18
06 18 febbraio 2013 Direttore responsabile: Giovanni Ajassa tel. 0647028414 [email protected] Banca Nazionale del Lavoro Gruppo BNP Paribas Via Vittorio Veneto 119 00187 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002 Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca. Più “SBRIC” per crescere nell’export e nell’internazionalizzazione, ovvero trarre vantaggio dalla ripresa degli Stati Uniti insieme alle tendenze espansive delle grandi economie emergenti. Un’opzione per l’Italia che parte dall’esperienza di terr itori “pilota” quali il Trentino. Cinque anni di crisi ci restituiscono un sistema industriale profondamente cambiato. Di dimensioni più piccole, in un sistema paese che ha ulteriormente perso competitività. Con una maggiore propensione all’export, risultato obbligato della debolezza della domanda interna. Con una differente articolazione settoriale: meno mezzi di trasporto, prodotti tessili, apparecchi elettrici e prodotti dell’elettronica, ma più prodotti alimentari, prodotti farmaceutici e macchinari. Nella Ue-27 la spesa per ricerca e sviluppo (R&S), pur avendo raggiunto nel 2010 il 2% del Pil, è ancora lontana dall’obiettivo del 3% fissato dall’Agenda di Lisbona. L’Italia destina solo l’1,25% del Pil alle spese di R&S come nel 1990. Nel 2010 la spesa complessiva per R&S intra-muros sostenuta in Italia è stata pari a 19,6 mld di euro. Nel settore delle imprese si registra un notevole divario fra Nord e Sud Italia. La produzione industriale in Italia, Francia e Germania (valori destagionalizzati; I trim. 2008=100) 75,8 84,2 75,8 82,9 90,3 86,3 79,3 98,4 94,3 75 80 85 90 95 100 105 I 2008 II 2008 III 2008 IV 2008 I 2009 II 2009 III 2009 IV 2009 I 2010 II 2010 III 2010 IV 2010 I 2011 II 2011 III 2011 IV 2011 I 2012 II 2012 III 2012 IV 2012 Italia Francia Germania Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat.

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06 18 febbraio

2013

Direttore responsabile: Giovanni Ajassa tel. 0647028414 [email protected]

Banca Nazionale del Lavoro Gruppo BNP Paribas Via Vittorio Veneto 119 00187 Roma Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 159/2002 del 9/4/2002 Le opinioni espresse non impegnano la responsabilità della banca.

Più “SBRIC” per crescere nell’export e nell’internazionalizzazione, ovvero trarre vantaggio dalla ripresa degli Stati Uniti insieme alle tendenze espansive delle grandi economie emergenti. Un’opzione per l’Italia che parte dall’esperienza di territori “pilota” quali il Trentino.

Cinque anni di crisi ci restituiscono un sistema industriale profondamente cambiato. Di dimensioni più piccole, in un sistema paese che ha ulteriormente perso competitività. Con una maggiore propensione all’export, risultato obbligato della debolezza della domanda interna. Con una differente articolazione settoriale: meno mezzi di trasporto, prodotti tessili, apparecchi elettrici e prodotti dell’elettronica, ma più prodotti alimentari, prodotti farmaceutici e macchinari.

Nella Ue-27 la spesa per ricerca e sviluppo (R&S), pur avendo raggiunto nel 2010 il 2% del Pil, è ancora lontana dall’obiettivo del 3% fissato dall’Agenda di Lisbona. L’Italia destina solo l’1,25% del Pil alle spese di R&S come nel 1990. Nel 2010 la spesa complessiva per R&S intra-muros sostenuta in Italia è stata pari a 19,6 mld di euro. Nel settore delle imprese si registra un notevole divario fra Nord e Sud Italia.

La produzione industriale in Italia, Francia e Germania

(valori destagionalizzati; I trim. 2008=100)

75,8

84,2

75,8

82,9

90,3

86,3

79,3

98,4

94,3

75

80

85

90

95

100

105

I 2008

II 2008

III 2008

IV 2008

I 2009

II 2009

III 2009

IV 2009

I 2010

II 2010

III 2010

IV 2010

I 2011

II 2011

III 2011

IV 2011

I 2012

II 2012

III 2012

IV 2012

Italia Francia Germania

Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat.

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

Editoriale: Più “SBRIC” per la crescita del Trentino G. Ajassa 06-47028414 [email protected]

Le esportazioni del Trentino

(milioni di euro, somme mobili a 12 mesi)

984

788

1.163

2.0892.037

3.0573.200

0

500

1.000

1.500

2.000

2.500

3.000

3.500

Extra Ue27

Ue27

Totale

Fonte: elaborazioni BNL Servizio Studi su dati Istat

L’economia continua a manovrare in retromarcia1. Con il dato del quarto trimestre

2012 il PIL italiano torna all’anno Duemila. Gli investimenti delle imprese, al netto

dell’inflazione, vanno indietro di quindici anni. I consumi delle famiglie retrocedono di

dodici. Le immatricolazioni di auto sono oggi quelle di trentatré anni fa, i tempi in cui la

Fiat lanciava la prima versione della Panda. La disoccupazione totale risale al tasso

registrato nel 1999. Quella giovanile supera tutti i valori annuali della serie storica

disponibile dal 1977. Sono tanti gli indicatori su cui è possibile declinare la retromarcia

dell’economia italiana. È giusto esserne consapevoli. Ma la storia ci insegna che negli

ultimi cento anni, l’economia italiana ha saputo riprendersi da cadute peggiori. Cento

anni fa, alla vigilia del primo conflitto mondiale, nascevano istituzioni e imprese che

ancora oggi esistono e provano a guardare avanti. Tra queste, anche BNL. E pure

nell’attuale difficile contesto, c’è qualcosa che continua a marciare in avanti, tra mille

difficoltà. È quella parte della nostra economia che si ostina a guardare all’innovazione,

all’export e all’internazionalizzazione.

