire tre strati: ventricolare,spongioso e fibroso. Il tutto è rivestito da uno strato monocellulare endoteliale. La strutturarisultante ha proprietà meccaniche fortemente anisotrope tali da sopportare le sollecitazionicirconferenziali consentendo ampie deformazioni radiali. Una particolarità della valvola aorticaporcina è che uno dei tre foglietti, quello non coronarico (due dei tre foglietti della valvola aortica siaffacciano all’imboccatura delle arterie coronariche, il terzo no), è in parte inglobato nel muscolocardiaco e pertanto ha una rigidità flessionale maggiore degli altri due. Per questo motivo talvoltanel fabbricare una protesi valvolare porcina si utilizzano i due foglietti coronarici di una stessavalvola aortica e un terzo foglietto coronarico prelevato da una seconda valvola aortica.

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Figura 9.10 - a: la valvola biologica porcina; b: supporto valvolare; c: valvola aperta eandamento delle linee di flusso; d: valvola chiusa. A destra sono mostrate le vistedella valvola aperta e chiusa. L’area grigia è l’area occupata dall’elemento mobile.

Ovviamente in questo caso la fabbricazione è resa più complessa e pi lì delicata dall’esigenza diulteriori suture.Il trattamento chimico del tessuto valvolare serve, come già detto, per la devitalizzazione, per lasterilizzazione e per migliorare le proprietà meccaniche e la resistenza alla fatica del tessuto. Infatti,essendo stata eliminata la componente cellulare vivente, il tessuto valvolare non è più in grado dirigenerarsi quando danneggiato. Il trattamento, infine, riduce la possibilità di calcificazione deltessuto. Le valvole porcine sono normalmente fissate in glutaraldeide o in formaldeide. Questireagenti sono impiegati in differenti concentrazioni, per tempi diversi e sono preparati in soluzioni apH diverso. La scelta delle modalità di fissaggio è influenzata da varie considerazioni checomprendono l’inibizione della calcificazione, l’efficacia della sterilizzazione, il mantenimentodella flessibilità dei foglietti, la quantità di legami fra le proteine di collagene (cross-links) e laresistenza a fatica. In genere si usa glutaraldeide a pH 7.4 seguita da un post trattamento conformaldeide a pH 5.4. Si tenga presente che questo trattamento non massimizza la formazione dicross-links. Infatti un troppo elevato numero di cross-links peggiora le proprietà meccaniche deltessuto che può irrigidirsi e diventare fragile.La calcificazione del tessuto è uno dei principali problemi che conducono ad un prematurocedimento del tessuto valvolare. La calcificazione consiste in un processo di mineralizzazione delcollagene ad opera del calcio contenuto nel sangue (il problema è maggiormente sentito nei giovanipiuttosto che negli anziani). Tale mineralizzazione induce locali concentrazioni degli sforzi dove siformano i cristalli di calcio che sono molto rigidi. L’aumento delle dimensioni dei cristalli puòanche irrigidire la valvola che tende a diventare stenotica. Il tentativo di inibire la calcificazionedella valvola è mediato dall’uso di sostanze chimiche quali surfattanti o detergenti, sostanzepolimeriche e sostituti ionici. Le protesi valvolari porcine offrono significativi vantaggi rispetto alrischio tromboembolico. Infatti, grazie al materiale biologico emocompatibile di cui sono costituitee grazie anche alla fluidodinamica sostanzialmente simile a quella della valvola naturale, il rischiodi coagulazione del sangue è così basso da non richiedere, in genere, trattamenti anticoagulanti delpaziente. Ciò elimina il rischio emorragico indotto da tali trattamenti nei portatori di protesivalvolari meccaniche. L’inconveniente delle protesi biologiche è la loro insufficienteaffidabilità meccanica. Infatti i fenomeni di fatica meccanica, spesso combinati con il processo dicalcificazione, producono cedimenti strutturali che provocano lacerazioni nel tessuto valvolare einducono fenomeni di insufficienza. Questi, insieme alla stenosi dovuta alla calcificazione, portano,in tempi diversi da caso a caso, alla necessità di sostituire la protesi con un’altra. Si tenga peròpresente che, mentre la possibile rottura di un componente valvolare di una protesi meccanica è unevento molto raro, ma quasi sempre improvviso e fatale, nel caso delle valvole biologiche ilcedimento è progressivo e lento e quindi è possibile diagnosticarlo ed intervenire in tempo perevitare che possa portare a conseguenze mortali per il portatore

2 Protesi valvolari pericardiche

La protesi valvolare pericardica è stata sviluppata negli anni ‘70 nel tentativo di ottenere unavalvola che avesse gli stessi vantaggi delle porcine rispetto alle valvole meccaniche (cioè unaelevata emocompatibilità), potesse risolvere parte dei problemi tecnologici delle protesi porcine eavesse una struttura valvolare che consentisse una migliore fluido dinamica e cioè minore resistenzaidraulica a valvola aperta. La protesi valvolare pericardica è costituita da una striscia di pericardiobovino suturata esternamente ad una struttura valvolare e dotata di un anello di sutura (Fig. 9.11).

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L’uso del pericardio bovino, ottenibile in sufficiente quantità dalla macellazione dei bovini, seguecronologicamente un iniziale uso di altri materiali biologici quali la fascia lata autologa e la duramadre prelevata da cadavere. Il pericardio bovino, ottenuto in strisce di spessore sufficientementecostante e in genere di circa 0.4 mm, viene suturato esternamente sul supporto valvolareconsentendo, rispetto alle protesi porcine che sono suturate internamente al supporto, una maggioredimensione del lume valvolare a parità di diametro di impianto e ciò riduce la resistenza idraulica.Il pericardio bovino è strutturalmente differente dal tessuto costituente la valvola aortica naturale eanche la porcina. E’ un materiale abbastanza isotropo costituito da pressoché identici strati dicollagene orientati parallelamente alla superficie. La superficie esterna del sacco pericardico è piùrugosa della superficie viscerale. L’elastina è distribuita in tutto lo spessore del pericardio condensità crescente verso la superficie esterna. I produttori di protesi pericardiche non sembranopreferire particolari zone del sacco pericardico da cui prelevare le strisce di materiale per fabbricarele protesi, ma sembra che le zone più centrali del sacco pericardico del vitello abbiano unamaggiore deformabilità grazie alloro maggior contenuto di elastina e per questo motivo sembranopreferibili. Data comunque la differenza fra le caratteristiche meccaniche del pericardio e quelle deifoglietti delle valvole naturali, il progetti sta di protesi valvolari pericardiche non devenecessariamente realizzare la valvola imitando la naturale. Infatti oltre alle valvole a tre foglietti, dicui peraltro sono stati sviluppati modelli con differenti geometrie soprattutto in termini di rapportofra altezza e diametro, sono state realizzate anche valvole con due o con un solo foglietto (Fig. 9.12)

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Figura 9.11 - a: la valvola biologica pericardica; b: valvola aperta e andamento delle linee diflusso; c: valvola chiusa. A destra sono mostrate le viste della valvola aperta echiusa. L’area grigia è l’area occupata dall’elemento mobile.

Figura 9.12 - Valvole pericardiche. a: con un foglietto, b: con due foglietti, c: con tre foglietti.

Per quanto riguarda il trattamento chimico di fissazione del pericardio, questo è molto simile aquello utilizzato per le valvole porcine. Occorre però tenere presente che, dal momento che ilpericardio di partenza ha sostanzialmente uno sviluppo planare mentre la superficie dei fogliettivalvolari ha una geometria spaziale, durante il fissaggio con glutaraldeide è necessario deformare ilpericardio affinché ottenga e mantenga la geometria finale.