Anche il Trentino vive la gravità della crisi. Alcuni indicatori, tra gli altri, lo illustrano. Nel

terzo trimestre del 2012 il tasso di disoccupazione della provincia autonoma si è

attestato intorno al sei per cento: è un valore che è la metà del dato nazionale, ma che

risulta doppio rispetto ai minimi precedenti la recessione del 2008 e che riporta le

lancette del mercato provinciale del lavoro indietro alla situazione della seconda metà

degli anni Novanta. Tra il 2008 e il 2012 il numero totale di ore autorizzate di cassa

integrazione in Trentino è triplicato. Sul fronte del credito, il riverbero della recessione

1 L’articolo è un estratto dell’intervento di Giovanni Ajassa, Responsabile Servizio Studi BNL Gruppo BNP

Paribas, al seminario su “Crescere si può, con l’internazionalizzazione” organizzato da Confindustria-

Trento il 19 febbraio 2013 a Trento.

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

vede a settembre 2012 le sofferenze sui prestiti alle società non finanziarie crescere su

base annua di una ventina di punti percentuali, nel Trentino come nelle circostanti

regioni nordorientali.

Il peso degli SBRIC sull’export

(% su dati gen-set 2012)

6,9

11,4

7,0

1,3

1,1

1,1

2,5

2,2

3,2

0,8

0,7

1,02,3

2,3

6,1

Italia Trentino Germania

Stati Uniti Brasile Russia India Cina

17,7

13,8

18,3

Fonte: elaborazioni BNL Servizio Studi su dati Istat e DStatis

A fronte di tanti segni meno, in Trentino come nella media dell’Italia una grandezza

che continua a crescere è quella relativa alle esportazioni verso i paesi extra-Ue. I dati

Istat disponibili per i primi tre trimestri del 2012 segnano una crescita su base annua

delle esportazioni trentine dirette al di là dei confini dell’Unione pari a ben undici punti

percentuali. La progressione delle vendite extraeuropee più che compensa il segno

meno che invece appare nella dinamica dei flussi intra-Ue. Il Trentino dell’export

extraeuropeo fa bene, ma potrebbe fare anche meglio. Nella provincia, infatti, la quota

delle vendite dirette al mondo extra-Ue si ferma al trentasei per cento, dieci punti al di

sotto della media nazionale. C’è spazio per crescere, magari valorizzando alcuni

“puntamenti” virtuosi che l’export trentino mostra già oggi nei confronti di aree e di

paesi di grande interesse. Parliamo, ad esempio, della quota elevata di vendite di

prodotti trentini negli Stati Uniti d’America. Gli USA, anche grazie all’intelligente politica

economica dell’amministrazione Obama, offrono scenari solidi di sviluppo nel medio

termine. Gli USA, con oltre l’undici per cento del totale, sono già oggi il secondo cliente

per importanza dell’export trentino dopo la Germania. Puntare agli Stati Uniti e,

insieme, alle quattro maggiori locomotive della crescita mondiale che sono il Brasile, la

Russia, l’India e la Cina, i cosiddetti BRIC, rappresenta sicuramente un passaggio utile

a consolidare la progressione delle esportazioni extra-Ue del Trentino.

Far crescere il lavoro che le imprese trentine intrattengono con gli “SBRIC”, l’America e

le grandi economie che un tempo si definivano emergenti. È una sfida che non si ferma

solo all’export o all’interscambio, ma guarda alla dimensione di un processo di

internazionalizzazione a tutto tondo. Sono le stesse imprese trentine di successo a

indicarlo. Servono investimenti, capacità distributive in loco, partnership finanziarie,

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

conoscenze e collegamenti diretti in grado di annodare reti robuste e durevoli tra le

consolidate eccellenze del tridente trentino con mercati lontani, ricchi di opportunità

quanto complessi.

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

L’industria italiana alla fine del quinto anno di crisi P. Ciocca 06-47028431 – [email protected]

La crisi ha modificato la struttura produttiva del nostro Paese, inserendosi in un processo di cambiamento in corso da oltre dieci anni. Tra il 2000 e il 2012, l’attività del settore industriale si è ridotta di un quinto. Nel comparto delle apparecchiature elettriche sono stati persi 47 punti percentuali di produzione, 40 nell’elettronica, 35 nel tessile e nei mezzi di trasporto. Questi andamenti rappresentano, per l’ampiezza, una peculiarità italiana. In Germania, in dieci anni l’attività industriale è aumentata di quasi 20 punti percentuali, la produzione di apparecchiature elettriche è cresciuta di un quinto, quella di mezzi di trasporto di oltre un terzo e quella di prodotti dell’elettronica è quasi raddoppiata.

Dietro gli andamenti sperimentati nel nostro Paese vi sono storie differenti. In alcuni casi, i minori volumi prodotti sono il risultato di una riorganizzazione del sistema produttivo, con uno spostamento all’estero di una quota del valore aggiunto complessivo. In altri casi, i minori volumi sembrano, invece, essere il risultato di un più complesso e radicale abbandono di alcune produzioni.

La riorganizzazione del sistema industriale nel nostro Paese si è accompagnata ad una maggiore propensione all’esportazione. Tra il 2000 e il 2012, a fronte di una sostanziale stagnazione del fatturato interno, le imprese italiane hanno tratto beneficio da un aumento di circa il 40% di quello estero.

Cinque anni di crisi ci restituiscono, dunque, un sistema industriale profondamente cambiato. Di dimensioni più piccole, inserito in un sistema paese che ha ulteriormente perso competitività. Con una maggiore propensione all’export, risultato obbligato della debolezza della domanda interna. Con una differente articolazione settoriale: meno mezzi di trasporto, prodotti tessili, apparecchi elettrici e prodotti dell’elettronica, ma più prodotti alimentari, prodotti farmaceutici e macchinari.

Cinque anni di crisi dell’industria italiana

Con il IV trimestre del 2012 si è chiuso il quinto anno di crisi dell’industria italiana. Tra ottobre e dicembre, la produzione è scesa di oltre il 2% nel confronto con i tre mesi precedenti. Si tratta della sesta contrazione consecutiva. Questa nuova recessione sta risultando più lunga di quella che aveva interessato il biennio 2008-2009, ma meno intensa. Nell’ultimo anno e mezzo, il calo trimestrale medio della produzione è risultato prossimo al 2%, una flessione pari a circa un terzo di quella rilevata tra il I 2008 e il II 2009.

Dalla metà del 2011, l’industria italiana ha perso in termini di attività 10 punti percentuali, quanto aveva recuperato nei due anni di debole crescita che avevano seguito la precedente recessione. La flessione dell’attività ha interessato tutti i comparti del manifatturiero italiano, sebbene con intensità differente. Nel confronto tra il IV 2012 e il II 2011, si va da un calo intorno al 4% nell’alimentare e nel farmaceutico a quasi il 20% della gomma, plastica e minerali non metalliferi e delle apparecchiature elettriche. La flessione è, invece, risultata compresa tra il 10% e il 15% nel tessile, nel legno, carta e stampa e nei metalli.

Nel complesso dei cinque anni di crisi, l’Italia ha perso circa un quarto dei livelli produttivi realizzati in precedenza. Estendendo lo sguardo più indietro nel tempo, alla fine del 2012 la produzione industriale in volume è nuovamente caduta sui livelli minimi dall’inizio degli anni Novanta. A livello settoriale emergono situazioni di particolare

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

criticità. In cinque anni, i livelli produttivi si sono ridotti di quasi il 40% nel settore delle apparecchiature elettriche e in quello della gomma, plastica e minerali non metalliferi. Tra il 2008 e il 2012, una flessione pari a circa un terzo ha interessato la produzione di mezzi di trasporto e quella di prodotti in metallo, mentre nel tessile, nella chimica e nei macchinari la contrazione è risultata pari a circa un quarto. Cali molto meno ampi sono stati, invece, registrati nell’alimentare e nel farmaceutico.

L’indice della produzione industriale in Italia

(valori destagionalizzati)

Il calo dell’attività produttiva a livello settoriale in Italia nei cinque anni di crisi

(valori destagionalizzati; var. %; IV 2012/I 2008)

80

85

90

95

100

105

110

mar-90

mar-91

mar-92

mar-93

mar-94

mar-95

mar-96

mar-97

mar-98

mar-99

mar-00

mar-01

mar-02

mar-03

mar-04

mar-05

mar-06

mar-07

mar-08

mar-09

mar-10

mar-11

mar-12

-37 -37 -35-32 -32

-27-24 -24 -24

-22

-15 -15

-5-3

-45

-40

-35

-30

-25

-20

-15

-10

-5

0

App. elettriche

Gom

., plast., min. n. m

et.

Mezzi di trasporto

Metalli

Legno, carta e stampa

Tessile

Macchinari

Coke e prod. petr. raff.

Totale industria

Chim

ica

Elettronica

Altre ind. m

anif.

Alim

entare

Farm

aceutica

Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat

Crisi dell’industria, un confronto internazionale

La severità della crisi che interessa l’industria italiana appare con particolare evidenza nel confronto con le altre principali economie europee. La flessione registrata dal nostro Paese tra il I 2008 e il IV 2012 è pari a quasi il doppio di quella francese e oltre quattro volte quella della Germania. Il maggior ritardo dell’Italia rispetto al periodo precedente la crisi è il risultato di una contrazione molto più severa durante la recessione 2008-09, una ripresa simile a quella francese, ma più debole di quella tedesca, nei due anni successivi, e una nuova più rapida contrazione durante quest’ultima fase di crisi. Appare interessante evidenziare quale sia a livello settoriale l’origine di questa maggiore flessione della produzione nel nostro Paese.

Tra l’inizio del 2008 e la fine del 2012, nel settore dei mezzi di trasporto, la produzione si è ridotta di circa il 35%. Nello stesso periodo, la Francia ha sperimentato una flessione di poco superiore al 15%, mentre in Germania la produzione è addirittura aumentata di quasi il 3%. Nel comparto degli apparecchi elettrici la distanza tra il calo della produzione nel nostro Paese e quello di Francia e Germania è pari rispettivamente a quasi 20 e a oltre 25 punti percentuali. Distanze particolarmente ampie hanno interessato anche il settore della gomma e plastica, quello dei minerali non metalliferi e quello dei prodotti chimici. Da segnalare anche quanto accaduto nel comparto del tessile e abbigliamento. Sia in Italia sia in Germania l’attività si è ridotta di circa un quarto; in Francia la flessione ha superato il 40%. Al contrario, nel segmento delle pelli e prodotti in pelle, mentre in Italia e in Germania la produzione è scesa, sebbene con differente ampiezza, in Francia è stato registrato un incremento di oltre il 5%.

Nel confronto tra il IV 2012 e il I 2008, in Italia in 13 dei 16 comparti del manifatturiero considerati nelle statistiche Eurostat la flessione della produzione ha superato il 20%. In Francia è accaduto in 9 settori, in Germania solo in 1.

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La produzione industriale in Italia, Francia e Germania

(valori destagionalizzati; I trim. 2008=100)

La produzione per settori in Italia, Francia e Germania

(valori destagionalizzati; var. %; IV 2012/I 2008)

75,8

84,2

75,8

82,9

90,3

86,3

79,3

98,4

94,3

75

80

85

90

95

100

105

I 2008

II 2008

III 2008

IV 2008

I 2009

II 2009

III 2009

IV 2009

I 2010

II 2010

III 2010

IV 2010

I 2011

II 2011

III 2011

IV 2011

I 2012

II 2012

III 2012

IV 2012

Italia Francia Germania

-50

-40

-30

-20

-10

0

10

20

Chim

ica

App. elettrici

Mezzi di trasporto

Gom

ma e m

at. plast.

Min. non m

etall.

Tessile e abbigl.

Pelli e prod. in pelle

Totale industria

Italia Germania Francia

Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat

Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat

Una deindustrializzazione che viene da lontano

Per comprendere a fondo quanto accaduto nel corso degli ultimi cinque anni è necessario estendere l’analisi ad un orizzonte temporale più lungo. La crisi ha, infatti, accelerato determinati processi di cambiamento in corso nel nostro Paese da alcuni anni, accentuandone gli effetti.