9.5 ULTERIORI CONSIDERAZIONI SULLE PROTESI VALVOLARI CARDIACHE

Come spiegato nei precedenti paragrafi, le protesi attualmente in uso clinico presentano comunquesvariati problemi che possono essere così riassunti:

1- le protesi valvolari meccaniche hanno una buona affidabilità meccanica, ma il loromalfunzionamento e soprattutto la loro rottura possono essere improvvisi e fatali;

2- le protesi valvolari meccaniche, a causa della loro fluidodinamica, possono esseredanneggiate sulla superficie dagli effetti della cavitazione. Infatti in particolari condizionifluidodinamiche, che si verificano specialmente sulle superfici a valle dei dischi e degliemidischi, è possibile che le depressioni locali causate dal distacco della vena fluidaprovochino la cavitazione dellaparte liquida del sangue. La successiva implosione delle microbolle provoca onde dipressione che possono erodere la superficie valvolare arrivando a produrne la rottura;

3- le protesi valvolari meccaniche, a causa della loro forma che genera una anomalafluidodinamica e a causa dei materiali con cui sono costruite che sono tutti artificiali, sonopotenziale causa di coagulazione del sangue. L’eventuale trombo può provocaremalfunzionamenti valvolari quando si deposita sulla struttura della valvola oppure puòembolizzare andando ad occludere arterie a valle e provocando l’ischemia dei tessuti nutritidall’arteria che occlude. Per eliminare tale rischio i portatori di valvole meccaniche devonosottoporsi per tutta la vita a trattamenti farmacologici che riducono la capacità di coagularedel sangue. In tal modo però si genera il rischio di emorragie che possono essere fatali inquanto difficilmente trattabili per la presenza della protesi;

4- le protesi valvolari biologiche hanno una buona fluidodinamica e, dato che sono fabbricatecon materiali emocompatibili, il rischio di coagulazione del sangue è molto basso. I portatoridi valvole biologiche non necessitano perciò di trattamenti anticoagulanti;

5- protesi valvolari biologiche sono soggette a un progressivo cedimento dei foglietti biologici,

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cedimento in parte aggravato dai processi di calcificazione, e pertanto la loro affidabilitàmeccanica e funzionale è limitata nel tempo;

6- protesi valvolari biologiche sono soggette a calcificazione e quindi a irrigidimento deifoglietti. Ciò induce la riduzione del lume di apertura rendendo la protesi stenotica e puòanche inibire la completa chiusura. rendendo la protesi insufficiente.

alcuni tentativi sono stati fatti per migliorare, almeno in parte, le caratteristiche delle protesivalvolari cardiache. Fra questi si riportano due tipologie di impianti valvolari biologici che hannotrovato uso clinico, anche se non molto esteso. Il primo dispositivo è il cosiddetto homograft umanoche consiste nella valvola aortica naturale umana espiantata da cadavere durante l’autopsia insiemeal primo segmento dell’aorta ascendente. Questo tubo valvolato viene poi sterilizzato e reimpiantatoin posizione polmonare o aortica. In alcuni casi è possibile conservarlo congelato a -70°C eutilizzarlo a distanza di tempo. Il principale vantaggio dell'uso dell’homograft sembra essere la suacapacità di ripopolarsi di cellule vitali che consentono una possibile produzione di collagene. Diconseguenza le valvole di origine umana possono avere una vita superiore alle valvole di origineanimale trattate con glutaraldeide. Inoltre, l’assenza della struttura artificiale le rendemeccanicamente più simili alle valvole naturali. Ovviamente uno dei principali problemi è ladisponibilità di tali valvole che derivano da cadavere.Il secondo tipo di dispositivo è la valvola porcina senza supporto. E’ costituita da tre lembi valvolariporcini cuciti tra loro in modo da ricostruire una valvola cardiaca, fissati in glutaraldeide e chevanno poi suturati in tutti i loro bordi all'interno dell'aorta al posto della valvola naturale. Ilvantaggio dichiarato di queste valvole è l’assenza della struttura artificiale.In conclusione si ritiene opportuno ricordare un tipo di protesi valvolare cardiaca che potrebberisolvere gran parte dei problemi della valvole meccaniche e delle valvole biologiche ma, a causadella mancanza di materiali opportuni, non è mai stato realizzato con le sufficienti proprietà diaffidabilità meccanica. Si tratta di una valvola di forma e dimensioni simili a quelle della valvolanaturale aortica (quindi come le biologiche), ma fabbricata con materiali polimerici che non sianosoggetti ai fenomeni di cedimento meccanico e di calcificazione delle valvole biologiche. Quindil’idea è di ottenere una valvola con l’affidabilità delle valvole meccaniche e la compatibilità(anatomica, funzionale e biologica) delle valvole biologiche. Quasi tutti i tentativi hanno impiegatopolimeri della classe dei poliuretani per realizzare i foglietti valvolari, ma ad oggi tali materiali nonhanno mostrato di poter sopportare senza danni i cicli di apertura e chiusura richiesti. Ciò è in partedovuto all'azione dell’ambiente biologico nel quale si trovano a lavorare. Ad oggi la loroapplicazione è prevista solo nei ventricoli artificiali impiegati per assistenza circolatoria in pazientiin attesa di trapianto cardiaco. In questo caso infatti l’applicazione è limitata nel tempo e la richiestadi affidabilità è fortemente ridotta.

10. ENDOPROTESI ORTOPEDICHE

10.1 INTRODUZIONE

Nel settore ortopedico in genere si parla di protesi con riferimento a due tipi di dispositivi artificiali:le protesi d’arto e le endoprotesi o protesi articolari. Le prime sono dei dispositivi che sostituisconocompletamente un arto (superiore o inferiore) o una sua parte mancante dalla nascita o a seguito diamputazione. Le protesi d’arto hanno ruoli funzionali, ma anche finalità estetiche e la lorointerfaccia con l’organismo è con la superficie cutanea. In tal senso non si consideranopropriamente biomateriali i materiali con cui sono realizzate. Inoltre tali protesi vengono indossate etolte, possono essere sostituite e riparate e ogni paziente può teoricamente averne un corredo ancheper utilizzare la più adatta alle varie esigenze. Le endoprotesi ortopediche sono invece dei sistemiimpiantabili permanentemente all’interno della superficie corporea dove svolgono il loro ruolo indiretto contatto con i tessuti dell’organismo ospite. Sotto il nome di endoprotesi ortopediche siPag. 26 di 44 Napoli, 19 Marzo 2002

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raggruppano le protesi articolari, cioè quei sistemi artificiali che sostituiscono in parte o totalmenteun’articolazione che, a causa di patologie degenerative o traumatiche, non funziona più in modoadeguato. Le articolazioni di interesse per la sostituzione con protesi sono le articolazioni mobili odiartrosi. Si tratta di giunture fra due elementi ossei ai quali permettono ampi movimenti relativi.Le articolazioni degli arti superiori sono la spalla, il gomito, la radiocarpica e le articolazioni delledita della mano. Quelle degli arti inferiori sono l’anca, il ginocchio, la tibiotarsica e quelle delle ditadei piedi. Ogni articolazione è caratterizzata da propri gradi di libertà, sia nel senso di particolariassi di rotazione, sia di angoli massimi di rotazione. Ciò dipende dalla forma delle superficiarticolari e dal numero e tipo di legamenti. Questi ultimi sono dei tessuti connettivi fibrosi chedeterminano l 'unione delle superfici articolari durante il movimento, movimento che è dovuto allacontrazione dei muscoli scheletrici della regione articolare. A titolo di esempio in Fig.10.1 èmostrata l’articolazione dell’anca o coxo femorale.L’anca consente il movimento relativo fra la coscia ed il bacino. Il suo funzionamento si basasull’accoppiamento sferico tra le testa del femore e la cavità acetabolare che la ospita. La formasferica delle superfici articolari rendono possibili movimenti di rotazione rispetto ad una temaortogonale di assi passanti per il centro della superficie sferica articolare. I movimenti rotatorihanno angoli limitati dalla presenza di strutture legamento se e muscolari, ma anche dall’acetaboloche presenta una struttura a labbro ( detta cercine cotiloideo ) che garantisce la stabilitàdell’accoppiamento articolare. Altre articolazioni non presentano questa soluzione ad incastro,ovvero la presentano in modo limitato come nel caso dell’articolazione scapolomerale, e in tal casodi ha una riduzione di stabilità (rischio di lussazione con perdita dell’accoppiamento tra le superficiarticolari), ma un aumento di movimento.

Figura 10.1 - Articolazione dell’anca (coxofemorale)

Figura10.2 Forze che agiscono sull'articolazione dell'ancanel caso di appoggio bipodalico (a) e diappoggio monopodalico (h). O: baricentro; C:peso corporeo; F: forza agente su/l'articolazione; m: muscoli abduttori; R: forzagenerata de/la contrazione dei muscoli

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abduttori; M: momento generato da/lacontrazione dei muscoli abduttori.

Nel valutare il funzionamento di un’articolazione occorre considerare, oltre ai tipi e all’entità deimovimenti resi possibili, anche le sollecitazioni meccaniche trasmesse. Infatti se durante l’appoggiobipodalico (con entrambi i piedi per terra, Fig.10.2a) il peso corporeo meno il peso di entrambi gliarti inferiori risulta distribuito sulle due articolazioni che pertanto sono sollecitate con poche decinedi chili, durante l 'appoggio monopodalico (un solo piede per terra, Fig.10.2b) la sollecitazionesopportata dalle superfici articolari cresce moltissimo. Osservando la Fig.10.2.b si vede comesollevando un piede da terra, come avviene durante il passo, il baricentro della massa che gravasull’articolazione dell’arto che poggia per terra si sposta verso l’arto sollevato e la massa è uguale alpeso corporeo meno l’arto che poggia per terra. L’equilibrio del bacino rispetto all’articolazioneimpone l’annullamento del momento M generato dal peso C del tronco più quello dell’artosollevato. Tale momento è annullato dalla forza generata della contrazione dei muscoli (R) che,avendo un braccio inferiore a quello della forza peso, è qualche volta superiore a quest’ultima.

da: JP Paul 'Loading on normal hip and knee J.oints and on J.oint replacements' in Advances inArtlficial Hip and Knee Joint Technology, ed. M Schaldach and D Hohmann, Springer-Verlag,Berlino, 1976, pp.53-70.

La forza agente sull’anca è pertanto pari alla somma vettoriale delle prime due e può raggiungere,in condizioni di appoggio monopodalico dinamico come durante la camminata, la corsa, ecc., valorifino a oltre sette volte il peso corporeo.In Tab.10.1 sono riportati i valori delle forze massime che si trasmettono attraverso l’anca e ilginocchio per diversi tipi di attività. Si tratta pertanto di carichi estremamente elevati sia per quantoriguarda le sollecitazioni di presso-flessione che si generano nelle ossa (per esempio nel collo delfemore), sia per quanto riguarda le pressione e le conseguenti deformazioni e forze di attritotrasmesse fra le superfici articolari. Tali carichi inoltre sono ciclici e pertanto, mentre nelle struttureossee possono indurre risposte favorevoli da parte del rimodellamento osseo, nelle protesiproducono fenomeni di fatica.Pag. 28 di 44 Napoli, 19 Marzo 2002

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In genere i malfunzionamenti articolari che conducono alla necessità di sostituzione sonoevidenziati da una ridotta capacità di movimento, da dolore o da entrambi. Possono essere di originedegenerativa o traumatica.

10.2 GENERALITÀ SULLA PROTESI D’ANCA

La protesi d’anca è l’endoprotesi articolare più utilizzata in chirurgia ortopedica . Ciò dipende dadiversi motivi i cui principali sono: l'anca è fra le articolazioni quella che deve sopportare i carichimaggiori e che quindi più facilmente va incontro a cedimenti meccanici; le patologie che limitano ilfunzionamento dell’anca sono molto invalidanti; la sostituzione dell’anca è chirurgicamente facile;la cinematica dell'anca è facilmente riproducibile con un giunto sferico artificiale. Infatti risale al1890 il primo tentativo documentato di sostituire l’anca con una protesi. A partire dalla fine deglianni ‘30, sono stati poi sviluppati diversi modelli di protesi d’anca in cui l’evoluzione sul disegno,sui materiali, sui metodi di impianto e di ancoraggio, è stata quasi sempre dettata dal risultatodell’esperienza clinica. Negli anni sono state sviluppate protesi che coprivano solamente la testa delfemore ripristinando la superficie articolare, protesi che sostituivano la testa del femore e chevenivano fissate all’interno del canale midollare del femore, alcune di queste prevedevano anche lasostituzione dell’acetabolo, e infine protesi, quali quelle più usate oggi, costituite principalmente daquattro elementi: uno stelo femorale metallico infisso nel canale midollare del femore, una testinasferica metallica, un elemento articolare acetabolare, in genere polimerico, e un supporto metallico(metal back) dell’elemento acetabolare che lo vincola alle ossa del bacino(Fig. 10.3)

Fig. 10.3 - a: componenti di protesi d’anca; b: protesi impiantata

Nel progettare, realizzare e impiantare una protesi d'anca occorre tenere in considerazione lespecifiche anatomiche, funzionali e di biocompatibilità di un tale dispositivo, specifiche chederivano sia dallo studio del normale funzionamento dell’articolazione sana, sia dall’esperienzaclinica derivante dall’uso delle protesi impiegate fino ad oggi. Una protesi d’anca deve quindi:1- consentire i gradi di libertà rotazionali consentiti dall’articolazione naturale

fra la coscia ed il bacino;

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2- sopportare i carichi applicati durante il passo. Si ricorda a questo proposito che tali carichiraggiungono valori pari a diverse volte il peso corporeo del soggetto;

3- resistere alla fatica meccanica derivante dall ' applicazione ciclica del carico durante il passo.In genere si ritiene che l'articolazione dell'anca sia sottoposta a circa 10 milioni di cicli dicarico in 10 anni da un soggetto che conduce una normale attività. Il componente protesicomaggiormente sollecitato a fatica è lo stelo femorale;

4- avere delle superfici articolari resistenti all 'usura o comunque tali per cui l 'usura nonproduca danni funzionali ne induca risposte indesiderate dei tessuti ospiti;

5- essere fabbricata con materiali biocompatibili nel senso che non devono indurre alterazioni orisposte indesiderate nei tessuti ospiti oppure devono provocare una risposta biologica chefavorisca la stabilità meccanica dell 'interfaccia fra stelo e femore e fra metal back e bacino;

6- garantire la stabilità meccanica delle interfacce citate sia subito dopol’impianto (stabilità primaria) sia nel tempo (stabilità secondaria);

7- essere facilmente impiantabile; 8- essere facilmente sostituibile se si danneggia o comunque se il suo

funzionamento si compromette. La facile sostituibilità riguarda principalmente il fatto che lasua rimozione non deve danneggiare eccessivamente l'osso così che l'impianto di una nuovaprotesi possa avere probabilità di successo;

9- avere un comportamento biomeccanìco che non alteri le caratteristiche meccaniche globalidel sìstema bacino-femore. In particolare le attuali protesi hanno steli che irrigidiscono laparte prossimale del femore. Inoltre la catena stelo, testa e cotile delle protesi è molto piùrigida di quella naturale e ciò determina la trasmissione di carichì impulsivi potenzialmentedannosi;

10- garantire nei tessuti ossei, specialmente del femore, uno stato di sollecitazione tale per cui ilfenomeno del rimodellamento osseo non venga spostato verso ìl riassorbimento o la crescitaanomala.

Nel seguito verranno discusse alcune di queste specifiche di progetto con riferimento alle soluzioniadottate per quanto riguarda soprattutto i materiali.