La perdita di importanza del settore industriale non è un fenomeno sviluppatosi con la crisi, ma è un processo iniziato già nella metà degli anni Settanta. In un primo periodo, però, la minore importanza dell’industria era prevalentemente il risultato di un normale spostamento verso un’economia maggiormente basata sui servizi. L’industria cresceva, ma i servizi sperimentavano tassi di sviluppo più solidi. Già negli anni Novanta l’industria aveva, però, cominciato a mandare segnali di forte indebolimento, sebbene nella seconda parte del decennio la produzione fosse cresciuta con ritmi medi annui superiori al 2%. Dall’inizio degli anni Duemila, l’industria italiana ha sostanzialmente smesso di crescere. Nel 2007, le quantità prodotte erano solo di poco più alte di quelle dell’inizio del decennio. La mancata crescita era il risultato di andamenti differenti a livello settoriale. In alcuni comparti la produzione aveva continuato ad aumentare, sebbene moderatamente, guadagnando quasi 10 punti percentuali nell’alimentare e nei metalli e circa 5 nel legno, carta e stampa e nella chimica. In altri settori le criticità erano, invece, emerse con particolare evidenza e rapidità. Tra il 2000 e il 2007, la produzione era scesa di oltre un quarto nel settore dell’elettronica, del 16% in quello delle apparecchiature elettriche, del 15% nel tessile e di circa il 10% in quello dei mezzi di trasporto.

La crisi ha accelerato queste tendenze, andando a colpire con particolare severità proprio quei settori che già negli anni precedenti avevano manifestato le maggiori criticità. Confrontando il 2012 con il 2000, a fronte di un calo dell’attività complessiva pari a circa un quinto, nel comparto delle apparecchiature elettriche sono stati persi complessivamente 47 punti percentuali di produzione, 40 in quello dell’elettronica, 35 nel tessile e in quello dei mezzi di trasporto. Di particolare interesse quanto accaduto al settore della gomma, plastica e minerali non metalliferi. Questo comparto aveva sperimentato solo una moderata flessione nella prima parte degli anni Duemila. La recessione lo ha, però, colpito in maniera particolarmente severa, con una flessione

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

prossima ai 30 punti percentuali in cinque anni, anche come effetto della crisi dell’edilizia che ha penalizzato il comparto dei minerali non metalliferi. Negli ultimi dodici anni, il nostro Paese ha, dunque, sperimentato un vero e proprio processo di deindustrializzazione, che ha interessato con particolare severità alcuni settori.

Gli ultimi dodici anni di produzione in Italia, Francia e Germania

Estendendo l’analisi degli ultimi dodici anni alle altre due principali economie europee, emerge come nel periodo precedente la crisi anche la Francia avesse sperimentato, come l’Italia, una sostanziale stagnazione dell’attività produttiva. Diversa era, invece, risultata la storia della Germania. Dopo le difficoltà della prima parte degli anni Duemila, la produzione era rapidamente aumentata, risultando nel 2007 quasi 20 punti percentuali più alta di quella dell’inizio del decennio. La peggiore performance durante gli anni della recessione ha successivamente contribuito ad ampliare il ritardo accumulato dal nostro Paese. Tra il 2000 e il 2012, l’Italia ha perso 20 punti percentuali di produzione, la Francia 10, mentre la Germania ne ha guadagnati quasi 20. Appare interessante a questo punto confrontare quanto accaduto nei tre paesi in quei settori che maggiormente contribuiscono a spiegare la flessione italiana.

La produzione industriale in Italia, Francia e Germania

(dati corretti per gli effetti di calendario; 2000=100)

La produzione nel settore delle apparecchiature elettriche in Italia,

Francia e Germania

(dati corretti per gli effetti di calendario; 2000=100)

101,1

79,1

119,2 118,0

101,9

89,9

75

80

85

90

95

100

105

110

115

120

125

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Italia Germania Francia

83,7

53,0

124,5120,3

95,2

80,4

45

55

65

75

85

95

105

115

125

135

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Italia Germania Francia Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat

Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat

Nel comparto delle apparecchiature elettriche, l’Italia ha perso, dal 2000, 47 punti percentuali di produzione, distribuiti per un terzo nel periodo precedente la recessione e per la restante parte nei cinque anni di crisi. In Francia, il settore aveva sperimentato una moderata flessione tra il 2000 e il 2007, per poi registrare una contrazione in linea con le dinamiche della recessione, che ha condotto la produzione su livelli circa un quinto più bassi di quelli del 2000. In Germania, la produzione di apparecchiature elettriche è, invece, risultata nel 2012 più alta di quella del 2000 di oltre il 20%, come risultato di una crescita di circa un quarto tra il 2000 e il 2007 e una moderata flessione nel corso degli ultimi cinque anni.

Nel settore dei mezzi di trasporto appare ancora più evidente la deindustrializzazione del nostro sistema produttivo. Tra il 2000 e il 2007, la produzione era scesa di oltre il 10% in Italia, mentre era aumentata del 5,4% in Francia e del 28,6% in Germania. Nel confronto con il 2000, l’Italia ha perso oltre un terzo dei livelli produttivi di partenza,

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

mentre la Germania li ha aumentati di quasi il 40% e la Francia è riuscita a contenere la flessione a poco più del 5%.

La produzione nel settore dell’elettronica in Italia, Francia e

Germania

(dati corretti per gli effetti di calendario; 2000=100)

La produzione nel settore dei mezzi di trasporto in Italia, Francia e Germania

(dati corretti per gli effetti di calendario; 2000=100)

73,4

60,2

167,7

194,1

99,988,7

50

70

90

110

130

150

170

190

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Italia Germania Francia

89,1

65,0

128,6

139,2

105,4

92,7

60

70

80

90

100

110

120

130

140

150

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Italia Germania Francia Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat

Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Eurostat

Ancora più impressionante quanto accaduto nel settore dell’elettronica. Tra il 2000 e il 2007, mentre l’Italia registrava una flessione dell’attività superiore a un quarto, la Germania conseguiva un aumento prossimo al 70%. Alla fine del 2012, l’Italia presentava un ritardo rispetto all’inizio degli anni Duemila di quasi il 40%, mentre la Germania in poco più dieci anni ha quasi raddoppiato i livelli produttivi.