10.3 PROTESI NON CEMENTATE E CEMENTATE

Le prime protesi totali d’anca erano del tipo non cementato e il loro ancoraggio all’osso era dovutoal semplice incastro meccanico (press fit) fra lo stelo femorale ed il canale di dimensioni inferioricreato nel femore. Successivamente sono state sviluppate protesi cementate per le qualil’ancoraggio all’osso dipende da una resina acrilica, interposta tra la protesi e l’osso, chepolimerizzando e indurendo determina la stabilità all'interfaccia. Attualmente sono in uso entrambi itipi che presentano diversi vantaggi e svantaggi.

1- Protesi non cementate

Il principale obiettivo delle protesi non cementate è l’osteointegrazione. Con osteointegrazione siintende il contatto diretto fra la protesi e l’osso senza tessuto connettivo interposto. Tale contattodiretto deve essere meccanicamente stabile nel senso che la trasmissione delle forze all’interfaccianon deve generare movimenti relativi fra la protesi e l’osso.L’osteointegrazione dipende dalla forma e dalle dimensioni della protesi, dalle modalità e daimateriali con cui è fabbricata la protesi, dalle caratteristiche della sua superficie e dalle modalitàchirurgiche di impianto.Un primo aspetto riguarda la quantità della superficie dello stelo femorale a contatto con l’osso.Infatti il canale femorale che viene preparato dal chirurgo deve essere tale da garantire il contattotra lo stelo e l’osso corticale in quanto la corticale ha le caratteristiche meccaniche tali daPag. 30 di 44 Napoli, 19 Marzo 2002

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sopportare gli sforzi trasmessi dalla protesi. E’ però estremamente difficile ottenere una geometriadel canale tale che tutta la superficie laterale dello stelo sia a contatto con l’osso. Minore è lasuperficie di contatto maggiori sono gli sforzi locali che possono in alcune zone danneggiare I'osso. Peraltro dove non si ha contatto non vengono trasmesse sollecitazione e può esserciriassorbimento osseo. Un altro importante aspetto riguarda il rischio associato al cosiddetto stressshielding. Infatti avviene frequentemente che una protesi non cementata scarichi le forzeprovenienti dal bacino nella sua zona distale e in tal modo il segmento prossimale del femore risultapoco sollecitato andando incontro a riassorbimento. Questo fenomeno, oltre a demineralizzarel’osso, induce la perdita della stabilità meccanica dell’interfaccia nella zona prossimale con unaconseguente esaltazione del fenomeno dello stress shielding. Per evitare questi fenomeni occorregarantire la massima stabilità primaria possibile e ciò dipende dalla precompressione che si riescead ottenere durante la fase di impianto che a sua volta dipende, oltre all ' abilità del chirurgo, dallaforma dello stelo e da quella del canale ricavato nel femore.La finitura superficiale ovvero eventuali macroporosità o addirittura fori passanti attraverso 10 stelo(Fig.10.4), possono svolgere un ruolo importante per l’osteointegrazione delle protesi noncementate.Infatti uno stelo molto liscio si ancora difficilmente all’osso e si ha la tendenza a non trasmetteresforzi tangenziali generando movimenti di scorrimento relativo che inducono lo stress shielding.Sono pertanto state sviluppate protesi con la superficie dello stelo lavorate in vario modo perfavorirne l’adesione con l’osso. Le soluzioni adottate riguardano principalmente l’ottenimento diporosità superficiali con pori di dimensioni dell’ordine dei 100 μm così come il semplice aumentodella rugosità superficiale. Una soluzione tecnologicamente e funzionalmente più interessanteriguarda il rivestimento dello stelo con idrossiapatite. Infatti l'osso ha la tendenza a riconoscerel’idrossiapatite, che è chimicamente lo stesso materiale costituente la componente mineraledell’osso corticale, e quindi legarsi chimicamente con essa. Ciò favorisce l’osteointegrazione e siritiene che i legami chimici che si formano tra l’osso e l’idrossiapatite depositata sulla superficiedello steso consenta la trasmissione delle sollecitazioni tangenziali all’interfaccia tra osso e protesiinibendo pertanto i micromovimenti relativi.

Figura 10.4 - Diverse soluzioni per favorire l’adesione degli steli femorali.a: con fori passanti nei quali può crescere l’ossob: con superficie rugosac: con superficie macroporoad: con superficie rivestita con idrossiapatite

Un altro importante aspetto che occorre considerare è la rigidità dello stelo femorale, in generemetallico. Infatti la maggiore rigidità della protesi rispetto all’osso che la ospita tende a provocare ilfenomeno dello stress shielding, cioè a far sì che sia la protesi a sopportare i carichi mentre l’ossorisulta scarico e tende ad atrofizzarsi conducendo alla mobilizzazione della protesi. Tale problema è

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stato affrontando cercando di realizzare delle protesi chiamate isoelastiche, protesi cioè chepresentano la stessa deformabilità dell’osso. Tali protesi non hanno però fornito risultati cliniciinteressanti perché non adatte a sopportare i carichi a cui le protesi d'anca sono normalmentesollecitate.Per quanto riguarda la biocompatibilità delle protesi non cementate il problema principale è lacorrosione. Infatti la necessità di sopportare carichi elevati impone l 'uso di materiali metallici etecnologie di lavorazione o per stampaggio ad alta pressione ovvero per asportazione di truciolopartendo da materiale forgiato. I metalli principalmente usati nella realizzazione degli steli femoralisono la lega di titanio Ti6AI4V, l'acciaio inox AISI 316L con Ni, Cr e Mo e la lega di cobalto Co-Cr-Mo. Tali leghe, per quanto resistenti alla corrosione, hanno la tendenza a rilasciare modestequantità di ioni metallici che, a seconda del tipo di ioni e della capacità dell’organismo di smaltirli,possono essere dannosi per le cellule. Gli effetti della corrosione localizzata, se associati asollecitazioni cicliche come nel caso della protesi d'anca, possono portare a cedimenti dello steloper fatica meccanica.Un ultimo aspetto che occorre ricordare riguarda i problemi chirurgici delle protesi non cementateInfatti, come detto precedentemente, il buon esito dell’impianto di uno stelo femorale, dipendemolto dall’osteointegrazione, quindi dalla stabilità primaria e dalla estensione della superficie dicontatto osso-protesi rispetto alla superficie della protesi. Lo stelo femorale deve essere bloccatocontro la corticale della zona diafisaria del femore per mezzo dell’inserimento a pressione in uncanale preparato dal chirurgo e di sezione leggermente inferiore a quella dello stelo. Lapreparazione del canale viene effettuata usando delle raspe per osso preparate appositamente perogni tipo di protesi. E' evidente che la preparazione del canale è tanto più difficile quanto piùcomplessa è la forma dello stelo. Pertanto in genere la superficie di contatto con la corticale di unostelo inserito nel canale è sensibilmente inferiore a quella ideale e, se è troppo piccola, può esserefavorito il precoce insuccesso dell’impianto per mobilizzazione dello stelo. Peraltro, a parità didimensioni dello stelo, le protesi non cementate necessitano di un canale di dimensioni inferioririspetto a quelle cementate e quindi rendono più agevole l 'impianto di una seconda protesi, anchecementata, successivamente ad un possibile insuccesso. L’espianto è infatti poco distruttivo perl’osso ospite, tranne nel caso di steli con fori passanti nei quali la crescita di osso neoformato puòrichiedere procedure più complesse e traumatiche per l’estrazione dello stelo.

2- Protesi cementate.

Uno stelo cementato è mostrato in Fig. 10.5. L’uso del cemento consente uno stabile ancoraggiodella protesi riempiendo del tutto lo spazio fra lo stelo e il canale femorale.

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Figura 10.5 Stelo di protesi d’anca applicato con cemento per ossa

La categoria di materiali che vanno normalmente sotto il nome di cementi per ossa deriva da quellaclasse di materiali a base di polimetilmetacrilato (PMMA) da lungo tempo già usata perapplicazioni in odontoiatria. L’uso clinico come cemento per ossa per le protesi d’anca, e per leprotesi articolari in genere, è iniziato alla fine degli anni ‘50 e da quella data il materiale usato èsostanzialmente rimasto lo stesso a meno di aggiunta di solfato di bario (BaSO4) che gli conferisceradiopacità.L’impiego originale del cemento per ossa è quello di materiale di riempimento degli spazi compresifra la protesi e l’osso con lo scopo di migliorare la distribuzione degli sforzi trasmessi dalla protesiall’osso durante il carico. La migliore distribuzione riduce la concentrazione di sforzi e laconseguente necrosi ossea che si osserva con una protesi non cementata male impiantata. Unsecondo scopo dell’uso del cemento per ossa è di ridurre il dolore dovuto ai micromovimentirelativi fra stelo e osso. Ciò è possibile grazie all’effetto di bloccaggio del cemento. Di fatto ilcemento per ossa non è un materiale adesivo e il nome cemento appare improprio.In commercio esistono diversi cementi per ossa, tutti a base di PMMA, che si differenziano percomposizione e proprietà, ma dei quali è comunque possibile dare una descrizione generale. Sitratta di un materiale rigido e opaco la cui composizione chimica è la stessa del PMMA trasparentenoto come plexiglas. L’opacità in questo caso è dovuta a eventuali inclusioni, anche gassose, e aduna relativamente bassa cristallinità. I materiali per queste applicazioni hanno un peso molecolaremedio compreso fra 1·105 e 5·105. Il cemento per ossa commerciale viene in genere fornito in unaconfezione sterile che comprende un contenitore con 40 9 di un componente solido e una fiala con20 ml di un componente liquido. Il componente solido è costituito da una polvere di microsfere(diametro compreso fra l0 e 30 μm) di PMMA, o di un copolimero PMMA-polistirene,completamente polimerizzato. Il componente solido contiene anche circa il 10% in peso di BaSO4ed una piccola quantità di sostanza (in genere benzoilperossido) che, quando attivata dalcomponente liquido, produce radicali liberi. Il componente liquido è costituito per oltre il 97% inpeso da monomero metilmetacrilato (MMA) più un iniziatore e sostanze stabilizzanti per impedirela polimerizzazione prematura del MMA. La polvere del componente solido è generalmentesterilizzata a raggi gamma mentre il componente liquido è sterilizzato per ultrafiltrazione. Alcunicementi per ossa contengono antibiotici in fase solida e in quantità compresa fra il 5 ed il 10% inpeso. Vengono di solito impiegati quando si impiantano protesi cementate successivamente a unfallimento settico di una precedente protesi.Quando i due componenti vengono mescolati inizia un processo di ulteriore polimerizzazione cheproduce polimeri a catena molto lunga che penetrano fra le microsfere della polvere polimerica e lelegano insieme producendo una unica massa di sostanza. L’interfaccia fra le microsfere e la matricepolimerica che le contiene è relativamente debole e la superficie di frattura della massa ottenuta allafine del processo mostra ancora le microsfere. I cementi per ossa sono progettati tenendo presentela necessità di limitare i ritiri volumetrici durante il processo di indurimento per polimerizzazione.Infatti il cemento è inserito ancora fluido nel canale femorale che viene preparato dal chirurgo didimensioni maggiori dello stelo femorale della protesi, quest’ultima viene inserita nella massa dicemento prima che questa indurisca. Pertanto se durante l’indurimento si avesse un sensibile ritirovolumetrico del cemento si avrebbe il distacco della protesi dal cemento e/o del cemento dall’ossocon perdita di stabilità meccanica delle interfacce e mobilizzazione della protesi. I cementicommerciali hanno un ritiro volumetrico compreso fra lo 0.5 e 1’1.0% durante l'indurimento e neisuccessivi 30 giorni subiscono un’espansione volumetrica dell’1÷2% a causa dell’assorbimento diacqua e di lipidi dall’ambiente biologico circostante. La contrazione volumetrica è parzialmentecompensata dall’espansione dovuta al temporaneo aumento di temperatura dovuto allapolimerizzazione esotermica del cemento, ma è aumentata dalla presenza di porosità interne. La

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porosità dipende molto dalla modalità di mescolamento del componente solido con quello liquido inquanto il mescolamento favorisce l’intrappolamento di aria nella miscela. In genere la porosità ècompresa fra l’1% e il 10% ed il suo aumento riduce le proprietà meccaniche del cemento fra cui lasua resistenza alla fatica meccanica. Il processo di indurimento del cemento per ossa ha tre tempi caratteristici: il tempo dimescolamento, il tempo di indurimento e il tempo di applicazione. Tali tempi sono mostrati neldiagramma temperatura-tempo di Fig.10.6.

Figura 10.6 - Tempi caratteristici del processo di indurimento del cemento per ossa: t1 = tempo dimescolamento; t2 = tempo di indurimento; t3 = tempo di applicazione (da: J Black 'OrthopaedicBiomaterials in Research and Practice', Churchill Livingstone, New York, 1988).

Il tempo di mescolamento è l’intervallo di tempo per il quale è possibile mescolare il cementoprima che si attacchi ai guanti chirurgici. In condizioni ambiente (temperatura di 23÷25°C eumidità relativa 65%) il tempo di mescolamento è di 2÷3 minuti a partire dall’unione dei duecomponenti.Il tempo di indurimento, misurato anche questo a partire dall’unione dei due componenti, è il temponecessario perché la massa mescolata di cemento raggiunga la metà della sua temperatura massima.Il tempo di indurimento è in genere compreso fra 8 e l0 minuti. L’aumento di temperatura è dovutoal processo di polimerizzazione che produce 12÷14 Kcal ogni 100 g di cemento. Il calore sisviluppa omogeneamente all’interno della massa di cemento e si trasmette verso la superficie dadove viene smaltito. Per questo motivo la temperatura sulla superficie del cemento raggiunge valoricrescenti con la massa di materiale che polimerizza. Quantità di cemento pari a 50÷60 g possonoraggiungere temperature superficiali massime di 70÷80°C. Tuttavia, durante la cementazione disteli femorali, sia la presenza dello stelo metallico con la sua capacità termica e il suo coefficientedi trasmissione del calore, sia la circolazione sanguigna dei tessuti circostanti, favoriscono ladissipazione del calore prodotto. In tali condizioni e per spessori di cemento di circa 5 mm si stimache la temperatura all 'interfaccia osso-cemento non superi i 42°C e solo per tempi molto brevi.Il tempo di applicazione è la differenza tra il tempo di indurimento ed il tempo di mescolamento edura in genere 5÷8 minuti.Come è stato già detto il cemento per ossa non è un materiale adesivo e pertanto è necessarioprepararne solo la quantità desiderata perché dopo il tempo di indurimento non si riesce adaumentarne la quantità aggiungendone di nuovo in quanto non si ottiene l’adesione con il vecchio.Il cemento non aderisce al metallo anche se quest'ultimo è perfettamente pulito e asciutto. Quando ènecessaria l’adesione fra cemento e metallo quest’ultimo viene fornito già prerivestito con un sottilestrato di cemento fatto aderire industrialmente utilizzando un agente chimico, in genere uncomposto contenente silicio. Per ottenere l’adesione fra il cemento di rivestimento e quellopreparato al momento è necessario che quest'ultimo sia messo a contatto con l'altro, che deve essereperfettamente pulito e asciutto, nei primissimi istanti successivi al tempo di mescolamento. Più tardiavviene il contatto, peggiore è l’adesione.Utilizzando quindi il cemento per ossa si possono ottenere dei significativi benefici in confronto aquanto avviene con l’uso di protesi non cementate. Infatti si ottiene la massimizzazione dellasuperficie di contatto e vengono pertanto ridotti tutti i possibili inconvenienti già descritti chederivano dalla piccola superficie di contatto fra protesi e osso. Ciò è sicuramente vero per quanto

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riguarda la stabilità primaria. Nel tempo però possono verificarsi comunque fenomeni indesiderati,sia degradazione del PMMA ad opera dei tessuti circostanti, sia riduzione delle proprietàmeccaniche e dell’integrità dell’osso all’interfaccia dovuta ai traumi termici della polimerizzazionedi PMMA. Tali fenomeni possono condurre alla mobilizzazione della protesi.Un problema non trascurabile delle protesi cementate è la presenza di due interfacce (metallo-cemento e cemento-osso), entrambe infatti possono cedere causando la mobilizzazione dellaprotesi. La rimozione di una protesi cementata è complicata dalla necessità e difficoltà di rimuoverecompletamente il cemento ed i suoi frammenti dall’osso e inoltre l’impianto di una nuova protesiavviene in un osso fortemente traumatizzato e di spessore ridotto. Da quanto esposto si puòfacilmente comprendere come la scelta fra protesi non cementate e protesi cementate non sia facilee possa essere influenzata da molteplici fattori.