Indicazioni simili emergono confrontando le dinamiche relative al comparto della gomma e materie plastiche e a quello dei minerali non metalliferi. In quest’ultimo, il ritardo accumulato dall’Italia è pari a oltre tre volte quello della Germania, mentre per la gomma e la plastica a fronte di una nostra flessione superiore a un quarto, il sistema produttivo tedesco è riuscito ad accrescere i livelli dell’attività di quasi il 20%.

Diversa risulta l’esperienza del tessile, abbigliamento e pelli. Come visto in precedenza, la flessione registrata dall’Italia appare significativa, pari, rispetto al 2000, al 30% per il tessile e abbigliamento e a oltre il 50% per le pelli e prodotti in pelle. La deindustrializzazione in questi comparti è, però, risultata molto forte anche per le altre due economie europee. La Germania ha perso 46 punti percentuali di produzione nel tessile e abbigliamento e oltre 25 punti nelle pelli e prodotti in pelle. Ancora più ampie le flessioni della Francia, pari rispettivamente a 75 e 40 punti.

Alcune osservazioni conclusive

La crisi ha modificato la struttura produttiva del nostro Paese, inserendosi in un processo di cambiamento in corso da alcuni anni ed accentuandone gli effetti. Alcuni settori hanno perso importanza, mentre altri hanno provato ad attenuare la caduta complessiva, cercando di colmare i vuoti che si sono venuti a creare.

Il peso del settore del tessile sul totale dell’industria è diminuito in poco più di dieci anni di oltre 2 punti percentuali. Il calo è risultato concentrato negli anni precedenti la crisi, come effetto di un processo di riorganizzazione dell’intera filiera produttiva mondiale che ha interessato, come visto in precedenza, anche la Francia e la Germania. Il peso

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delle apparecchiature elettriche si è ridotto di oltre 2 punti, mentre il calo di quello dei mezzi di trasporto è risultato pari a poco più di 1 punto. In entrambi questi settori si è assitito ad una brusca riduzione negli anni precedenti la crisi, seguita da un’ulteriore moderata perdita di importanza durante la recessione. Concentrato tra il 2000 e il 2007 è, invece, il calo della quota dell’elettronica.

Il peso dei settori nella produzione industriale italiana nel 2000

(% del totale)

Il peso dei settori nella produzione industriale italiana nel 2012

(% del totale)

Alimentare; 6,8Tessile; 11,4

Legno, carta e stampa; 6,5

Coke e prod. petr. raff.; 1,7

Chimica; 4,4

Farmaceutica; 2,4

Gomma, plast., min. n. metal.; 10,8

Metalli; 17,2Elettronica; 2,9

App. elettriche; 6,4

Macchinari; 11,1

Mezzi di trasporto; 6,8

Altre ind. manif.; 8,4

Altro; 3,1

Alimentare; 9,2Tessile; 9,3

Legno, carta e stampa; 6,1

Coke e prod. petr. raff.; 1,9

Chimica; 4,6

Farmaceutica; 3,1

Gomma, plast., min. n. metal.; 9,2Metalli; 17,0

Elettronica; 2,2

App. elettriche; 4,3

Macchinari; 11,8

Mezzi di trasporto; 5,6

Altre ind. manif.; 8,8

Altro; 6,9

Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat

Dietro questi andamenti vi sono storie differenti. In alcuni casi, i minori volumi prodotti sono il risultato di una riorganizzazione del sistema produttivo, con uno spostamento all’estero di una quota del valore aggiunto prodotto. Questo sembra essere quanto accaduto ai mezzi di trasporto e alle apparecchiature elettriche. Una conferma emerge dai dati sulle imprese a controllo nazionale residenti all’estero. L’industria italiana impiega all’estero complessivamente 829mila addetti, pari al 16% del totale. L’incidenza degli addetti all’estero risulta molto più alta nel settore dei mezzi di trasporto, con oltre 100mila pari a quasi un terzo del totale, e in quello delle apparecchiature elettriche, con più di 50mila, un quarto del totale. Come conseguenza di questa riorganizzazione, negli ultimi venti anni il rapporto tra valore aggiunto e produzione si è ridotto.

In altri casi, i minori volumi prodotti non sembrano, però, essere il semplice risultato di una riorganizzazione del processo, con l’esternalizzazione di alcune attività, quanto l’effetto di un più complesso abbandono di alcune produzioni, come rappresentato da quanto accaduto nel settore dell’elettronica. In questo comparto, il rapporto tra valore aggiunto e produzione è rimasto sostanzialmente stabile nel corso degli anni. Il numero degli addetti impiegati all’estero risulta limitato, e pari a solo il 10% del totale. Il brusco calo della produzione è, dunque, il risultato dell’uscita del nostro Paese da alcune tipologie di produzione, un destino comune al settore dei prodotti tessili.

I dati sugli addetti impiegati all’estero e sul valore aggiunto mostrano, però, come la delocalizzazione non porti necessariamente ad una riduzione dei volumi prodotti. Questo è il caso del settore farmaceutico, che, sebbene impieghi oltre un quinto della forza lavoro all’estero e abbia visto scendere il rapporto tra valore aggiunto e produzione, ha conseguito un aumento delle quantità prodotte in Italia.

La riorganizzazione del sistema industriale italiano si è accompagnata ad una maggiore propensione all’esportazione, sia come risultato della capacità di alcuni settori di penetrare con vigore i mercati esteri, sfruttando una domanda ancora vivace,

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sia come frutto della perdita di importanza di quei comparti, o più semplicemente di quelle imprese, maggiormente dipendenti dalla domanda interna. Tra il 2000 e il 2012, a fronte di una sostanziale stagnazione del fatturato interno, le imprese italiane hanno tratto beneficio da un aumento di circa il 40% di quello estero. I settori che in termini di produzione hanno registrato i migliori andamenti sono anche quelli che hanno sperimentato le maggiori crescite del fatturato estero. L’alimentare e il farmaceutico, che hanno potuto beneficiare anche di una tenuta della domanda interna, hanno visto il fatturato estero crescere in dieci anni rispettivamente di oltre 80 e più di 50 punti percentuali. Aumenti significativi hanno interessato anche il comparto dei metalli e quello dei macchinari. Tra i settori che maggiormente hanno vissuto una flessione dei livelli produttivi, il tessile non è riuscito a fronteggiare il brusco calo della domanda interna con il fatturato estero che è rimasto sostanzialmente invariato, mentre nell’elettronica il valore delle vendite è sceso di circa il 30% sia nella componente interna sia in quella estera, a testimonianza di un più profondo abbandono di alcune attività produttive. Nel settore dei mezzi di trasporto ad una flessione del 30% del fatturato interno si è affiancato un aumento di oltre un terzo di quello estero.