10.4 IL GIUNTO ARTICOLARE

Il giunto articolare ha il doppio obiettivo di trasmettere i carichi attraverso l’articolazione e dipermettere i movimenti articolari. Tali obiettivi devono essere raggiunti limitando l’usura delgiunto e garantendone la stabilità spesso compromessa da una ridotta o assente funzionalità deilegamenti normalmente presenti nelle articolazioni naturali.L’articolazione naturale è costituita da due corpi solidi, le terminazioni ossee, ciascuna delle quali èrivestita da uno strato elastico e poroso, la cartilagine. Fra le cartilagini si trova la sinovia che è unliquido lubrificante viscoso composto da plasma contenente acqua con proteine, sali e acidoialuronico. Il liquido sinoviale, a seconda del tipo di articolazione, può separare più o menocompletamente le cartilagini fra loro. L’intero sistema articolare è contenuto in una capsulasigillante. In condizioni di funzionamento normale questo sistema lubrificato non subisce usuragrazie a meccanismi idrodinamici e elastoidrodinamici. Il coefficiente d’attrito normalmente ècompreso fra 0.005 e 0.025. Le patologie che riducono la capacità lubrificante del liquido sinoviale,ovvero che danneggiano le superfici articolari, aumentano il coefficiente di attrito inducendol’usura delle superfici con conseguente dolore, perdita della funzionalità articolare e necessità diimpianto di una protesi.I giunti articolari artificiali non sono in grado di riprodurre l’efficacia del sistema naturale nelridurre il coefficiente di attrito e l 'usura. In genere la mancanza del lubrificante sinoviale, cheperaltro è particolarmente dannoso in presenza della protesi sia perché tende a degradare i materialipolimerici, sia perché corrode quelli metallici, determina il contatto diretto fra le superfici articolarigenerando attrito ed usura. Prescindendo dalla geometria delle superfici articolari che determinanola cinematica del giunto (nel caso dell'anca le superfici sono sferiche) le caratteristiche tribologichedipendono dai materiali con cui sono costituite le due superfici. In Tab.l0.2 sono riportati iprincipali accoppiamenti impiegati per le protesi d’anca.

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Attualmente la soluzione più comunemente adottata per le protesi d’anca è l’accoppiamento ditestine in acciaio austenitico o in lega Co-Cr-Mo e di cotili in polietilene ad altissimo pesomolecolare (UHMWPE), il peso molecolare è compreso fra 2·106 e 10·106. Con questiaccoppiamenti si ottengono usure lineari medie di circa 0.15 mm all'anno in condizioni di usonormale. I tentativi di utilizzare altri materiali polimerici al posto dell’UHMWPE non hanno datorisultati accettabili.L’accoppiamento fra allumina (Al2O3) e allumina produce, in condizioni corrette di posizionamentoe di tolleranze dimensionali, un’usura lineare di circa 8 μm all’anno, ma nel caso invece in cui ilcontatto non avvenga in modo corretto, evenienza molto probabile e dovuta alla difficoltà diottenimento di strette tolleranze dimensionali, si ha un aumento della pressione di contatto che puòprodurre un’usura catastrofica dovuta al cosiddetto effetto valanga in cui i grani di allumina sistaccano progressivamente dalla massa di materiale.Anche l’accoppiamento fra testine di allumina e cotili in UHMWPE ha mostrato bassi coefficientidi attrito con un’usura lineare compresa fra 0.05 e 0.013 mm all’anno.L’accoppiamento fra testine e cotili entrambi in lega Co-Cr-Mo usato prima degli anni '60 ha datorisultati peggiori dell’accoppiamento con cotili in UHMWPE. Ciò però si ritiene fosse dovuto aproblemi di produzione tecnologica che non garantivano ne la finitura superficiale ne le tolleranzedimensionali necessarie. Di fatto se l’accoppiamento viene realizzato a regola d’arte, la coppiametallo-metallo mostra un 'usura lineare di soli pochi micron all’anno.In Tab.10.3 sono riportati i coefficienti di attrito dinamico di alcuni accoppiamenti articolari.

L’usura delle superfici articolari conduce ad alcuni problemi che possono causare il fallimentodell’impianto. Fra questi la modificazione geometrica e quindi cinematica del giunto, ildislocamento o lussazione dell’articolazione (questa può in parte dipendere anche dai fenomeni dicreep del componente polimerico), ma soprattutto la produzione di detriti polimerici che, come

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mostrato nel seguito, possono portare alla mobilizzazione della protesi. Si ritiene opportunosottolineare che il metal back, che si rende necessario nel caso di cotile in UHMWPE, serve adevitare che i micromovimenti fra il cotile e l’osso che lo ospita generi l’usura massiccia delpolietilene con elevata produzione di detriti.Sia l’usura, sia le caratteristiche meccaniche dell’accoppiamento dipendono, oltre che dai materialicon cui è realizzato l’accoppiamento e della finitura superficiale delle superfici articolari, anchedalle dimensioni dell’accoppiamento sferico, cioè dalle dimensioni della testina. Attualmente letestine più impiegate hanno diametro pari a 28 o 32 mm, ma esistono anche diametri inferiori osuperiori. Questi ultimi sono maggiormente frequenti nel coso in cui la testina sia realizzatasolidalmente con lo stelo. Si tenga anche presente che le testine da 28 e 32 mm sonoparticolarmente indicate per gli accoppiamenti con cotili in UHMWPE in quanto consentono direalizzare cotili di spessore adeguato. Testine di diametro molto maggiori sono state impiegate inprotesi senza il componente acetabolare.L’accoppiamento fra testina e stelo femorale avviene mediante un cono morse che è unaccoppiamento reso stabile dall’attrito che si genera tra le superfici coniche successivamenteall’assemblaggio forzato. La stabilità dipende sia dalle tolleranze dimensionali, sia dalla rugositàsuperficiale.

10.5 ASPETTI DI BIOCOMPATIBILITÀ DELLE PROTESI ARTICOLARI

Già molto è stato detto per quanto riguarda la biocompatibilità delle protesi articolari. E’ peròimportante dare un quadro generale che consenta di considerare tutti gli aspetti che, spesso fra lorocorrelati, concorrono a determinare la biocompatibilità di una protesi articolare in generale e dallaprotesi d'anca in particolare.La funzione primaria della protesi d’anca è quella di sostituire la funzione articolare garantendo neltempo sia la cinematica, sia la trasmissione dei carichi. Di fatto l’esperienza clinica mostra comel’affidabilità nel tempo della protesi d'anca sia limitata da una serie di fattori che concorrono conpriorità diverse a seconda del tipo di protesi, del tipo di ancoraggio, del tipo di materiali, dellatecnica chirurgica, delle condizioni del paziente, ecc. , all’insuccesso dell’impianto dopo un periodomolto variabile da caso a caso. L 'insuccesso è determinato dalla mobilizzazione della protesi checonsiste nella perdita della stabilità meccanica dell’interfaccia fra protesi e osso, nella perdita dellafunzionalità cinematica o in fenomeni di risposta biologica dei tessuti che provocano dolore nelpaziente.Un primo aspetto da considerare è pertanto quello della stabilità dell’interfaccia protesi-osso nellungo periodo. Sono stati descritti i tipi di soluzione adottati per favorire la stabilità primaria equella secondaria di una protesi e di seguito sarà illustrato il meccanismo con cui i diversi tipi diinterfaccia evolvono nel tempo.Un primo tipo di interfaccia è quello in cui la stabilità primaria fra protesi e osso è dovuta all’attritoche si genera successivamente alla forzatura della protesi nell'osso. Questo tipo di interfaccia ètipico dei mezzi di osteosintesi impiegati per favorire la guarigione delle fratture e che usano viti eplacche per stabilizzare i segmenti ossei. La forza di contatto, quindi l’attrito, può diminuire neltempo a causa di fenomeni di creep, rilassamento degli sforzi, necrosi ossea e rimodellamentoosseo. Il disegno di una protesi che preveda questo tipo di interfaccia è difficile in quanto nonesistono conoscenze consolidate sulla risposta dell’osso al carico pressorio indotto dalla forzaturadella protesi.Un secondo tipo di interfaccia è quello che prevede l’uso del cemento a base di PMMA. Dopo uncerto periodo dall’impianto si giunge in una situazione stazionaria nel senso che si ritiene l'interfaccia matura. In questa situazione in genere fra lo stelo ed il cemento è interposta unamembrana fibrosa spessa 50÷100 μm. Una simile membrana è interposta anche fra il cemento el'osso. Questa seconda membrana, il cui spessore varia da 50 μm e 1.5÷3 mm, si stima che prevengala perdita della stabilità se è di spessore inferiore a l mm. In genere la membrana è relativamente

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priva di cellule e può essere di natura infiammatoria se aumenta di spessore 0 quando ci sonomovimenti relativi fra cemento e osso. Il cemento può migrare all’interno dell'osso anche perspessori di 1÷1.5 cm senza provocare reazioni dannose nell’osso. L’interfaccia con cemento èmostrata in Fig.10.7 .Un terzo tipo di interfaccia è quello che si stabilisce quando l’osso è a contatto con una protesi dallasuperficie porosa che lascia crescere, almeno in parte, l’osso all’interno dei pori. Esistono diversitipi di superficie porosa che dipendono dal tipo di tecnologia impiegata. In Fig.10.8 sono mostratetipiche sezioni di superficie che favorisce l’interfaccia per penetrazione. La superficie dei pezziottenuti per fusione non è porosa, ma può avere una elevata rugosità favorendo pertanto lapenetrazione. La superficie sinterizzata può permettere l’ottenimento di porosità controllate graziealla scelta opportuna di polveri 0 grani di forma e dimensioni opportune. La superficie con depositoottenuto per plasma spray di polveri in genere non è porosa, ma produce un aumento importante diestensione dell’area di contatto per unità di superficie. Infine si può ricoprire una superficie con unastruttura fibrosa tipo feltro 0 tipo tessuto che può costituire una matrice di porosità controllata.La crescita dell’osso nella porosità superficiale può essere favorita dall’uso di sostanze conproprietà osteogeniche. A titolo di esempio una superficie rivestita di strati di particelle sferiche di diametro 250÷400 μm può indurre una crescita ossea perspessori fino a 3÷4 mm. In genere gli spessori di rivestimento sono di 1-:-2 mm ed i pori hanno unasuperficie globale pari al 25÷40% dell'intera superficie. In queste condizioni I' osso corticale e I'osso spongioso crescono in gran parte dei pori di dimensione superiore ai 100 μm.

Figura 10.7 - Diversi tipi di interfaccia fraprotesi e osso. a: cementata; b: aderente: c:penetrata.

Figura 10.8 - Strutture superficiali a: ottenutaper fusione; b: ottenuta per sintetirizzazione; c:ottenuta per plasma spray; d: ottenuta perrivestimento con strutture fibrose.

Un ultimo tipo di interfaccia è quello in cui si ha adesione fra l’osso e la superficie della protesi.Questo fenomeno può avvenire su superfici lisce di titanio puro o su superfici trattate conrivestimenti di ceramiche bioattive con una adeguata stabilità primaria e in presenza di modesticarichi dell’interfaccia. In genere i rivestimenti che sono fragili hanno spessori inferiori a 500 μm el’adesione non presenta una membrana di separazione fra l’osso e la protesi. La presenza diceramiche bioattive mostra talvolta uno stato amorfo dello spessore di 1÷100 μm che contienesostanze quali collagene o polisaccaridi .

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I differenti tipi di interfaccia producono differenti sollecitazioni meccaniche locali, l’entità dellequali può indurre micromovimenti relativi all’interfaccia. L’entità dei micromovimenti puòdeterminare la perdita nel tempo dell’interfaccia. A questo proposito è importante anche considerarela differente capacità di trasmettere e sopportare i carichi dei differenti tipi di interfaccia. Infattil’interfaccia cementata consente movimenti relativi fra la protesi e l’osso che vengono assorbiti dalcemento che ha un modulo di elasticità inferiore a quelli di osso e protesi. Pertanto tali movimenti ele sollecitazioni associate non determinano danni alle interfacce osso-cemento e cemento-protesi.L‘interfaccia con osso penetrato nella porosità mostra una capacità media di assorbire i movimentiin quanto l’osso vicino all’interfaccia è meno duro dell’osso corticale e quindi più elastico.L’interfaccia aderente è invece la più fragile. In Tab.10.4 sono riportate alcune proprietàmeccaniche sia dei materiali impiegati per la realizzazione e l'impianto di protesi articolari, sia dialcuni tipi di osso. Da tali dati si capisce come sia difficile realizzare interfacce che siano realmentestabili nel tempo in quanto i carichi che agiscono nel sistema composto da tali differenti materialirisponde con differenti deformazioni locali che possono rompere le interfacce.Se l’interfaccia è meccanicamente stabile nel primo periodo dopo l’impianto della protesi, lamodificazione successiva è dovuta alla risposta biologica dei tessuti ospiti. Tale risposta può esserecorrelata con i carichi trasmessi all’interfaccia e con gli aspetti biologici e meccanici che sicorrelano nel meccanismo del rimodellamento osseo. Per certo una volta che il processo dimobilizzazione inizia diventa irreversibile e procede inesorabilmente anche se con velocità diversada un paziente all'altro. La mobilizzazione della protesi è sempre associata a dolore. Il processo dievoluzione dell'interfaccia protesi-osso è schematicamente illustrato in Fig.10.9.Un aspetto molto importante da considerare per la stabilità nel tempo dell'interfaccia è laproduzione di detriti (debris) di polietilene. Infatti l'attrito nelle superfici articolari produce nelcotile in polietilene detriti che in genere escono dall’accoppiamento e si depositano sulla superficiefemorale resecata in prossimità dello stelo protesico e del gran trocantere. Nel caso in cui i debrisrimangano all’interno dell’articolazione, determinano l 'usura a tre corpi che produce un aumentosensibile di detriti peggiorando il fenomeno ed i suoi esiti. L’accumulo di particelle di polietilene inquesta zona induce il richiamo di macrofagi, induce cioè una reazione da parte dall’organismo chetende ad eliminare le particelle come corpi estranei. Laddove le particelle di polietilene sono