La quota degli addetti impiegati all’estero sul totale in alcuni settori

dell’indutria italiana

(2010; % del totale)

Il fatturato estero in alcuni settori dell’industria italiana

(dati grezzi; 2000=100)

0

5

10

15

20

25

30

35

Alim

entare

Elettronica

Totale industria

Tessile

Macchinari

Farm

aceutico

App. elettriche

Mezzi di trasporto

60

80

100

120

140

160

180

200

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

Totale industria Alimentare Tessile Farmaceutica

Metalli Elettronica Macchinari Mezzi di trasporto Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat 2012: gennaio-novembre

Fonte: elaborazione Servizio Studi BNL su dati Istat

Cinque anni di crisi ci restituiscono, dunque, un sistema industriale italiano profondamente cambiato. Di dimensioni più piccole, inserito in un sistema paese che ha ulteriormente perso competitività, come dimostrato dall’andamento del costo del lavoro per unità di prodotto. Con una maggiore propensione all’export, risultato obbligato della debolezza della domanda interna. Con una differente articolazione settoriale: meno mezzi di trasporto, prodotti tessili, apparecchi elettrici e prodotti dell’elettronica, ma più prodotti alimentari, prodotti farmaceutici e macchinari.

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

L’innovazione e la spesa per ricerca e sviluppo in Italia S. Ambrosetti 06-47028055 – [email protected]

Nella Ue-27 la spesa per ricerca e sviluppo (R&S), pur avendo raggiunto nel 2010 il 2% del Pil, è ancora lontana dall’obiettivo del 3% fissato dall’Agenda di Lisbona e confermato sino al 2020. Il valore di tale indicatore relativo alla Ue-27 risulta molto contenuto specie se paragonato a quello di altri paesi come il Giappone (3,9%) e gli Stati Uniti (2,9%).

Tra le economie europee la Finlandia (3,8%) e la Svezia (3,4%) evidenziano valori persino superiori a quelli del Giappone; la Germania è vicina al 3%, mentre l’Italia destina solo l’1,25% del Pil alle spese in ricerca e sviluppo, un valore analogo a quello registrato nel 1990.

I dati sull’innovazione, diffusi dall’Istat a fine 2012, hanno evidenziato come nel triennio 2008-2010 un impresa su tre oltre i 10 addetti abbia innovato in prodotti o processi. La spesa per innovazione complessiva nel 2010 è stata pari a 28 miliardi di euro. Le imprese innovatrici hanno investito un ammontare medio per addetto pari a 7.700 euro. Si rileva una certa disomogeneità tra i macrosettori economici: a fronte di una spesa media per addetto pari a 9.400 euro nel comparto dell’industria, in quello dei servizi si scende a 5.800 euro e in quello delle costruzioni a 4.300 euro. Oltre l’85% della spesa per innovazione è costituito dalle attività di ricerca e sviluppo (R&S) e da investimenti in macchinari e apparecchiature.

Nel 2010 la spesa per R&S intra-muros sostenuta in Italia da imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni non profit e università risulta pari complessivamente a 19,6 miliardi di euro. A livello territoriale l’attività di R&S presenta una notevole concentrazione nell’area settentrionale del paese, cui è riferibile circa il 60% della spesa totale. Nel settore delle imprese si registra un notevole divario fra Nord e Sud Italia: ad ogni euro speso dalle imprese nel Mezzogiorno ne corrispondono 5,5 spesi nel Nord-Ovest e 3 nel Nord-Est.

In un contesto macroeconomico particolarmente complesso per le economie avanzate, specie quelle europee, promuovere l’innovazione e la produttività rappresenta una sfida molto impegnativa. Investire nell’innovazione come motore per la competitività assume tuttavia un ruolo cruciale per fronteggiare la forte pressione concorrenziale dei Paesi emergenti e la rapida evoluzione delle tecnologie e dei processi produttivi.

L’indicatore più frequentemente utilizzato per confrontare le performance dei diversi paesi nel campo della ricerca è l’incidenza percentuale della spesa per R&S sul Pil. Nella Ue-27 tale indicatore, pur avendo raggiunto il 2%, risulta ancora lontano dall’obiettivo del 3% indicato inizialmente dall’Agenda di Lisbona e confermato sino al 2020 come uno degli obiettivi dell’accordo. Nel complesso la spesa in R&S in percentuale del Pil risulta nella Ue-27 molto contenuta, specie se paragonata a quella di paesi come il Giappone (3,9%) e gli Stati Uniti (2,9%).

Tra i paesi europei la Finlandia (3,8%) e la Svezia (3,4%) evidenziano valori persino superiori a quelli del Giappone; la Germania è vicina al 3%. L’Italia destina solo l’1,25% del Pil alle spese in R&S, evidenziando una distanza condiserevole rispetto alle principali economie europee.

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Spese in ricerca e sviluppo in % del Pil

(Anno 2011)

3,78

3,57

3,37

3,36

2,90

2,87

2,84

2,25

2,03

1,77

1,33

1,25

0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0

Finlandia

Rep. Corea

Svezia

Giappone

Cina

Usa

Germania

Francia

Ue-27

Regno Unito

Spagna

Italia

Fonte: Eurostat

La spese per R&S: Italia in ritardo

In una prospettiva di medio-lungo periodo l’Italia dovrà far fronte, rispetto a molti altri paesi, a un più rapido processo di invecchiamento della popolazione, con possibili ricadute sul potenziale di crescita. In quest’ottica l’innovazione, intesa come introduzione di nuovi prodotti e/o processi produttivi più efficienti, rappresenta un fattore chiave per sostenere la produttività e alimentare la crescita economica. Osservando l’incidenza della spesa per R&S sul Pil lungo un ampio arco temporale è possibile osservare come in Italia la quota di investimenti destinati alla R&S risulti strutturalmente contenuta.