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particolarmente grosse i macrofagi si aggregano formando cellule giganti polinucleate. Se, comespesso accade, i macrofagi non riescono ad eliminare il debris perché le particelle sono troppe e/otroppo grosse, si instaura un processo infiammatorio.Le cellule giganti inducono, fra i vari fenomeni, la produzione di sostanze che attivano la reazioneosteoclastica e quindi la degradazione del tessuto osseo circostante la zona prossimale dello stelo(Fig.10.10). In queste condizioni la stabilità dell’interfaccia diminuisce progressivamentespostandosi verso zone sempre più distali. In queste zone aumenta l’entità del carico trasmesso e neltempo di arriva alla mobilizzazione. Questo fenomeno è stato osservato in maniera drammatica inquei cotili privi di metal back i quali subivano un’elevatissima usura nella zona posteriore a causadei micromovimenti contro l’osso del bacino.Figura 10.10 Fenomeni che avvengono nell’intorno di una protesi d’anca a seguito dell’usura delcotile in polietilene e della conseguente produzione di detriti (debris).Infine, un aspetto importante della biocompatibilità delle protesi articolari è quello legato allacorrosione dei metalli con cui sono fabbricati. Da una parte la corrosione localizzata può portare, inassociazione con la fatica meccanica, ad una precoce rottura della protesi (dello stelo femorale nelcaso dell’anca). Dall’altra la produzione di ioni metallici può determinare effetti dannosinell’organismo ospite, sia a livello locale, sia a livello sistemico. Nella Tab.10.5 sono riportate, per idiversi tipi di metallo contenuto nelle leghe di uso ortopedico, le quantità normalmente contenutenel sangue, nel siero e nell’urina umana. Nei pazienti con protesi metalliche questi valori risultanoaumentati così come si trovano concentrazioni anomale di metalli nei tessuti sia localmente, vicinoalla protesi, sia in zone remote.

Figura 10.9 Processo di evoluzione dell’interfaccia osso-impianto

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Figura 10.10 Fenomeni che avvengono nell’intorno di una protesi d’anca a seguito dell’usura delcotile in polietilene e della conseguente produzione di detriti (debris)

Questi valori elevati permangono cronicamente. Alcuni di questi metalli, per esempio il vanadio,può essere maggiormente pericoloso in quanto ha mostrato in vitro proprietà citotossiche. In genereperò non sono completamente noti gli effetti di quantità elevate di metallo nell’organismo anche sedi alcuni metalli si conoscono le attività di esaltazione di certi processi metabolici e catabolici, adesempio il cobalto esalta la sintesi proteica e il cromo la regolazione dell’energia metabolica.

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Inoltre i metalli, combinandosi con alcune proteine, possono attivare la risposta del sistemaimmunitario inducendo una allergia al metallo. Fra i metalli che maggiormente inducono risposteallergiche si ricordano il cobalto, il cromo e soprattutto il nichel, mentre l’alluminio, il titanio, ilmolibdeno ed il manganese non sembrano essere allergizzanti ed il ruolo del vanadio in questifenomeni non è ancora chiarito.

10.6 CENNI SUGLI ALTRI TIPI DI PROTESI ARTICOLARINel seguito saranno brevemente illustrate le soluzioni adottate per le principali protesi articolarioltre l’anca. Si tenga presente che tali dispositivi mostrano gran parte dei problemi descritti per l'anca anche se di volta in volta alcuni sono più gravi di altri a seconda della complessità dellacinematica articolare, dell'entità dei carichi trasmessi, ecc.

1- Ginocchio

Il ginocchio è un’articolazione la cui cinematica è molto più complessa di quella dell'anca, ma icarichi trasmessi sono inferiori (Tab.10.1). Il movimento dell’articolazione del ginocchio è definitoda strutture legamentose che vincolano le posizioni relative di tibia e femore e rendono possibilisolo i movimenti consentiti all’interno del range fisiologico. In Fig. l0.11 è mostrato uno schemacinematico rappresentativo del movimento ginocchio. Tale schema riguarda esclusivamente ilmovimento nel piano sagittale, che è il principale movimento del ginocchio, ma è opportunoricordare che il ginocchio consente anche modeste rotazioni in altri piani, rotazioni che sonostabilizzate da altri legamenti.

Figura 10.11 Rappresentazione schematica della cinematica del ginocchio nel piano sagittale. Idue legamenti crociati (AD posteriore e BC anteriore) formano insieme al femore e alla tibia unquadrilatero articolato. La geometria delle superfici articolari può essere determinata sulla basedel movimento che ne deriva. Si tenga presente che i legamenti non sono strutture rigide, mapossono subire allungamenti in condizioni fisiologiche di carico.

Ancora il ginocchio, oltre alla complessa anatomia delle superfici articolari, comprende altrestrutture quali i menischi e la rotula che hanno ruoli di stabilizzazione, di riduzione di attrito e ditrasmissione di carico.

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Due sono le principali tipologie di protesi di ginocchio. quella di ricostruzione delle superficiarticolari (più conservativa) e quelle in cui si ha una maggiore osteotomia e la protesi sostituisceuna certa porzione delle estremità di tibia e femore. In Fig. 10.12 è mostrata una protesi diginocchio del primo tipo. E' costituita da un componente metallico in Co-Cr-Mo che sostituisce icondilifemorali e che si articola su piatto tibiale in UHMWPE. Quest'ultimo è supportato da una basemetallica generalmente in Ti6AI4V. I due componenti metallici devono garantire la stabilitàmeccanica dell’interfaccia osso-protesi. Come nel caso dell’anca possono essere cementati o noncementati. Se necessario si può anche rivestire la parte interna della rotula con un componente inpolietilene e metallo.

Figura 10.12 Protesi di ginocchio di rivestimento delle superfici articolari.

La protesi che prevede la sostituzione totale dei condili femorali e del piatto tibiale è ovviamentemolto più distruttiva della precedente e in genere si considera l 'ultima soluzione prima di bloccaredefinitivamente l 'articolazione. La soluzione prevede l’ancoraggio della protesi mediante deifittoni, simili allo stelo femorale della protesi d'anca, che si bloccano nel femore e nella tibia. Ingenere questo tipo di ginocchio artificiale è costituito da un giunto il cui movimento è la rotazionepiana intorno ad un asse fisso o traslante. Si tratta quindi di una cerniera stabile e i due componentinon sono disaccoppiabili.

2- SpallaIl principale movimento della spalla è rappresentato da un giunto sferico che ha angoli di rotazionesuperiori a quelli dell’anca e che sono i maggiori nel corpo umano. Come nel caso dell’anca leprime protesi di spalla erano costituite da un componente che rivestiva, ricostruendola, la superficiearticolare dell’omero.Attualmente le protesi di spalla sono funzionalmente e strutturalmente simili alle protesi d’anca, maovviamente hanno forma e dimensioni diverse. Possono essere applicate con cemento per ossa osenza, mediante press fit. La sfera del giunto è generalmente solidale con l’omero, ma in alcuni casiè solidale con il componente fissato nella scapola.

3- GomitoLa protesi di gomito è generalmente costituita da un giunto a cerniera con moto di rotazione in unsolo piano e che vincola stabilmente il componente omerale e quello ulnare. I due componenti sonovincolati alle ossa dell’arto superiore mediante I 'uso di fittoni cementati o non cementati. Protesipiù recenti non hanno il vincolo bilatero costituito dall’appoggio fra due superfici cilindriche.

4- Polso e articolazione tibio-tarsica

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Queste due articolazione sono molto complesse sia per i movimenti che consentono, sia per ilnumero di ossa che coinvolgono. Esistono alcune soluzioni tecnologiche che sono in genere moltolimitanti nella mobilità articolare e necessitano importanti osteotomie per I 'impianto. Il loro usoclinico è molto limitato.

5- Articolazioni delle ditaOgni dito ha tre articolazioni che sono controllate da tendini e legamenti in modo da non cederesotto carichi di compressione. Il movimento di tali arti colazioni è abbastanza complesso. Iltrattamento chirurgico necessario per trattare le patologie degenerative è quello di praticareun’artroplastica resecando le estremità della articolazione, ma in tal modo si perde la stabilità e lacapacità di sostenere i carichi. Esistono pertanto delle protesi che semplicemente distanziano lesuperfici articolari o che realizzano il movimento articolare con un giunto cilindrico o conl’interposizione di un materiale elastico flessibile.

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