Italia: spese in ricerca e sviluppo

(1990-2011)

8.780

19.756

1,25 1,25

0,9

0,95

1

1,05

1,1

1,15

1,2

1,25

1,3

5.000

7.000

9.000

11.000

13.000

15.000

17.000

19.000

21.000

23.000

19

90

19

91

19

92

19

93

19

94

19

95

19

96

19

97

19

98

19

99

20

00

20

01

20

02

20

03

20

04

20

05

20

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07

20

08

20

09

20

10

20

11

R&S (mln di euro) In % del Pil

Fonte: Istat

La spesa per R&S effettuata dalle imprese italiane nel periodo 1990-2010 è passata da 9,8 mld a 19,8 mld. Osservando la spesa in R&S rispetto al Pil è possibile osservare tuttavia come l’incidenza sul Pil nel 2011 sia pari all’1,25%, lo stesso valore registrato nel 1990.

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

Innovazione in Italia: imprese e settori

I dati sull’innovazione, diffusi dall’Istat a fine 2012, hanno evidenziato come nel 2010 in Italia le imprese abbiano investito in innovazione 28 miliardi di euro e un ammontare medio per addetto pari a 7.700 euro. Si rileva tuttavia una certa disomogeneità tra i macrosettori economici. A fronte di una spesa media per addetto pari a 9.400 euro nel comparto dell’industria, in quello dei servizi si scende a 5.800 euro e in quello delle costruzioni a 4.300 euro per addetto.

Spesa per innovazione per addetto

(Anno 2010; valori in migliaia di euro)

8,17,7

11,2

9,4

4,7

3,8 3,94,3

9,4

6,7

4,9

5,8

8,17,3 7,7 7,7

0

2

4

6

8

10

12

Industria Costruzioni Servizi Totale

Fonte: Istat

Anche all’interno dei vari comparti la spesa per addetto presenta un campo di variazione molto ampio. Nell’industria al primo posto figura il settore estrattivo (56.900 euro), seguito dalla farmaceutica (23.000 euro), dall’elettronica (21.900 euro) e dal settore della fabbricazione di altri mezzi di trasporto (19.400 euro). I settori della fabbricazione di autoveicoli e l’industria chimica presentano un livello medio di spesa per addetto prossimo ai 10.000 euro, mentre si scende al di sotto dei 5.000 euro l’anno per addetto nel comparto delle industrie tessili e in quello delle “utilities”.

In assoluto la spesa per addetto più elevata è stata sostenuta dal settore della ricerca e sviluppo (75.000 euro) appartenente al comparto dei servizi cui afferiscono anche le telecomunicazioni (18.500 euro) e tre altri settori caratterizzati invece da livelli di spesa molto contenuti: i trasporti, i servizi postali e il commercio al dettaglio.

I dati Istat evidenziano come nel triennio 2008-10 oltre 58.000 imprese italiane con almeno 10 addetti abbiano svolto attività di innovazione. Si tratta di un numero pari a poco più di un terzo del totale. Oltre l’85% della spesa per innovazione è costituito dalle attività di R&S e da investimenti in macchinari e apparecchiature.

Tra i macrosettori quello dell’industria si conferma il più innovativo con 43 imprese su cento che hanno introdotto almeno un’innovazione sul mercato o nel proprio processo produttivo, seguito dal settore dei servizi, nel quale hanno innovato un’impresa su quattro, mentre nel settore delle costruzioni si scende a una su sei.

Una variabile che influenza in misura considerevole gli investimenti in innovazione è costituita dalla dimensione aziendale. Hanno innovato il 64% delle imprese con 250 addetti e oltre, contro il 47% delle imprese con 50-249 addetti e il 29% di quelle con 10-49 addetti.

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

A livello settoriale i valori assoluti più elevati, in termini di innovazione, vengono registrati dalle imprese appartenenti al comparto dell’industria, in particolare ai settori: fabbricazione di altri mezzi di trasporto (80,4%), industrie chimiche (72,3%) e industrie farmaceutiche (71%). La percentuale di imprese che hanno innovato è leggermente più contenuta nel comparto dei servizi, nel quale anche i settori leader per innovazione (produzione di software, assicurazioni, ricerca e sviluppo e telecomunicazioni) evidenziano valori compresi tra il 50% e il 70%, più contenuti rispetto a quelli registrati nel comparto industriale.

Italia: imprese innovatrici per macrosettore e classe di addetti

(Anni 2008-2010, val. % sul totale delle imprese)

29

40

16

23

47

60

23

33

64

75

33

53

31

43

16

24

0

10

20

30

40

50

60

70

80

Totale Industria Costruzioni Servizi

10-249 addetti

50 - 249

250 e oltre

Totale

Fonte: Istat

Circa la metà delle imprese innovatrici ha innovato congiuntamente i prodotti e i processi produttivi. Tale operazione può avvenire con modalità diverse: nell’industria il 50,2% delle imprese ha innovato i prodotti e i processi in maniera integrata, il 25,2% ha innovato unicamente i processi e il 24,5% ha effettuato solo innovazioni di prodotto. Anche nei settori dei servizi e delle costruzioni si registra una tendenza analoga, nonostante una più alta frequenza di attività finalizzate alle sole innovazioni di prodotto.

Nel 2010 la spesa per R&S intra-muros sostenuta in Italia da imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni non profit e università risulta pari complessivamente a 19,6 miliardi di euro, con un incremento in termini nominali del 2,2% rispetto al 2009. Le stime su dati di previsione indicano per il 2011 un incremento annuale dello 0,7% che porta la spesa totale a 19,8 mld di euro. Le imprese nel 2010 hanno svolto attività di R&S intra-muros per una spesa complessiva di 10,6 mld di euro (il 53,9% del totale nazionale), le università per 5,7 mld di euro (28,8%), il settore delle istituzioni pubbliche per 2,7 mld di euro (13,7%) e, infine, il settore delle istituzioni private non profit ha contribuito al totale con 711 milioni di euro (3,6%). A livello territoriale l’attività di R&S nel 2010 presenta una notevole concentrazione nell’area settentrionale del paese cui è riferibile circa il 60% della spesa per R&S. L’area che detiene una quota più elevata della spesa complessiva è il Nord ovest (37,3%), seguito dal Nord est (22,6%) e dal Centro (24,2%), mentre al Mezzogiorno è attribuibile il 15,9% della spesa totale. Nel settore delle imprese si registra un notevole

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divario fra Nord e Sud Italia: ad ogni euro speso dalle imprese nel Mezzogiorno ne corrispondono 5,5 spesi nel Nord-ovest e 3 nel Nord-est. A livello regionale la spesa totale per R&S rimane fortemente polarizzata in tre regioni: Lombardia, Lazio e Piemonte che rappresentano complessivamente il 49% della spesa nazionale e il 45% degli addetti alla ricerca. I brevetti e le collaborazioni tra aziende innovatrici

Uno dei principali indicatori con cui viene misurata l’attività innovativa di un paese è dato dal numero di brevetti registrati. I dati relativi alle richieste di brevetti unificati Ue presso lo European Patent Office evidenziano come nel 2011 siano stati richiesti complessivamente 244 mila brevetti. I primi tre paesi al mondo sono risultati essere: gli Stati Uniti (quasi 60mila richieste), il Giappone (47mila) e la Germania (33mila). Le richieste di brevetto italiane sono state 4.800, circa il 2% del totale, quelle tedesche il 14% e quelle francesi il 5%. L'indice di intensità brevettuale (dato dal numero di brevetti per milione di abitanti), pur in crescita, si ferma in Italia a 80, un valore ampiamente al di sotto della media europea che supera i 110 brevetti per milione di abitanti. I valori di questo indicatore presentano in Italia una certa disomogeneità a livello territoriale. A fronte di livelli molto contenuti in quasi tutte le regioni meridionali, con valori comuni alle regioni europee meno avanzate, in quelle settentrionali si registrano valori in linea con quelli della media Ue. Nell’ultimo decennio il divario Nord-Sud si è ampliato di riflesso alla differente struttura produttiva settoriale e alla maggior concentrazione nell’area settentrionale del nostro paese tanto delle attività a più elevato contenuto tecnologico che delle imprese di maggiori dimensioni, maggiormente portate a investire in innovazione. Un’altra peculiarità del nostro sistema imprenditoriale è costituita dal basso grado di collaborazione delle aziende italiane innovative con altre aziende. Solo il 10% delle imprese risulta avere progetti di collaborazione per l’innovazione con altre aziende italiane e solo il 3% è coinvolto in collaborazioni a livello internazionale.

Tale circostanza se da un lato riflette la specificità del sistema imprenditoriale italiano, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese che prediligono spesso lo svolgimento di attività di innovazione informali piuttosto che formali, dall’altro sottolinea la necessità di promuovere maggiori legami di collaborazione.

Il potenziamento delle collaborazioni tra imprese nel processo di innovazione, a livello nazionale e internazionale, consentirebbe di raggiungere una massa critica sufficiente a porre in essere progetti innovativi di successo, di sfruttare al meglio le complementarietà, di contenere i costi e promuovere le potenzialità di crescita.

Occorre inoltre considerare che l’introduzione di un’innovazione di processo o di prodotto di successo richiede numerose e complesse azioni a livello aziendale e settoriale, tra cui cambiamenti organizzativi, formazione della manodopera, operazioni di marketing, nuove strategie e servizi commerciali, operazioni che richiedono investimenti in tempo e risorse accessori rispetto al costo dell’innovazione.

Affrontare in modo efficace la complessità di queste tematiche diventa cruciale per promuovere progetti innovativi di successo. In quest’ottica un ruolo centrale nel sostegno all’innovazione e alla competitività del sistema Paese spetta alle politiche pubbliche, attraverso la definizione di interventi mirati non solo a stimolare l’investimento in R&S, ma anche quelli in asset intangibili quali il capitale umano, la conoscenza, i brevetti.

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori

Indice Itraxx Eu Financial

Indice Vix

0

50

100

150

200

250

300

350

400

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Index Itraxx EU Financial Sector

0

10

20

30

40

50

60

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-11

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13

Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters

I premi al rischio passano da 151 pb a 140 pb. L’indice Vix nell’ultima settimana scende a quota 12,5.

Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent (Usd per barile)

Prezzo dell’oro (Usd l’oncia)

1,15

1,2

1,25

1,3

1,35

1,4

1,45

1,5

90

95

100

105

110

115

120

125

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Brent scala sin.(in Usd)

Cambio euro/dollaro sc.ds.

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Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters

Il tasso di cambio €/$ a 1,33. Il petrolio di qualità Brent quota $117 al barile.

Il prezzo dell’oro scende da 1.675 a 1.607 dollari l’oncia.

Page 18: 80 79,3 - BNP Paribas...18 febbraio 2013 setesettembresette SettsettembreAgost o 2008 vede a settembre 2012 le sofferenze sui prestiti alle società non finanziarie crescere su base

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18 febbraio 2013 setesettembresetteSettsettembreAgosto 2008

Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali: differenziale con la Germania

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Italia Spagna Irlanda Portogallo

Fonte: Thomson Reuters Fonte: elab. Servizio Studi BNL su dati Thomson Reuters

Il Ftse Mib si muve intorno a quota 16.500. I differenziali con il Bund sono pari a 443 pb per il Portogallo, 205 pb per l’Irlanda, 356 pb per la Spagna e 274 pb per l’Italia.

Indice Baltic Dry

Euribor 3 mesi (val. %)

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Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters

L’indice, su valori minimi, nell’ultima settimana torna a 750.

L’euribor 3m rimane a 0,23%.

Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL-Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.